I nchiesta È davvero gratis? Quando usiamo servizi online gratuiti, come Google, YouTube, Facebook... in realtà, cediamo loro informazioni personali. O gni volta che utilizziamo, e ancor più quando ci iscriviamo a un servizio gratuito online, rinunciamo a un po’ di privacy. Che si tratti di Google, con il suo universo di prodotti free, da Gmail a YouTube, da G+ a Google Docs, oppure di Facebook, Twitter, Spotify o di una delle migliaia di app gratuite scaricabili su smartphone e tablet, ogni volta che clicchiamo ok stiamo dando l’assenso all’uso di dati che ci riguardano. Queste informazioni su di noi servono a chi ci offre il servizio sia per darci un’esperienza migliore, personalizzata, sia per bersagliarci con messaggi pubblicitari mirati. Il prodotto siamo noi I nostri dati anagrafici, le nostre preferenze, la nostra cerchia di contatti, le informazioni sul luogo in cui ci troviamo: a chi deve venderci qualcosa interessa tutto. Ovviamente, per noi deve valerne la pena e molto spesso è proprio così: Google ci fa trovare quasi sempre nella prima schermata dei risultati le informazioni che stiamo cercando. Come fa? Ci conosce meglio di quanto pensiamo, impara cosa è rilevante dalle ricerche di tutti gli utenti e scopre cosa 24 N° 42 MARZO 2014 è importante per noi dalle nostre ricerche passate e dalla nostra posizione geografica. Così anche le pubblicità che ci propone in alto o sul lato destro della pagina dei risultati spesso hanno per noi un certo interesse e non si configurano necessariamente come spam. Contenuti a costo zero Pagare un prodotto non con soldi ma con i propri dati personali è un male? Non è detto: l’importante è essere consapevoli che non ci stanno regalando niente. Anzi, in più di un senso siamo proprio noi utenti, con i contenuti che carichiamo sulle varie piattaforme frequentate, a fornire ai colossi del web un servizio gratuito dal valore inestimabile. Contribuiamo infatti a creare materiale che altri avranno voglia di vedere, ascoltare, commentare. E per tutto il tempo passato online a produrre o consumare contenuti gratuiti, siamo esposti a messaggi pubblicitari che fanno guadagnare chi gestisce i vari servizi utilizzati. Certo, Google, Facebook, Twitter e Co. ci Due dollari: è l’obiettivo annuo medio di ricavo per utente di chi avvia un business su internet permettono di fare cose che senza di loro non sarebbero possibili. Inoltre, ben vengano i servizi e i programmi gratuiti, perché ci consentono di risparmiare, a patto di non accontentarsi di una qualità mediocre perché, anche se non costano soldi, in qualche modo li stiamo comunque pagando. Che fine fanni i dati? Ma che altro uso fanno dei nostri dati le aziende che prosperano con i servizi gratuiti? Li cedono ad altri. Prendiamo le app di Facebook. Cinque diversi tipi di prodotti gratuiti Nel mondo digitale molti prodotti e servizi vengono messi a disposizione degli utenti senza richiedere un pagamento. Ma il gratis non è tutto uguale. Possiamo distinguere 5 principali tipologie di prodotti gratuiti. 1 Gratis con pubblicità Sono i servizi come Google, e tutto il suo universo di prodotti (G+, Gmail, YouTube, Google Docs...), Facebook, Twitter. Guadagnano facendosi pagare dagli inserzionisti a cui offrono noi come pubblico per i loro annunci. 4 Gratis con ambizione di farsi acquisire Sono app e servizi che non hanno pubblicità e sperano di attirare abbastanza utenti da diventare appetibili per qualche big e farsi comprare. A quel punto l’azienda che li compra troverà il modo di monetizzare, probabilmente con la pubblicità (Instagram, Waze). 2 Versione gratis e versione Premium Servizi e app disponibili sia in una versione gratuita, con le funzionalità di base, sia in versione a pagamento, con più funzioni. In alcuni casi la versione gratuita ha anche la pubblicità (Flickr, Spotify, Runtastic), in altri no (Evernote, Dropbox, iCloud). 5 Gratis senza scopo di lucro Sono prodotti e servizi collaborativi come Wikipedia, i blog, i programmi open source. Tanti utenti collaborano per mettere insieme un servizio che sia utile a tutti, senza avere un ritorno economico, ma in forma di dono. 3 Gratis il contenitore, a pagamento il contenuto È il caso delle app di giornali e riviste, che si scaricano gratuitamente, ma poi richiedono un pagamento per abbonarsi e leggere articoli aggiornati (Il Corriere della Sera) o dei molti giochi gratuiti all’interno dei quali si paga per comprare oggetti o per sbloccare i livelli successivi (Candy Crush). N° 42 MARZO 2014 25 I nchiesta 60 miliardi $ guadagnati da Google nel 2013 7,8 miliardi $ guadagnati da Facebook nel 2013 4,6 miliardi $ guadagnati da Yahoo nel 2013 › La versione gratuita del programma di musica in streaming consente di ascoltare i brani su tutti i dispositivi collegati a internet con annunci pubblicitari. La versione premium elimina la pubblicità e consente di ascoltare musica anche offline. 1 miliardo $ costo di Instagram pagato da Facebook Se andate nella sezione “Applicazioni” del social network, potrete scoprire a quante app avete concesso nel tempo l’accesso ai vostri dati, ed è probabile che siano decine, se non centinaia. A queste applicazioni di terze parti concediamo il permesso di sbirciare nel nostro profilo e di conservare informazioni su di noi perfino dopo averle eliminate da Facebook. Altro scenario da valutare è quello in cui un servizio al quale siamo iscritti cambia proprietario. Quando YouTube diventa di proprietà di Google o Instagram viene acquistata da Facebook, i dati che abbiamo fornito all’iscrizione passano di mano, ma non è detto che ne siamo contenti e spesso nemmeno consapevoli. Lezioni di autodifesa 4,3% 5,1% 32,4% Televisione Affissioni Internet Giornali Cinema Riviste Radio -2,2% -1,3% -1,1% -0,7% › Il più recente rapporto Nielsen sulla pubblicità globale evidenzia che nel 2013 quella su web e sui dispositivi mobili è cresciuta globalmente del 32,4%. Si tratta di un balzo in avanti di proporzioni gigantesche, soprattutto considerando che tutti gli altri media perdono o restano stabili. 26 N° 42 MARZO 2014 Proteggere la propria privacy online senza è un’arte che si affina con il tempo. Riflettete sempre prima di iscrivervi a un servizio gratuito: vi serve davvero? Per che cosa lo utilizzerete? Che tipo di dati vi chiede? Create un indirizzo email da utilizzare solo per gestire questi account ed evitare di intasare con messaggi, notifiche e spam la vostra vera casella. Ogni volta che assegnate un “like”, condividete foto, video, link e pensieri, ricordatevi che state dicendo qualcosa di voi e che c’è sempre qualcuno in ascolto, e ricordatelo soprattutto ai vostri figli. Quanto alla pubblicità, esistono programmi come AdBlock (getadblock.com/) che consentono di bloccare la maggior parte dei messaggi, compresi gli spot in apertura dei video su YouTube (vedi HT 33, settembre 2012). 3 miliardi $ S. QUINTARELLI - ESPERTO WEB offerta di Facebook per comprare Snapchat “Serve più concorrenza” Torneremo a pagare? Probabilmente sì, anzi in realtà lo facciamo già. Non per avere il giochino, ma per sbloccare accessori o livelli. Non per condividere e conservare documenti nel cloud, ma per avere più spazio di archiviazione. Non per ascoltare musica in streaming su internet, ma per averla a disposizione anche offline e senza pubblicità. Non per leggere le notizie sul computer, ma per aggiornamenti tempestivi da fonti affidabili su argomenti specialistici, accessibili anche da tablet e smartphone. A pagare oggi è una minoranza degli utenti, ma c’è spazio per offrire servizi a pagamento che soddisfino i bisogni di un pubblico esigente. * La pubblicità è mobile La pubblicità sui dispositivi mobili (+130% nell’ultimo anno) non comporta solo il fastidio della visualizzazione, ma anche lo spreco di banda che, mentre su pc in genere è compresa nella tariffa flat dell’adsl, su mobile è limitata e si paga. Come liberarsene? Per iOS esistono alcune app, come AdBlock for iOS e AdBlockWeb, che in realtà sono programmi per navigare. Per evitare le pubblicità si deve quindi rinunciare a usare il proprio browser preferito, il che può comportare una perdita di funzionalità. Dal Google Play Store sono state epurate le app che consentivano di eliminare la pubblicità, perché violavano il regolamento imposto da Google agli sviluppatori: non si possono togliere introiti preziosi al padrone di Android. È possibile acquistarne qualcuna su internet, per esempio AdAway, ma per usarle occorre effettuare il root, operazione che consente di eseguire applicazioni che altrimenti non funzionerebbero con il sistema operativo. Non per tutti. Uno tra i massimi esperti italiani di internet, ora deputato per Scelta Civica, spiega i punti critici dell’economia del “gratis”, e come l’Europa può scioglierne alcuni. HT I big come Google tolgono potenziali quote di mercato a chi non può permettersi di dare i propri prodotti gratis? Una posizione dominante in un settore è usata per conquistare settori adiacenti, sovvenzionandoli con i ricavi fatti altrove. Questo costituisce una barriera all’accesso per gli altri. Google fa soldi con le pubblicità messe a corredo dei risultati di ricerca. Ma la ricerca a Google non basta per tenerci dentro al suo mondo: deve creare servizi che abbiamo voglia di utilizzare: ed ecco arrivare Google Docs e Google Drive. Dato che il problema dell’interoperabilità di questi servizi è enorme, l’utente tende a restare con chi ha cominciato. HT Questo ostacola la concorrenza. Si è lavorato per stimolare la concorrenza tra operatori di telecomunicazione: la portabilità del numero per i cellulari è stata voluta dalla politica per facilitare la mobilità degli utenti e l’industria si è dotata di sistemi per consentirlo. Molti modelli di business su internet si basano proprio sul contrario, cioè su effetto rete e lock-in. Una volta che hai scelto me (anche perché sono gratis), non te ne vai perché non trovi un servizio alternativo davvero compatibile. Manca l’interoperabilità tra sistemi e il cliente non è libero di cambiare. A mettere ordine in questo settore ancora senza regole potrebbe pensarci l’Europa. Per ora non è nemmeno all’orizzonte, ma ci si penserà. HT Esiste un problema di privacy? Cosa rischiamo? La corretta gestione dei propri dati personali si impara: occorre educare la collettività. In fondo abbiamo 10 mila anni di storia e le prime connessioni adsl risalgono appena al 2001: siamo in un momento di transizione, ma andando avanti un equilibrio si troverà. Sono più preoccupato dall’uso massiccio dell’elettronica per rilevazioni fatte a nostra insaputa; le tecniche per il riconoscimento dei volti sono mature, quindi in futuro l’uso massiccio di telecamere di sorveglianza potrebbe avere un impatto su tutti noi. HT Intere industrie sono state penalizzate dal gratis, per esempio i quotidiani. Torneremo mai a pagare per questi contenuti? Tecnologia e network sociali in larga misura prendono il posto delle funzioni di selezione e aggregazione che prima erano proprie dell’editore. I ricavi dei giornali sono destinati a scemare e la distribuzione fisica a ridursi. Vi sono ovviamente alcune eccezioni, per esempio l’informazione specializzata utile per il lavoro, che il lettore è ancora disposto a pagare. L’evoluzione dei differenti dispositivi porterà a contenuti molto brevi, più simili a pillole, e contenuti più lunghi, più simili a saggi. È prevedibile, quindi, che ci sarà una polarizzazione maggiore tra persone informate molto superficialmente e persone informate in modo più approfondito. N° 42 MARZO 2014 27