Appunti di Anatomia Patologica Canale B A cura di: G. Mazzanti C.A. Mazzoli 1 NOTA: Gli appunti presenti in questo documento sono relativi al programma di Anatomia Patologica del canale B. Non tutti gli argomenti trattati corrispondono a lezioni svolte dai Docenti, per questo motivo alcuni argomenti non sono altro che la schematizzazione ottenuta dalla lettura e dalla successiva rielaborazione di più testi trattanti la materia tra cui, soprattutto, il testo consigliato per la preparazione dell’esame (Robbins- Le basi patologiche delle malattie). Questo non significa in nessuna maniera che questo documento si prefigge di sostituire il testo consigliato!. A causa della continua evoluzione della materia, dell’aggiornamento dei testi consigliati e degli argomenti trattati a lezione si consiglia di utilizzare questi appunti come un supporto allo studio della materia e non come unico punto di riferimento nella preparazione dell’esame. Buona Lettura. 2 Cardiopatia ischemica (Prof. XXX) Termine generico utilizzato per indicare una serie di sindromi derivanti da un’ischemia miocardica. Con il nome ischemia non si considera solamente l’insufficienza di ossigeno, cioè l’ipossiemia, ma anche una ridotta disponibilità di substrati nutritivi ed un’indeguata rimozione di metaboliti. Dunque con il nome ischemia si considera la riduzione della perfusione rispetto alle richieste nutritive del miocardio medesimo. Le cardiopatie ischemiche sono la prima causa di morte nei paesi evoluti, costituendo la causa di 1/3 dei decessi. Le manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica possono essere divise in quattro sindromi - angina pectoris: l’ischemia non è in grado di provocare la necrosi del muscolo cardiaco - infarto miocardico: la durata e la gravità dell’ischemia sono in grado di provocare la morte del muscolo cardiaco - cardiopatia ischemica cronica - morte cardiaca improvvisa Di queste l’infarto miocardico acuto, l’angina pectoris di tipo instabile e la morte cardiaca improvvisa sono dette sindromi coronariche acute. CAUSE DELLE CARDIOPATIE ISCHEMICHE Aterosclerosi delle coronarie La principale causa delle cardiopatie ischemiche è la riduzione del flusso ematico coronarico dovuta ad aterosclerosi arteriosa coronarica. L’aterosclerosi, venendo ad essere un ostruzione al flusso sanguigno, costituisce di per sé una causa di ischemia miocardica, che però nelle fasi iniziali è generalmente compensata da meccanismi fisiologici. Il passaggio ad un processo non più compensato e dunque evidente clinicamente, può avvenire attraverso diversi meccanismi. • Restringimento aterosclerotico fisso di dimensioni tali da provocare stenosi permanente delle arterie coronariche (più del 75% del lume ostruito). • Modificazioni acute della morfologia della placca, che passa da una condizione di stabilità ad una di instabilità. La placca può andare incontro a: a) emorragia interna dell’ateroma: conseguente crescita di dimensioni della placca che può dunque provocare stenosi permanente erosione/ulcerazione della placca: vengono esposti i componenti della mbr basale endoteliale con conseguente 3 attivazione di un processo di cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione di un trombo. b) Fissurazione: emorragie che espongono le strutture connettivali dell’endotelio, con conseguente cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione del trombo. c) Rottura: esposizione delle strutture connettivali dell’endotelio, con conseguente cicatrizzazione ed aumento delle probabilità di formazione del trombo. Dunque queste modificazioni acute della morfologia della placca si traducono in tutti i casi in un processo trombotico che comporta ostruzione del lume e dunque stenosi coronarica. La trombosi intraluminale che sovrasta la placca aterosclerotica rotta o ulcerata può dare anche esiti di embolizzazione del trombo. • aggregazione piastrinica • vasospasmo Normalmente questi quattro meccanismi interagiscono fra loro e concorrono reciprocamente a causare un processo aterosclerotico. Processo infiammatorio persistente Un processo infiammatorio persistente e dunque cronico comporta una lesione endoteliale a cui deve conseguire un processo continuo di riparazione. Secondo una moderna teoria la lesione infiammatoria vedrebbe riparazione attraverso la migrazione delle cellule muscolari lisce dello strato subendoteliale verso gli strati superficiali dell’endotelio. Queste cellule mimano le normali cellule muscolari, ma si differenziano in modo tale da avere nel citoplasma una minore quota contrattile ed una maggiore possibilità di sintesi del connettivo e del collagene. Sono denominate miofibroblasti: una volta giunte negli strati superficiali riparano la lesione producendo grandi quantità di collagene di tipo I che è più fibroso del normale collagene di tipo III prodotto dai fibroblasti e normalmente presente a livello endoteliale. La secrezione di collagene di tipo III si traduce dunque in un processo di fibrosi cronica che comporta sclerosi della parete del vaso: la maggiore quantità di collagene fibroso porta infatti ad una diminuzione dell’elasticità della parete vasale. Nel momento di insorge di una contrazione muscolare della parete vasale, dunque di un vasospasmo, la perdita di elasticità provoca un ritorno elastico più lento della parete vasale e dunque uno stato di costrizione più prolungato. Oltre a queste cause primarie di cardiopatia ischemica vi sono condizioni che concorrono ad aumentare l’ischemia: - aumento della richiesta energetica cardiaca (ipertrofia, esercizio fisico, emozioni, stress) 4 - diminuzione della disponibilità di sangue ed ossigeno, per diminuzione della pressione arteriosa sistemica (shock) - ipossia - aumento della frequenza cardiaca che: • aumenta la richiesta energetica cardiaca (maggior numero di contrazioni al minuto) • riduce l’apporto di sangue (diminuzione della durata relativa della diastole) Restringimento aterosclerotico fisso La placca aterosclerotica può provocare progressiva ostruzione del lume che porta a stenosi. Le occlusioni che si sviluppano lentamente nel tempo possono stimolare lo sviluppo di circoli collaterali che proteggono dall’ischemia miocardica distale. L’aterosclerosi coinvolge spesso tutti e tre i rami principali coronarici: discendente anteriore sinistra, circonflessa sinistra, coronarica destra. Talvolta sono anche interessate le principali diramazioni epicardiche secondarie.. Non vi è solitamente aterosclerosid ei rami intramurali. Lesione ostruttiva del 75% o maggiore: ischemia sintomatica indotta dallo sforzo. L’aumento del flusso coronarico fornito da meccanismi di vasodilatazione compensatoria non è sufficiente a fronteggiare anche modesti aumenti di richiesta del miocardio Lesione ostruttiva del 90%: ischemia sintomatica anche a riposo. Modificazioni acute della placca Le modificazioni acute della placca sono l’evento scatenante di quasi tutte le sindromi coronariche acute. La placca, precedentemente stabile, diviene una lesione aterotrombosica potenzialmente pericolosa per la vita a causa di: - emorragia intramurale - erosione superficiale - ulcerazione - fissurazione - rottura della placca aterosclerotica. Stabilità della placca: Le placche che: - contengono grandi quantità di necrosi, di cellule schiumose e lipidi extracellulari nel loro nucleo centrale - sono provviste di un cappuccio fibroso molto sottile o con poche cellule muscolari liscie 5 - presentano ammassi di cellule infiammatorie nel nucleo centrale sono più predisposte alla rottura e dunque sono dette placche vulnerabili. Influenze intrinseche sulla stabilità della placca: Infiammazione: la formazione di una placca aterosclerotica richiede comunque la presenza di un lesione iniziale o comunque un’alterazione dell’endotelio che provoca aumento della sua permeabilità, aumento dell’espressione di molecole di adesione endoteliale, che facilitano l’interazione con cellule dell’infiammazione circolanti, aumento del rilascio di chemochine. Di conseguenza nel momento di creazione della placca aterosclerotica, si ha: • - Interazione cellule endoteliali-leucociti circolanti. • - Accumulo di cellule T e macrofagi nella parete dell’arteria • - Fagocitosi di lipidi da parte dei macrofagi e trasformazione in cellule schiumose • - Danno tissutale mediato da fattori rilasciati dalle cellule infiammatorie e comparsa di aree di necrosi. Il cappuccio fibroso della placca si forma ad opera dei miofibroblasti, migrati nell’intima endoteliale dallo strato muscolare liscio dell’endotelio stesso. Esso è il principae responsabile della stabilità della placca. Il cappuccio fibroso è però in continuo rimodellamento: è continuamente prodotto dalle cellule muscolari lisce e degradato ad opera di metallo proteasi secrete dai macrofagi. Una destabilizzazione della placca può facilitare il rilascio di metallo proteasi ad opera dei macrofagi e di conseguenza spostare l’equilibrio verso la distruzione del cappuccio fibroso medesimo facilitando ulteriormente la rottura della placca. Inoltre la presenza di forte infiammazione provoca aumento delle aree necrotiche nel nucleo centrale della placca, ceh dunque diviene meno consistente e più fragile agli stimoli meccanici. Un’infiammazione persistente provoca infine fibrosi e dunque sclerosi della placca, con tardivo rilasciamento successivamente ad un vasospasmo. Influenze estrinseche sulla stabilità della placca Statine Le statine sono farmaci con effetto ipolipemizzante e anti-infiammatorio. Per queste due caratteristiche contribuiscono a stabilizzare la placca Stimolazione adrenergica Può aumentare lo stress meccanico sulla placca attraverso vasospasmo ed induzione di ipertensione. 6 Trombosi L’effetto delle modificazioni acute della placca è in tutti i casi ( tranne emorragia intraluminale) l’esposizione delle componenti interne dell’endotelio, con conseguente esiti cicatriziali trombotici nella maggior parte dei casi. Il trombo che si sovrappone alla placca rotta, prima solo parzialmente stenotica può provocare: - occlusione completa → trombo transmurale - occlusione incompleta → trombo murale che può anche andare incontro ad aumento o riduzioni nel tempo. Il trombo murale può andare incontro ad embolizzazione. Il trombo è inoltre potente attivatore di molti segnali che inducono proliferazione delle cellule muscolari lisce, che possono contribuire alla crescita delle lesioni aterosclerotiche. Aggregazione piastrinica Sempre presente in seguito a ulcerazione, fissurazione o rottura della placca, poiché queste modificazioni comportano la necessità di un processo cicatriziale. Le piastrine attivate producono fattori pro-infiammatori e fattori che inducono vasospasmo, dunque che contribuiscono alla destabilizzazione della placca e ad una sotanziale ischemia cardiaca. Vasospasmo Fattori che stimolano un vasospasmo: - Agonisti adrenergici circolanti - Fattori rilasciati localmente in seguito all’aggregazione piastrinica. - Alterato rapporto nella secrezione endoteliale di fattori vasocostrittori rispetto a quelli vasodilatanti, dovuta alle disfunzioni endoteliali associate alla formazione dell’ateroma. - Mediatori rilasciati dalle cellule infiammatorie La vasocostrizione contribuisce al processo ischemico: • riducendo le dimensioni del lume • aumentando le forze meccaniche locali sulla placca e facilitandone la rottura. Angina pectoris Sindrome clinica caratterizzata da attacchi parossistici e recidivanti di dolore toracico retrosternale o precordiale (descritto come oppressivo, costrittivo, soffocante o 7 trafittivo) causati da ischemia miocardica transitoria (15 secondi-15 minuti) che dura troppo poco per indurre necrosi del miocardio. L’angina pectoris si divide in: Angina stabile • è la forma più comune anche detta angina pectoris tipica • è provocata dalla riduzione della perfusione cardiaca ad un livello critico a causa di aterosclerosi coronarica stenosante cronica e fissa • il cuore è vulnerabile a qualsiasi aumentata richiesta energetica • è una forma alleviata dal riposo o dalla nitroglicerina, potente vasodilatatore. Angina variante di Prinzmetal • è una forma rara • è provocata da vasospasmo coronarico e si verifica a riposo • i soggetti affetti possono avere aterosclerosi coronarica ma ciò non è determinante; è dimostrato dal fatto che il dolore non è influenzato da attività fisica, frequenza cardiaca, pressione arteriosa • è alleviata dalla nitroglicerina a cui risponde prontamente Angina instabile o ingravescete • è una forma che presenta frequenza e durata progressivamente crescenti ed è scatenata da sforzi progressivamente minori. • è indotta da rottura della placca a cui si sovrappone trombosi e successiva embolizzazione e/o vasospasmo. • è un’ischemia molto vicina ad indurre infarto acuto di cui spesso rappresenta il prodomo tanto da essere anche definita angina preinfartuale. Infarto miocardico Necrosi di un’area del muscolo cardiaco causata da ischemia locale. Le dimensioni dell’area necrotica perché si possa parlare di infarto devono essere maggiori di 3 cm. Le lesioni minori di 3 cm. infatti non sono necessariamente dovute ad ischemia, ma possono riconoscere altre causa Incidenza e fattori di rischio Si tratta della forma più importante di cardiopatia ischemica essendo da sola la principale causa di morte negli USA e nei paesi industrializzati. I fattori di rischio coincidono con quelli dell’aterosclerosi: ipertensione, diabete mellito, ipercolesterolemia, iperlipoproteinemia, fumo. Il rischio dunque cresce progressivamente con l’età. I maschi sono più colpiti delle femmine, le quali sono protette durante l’età fertile, ma il cui rischio aumenta molto durante la menopausa per il calo dei livelli estrogenici. 8 Interessamento della parete cardiaca Gli infarti miocardici possono suddividersi in: Infarti transmurali: • sono la prevalenza • la necrosi interessa l’intero spessore della parete ventricolare • solitamente l’area necrotica corrisponde al territorio di irrorazione di una singola arteria coronaria • sono correlati all’aterosclerosi coronarica, con rottura della placca e successiva sovrapposizione trombotica. Infarti subendocardici (non transmurali): • sono più rari • l’area di necrosi è limitata al terzo più interno della parete ventricolare • frequentemente l’area necrotica si estende lateralmente rispetto al territorio di irrorazione di un singola coronaria • la regione subendocardica è la prima ad essere colpita da ischemia perché sviluppa meno facilmente circoli collaterali e perché durante la sistole si ha compressione delle strutture vascolari al suo interno con conseguente riduzione della perfusione • le cause che possono determinare infarto subendocardico sono: - rottura della placca aterosclerotica e formazione di un trombo che va però incontro a lisi prima che la necrosi si sia estesa a tutto lo spessore della parete ventricolare. - stato ipotensivo importante e prolungato (shock) che causa ridotta perfusione complessiva ed un infarto subendocardico tendenzialmente circonferenziale Eziologia Le cause dell’infarto sono paincipalmente: occlusione delle coronarie (85%) tromboembolia (10%) vasospasmo (5%) inspiegati Occlusione delle coronarie - Formazione della placca aterosclerotica. Modificazione acuta della placca che implica esposizione del collagene subendoteliale e del suo contenuto interno. Adesione delle piastrine, con formazione di un monostrato e loro attivazione con rilascio di potenti fattori aggreganti (TXA2). Aggregazione piastrinica con rilascio di mediatori che inducono: - vasospasmo: riduzione del lume endoteliale - attivazione della via estrinseca della coagulazione: cicatrizzazione 9 - e formazione del trombo. In pochi minuti il trombo diviene occludente. Tromboembolia Per rottura di un frammento del trombo e formazione di un embolo Vasospasmo Isolato, intenso, relativamente prolungato, può essere in associazione o meno con aterosclerosi coronarica. Spesso associato all’uso di cocaina ed a fattori rilasciati dall’aggregazione piastrinica. Inspiegati Sono infarti senza riscontro di aterosclerosi o trombosi, che possono essere causati per esempio da malattie dei piccoli vasi coronarici intramurali. Localizzazione del danno ischemico Frequenza delle stenosi critiche e trombosi di ognuno dei tre tronchi coronarici principali e corrispondenti aree di necrosi miocardica: - coronaria discendente anteriore sinistra (40-50%): parete anteriore del ventricolo sx ed apice; porzione anteriore del setto interventricolare. Coronaria destra (30-40%): parete inferiore/posteriore del ventricolo sx (base); porzione posteriore del setto interventricolare Coronaria circonflessa sinistra (15-20%) parete laterale del ventricolo sx, senza apice. Risposta del miocardio Generale L’occlusione di un’arteria coronarica principale determina ischemia e potenzialmente necrosi nell’area interessata dalla sua irrorazione. Le lesioni ischemiche hanno inizio a livello subendocardico e mano a mano la necrosi avanza come un fronte d’onda coinvolgendo progressivamente uno spessore più ampio. 10 Approssimativamente la risposta del miocardio può essere così schematizzata: tempo secondi < 2 minuti 10 minuti 40 minuti 20-40 minuti > 1 ora Modificazioni chiave Cessazione della glicolisi aerobia Innesco della glicolisi anaerobia, con mancata produzione di ATP ed accumulo di prodotti tossici, come l’acido lattico. Perdita di contrattilità del miocardio, che a volte può provocare comparsa di insufficienza cardiaca acuta prima dell’insorgenza della ncrosi miocardica Diminuzione dell’ATP fino al 50% del normale Alterazioni ultrastrutturali del danno reversibile (deplezione di glicogeno, rigonfiamneto cellulare e mitocondriale…) Diminuzione dell’ATP fino al 10% del normale Alterazioni ultrastrutturali del danno reversibile (deplezione di glicogeno, rigonfiamneto cellulare e mitocondriale…) Comparsa di danno cellulare irreversibile (principalmente difetti strutturali del sarcolemma) Necrosi coagulativa dei miociti (in minore misura anche apoptosi Danno microvascolare Dunque in sintesi si ha che ¾ La necrosi coagulativa con morte dei miociti si verifica dopo 30 minuti dall’inizio dell’infarto. ¾ L’infarto miocardico che presenta una necrosi estesa, si verifica in seguito ad un’ischemia severa prolungata, per almeno 2-4 ore. ¾ La necrosi porta a perdita permanente della funzionalità della regione interessata. In alcuni casi questa perdita di funzionalità si può accompaganare anche a presenza di aritmie. In studi sperimentali in 6 ore si ha la necrosi dell’intera regione irrorata dall’arteria coronarica occlusa. In alcuni pazienti invece la necrosi completa insorge in tempi molto più lunghi (10-12 ore o più), perché la presenzadi stenosi parziale ed aterosclerosi ha indotto lo sviluppo di circoli collaterali. Modificazioni macroscopiche Le modificazioni macroscopiche dovute a infarto miocardico sono così schematizzabili: tempo 1-4 ore 4-12 ore 12-24 ore Modificazioni macroscopiche Nulla Occasionalmente si ha marmorizzazione scura: comparsa sui prelievi fissati di chiazza rosso-bluastre, dovute alla presenza di sangue stagnante o intrappolato Evidente marmorizzazione scura. Presenza di aree anemiche, pallide del mocardio 11 1-3 giorni 3-7 giorni 7-21 giorni 2-8 settimane > 2 mesi Comparsa di aree centrali di rammollimento necrotico, giallo-brunastre Estensione delle aree centrali di rammollimento necrotico, giallobrunastro Comparsa di un bordo iperemico rosso, che delimita la zona necrotica, costituito da abbondante tessuto di granulazione molto vascolarizzato. Questo è un momento pericoloso in quanto l’area necrotica richiama abbondante infiltrato infiammatorio. Una situazione di infiammazione si accompagna dunque ad un rammollimento della struttura ed alla mancanza di strutture resistenti. Qui si rischia la rottura. Massima estensione dell’area necrotica giallo-bruna delimitata da bordi iperemici depressi soffici colore rosso scuro Cicatrice grigio-biancastra che progredisce dalla periferia verso il centro dell’infarto. All’infiammazione segue dunque la riparazione in quanto non vi è la possibilità di sostituire i miociti, che sono cellule perenni Cicatrice completa Una volta guarita la lesione non è più databile. Modificazioni al microscopio ottico Le modificazioni microscopiche visibili al microscopio ottico sono così schematizzabili: tempo 1-4 ore 4-12 ore 12-24 ore 1-3 giorni 3-7 giorni 7-21 giorni Modificazioni microscopiche (m.o.) Comparsa ai margini di fibrocellule ondulate, per l’effetto delle fibre vive hanno sulle fibre morte. Le fibre morte non sono contrattili. Le fibre vitali adiacenti alle fibre morte, stirano le stesse nella sistole producendo effetto ondulato. Miocitolisi: degenerazione vacuolare reversibile, con comparsa di vacuoli entro le cellule. È più frequente nella zona di miociti vitali subendocardici Necrosi coagulativa iniziale evidente, con comparsa delle prime alterazioni della colorazione Estensione necrosi coagulativa ( nuclei picnotici e citoplasma eosinofilo). Comparsa della necrosi a bande di contrazione: le bande di contrazione sono bende trasversali, eosinofile, composte da pacchetti di sarcomeri ipercontratti. Sono probabilmente dovute all’alterazione della permeabilità della membrana che provoca esposizione delle cellule morenti ad elevate concentrazioni di calcio, con conseguente ipercontrazione. Iniziale infiltrato neutrofilo Necrosi coagulativa con perdita dei nuclei e delle striature trasversali. Infiltrato neutrofilo Disintegrazione dei miociti e dei neutrofili morti. Fagocitosi macrofagica delle cellule morte. Formazione di tessuto di granulazione Tessuto di granulazione ben sviluppato con abbondante vascolarizzazione e depositi di collagene 12 2-8 settimane > 2 mesi Aumento dei depositi di collagene con riduzione della cellularità Cicatrice densa collagene Modificazioni l microscopio elettronico Le modificazioni microscopiche visibili al microscopio elettronico sono così schematizzabili: Fase reversibile: perdita di glicogeno, rigonfiamento cellulare e mitocondriale, rilassamento delle miofibrille. Fase iireversibile: rottura del sarcolemma Riperfusione del miocardio La perfusione del tessuto in corso di ischemia cardiaca consente di limitare al massimo il danno prodotto dall’infarto. Tecniche per ripristinare il flusso: ¾ Trombolisi: dissoluzione del trombo per azione della streptochinasi o dell’attivatore tissutale del plasminogeno, che consentono attivazione del sistema fibrinolitico. ¾ Angioplastica con il palloncino (percutaneous transluminal coronary angioplastic o PTCA): consente non solo di eliminare il trombo, ma anche la placca sottostante. ¾ Bypass aorto-coronarico: consente di ristabilire il flusso a valle. Poiché ad un determinato momento dall’inizio dell’infarto non tutto il miocardio è ugualmente ischemico (regione subendoteliale, colpit per prima, avrà ischemia più avanzata etc..) gli esiti della riperfusione varieranno a seconda della rapidità con cui il cuore viene riperfuso ed a seconda della regione miocardica. Riperfusione miocardica entro 15-20 minuti: Prevenzione della necrosi in tutto lo spessore della parete cardiaca. Nelle aree più danneggiate alla riperfusione segue stordimento miocardico o disfunzione ventricolare prolungata post-ischemica. Questo consiste nella persistenza di alterazioni biochimiche e funzionali dei miociti salvati dalla riperfusione che si possono tradurre in uno stato di scompenso cardiaco reversibile. La situazione può essere superata mediante temporanea assistenza cardiologica. 13 Riperfusione miocardica entro 3-6 ore: Salvataggio del tessuto ischemico ma ancora vitale, che però rimane stordito. Le aree necrotiche non sono salvabili e tali rimangono anche dopo riperfusione Riperfusione miocardica dopo 6 ore: Non riduce apprezzabilmente le dimensioni dell’infarto. Può tuttavia avere un effetto benefico limitando l’estensione dell’infarto. Danni causati da riperfusione ¾ Stravaso emorragico dell’infarto incompleto: alcuni vasi colpiti dall’ischemia hanno alterate condizioni di permeabilità ¾ Accelerazione della morte dei miociti già danneggiati ¾ Aumento della necrosi a bande di contrazione nei miociti già danneggiati: per l’eumentata esposizione al calcio dovuta alla maggiore presenza di sangue. ¾ Lesione di una certa quantità di cellule ex-novo, per la maggiore produzione di radicali liberi da parte dell’infiltrato leucocitario trasportato dal sangue: si parla in questo caso di danno da riperfusione. ¾ Riginfiamento endoteliale con occlusione dei capillari ed ostacolo alla riperusione medesima (miocardio non perfuso, no-reflow. Diagnosi La diagnosi si fa in base a tre parametri: Caratteristiche cliniche ECG Esami di laboratorio Caratteristiche cliniche Quelle tipiche di ogni infarto sono: - polso debole e rapido - profusa sudorazione - dispnea ECG Comparsa di nuove onde Q Esami di laboratorio 14 Misurazione dei livelli plasmatici di alcune macromolecole plasmatiche che fuoriescono dalle cellule danneggiate dall’ischemia. In partcolare si utilizzano: TroponinaI e troponinaT Sono i marker di danno cardiaco più utilizzati in quanto altamente sensibili (non sono normalmente dosabili in circolo) e specifici (sono assolutamente cardio-specifici). Dopo infarto miocardico i loro livelli aumentano entro 2-4 ore raggiungendo il picco in 24-48 ore. I livelli rimangono elevati nei 7-10 giorni dopo l’evento acuto. Frazione MB della creatina chinasi Questo isoenzima è presente nel miocardio, ma anche in quantità variabili nel muscolo scheletrico. Il suo dosaggio dunque è sensibile, ma non specifico (i livelli di CK-MB sono elevati alche in condizioni di lesione del muscolo scheletrico). Dopo infarto miocardico i loro livelli aumentano entro 2-4 ore raggiungendo il picco in 24 ore. I livelli tornano normali dopo circa 72 ore. In assenza di aumento dei livelli sierici delle CK-MB nei primi due giorni di dolore toracico e delle troponine nei giorni seguenti si può escludere la diagnosi di infarto. Conseguenze e complicanze dell’infarto Disfunzione contrattile: alterazioni della funzionalità ventricolare sx proporzionali alle dimensioni della necrosi. Si può giungere a scompenso cardiaco sx (ipotensione, congestione ed edema polmonare) o addirittura nel 10% dei casi ad una grave insufficienza di pompa, generalmente associata ad infarti di grandi dimensioni. Aritmie: disturbi della conduzione o dell’eccitabilità miocardica dovuti a squilibri elettrolitici, all’uso di farmaci o all’aumento della tensione del muscolo cardiaco. Le aritmie possono tradursi in fibrillazione Rottura del miocardio: avviene generalmente a 3-7 giorni dall’inizio dell’infarto, quando si ha necrosi ed infiammazione che rammoliscono il tessuto e non si ha alcun processo riparativo completo. Può avvenire: nella parete libera del ventricolo: si ha emopericardio (versamento di sangue nello spazio compreso fra pericardio e muscolo, spesso fatale). nel setto interventricolare: shunt sx-dx. nel muscolo papillare: insufficienza mitralica acuta, di grado severo a cui fanno seguito rigurgiti. Pericardite: negli infarti transmurali dopo 2-3 giorni sviluppo di una pericardite che costituisce l’epifenomeno della infiammazione evocata dal sottostante infarto miocardico. Estensione dell’infarto: nuove necrosi nelle aree adiacenti a quelle del precedente infarto che infine confluiscono. Re-infarto: dovuto ad una situazione di eccitabilità e di conduzione elettrica alterata. Trombosi murale: la combinazione di anormale contrattilità miocardica regionale che provoca stasi di sangue, con un danno endocardico, che crea una superficie trombogenica porta alla creazione di un trombo murale che può embolizzare. 15 Cardiomiopatia ostruttiva: è una complicanza tardiva che si può verificare se le cicatrici fibrotiche sono molte o molto estese. I miociti cercano di compensare la mancanza di tessuto cardiaco funzionante andando incontro ad ipertrofizzazione, con conseguente diminuzione delle dimensioni delle camere cardiache e possibile ostruzione delle medesime. Insufficienza cardiaca congestizia: è una complicanza tardauva dovuta alla coesistenza di fenomeni fibrotici e di ipertrofia (non ostruttiva), i quali provocano alterazioni del rientro o diminuzione della compliance cardiaca, con conseguente aumento della pressione polmonare ed eventualmente congestione ed edema polmonare. Aneurisma ventricolare: dilatazione patologica circoscritta a carico della parete del ventricolo, delimitata da miocardio cicatrizzato. Può realizzarsi in due modi: • protrusione della parete ventricolare in corrispondenza dell’area dell’infarto→ l’aneurisma produce irregolarità del profilo della parete e può essere occupato da un trombo murale. • Mancanza di protrusione e dunque di irregolarità del profilo della parete, che rimane abbastanza omogenea. Presenza però di fibroblastosi e dunque inspessimento della parete senza trombosi murale associata. Cardiopatia ischemica cronica È la condizione dei pazienti, prevalentemente anziani, che sviluppano insufficienza cardiaca progressiva, come conseguenza di danno miocardico da ischemia severa. Nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti che sono andati incontro a grave infarto pregresso, coinvolgente tutte le branche principali delle coronarie, con conseguente inadeguato apporto sanguigno e perdita di miociti a livello dell’intero miocardio, fibrosi cicatriziale diffusa e diminuzione progressiva ed omogenea della compliance cardiaca. La reazione post-infartuale del cuore è dunque quella di tentare un ipertrofia compensatoria. L’esaurimento funzionale dell’ipertrofia compensatoria comporta scompenso cardiaco, conseguente cardiomiopatia dilatativa e dunque infine insufficienza cardiaca. Il cuore di questi pazienti infatti si presenta sempre ingrossato e pesante (ipertrofia) ed enormemente aumentato di dimensioni (dilatazione). C’è sempre aterosclerosi stenosante grave, associata alle maggiori richieste energetiche del cuore ipertrofico. Solitamente sono presenti le cicatrici dei pregressi infarti. Morte cardiaca improvvisa Si tratta della morte inattesa per cause cardiache, che si verifica immediatamente dopo la comparsa dei sintomi (entro 1 ora) o anche senza l’insorgenza degli stessi. Cause Principalmente è dovuta ad un ischemia cardiaca cronica che comporta come complicanza la comparsa di aritmie letali, come asistolia o fibrillazione ventricolare. 16 La prognosi di questi pazienti è migliorata dall’impianto di un defibrillatore elettrico. Altre cause che si fanno via via più frequenti con il decrescere dell’età possono essere: - malattie delle coronarie (malformazioni congenite, vasculiti, embolia…) - stenosi valvolare aortica - alterazioni ereditarie o acquisite del sistema di conduzione - altre malattie specifiche del miocardio (miocarditi, cardiomiopatie ipertrofiche o dilatative) - malattie valvolari (insufficienza valvolare, prolasso della mitrale) - ipertensione polmonare 17 Valvulopatie Sono le patologie a carico delle valvole cardiache. Possono determinare: - stenosi: impossibilità della valvola di aprirsi completamente, ostacolando il flusso anterogrado. - Insufficienza: incapacità della valvola di chiudersi completamente determinando flusso retrogrado. Le anomalie delle valvole cardiache possono essere: - pure: se è presente solamente la stenosi o l’insufficienza - miste: se insufficienza e stenosi coesistono nella medesima valvola, con prevalenza eventuale di uno dei due difetti sull’altro. La patologia può essere: - isolata: se viene colpita una sola valvola - combinata: se siano colpite più valvole contemporaneamente (compromissione plurivalvolare). La patologia può essere dovuta a : - anomalia primitiva delle valvole: quasi sempre nella stenosi - anomalia delle strutture di sostegno senza correlata anomalia delle valvole: può succedere nell’insufficienza cardiaca. Il flusso retrogrado infatti può essere causato anche da • Dilatazione della camera ventricolare con spostamento associato dei muscoli papillari verso il basso e verso l’esterno, impedendo l’accollamento dei lembi valvolari→ insufficienza atrio-ventricolare • Dilatazione dell’aorta o dell’arteria polmonare con conseguente allontanamento delle commessure valvolari→ insufficienza aortica o polmonare • Alterazioni nelle corde tendinee e nei muscoli papillari. • …… La patologia può essere: - congenita - acquisita Le alterazioni del flusso sono speso riscontrabili per la produzione di rumori cardiaci detti soffi. Le più frequenti valvulopatie in assoluto sono: - stenosi acquisita della valvola aortica: per calcificazione di una valvola aortica normale o congenitamente bicuspide - insufficienza aortica: per diltazione dell’aorta ascendente conseguente all’ipertensione arteriosa ed all’età. - Stenosi mitralica: conseguente a malattia reumatica - Insufficienza mitralica: conseguente a degenerazione mixomatosi o prolasso mitralico. 18 Degenerazione valvolare conseguente a calcificazione Le valvole sono sottoposte a notevoli stress meccanici ripetitivi a causa di: - > 40 milioni di cicli cardiaci/ anno - deformazione tissutale meccanica ad ogni ciclo - gradiente presso rio transvalvolare presente nella fase di chiusura. Le valvole dunque soffrono di danno meccanico cumulativo, che viene ad esplicarsi spesso in una calcificazione senile. Stenosi aortica calcifica Stenosi aortica acquisita conseguente al processo di “usura e lacerazione” progressivo e conseguente l’invecchiamento, con conseguente calcificazione della valvola aortica. La valvola aortica interessata da stenosi calcifica può essere: - Normale: nella maggior parte dei casi. La stenosi aortica diviene evidente intorno ai 70-80 anni. - Congenitamente bicuspide: • presente nell’1,4% dei nati vivi. • Formata solamente da 2 cuspidi, solitamente asimmetriche; la cuspide di dimensioni > presenta spesso un rafe mediano, residuo dell’incompleta separazione delle cuspidi durante lo sviluppo. • Il rafe rappresenta la sede più frequente di calcificazioni e predispone la valvola congenitamente bicuspide ad una calcificazione più precoce, che si manifesta dunque intorno ai 60-70 anni. • Necessaria differenziazione con le valvole bicuspidi acquisite (divengono bicuspidi in seguito a lesioni infiammatorie, a cui segue la fusione cicatriziale), che presentano una cuspide di dimensioni dopie rispetto all’altra, con commessura fusa nel suo centro. Morfologia Presenza di masserelle calcifichi soprattutto alla base delle cuspidi, con protrusione all’interno dei Seni di Valsala, impedendo così l’apertura delle cuspidi. Perché si parli di stenosi aortica l’area valvolare funzionale si deve ridurre al punto di costituire evidente ostacolo all’efflusso, con progressivo sovraccarico del ventricolo sx. Diagnosi differenziale con la stenosi aortica conseguente al malattia reumatica rispetto alla quale la stenosi calcifica senile vede: - mancanza di fusione delle commessure - assenza di anomalie strutturali a carico della mitrale. 19 Clinica i. ii. iii. Ostacolo all’efflusso del ventricolo sx. Sovraccarico presso rio del ventricolo sx. Sviluppo compensatorio di ipertrofia concentrica per mantenere costante la gittata cardiaca. Ipertrofia che predispone il miocardio all’ischemia → angina pectoris e deficit miocardio. Insufficienza cardiaca cronica. Scompenso cardiaco. iv. v. vi. In questo caso la presenza o l’assenza di una sintomatologia evidente è un fattore predittivo fondamentale della prognosi: - - presenza di sintomatologia evidente: l’inizio della presentazione dei sintomi preannuncia l’esaurimento delle capacià compensatorie del cuore. Prognosi sfavorevole, a meno di non intervenire chirurgicamente mediante sostituzione valvolare. Assenza di sintomatologia evidente: prognosi favorevole. Calcificazione anulus mitralico Depositi calcifici degenerativi nell’anello fibroso della valvola mitrale. Più comune: - nelle donne, di età > 60 anni - nei pazienti con prolasso mitralico (degenerazione mixomatosa) - nei pz con elevata pressione interventricolare sx. Morfologia: noduli di 2-5 mm. irregolari, duri, localizzati dietro ai lembi valvolari. In genere non compromette la funzione valvolare. Raramente provoca: - stenosi: riduzione dell’aperture dei lembi - reflusso retrogrado: interferenza con la contrazione sistolica dell’anello valvolare - aritmie - morte improvvisa: molto rara, solo se i depositi di calcio sono così profondi da ledere il sistema di conduzione atrio-ventricolare. I pz con calcificazione dell’anello mitralico sono a maggiore rischio di: - ictus: i noduli calcifici sono sede di apposizione trombotica con possibilità di embolizzazione - endocardite infettiva 20 Degenerazione mixomatosa (prolasso) della valvola mitrale Processo patologico molto diffuso che è denominato: - prolasso mitralico: punto di vista clinico - degenerazione mixomatosi: punto di vista anatomo-patologico. È caratterizzato dal fatto che uno o entrambi i lembi mitralici sono di consistenza molle (“floppy”) e prolassano, sporgendo come un palloncino nell’atrio sx, durante la sistole ventricolare.- Morfologia Caratteristiche primarie: lembi colpiti che si presentano slargati, ridondanti ( a cappuccio), ispessiti. Corde tendinee allungata, assottigliate, occasionalmente si rompono. Anello valvolare allargato Non vi è fusione delle commessure (caratteristica della valvulopatia conseguente a malattia reumatica) Caratteristiche secondarie: - ispessimento fibroso dei lembi valvolari, soprattutto nei punti di sfregamento ed attrito reciproco - ispessimento fibroso dell’endocardio a livello del ventricolo sx, dove schioccano le corde tendinee enormemente allungate - ispessimento fibroso dell’endocardio a livello dell’atrio sx, per lo sfregamento dei lembi che prolassano - formazione di trombi nella spf atriale dei trombi - Eziologia Associata a: - disturbi ereditari del tessuto connettivo - alterazione primitiva emodinamica, cellulare o metabolica che induce danneggiamento e/o rimodellamento del tessuto valvolare mitralico Clinica La maggior parte dei pz si presenta asintomatica. A volte insufficienza mitralica: • auscultabile come soffio sistolico telesistolico • sintomatologia: dispnea, dolore simil-anginoso, affaticabilità, sintomi psichiatrici Nel 3% dei casi si sviluppa una di queste complicanze gravi • Aritmie • Ictus: per embolizzazione aprtire dai trombi valvolari • Endocardite infettiva • Insufficienza mitralica grave, chirurgica: ad inizio lento: deformazione delle cuspidi, dilatazione dell’anello, allungamento delle corde ad esordio improvviso e brusco: rottura delle corde 21 Febbre reumatica e cardiopatia reumatica La febbre reumatica è una malattia infiammatoria acuta, immunomediata, multiorgano, che segue di alcune settiamne un episodio di faringite da streptococco di gruppo A. Si manifesta generalmente nei bambini tra i 5 ed i 15 anni, con un 20% degli episodi che si verifica in età adulta. Clinica È una malattia che colpisce molti organi e che dunque è caratterizzata da molti elementi. Manifestazioni maggiori (sintomatologia specifica): - poliartrite migrante delle grandi articolazioni: una grande articolazione dopo l’altra diviene dolorante e gonfia per alcuni giorni, per poi guarire spontaneamente senza limitazioni funzionali residue. - Cardite acuta: infiammazione acuta che colpisce pericardio, miocardio ed endocardio, da cui la comune denominazione di pancardite. Caratterizzata da sfregamenti pericardici., rumori cardiaci deboli, aritmie. In alcuni casi la miocardite acuta può essere causa di dilatazione cardiaca, che può evolvere in scompenso cardiaco. - Noduli sottocutanei - Eritema migrante della cute - Corea di Sydenham: anche detto Ballo di S. Vito, è un disordine neurologico caratterizzato da movimenti involontari, rapidi e non finalizzati. Manifestazioni minori (sintomatologia non specifica): - febbre - artralgia - livelli plasmatici elevati, per quanto riguarda le proteine della fase acuta. La febbre reumatica acuta, si sviluppa pincpalmente dopo 10 giorni, 6 settimane, dopo l’episodio di faringite acuta da streptococco di tipo A. Si ritiene che essa sia una reazione di ipersensibilità indotta dagli streptococchi di tipo A. Gli anticorpi diretti contro la proteia M streptococcica, cross-reagiscono con anitigeni self del cuore, delle articolazioni e degli altri tessuti. Si tratterebbe dunque di una reazione auto-immune. Dopo il primo episodio acuto la vulnerabilità dell’organismo alla riattivazione della malattia è notevolmente aumentata e si verificano episodi ricorrenti. Nel corso di questi episodi si può avere una progressione da una cardite reumatica acuta ad un quadro di cardiopatia reumatica cronica. Questo è generalmente asintomatcio, pur provocando valvulopatia fibrosa deformante, che provoca in particolare stenosi mitralica, che può comportare a distanza di decenni problemi cardiaci severi e talora fatali. Diagnosi Si basa sui criteri di Jones: 22 Storia di una precedente infezione da streptococchi di gruppo A associata a 2 manifestazioni maggiori o 1 manifestazione maggiore + 2 manifestazioni minori. Morfologia Cardite reumatica acuta: Presenza a livello di endocardio, miocardio e pericardio (pancardite) di un quadro infiammatorio acuto. Le lesioni infiammatorie hanno morfologia caratteristica e vengono dunque denominate corpi di Aschoff. I corpi di Aschoff sono lesioni granulomatose, caratterizzate da focolai di collageno, circondati da linfociti T, rare plasmacellule e macrofagi gonfi, patognomici di FR (cellule di Anitschow), che talora divengono multinucleati diventando le cosiddette cellule giganti di Aschoff. Nel pericardio→ essudato fibrinoso o siero-fibrinoso (pericardite a “pane e burro”) che generalmente si risove senza organizzazione e senza sequele. Nel miocardio→ abbondanzadi corpi di Aschoff, soprattutto nel connettivo interstiziale perivascolare. Nell’endocardio→ lesioni subendocardiche nell’atrio sx, continuamente sollecitate dal reflusso che danno luogo ad ispessimenti (placche di MacCallum). Cardiopatia reumatica cronica: Conseguente all’organizzazione dell’essudato fibrinoso, con conseguente fibrosi e deformazione permanente. Caratterizzato da: - lembi valvolari ispessiti e retratti - fusione delle commessure → stenosi a bocca di pesce o ad asola. - accorciamento, inspessimento ed avolte fusione delle corde tendinee. - Cicatrizzazione fibrotica dei corpi di Aschoff. Nel 65% dei casi vi è interessamento della sola valvola mitrale (che è sempre deformata), nel 25% dei casi anche di quella aortica, a volte clinicamente più significativa. Endocardite infettiva Dovuta a colonizzazione o invasione delle valvole cardiache o dell’endocardio parietale da pare di microbi, con formazione di vegetazioni voluminose e friabili, formate da fibrina, cellule infiammatorie e ricche di microbi, spesso associate alla distruzione dei sottostanti tessuti. Le endocarditi sono divise in : 23 Endocarditi acute: • infezione a carattere tumultuoso e distruttivo sostenuta da microrganismi molto virulenti • colpisce generalmente valvole cardiache normali • porta a morte più del 50% dei pz in giorni/settimane nonostante terapia antibiotica o chirurgica. • Determina la formazione di lesioni necrotizzanti e ulcerative, difficili da trattare con gli antibiotici e che dunque richiedono la chirurgia. Un esempio è rappresentato da un erosione a carico del sottostante miocardio, con creazione di una cavità ascessuale (ascesso anulare). Endocardite subacuta: • infezione a decorso insidioso che può essere protratto per settimane o mesi sostenuta da microrganismi meno virulenti • colpisce generalmente cuori già affetti da lesioni, come deformità valvolari • il trattamento con antibiotici è utile e spesso le lesioni guariscono anche spontaneamente • causa minore distruzione valvolare dell’endocardite acuta Eziologia Fattori predisponesti: - diverse alterazioni cardiache: cardiopatia reumatica, prolasso mitrale, stenosi calcifica aortica neutropenia, immunodeficienza diabete mellito abuso di alcolici o di droghe intravenose depositi sterili di fibrina e piastrine che si formano nelle sedi di lesione da urto del flusso Nella maggior parte dei casi nel’eziologia delle endocarditi infettive sono implicati i batteri: 1. Streptococcus aureus: • colpisce valvole danneggiate, così come valvole sane • è responsabile del 10-20% di tutte le endocarditi infettive 2. Streptococcus viridans o Colpisce valvole danneggiate precedentemente (endocardite subacuta principalmente) 3. Batteri del gruppo HACEK (Haemophilus, Actinobacillus, Cardiobacterium, Eikenella, Kingella) • Caratterizzati dall’essere commensali del cavo orale. 4. stafilococchi coagulasi negativi • endocardite su protesi valvolari 24 Clinica Sintomatologia generale: - febbre astenia, perdita di peso, sindrome simil-influenzale soffi: nel 90% dei pz Vegetazioni non infettive Sono caratterizzate dalla assenza di microrganismi a livello delle lesioni valvolari. Endocardite trombotica non batterica (ETNB) Caratterizzata dalla deposizione di piccole (1-5 mm.) masserelle composte da materiale trombotico (fibrina, piastrina ed altre componenti del sangue), singolarmente o a gruppi lungo il margine di chiusura dei lembi delle valvole cardiache. Le vegetazioni dell’ETNB non contengono microrganismi e non sono accompagnate da reazione infiammatoria. Eziologia e patogenesi L’ETNB è spesso associato a trombosi venosa o ad embolie polmonari e questo suggerisce che la sua causa sia uno stato di ipercoagulabilità, come può essere la CID, con conseguente attivazione sistemica della coagulazione anche a livello del cuore. Per questo motivo l’ETNB si riscontra spesso in pz debilitati da: - neoplasie: • adenomi mucinosi: in relazione con l’effetto procoagulante della mucina circolante • leucemia promielocitica acuta stati di sepsi: danneggiamento dell’endotelio→ liberazione fattore tissutale in grandi quantità→ ipercoagulabilità - ustioni estese: danneggiamento dell’endotelio→ liberazione fattore tissutale in grandi quantità→ ipercoagulabilità. - Endocardite in corso di lupus eritematoso sistemico (morbo di Libman-sacks) In corso di LES a volte si verifica una valvolite mitralica e tricuspidalica con piccole vegetazioni sterili, detta endocardite di Libman-Sacks. Morfologia Lesioni singole o multiple di piccole dimensioni (1-4mm.) 25 Lesioni sterili ( no microrganismi) a spf granulosa e di colore rosa Localizzazione: spf ventricolare delle valvole atrioventricolari e corde tendinee. Può essere associata un’intensa valvulite, con necrosi fibrinoide del tessuto valvolare adiacente le vegetazioni. Diagnosi differenziale con endocardite infettiva ed endocardite trombotica non batterica. Talora gli esiti cicatriziali e la deformazione valvolare possono creare un problema di diagnostica differenziale con la cardiopatia reumatica cronica. Eziologia Di tipo autoimmunitario. Complicanze delle valvole artificiali Tipi di protesi 1. protesi meccaniche: sono composte da biomateriali non fisiologici, come palline ingabbiate in un anello, dischi inclinabili, lembi semicircolari incardinati nell’anello valvolare. Utilizzano sistemi di chiusura rigidi e mobili. 2. bioprotesi: lembi valvolari animali trattati chimicamente ( valvola aortica porcina, conservata in soluzione diluita di gliceraldeide e poi montata su supporto meccanico. Complicanze Sviluppate dal 60% di portatori di protesi entro 10 anni daal’intervento sostitutivo. i. Complicanze troboembolitiche: ostruzione trombotica della valvola o tromboembolizzazione a distanza problema principale delle valvole meccaniche necessitano di terapia anticoagulante a lungo termine che a sua volta può creare problemi emorragici. ii. Endocardite infettiva: complicanza infrequente ma grave infezione a livello dell’interfaccia protesi-tessuto, con formazione di ascessi anulari ed eventuale perforazione della valvola con reflusso di sangue. A volte vegetazioni anche sulle cuspidi proteiche. Provocata principalmente da stafilococchi della cute (S. aureus, S. epidermidis), streptococchi, funghi. iii. Deterioramento strutturale: principale causa di fallimento della bioprotesi: calcificazioni o rottura responsabili di rigurgito. Raramente nelle protesi meccaniche 26 Malattie primitive del miocardio Miocarditi Sotto questo processo sono raggruppati quei processi infiammatori a carico del miocardio, che inducono danno ai miociti cardiaci. Bisogna però sottolineare che la presenza isolata di uno stato infiammatorio non è diagnostica di miocardite: lo stato infiammatorio può infatti essere la risposta e non la causa di un danno al miocardio. Nelle miocarditi l’elemento caratteristico è che il processo infiammatorio è la causa del danno miocardico. Il processo infiammatorio che interessa il miocardio nelle miocarditi è caratterizzato da: - infiltrato infiammatorio interstiziale leucocitario, costituito nelle forme più comuni prevalentemente da linfociti - necrosi focale dei miociti adiacenti alle cellule infiammatorie. Le miocarditi possono colpire qualsiasi fascia di età, in quanto molto spesso costituiscono conseguenze di una malattia infettiva che viene a dare complicanze. Sintomatologia: La sintomatologia associata alla miocardite è estremamente ampia. Se da un lato la malattia può essere completamente asintomatica, dall’altro può vedere rapida insorgenza di insufficienza cardiaca con conseguente morte improvvisa. Tra i due estremi si colloca una sintomatologia generalmente caratterizzata da: • febbre • dolore toracico pericardico • segni di scompenso cardiaco: sincopi e palpitazioni • aritmie severe Le caratteristiche cliniche della miocardite richiedono dunque diagnosi differenziale con lo scompenso cardiaco di altra natura, dovuto a differenti cause. Frequentemente la diagnosi differenziale è fatta in base a queste caratteristiche distintive delle miocarditi: - insorgenza in età giovane - frequenza di eiezione minore del 4,5% - esclusione della presenza di malattie coronariche o valvulopatie Clinicamente le miocarditi possono essere classificate in : - miocarditi fulminanti - miocarditi acute 27 - miocarditi subacute - miocarditi croniche o ricorrenti Generalmente le miocarditi vanno frequentemente incontro a guarigione completa. A volte sono presenti esiti cicatriziali, per la formazione di una cicatrice fibrosa che provoca alterazioni del meccanismo di pompa con rientri del sangue e dunque aritmie. Se la miocardite va incontro a cronicizzazione si ha un continuo crearsi e ricrearsi di aree di necrosi che vanno incontro a cicatrizzazione fibrotica. Viene ad essere così perso progressivamente tessuto contrattile con conseguente ipertrofia compensatoria delle aree non fibrotiche. Questa reazione ipertrofica può comportare un insufficiente nutrimento della parete cardiaca, ispessita con conseguente generazione dello scompenso cardiaco. Il sovraccarico cardiaco non più compensato genera dilatazione cardiaca, con assottigliamento delle pareti e passaggio ad una cardiomiopatia dilatativa inequivocabile. Eziologia Le miocarditi possono essere suddivise in: Miocarditi ad eziologia nota: ¾ infettive: • da batteri (Staphylococcus aureus, corynebacterium diphtariae, neisseriae meningitidis, borrelia9 • virali: sono le più frequenti (coxsackievirus, echovirus, adenovirus, citomegalovirus, HIV) • da parassiti (toxoplasma, tripanosoma –malattia di Chagas-) • da funghi (candida) ¾ tossiche: • da increzione di catecolamine • da antracicline • sali di litio: nei pz psicotici • interferone α • cocaina nei tossico dipendenti ¾ da ipersensibilità: • a farmaci: penicilline, sulfamidici, streptomicina, isoniazide, tetracicline ¾ da agenti fisici • ipotermia • radiazioni • colpo di calore 28 Miocarditi idiomatiche: Hanno causa sconosciuta e dunque sono identificate in base al tipo di infiltrato ad esse associato. Da sottolineare il fatto che anche le miocarditi ad eziologia nota danno infiltrato differente a seconda dell’agente eziologico. • • • • • • infiltrato linfocitario: infiltrato neutrofilo: importanti effetti tossici dei polimorfonucleati sul miocardio infiltrato eosinofilo infiltrato a cellule giganti: di origine miogena di origine macrofagica Diagnosi La diagnosi di miocardite attualmente si basa sui criteri di Dallas, in accordo ai quali la miocardite “attiva” viene definita come infiltrazione di cellule infiammatorie del miocardio con associata necrosi e degenerazione dei miociti adiacenti, senza che si realizzi il quadro tipico della lesione ischemica da malattia coronaria. Secondo i criteri di Dallas l’infiltrato deve trovarsi all’interno delle cellule contrattili. La conseguenza è la presenza di vacuolizzazione dei miociti, presenza di margini cellulari irregolari, nuclei presenti. Vi è inoltre necrosi per disintegrazione dei miociti, con presenza di linfociti e macrofagi dentro le cellule miocardiche. La diagnosi viene sempre fatta mediante biopsia cardiaca. Alla prima biopsia a seconda che la miocardite sviluppi o meno i criteri di Dallas si può avere: • - Certezza di miocardite (con o senza fibrosi) • - Miocardite border-line: vede assenza di degenerazione dei miociti, con infiltrato infiammatorio moderato con linfociti scarsi. In questo caso può essere necessario ulteriore prelievo bioptico • - No miocardite Alle successive biopsia si può avere un quadro di: • - Miocardite persistente: quadro simile alla prima biopsia con o senza fibrosi • - Miocardite in via di risoluzione: con o senza fibrosi. • - Miocardite guarita: con o senza fibrosi. 29 Tutti i quadri di miocardite possono essere accompagnati da fibrosi, dunque presenza di tessuto di connettivo che viene gradualmente a sostituire il tessuto necrotizzato, formando focolai fibrotici confluenti. Secondo i criteri di Dallas nel quadro istologico della miocardite abbiamo: Infiltrato infiammatorio Composizione prevalente: • • • linfociti ( prevalentemente linfociti T) granulociti neutrofili (PMN) granulociti eosinofili e plasmacellule e macrofagi. Intensità • • • Lieve Moderato Severo Estensione • • • Focale Confluente Diffuso Si può avere una progressione attraverso i tre stadi: inizialmente si hanno piccoli infiltrati focali che confluiscono l’uno con l’altro dando un quadro di infiltrato diffuso. La diagnosi differenziale con un infiltrato di tipo ischemico può essere fatta sulla base di due caratteristiche istologiche delle miocarditi: - presenza di depositi di emosiderina - i miociti subendocardici, dunque quelli che sono rivolti verso la cavità, sono risparmiati. Necrosi • a singoli elementi miocitari • a gruppi Fibrosi Dipende dalla durata della malattia. Può essere: • endocardica • sostitutiva • interstiziale 30 Grading delle modificazioni ultrastrutturali 0 1 1,5 2 2,5 3 Ultrastruttura normale Alterazione di miociti isolati < 5% Dilatazione reticolo sarcoplasmatico ed iniziale lisi miofibrillare Alterazione di miociti isolati 6-15% Dilatazione reticolo sarcoplasmatico ed iniziale lisi miofibrillare Alterazione di aggregati di miociti 6-15% Lisi miofibrillare, vacuolizzazione Alterazione di numerosi miociti 26-35% Lisi miofibrillare, vacuolizzazione Necessaria dose aggiuntiva di farmco Alterazione di miociti >35% Danno severo No dose aggiuntiva di farmaco Diagnosi differenziale in associazione al tipo di infiltrato infiammatorio Infiltrato linfocitario • Miocardite idiopatica ad infiltrato linfocitario • Miocardite provocata da virus • Miocardite provocata da sarcoidosi: si tratta di un granuloma del muscolo cardiaco • Miocardite tossica, da svariati tipi di farmaci • Linfoma con metastasi al miocardio Infiltrato neutrofilo • Miocardite idiopatica ad infiltrato neutrofilo • Miocardite provocata da batteri • Miocardite ischemica • Miocardite provocata da virus nella sua fase iniziale. Inizialmente la miocardite virale vede un infiltrato formato da neutrofili e soltanto in un secondo momento subentrano i linfociti. Infiltrato eosinofilo ¾ Miocardite idiopatica ad infiltrato eosinofilo ¾ Miocardite da parassiti ¾ Sindrome ipereosinofila che colpisce più organi compreso il miocardio ¾ Miocardite da ipersensibilità Miocardite a cellule giganti • Miocardite idiopatica a cellule giganti • Miocardite da funghi • Malattia reumatica • Tubercolosi • Sarcoidosi: in questo caso le cellule giganti si ritrovano in associazione ai linfociti 31 Trattamento e prognosi La miocardite si tratta pricipalmente con agenti immunosoppressivi essendo la sua eziologia legata all’infiammazione. A volte una miocardite fulminante può presentare prognosi migliore a lungo termine e migliore risposta ai farmaci rispetto ad una miocardite acuta che frequentemente evolve in cardiomiopatia dilatativa. Miocarditi virali Le infezioni virali sono fra le cause più comuni di miocardite, in particolare negli Stati Uniti. I maggiori virus responsabili sono: - Coxsackievirus A e B ed altri enterovirus - Adenovirus - Herpes Simplex Virus - Citomegalovirus (CMV) che provoca uno stato di immunosoppressione e meggiore sensibilità ad ulteriori infezioni virali - HIV che provoca uno stato di immunosoppressione e maggiore sensibilità ad ulteriori infezioni virali - Virus influenzali - Agenti virali di malattie esantematiche dell’infanzia Il meccanismo mediante il quale i virus provocano la miocardite non è ancora chiaro. Le ipotesi sono due: - risposta auto-immune virus indotta contro le cellule miocardiche - infezione miocardica diretta virale: nel modello murino un trattamento con interferon γ inibisce la miocardite, dunque è il virus medesimo, infettando le cellule miocardiche a provocare l’infiltrato infiammatorio. Miocardite a cellule giganti Può essere: - idiopatica (miocardite isolata di Fredor) - secondaria a malattie sistemiche a patogenesi auto immune Età: colpisce prevalentemente giovani o adulti (età media: 43 anni). Prognosi: rapidamente fatale. Istopatologia: esteso infiltrato infiammatorio cronico (cellule giganti multinucleate frammiste a linfociti citotossici, eosinofili, plasmacellule, macrofagi), associato a necrosi frequentemente estese. Le cellule giganti si trovano nelle zone marginali della necrosi e possono avere origine: - dai macrofagi: cellule giganti istiocitarie. 32 - dai miociti: cellule giganti miogene Bisogna fare diagnosi differenziale con: - malattia reumatica: nella quale le cellule giganti, o di Aschoff, si ritrovano al centro del focolaio e vi è sarcoidosi, fibrosi, presenza di granulomi e mancanza di eosinofili - granuloma da funghi - granuloma da micobatteri - granuloma da corpo estraneo Miocardite tossica da catecolamine Le catecolamine hanno un effetto tossico diretto nei confronti dei cardiomiociti. Questo tipo di miocardite è riscontrabile nei pazienti affetti da feocromocitoma, a causa delle catecolamine secrete dalla neoplasia e nei tossicodipendenti che fanno uso di cocaina, che induce ipersecrezione di catecolamine. Miocardite tossica da antracicline Gli agenti chemioterapici della famiglia delle antracicline sono causa riconosciuta di danno tossico, potenzialmente causa di cardiomiopatia dilatativa. L’effetto tossico è dose-dipendente ed è attribuito soprattutto alla perossidazione lipidica del sarcolemma miocitario, poiché le antracicline, come farmaci antineoplastici provocano la liberazione di radicali liberi. Questo tipo di miocardite colpisce prevalentemente soggetti di età maggiore di 70 anni, che siano stati sottoposti a cicli multipli di chemioterapia. È necessaria la diagnosi differenziale con la controparte da ipersensibilità, che si può fare per la frequente presenza di vasculite necrotizzante in questo tipo di miocardite. Un altro farmaco chemioterapico dotato di cardiotossicità è la ciclofosfamide che non produce però tossicità diretta ai miociti, bensì ha un effetto tossico sul sistema vascolare, determinando emorragia miocardica. Miocardite da ipersensibilità È correlata a reazioni allergiche nei confronti di un particolare farmaco, dunque è dose-indipendente e caratterizzata da alta percentuale di eosinofili nell’infiltrato infiammatorio. Nell’infiltrato infiammatorio vi possono anche essere granulomi 33 Miocardite eosinofila idiopatica Frequentemente conseguenza dell’ipereosinofilia idiopatica (malattia di Loeffler), che provoca ipereosinofilia periferica in diversi distretti dell’organismo. Da un punto di vista istopatologico, vi è necrosi tossica dei miociti, provocata da proteine contenute nei granuli liberati dagli eosinofili, che agiscono su sarcolemma e mitocondri. Vi è la presenza di trombi eosinofili delle arterie coronariche miocardiche. Miocardite neutrofila idiopatica Può rappresentare la fase inizialae di una miocardite massiva idiopatica, dato che i granuli all’interno dei neutrofili inducono un danno molto abbondante oltre la normale necrosi, che richiama molte cellule dell’infiltrato infiammatorio. È necessaria la diagnosi differenziale con la malattia reumatica nella sua variante a decorso fulminante. Miocardiopatie Nella maggior parte dei casi le disfunzioni del miocardio insorgono secondariamente ad altre patologie cardiache. Con il termine cardiomiopatia si intende invece una cardiopatia derivante da un’alterazione primitiva del miocardio, dunque una malattia che coinvolge primitivamente il miocardio. Le cardiomiopatie si distinguono in tre profili clinici funzionali e patologici: • cardiomiopatia dilatativa • cardiomiopatia ipertrofica • cardiomiopatia restrittiva La diagnosi delle cardiomiopatie viene fatta attraverso le biopsie endomiocardiche: inserimento transvenoso di uno strumento detto biotomo, sino al cuore destro e prelievo con le pinze di piccoli frammenti di miocardio settale, che dunque vengono analizzati dal patologo. Cardiomiopatia dilatativa (CMPD) È la forma più comune di cardiomiopatia costituendo il 90% dei casi. 34 È caratterizzata da progressiva dilatazione cardiaca e disfunzione della contrattilità sistolica, solitamente associata ad ipertrofia. Si può verificare ad ogni età, ma colpisce più frequentemente soggetti tra i 20 ed i 50 anni. Morfologia Cuore voluminoso (ampia dilatazione), con peso aumentato di 2-3 volte (ipertrofia e dilatazione), flaccido (disfunzione della contrattilità sistolica). Poiché l’ipertrofia si associa alla dilatazione lo spessore delle pareti può essere maggiore, uguale o minore. I trombi murali sono frequenti e possono dare origine a embolia. Le arterie coronarie sono generalmente libere da stenosi significative. Eziologia ¾ Miocarditi: è dimostrata una possibile progressione da miocardite a CMPD. Frequentemente nei reperti bioptici delle cardiomiopatie dilatative sono stati trovati reperti bioptici di coksackievirus B o di altri enterovirus. ¾ Alcool: l’abuso di alcool è fortemente associato a CMPD (anamnesi di etilismo nel 10-20% dei pz). I metaboliti dell’alcool hanno effetto tossico sul miocardio ed inoltre l’abuso di alcool può causare uno squilibrio nutrizionale a cui consegue cardiomiopatia dilatativa. ¾ Altre sostanze tossiche: per esempio agenti chemioterapici, come l’adriamicina che contribuiscono alla patogenesi delle miocarditi e dunque della CMPD. ¾ Peripartum: frequentemente si verificano cardiomiopatie nelle fasi tardive della gravidanza o dopo settimane o mesi dal parto, a causa di un insieme di condizioni favorenti come ipertensione, sovraccarico di volume, carenze nutrizionali, disordini metabolici o eventi immunologici non ancora chiariti molto bene. ¾ Fattori genetici: costituiscono il 25-35% dei casi. Si tratta nella maggior parte dei casi di patologie a trasmissione autosomica dominante e di casi più rari di forme X-linked. Solitamente le alterazioni geniche sono correlate a difetti nelle proteine del citoscheletro. La CMPD x-linked è la forma meglio caratterizzata ed è associata al gene che codifica per la distrofina, colpendo tipicamente gli adolescenti. ¾ Idiopatica: causa sconosciuta. Clinica • • insufficienza cardiaca congestizia a lento sviluppo inizialmente compensata ma comunque con sintomi evidenti: respiro corto, facile affaticabilità, capacità fisica ridotta. Passaggio in tempi brevi ad uno stato di scompenso. 35 • • Riduzione della frazione di eiezione a causa della ridotta contrattilità sistolica fino ad una frazione di eiezione < 25% (dove quella normale è del 50-60%) A volte presenza di insufficienza mitralica secondaria, aritmie ed embolie a partenza dai trombi intracardiaci. Cardiomiopatia ipertrofica (CMPI) Presenta ipertrofia miocardica, con conseguenti alterazioni del riempimento diastolico e circa in un terzo dei casi ostruzione intermittente del tratto di efflusso ventricolare sinistro. La disfunzione è diastolica, mentre solitamente la funzione sistolica è conservata Richiede DD con amiloidosi e cardiopatia ipertensiva. Morfologia Cuore con ipertrofia massiva, ma non dilatato. Ipertrofia settale asimmetrica: inspessimento del setto interventricolare sproporzionato rispetto a quello della parete ventricolare sx libera, localizzato prevalentemente nella regione sub-aortica. Sezione trasversa: ventricolo sx che non ha più la normale forma globosa, ma assume forma a banana per la protrusione del setto interventricolare inspessito nel lume ventricolare. Frequenti inspessimenti dell’endocardio o vere e proprie placche fibrose nel tratto di efflusso del ventricolo sx, con associato inspessimento del lembo anteriore della mitrale: ciò è dovuto al frequente contatto, durante la sistole del lembo mitralico anteriore con il setto→ ostruzione del tratto di efflusso del ventricolo in un terzo dei casi. Eziologia La CMPI è sempre dovuta ad una mutazione di uno dei qualsiasi geni che codificano per le proteine strutturali dei sarcomeri, dunque è sempre una malattia genetica Clinica • • • • • • • riduzione del volume cavitario scarsa compliance parietale diminuzione della gittata sistolica dovuta all’alterato riempimento diastolico, per la massiccia ipertrofia ventricolare sx ostruzione funzionale del tratto di efflusso ventricolare sx nel 25% dei casi→ aspro soffio sistolico da eiezione all’auscultazione. Aumento secondario della pressione venosa polmonare (per la diminuzione della gittata sistolica sx) con consgeuente dispnea da sforzo. Ischemia miocardica focale, dovuta a massiccia ipertrofia (aumentate richieste), aumento della pressione nella camera ventricolare sx, possibili anomalie a carico delle arterie intraluminali. Conseguente dolore anginoso. Complicanze: fibrillazione atriale, trombi murali con embolizzazione, insufficienza cardiaca intrattabile, morte improvvisa. 36 Terapia Terapia medica che facilita il rilasciamento ventricolare. Resezione chirurgica riduttiva della massa muscolare del setto ventricolare, effettuata solo in alcuni casi. Cardiomiopatia restrittiva Riduzione primitiva della compliance ventricolare con alterato riempimento ventricolare nella diastole, mentre la funzione sistolica è generalmente mantenuta. Morfologia I ventricoli hanno dimensioni normali, le cavità non sono dilatate ed il miocardio ha maggiore consistenza. Frequentemente dilatazione di entrambi gli atri. Eziologia Può essere idiopatica (cause sconosciute) o presentarsi in associazione con altre malattie che colpiscono il miocardio. 37 Scompenso cardiaco È un risultato finale estremamente comune di molte patologie cardiache. Scompenso cardiaco o insufficienza cardiaca congestizia: - situazione di sovraccarico cardiaco non compensato. il cuore non è più in grado di pompare sangue in quantità commisurata alle richieste metaboliche dei tessuti periferici o lo può fare solo con elevate pressioni di riempimento. Il cuore possiede diversi meccanismi fisiologici di mantenimento della pressione arteriosa e della perfusione periferica in condizioni di sovraccarico: - meccanismo di Frank-Starling aumento della massa muscolare cardiaca attivazione di sistemi neurormonali (rilascio di noradrenalina, attivazione sistema renina-angiotensina, rilascio del peptide natriuretico atriale). Tuttavia se il cuore è sottoposto troppo a lungo o in modo troppo intenso ad un sovraccarico funzionale questi meccanismi di compensazione possono non bastare. Si può avere dunque • un progressivo deterioramento della funzione di contrazione cardiaca → • disfunzione sistolica un’incapacità crescente delle camere cardiache ad espandersi e riempirsi sufficientemente nella diastole→ disfunzione diastolica È a questo punto che soppraggiunge una situazione di scompenso cardiaco. Qualunque ne sia la causa lo scompenso cardiaco viene però ad essere cartterizzato da: • diminuita gittata cardiaca (insufficienza anterograda) o da; • ristagno di sangue nella circolazione venosa (insufficienza retrograda) o da; • entrambe le situazioni Dunque lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica che viene ad avere i suoi maggiori risvolti soprattutto al di fuori del sistema cardiovascolare, sia in senso anterogrado (scarsa perfusione d’organ), sia in senso retrogrado (dispnea, edema periferico). Avviene in molte situazioni patologiche che lo scompenso cardiaco sia preceduto da ipertrofia cardiaca, essendo questa una delle risposte compensatorie principe del cuore in una situazione di sovraccarico cardiaco. Ipertrofia cardiaca: progressione fino allo scompenso Il miocita cardiaco è una cellula a differenziazione terminale, che non si può dividere. 38 Di conseguenza in risposta ad un aumento del carico meccanico sul cuore i miociti non possono rispondere con iperplasia, ma solo con ipertrofia, dunque aumento delle dimensioni cellulari. Grado dell’ipertrofia Viene a variare in base alle patologie che sono alla base dell’ipertrofia medesima. Il peso normale del cuore è di 250-300g. nella donna, 300-350g. nell’uomo. Grado di ipertrofia (peso del cuore) 350-600g (fino a 2 volte il peso del cuore) 400-800g. (fino a 2-3 volte il peso del cuore) 600-100g. (3 o più volte il peso del cuore) Patologie alla base dell’ipertrofia Ipertensione polmonare Cardiopatia ischemica Ipertensione sistemica Stenosi aortica Insufficienza mitralica Cardiomiopatia dilatativa Insufficienza aortica Cardiomiopatia ipertrofica Tipo di ipertrofia Viene a riflettere la natura dello stimolo. 1. Stimolo pressorio: Se lo stimolo è un sovraccarico di pressione si ha sviluppo dell’ipertrofia da sovraccarico pressorio o ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro. Questa è caratterizzata da aumento della superficie trasversale dei miociti, senza aumento della lunghezza cellulare. Dunque si ha aumento dello spessore parietale del ventricolo sx che può anche comportare riduzione del diametro della cavità 2. Stimolo volumetrico: Se lo stimolo è un sovraccarico di volume si ha sviluppo dell’ipertrofia da sovraccarico di volume. Questa è caratterizzata da un aumento della lunghezza dei miociti per deposizione di nuovi sarcomeri, senza aumento delle dimensioni degli stessi. Dunque si ha aumento del diametro del ventricolo sx: lo spessore parietale sarebbe aumentato in proporzione al diametro della camera, ma data la dilatazione esso può risultare normale o inferiore alla norma. Alterazioni che accompagnano l’ipertrofia Le alterazioni che accompagnano l’ipertrofia sono le seguenti: 1. Alterazioni trascrizionali: • aumento della sintesi proteica con produzione di proteine anomale • attivazione dei geni precoci 39 • attivazione del programma genico tipico dello sviluppo cardiaco fetale 2. Alterazioni morfologiche: sono dovuta all’aumento delle dimensioni dei miociti che provoca • Riduzione della densità capillare • Aumento della distanza intercapillare • Deposito di tessuto fibroso Una dunque ridotta perfusione cardiaca si accompagna ad un maggiore consumo di ossigeno del cuore dovuto a: - aumento della massa muscolare - aumento della tensione parietale - aumento della frequenza cardiaca - aumento della contrattilità L’ipertrofia cardiaca dunque viene a costituire un meccanismo di adattamento fisiologico al limite con una situazione potenzialmente patologica. La formazione di nuovi sarcomeri o l’aumento delle dimensioni dei miociti rientrano nell’adattamento fisiologico. Il ridotto apporto capillari-miociti, l’aumento del tessuto fibroso e le sintesi proteiche alterate sono meccanismi potenzialmente dannosi. L’ipertrofia protratta dunque può evolvere nello scompenso cardiaco, perché vi sono una serie di alterazioni che inizialmente mediano l’aumento della funzione, ma che possono col tempo contribuire allo scompenso. Si possono verificare indipendentemente uno scompenso destro ed uno sinistro anche se generalmente, poiché il sistema cardiovascolare è un circuito chiuso, l’insufficienza di una sezione (in particolare sx) comporta eccessivo carico sull’altra e conseguente scompenso cardiaco globale. Scompenso cardiaco sinistro Cause • • • • Cardiopatia ischemica Ipertensione Valvulopatie aortiche e mitraliche Miocardiopatie non ischemiche Effetti Derivano principalmente da: • progressivo ristagno di sangue nel circolo polmonare ( il cuore sx non è più in grado di raccogliere sangue dal circolo polmonare) • riduzione del flusso e della pressione sanguigna sistemica in periferia. 40 Polmone a. patogenesi: i. progressivo aumento della pressione nelle vene polmonari ii. trasmissione dell’aumento pressorio per via retrograda a capillari ed arterie iii. congestione polmonare ed edema b. sintomatologia: i. dispnea: esagerazione del noramle affanno dopo lo sforzo. È il primo sintomo a comparire ii. ortopnea: dispnea che insorge quando ci si sdraia e trova giovamento da sdraiati o da seduti. Insorge quando vi è peggioramento ulteriore. iii. dispnea parossistica notturna: estensione dell’ortopnea che consiste in attacchi di dispnea notturna che arrivano quasi al soffocamento. La tosse è frequente sintomo Reni Patogenesi: riduzione della gittata cardiaca riduzione della perfusione renale attivazione sistema renina-angiotensina-aldosterone ritenzione di sale ed acqua espansione del volume ematico peggioramento dell’edema polmonare Questa reazione è controbilanciata dal rilascio di ANP Cervello Solo nello scompenso molto avanzato l’ipossia cerebrale può causare encefalopatia ipossica Scompenso cardiaco destro Cause Generalmente secondario ad uno scompenso cardiaco sinistro per aumento del carico sulle sezioni destre del cuore ad esso conseguente. Primitivo tipicamente nel caso di ipertensione polmonare cronica per sovraccarico della pressione sul cuore destro dovuto ad aumento delle resistenze polmonari. Effetti Generalmente vi è una congestione polmonare minima, mentre la congestione è marcata a livello di altri tessuti. Fegato i. Aumento edematoso di dimensioni e peso→ eptomegalia congestizia ii. Necrosi delle regioni più distanti dalla vena centrolobulare che appaiono giallastre. iii. Nei casi più gravi necrosi centrolobulare 41 Sistema Portale Vi è elevata pressione nella vena porta e nei suoi rami tributari che comporta: i. aumento edematoso di dimensioni e peso della milza→splenomegalia cronica ii. edema cronico della parete intestinale, che può influenzare l’assorbimento di nutrienti iii. accumulo di trasudato nella cavità peritoneale Reni La congestione dei reni è marcata Cervello Vedi scompenso cardiaco sx Spazi pleurici e pericardici Si può avere accumulo di liquido nello spazio pleurico ( in maggiore misura in quello destro) e nello spazio pericardico (effusioni). Tessuti sottocutanei Tipici è edema delle porzioni declivi del corpo, soprattutto delle caviglie e degli spazi pre-tibiali. Si può avere poi edema massivo e generalizzato del tessuto sottocutaneo (anasarca). 42 Patologia del pericardio Generalmente le patologie del pericardio sono quasi sempre secondarie ad altre malattie. La malattia isolata del pericardio è rara. Emopericardio Pericardio normale: nel sacco pericardico normalmente vi sono circa 30-50 ml. di un liquido limpido, trasparente, color paglierino. In alcune situazione si ha versamento pericardico (accumulo di liquido nel sacco pericardico): - di sangue→ emopericardio - di pus→ pericardite purulenta Le conseguenze dell’accumulo di liquido dipendono: - capacità di dilatazione del pericardio parietale - velocità di accumulo del liquido - quantità di liquido che si accumula Se il liquido si accumula lentamente e non supera i 500ml. si ha solo ingrandimento globoide dell’ombra cardiaca. Se il liquido si accumula velocemente (emopericardio dovuto a rottura), anche un versamento del volume di 200-300ml. può determinare compressione sulle pareti degli atri e dei ventricoli o delle vene cave, con conseguente ostacolo al riempimento cardiaco → tamponamento cardiaco potenzialmente fatale. Pericardite Infiammazione del pericardio. Generalmente secondaria: solo raramente primitiva e generalmente di origine virale. Cause di pericardite: Agenti infettivi: virus, batteri piogeni, tubercolosi, funghi…. Cause immunomediate: febbre reumatica, lupus eritematoso sitemico, scerodermia, post-infarto miocardico (sd di Dressler) Altri: infarto miocardico, uremia (insufficienza renale che provoca pericardite), post intervento cardiochirurgico, neoplasia, trauma. Pericarditi acute Pericardite sierosa Caratteristica dei processi infiammatori , ma non infettivi. Il liquido contiene rari leucociti e macrofagi, ha un volume modesto (50-200ml.) e si accumula lentamente. Non vi è quasi mai organizzazione dell’essudato con formazione di aderenzee fibrose. 43 Cause: - malattia reumatica, LES, sclerodermia - insufficienza cardiaca congestizia - ipoalbulinemia - uremia Pericardite fibrinosa e siero-fibrinosa Sono i tipi più frequenti di pericardite. Il liquido è sieroso e misto ad un essudato fibrinoso. La fibrina può essere digerita con risoluzione dell’essudato oppure andare incontro ad organizzazione. Il segno più caratteristico di pericardite fibrinosa è la comparsa di rumore di sfregamento pericardico, che però può essere eventualmente mascherato da una raccolta sierosa che separi i due foglietti pericardici. Cause: - malattia reumatica, LES, post-infarto miocardico - infarto miocardico acuto - uremia - traumi Pericardite purulenta Caratteristica dei processi infiammatori infettivi, acuti. L’essudato può essere liquido o formato da un pus cremoso, con volume che può raggiungere i 500ml. Il pericardio sieroso è rossastro, granuloso e ricoperto dall’essudato. Cause: - presenza di microrganismi infettivi nel cavo pericardico (batteri, funghi, virus) che possono provenire anche da focolai infiammatori contigui Pericardite siero-emorragiche Essudato composto da sangue misto a fibrina o a pus Cause: - trauma - neoplasia maligna che si estende al cavo pericardico. Pericardite caseosa Dovuta all’infezione tubercolare, che raggiunge il pericardio per diffusine diretta da focolai tubercolari nei linfonodi tracheo-bronchiali. Chilopericardite Dovuta ad ostruzione linfatica mediastinica 44 Pericarditi croniche In alcuni casi il processo di organizzazione della fibrina può portare a formazione di - placche di inspessimento fibroso delle sierose - formazione di aderenze - completa obliterazione del sacco pericardico con adesione fra il foglietto parietale e quello viscerale → pericardite adesiva Mediastinopericardite adesiva Può fare seguito a pericardite purulenta o caseosa. Il sacco pericardico è obliterato e presenta aderenze con le strutture circostanti. Il cuore è sottoposto ad un notevole incremento di lavoro poiché per contrarsi deve vincere le resistenze offerte dal pericardio parietale e la trazione esercitata dalle strutture circostanti. L’aumento del carico di lavoro comporta ipertrofia e dilatazione cardiaca che possono essere massive e mimare una cardiomiopatia dilatativa Pericardite costrittiva Il cuore è intrappolato in una denso strato cicatriziale del pericardio, fibroso, o fibrocalcifico, dello spessore di 0,5-1 cm., che in alcuni casi può divenire un calco calcifico (concretio cordis). Il cuore è dunque limitao nell’espansione diastolica e la sua gittata cardiaca è severamente ridotta in modo da simulare una cardiomiopatia restrittiva. La principale terapia è la pericardiectomia, cioè la rimozione chirurgica della corazza di tessuto fibroso. 45 Il polmone Anatomia normale Il polmone è un organo formato da: - 3 lobi a dx - 2 lobi a sx Sebbene la lingula presente a sx sia l’equivalente del lobo medio a dx, il polmone destro ha volume < rispetto al polmone sinistro. Allo stesso modo il bronco principale dx è più diretto ed allineato con la trachea rispetto al bronco sx (tendenza del materiale estraneo eventualmente aspirata ad entrare nel polmone dx). All’interno del polmone si distribuiscono le vie aeree. Si ha ramificazione e divisione dicotomica dei bronchi principali, a formare bronchi che a loro volta si suddividono in modo dicotomico, dando luogo ad un’estesa arborizzazione. Il diametro e la lunghezza dei bronchi si riducono progressivamente ad ogni successiva divisione, assieme al supporto cartilagineo, che scompare del tutto nei condotti di circa 1mm. Tutti i condotti aerei successivi sono detti bronchioli terminali e sono dunque caratterizzati da: - mancanza di scheletro cartilagineo - piccolo diametro - ghiandole sottomucose nello spessore delle pareti - sono immersi nella matrice connettivale del polmone e dunque il loro diametro dipende strettamente dal volume polmonare. Dai bronchioli terminali hanno origine i bronchioli respiratori, così chiamati perché partecipano agli scambi gassosi; infatti nelle loro pareti si cominciano ad aprire i primi alveoli, il cui numero va aumentando con le successive divisioni, fino a che le pareti dei bronchioli sono quasi del tutto occupate dalle aperture degli alveoli. Queste branche terminali sono dette dotti alveolari e proseguono in un sacco alveolare a fondo cieco, la cui parete è costituita da una successione di alveoli. Si chiama acino polmonare la parte terminale del polmone (bronchioli respiratorisacco alveolare), che è coinvolta attivamente negli scambi gassosi. È detto lobulo un gruppo di 3-5 bronchioli terminali ognuno con il rispettivo acino. La ramificazione delle vie aeree è accompagnata dalla doppia vascolarizzazione arteriosa del polmone: 1. arterie polmonari 2. arterie bronchiali Le vie aeree sono inoltre dotate di: - nervi motori: il muscolo liscio è innervato da fibre del nervo vago (divisione parasimpatica) 46 - nervi sensoriali: nelle giunzioni intercellulari e sotto le cellule epiteliali e sono sensibili allo stiramento ed alle sostanze irritanti. Mucosa bronchiale: - epitelio colonnare ciliato pseudostratificato - cellule caliciformi muco-secernenti nelle vie aeree con scheletro cartilagineo - cellule neuroendocrine contenenti granuli neurosecretori (serotonina, calcitonina) Pareti alveolari (versante ematico→versante gassoso) - endotelio capillare - membrana basale e circostante tessuto interstiziale: nelle parti più sottili le mbr basali dell’endotelio e dell’epitelio alveolare sono fuse, mentre nelle porzioni più spesse sono separate dall’interstizio polmonare - epitelio alveolare: formato da • Pneumociti di tipo I: appiattiti e sottili, funzionali allo scambio gassoso, ricoprono il 95% della spf delle pareti alveolari. • Pneumociti di tipo II: fonte del surfactante polmonare e principali cellule coinvolte nella riparazione dell’epitelio alveolare dopo eventule distruzione. - macrofagi alveolari: adesi alle cellule epiteliali, o liberi nel lume alveolare Pori di Kohn: perforazioni della parete dei diversi alveoli che permettono il passaggio di batteri ed essudato tra alveoli adiacenti. 1. Danno polmonare acuto In seguito a danno polmonare acuto possiamo avere uno spettro di manifestazioni cliniche, a partire dall’edema e congestione, che dunque possono progredire fino alla sindrome da distress respiratorio acuto e fino alla polmonite acuta interstiziale. 1a. Edema polmonare 1) edema polmonare emodinamico o cardiogeno: è dovuto a scompenso, insufficienza cardiaca sx, o qualsiasi causa che comporti aumento della pressione idrostatica del circolo polmonare con conseguente stravaso di essudato, che avviene prima nelle regioni basali, dove la pressione idrostatica è maggiore. Macroscopicamente: polmoni pesanti ed imbibiti. Istologicamente: - capillari alveolari ingorgati - lume alveolari con eventuali microemorragie e macrofagi ripieni di emosiderina - fibrosi ed inspessimento delle pareti alveolari in caso di congestione cronica. 2) edema da leisoni microvascolari: lesioni dei capillari dei setti alveolari che comportano aumento della permeabilità capillare, con consueguente fuoriuscita di liquidi e proteine nello spazio interstiziale e dunque nello spazio alveolare. Può progredire nel caso di forme generalizzate in sindrome da distress respiratorio acuto. 47 1b. Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) Sindrome clinica caratterizzata da danno diffuso dei capillari alveolari. Cause Le principali cause, di cui l’ARDS rappresenta una complicanza, sono: 1. sepsi 2. infezioni polmonari diffuse 3. aspirazione di contenuto gastrico 4. trauma meccanico Patogenesi Stimoli infiammatori infettivi o non infettivi ↓ Entro 30 minuti: attivazione della risposta infiammmatoria acuta: produzione di citochine ad azione chemiotattica (IL-8) produzione di citochine flogistiche (IL-1 e TNF) sequestro di neutrofili a livello del microcircolo polmonare→marginazione→fuoriuscita nello spazio alveolare→attivazione ↓ liberazione di prodotti da parte dei neutrofili che causano: ↓ danno alla mbr dei capillari alveolari permeabilità vascolare essudazione intra-alveolare perdita della capacità di essudazione ↓ diffusa distruzione tissutale alterazioni della distribuzione del sulfactante Dunque vi è presenza di uno stimolo che induce danno iniziale che viene amntenuto dalla risposta infiammatoria dell’organismo. L’essudato e la diffusa distruzione tissutale in questo caso non sono facilmente risolvibili ed il risultato è un’organizzazione con cicatrizzazione, che conduce a pneumopatia cronica. Evoluzione clinica Di solito i pz che sviluppano ARDS sono già ricoverati per una delle condizioni elencate prima. Sintomi precoci: dispnea e tachipnea (difficoltà negli scambi gassosi) Sintomi tardivi: cianosi, ipossiemia ingravescente, refrattaria all’ossigenoterapia, insufficienza respiratoria, che può evolvere in insufficienza multiorgano (MOFS Multiple Organ Failure Sindrome). Radiografia: comparsa tardiva di infiltrazione radiografica diffusa. Istologia: danno alveolare diffuso. 48 Morfologia 1. fase acuta. - polmoni pesanti, rossi, imbibiti - edema interstiziale ed intra-alveolare→depositi di fibrina→formazione di membrane ialine (essudato ricco in fibrina, con residui delle cell epiteliali necrotiche) nelle pareti alveolari. 2. fase organizzativa - proliferazione pneumociti II per rigenerare il rivestimento alveolare - organizzazione dell’essudato fibrinoso→fibrosi alveolare→inspessimento dei setti alveolari. 1c. Polmonite acuta interstiziale Lesione acuta del parenchima polmonare con decorso acuto e rapidamente progressivo, simile a quello dell’ARDS. L’eziologia è solitamente sconosciuta, ma spesso segue ad un’infezione delle vie respiratorie superiori (rinite, faringite, laringite) di durata < alle 3 w. I pz presentano un quadro di insufficienza respiratoria acuta. Mortalità del 50% con la maggior parte dei decessi entro 1-2 mesi. 2. Malattia polmonare ostruttiva È caratterizzata da un aumento della resistenza al flusso, dovuto alla parziale o totale ostruzione che si può verificare ad ogni livello. I test di funzionalità polmonare manifestano una riduzione del picco massimo di flusso durante un’espirazione forzata, misurata con il volume espiratorio forzato in 1 sec. Le malattie ostruttive più diffuse sono: 1. broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO): vede frequentemente il sovrapporsi di due patologie con caratteristiche cliniche ed anatomiche distinte: enfisema (a livello acinare), bronchite (a livello bronchiale). 2. Asma: è una patologia totalmente distinta e solo in alcuni casi può sovrapporsi alla BPCO. 3. Bronchiectasia. Il rapporto tra BPCO, enfisema, bronchite ed asma è piuttosto complesso. I pazienti che manifestano segni di bronchite cronica o di enfisema senza ostruzione al flusso aereo hanno una di queste patologie o entrambe ma non la BPCO. La maggior parte dei pazienti con BPCO, che per definizione ha un'ostruzione al flusso aereo, ha segni sia di bronchite cronica che di enfisema. I pazienti affetti da asma caratterizzato da un'incompleta reversibilità dell'ostruzione bronchiale sono considerati affetti da una forma di BPCO (chiamata bronchite asmatica), dal momento che spesso non possono essere differenziati dai bronchitici cronici ed enfisematosi con ostruzione bronchiale reversibile e iperreattività bronchiale. Quelli con ostruzione bronchiale completamente reversibile senza segni di bronchite cronica o di enfisema sono affetti da asma ma non da BPCO. 49 2a. Enfisema Ingrandimento anomalo e permanente dello spazio aereo distale ai bronchioli terminali, accompagnata da distruzione delle pareti alveolari, ma senza evidenza di fibrosi. Classificazione dell’enfisema L’enfisema viene caratterizzato secondo la sua distribuzione anatomica nel contesto del lobulo. 1) enfisema panacinare: gli acini sono uniformemente e tutti dilatati, dal bronchiolo respiratorio fino agli alveoli respiratori. È più comune e grave nelle regioni anteroinferiori del polmone. È associato a deficit di alfa1-antitripsina. 2) Enfisema centrolobulare: coinvolge solo le regioni centrali degli acini, in corrispondenza dei bronchioli respiratori, mentre le regioni terminali sono risparmiate. È più comune e grave nelle regioni apicali del polmone. Colpisce soprattutto i forti fumatori, spesso in associazione a bronchite cronica; costituisce il 95% dei casi di enfisema causante ostruzione di flusso rilevante. 3) Enfisema lobulare distale (parasettale): coinvolge in modo > le regioni distali degli acini, mentre la parte prossimale di solito è risparmiata. Si manifesta in sede sottopleurica o lungo i setti fibrosi interlobulari. Il resto del polmone è spesso risparmiato, cosicché la funzione polmonare può essere ben conservata nonostante molte aree di malattia localmente grave. Questo tipo di enfisema, che interessa spesso gli apici, causa pneumotorace spontaneo nelle persone giovani e può produrre bolle giganti. 4) Enfisema irregolare: l’acino è interessato in modo irregolare in modo invariabilmente associato a fenomeni di cicatrizzazione. Di fatto è la forma più comune di enfisema, perché le lesioni cicatriziali sono un riscontro molto comune in seguito a processi infiammatori guariti. Tuttavia è nella maggior parte dei casi asintomatico e clinicamente irrilevante. Patogenesi a. enfisema panacinare La teoria più accreditata è che si tratti di uno squilibrio proteasi-antiproteasi, dovuto a deficit genetico di alfa1-antitripsina, e che dunque coinvolge l’intero acino. L’alfa1-antitripsina è una proteina plasmatica sintetizzata dal fegato: si tratta di una proteina dell’infiammazione acuta dato il suo ruolo di grande importanza nella regolazione del processo flogistico. Su tratta infatti di una dei principali inibitori delle proteasi secrete dai neutrofili durante l’infiammazione e dunque anche dell’elastasi, di cui i PMN sono fra i principali produttori e che sarebbe in grado di degradare anche il tessuto polmonare. Si spiega dunque come nei soggeti con carenza di alfa1-antitripsina qualsiasi stimolo in grado di aumentare il numero di PMN nei polmoni e di provocare rilascio dei loro granuli contenenti elastasi, provoca distruzione tissutale incontrollata, perché - è presente una bassa attività anti-proteasica di regolazione - i PMN attivati rilasciano radicali liberi che ↓ l’attività delle poche alfa1antitripsine presenti. b. enfisema centrolobulare In questo caso il fattore eziologico principale è il fumo di sigaretta. Nei fumatori si ha: 50 1. effetto chemiotattico della nicotina su PMN e macrofagi nell’alveolo polmonare: • PMN→ produzione di elastasi → produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROI) che inibiscono alfa1antitripsina • macrofagi → produzione di proteasi resistenti all’azione dell’ alfa1-antitripsina e in grado di esercitare attività proteolitica su alfa1-antitripsina medesima. 2. Presenza di numerosi ROI nel fumo: • inibizione dell’azione dell’ alfa1-antitripsina • consumo del corredo fisiologico di anti-ossidanti presenti a livello polmonare 3. Stimolazione dell’attività elastasica macrofagica da parte del fumo. Il deposito delle particelle di fumo avviene principalmente a livello della biforcazione dei bronchioli respiratori con conseguente aumento dell’attività proteolitica soprattutto centroacinare Morfologia Macroscopica: - enfisema panacinare: in fase avanzata ↑ volume dei polmoni con parziale sovrapposizione al cuore. - enfisema centroacinare: meno peculiare. Parte superiore del polmone più colpita - enfisema lobulare distale o irregolare: formazione di bolle (blebs), spazi aerei che possono diventare enormi, occupando un intero emitorace. Le bolle possono essere degli spazi completamente vuoti o attraversate da tralci di tessuto polmonare. Microscopica: - alveoli molto dilatati separati da setti sottili - pori di Kohn enormemente ingranditi - presenza di bolle talvolta - spesso bronchioli respiratori e vasi alterati, compressi dall’alterazione enfisematosa. Clinica - Dispnea: è il primo sintomo; compare insidiosa, ma è sempre ingravescente. Tosse o sibili: presente di solito tardivamente e con scarso espettorato. Calo ponderale: sempre presente. Cuore polmonare (insufficienza cardiaca dx, dovuta a ipertensione polmonare secondaria) ed insufficienza respiaratoria: in fase terminale ed associati a prognosi infausta. Il paziente con enfisema tipicamente presenta torace a botte, ed ha imparato a compensare la sua patologia espirando lentamente ed in modo prolungato; si siede dunque con il busto in avanti, in posizione incurvata ed espira attraverso le labbra corrugate. Tipicamente con la spirometria, si vede che il suo massimo flusso espiratorio è diminuito, ma in molti casi attraverso l’iperventilazione la sua ossigenazione può rimanere buona; questi pz sono detti pink puffers. 51 2b. Bronchite cronica Condizione caratterizata da una tosse cronica produttiva per almeno 3 mesi di 2 anni successivi, quando altre possibili cause, come le infezioni da Mycobacterium tuberculosis, il cancro del polmone o lo scompenso cardiaco cronico, sono state escluse. È definita: - bronchite cronica semplice: tosse produttiva senza segni di ostruzione delle vie aree - bronchite asmatica cronica: caratterizzata da iperreattività delle vie aeree con broncospasmo intermittente e sibili espiratori. - Bronchite cronica ostruttiva: caratterizzata da ostruzione cronica del flusso. Tipicamente associata all’enfiema nella BPCO. Patogenesi Sostanze irritanti ( fumo, silicio, polvere di granaglie)che provocano lesione dei bronchi e dei bronchioli ↓ reazione dei PMN con conseguente produzione di proteasi che aumentano il danno ed inducono reazione metaplastica della mucosa bronchiale: ipertrofia della ghiandole sottomucose di trachea e bronchi ipersecrezione di muco delle grandi vie respiratorie ↓ Lesione continua e ripetuta da parte delle sostanze irritanti Sovrapposizione di infezioni batteriche e virali ↓ Piccoli bronchi e bronchioli: aumento in numero e dimensioni delle cellule caliciformi (metaplasia) formazione di tappi mucosi nel lume infiammazione e fibrosi della parete bronchiolare ostruzione precoce e reversibile ↓ Lesione continua e ripetuta (sosatnze irritanti) ed infezione continua e ripetuta ↓ Bronchite cronica Se la bronchite cronica comporta ostruzione delle vie aeree allora è associata a broncopneumopatia cronica ostruttiva. Morfologia: Macroscopica: - iperemia→ tumefazione → edema della mucosa (reazione flogistica) - ipersecrezione mucosa o mucopurulenta - bronchioli a volte ripieni di cilindri di materiale purulento Microscopica: - ipertrofia delle ghiandole sottomucose muco-secernenti di trachea e bronchi - ↑ dimensioni e numero delle cellule caliciformi a livello bronchiale e bronchiolare→ eventuale formazione di tappi mucosi 52 - marcato restringimento dei bronchioli con a volte obliterazione completa per fibrosi → bronchiolite obliterante Clinica - Tosse produttiva persistente: è il sintomo cardinale Dispnea: lieve, si sviluppa tardivamente Infezioni: ricorrenti e recidivanti Insufficienza respiratoria con ipossiemia, ipossia e lieve cianosi: compaiono spesso Cuore polmonare: è una complicanza frequente I pazienti con questo tipo di patologia sono anche detti blue bloater per il qudro di cianosi associato all’espettorazione purulenta. 2c. Asma Malattia infiammatoria cronica delle vie aeree dovuta probabilmente al fatto che l’infiammazione provoca iperreattività bronchiale (broncospasmo) a diversi stimoli, altrimenti innocui. Di solito è associata a broncocostrizione ed ostruzione diffusa e di grado variabile, ma generalmente reversibile spontaneamente dopo adeguato trattaemento. Classificazione dell’asma Non esiste una vera e propria classificazione dell’asma, ma ve ne sono molte nessuna delle quali è completa. 1. classificazione basata su frequenza e gravità dei sintomi - lieve, moderata e grave - intermittente, persistente 2. classificazione basata sulla terapia - asma steroido-dipendente - asma steroido resistente - asma difficile - asma instabile 3. classificazione su base eziologica - asma estrinseca: iniziata da reazione di ipersensibilità di tipo I, indotta da esposizione ad antigene estrinseco - asma intrinseca: iniziata da meccanismi diversi da quelli immunitari: ingestione di aspirina; freddo; infezioni; irritanti; stress; attività fisica) 4. classificazione in base all’agente scatenante - asma stagionale, indotta dall’attività fisica, farmaco-indotta, professionale, bronchite del fumatore Patogenesi Le principali condizioni che portano allo sviluppo di asma sono: 1. predisposizione genetica all’ipersensibilità di tipo I: Poiché la maggior parte delle asme è di tipo estrinseco (atopico), un predisiposizione all’ipersensibilità di tipo I comporta è un fattore importante di genesi dell’asma. Normalmente esistono due classi di linfociti, TH1 e TH2, le quali rispondono a stimoli differenti e cosituiscono un circuito di immunoregolazione, per cui le citochine secrete da una delle due classi vanno ad inibire il differenziamento nell’altra classe e viceversa. 53 Probabilmente la predisposizione all’ipersensibilità di tipo I nasce da uno squilibrio della regolazione reciproca: i linfociti TH1 non secernono più le citochine inibitorie della risposta di tipo TH2 e dunque si ha differenziamento delle cellule T francamente deviato in direzione TH2. Questo comporta il facile instaurarsi di: 2. stato di flogosi acuta o cronica delle vie aeree: Lo stato infiammatorio che può essere indotto anche in assenza di una ipersensibilità di tipo I, in risposta a differenti stimoli (infezioni, farmaci, inalazione di sostanze tossiche) è un fattore chiave della patogenesi dell’asma poiché conduce alla sua condizione caratteristica che è quella di una 3. iperreattività bronchiale: aumentato aumento della reattività bronchiale (broncocostrizione, secrezione di muco) in risposta a diversi stimoli. Inoltre sembra sia possibile riscontrare la presenza di modificazioni strutturali delle parete dei bronchioli (includenti ipertrofia della muscolatura liscia bronchiale ed ipertrofia delle ghiandole), a seguito, ma anche precedentemente l’instaurarsi dello stato flogistico. Dunque sembra che questo “rimodellamento bronchiale” possa essere: - una conseguenza dello stato infiammatorio - in alcuni casi un fattore determinato geneticamente che predispone allo sviluppo di infiammazione e dunque di asma. 1. Asma atopica È il più comune tipo di asma ed insorge prevalentemente durante l’infanzia. È frequente un’anamnesi familiare positiva per atopia perché vi può essere una predisposizione genetica a questo tipo di patologie (vedi predisposizione verso la differenziazione in direzione delle cellule TH2). Il modello di patogenesi per l’asma atopica è il seguente: A. sensibilizzazione all’antigene: • • • - inalazione di antigeni irritanti (allergeni) risposta di tipo TH2 preponderante attivazione delle cellule TH2 e rilascio di citochine, come: IL-4 che induce produzione di IgE da parte dei linfociti B; la porzione Fc delle IgE si viene dunque a legare alla superficie dei mastociti, la cui proliferazione è indotta sempre dall’IL-4 IL-5 che induce reclutamento e proliferazione degli eosinofili In questo modo la mucosa bronchiale è sensibilizzata all’antigene e pronta ad evocare una risposta infiammatoria in seguito a successivo contatto. B. asma scatenata dalla successiva esposizione all’allergene: a. risposta acuta (entro pochi minuti): • L’esposizione dei mastociti presensibilizzati e ricoperti di IgE al medesimo antigene scatena cross-linking delle IgE e rilascio dei mediatori dei mastociti, che si trovano sulle spf mucose (antigene inalato) • I mediatori provocano - allentamento del le tight junction con passaggio degli allergeni verso i più numerosi mastociti nella sottomucosa - stimolazione diretta dei recettori subepiteliali vagali che provocano broncocostrizione. 54 Effetti complessivi della risposta acuta: - broncocostrizione - aumento della permeabilità vascolare ed edema - ipersecrezione di muco - ipotensione in condizioni estreme (→ edema) b. risposta tardiva (comincia dopo 4-6 e persiste fino a 12-24 h o più) • Il rilascio di citochine dai mastociti nella risposta acuta provoca anche afflusso di altri leucociti, soprattutto eosinofili e loro attivazione. • Si ha rilascio di nuovi mediatori da parte di leucociti, endotelio e cellule epiteliali. Questi mediatori provocano la reazione tardiva o ritardata. - leucocotrieni C, D, E: bronoccostrizione prolungata ed ↑ permeabilità vascolare - acetilcolina; broncocostrizione - istamina: broncocostrizione - prostaglandina D: broncocostrizione e vasodilatazione - PAF: aggregazione piastrinica e liberazione di istamina e serotonina dai granuli piastrinici. 2. Asma non atopica In genere scatenato dalle infezioni dell’apparato respiaratorio, generalmente dovute a virus e dunque alla conseguente flogosi virus-indotta della mucosa respiratoria che riduce la soglia dei recettori vagali subepiteliali per gli stimoli irritanti (iperreattività). Mentre nel caso precedente lo stato infiammatorio era dovuto alla esposizione agli allergeni, qui lo stato infiammatorio è dovuto ad un’infezione virale: c’è un elemento predisponente in meno. 3. Asma farmaco-indotta La più comune è quella indotta dall’aspirina, poiché l’aspirina inibisce la via metabolica dell’acido arachidonico nella sua variante ciclo-ossigenasica, senza tuttavia influenzare la via lipossigenasica e spostando l’equilibrio verso la sintesi di leucotrieni broncocostrittori. 4. Asma professionale Provocata dall’esposizione ripetuta ad agenti irritanti che causa una iperreattività nei confronti dei medesimi Morfologia Macroscopica: - iperdistensione dei polmoni - occlusione di bronchi e bronchioli da parte di tappi mucosi Microscopica: - tappi mucosi formati da aggregati vorticoidi di cellule epiteliali (→ spirali di Curshmann) - numerosi eosinofili - numerosi aggregati di materiale cristalloide → proteine di mbr degli eosinofili - rimodellamento bronchiale: 55 • • • • inspessimento mbr basale edema ed infiltrato infiammatorio della parete dei bronchi e bronchioli ipertrofia ghiandole sottomucose ipertrofia parete muscolare liscia del bronco Clinica Tipicamente si intervallano crisi asmatiche ( specialmente durante la notte o alle prime ore del mattino) tra le quali i pz possono essere del tutto asintomatici. A volte si ha uno stato asmatico prolungato (giorni-settimane) che può portare anche a morte. Attacco asmatico: - dispnea - sibili espiratori - fame d’aria - senso di costrizione - tosse con eventuale espettorazione delle secrezioni mucose (notevole riduzione della difficoltà respiartoria) Diagnosi: analisi dell’espettorato e riscontro di eosinofili, spirali di Curshmann e aggregati cristalloidi Terapia: anti-infiammatoria, per alleviare gli attacchi. Di solito comunque la broncocostrizione è spontaneamente reversibile. 2d. Bronchiectasie Dilatazione permanente di bronchi e bronchioli per distruzione del tessuto muscolare ed elastico, associata ad infezioni croniche necrotizzanti. Eziologia e patogenesi Può essere associata a : 1. malattie congenite o ereditarie: per esempio fibrosi cistica: difetto genetico nel meccanismo di secrezione dei cloruri ↓ ↓ secrezione di ioni cloruro nel muco e ↓ intake cellulare di sodio ed acqua ↓ accumulo di secrezioni dense e viscose che ostruiscono le vie aeree ↓ ↑ suscettibilità alle infezioni batteriche ↓ ulteriore danneggiamento della parete bronchiale e distruzione del muscolo liscio, dei tessuti elastici e fibrosi ↓ dilatazione dei bronchi ↓ progressiva ostruzione dei bronchi a causa della fibrosi di riparazione 2. stati postinfettivi: per ampia distruzione indotta direttamente dai patogeni o indirettamente dalla reazione infiammmatoria 3. ostruzione bronchiale: neoplasie, corpi estranei, ritenzione di muco 56 Morfologia Macroscopica: - vie aeree dilatate fino a 4x (bronchiecatsie cilindriche→ slargamenti a forma di tubo; bronchiectasie sacculari → slargamenti fusiformi o sacculari). Microscopica - intensa essudazione infiammatoria nelle pareti bronchiali→ desquamazione epiteliale → ulcerazione necrotizzante → aree fibrotiche nei casi più cronicizzati - spesso flora mista che può essere isolata dai bronchi Clinica - tosse intensa e persistente con espettorato maleodorante dispnea occasionalmente emottisi a volte febbre , nel caso vi siano patogeni virulenti Comunque rimane sempre associata ad uno stato infiammatorio che comporta distruzione delle pareti delle vie aeree. 3. Malattia polmonare restrittiva Comprendono un gruppo di malattie caratterizzate da ridotta espansione del parenchima con diminuzione della capacità polmonare totale, e della compliance polmonare, mentre il flusso massimo espirato è normale o proporzionalmente diminuito. Le malattie restrittive si possono osservare generalmente in due condizioni: 1) malattie della parete toracica in presenza di un normale parenchima polmonare→ malattie neuromuscolari come la poliomielite, malattie della pleura. 2) Malattie infiltrative o interstiziali acute o croniche Si tratterà solo delle malattie interstiziali. Acute: se ne è già parlato. Sono classici esempi di questo tipo di patologia l’ARDS e la polmonite acuta interstiziale. Croniche: sono un grande gruppo di malattie caratterizzate dalla compromissione cronica del parenchima polmonare soprattutto a livello interstiziale. Fisiopatologia: impedimento all’espansione dei polmoni, per un aumento della rigidità polmonare dovuto a incremento della componente collagene su quella elastica; ne consegue riduzione della capacità polmonare totale e della compliance polmonare. Manifestazione clinica: dispnea, tachipnea, difficoltà nell’inspirazione, senza sibili o segno alcuno di broncocostrizione. La diffusa fibrosi o cicatrizzazione può provocare restringimento delle arterie con conseguente possibilità di ipertensione polmonare ed insufficienza polmonare destra terminale (cuore polmonare). RX: diffusa infiltrazione dell’interstizio polmonare (da cui il termine malattia interstiziale infiltrativa). Istologia: nelle fasi precoci sono distinguibili, nelle fasi tardive sfociano tutte in cicatrici e distruzione massiva del polmone. In base alle carattersitiche istologiche possono essere classificate in: - malattia cronica polmonare interstiziale fibrosante (fibrosi polmonare) 57 • • • • • Polmonite interstiziale comune (fibrosi polmonare idiopatica) Polmonite interstiziale aspecifica (fibrosi interstiziale diffusa) Polmonite criptogenetica in via di organizzazione Associata a collagenopatie Pneumoconiosi - malattia cronica polmonare interstiziale granulomatosa • sarcoidosi • polmonite da ipersensibilità - malattia cronica polmonare interstiziale eosinofila - malattia cronica polmonare interstiziale correlata al fumo Patogenesi: indipendentemente dall’agente eziologico noto o sconosciuto di ognuna di queste patologie, si ritiene che la patogenesi di tutte le interstiziopatie converga in un’alveolite, cioè in un infiammazione a livello delle pareti e degli spazi alveolari. Si ha dunque accumulo di cellule dell’infiammazione e immunitarie nella parete e negli spazi alveolari che comporta: - distorsione della normale struttura alveolare - rilascio di mediatori infiammatori con conseguente danno del parenchima Se questo danno e questa condizione infiammatoria è cronica la risposta del tessuto è il tentativo di riaparazione attraverso la formazione di una cicatrice e dunque la fibrosi. FIBROSI POLMONARE 3a. Fibrosi polmonare idiopatica La fibrosi polmonare idiopatica (Idiopathic Pulmonary Fibrosis, IPF), o alveolite sclerosante criptogenica , è un termine che si riferisce ad una specifica sindrome causante il 50-60% di tutti i casi di malattia polmonare interstiziale idiopatica. La IPF ha specifiche caratteristiche cliniche e anatomo-patologiche, perciò questo termine non deve essere utilizzato per descrivere tutte le malattie interstiziali polmonari di eziologia ignota. La polmonite interstiziale comune (Usual Interstitial Pneumonia, UIP), un particolare quadro istopatologico di polmonite interstiziale, è il classico quadro osservato alla biopsia polmonare nella IPF. Il riscontro di questo quadro è necessario ma non sufficiente a fare diagnosi di IPF: un quadro simile infatti si può riscontrare anche in altre patologie (patologia polmonare associata a collagenopatie ed asbestosi). Patogenesi Gli agenti eziologici sono sconosciuti. Si pensa però che la genesi dell’IPF sia dovuta a cicli ripetuti di infiammazione alveolare acuta (alveolite), provocata da stimoli non identificati. La riparazione del danno provocherebbe proliferazione fibroblastica con formazione di “foci fibroblastici”. Alla formazione di queste zone di proliferazione fibroblastica seguirebbe dunque la fibrosi e dunque la formazione di aree di collagene denso, con perdita della funzionalità polmonare. Morfologia Macroscopica 58 - spf pleurica con aspetto ad “acciottolato”, per la retrazione cicatriziale lungo i setti interlobulari - la fibrosi del parenchima polmonare è diffusa soprattutto lungo i setti e nelle regioni subpleuriche Microscopica - presenza di fibrosi interstiziale a chiazze, non omogenea - le lesioni fibrotiche variano d’intensità con il tempo. • Lesioni precoci: foci fibroblastici caratterizzati da alta cellularità e proliferazione fibroblastica esuberante • Lesioni tardive: cicatrizzazione e formazione di aree di fibrosi più ricche di collagene e meno cellulari • Infine: la densa fibrosi può provocare collasso della parete alveolare e formazione di aree a nido d'ape, formate da spazi aerei fibrotico-cistici, frequentemente rivestiti da epitelio bronchiolare e pneumociti di tipo II iperplastici (riparazione)e riempiti di muco→ polmone a favo d’api. - infiltrato flogistico lieve delle aree necrotiche La distribuzione sottopleurica e parasettale, il carattere disomogeneo e l'eterogeneità temporale sono le caratteristiche più utili per identificare la UIP. Clinica Le manifestazioni cliniche della IPF comprendono la dispnea da sforzo, la tosse non produttiva e i crepitii inspiratori simili al suono del velcro all'auscultazione del torace. Nelle fasi avanzate della malattia, possono comparire i segni dell’ipossiemia , l'ippocratismo digitale (perdita del normale angolo a livello del letto ungueale) e la cianosi. Il decorso della IPF è nella maggior parte dei casi progressivo, nonostante la terapia farmacologia e la media di sopravvivenza è < 3 anni. L’unica terapia definitiva è il trapianto di polmone. 3b. Polmonite interstiziale aspecifica Gruppo di malattie interstiziali polmonari diffuse, ad eziologia del tutto sconosciuta. Le biopsie polmonari non riescono a dimostrare un quadro sovrapponibile a nessuna delle patologie interstiziali ben caratterizzate. La diagnosi è molto importante però perché questi pz presentano una prognosi decisamente migliore rispetto ai pazienti con UIP. Morfologia Flogosi interstiziale cronica lieve o moderata, con distribuzione uniforme. Fibrosi interstiziale diffusa ed uniforme, senza eterogeneità temporale (assenza di focolai fibroblastici) Clinica Dispnea e tosse per molti mesi. Prognosi decisamente migliore rispetto a quello della UIP. 3c. Polmonite criptogenetica in via di organizzazione La polmonite criptogenetica in via di organizzazione (Cryptogenic Organizing pneumonia COP) è anche detta bronchiolite obliterante evolutiva in polmonite. 59 Clinica: dispnea e tosse Rx: aree non uniformi di addensamento parenchimale in sede subpleurica o peirbronchiale Istologia: fibrosi intralveolare→ formazione di tappi polipoidi di connettivo lasso fibrotico nei dotti alveolari e negli alveoli, mentre la sottostante architettura polmonare è mantenuta normale. Non vi è fibrosi interstiziale o polmonite a favo d’api. Terapia: guarigione spontanea o dopo trattamento steroideo. 3d. Interessamento polmonare nelle collagenopatie vascolari Sclerosi sistemica: malattia cronica ad eziologia sconosciuta caratterizzata da abnorme accumulo di tessuto fibroso nella cute ed in molti organi. Probabilmente è dovuta ad accumulo di risposte immunitarie anomale e danno vascolare, che portano ad accumulo locale di fattori di crescita che agiscono stimolando la produzione di collagene. I polmoni sono coinvolti nel 50% dei pz: può provocare ipertensione polmonare (disfunzione endoteliale vascolare dei polmoni→ vasocostrizione polmonare) e fibrosi polmonare. Il quadro della fibrosi polmonare, quando presente è indistinguibile da quello della polmonite interstiziale aspecifica. Lupus eritematoso sistemico: malattia di origine multifattoriale che vede attivazione delle cellule T helper e B con conseguente produzione di auto anticorpi di diverse specie e che reagiscono contro numerosi organi. Il polmone è frequentemente coinvolto con pleurite e versamenti pleurici e meno frrequentemente con fibrosi interstiziale cronica, che si manifesta istologicamente con un quadro di infiltrati parenchimali disomogeni e transitori. Artrite reumatoide: malattia infiammatoria cronica, dovuta a meccanismi autoimmuni a loro volta scatenati dall’esposizione di un ospite geneticamente sensibile ad un antigene artritogenico. Aggredisce principalmente le articolazioni anche se può colpire in realtà molti organi, fra cui anche il polmone. A livello polmonare può causare: 1. pleurite cronica, con o senza versamento 2. fibrosi interstiziale diffusa 3. noduli reumatoidi intrapolmonari 4. ipertensione polmonare L’interessamento polmonare in queste malattie è solitamente associato a prognosi peggiore, anche se sempre migliore della UIP idiopatica 3e. Pneumoconiosi Termine che comprende uno spettro di patologie causate dall’inalazione di particelle organiche e inorganiche, fumo, vapori chimici. Patogenesi La patogenesi risulta differente per ogni tipo di pneumoconiosi, ma alcune caratteristiche patogenetiche accomunano tutte queste patologie. Lo sviluppo e la gravità della pneumoconiosi dipendono da: a. quantità di polvere trattenuta nei polmoni: a sua volta influenzata da • concentrazione della polvere nell’aria 60 • durata dell’esposizione • efficacia dei meccanismi di clearance. b. Dimensioni, forma e galleggiabilità delle particelle: le particelle più dannose hanno diametro di 1-5 µm. → riescono a raggiungere gli alveoli e possono localizzarsi nei setti in condizioni normali i macrofagi alveolari sono pochi, ma se la polvere raggiunge gli alveoli il loro numero aumente rapidamente → induzione di una risposta infiammatoria c. Solubilità e reattività biochimica delle particelle Tanto più piccola e più solubile è la particella, tanto più facilmente si scioglie nei liquidi polmonari, raggiungendo rapidamente effetti tossici → danno polmonare acuto Se invece la particella è grande e poco solubile, resiste con facilità alla dissoluzione e persiste nel parenchima polmonare per molto tempo → danno polmonare cronico Il tutto è anche influenzato dalla reattività della particella d. possibili ulteriori effetti di altri irritanti (fumo) Il fumo di tabacco peggiora gli effetti di tutte le polveri minerali inalate, poiché blocca le ciglia dell’epitelio respiratorio e dunque diminuisce la clearence delle vie respiratorie nei cfr delle particelle inalate. Tuttavia il fumo viene ad esercitare il > effetto peggiorativo se sommato agli effetti dell’asbesto. Alcune particelle non vengono ad esercitare solo un’azione irritante locale, ma possono scatenare reazioni infiammatorie sistemiche, una volta raggiunto il circolo linfatico o ematico (direttamente o trasportate dai macrofagi). PNEUMOCONIOSI da MINATORI DI CARBONE Si possono presentare 3 quadri clinici in seguito all’esposizione prolungata a polvere di carbone nelle miniere di carbone: 1) antracosi asintomatica: di comune riscontro in tutti coloro che vivono in un ambiente metropolitano. 2) pneumoconiosi semplice dei minatori di carbone (coal worker’s pneumoconiosis CWP) → scarsa o assente disfunzione polmonare 3) CWP complicata o fibrosi progressiva polmonare (progressive massive fibrosi PMF) → funzionalità polmonare compromessa. Il termine PMF è genereico e caratterizza una condizione istologica che si può verificare come complicanza di qualsiasi pneumoconiosi Morfologia 1) antracosi: - facogitosi ed accumulo del carbone inalato da parte dei macrofagi alveolari o interstiziali. - Deposito dei macrofagi lungo i linfatici o nel linfoide organizzato lungo i bronchi o all’ilo→ strie lineari ed aggregati di pigmento antracotico nei linfatici e linfonodi polmonari. 2) CWP semplice: - macule di carbone (1-2mm.): macrofagi ripieni di carbone - noduli di carbone (> 2mm.) : macrofagi ripieni di carbone tenuti insieme da una sottile rete collagene 61 - lesioni distribuite uniformemente nel polmone, ma con > concentrazione nei lobi superiori, soprattutto vicino ai bronchioli respiratori, sede dell’iniziale accumulo di polvere. 3) CWP complicata: - cicatrici nere (> 2 cm e fino a 10 cm) multiple formate da collagene denso e pigmentato, con al centro spesso aree di necrosi - la fibrosi coinvolge gradualmente vasi sanguigni e vie aeree. Clinica La CWP semplice non si associa ad alcun sintomo respiratorio o la riduzione della funzionalità polmonare è davvero modesta La CWP complicata mostra disfunzione polmonare, ipertensione e cuore polmonare nel 10% dei casi associato a PMF SILICOSI La silicosi, la malattia professionale respiratoria più diffusa al mondo, insorge in genere dopo inalazione prolungata di piccole particelle di silice cristallina libera nelle miniere di metalli (di piombo, antracite, rame, argento, oro), nelle fonderie, nelle fabbriche di ceramica e vetro e nelle industrie estrattive delle rocce arenarie e del granito. Dunque le categorie professionali più a rischio sono minatori e soffiatori di vetro. Di solito, sono necessari 20-30 anni di esposizione prima che la malattia si renda manifesta, sebbene si sviluppi in < 10 anni quando l'esposizione alle polveri è molto alta. Molto meno comunemente, l’esposizione da mesi fino a pochi anni può provocare silicosi acuta. Patogenesi La silice è presente in forma cristallina e amorfa; le forma cristalline ed in particolare il quarzo che ne è la più diffusa, sono molto più fibrinogeniche di quelle amorfe. Le particelle di silice respirabili sono fagocitate dai macrofagi alveolari: parte dei macrofagi muore per gli effetti tossici della stessa silice ma rimagono macrofagi vitali, nei quali la silice causa attivazione e rilascio di enzimi citotossici e mediatori che inducono fibrosi del parenchima polmonare. Quando un macrofago muore, le particelle di silice vengono liberate e fagocitate da altri macrofagi e il processo può ripetersi. Se unito ad altri minerali il quarzo ha ridotto effetto fibrogenico e questo è importante perché negli ambienti lavorativi esso non è quasi mai puro. Morfologia Macroscopica - Fasi iniziali: noduli piccoli e ialini appena palpabili nelle zone superiori dei polmoni - Fasi successive: fusione dei noduli fibrotici con formazione di cicatrici dure e fibrotiche che possono presentare rammollimento centrale (sovrapposizione di TBC o di ischemia)→ marcata distorsione dell'architettura polmonare - Eventuale presenza di calcificazioni a guscio d’uovo nei linfonodi: sottili lamine di calcificazioni che circondano aree dove la calcificazione è assente. - Fase terminale: PMF Microscopica 62 - noduli: strati concentrici di collagene ialinizzato circondati da una capsula di collagene più denso. Clinica I pazienti con silicosi nodulare semplice non presentano né sintomi né, solitamente, compromissione respiratoria. Essi possono lamentare tosse ed espettorazione, ma tali sintomi sono dovuti alla bronchite industriale e si presentano con la stessa frequenza nei soggetti con rx normale. La silicosi a noduli confluenti, al contrario, può determinare grave dispnea, tosse ed espettorato. La gravità dell'affanno è correlata alla dimensione delle masse confluenti nei polmoni. Quando le masse sono molto estese, il paziente raggiunge una grave invalidità. Man mano che le masse invadono e obliterano il letto vascolare, si instaurano ipertensione polmonare e ipertrofia ventricolare destra. L’esordio clinico comunque avviene sempre con dispnea ed avviene negli stati finali della malattia: da quel momento in poi la malattia è progressiva anche se il paziente non è più esposto. La silicosi porta ad aumentata predisposizione alla TBC che molto spesso si sovrappone al quadro di silicosi. Questo avviene perché la silicosi deprime la risposta cellulo-mediata e perché i cristalli di silice inibiscono la capacità, già limitata, dei macrofagi di uccidere i micobatteri. È controverso un eventuale ruolo della silicosi nella patogenesi del carcinoma polmonare. Malattie legate all’asbesto Asbesto (amianto): cristalli idrati di silice L’esposizione professionale all’asbesto può provocare: - placche pleuriche: placche ben circoscritte di collagene denso e calcio sulla zona anteriore e postero-latreale della pleura parietale e sulla cupola diaframmatica. Non contengono evidenze che le correlino alla patologia da asbesto (corpi asbestosici), ma si manifestano quasi sempre in pz con storia di esposizione all’asbesto. - Fibrosi pleurica viscerale diffusa: molto rara, può portare alla formazione di aderenze polmone-cavità toracica - Versamenti pleurici: solitamente sierosi, a volte ematici - Carcinoma polmonare: rischio 5x nei lavoratori dell’asbesto. Se in associazione con fumo di sigaretta rischio 55x - Mesoteliomi: sono rari tumori del tessuto mesoteliale (pleura e peritoneo). Rischio 1000x. Il fumo di sigaretta non aumenta il rischio Patogenesi Vi sono 2 distinte forme di asbesto: 1) serpentino: fibre ricche e flessibili, più frequenti negli ambienti lavorativi. La struttura flessibile ed allungata rende più facile il loro intrappolamento nelle vie respiratorie superiori ed eliminazione dall’apparato mucociliare. 63 Sono maggiormente solubili, dunque anche se penetrano a livello polmonare, vengono gradualmente eliminati. Di conseguenza sono fibre meno patogene; in elevata concentrazione sono comunque associate a tutte le patologie amianto-correlate, tranne che al mesotelioma 2) anfibolo: fibre dritte e rigide, fragili, meno frequenti negli ambienti lavorativi. La struttura dritta e rigida permette loro di rimanere nel flusso aereo e di essere trasportati in profondità nei polmoni, dove possono penetrare nelle cellule epiteliali e raggiungere l’interstizio. Sono poco solubili, dunque non vengono facilmente eliminati. Di conseguenza sono fibre più patogene, in particolare associate all’induzione di mesoteliomi. Il meccanismo patogenetico è il seguente: arresto delle fibre asbestosiche a livello della biforcazione delle piccole vie aeree ↓ penetrazione delle fibre con lesione ↓ attivazione di macrofagi che tentano di fagocitare ed eliminare le particelle ↓ produzione di citochine pro-infiammatorie (amplificazione della risposta) e fibrogeniche da parte dei macrofagi. ↓ Deposizione di fibrina e instaurarsi di una reazione infiammatoria cronica, dunque persistente, che mantiene lo stimolo flogistico e fibrogenico ↓ Fibrosi interstiziale Se le fibre asbestosiche assorbono sostanze potenzialmente tossiche e cancerogene, come quelle contenute nel fumo, potenziano i loro effetti, trasportandole nella profondità del polmone: è per questo che l’esposizione ad asbesto associata al fumo aumenta in modo così ingente il rischio di carcinoma polmonare. Morfologia - - - fibrosi interstiziale polmonare diffusa, indistinguibile da quella dovuta ad altre cause patognomonica la presenza in grande quantità di corpuscoli asbestosici: corpi filiformi marroni-dorato, traslucidi. Sono formati da fibre di asbesto ricoperte da materiale proteinaceo contenente ferro. Si formano nel tentativo dei macrofagi di fagocitare ed eliminare le fibre di amianto (ferro dalla ferritina dei macrofagi) inizia intorno ai bronchioli respiratori e poi diffonde a sacchi alveolari ed alveoli, dando luogo ad un quadro molto simile alla UIP: presenza di focolai fibroblastici alternati a vari gradi di fibrosi→ fibrosi diffusa che distorce l’architettura polmonare→formazione di spazi cistici racchiusi in pareti fibrose→ polmonite a favo d’api la caratteristica distintiva è la presenza di corpuscoli asbestosici. Clinica La dispnea è il primo sintomo ( di solito dopo 10-20 anni dalla prima esposizione). 64 La malattia può rimanere stabile o progredire verso insufficienza respiratoria→cuore polmonare→morte. MALATTIE GRANULOMATOSE 3f. Sarcoidosi Malattia sistemica ad eziologia ignota, caratterizzata dalla formazione di granulomi non caseosi in molti tessuti ed organi. L’interessamento polmonare si può vedere nel 90% dei casi. Prevalenza più alta nelle donne e nei neri americani degli Stati Uniti. È invece molto rara nei cinesi e negli abitanti del Sud Est asiatico. Eziologia e patogenesi L’eziologia è sconosciuta. Sono stati individuati alcuni fattori sicuramente predisponenti: 1. fattori immunologici: nel granuloma sarcoidotico vi sono numerose alterazioni immunologiche che suggeriscono sviluppo di una risposta cellulo-mediata di tipo TH ad antigeni ambientali, come base per la formazione del granuloma medesimo. Questi fattori sono: - accumulo di cellule T CD4+ - espansione oligoclonale delle cellule T - ↑ livelli di citochine prodotte dai TH1 (IL2→ espansione T-cellulare; IFNγ→attivazione dei macrofagi) 2. fattori genetici: la predisposizione genetica è dimostrata da - raggruppamento di casi in gruppi familiari - associazione con alcuni genotipi HLA 3. Fattori ambientali: ruolo incerto Morfologia Granuloma non caseoso: caratterizzato dalla presenza di: - cellule epitelioidi molto raggruppate - cellule di Langhans o cellule giganti da corpo estraneo - rara necrosi centrale - reazione fibrosclerotica perifierica o, nelle fasi più avanzate, cicatrici fibrose ialine che sostituiscono completamente il granuloma - corpi di Schaumann: concrezioni lamellari composte da calcio e proteine - corpi asteroidi: inclusioni stellate dentro le cellule giganti. Nessuno di questi reperti è patognomonico di sarcoidosi perché può essere riscontrato anche a livello di altri tessuti. Il quadro suddiviso per i diversi organi interessati è il seguente: a. polmone: macroscopica→ non vi sono alterazioni dimostrabili. Raramente piccoli noduli dovuti alla coalescenza dei granulomi microscopica→ granulomi diffusi soprattutto lungo i linfatici, i bronchi ed i vasi sanguigni. Forte tendenza a guarire delle lesioni a livello polmonare, dunque marcata fibrosi e ialinizzazione b. linfonodi: interessati nel 90% dei casi (soprattutto ilari e mediastinici). 65 Sono aumentati di volume, separati, talvolta calcificati c. milza: coinvolta microscopicamente in ¾ dei casi. Ingrandita macroscopicamente in 1/5 dei casi d. fegato: coinvolto un po’ meno della milza. Può essere leggermente ingrandito e. midollo osseo: frequente sito di coinvolgimento f. lesioni cutanee assumono aspetti macroscopici diversi→ noduli sottocutanei palpabili, placche eritematose leggermente rilevate, lesioni piane un poco arrossate e desquamate g. occhio, ghiandole lacrimali, ghiandole salivari: h. interessamento muscolare: spesso sottodiagnosticato, perché può essere asintomatico Clinica La malattia ha diverse presentazioni cliniche a causa della varietà di organi e tessuti interessati. Gli esordi clinico più diffuso sono insidiosi e vedono: - alterazioni respiratorie: affaticamento, tosse, dolore toracico - sintomatologia generale: affaticamento, febbre, calo ponderale, anoressia, sudorazioni notturne Il decorso può essere anch’esso molto vario: - progressivo e lentamente peggiorativo - presenza di periodi di acutizzazione alternati a remissione Il 70% dei pz guarisce con reliquati minimi o nulli. 20% guarisce con alterazioni permanenti della funzionalità polmonare o visiva 10-15% morte per fibrosi polmonare progressiva, o più raramente per patologia cardiaca. 3g. Polmonite da ipersensibilità è una malattia granulomatosa interstiziale diffusa del polmone, determinata da una reazione allergica all'inalazione di polveri organiche inalate o, meno frequentemente, di sostanze chimiche semplici. In realtà definisce uno spettro piuttosto ampio di malattie, provocate da prolungata esposizione (mesi o settimane) a polveri. Le più comuni sono: - polmone del contadino: per inalazione di polveri generate dal fieno raccolto umido e tiepido, che ospita e permete la proliferazione di spore di actinomiceti termofili. - Polmone dell’allevatore di piccioni: per inalazione di polveri contenenti le proteine del siero, delle secrezioni o delle piume dei piccioni - Polmone da aria condizionata/umidificatore: inalazione di polveri contenenti batteri termofili presenti nell’acqua riscaldata dei serbatoi. La caratteristica comune è che la sovraesposizione provoca aumento della risposta immunomediata contro l’antigene inalato e dunque infiammazione ed iperreattività che si manifesta a livello alveolare; l’esposizione continua anche successivamente agli attacchi acuti, può determinare progressione verso malattie polmonari croniche 66 fibrotiche. L’allontanamento dall’agente ambientale è una forma di prevenzione sempre efficace, previo sviluppo della forma cronica. Patogenesi La polmonite da ipersensibilità è considerata immunologicamente mediata, sebbene la patogenesi non sia completamente chiarita. Di solito si dimostrano Ac precipitanti contro gli Ag responsabili, il che depone per una reazione allergica di tipo III, sebbene la vasculite non sia un reperto frequente. La risposta granulomatosa primaria del tessuto e i riscontri nei modelli animali indicano una reazione di ipersensibilità di tipo IV. Si pensa dunque che rappresenti una risposta immunomediata ad un Ag estrinseco che stimoli sia reazione da immunocomplessi, sia reazione di ipersensibilità ritardata. Morfologia 1) polmonite interstiziale con accumuli di linfociti, plasmacellule e macrofagi (ipersensibilità III) 2) granulomi non caseosi molto frequenti 3) nelle fasi avanzate fibrosi interstiziale ed eventuale bronchiolite obliterante Clinica Nella forma acuta si manifestano episodi di febbre, brividi, tosse e dispnea in un soggetto già sensibilizzato, tipicamente 4-6 h dopo la riesposizione all'Ag. Possono essere presenti anche anoressia, nausea e vomito. Alla radiografia del torace si vedono infiltrati diffusi e nodulari. Le prove di funzionalità respiratoria mostrano un quadro restrittivo con volumi polmonari ridotti L'ostruzione delle vie aeree è infrequente nella malattia acuta, ma può svilupparsi nella forma cronica. Nella forma cronica, si possono sviluppare nel giro di mesi o anni di prolungata esposizione, dispnea da sforzo ingravescente, tosse produttiva, astenia e perdita di peso; la malattia può evolvere fino all'insufficienza respiratoria. Nella forma cronica non si hanno più riacutizzazioni in deguito all’esposizione all’antigene. 4. Malattie di origine vascolare 4a. Ipertensione polmonare Si parla di ipertensione polmonare quando la pressione polmonare media raggiunge o supera ¼ di quella sistemica (normalmente 1/8). Pressione polmonare normale: <25 mmHg a riposo <30 mmHg sotto sforzo Ipertensione: lieve; 26-35 mmHg moderata: 36-45 mmHg. Severa: >45 mmHg. L’ipertensione polmonare può essere 67 1) primaria o idiopatica:è rara e si presenta in pz in cui tutte le cause note di ipertensione polmonare sono state escluse. Può essere a sua volta: • familiare (6% delle cause totali di ipertensione): dovuta a trasmissione autosomica dominante. La dominanza è però incompleta, dunque di fatto solo il 20-30% dei membri familiari sviluppa malattia conclamata • sporadica: dovuta a disordini autoimmuni, sostanze tossiche o altro che provocano probabilmente una mutazione ex novo. È molto rara 2) secondaria: è la più frequente ed è dovuta a condizioni strutturali cardiopolmonari che aumentano il flusso o la resistenza ad esso, o la resistenza al flusso ematico nel cuore sinistro. L e condizioni comprendono: • precedenti cardiopatie congenite o acquisite: pz con stenosi mitralica, incremento della pressione striale sinistra, incremento della pressione venosa e dunque arteriosa polmonare. • Malattie diffuse ostruttive e restrittive: comporta riduzione dell’area totale del letto vascolare, a causa della distruzione del parenchima polmonare con riduzione del letto capillare alveolare (patologia restrittiva) o della riduzione del lume delle vie aeree(patologia restrittiva). La conseguenza è l’aumento della pressione venosa polmonare e dunque aumento anche della pressione arteriosa polmonare. • Tromboembolie ricorrenti: pazienti con embolie polmonari ricorenti vedono diminuzione dell’area totale del letto vascolare polmonare, ostruito dagli emboli ricorrenti e conseguente aumento delle resistenze. • Disturbi autoimmuni: molte malattie autoimmuni interessano il circolo polmonare causando patologia di tipo restrittivo e dunque fibrosi ed ipertrofia anche a livello vascolare. Patogenesi IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA a) Familiare Causata da mutazione del gene che codifica per il recettore di tipo2 della proteina morfogenica dell’osso (BMPR2). Normalmente la BMPR2 è una proteina recettoriale di superficie, che lega una varietà di citocchine tra cui il BMP, cioè la proteina morfogenetica dell’osso. La via di segnalazione innescata dal legame BMPBMPR2, non è coinvolta esclusivamente nellì’accrescimento dell’osso, ma anche nel’embriogenesi, nell’apoptosi e nella proliferazione e differenziazione cellulare.Nelle cellule muscolari lisce dei vasi, il meccanismo di trasmissione del segnale per la BMPR2 causa inibizione della proliferazione e favorisce l’apoptosi. L’iperetnsione polmonare primitiva è dunque causata da mutazioni inattivanti del gen della BMPR2, con conseguente proliferazione delle cellule muscolari liscie, e delle cellule intimali e restringimento del lume dei vasi con aumento della resistenza al flusso. b) Sporadica: Dovuta a mutazioni insorte ex.novo del gene che codifica per la BMPR2. La manifestazione clinica di entrambi i tipi di ipertensione polmonare primitiva richiede l’assoziazione con una serie di fattori genetici ed ambientali: 68 - esistenza di geni modificatori, principalmente quelli che controllano il tono vascolare farmaci: anfetamine, triptofano, anoressanti che stimolano tutti la produzione di serotonina (vasocostrittrice, effetto fitogeno sul muscolo liscio, aumenta aggregazione piastrinica) condizioni fisiche: sesso femminile ( è più frequente), gravidanza, splenectomia. Patologie associate: infezione da HIV, collagenopatie ecc… IPERTENSIONE POLMONARE SECONDARIA Il danno tipico della patologia associata comporta infine aumento del flusso o della resistenza al flusso. Da un punto di vista molecolare frequentemente si ha: aumento della produzione di endotelina ( sostanza vasocostrittrice) riduzione della produzione di prostaciclina ed NO (sostanze vasodilatatrici): questa riduzione comporta inoltre stimolo dell’ativazione ed aggregazione piastrinica, con eventuale trombosi sovrapposta ed ulteriore riduzione del lume. Produzione e rilascio di Gf e di citochine che stimolano la migrazione e la replicazione delle cellule muscolari lisce dei vasi. Morfologia L’ipertensione provoca disfunzione e danno a livello endoteliale: da esso deriva la caratterizzazione morfologica dell’ipertensione. Il danno vascolare può interessare l’intero albero vascolare polmonare ma generalmente vengono colpite soprattutto arteriole e piccole arterie. Frequentemente si ha: ipertrofia della tonaca media ed iperplasia intimale delle medesime eventuale fibrosi intimale con ulteriore restringimento del lume nei casi estremi si ha arteriopatia plessogenica polmonare: ciuffo di vasellini a plesso (tessuto di granulazione) che circonda i lumi delle piccole arterie e può arrivare ad occluderne i lumi Nei casi più gravi sono interessate le grandi arterie polmonari con: aterosclerosi, del tutto simile all’aterosclerosi sistemica. In ogni caso la risposta endoteliale all’ipertensione polmonare, comporta ulteriore ispessimento delle pareti arteriolari (raramente delle grandi arterie), con conseguente ulteriore riduzione del lume ed aggravamento dell’ipertensione. IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA danno arteriolare severo IPERTENSIONE POLMONARE SECONDARIA danno arteriolare meno severo ed associato a segni della patologia che l’ha indotto (trombi, interstiziopatia, enfisema) Clinica L’esordio clinico avviene sempre nella fase avanzata della malattia IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA Colpisce soprattutto donne fra 20 e 40 anni. Sintomi all’esordio: dispnea ed affaticamento, eventualmente dolore toracico di tipo anginoso 69 Sintomi successivi: grave difficoltà respiratoria e cianosi Sintomi terminali: ipertrofia ventricolare dx e cuore polmonare. Se non viene eseguito trapianto si ha morte tra i 2 ed i 5 anni nell’80% dei pz. IPERTENSIONE POLMONARE SECONDARIA Colpisce soprattutto gli anziani, a vote in modo quasi parafisiologico. Il decorso è lento e la prognosi è ampiamente dipendente dalla patologia che ha indotto l’ipertensione medesima. 4b. Embolia, emorragia ed infarto polmonare I trombi che occludono le arterie polmonari sono quasi sempre di origine embolia e dunque si può parlare tranquillamente di embolia polmonare riferendosi ad essi. Il tipo più comune di embolia polmonare è un trombo migrato comunemente da una vena degli arti inferiori o della pelvi (95%). L’arresto dell’embolo può avvenire a livello di tronco dell'arteria polmonare, oppure a livello dell’ arteria polmonare destra o sinistra oppure ad uno dei rami di suddivisione periferici e dunque più piccoli. Alle diverse localizzazioni corrispondono quadri differenti per sintomatologia e per svolgimento. L'embolia polmonare è un'emergenza cardiovascolare grave, non infrequente, con una mortalità del 30% nei casi con riconoscimento e trattamento precoce, che arriva quasi al 100% quando la diagnosi viene effettuata tardivamente. Fattori predisponesti allo sviluppo di embolia polmonare sono: presenza di una malattia cronica, come cardiopatie o tumori che provocano già un quadro di circolazione insufficiente a livello polmonare pz immobilizzati per giorni osettimane: il maggiore rischio si ha in quelli con frattura del bacino stati di ipercosgulabilità primaria o secondarai cateteri venosi centrali a permanenza, che possono essere causa di trombi nell’atrio dx che danno origine ad emboli. Morfologia EMBOLO di GRANDI DIMENSIONI Si può fermare nel tronco dell’arteria polmonare, localizzarsi a livello della biforcazione (embolo a sella), o nei due rami principali dell’arteria polmonare. Ne consegue spesso ostruzione al flusso dell’intero polmone che causa in modo molto veloca: compromissione respiratoria totale del polmone: tutto il polmone dx o sx, oppure entrambi sono ventilati ma non per fusi. Compromissione emodinamica acuta: aumento critico della resistenza polmonare. Insorgenza di cuore polmonare, morte praticamente istantanea. In questo caso durante la rianimazione si osserva caratteristicamente una dissociazione elettromeccanica: l’ECG mostra una traccia, ma mancano i polsi periferici a causa di massiccio arresto di sangue nella circolazione venosa. 70 EMBOLO di PICCOLE DIMENSIONI Si ferma nei vasi periferici. nei pz con fnz cardiovascolare normale, le arterie bronchiali sostengono temporaneamente l’apposrto sanguigno al parenchima polmonare. Gli emboli spesso si risolvono attraverso fibrinolisi. A volte la sovrapposizione di numerosi emboli ripetuti può provocare ipertensione polmonare, che può poi dare luogo a sclerosi vascolare polmonare e cuore polmonare cronico.La cosa importante è che l’insorgenza di un picclo embolo può fare prevedere l’insorgenza di un successivo embolo più grande che si verifica nel 30% dei casi. Nei pz con circolazione già insufficiente, si verifica invece infarto polmonare, classicamente emorragico ( per necrosi delle cellule endoteliali a valle dell’occlusione). Classicamente l’infarto emorragico è a forma di cuneo, dalla periferia del polmone con apice diretto verso l’ilo; il vaso occluso è vicino all’apice dell’infarto. Si ha conservazione della struttura alveolare pre-esistente. Sono interessati i lobi inferiori e frequentemente si hanno lesioni multiple. Fasi precoci: area rilevata di colore rosso-bluastro. Entro 48 ore: inizio della lisi dei globuli rossi . gradualmente l’infarto diviene pallido ed infine di colore rosso-marrone per la produzione di emosiderina. Quindi inizia la sostituzione fibrosa che porta infine l’infarto a divenire una cicatrice. se l’embolo è setticoe causa infarto (infarto settico) si ha maggiore infiltrazione di neutrofili, ed è possibile evoluzione in ascesso polmonare. Clinica EMBOLO di GRANDI DIMENSIONI morte istantanea nella >parte dei casi se il pz sopravvive si può sviluppare una sd clinica che simula l’infarto miocardio (dolore anginoso, dispnea, shock, aumento della temperatura e della LDH sierica. EMBOLO di PICCOLE DIMENSIONI in mancanza di infarto: dolore toracico transitorio, tosse e brevi emorragie polmonari se presente infarto: dolore toracico, tosse, dispnea, tachipnea, febbre. La radiografia può evidenziare l’infarto 12-36 h dopo, come addensamento a forma di cuneo. La TAC o il dosaggio del D-dimero possono diagnosticare embolia. L’angiografia polmonare è l’esame più specifico, ma rischioso per il pz. La prevenzione dell’embolia si può fare con: precoce ripresa della deambulazione nel post-operatorio e nel post-partum utilizzo di calze elastiche a compressione graduata nei pz allettati uao di anticoagulanti Terapia con antitrombotici ed anticoagulanti 71 4c. Sindrome emorragica polmonare diffusa SINDROME di GOODPASTURE Rara malattia autoimmune caratterizzata da auto-Ac circolanti contro la catena α3 del collagene IV. Gli epitopi che scatenano la reazione autoimmune sono normalmente nascosti all’interno della molecola, dunque per lo sviluppo della malattia è necessaria l’esposizione a fattori ambientali (infezioni, idrocarburi solventi, fumo) che smascherino l’antigene. Gli anticorpi determinano distruzione delle mbr basali di: - glomeruli renali → glomerulonefrite rapidamente progressiva - alveoli polmonari → polmonita interstiziale necrotizzante emorragica La maggior parte dei casi si sviluppa durante l’adolescenza con prevalenza nel sesso maschile Morfologia Macroscopica: polmoni pesanti, con aree rosso-marroni Microscopica: - necrosi delle pareti alveolari con emorragie intra-alveolari - presenza di macrofagi ripieni di emosiderina - reazione di riparazione negli stdi avanzati; fibrosi dei setti, ipertrofia pneumociti di tipo II, organizzazione del sangue negli spazi alveolari. Immunofluorescenza: - depositi lineari di immunoglobuline, lungo le membrane basali delle pareti dei setti Clinica Esordio clinico tipico: sintomatologia polmonare→ emottisi, e addensamenti polmonari focali alla rx Manifestazioni successive: sintomatologia renale→ insufficienza renale rapidamente progressivaù Morte frequentemente per uremia Terapia: - plasmaferesi: eliminazione degli auto-Ac circolanti e dei mediatori dell’infiammazione - terapia immunosoppressiva EMOSIDEROSI POLMONARE IDIOPATICA Rara malattia ad eziologia sconosciuta (si ipotizza meccanismo immunologico) che vede emorragia alveolare diffusa ed intermittente. Colpisce più frequentemente i bambini. L’esordio è insidioso con tosse produttiva, emoftoe, anemia e calo ponderale. Alla rx del torace addensamenti polmonari diffusi. Terapia: vi è risposta favorevole all’immunosoppressione e questo favorisce l’ipotesi di una eziologia immunitaria della malattia. GRANULOMATOSI di WEGENER È una malattia autoimmune che interessa soprattutto tratto aereo superiore (orecchio, naso, seni paranasali) e polmoni, con presenza di: - granulomi necrotizzanti acuti; diffusi, indefiniti 72 - capillarite; vasculite necrotizzante che colpisce i vasi di piccole dimensioni. Di solito nella triade è presente anche interessamento renale con glomerulonefriti necrotizzanti, focali e spesso a semilune. I maschi sono più colpiti, tipicamente intorno ai 40 anni, con picco nella quinta decade. Clinica L’esordio è spesso con emoftoe. Tipicamente poi si ha: - polmonite persistente con infiltrati nodulari bilaterali che spesso vanno incontro a cavitazione - sinusite cronica - ulcerazioni del rino-faringe - sintomi renali Senza terapia la malattia ha decorso maligno con morte entro 1 anno. Diagnosi Per la diagnosi è necessario fare una biopsia polmonare transbronchiale: tuttavia poiché il materiale che puoi prelevare con questo esame è piccolo rischi di prelevare campioni privi del quadro istologico caratteristico e dunque non identificativi. 5. Infezioni polmonari Le infezioni dell’apparato respiratorio in generale sono le più rilevanti dal punto di vista epudemiologico e costituiscono la prima causa di interessamento medico nei bambini e negli anziani Le infezioni che si verificano a livello del polmone inoltre hanno spesso conseguenze gravi, in particolare se associate ad altre patologie, ed hanno ancora un discreto grado di morbidità e di mortalità; la polmonite è dunque ancora gravata da un’alta percentuale di prognosi infausta. Le vie respiratorie sono dotate di importanti meccanismi di difesa “naturali”; dunque la polmonite può insorgere in seguito a: - compromissione dei meccanismi di difesa - compromissione locale o generale delle difese immunitarie. Alcuni dei meccanismi più implicati nella compromissione dei meccanismi di difesa sono: • Perdita del riflesso della tosse: nel coma, nell’anestesia, in presenza di alterazioni neuromuscolari, dovuta a farmaci. Può provocare aspirazione del contenuto gastrico • Danno e compromissione della funzionalità dell’apparato mucociliare: fumo di sigaretta, inalazione di sostanze tossiche, patologie pregresse. • Interferenze con la capacità battericida dei macrofagi. • Congestione ed edema polmonare • Accumulo di secrezioni Alcuni dei meccanismi più implicati nella compromissione dei meccanismi immunitari sono: • deficit immunologici genetici 73 • • deficit immunologici indotti da patologie trattamenti immunosoppressivi Si ha prevalenza di queste infezioni nei mesi freddi (> probabilità di sovraffollamento in ambienti chiusi, < movimento delle ciglia, > probabilità di situazioni di flogosi indotte dal freddo). Solitamente la trasmissione avviene per inalazione di aerosol infetti (goccioline di Plflugge). Raramente si ha polmonite secondaria alla diffusione ematogena di un’altra infezione 5a. Polmoniti acute comunitarie Per polmonite comunitaria si intende una polmonite riscontrata al di fuori dell’ambito ospedaliero. Le polmoniti comunitarie acute, possono essere batteriche o virali. Le virali sono racchiuse nel capitolo delle polmoniti comunitarie atipiche. L’infezione batterica spesso segue infezione virale del tratto respiratorio superiore Nell’infezione batterica si ha formazione di essudato infiammatorio di tipo acuto all’interno degli alveoli polmonari, con addensamento del tessuto polmonare, e scomparsa del murmure vescicolare (crepitio riscontrabile a causa dell’estensione degli alveoli) all’auscultazione. Agenti eziologici - streptococcus pneumoniae staphylococcus aureus Haemophylus influenzae Enterobatteri gram – Pseudomonas aerugionosa → specie negli immunodepressi Legionella pneumophila Moraxella catarrhalis Klebsiella pneumoniae Morfologia All’esame radiologico e macroscopico la polmonite batterica presenta due quadri: 1) broncopolmonite lobulare: formazione di foci multipli di infiltrazione ed addensamento a livello peribronchiolare, opacità focali all’rx 2) polmonite lobare: addensamento fibrinoso suppurativo di gran parte o di tutto il lobo, con opacizzazione lobare all’rx. Molto spesso una broncopolmonite lobulare, vede espansione e convergenza degli infiltrati multifocali, determinando addensamento lobare totale e dunque evolve verso in una polmonite lobare. I due quadri clinici non sono così distinti. Clinicamente ciò che è più importante e determina differenziazione della prognosi e della terapia è l’identificazione dell’agente eziologico e dell’estensione della malattia. Broncopolmonite lobulare Aree addensate di infiammazione suppurativa acuta, con diametro fra i 3-4cm. Addensamento a chiazze e multilobare, presente soprattutto in zona basale. Presenza di essudato purulento che riempie bronchi, bronchioli e alveoli adiacenti al focolaio stesso. 74 Polmonite lobare Sono stati descritti 4 stadi della risposta infiammatoria, applicabili soprattutto alla polmonite lobare: d) congestione→ congestione vascolare ed edema, dovuta alla risposta infiammatoria all’invasione batterica. macroscopica: polmone pesante, edematoso, rosso microscopica: essudato intra-alveolare con molti batteri e pochi neutrofili che stanno cominciando ad accumularsi. e) epatizzazione rossa→ la risposta infiammatoria prosegue con aumento dell’essudazione macroscopica: polmone rosso, duro, di consistenza epatica microscopica: essudazione massiva di globuli rossi, neutrofili e fibrina negli spazi alveolari f) epatizzazione grigia→ progressiva lisi dei g.r. e essudazione fibrinosa che prosegue macroscopica: polmone di colore marrone grigiastro, con spf asciutta microscopica: disgregazione dei globuli rossi, essudato ricco di fibrina che comincia ad organizzarsi, iniziale presenza di macrofagi g) risoluzione→ progressiva digestione enzimatica dell’essudato intra-alveolare, fino alla produzione di una sostanza semifluida che: - viene fagocitata dai macrofagi - viene espettorata - viene organizzata dai fibroblasti Vi può essere pleurite, cioè reazione fibrinosa della pleura al di sopra dell’infiammazione: può risolveri venendo riassorbita, ma più frequentemente causa aderenze. Complicanze - formazione di ascessi →danno e necrosi tissutale - empiema → reazione fibrinoso-suppurativa intrapleurica dovuta a diffusione dell’infezione alla cavità pleurica - organizzazione dell’essudato → trasformazione di una parte del polmone in tessuto solido - disseminazione batterica Clinica Esordio clinico: - febbre alta progressiva o con brividi (infezione da pneumococco), - tosse che può essere produttiva, con escreato muco-purulento, a volte con strie ematiche, - emottisi in alcuni casi Se vi è pleurite associata si hanno dolore e sfregamenti pleurici Terapia Nella maggior parte dei acsi antibiotica, dopo identificazione dell’agente eziologico tramite indagine sull’espettorato 75 5b. Polmoniti atipiche comunitarie Vengono così denominate, le polmoniti caratterizzate da: - modesta quantità di escreato - radiografia rx che evidenzia: mancanza di opacizzazione del parenchima, ma presenza di infiltrato infiammatori e fibrosi a livello interstiziale e nei setti alveolari. - moderato aumento della conta leucocitaria - scarso essudato alveolare Agenti eziologici - Mycoplasma pneumoniae: è la più comune forma di polmonite atipica, presente soprattutto tra bambini ed adolescenti Chlamydia pneumonia Coxiella Burnetii Virus: influenzali e parainfluenzali, adenovirus, rinovirus, coronavirus Patogenesi Frequentemente secondaria ad un’infezione delle vie respiratorie superiori causata dai medesimi virus, che si estende a livello polmonare, con flogosi interstiziale degli alveoli. Morfologia - la reazione infiammatoria è prevalentemente interstiziale, all’interno delle pareti degli alveoli la reazione infiammatoria è prevalentemente di tipo mononucleato, vedendo un infiltrato nei setti alveolari formato da limfociti, istiociti e solo a volte plasmacellule (poco presenti neutrofili) i setti alveolari sono inspessiti ed edematosi inizialmente e poi possono andare incontro ad organizzazione fibrotica gli alveoli hanno essudato assente o scarso e costituito da materiale proteinaceo e cellule mononucleate. Presenza di mbr ialine di colore rosa che rivestono le pareti alveolari (come nell’ARDS) L’eradicazione dell’infezione vede il normale reinstaurarsi dell’architettura polmonare. Le sovrainfezioni batteriche modificano il quadro istologico. Clinica Caratteristicamente questo tipo di infezioni presenta un esordio clinico con pochi sintomi che permettono di identificare la localizzazione polmonare. L’esordio può essere anche senza tosse e caratterizzato solo da febbre, cefalea, dolori muscolari ed alle articolazioni. Seguono i sintomi tipici del ridotto scambio gassoso: dispnea, tachipnea, dolore toracico ed eventualmente cianosi. 5c. Polmoniti nosocomiali Per polmonite nosocomiale si intende una polmonite contratta in ambito ospedaliero, cioè almeno dopo 48h di ricovero. Condizioni predisponenti sono: - l’affollamento che si ha in ambito ospedaliero 76 - la presenza di infezione cronica pre-esistente o di condizione di immunodepressione la presenza di ascessi o cateteri intravascolari che possono frequentemente portare all’interno dell’organismo (nel sangue) patogeni - le procedure invasive a livello respiratorio (come intubazioni) Inoltre i batteri che causano infezioni nosocomiali spesso hanno acquisito antibioticoresistenza nell’ambito ospedaliero e spesso vanno ad instaurarsi su pz già debilitati: questo spiega perché le infezioni nosocomiali siano un reale problema sanitario che frequentemente può portare anche a morte. Gli agenti eziologici più comuni sono: batteri gram – (enterobatteri gram-, pseudomonas, legionella) e Staphylococcus aureus. 5d. Polmonite da aspirazione Si verifica in pz molto debilitati, che hanno riflessi della deglutizione anormali, per: - aspirazione di contenuto gastrico dovuta a stato di incoscienza (coma, ictus, anestesia) - episodi di vomito ripetuti La polmonite viene ad essere contemporaneamente: - chimica →effetto estremamente irritante del succo gastrico acido sul polmone - batterica → contaminazione da parte della flora batterica orale (organismi anarerobi) In entrambi i casi la polmonite causa rapida necrosi e il suo decorso clinico può essere fulminante o causare, nei soggetti che sopravvivono, formazione di ascessi. 5e. Ascesso polmonare Processo suppurativo locale del polmone, caratterizzato principalmente dalla presenza di necrosi purulenta del parenchima polmonare. Eziologia e patogenesi Le cause più comuni associate ad ascesso polmonare sono: - aspirazione di materiale infetto → motivazioni viste precedentemente. È più frequente nel polmone dx (bronco principale dx più verticale) ed è spesso singola. Gli agenti eziologici sono organismi anaerobi, normalmente commensali del cavo orale. - Infezioni batteriche precedenti → generalmente da S. Aureus, Klebsiella Pneumoniae o pneumococchi. Sono più facili nei soggetti sottoposti a trapianto o immunodepressi. Sono di solito ascessi basali e diffusi. - Embolia settica → emboli settici provenienti da tromboflebiti o da endocardite batterica del cuore dx. Sono generalmente ascessi numerosi (embolia ricorrente) che possono interessare qualsiasi zona del polmone. - Neoplasia → nella zona a valle dell’ostruzione neoplastica (polmonite postostruttiva). - Miscellanea → trauma diretto penetrante dei polmoni; diffusione per contiguità di infezioni extra-polmonare; disseminazione ematogena al polmone di germi piogeni. Morfologia - lesioni di alcuni mm-6 cm che interessano qualsiasi parte del polmone, singole o numerose. Si ha necrosi purulenta della zona centrale dell’ascesso e infiltrazione essudativa di neutrofili e detriti suppurativi nell’intorno. 77 - Se c’è comunicazione con una delle vie aeree l’essudato purulento può essere parzialmente drenato creando una cavità piena di aria Se l’infezione persiste si ha formazione di cavità grandi, fetide, di colore verdenerastro, con scarsa demarcazione dei margini (gangrena polmonare). Facile colonizzazione da parte di infezioni saprofitiche. Clinica - tosse con abbondante escreato fetido purulento o ematico - febbre, dolore toracico, calo ponderale - ippocratismo digitale di mani e piedi entro alcune settimane adll’esordio La diagnosi è clinica e confermata da rx. Dopo la diagnosi è importante escludere la presenza di carcinoma sottostante, presente nel 10-15% dei casi. 6. Pleura L’interessamento patologico della pleura può essere: - secondario alla presenza di malattie sottostanti : occasionalmente la patologia pleurica viene ad avere ruolo dominante nelle manifestazioni cliniche → polmonite batterica che provoca empiema - primitivo: principalmente dovuto a • infezioni batteriche intrapleuriche primitive → batteriemia transitoria che nel suo passaggio viene ad interessare solo la pleura come focus isolato • neoplasie primitive della pleura → mesotelioma 6a. Versamento pleurico Manifestazione frequente di molte patologie polmonari, primitive o secondarie. Normalmente il liquido pleurico è costituito da non più di 15ml di siero chiaro, relativamente acellulare. Il versamento pleurico può essere: a) infiammatorio b) non infiammatorio VERSAMENTI PLEURICI INFIAMMATORI Sono le cosiddette pleuriti: • sierosa • siero-fibrinosa • fibrinosa che riflettono la formazione di essudato infiammatorio precoce (sierosa) o relativamente più tardiva (fibrinosa) nella cavità pleurica. Le cause più comuni sono le malattie infiammatorie polmonari →bronchiectasie, infarto polmonare, polmonite, ascesso polmonare, tubercolosi Anche alcune malattie sistemiche che interessano secondariamente il polmone possono provocare pleurite sierosa o siero-fibrinosa → lupus eritematoso, srtrite reumatoide, infezioni sistemiche diffuse, interessamento metastatico della pleura. L’accumulo di grandi quantità di liquido può determinare compressione polmonare. 78 Un caso particolare è l’empiema: essudato pleurico purulento dovuto a disseminazione batterica o micotica della cavità pleurica, per diffusione dei microrganismi da contigua infezione intrapolmonare. È caratterizzato da raccolta di pus saccata (localizzata a formare dei sacchi), gialloverdastra, cremosa, formata da neutrofili associati ad altri leucociti. L’empiema può risolversi ed essere riassorbito, ma più facilmente si avrà organizzazione dell’essudato e formazione di aderenze fibrose dense → ridotta espansione polmonare Un altro caso particolare è rappresentato da pleurite emorragica, poco frequente ed associata a diatesi emorragiche (deficit generale della cascata della coagulazione), nelle rickettsiosi e nell’interessamento neoplastico del cavo pleurico. Si tratta di un’essudazione siero-ematosa ad origine infiammatoria e non di un emotorace. VERSAMENTI PLEURICI NON INFIAMMATORI Idrotorace Raccolta non infiammatoria di liquido sieroso, chiaro, di colore paglierino, nella cavità pleurica. La causa può essere: - aumento della pressione idrostatica → insufficienza cardiaca congestizia che provoca prima edema polmonare e dunque idrotorace - Diminuzione della pressione osmotica → sindrome nefrosica (↑ escresione di proteine plasmatiche) o cirrosi epatica (↓ sintesi proteine plasmatiche) che causano edema generalizzato e dunque idrotorace. La raccolta di liquido di solito non è saccata, ma diffusa alle regioni basali, quando il pz è in posizione ortostatica. Vi è compressione ed atelettasia (incompleta espansione del polmone) nelle regioni adiacenti al versamento. Se la causa si risolve, l’idrotorace si riassorbe senza reliquati Emotorace Fuoriuscita non infiammatoria di sangue entro la cavità pleurica. È complicanza fatale di aneurisma aortico o trauma vascolare. La risposta infiammatoria generalmente è assente perché la morte subentra in minuti-ore. Chilotorace Raccolta non infiammatoria di liquido lattesecente, per la presenza di grassi finemente emulsionati, nella cavità pleurica. Le cause principali sono: - traumi del dotto toracico - ostruzione dei principali dotti linfatici (neoplasie che si formano nella cavità toracica e che comprimono i dotti) con loro conseguente rottura. 6b. Pneumotorace Il termine pneumotorace si riferisce alla presenza di aria o gas nelle cavità pleuriche. Può essere: 79 - spontaneo spontaneo idiopatico traumatico terapeutico PNEUMOTORACE SPONTANEO Può essere la complicanza di qualsiasi malattia polmonare che vede rottura di un alveolo. È più frequente se vi sono cavità ascessuali che comunichino con l’alveolo e con lo spazio pleurico. Frequentemente associato anche ad asma, enfisema, tubercolosi. Il riassorbimento dell’aria è lento, se le comunicazioni si chiudono spontaneamente PNEUMOTORACE SPONTANEO IDIOPATICO Si presenta di solito in soggetti relativamente giovani, ed è probabilmente dovuto alla rottura di piccole bolle periferiche subpleuriche ed apicali; la regressione è spontanea ed il riassorbimento dell’aria è più rapido. PNEUMOTORACE TRAUMATICO Causato da lesioni perforanti la parete toracica che possono: - non attraversare il polmone → una via di ingresso dell’aria alle cavità pleuriche - attraversare il polmone → due vie di ingresso dell’aria alle cavità pleuriche Il riassorbimento dell’aria è lento, se le comunicazioni si chiudono spontaneamente Clinica: compressione, atelettasia, fino al marcato collasso polmonare → importante distress polmonare. In particolare se il difetto che provoca pneumotorace consente l’ingresso di aria nell’inspirazione e non consente la fuoriuscita di aria nell’espirazione si ha importante distress polmonare. In particolare se il difetto che provoca pneumotorace consente l’ingresso di aria nell’inspirazione e non consente la fuoriuscita di aria nell’espirazione si ha ↑ progressivo della quantità di aria e della pressione intrapleurica. Si parla di pneumotorace iperteso e questo può comprimere le strutture vitali mediastiniche e l’altro lobo polmonare. 6c. Neoplasie della pleura Solitamente secondarie a metastasi ( di solito da tumori primitivi del polmone o della mammella) Fra le primitive riscontriamo solo la presenza di 1. tumori fibrosi solitari localizzati 2. mesotelioma TUMORI FIBROSI SOLITARI LOCALIZZATI Sono tumori benigni del connettivo che hanno come sede preferenziale di insorgenza la pleura e meno comunemente il polmone o altri organi. Sono tumori circoscritti e delimitati, che tendono a rimanere limitati alla spf polmonare. 80 Possono essere piccoli o di dimensioni enormi, ma generalmente non causano versamento pleurico. Morfologia macroscopica: noduli di tessuto fibroso denso, con occasionali cisti piene di liquido viscoso Morfologia microscopica: rete di fibre reticolari e collagene tra le quali cellule fusate simili a fibroblasti Immunoistochimica: CD34+, cheratinaMESOTELIOMA MALIGNO Rari tumori maligni che originano dalla pleura viscerale o parietale. La loro incidenza: - è molto aumentata in persone con esposizione cronica all’asbesto - non è ulteriormente aumentata in seguito ad esposizione all’asbesto sommata a fumo di nicotina, a differenza del carcinoma polmonare correlato all’asbesto, la cui incidenza è molto aumentata dal fumo. È un tumore molto diffuso e molto esteso nella cavità pleurica, che dunque è quasi sempre associato a versamento pleurico. Invade direttamente le strutture toraciche (polmone soprattutto) e metastatizza con facilità ai linfonodi ilari, dunque al fegato e ad altri organi a distanza. Morfologia Macroscopica: - il polmone interessato è avvolto da spesso strato di tessuto tumorale soffice, gelatinoso, grigiastro. Microscopica: nella loro perdita di differenziazione le cellule mesoteliali hanno la possibilità di svilupparsi in due modi: - cellule di rivestimento simil-epiteliali → predominano nel tipo epitelioide di mesotelioma - cellule mesenchimali stromali → predominano nel tipo sarcomatoide di mesotelioma Tipo epitelioide: cellule colonnari, cubiche o appiattite epiteliali che formano strutture tubulari o papillari simili all’adenocarcinoma. La DD con l’adenocarcinoma polmonare si fa perché le cellule del mesotelioma presentano: 1. Alla colorazione immunoistochimica: • positività per il mucopolisaccaride acido • negatività per Ag glicoproteici epiteliali generalmente espressi dal ca polmonare • positività molto forte per la cheratina (DD con tumori fibrosi solitari localizzati) 2. Alla microscopia elettronica (glod standard • Cellule con lunghi microvilli ed abbondanti tonofilamenti, prive di corti microvilli e corpi lamellari Tipo sarcomatoide: aspetto di sarcoma a cellule fusate, simile al fibrosarcoma 81 Clinica Esordio clinico: dolore toracico, dispnea, versamenti pleurici ricorrenti. Asbestosi (fibrosi) polmonare concomitante nel 20% dei casi. Morte del 50% dei pz entro 1 anno dalla dg e della quasi totalità entro i 2 anni. 82 Neoplasie dell’esofago Generalità L’esofago rappresenta la porzione del tubo digerente che congiunge l’orofaringe con lo stomaco e serve a veicolare il materiale deglutito dentro a questo ultimo. La mucosa esofagea è caratterizzata da due tipi di epitelio: ¾ I 2/3 superiori sono tappezzati da un epitelio squamoso pluristratificato non cheratinizzante ¾ Il 1/3 inferiore presenta un epitelio colonnare specializzato Le neoplasie che possono colpire questo tratto sono fondamentalmente di tre tipi: • Carcinoma squamoso: con origine dall’epitelio nativo • Adenocarcinoma: con origine dalle ghiandole del 1/3 inferiore • Tumori della muscolatura liscia della tonaca muscolare o dei vasi Carcinoma squamoso Sono i tumori esofagei più frequenti e coprono il 90% delle neoplasie d’organo anche se ultimamente stanno cedendo il passo agli adenocarcinomi che sono, quindi, in forte ascesa. Colpisce prevalentemente maschi oltre la 5° decade di età. Anche in questo caso come in tanti altri esiste il concetto di precancerosi, esistono lesioni che precedono la neoplasia conclamata che, se tempestivamente riscontrate, possono essere trattate e prevenire l’insorgenza del tumore. Il problema è la diagnosi precoce visto che non è usuale effettuare un’endoscopia di controllo e, spesso, sia le lesioni precancerose che le neoplasie a stadi iniziali vengono osservate in corso di endoscopia per gastrite da H. Pylorii o per altri problemi correlati allo stomaco. Questo tumore ha un’alta incidenza nel Nord Italia e nel Nord della Francia, in Cina (a causa del consumo frequente di cibi bollenti), in Sud Africa e nel Sud del Brasile. Fattori predisponenti • • • • • Abuso di alcool Tabagismo Fattori ambientali Abuso di bevande calde HPV (20-40%) riscontrato per ora solo in Cina dove, in questi casi, la malattia è conseguente a una condilomatosi esofagea. 83 Precancerosi Le avvisaglie di una neoplasia in atto di sviluppo sono due: ¾ Neoplasia intraepiteliale: espandendosi via via a tutto l’epitelio da origine al carcinoma squamoso ¾ Iperplasia delle cell basali: può assomigliare a una displasia di basso grado dell’epitelio squamoso in realtà è una cancerogenesi che porta al carcinoma basalioide e che si può verificare anche a livello del canale anale. Inoltre questa patologia fa parte delle così dette neoplasie “head & neck” che danno numerose metastasi che provocano tumefazioni laterocervicali per interessamento omolaterale dei linfonodi di quella zona. Morfologia Si manifesta inizialmente come lesione in situ localizzata: ¾ 20% nel terzo superiore ¾ 50% nel terzo medio ¾ 30% nel terzo inferiore Nel corso degli anni la neoplasia si espande fino ad abbracciare l’intero lume del viscere con tre diverse modalità: ¾ Forma esofitica (60%): lesione polipoide protrude nel lume. ¾ Forma piatta (15%): crescita intramurale che comporta ispessimento della parete esofagea. ¾ Forma ulcerata (25%): lesione necrotica si escava interessando le strutture adiacenti (aorta,vie respiratorie, mediastino…) Spesso la diagnosi è posta quando la massa è già di entità notevole, ha già invaso le strutture adiacenti e ha dato metastasi ai linfonodi cervicali, mediastinica, paratracheali… Fenotipo • • • • P53 Æ il suo gene viene spesso riscontrato soggetto a mutazioni puntiformi. Gene p16 metilato Æ gene che in questa forma spinge la cell alla proliferazione, si riscontra specialmente negli adenomi del colon Ciclina D1 EGF Receptor Æ è il recettore per il fattore di crescita epiteliale e si riscontra anche nelle neoplasie del polmone e della mammella. La sovraespressione di questo recettore rende la malattia particolarmente sensibile al farmaco Iressa (Cetuximab) Clinica L’esordio è insidioso visto che solo in fase avanzata causa disfagia e occlusione. 84 L’inconscio adattamento a un’insufficiente nutrizione porta a calo ponderale e debolezza. Spesso si osserva aspirazione di cibo nelle vie respiratorie a causa di fistole tracheoesofagee prodotte dal tumore. Lo screening e il miglioramento degli interventi di resecazione hanno contribuito a un miglioramento della prognosi a 5 anni; la presenza di metastasi linfonodali riduce drasticamente la sopravvivenza. Adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica Come precedentemente detto questa patologia è in forte ascesa specie nei paesi occidentali. Patogenesi A livello dello sfintere esofageo inferiore dove c’è il passaggio da epitelio squamoso a epitelio colonnare (linea Z) capita spesso di osservare una metaplasia dovuta spesso alla presenza di una patologia da reflusso (GERD). Da queste metaplasia parte spesso la cancerogenesi. I pz affetti da esofago di Barrett hanno il 10% di possibilità di sviluppare un adenocarcinoma. Può anche capitare che, nell’infezione da H.Pylorii si instauri una gastrite cronica che porti a un ripetuto reflusso che causa, prima, displasia e poi carcinomatosi. Fattori predisponenti • • • • Esofago di Barrett Tabagismo Obesità Infezione da H. Pylorii Esofago di Barrett Il reflusso di materiale gastrico in esofago è la principale causa di esofagite. Normalmente una GERD dovuta, per esempio, a un’ernia iatale colpisce normalmente gli adulti ma ultimamente si è riscontrato che in molti bambini, addirittura in età neonatale, è già presente questa patologia. La GERD può causare dolori che mimano un infarto e si pensa che questi dolori toracici siano alla base di una buona parte dei pianti notturni dei neonati che spesso passano mettendoli seduti e dando loro un bicchiere d’acqua. Se l’insulto alla mucosa esofagea dovuto al reflusso cronicizza si instaurano delle lesioni che possono arrivare fino all’esofago di Barrett. 85 Questa patologia colpisce il 10% degli affetti da reflusso cronico ed è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di un adenocarcinoma. Nell’esofago di Barrett l’epitelio squamoso distale è sostituito da epitelio cilindrico metaplastico in risposta ai prolungati stimoli lesivi. La diagnosi si basa su: 1. Evidenza endoscopica di epitelio cilindrico al di sopra della giunzione gastroesofagea con area di mucosa “a fiamma” costituita da linguette rosa salmone che dalla linea Z si portano cranialmente. 2. Evidenza istologica di metaplasia intestinale nei campioni bioptici con le tipiche ghiandole presentanti le globed cell e cell simili a enterociti con caratteristiche assorbenti. All’analisi istologica è possibile determinare un grado di displasia delle cell osservate con cell a basso grado di displasia che presentano un nucleo basale e cell ad alto grado di displasia che presentano nucleo apicale. Nel 50% degli esofagi di Barrett ad alto grado displasico è anche riscontrato un adenocarcinoma! I fattori predisponenti sono: • Sali biliari • Enzimi pancreatici • Predisposizione genetica L’esofago di Barrett è suddiviso in tre sottotipi: ¾ Long Barrett (LSBE): si estende cranialmente di oltre 3cm sopra la linea Z ¾ Short Barrett (SSBE): si estende non oltre i 3cm ¾ Very Short Barrett (VSSBE): si estende non oltre 1cm La clinica consta di frequente pirosi spesso accompagnata da rigurgito accompagnata da stenosi e da sanguinamenti dovuti ad ulcerazioni. Morfologia I tipi di metaplasia che possono portare all’adenocarcinoma sono due: ¾ Metaplasia colonnare gastrica specie in zona cardiale o fundica ¾ Metaplasia colonnare intestinale specializzata derivante dall’esofago di Barrett. In questo caso quando le ghiandole assumono l’aspetto “schiena a schiena” siamo già in presenza della neoplasia. Fenotipo Dal punto di vista del profilo molecolare sono molto importanti le citocheratine (CK). Normalmente la CK7 è espressa nelle ghiandole mentre la CK20 è espressa a livello intestinale. 86 Da questo si osserva che: ¾ CK7 se riscontrata in esofago è patognomonica dell’esofago di Barrett ¾ CK20 è patognomonica della metaplasia intestinale cardiale Inoltre.. ¾ Traslocazione nucleare della β-catenina ¾ Amplificazione di p53 in risposta al continuo insulto al genoma nelle displasie e sua mutazione nella neoplasia. ¾ Tetraploidia e aneuploidia Clinica I pz presentano difficoltà a deglutire, calo ponderale, sanguinamento, dolore toracico, vomito e pregressa sintomatologia da esofago di Barrett. La prognosi è infausta ma la sopravvivenza migliora in caso di resezione precoce. A questo proposito è bene tener conto della collocazione della neoplasia per lo svolgimento dell’operazione. La porzione esofagea sopracardiale ha un drenaggio linfatico intratoracico mentre la zona cardiale e la giunzione gastro-esofagea hanno un drenaggio intraddominale; ciò comporta due diverse tecniche di rimozione dell’esofago e dei linfonodi coinvolti che comportano diversi rischi. Diagnosi Ultimamente si effettuano endoscopie a scopo di screening su pz affetti da esofago di Barrett ma la diagnosi resta comunque difficile per diversi motivi: • Difficoltà d’indagine del fondo dello stomaco per la sua risalita verso l’alto; da ciò ne può derivare un’indagine cardiale parziale. • La neoplasia o il Barrett possono essere ricoperti da normale epitelio squamoso e quindi sfuggire all’osservazione dell’endoscopista. 87 Malattie non neoplastiche dello stomaco Gastrite E’ l’infiammazione della mucosa gastrica che può essere acuta o cronica. La diagnosi è istologica! Le gastriti possono essere classificate in diversi modi, il primo criterio è basato sull’entità dell’infiltrato: ¾ Quiescenti: infiltrato è di tipo cronico costituito da plasmacellule e monociti, non sono presenti granulociti ¾ Attive: in questo caso sono presenti granulociti che aggrediscono l’epitelio Un altro tipo di classificazione riguarda le modificazioni strutturali che subisce la mucosa in seguito al processo flogistico: ¾ Semplici: se la flogosi non incide sull’architettura ¾ Atrofiche: se la flogosi determina atrofia con diminuzione dell’epitelio, aumento dello stroma e conseguente perdita delle pliche all’esame macroscopico Importante ricordare in fine la divisione in gastrite acuta e gastrite cronica che spesso racchiude in due grandi gruppi i criteri sopraelencati. Gastrite acuta E’ un processo infiammatorio acuto della mucosa gastrica, spesso transitorio. Le forme più gravi possono presentare erosione della mucosa con emorragia acuta gastrointestinale. Patogenesi Non ancora ben chiara ma spesso associata a: Uso di FANS Abuso di alcool Tabagismo Stress intenso Traumi meccanici o termici Si pensa che alla base del danno vi sia un’ipersecrezione di acido troppo grande per essere tamponata dal muco che viene distrutto con conseguente danno diretto all’epitelio. Questi problemi si associano a ischemia, a reflusso di materiale dal duodeno, insufficiente produzione di prostaglandine. Una quota di questa patologia resta ancora di natura idiopatica. 88 Morfologia Nelle forme lievi la lamina propria risulta edematosa e si riscontrano neutrofili tra le cell epiteliali o nei lumi delle ghiandole mucose; la loro presenza non è normale a questo livello perciò, una volta individuati si può fare diagnosi di gastrite. Nei casi peggiori si può arrivare a un’erosione della mucosa che non va, chiaramente, mai oltre la muscolaris mucosae; in questi casi è possibile riscontrare emorragie. Clinica Può essere asintomatica o presentarsi con un corteo di sintomi come… Dolore epigastrico sx Nausea e vomito Emorragia franca con ematemesi e melena Gastrite cronica Definita dalla presenza di alterazioni infiammatorie croniche della mucosa che conducono ad atrofia della mucosa e a metaplasia intestinale di solito in assenza di erosioni. Le displasie che si vengono a formare in questa condizioni possono essere l’inizio dello sviluppo di un processo carcinomatoso. Patogenesi Questa patologia si associa a… Infezione cronica da H. Pylorii Patologie autoimmuni Tossici come alcool e fumo di sigaretta Postumi di interventi chirurgici Patologie della motilità Radiazioni Malattie granulomatose Infezione cronica da H. Pylorii (antro dello stomaco) Questo patogeno è il maggior responsabile delle gastriti attive ed è presente nel 90% delle gastriti croniche e nella maggioranza dei casi la patologia è asintomatica. Questi pz hanno aumentato rischio di sviluppare ulcera peptica e cancro gastrico (tipo Cag 1) anche se questo batterio, all’interno della patologia neoplastica dello stomaco, esplica il suo ruolo di maggior rilevanza nello sviluppo di LZME gastrico. Dopo l’infezione la gastrite può presentarsi in 2modi: ¾ Gastrite a predominanza antrale con ipersecrezione di acido con rischio di ulcera duodenale ¾ Gastrite atrofica multifocale con bassa secrezione acida e rischio di sviluppare adenocarcinoma 89 Di solito i pz migliorano in seguito a terapia antibiotica e vengono trattati anche con inibitori della pompa protonica. Gastrite autoimmune (corpo dello stomaco) Rappresentano meno del 10% dei casi di gastrite cronica. Si riscontrano Ig anti-cell parietali delle ghiandole gastriche. Sviluppandosi prevalentemente a livello del corpo dello stomaco, oltre a inibire la secrezione acida, deprime anche quella di fattore intrinseco con diminuzione dell’assorbimento di B12 e conseguente anemia perniciosa. Come spesso accade queste patologie si associano ad altre patologie di tipo autoimmune. Morfologia Può colpire diverse zone dello stomaco, per es, la gastrite da H. Pylorii colpisce prevalentemente l’antro mentre quella autoimmune il corpo. La mucosa si presenta arrossata con trama più grossolana del solito. Le alterazioni istologiche sono simili con infiltrato infiammatorio formato da linfociti e plasmacellule nella lamina propria. Se si tratta di una flogosi attiva vi è anche la presenza di neutrofili. Vi è sempre rigenerazione in risposta al danno specie a livello del colletto delle ghiandole. Si osservano alterazioni rigenerative marcate. Si può osservare metaplasia intestinale che sorge in risposta all’aumento del pH. Queste cell intestinali derivano dalle cell staminali presenti nella mucosa gastrica che possono riprodurre qualsiasi tipo di cell del tratto gastrointestinale. Se, a causa della diminuita secrezione gastrica, il pH sale verso 5-6 le cell staminali differenziano verso quelle cell del tratto gastrointestinale che normalmente vivono in un microambiente analogo ovvero gli enterociti. Queste cell metaplastiche intestinali hanno, come gli enterociti veri e propri, maggiori capacità assorbenti con le quali assorbono i cancerogeni immessi con la dieta peggiorando la situazione. L’atrofia è un altro aspetto ricorrente. Deriva dal depauperamento delle strutture ghiandolari ed è spesso associato a gastrite autoimmune o da H. pylorii. Per compensare la diminuita secrezione gastrica si verifica un’iperplasia delle cell G secernenti gastrina. E’ importante ricordare che la secrezione acida dello stomaco uccide la gran parte dei batteri e inattiva i cancerogeni che noi immettiamo col cibo perciò, se diminuisce l’acidità gastrica, aumentano i tossici assimilabili e, unito al potere assorbente della metaplasia intestinale, come già detto, si capisce come vengano assorbiti più cancerogeni! La displasia si manifesta col perdurare dello stimolo infiammatorio; le cell proliferanti e/o metaplastiche cominciano a presentare alterazioni della normale morfologia che 90 possono facilmente evolvere in un carcinoma in situ. Per questo motivo la displasia, che spesso segue la metaplasia, è considerata lesione precancerosa. Da notare che H. Pylorii è sempre assente nei focolai di metaplasia intestinale ma può colonizzare i focolai di metaplasia pilorica nel duodeno; questo testimonia il suo tropismo per la mucosa gastrica. Clinica Spesso la gastrite cronica è asintomatica oppure si manifesta con vomito, nausea e disturbi epigastrici. Nei casi di grave perdita di cell parietali si può arrivare a uno stato di ipocloridria o acloridria con gastrinemia elevata. Ulcera peptica Dal punto di vista istologico è una soluzione di continuo della mucosa del tubo digerente che, attraversando la muscolaris mucosae, approfonda fino alla sottomucosa e oltre. Le ulcere peptiche duodenali e gastriche sono le più comuni! L’ulcera peptica è una lesione cronica, che non supera i 4cm di diamtetro, generalmente singola, che può interessare qualunque zona del digerente esposta all’azione dei succhi gastrici (peptici). Le porzioni più frequentemente coinvolte sono la prima porzione del duodeno e l’antro gastrico. Nonostante la guarigione sono facili recidive dovute a infezioni croniche da H. Pylorii. Patogenesi Questa patologia deriva da uno squilibrio tra le difese della mucosa e gli agenti digestivi, in particolare acido cloridrico e pepsina. Non è quasi mai necessaria un’iperacidità bensì basta un’insufficienza delle difese della mucosa. 91 Malattie tumorali e simil-tumorali dello stomaco Tumori benigni Polipo: qualunque nodulo o massa che sporga che sporga al di sopra della superficie della mucosa circostante. Normalmente si sviluppano dalla mucosa ma possono essere anche lipomi o leiomiomi. Morfologia I polipi gastrici sono rari e come gli altri polipi del tratto gastroenterico si dividono in neoplastici e non neoplastici. Il 90% dei polipi gastrici sono non neoplastici e, quindi, di natura iperplastica. Questi polipi sono composti in diverse proporzioni da epitelio iperplastico e ghiandole con dilatazione cistica. L’epitelio può essere in rigenerazione in seguito a flogosi o erosione. Il tipico polipo iperplastico si presenta come una piccola lesione sessile a livello dell’antro; nel 25% dei casi raggiungono il considerevole numero di 20. Le lesioni neoplastiche polipoidi consistono negli adenomi gastrici che in sé presentano displasie e quindi un certo potenziale di malignità; costituiscono il 5-10% delle lesioni polipoidi dello stomaco. Questi adenomi si possono presentare in due forme: Sessili Peduncolati Anche queste lesioni si manifestano principalmente a livello dell’antro e sono, di norma, singole. In alcuni casi la massa adenomatosi può interessare superficialmente ed estesamente la mucosa senza, perciò, presentare masse. Clinica I polipi iperplastici sono associati spesso a una gastrite cronica e, nonostante siano presenti nel 20% dei casi di carcinoma, non si considerano potenzialmente maligni ma solo una conseguenza della gastrite come anche il carcinoma stesso. Gli adenomi sono associati a un quadro di gastrite cronica con metaplasia intestinale. L’incidenza di questa patologia aumenta con l’età, specie dalla 7° decade e, preferenzialmente nel sesso maschile. Siccome con l’endoscopia non si possono distinguere polipi iperplastici da adenomi è sempre indicata la biopsia! 92 Carcinoma gastrico Da queste parti, nell’Appennino tosco-emiliano in particolare, il carcinoma gastrico era molto frequente e, fino alla fine degli anni ’70, era la principale causa di morte per tumore. Al giorno d’oggi la sua incidenza, a contrario della maggior parte dei tumori, è calata e questo è dovuto alla dipendenza di questa malattia da ben determinati fattori ambientali. Fino a qualche decennio fa era abitudine bere l’acqua prelevata dai pozzi che, però, veniva contaminata dai fertilizzanti usati nei campi. In questo modo gli abitanti di queste zone ingerivano ogni giorno un’ingente quantità di nitriti e nitrati che sono potenti cancerogeni. Associato a ciò c’era anche il fatto che H. Pylorii era endemico negli appennini. I due fattori addizionati contribuivano alla drammatica incidenza di neoplasia maligna gastrica. Al giorno d’oggi l’abbandono di queste abitudini e l’introduzione dello screening mediante endoscopia ha migliorato di molto l’incidenza. Patogenesi Il quadro di partenza è quello già trattato della gastrite cronica, in particolare quella provocata dall’infezione da parte di H. Pylorii. I processi patologici della gastrite portano in diversi casi a metaplasia intestinale che può essere: Completa con anche la presenza delle cell di Paneth Incompleta senza cell di Paneth Arrivati a un certo punto si instaura un processo di iperplasia delle ghiandole metaplastiche intestinali e questa è la vera e propria fase di promozione neoplastica. Durante la moltiplicazione delle cell ghiandolari si accumulano atipie e mutazioni che consistono principalmente nell’alterazione del rapporto nucleo/citoplasma. Questo oramai conclamato processo displastico è ormai inevitabilmente indirizzato verso una situazione carcinomatosa. Per questo motivo i pz con gastrite cronica e metaplasia intestinale devono essere seguiti con indagini endoscopiche e bioptiche periodicamente. Morfologia Il carcinoma dello stomaco può essere diviso principalmente secondo due criteri, il primo è la distinzione secondo Lauren che li cataloga dal punto di vista biologico: ¾ Intestinale: deriva dalla metaplasia intestinale e quindi insorge in un quadro di pregressa gastrite cronica; per questo motivo è prevedibile con lo screening ¾ Indifferenziato diffuso: insorge inaspettatamente e indipendentemente da ogni fattore, per questa sua imprevedibilità ha un’alta mortalità, la sua peculiarità sono le così dette “cell con castone” ovvero cell mucoide immature che non riescono a espellere il muco prodotto dal proprio citoplasma. 93 La seconda divisione è basata sullo stadio della malattia: ¾ Precoce: può presentarsi quando è ancora confinato alla mucosa (metastatizza nell’1% dei casi) o può avere già passato la muscolaris mucosae ed essere arrivato nella sottomucosa (metastatizza nel 4-5% dei casi). ¾ Avanzato: in questo caso la malattia si presenta che è arrivato fino alla tonaca muscolare o, addirittura, fino alla sierosa (metastatizza nel 40% dei casi). Tecnicamente si dovrebbe usare la stadiazione TNM ma nella pratica non si usa perché le due tipologie di cancro presentano aspetti macroscopici molto diversi tra loro. Le lesioni precoci possono essere: • Polipoidi • Piatte: - Rilevate, possono simulare un polipo non precanceroso - Piatte, difficili da vedere all’endoscopia ma si osservano con attenzione per il loro aspetto a “zattera in mezzo al mare” visto che la lesione è l’unica parte della mucosa a non contrarsi. - Depresse • Escavate: possono simulare un’ulcera. Infine queste lesioni possono infiltrare tutta la parete radialmente e in maniera superficiale risultando più difficili da osservare. Le ulcerazioni del carcinoma gastrico possono essere ricoperte da epitelio sano perciò dopo la fine della terapia con l’inibitore della pompa protonica e altri farmaci analoghi è necessaria un’endoscopia di controllo per accertarsi della scomparsa dell’ulcera, se non scompare è neoplastica. Le ulcere da carcinoma avanzato entrano spesso in DD con l’ulcera peptica e vi sono tre criteri fondamentali per distinguerla: bordi imbolliti, fondo emorragico e mucosa atrofica adiacente A causa delle diverse morfologie di queste lesioni e la possibilità che vengano camuffate da altre patologie della mucosa si effettuano sempre non meno di 9 prelievi bioptici in corso di endoscopia anche su una banale ulcera. Una particolare manifestazione del carcinoma indifferenziato è la linite plastica. Questa forma ha una stadiazione molto avanzata poiché le cell con castone hanno imbottito la totalità della parete gastrica sostituendo tutti i diversi tessuti da cui essa è normalmente costituita. In questi casi la parete dello stomaco può raggiungere i 3cm di spessore! Questa patologia si presenta principalmente nei giovani e la sopravvivenza a 1 anno è <10%, la resezione chirurgica è spesso inefficace per la difficoltà di lasciare margini puliti. Per dimostrare l’aggressività delle neoplasie gastriche basti pensare che un polipo colico che ha infiltrato oltre la membrana basale ma non la muscolaris mucosae è considerato benigno mentre nello stomaco assolutamente no visto che una lesione del genere è già metastatizzante nell’ 1-2% dei casi! 94 Sindromi da malassorbimento Il malassorbimento è caratterizzato da un insufficiente assorbimento di: Grassi Vitamine liposolubili e non Proteine Carboidrati Elettroliti Sali minerali Acqua Il sintomo più tipico è la diarrea con steatorrea (eccessivo grasso nelle feci). Alla base di questo malassorbimento vi è l’alterazione di almeno uno dei seguenti meccanismi: ¾ Digestione endoluminale: processo di scissione di proteine, grassi e carboidrati con formazione di molecole assimilabili. Questo processo comincia nella bocca con la saliva, continua con la digestione peptica gastrica e prosegue nell’intestino con l’intervento dei succhi biliari. ¾ Digestione terminale: processo di idrolisi dei carboidrati e dei peptidi ad opera delle disaccarasi e delle peptidasi a livello dell’orletto a spazzola della mucosa intestinale. ¾ Trasporto transepiteliale: processo di trasferimento di nutrienti, liquidi ed elettroliti dal lume intestinale al circolo attraverso gli enterociti. Le sindromi da malassorbimento possono coinvolgere diversi sistemi e apparati: • Tratto gastrointestinale: diarrea dovuta all’eccessiva secrezione intestinale con flatulenza e dolori addominali. • Apparato emopoietico: anemie da deficit di ferro, vit. B12 e folati ed emorragie da deficit di vit. K • Sistema muscoloscheletrico: osteopenia e tetania da carenza di calcio, magnesio e vit. D • Sistema endocrino: amenorrea, impotenza e sterilità da malnutrizione generalizzata; ipeparatiroidismo secondario a deficit di calcio e vit. D • Epidermide: porpore e petecchie da deficit di vit. K, edema da deficit di proteine, dermatite e ipercheratosi da deficit di vit. A • Sistema nervoso: neuropatia periferica da deficit di vi. B12 e vit. A I fattori principali responsabili del malassorbimento sono: ¾ Morbo celiaco ¾ Morbo di Crohn ¾ Insufficienza pancreatica (spesso secondaria a pancreatine cronica) ¾ Sovraccrescita batterica 95 Morbo celiaco E’ una malattia cronica con caratteristiche lesioni del tenue e deficit da assorbimento che migliora eliminando dalla dieta la gliadina del grano e le proteine dei cereali correlate. Colpisce prevalentemente soggetti di razza caucasica Patogenesi Il disturbo primario è l’intolleranza al glutine che è una componente proteica alcoolsolubile ma non idrosolubile del grano e dei cereali affini. La malattia è caratterizzata da una flogosi cronica mediata da linfociti T con aspetti autoimmuni probabilmente dovuti alla perdita della tolleranza per il glutine. La patogenesi è il risultato di un’interazione tra fattori genetici predisponenti, risposta immunitaria e fattori ambientali. Sotto stimolazione data dall’ingestione di glutine la mucosa intestinale del tenue accumula T CD8 intraepiteliali e T CD4 nella lamina propria sensibilizzati alla gliadina. L’ipotesi è che l’attivazione dei linfociti porti alla liberazione dell’interferon γ e che, a sua volta, questa sostanza danneggi la mucosa. I linfociti T CD8 non riconoscono la gliadina e sembra che siano richiamati dal danno a cui è soggetta la parete intestinale. Morfologia - Al microscopio si evidenzia un’enterite diffusa con ipotrofia o atrofia dei villi. Gli enterociti mostrano degenerazione vacuolare e perdita dell’orletto a spazzola. Le cripte mostrano una certa attività mitotica con conseguente iperplasia volta a mantenere lo spessore della mucosa compensando la perdita dei villi. La lamina propria risulta infiltrata da cell della serie bianca. Queste alterazioni colpiscono più marcatamente il terzo prossimale del tenue. Clinica I sintomi variano di molto a seconda del pz: da diarrea nell’infanzia con ritardo della crescita a sintomi lievi che si manifestano dopo la 5° decade di età. Il quadro clinico caratteristico comprende: • diarrea e flatulenza • calo ponderale • affaticabilità I sintomi extraintestinali possono oscurare le manifestazioni intestinali. 96 Diagnosi Si basa su: ¾ Documentazione clinica di malassorbimento ¾ Biopsia con osservazione delle tipiche lesioni della mucosa ¾ Miglioramento dei sintomi e del quadro istologico dopo deprivazione di glutine ¾ Ulteriore biopsia dopo stimolo col glutine ¾ Ricerca di anticorpi anti-gliadina e anti-transglutaminasi tissutale Morbo di Whipple E’ una rara patologia causata dal batterio Tropheryma whippelii. E’ una malattia sistemica, virtualmente può coinvolgere qualsiasi organo, ma si manifesta soprattutto a tre livelli: Intestino SNC Articolazioni T. whippelii è un actinomicete gram+che prolifera nei macrofagi e non evoca significative risposte immunitarie. Morfologia La caratteristica tipica è l’obliterazione della lamina propria del tenue da parte di macrofagi rigonfi. Se non trattata, la patologia, può arrivare a interessare anche i neutrofili. I villi assumono un aspetto irregolare e l’edema causa un aumento dello spessore della parete intestinale. La patologia coinvolge anche i linfonodi mesenterici obliterandoli e facendone derivare una deposizione di lipidi a livello dei villi. Clinica E’ riscontrata principalmente nei caucasici, nella 4-5° decade con una prevalenza di 10 volte del sesso maschile. La malattia si presenta con malassorbimento associato a diarrea e calo ponderale. Il sintomo iniziale è l’artropatia. Diagnosi Si basa sulla dimostrazione dei macrofagi rigonfi e dei microrganismi al loro interno. La terapia antibiotica ottiene quasi sempre risultati immediati. 97 Malattie infiammatorie intestinali idiopatiche Le enteriti possono avere, dal punto di vista eziologico, diverse origini: Da virus Da farmaci Ereditarie Idiopatiche Due delle principali malattie infiammatorie del tratto intestinale ad origine idiopatica sono la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn. Queste due patologie, in alcuni casi possono avere caratteri sovrapponibili e,nei casi in cui non si riesca a porre DD tra le due patologie si parla di coliti indeterminate che costituiscono in 10% delle patologie idiopatiche del tratto intestinale. Rettocolite ulcerosa Interessa i giovani adulti in una fascia di età trai 15 e 30 anni. Collocazione Interessa il colon dalla valvola ileo-cecale alle colonne del Morgagni. Il materiale infiammatorio del ceco può rifluire nell’ileo e causare ileite terminale. Preferibilmente colpisce il colon sx ma può estendersi causando un quadro di pancolite ulcerosa. Eziologia E’ correlata ad alcune classi di HLA. In circolo si riscontrano Ig anti-Ag delle cell epiteliali del colon. Si correla poi a un stato psicosomatico associato a stress. Macro Interessa porzioni continue dell’intestino che si può espandere ma senza lasciare spazi sani sulla mucosa La flogosi può arrivare a interessare al max la sottomucosa. La parete colica risulta sottile con erosione della mucosa e ulcerazioni. Istologia Si evidenzia un infiltrato flogistico linfomonocitario non follicolare che aggredisce le cripte con accumuli di granulociti (ascessi unicriptici) nelle ghiandole della mucosa. Clinica Si manifesta principalmente con dolori addominali e diarrea che risulta mucoematica per lo sfaldamento della mucosa. 98 Può simulare colite infettiva autolimitante (colera). Si associa ad altre malattie autoimmuni come la colangite sclerosante primitiva (6%), l’eritema nodoso e alcune artropatie autoimmuni. Si trovano in circolo Ig anti-ANCA che sono autoanticorpi contro il citoplasma dei neutrofili. Complicanze Acuta: Megacolon tossico; la mucosa del colon si assottiglia fino a pochi mm perché la malattia ha iniziato a mangiarsi la muscolare. Tardiva: Cancro, dovuto al continuo stimolo flogistico. Si evidenzia un 10% del rischio in più per ogni decennio di malattia. I pz possono sviluppare polipi adenomatosi simili a una placca piana dovuti alle alterazioni della mucosa, questi polipi sono più difficili da vedere e danno meno sintomi perché si ulcerano molto meno. La difficoltà della diagnosi è alla base della prognosi peggiore per i cancri che si sviluppano secondariamente a questa patologia. Trattamento Antinfiammatori come aspirina e cortisonici danno un’ottima risposta con periodi di benessere lunghi anni prima di una recidiva che spesso si presenta con caratteri più gravi. In presenza di megacolon devono essere operati con rimozione totale del colon e anastomosi dell’ileo con l’ano. E’ importante rimuovere tutta la mucosa lesionata perché se si lascia anche solo un piccolo pezzo questo può dare un cancro. Morbo di Crohn Interessa una fascia d’età trai 25 e 30 anni. Collocazione Può potenzialmente interessare tutto il tratto gastroenterico dalla bocca all’ano. E’ più frequente a livello dell’ileo terminale (ultimi 20cm, ultima ansa). 50% è nell’ileo terminale 50% solo colon o ileo terminale + un altro distretto. Nel caso colpisca solo il colon è necessaria DD con la rettocolite ulcerosa. Eziologia NOD2 e CARD15 sono geni correlati alla capacità degli enterociti di sopportare infezioni batteriche, in particolare la traslocazione dal lume intestinale all’enterocita stesso di batteri non propri della flora intestinale. 99 La malattia trova due grossi fattori scatenanti nella perdita di questi geni e nello squilibrio della flora batterica. Una delle ipotesi del momento deriva dall’osservazione di un aumento dell’incidenza della malattia nelle zone dove viene utilizzato maggiormente il frigorifero. La conservazione dei cibi alle °T dei frigoriferi selezionerebbe la popolazione batterica sul cibo stesso uccidendo i microrganismi “buoni” e mantenendo quelli patogeni. In particolare si parla di micobatteri atipici che entrerebbero senza ostacoli per la mancanza di Ag scatenanti flogosi. Una riprova è l’aspetto macroscopico granulomatosa della malattia che assomiglia ai granulomi da TBC. Si è osservato anche la patologia è favorita dal tabagismo probabilmente perché stimolerebbe produzione di TNF-α ma queste sono tutte ipotesi. Macro Colpisce in maniera segmentale (focale) ed interessa tutta la parete; comincia a livelli profondi e si estende alla mucosa (al contrario della rettocolite ulcerosa). Il lume risulta ristretto, la parete spessa, la mucosa può presentare ulcere singole e lineari che danno il caratteristico aspetto ad “acciottolato”. Istologia Infiltrato flogistico follicolare con cell giganti polinucleate e granulomi che danno fistole che ulcerano la mucosa. Si osserva metaplasia pilorica con cell di Paneth ed eosinofili; l’infiltrato giunge fino ai plessi mioenterico e sottomucoso. Clinica Si manifesta con dolori addominali e diarrea. Il dolore si manifesta in fossa iliaca dx e quindi è necessaria una DD con patologie dalla sintomatologia simile come l’appendicite. Si associa a uveiti escleriti. Complicanze Fistole con altri organi o con l’esterno: Perianale (le più frequenti) Enterovescicali Enterovaginali Un’altra complicanza è la stenosi dovuta all’inspessimento della parete che può simulare una neoplasia. 100 Si associa, inoltre, al cancro dell’ileo e del digiuno (rari) e ai linfomi dei centri follicolari per il particolare tipo di infiltrato infiammatorio che presenta. Trattamento Si usano farmaci specifici come l’immunoterapia; Ig anti - TNF-α che scatena la necrosi nel morbo. Si utilizzano anche probiotici, specie ultimamente si stanno studiando protocolli terapeutici mirati al ristabilimento della flora intestinale come risoluzione del problema. In alcuni casi si interviene chirurgicamente resecando la porzione di intestino malato lasciando il margine libero. 101 Cirrosi E’ tra le prime 10 cause di morte nei paesi occidentali. Le cause principali sono: ¾ Alcolismo (60-70%) ¾ Epatiti virali (10%) ¾ Idiopatica (10%) ¾ Malattie delle vie biliari (5%) Come stadio finale dell’epatopatia è caratterizzata da tre aspetti: • Setti fibrosi sottili o sottoforma di vere e proprie cicatrici • Noduli parenchimali contenenti epatociti proliferanti e circondati da fibrosi; le loro dimensioni variano da pochi mm a qualche cm • Sovvertimento dell’intera architettura epatica Nel concetto di cirrosi è insito che il danno parenchimale sia a carico di tutto il fegato e non focalizzato in alcuni punti. La formazione di noduli è un requisito diagnostico che testimonia il rapporto tra rigenerazione epatica e fibrosi costrittiva. L’architettura vascolare viene riorganizzata con creazione di anastomosi anomale tra vasi afferenti ed efferenti; ne deriva un by-pass del sangue arterioso e portale che salta una quota di epatociti funzionanti grazie a questi circoli patologici. La fibrosi è l’aspetto chiave del danno epatico; la sospensione dell’insulto lesivo può fare regredire la fibrosi anche in stati di cirrosi conclamata grazie alla lenta azione delle metalloproteasi e delle collagenasi presenti nel fegato. Patogenesi Meccanismi patogenetici principali: ¾ Fibrosi progressiva ¾ Riorganizzazione dell’architettura vascolare Il collagene di tipo I e III si deposita nel lobulo in tralci sottili o spessi invece che nei tratti portali e attorno alle vene centrali come nel soggetto sano. Se lo stimolo persiste la fibrosi aumenta e il collagene si stabilizza con ulteriori legami crociati. Il collagene, inoltre, si deposita nello spazio di Disse occludendo le fenestrazioni dei sinusoidi e impedendo, perciò, gli scambi metabolici tra epatociti e la messa in circolo delle proteine plasmatiche. L’eccesso di collagene è imputabile alle cell perisinusoidali stellate che, in condizioni normali, fungono da cell di deposito mentre nella cirrosi si attivano assumendo caratteristiche di miofibroblasto. L’attivazione comporta un aumento dell’attività mitotica e una iperproduzione di matrice extracell. 102 Questa attivazione è ad opera delle citochine secrete dalle cell di Kupfer in seguito a danno epatico. Un’ultima osservazione che si può fare sull’attivazione delle cell stellate è che, acquisendo una componente miofibrillare, aumentano la resistenza vascolare nel parenchima epatico che contribuisce ai problemi circolatori già in atto in corso di cirrosi che portano a ipertensione portale e ascite. Clinica Tutte le forme possono essere silenti e quando sono sintomatiche causano manifestazioni aspecifiche: - Anoressia - Calo ponderale - Astenia - Osteoporosi - Debilitazione Si può sviluppare un’insufficienza epatica incipiente aggravata da sovraccarico metabolico o da emorragia gastrointestinale. Sintomi più peculiari sono: Ipoalbuminemia con conseguente edema periferico Iperammoniemia con conseguenti disfunzioni cerebrali Eritema palmare e angiomi stellati cutanei per alterato metabolismo estrogenico Coagulopatie per mancanza di fattori della coagulazione Sindrome epato-renale per abbassamento della perfusione renale con ritenzione di Na Due parole in particolare vanno spese per l’ipertensione portale derivante da cirrosi, questa può scatenare diverse conseguenze: ¾ Ascite: aumento liquido nella cavità peritoneale che si manifesta clinicamente superati i 500mL di contenuto. Secondariamente causa perdita di liquidi a livello intestinale per compressione dei capillari intestinali che causa, a sua volta, iperaldosteronismo con ritenzione di Na e H2O. ¾ Shunt porto-sistemici: provocano emorroidi e varici esofagee e gastriche. ¾ Splenomegalia: dovuta all’insufficiente drenaggio portale. Gli esami ematochimici evidenziano: Alterazioni delle colestasi e altri indici di citonecrosi Diminuzione PLT Diminuzione colesterolo Nei casi in cui la cirrosi porti a decesso si osservano tre cause principali: ¾ Insufficienza epatica progressiva ¾ Complicanza correlata all’ipertensione portale ¾ Sviluppo di carcinomi epatocellulari 103 Epatite acuta L’eziologia di questa malattia è varia: Infezioni virali Intossicazioni (es. Alcool) Malattie dismetaboliche (emocromatosi, diabete..) Malattie autoimmuni Le due caratteristiche principali dal punto di vista istologico sono: ¾ Necrosi ¾ Infiltrato infiammatorio: - Linfociti nelle infezioni virali - Plasmacellule nelle patologie autoimmuni - Neutrofili nei dismetabolismi - Macrofagi in ogni quadro. Si può quindi avere una rigenerazione con aspetti diversi a seconda di quale sia l’agente lesivo: Epatociti in mitosi (la rigenerazione avviene ogni 450gg) Aumento dell’attività dei poli biliari (recupero epitelio biliare) Fe2+ ed elementi ceroidi nelle cell di Kupfer (rimaneggiamento) Statosi Corpi di Mallory: sono accumuli PAS+ a zolle perinucleari o a cerchio sul nucleo che si evidenziano con 2 Ig monoclonali perché sono ubiquitina+ e p62+ La necrosi può avvenire: Per apoptosi: non vi è presenza di infiltrato infiammatorio e nell’acino rimane il corpo di Cauciman Focale a spruzzo: morte di gruppi di 8-10 epatociti (scala a pioli), l’infiltrato linfocitario è presente indipendentemente dall’agente eziologico. Se il pz guarisce si ha restituzione della funzione. A ponte: è una necrosi confluente che unisce lo spazio portale alla vena centrolobulare o a un altro spazio portale. Vi è collasso della trama reticolinico che viene sostituita da trame fibrose che rendono i sinusoidi convoluti. La liberazione di IL-1 e GF stimola le cell di Ito che fungono da fibroblasti deponendo matrice. Panlobulare: è una necrosi massiva che colpisce interi acini con importanti alterazioni del parenchima; questa necrosi è tipica dell’epatite fulminante da tossici. Istologia • Degenerazione balloniforme: è considerata borderline. Il nucleo è normale • • mentre il citoplasma è vacuolizzato, presente rigonfiamento diffuso. Corpo di Cauciman: è un corpo eosinofili lungo i sinusoidi, è nucleo picnotici che rimane in seguito ad apoptosi. Infiltrato flogistico: specialmente a livello portale, è responsabile dell’aggressione agli epatociti e induce la necrosi. 104 Diagnosi E’ prevalentemente clinica. Si basa anche sui picchi di transaminasi che sono direttamente proporzionali alla quota di necrosi. ES: l’epatite da HCV innalza moderatamente le transaminasi e infatti questo virus causa epatite cronica. Steatoepatite alcolica e non alcolica (ASH e NASH) La ASH è correlata unicamente all’abuso di alcool! La NASH può essere collegata a obesità, dislipidemie e diabete di tipo 2; in generale si associa a tutte quelle condizioni che causano uno squilibrio del metabolismo lipidico! La caratteristiche sono le medesime nei due casi: • Alterazioni morfologiche • Danno epatocitario necrotico • Infiammazione • Fibrosi (che porta poi a cirrosi) Le γGT aumentano peculiarmente nei danni epatici da alcool e dopo 2 mesi di astinenza tornano a livelli normali. La diagnosi si pone dopo tre osservazioni: • Corpi di Mallory • Apoptosi • Statosi L’infiltrato presenta: • Prevalenza linfocitaria • Neutrofili (responsabili delle zone necrotiche “spotty” tipiche) • Aumento delle cell di Kupfer (con Fe2+ ed elementi ceroidi) • Aumento fibrosi pericellulare che si forma attorno agli epatociti balloniformi e si espande verso lo spazio portale e la vena centrolobulare. Per questa confluenza si ha un’alterazione parenchimale con unione dei canali vascolari. La colorazione PAS evidenzia nuclei glicogenati tipici delle epatopatie dismetaboliche. Epatite fulminnte Si parla di epatite fulminante quando l’insufficienza epatica progredisce dall’inizio dei sintomi fino all’encefalopatia epatica in 2-3 settimane. Le cause sono: ¾ 12% Æ Infezioni virali da HAV o HBV (anche riattivazioni), raramente da HHV. 105 ¾ ¾ ¾ ¾ 52% Æ Farmaci e intossicazioni chimiche Altre cause tra cui l’ingestione della tossina del fungo ammanita phalloides 18% Æ sconosciute Vi sono poi altre cause abbastanza rare come l’ischemia epatica, infiltrazione maligna massiva, malattia di Wilson, ipertermia e la statosi epatica gravidica acuta. La giovane età è un fattore prognostico positivo. Morfologia Le alterazioni morfologiche sono sempre le medesime indipendentemente dall’agente scatenante. Il fegato può essere interessato totalmente o a zone casuali con ingenti perdite di massa che possono ridurre il fegato fino a 500g. In questi casi l’organo si presenta flaccido, rossastro e con la capsula raggrinzita per la riduzione di taglia. A livello microscopico vi è la completa distruzione epatocitaria che lascia una struttura reticolare collassata e i tratti portali conservati. Se il pz muore velocemente all’autopsia non risulta quasi nessuna reazione infiammatoria mentre se sopravvive una settimana si inizia a vedere l’attività macrofagica di pulizia e l’inizio di una rigenerazione. Se il pz supera le prime settimane la rigenerazione a partire dalle cell staminali può portare a una guarigione la cui struttura dipende dall’entità del danno alla rete stromale di sostegno. Clinica Esordisce con ittero, encefalopatia epatica fetor hepaticus, se si protrae la sintomatologia può risultare simile a quella dell’epatite acuta. La mortalità varia dal 25 al 90% in assenza di trapianto. 106 Epatite acuta L’eziologia di questa malattia è varia: Infezioni virali Intossicazioni (es. Alcool) Malattie dismetaboliche (emocromatosi, diabete..) Malattie autoimmuni Le due caratteristiche principali dal punto di vista istologico sono: ¾ Necrosi ¾ Infiltrato infiammatorio: - Linfociti nelle infezioni virali - Plasmacellule nelle patologie autoimmuni - Neutrofili nei dismetabolismi - Macrofagi in ogni quadro. Si può quindi avere una rigenerazione con aspetti diversi a seconda di quale sia l’agente lesivo: Epatociti in mitosi (la rigenerazione avviene ogni 450gg) Aumento dell’attività dei poli biliari (recupero epitelio biliare) Fe2+ ed elementi ceroidi nelle cell di Kupfer (rimaneggiamento) Statosi Corpi di Mallory: sono accumuli PAS+ a zolle perinucleari o a cerchio sul nucleo che si evidenziano con 2 Ig monoclonali perché sono ubiquitina+ e p62+ La necrosi può avvenire: Per apoptosi: non vi è presenza di infiltrato infiammatorio e nell’acino rimane il corpo di Cauciman Focale a spruzzo: morte di gruppi di 8-10 epatociti (scala a pioli), l’infiltrato linfocitario è presente indipendentemente dall’agente eziologico. Se il pz guarisce si ha restituzione della funzione. A ponte: è una necrosi confluente che unisce lo spazio portale alla vena centrolobulare o a un altro spazio portale. Vi è collasso della trama reticolinico che viene sostituita da trame fibrose che rendono i sinusoidi convoluti. La liberazione di IL-1 e GF stimola le cell di Ito che fungono da fibroblasti deponendo matrice. Panlobulare: è una necrosi massiva che colpisce interi acini con importanti alterazioni del parenchima; questa necrosi è tipica dell’epatite fulminante da tossici. Istologia • Degenerazione balloniforme: è considerata borderline. Il nucleo è normale • • mentre il citoplasma è vacuolizzato, presente rigonfiamento diffuso. Corpo di Cauciman: è un corpo eosinofili lungo i sinusoidi, è nucleo picnotici che rimane in seguito ad apoptosi. Infiltrato flogistico: specialmente a livello portale, è responsabile dell’aggressione agli epatociti e induce la necrosi. 107 Diagnosi E’ prevalentemente clinica. Si basa anche sui picchi di transaminasi che sono direttamente proporzionali alla quota di necrosi. ES: l’epatite da HCV innalza moderatamente le transaminasi e infatti questo virus causa epatite cronica. Steatoepatite alcolica e non alcolica (ASH e NASH) La ASH è correlata unicamente all’abuso di alcool! La NASH può essere collegata a obesità, dislipidemie e diabete di tipo 2; in generale si associa a tutte quelle condizioni che causano uno squilibrio del metabolismo lipidico! La caratteristiche sono le medesime nei due casi: • Alterazioni morfologiche • Danno epatocitario necrotico • Infiammazione • Fibrosi (che porta poi a cirrosi) Le γGT aumentano peculiarmente nei danni epatici da alcool e dopo 2 mesi di astinenza tornano a livelli normali. La diagnosi si pone dopo tre osservazioni: • Corpi di Mallory • Apoptosi • Statosi L’infiltrato presenta: • Prevalenza linfocitaria • Neutrofili (responsabili delle zone necrotiche “spotty” tipiche) • Aumento delle cell di Kupfer (con Fe2+ ed elementi ceroidi) • Aumento fibrosi pericellulare che si forma attorno agli epatociti balloniformi e si espande verso lo spazio portale e la vena centrolobulare. Per questa confluenza si ha un’alterazione parenchimale con unione dei canali vascolari. La colorazione PAS evidenzia nuclei glicogenati tipici delle epatopatie dismetaboliche. Epatite fulminnte Si parla di epatite fulminante quando l’insufficienza epatica progredisce dall’inizio dei sintomi fino all’encefalopatia epatica in 2-3 settimane. Le cause sono: ¾ 12% Æ Infezioni virali da HAV o HBV (anche riattivazioni), raramente da HHV. 108 ¾ ¾ ¾ ¾ 52% Æ Farmaci e intossicazioni chimiche Altre cause tra cui l’ingestione della tossina del fungo ammanita phalloides 18% Æ sconosciute Vi sono poi altre cause abbastanza rare come l’ischemia epatica, infiltrazione maligna massiva, malattia di Wilson, ipertermia e la statosi epatica gravidica acuta. La giovane età è un fattore prognostico positivo. Morfologia Le alterazioni morfologiche sono sempre le medesime indipendentemente dall’agente scatenante. Il fegato può essere interessato totalmente o a zone casuali con ingenti perdite di massa che possono ridurre il fegato fino a 500g. In questi casi l’organo si presenta flaccido, rossastro e con la capsula raggrinzita per la riduzione di taglia. A livello microscopico vi è la completa distruzione epatocitaria che lascia una struttura reticolare collassata e i tratti portali conservati. Se il pz muore velocemente all’autopsia non risulta quasi nessuna reazione infiammatoria mentre se sopravvive una settimana si inizia a vedere l’attività macrofagica di pulizia e l’inizio di una rigenerazione. Se il pz supera le prime settimane la rigenerazione a partire dalle cell staminali può portare a una guarigione la cui struttura dipende dall’entità del danno alla rete stromale di sostegno. Clinica Esordisce con ittero, encefalopatia epatica fetor hepaticus, se si protrae la sintomatologia può risultare simile a quella dell’epatite acuta. La mortalità varia dal 25 al 90% in assenza di trapianto. 109 Malattie delle vie biliari intraepatiche Cirrosi biliare primitiva E’ una patologia autoimmuni cronica che possiede un’evoluzione particolare in quanto passa attraverso vari stadi all’interno di un concetto globale di epatite cronica autoimmune e non è prevedibile la durata di questi stadi che possono durare fino a 20 anni con una certa latenza della malattia. Si definisce come una colangite cronica non suppurativa (i neutrofili non sono i primi mediatori) mentre la maggior parte delle colangiti, di solito, lo è. La pz tipica è una donna trai 45 e i 55 anni in piena salute che lamenta prurito specialmente nelle ore notturne. Æ il medico di base solitamente prescrive degli antistaminici che danno sollievo per tre giorni dopodichè il prurito si ripresenta Æ oltre al prurito dovuto ai sali biliari in circolo vi è anche la presenza di subittero nelle sclere e nel frenulo della lingua Æ la pz lamenta inoltre patologie concomitanti come sclerodermia, tiroiditi croniche (Hashimoto), morbo celiaco, artrite reumatoide…tutte patologie che difficilmente sfuggono all’osservazione. I valori sierici sono i seguenti: GOT e GPT nella norma Aumento di una sola colestasi γGT nella norma per escludere abuso alcolico AMA nel 90% dei casi Picco di IgM (mentre di solito sono le IgG quelle alte in questi casi) Le Ig anti-dotti biliari danneggiano anche altre strutture duttali come le ghiandole lacrimali, quelle salivari e quelle sudoripare. La terapia è incentrata sull’uso dell’acido ursodesossicolico che facilita l’emuntorio biliare. Grado e Stadio La diagnosi è clinica ma la biopsia serve per determinare lo stadio e il grado e per porre diagnosi nei casi in cui i pz risultino AMA- all’IIC. Il grado, come sempre, si basa sull’entità dell’infiammazione in corso, sull’infiltrato, sul danno cellulare da esso causato e sull’entità della fibrosi riparativa. Gli stadi vanno da 1 a 4 non hanno una durata predefinita: 1. Danno biliare + infiltrato linfocitario con qualche plasmacellula, presenza di necrosi di interfaccia e di aggregati follicolari. Vi è la dissoluzione della 110 membrana basale e, per questo motivo, i biliociti arrivano persino a scomparire. L’evidenza istologica è la scomparsa del dotto biliare in prossimità dell’arteriola alla quale quasi sempre si accompagna. Iniziano a formarsi i primi granulomi a livello degli spazi portali che poi vanno a interessare tutto il lobulo. Questa fase può durare fino a 20 anni! 2. Al danno segue l’evento riparativo con rigenerazione duttulare, evidenze di necrosi periportale, a volte necrosi confluente e fibrosi 3. Progressione fibrosi 4. Cirrosi Può recidivare in tempi imprevedibili e comunque in maniera blanda. Colangite sclerosante E’ una patologia autoimmuni che colpisce prevalentemente i maschi di giovane età e consiste nel depauperamento dei dotti biliari nativi ce vengono sostituiti da fibrosi che causa stenosi e dilatazioni sacciformi. La diagnosi si effettua con la Wirsungrafia retrograda. Questa patologia può avere una latenza massima di 7 anni dopodichè evolve in cirrosi e vi è la necessità di un trapianto. Questa patologia è spesso associata ad altre patologie autoimmuni come la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn. A livello sierico si evidenziano alti livelli di Ig anti-ANCA. Morfologia Danno allo spazio portale: Edema che fa risultare lo spazio portale bianco Fibrosi concentrica a bulbo di cipolla a livello periduttale Flogosi portale danneggia il dotto biliare che scompare lasciando un globulo ialino I segni lasciati dalle colestasi sono: Rosette epatocitarie Trombi biliari Degenerazione schiumosa La diagnosi si effettua solo con imaging e anche escludendo man mano altre possibili patologie. Questa patologia aumenta il rischio di carcinoma ai dotti biliari e pancreatici. 111 Tumori e lesioni simil-tumorali del fegato DISCORSO INTRODUTTIVO Le lesioni maligne riguardanti il fegato sono: ¾ Per il 75% di origine metastatica ¾ Per il 25% di origine primitiva Vi sono 10.000 casi l’anno al S.Orsola e sono in forte ascesa visto che nei primi anni ’80 ve ne era solo 1 all’anno. L’incremento è dovuto alla forte presenza di epatopatia ed epatiti virali che sono endemiche nella nostra zona e che sono fattori altamente promuoventi lo sviluppo di tumori. Come in altri paesi industrializzati sono le abitudini di vita a favorire, a loro volta, lo sviluppo di queste patologie; per esempio c’è stato un forte incremento nella fascia giovanile dopo il boom degli anabolizzanti. Normalmente la diagnosi è occasionale perché non ci sono sintomi e il pz si mantiene in stato di completo benessere, per cercare di aumentare lo screening: • Si consigliano check-up periodici • Si tengono sotto osservazione le fasce a rischio: - Pz con epatiti virali - Pz con stadi evolutivi di epatopatie croniche come la cirrosi La realtà è che ora si riesce a guarire se la diagnosi è tempestiva! I tumori primitivi del fegato si dividono in benigni e maligni, i più comuni sono quelli epiteliali che possono trarre origine da: ¾ Epatocita ¾ Biliocita ¾ Cell staminali I tumori mesenchimali del fegato sono poco frequenti… La prima evidenza è il riscontro, mediante ECO al fegato, di una lesione occupante spazio. La prima cosa da capire è se si tratta di un interessamento primario o secondario. Per questo motivo si verifica se il pz ricade in una delle fasce a rischio. Æ Se ci troviamo di fronte a un pz cirrotico possiamo escludere con una certa sicurezza che si tratti di metastasi. Il fegato cirrotico, a causa delle alterazioni del suo circolo, si presenta come un pessimo accettare di metastasi!!! Patogenesi, diagnosi e terapia In questa sede ci interessa analizzare, chiaramente, la patogenesi dei tumori primari del fegato. 112 Di solito tutto parte dalla deregolazione di un clone di formazione epatocitaria, queste cell non sono ancora maligne e possono persistere anni senza diventare carcinomatose. La cirrosi è una condizione epatica nella quale si è persa la struttura tipica del parenchima dell’organo e che mostra noduli di rigenerazione separati da tralci fibrosi. Questi noduli di rigenerazione accolgono epatociti proliferanti che tentano di riparare al danno subito dal fegato. E’ all’interno di questi noduli che avviene la deregolazione di un clone, questo prolifera aumentando le dimensioni del nodulo fino a renderlo evidente all’ECO. Queste strutture vengono chiamate noduli macrorigenerativi. Dopo l’evidenza ecografica non si può avere una prova certa di malignità finchè non si effettua una biopsia. La biopsia viene però effettuata solo in casi speciali visto che il pz cirrotico è solitamente scoagulato a causa dell’insufficienza epatica. Per prevenire questi problemi si fa una stima approssimativa coi mezzi della diagnostica per immagini: ¾ Nodulo con diametro >2cm è considerato maligno ¾ Nodulo con diametro <2cm è considerato boarderline Questa classificazione però è tutt’altro che rigorosa. Per la diagnosi ci si appella poi anche alla clinica: ¾ Pz non cirrotico: - Neoplasia primitiva (colangiocarcinoma o epatocarcinoma) - Metastasi ¾ Pz cirrotico: spesso il tumore è primario Le capacità rigenerative del fegato vengono perse nella cirrosi perciò, in caso di malattia, bisogna valutare il grado di resecazione al fine di non causare insufficienza epatica. **Oggi si trapianta anche un fegato di 90 anni a patto che rispetti certi parametri. Infine la biopsia chiarisce, anche se in parte, la natura benigna o maligna della lesione tenendo conto che resta ancora una certa gamma di situazioni boarderline. Caso 1 Se ci si presenta un pz cirrotico con un nodulo si sospetta subito una neoplasia maligna. Si procede distruggendo il nodulo…in che modo? Si introduce dell’alcool assoluto sotto guida ECO che causa necrosi coagulativa o si bloccano i vasi afferenti al nodulo stesso. Se siamo in presenza di più noduli di difficile raggiungimento si procede con il trapianto il prima possibile per ridurre il rischio di recidive. Caso 2 Se il fegato non è cirrotico si procede all’analisi della lesione che può risultare maligna, benigna o metastatica; nell’ultimo caso si analizzano le cell cercando di capire la sede primaria del tumore. 113 In questi casi possiamo effettuare resecazione perché le potenzialità rigenerative del fegato sono intatte. **Variante fibrolamellare: è una forma che si credeva benigna e in realtà non lo è affatto; si presenta come massa occupante spazio con all’interno una cicatrice stellata. ** Tumore camaleonte: in alcuni tumori all’interno della massa si trovano tutti i tipi di tumori maligni epiteliali; questo perché le cell staminali possono dare tutti i tipi di epiteli a seconda delle condizioni del microambiente. Tumori primitivi del fegato Possono avere tre origini biologiche: ¾ Epatocita Æ Epatocarcinoma ¾ Biliocita Æ Colangiocarcinoma ¾ Cell staminale Æ epatocarcinoma o colangiocarcinoma Le cell staminali o cell ovali si trovano in prossimità dei dotti di Hering, a questo punto possono migrare in due direzioni: • Verso la vena centrolobulare Æ diventano epatociti • Verso lo spazio portale Æ diventano biliociti Normalmente queste cell sono in stato quiescente; quando si verifica un danno accadono due cose: • Proliferazione degli epatociti • Differenziazione delle cell staminali E’ in questo momento che queste cell sono soggette a rischio di cancerogenesi. A riprova dell’origine staminale di alcuni tumori epatici basta paragonare l’epatocarcinoma ad alcuni colangiocarcinomi… I tumori degli epatociti producono albumina come la loro variante sana, il colangiocarcinoma dell’ilo apatico (tumore di Klatskin) non produce albumina ed è l’unico tumore delle vie biliari epatiche che origina da biliociti maturi e, per questo, ha anche fattori di rischio diversi dagli altri colangiocarcinomi che restano limitati al fegato e producono albumina. Iperplasia nodulare focale Nel fegato non cirrotico si possono sviluppare noduli epatocellulari iperplastici singoli o multipli. 114 L’iperplasia nodulare focale si presenta come una massa occupante spazio specie nelle donne di mezza età. La patogenesi dipende da condizioni di alterato flusso ematico. Morfologia Si presenta come un nodulo ben demarcato ma scarsamente capsulato che può raggiungere diversi cm di diametro. La massa si presenta più chiara rispetto al parenchima circostante con una cicatrice stellata grigio-biancastra al centro. Questa cicatrice contiene grandi vasi leggermente alterati . I setti radianti della cicatrice presentano infiltrati linfocitari e metaplasia duttulare degli epatociti con proliferazione di dotti biliari; vi è accumulo di rame. Il parenchima circostante risulta normale ma organizzato in lamine caratteristiche della rigenerazione. Adenoma epatocellulari E’ una neoplasia benigna del fegato che trae origine dagli epatociti e si manifesta specialmente nelle giovani donne che assumono contraccettivi orali, di solito regredisce con la soppressione dell’assunzione. Si associa anche al diabete familiare. Sono clinicamente importanti per tre motivi: 1. possono essere confusi col carcinoma 2. possono lacerarsi in gravidanza sotto stimolo estrogenico e causare emorragie 3. possono nascondere un carcinoma Morfologia Si presentano come noduli pallidi giallo-brunastri localizzati ovunque nel fegato. Questi noduli sono composti da epatociti normali ma non presentano la comune struttura del parenchima epatico! Possono raggiungere un diametro di 30cm! Istologicamente presentano lamine e cordoni di cell simili a normali epatociti con lievissime atipie e citoplasma chiaro per l’ingente presenza di glicogeno. Se la neoangiogenesi non riesce a seguire la crescita della massa si forma necrosi centrale che all’ECO può sembrare anche un carcinoma. Carcinoma epatocellulare (HCC) E’ una neoplasia non troppo frequente che ricopre il 5% di tutte le neoplasie. Oltre l’85% di HCC si verifica nei paesi con alto tasso d’infezione da epatite B. 115 In queste zone il tumore si presenta anche in assenza di cirrosi mentre nei paesi occidentali, dove HBV non è prevalente, il 90% è associato a cirrosi. Patogenesi Sono state stabilite tre associazioni eziologiche principali: ¾ infezione virale (HBV e HCV) ¾ alcolismo ¾ contaminanti alimentari (specie aflatossine) ¾ tirosinemia ereditaria e forme ereditarie di emocromatosi I fattori promuoventi sono: • cicli di morte e rigenerazione cell dovuti alle epatiti croniche • alterazioni preneoplastiche come la displasia epatocitaria causate da mutazioni dei fattori di crescita e dall’interazione delle proteine virali • accumulo di mutazioni durante i cicli rigenerativi che possono ledere il sistema di riparazione del DNA • integrazione del genoma di HBV che determina aberrazioni cromosomiche, traslocazioni e duplicazioni Morfologia Può essere presente come… • massa unificale • noduli multifocale • massa diffusamente infiltrante Æ epatomegalia!! Tutti questi tipi hanno una forte propensione a invadere il lume vascolare dando metastasi intraepatiche e ai vasi afferenti (cava sup e inf, porta…). Le lesioni possono essere ben differenziate o totalmente indifferenziate! Vi può essere anche la variante fibrolamellare di cui si è già parlato, questa forma ha una prognosi migliore Clinica La clinica non è molto caratteristica perché mascherata dalla sintomatologia della malattia di base. Neppure il laboratorio è di aiuto più di tanto. Tumori metastatici L’interessamento metastatico rappresenta il 75% delle neoplasie epatiche!! L’interessamento metastatico del fegato è molto frequente sia da parte di neoplasie sottodiaframmatiche come il carcinoma del colon, sia da neoplasie sopradiaframmatiche come il carcinoma delle mammella e il carcinoma broncogeno. 116 Non a caso le tre neoplasie primitive che metastatizzano più facilmente al fegato sono quelle del: • colon • polmone • mammella Tipicamente si osservano noduli multipli che causano epatomegalia e possono costituire fino l’80% del parenchima epatico. Il fegato da raramente e solo in presenza di un’invasione massiva segni di insufficienza epatica, la patologia resta silente fino agli ultimi stadi. Il motivo di questa predisposizione ad accettare metastasi è dovuta alla doppia vascolarizzazione dell’organo. Si è scoperto che l’homing delle metastasi è mediato da recettori e molecole di adesione. Un esempio sono le metastasi di neoplasie del colon, dello stomaco e dei polmoni. Come molti altri tumori questi esprimono molecole embrionarie e, in questo caso, la molecola è il CEA. Questa molecola embrionaria espressa da questi tre tumori ha uno spiccato tropismo per i sinusoidi epatici e serve da proteina d’adesione per le metastasi. Se arriva un pz con masse epatiche diffuse quasi certamente sono metastasi, ci sono due step per risalire al tumore primitivo: ¾ si esegue la biopsie epatica visto che è abbastanza agevole ¾ si eseguono TAC e PET per evidenziare il metabolismo di questa neoplasia Grazie all’IIC e all’analisi delle CK (citocheratine) si scoprono falsi colangiocarcinomi e falsi epatocarcinoma che in realtà sono metastasi. 117 Patologia neoplastica delle vie biliari DISCORSO INTRODUTTIVO Le vie biliari sono un sistema anatomico adibito al transito della bile. Questo sistema è interamente rivestito da un epitelio composto di biliociti con la sola funzione di rivestimento. Il sistema è composta da due porzioni, una intraepatica e una extraepatica, nell’ordine… 1. piccoli dotti intraepatici 2. duttuli 3. dotti 4. dotti epatici dx e sx 5. dotto epatico comune 6. coledoco (dotto epatico comune + dotto cistico) Il coledoco può sboccare singolarmente o dopo essersi unito al dotto di Wirsung proveniente dal pancreas a livello della papilla del Vater e quindi dello sfintere di Oddi. Ogni punto di questo percorso può dare cancro con sempre le medesime caratteristiche ma al giorno d’oggi si divide la patologia in zone di interessamento in quanto, nonostante la medesima istopatologia, la sintomatologia e le indicazioni terapeutiche cambiano. Patogenesi L’agente iniziante è un cancerogeno escreto nelle bile dopo ingestione e assimilazione! Il fattore promuovente è la flogosi cronica!!...essa trova la sua eziologia in diversi fattori: • Presenza di calcoli (il fattore più frequente) specie a livello della colecisti dove i sali biliari hanno modo di depositarsi. • Infezioni da vermi (specie nel sudest asiatico) • Flogosi iatrogena come nel caso dell’apposizione di uno stent per mantenere le vie biliari pervie • Colangite sclerosante, malattia infiammatoria cronica delle vie biliari intraepatiche DD con neoplasie pancreatiche L’epitelio biliare e quello dei dotti pancreatici hanno la medesima origine embrionale che risale alla migrazione dei gettoni epiteliali dall’intestino primitivo all’abbozzo epatico e all’abbozzo pancreatico. Per questa medesima origine hanno caratteri comuni e le rispettive neoplasie entrano quasi sempre in DD sul piano clinico, sul piano istologico e sul piano sierologico facendo risultare molto difficile la distinzione. 118 Per esempio le neoplasie della testa del pancreas hanno la stessa sintomatologia dell’ampulloma… • Ittero diretto • Feci ipocoliche (o ipocromiche) per mancanza di bilirubina • Urine ipercromiche per urobilinogeno • Prurito per deposizione di Sali biliari nella pelle Il laboratorio cerca un marker che è una proteina embrionale chiamata CA-19-9 che è indice di neoplasia biliare o pancreatica ma è presente in circolo anche in altre patologie non neoplastiche delle due zone o in neoplasie di altri organi perciò non è altamente discriminante di tumore. Normalmente si hanno due valori di riferimento: ¾ <20 µg/ml va bene ¾ 20< x <100 µg/ml mostra buone possibilità di neoplasia ma non c’è certezza Colangiocarcinoma Tutti i tumori delle vie biliari, visto la stesso epitelio di origine, si dovrebbero chiamare colangiocarcinoma. In realtà la definizione rimane ristretta ai tumori primitivi delle vie biliari intrepatiche. Le neoplasie dei biliociti si possono verificare a diversi livelli: • A livello periferico (dai piccoli dotti periferici) • Nell’ilo (tumore di Klatskin) Ædai grossi dotti dell’ilo, dalla biforcazione fino a 1cm dalla stessa. • Vie biliari principali • Ampolla del Vater • Colecisti E’ stato calcolato che almeno i 2/3 dei colangiocarcinomi (intraepatici) derivano dalle cell staminali differenziate in senso biliare quindi le cause comprendono anche le lesioni epatocitaria come l’infezione da virus epatici. Morfologia E’ la medesima per tutte le collocazioni: adenocarcinoma con aspetto ghiandolare e duttale con caratteri comuni a quelli del digerente (squamosi, mucinosi, papillari…) Prognosi Sono forme molto aggressive perciò dipende dalla possibilità di resecare il più possibile Colangiocarcinoma (intraepatico) E’ una neoplasia maligna che origina dai dotti biliari interni al fegato. I fattori di rischio sono già stati elencati ma, in Occidente, spesso questa neoplasia insorge senza precedenti fattori di rischio. 119 Morfologia Insorgono nel fegato non cirrotico e possono seguire gli spazi portali intraepatici formando una massa arboriforme. Oppure possiamo avere masse tumorali nodulari. La caratteristica principale è l’invasione linfatica e vascolare! L’istologia è simile a quella degli adenomi e si presenta spesso in forma sclerosante con strutture ghiandolari e tubulari ben differenziate rivestite da cell cuboidale o piatte. Normalmente non presentano bile poiché l’epitelio da cui sono composti non può produrla. Si osservano casi di tumori misti, ovvero con compresenza di HCC; in questi casi è logico supporre un’origine dalle cell staminali. Nel 50% dei casi questa neoplasia dà metastasi, in particolare a polmoni, vertebre e cervello. Clinica La forma intraepatica non viene normalmente diagnosticate prima che sia giunta nella sua fase terminale quando ha creato ostruzione al transito nelle vie biliari o ha dato luogo a una massa epatica sintomatica. L’esito è sempre infausto, la massima sopravvivenza può protrarsi fino a poco più di due anni, normalmente si muore entro 6 mesi dalla diagnosi. La chirurgia fortemente eradicante è l’unica speranza di protrarre la sopravvivenza. Carcinoma dei dotti biliari extraepatici Sono tumori abbastanza rari, sono insidiose visto che provocano un ittero che si aggrava ma nessuna manifestazione dolorosa. Insorgono principalmente nei soggetti anziani con una lieve predilezione per i maschi. I fattori di rischio sono sempre gli stessi del colangiocarcinoma intraepatico; in particolare è importante la colangite ascendente nel caso lo sfintere di Oddi non chiuda bene e le basse vie biliare vengano infettate dai batteri del duodeno. Morfologia Per l’ostruzione delle vie biliari causa rapidamente ittero, la diagnosi risulta abbastanza veloce e si effettua quando il tumore è ancora di piccole dimensioni. 120 Si presenta come un nodulo o più noduli grigi nella parete del dotto che possono essere: Infiltranti Polipoidi Papillari La maggior parte di queste neoplasie sono adenocarcinomi che possono secernere o meno muco. Rare le varianti squamose. Abbondante componente fibrosa Il tumore di Klatskin origina dal coledoco tra la giunzione del dotto cistico e il dotto epatico comune; questo tumore presenta una caratteristica crescita lenta e non dà metastasi a distanza. Clinica Ittero, feci ipocoliche, calo ponderale, vomito, colecisti palpabile nel 25% dei casi, epatomegalia nel 50% dei casi, urine pigmentate. Importante è distinguere se l’ittero possa essere dovuto a calcolosi e,nel caso, assicurarsi che non vi sia la compresenza di una neoplasia. Ampulloma Qualsiasi tumore che si presenti entro i 2cm finali delle vie biliari, entro 1cm finale del dotto di Wirsung o sull’ampolla del Vater. Anche un polipo del duodeno se occlude la papilla è considerato ampulloma ma la sua derivazione intestinale deve essere chiarificata perché comporta una diversa terapia e soprattutto una prognosi migliore. L’intervento di elezione è la duodenocefalopancreasectomia! 121 Patologia della colecisti Carcinoma della colecisti E’ una neoplasia che si manifesta principalmente nella 7° decade di età con una preferenza per il sesso femminile. E’ una malattia che praticamente sempre viene diagnosticata in uno stadio in cui non è più operabile e la sua sopravvivenza a 5 anni resta dell’1%. In Occidente il 60-90% di queste neoplasie è associato a colelitiasi mentre in Asia la % è molto più bassa a causa delle frequenza di infezioni parassitarie da elminti come fattore di rischio. Morfologia Questa neoplasia può presentare due tipi di accrescimento: Infiltrante Esofitico L’infiltrante è il più frequente e assume l’aspetto di un’area non bene definita di ispessimento diffuso che può interessare l’intera colecisti Possono formarsi ulcere o fistole che coinvolgono i visceri circostanti. L’esofitico si presenta come una massa irregolare a forma cavoliforme che cresce nel lume e invade, contemporaneamente, la parete. La maggior parte sono adenocarcinomi: Papillari e moderatamente differenziati Infiltranti e indifferenziati Squamosi (5%) Clinica La diagnosi preoperatoria si verifica in meno del 20% dei pz. La diagnosi è, come detto, tardiva e avviene solo dopo che il tumore ha già dato metastasi infiltrato il letto epatico sul 4° segmento..ora si opera rimuovendo il letto epatico e questo migliora di poco la sopravvivenza. I sintomi sono insidiosi perché totalmente confondibili con quelli della colelitiasi: Dolore addominale Ittero Anoressia Nausea e vomito L’AJCC ha incluso, nella stadiazione del tumore, il T3 trai tumori che perforano la sierosa, questo li rende operabili secondo protocollo e ciò ha leggermente migliorato la prognosi. 122 Le metastasi linfonodali sono un fattore prognostico negativo. Bisogna stare attenti a fare la DD da colecistite cronica perché le due patologie hanno spesso una radiologia sovrapponibile e innalzano ambedue il CA-19-9. 123 Il pancreas endocrino Struttura normale Costituito dalle isole di Langerhans, contenenti quattro tipi di cellule maggiori e due tipi di cellule minori. I quattro tipi di cellule maggiori sono: 1. cellule β (68%) → producono insulina. Granuli avvolti da mbr e contenenti un core denso rettangolare circondato da alone. 2. cellule α (20%) → producono glucagone, che ha azione antagonista all’insulina. Granuli rotondi con membrane molto vicine tra loro e zona central più scura 3. celluleδ (10%) → producono somatostatina, che ha azione sopprimente sia il rilascio di insulina che il rilascio di glucagone. Granuli grandi e pallidi con membrane molto vicine tra loro. 4. cellule PP (2%) → contengono un particolare polipeptide pancreatico che stimola la secrezione di enzimi gastrici ed inibisce la motilità intestinale. Granuli piccoli e scuri presenti anche a livello del parenchima pancreatico e non solo a livello delle insule. I due tipi di cellule minori sono: 1. cellule D1 → elaborano VIP (vasoactive intestinale polypeptide) che provoca glicogenolisi ed iperglicemia e stimola la secrezione di fluidi gastrointestinali. 2. Cellule enterocromaffini → sintetizzano serotonina. Diabete mellito Gruppo di disordini cronici del metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine, accomunati dal dato clinico di un iperglicemia dovuta a carenza assoluta, relativa o assoluta e relativa di insulina. Colpisce il 3% della popolazione mondiale (140 milioni di individui) ed è in costante aumento, tanto che si pensa che entro il 2025 il numero delle persone che ne sono affette raddoppierà. Diagnosi I valori di glicemia sono considerati normali quando: - glicemia a digiuno < 110 mg/dL - glicemia dopo 2 ore dal pasto < 140 mg/dL La diagnosi di diabete si fa quando si osservano almeno per 2 volte un tale aumento del glucosio ematico: - glicemia al riscontro casuale >200 mg/dL - glicemia a digiuno > 126 mg/dL - glicemia dopo 2 ore dal pasto > 200 mg/dL Per gli individui con valori di glicemia a digiuno compresi fra 110 e 126, si parla di alterata omeostasi glucidica. Per gli individui con valori di glicemia dopo 2 h dal pasto compresi fra 126 e 200 si parla di intolleranza al glucosio. In entrambi i casi gli individui in questione hanno un rischio notevolmente maggiore di sviluppare diabete conclamato; un 5-10% dei casi sfocia verso il diabete mellito. 124 Classifcazione La classificazione attualmente è basata principalmente su dati patogenetici. a) diabete primitivo 1. diabete di tipo 1 (10%) → deficit assoluto di insulina, per la distruzione delle cellule del pancreas 2. diabete di tipo 2 ( 80-90%) → associazione di resistenza periferica all’azione dell’insulina e deficit relativo di insulina, cioè disfunzione delle cellule β che impedisce un’adeguata risposta compensatoria secretoria. 3. Forme monogeniche di diabete 4. Diabete mellito gestazionale b) diabete secondario - ad infezioni (citomegalovirus, rosolia congenita, coksackie B) - ad endocrinopatie (tumori dell’ipofisi, del surrene) - all’uso di farmaci - ad altri difetti genetici (sindrome di Down, sindrome di Turner) Ad una differente patogenesi di queste forme, corrisponde un comune sviluppo delle manifestazioni cliniche e degli effetti a lungo termine di tutti questi tipi di diabete. Fisiologia normale dell’insulina L’insulina, con l’azione del suo ormone antagonista, il glucagone viene ad avere un importante effetto di regolazione sul metabolismo del glucosio. L’insulina in particolare viene ad avere le seguenti azioni: • Sul metabolismo glucidico - favorisce la captazione di glucosio da parte delle cellule muscolari (utilizzo del glucosio come fonte di energia) o da parte degli adipociti (immagazzinamento sotto forma di lipidi), mediata da specifici trasportatori insulino-dipendenti (GLUT 4). - favorisce la glicogenosintesi a livello del muscolo scheletrico e del fegato - inibisce la gluconeogenesi epatica • Sul metabolismo lipidico - favorisce la lipogenesi e diminuisce la lipolisi a livello degli adipociti • Sul metaolismo proteico: - favorisce la capatazione degli amminoacidi - favorisce la sintesi proteica ed inibisce la degradazione delle proteine. • Funzioni mitogene - induzione della sintesi del DNA - induzione del differenziamento cellulare in molte cellule In definitiva dunque ha azione ipoglicemizzante ed ha un forte potere anabolico, inducendo la sintesi e promuovendo la cerscita. 125 REGOLAZIONE del RILASCIO di INSULINA 1. Sintesi dell’insulina. Sintesi della preproinsulina (precursore inattivo) nel RER e trasporto nell’apparato di Golgi ↓ Scissioni proteolitiche in serie che determinano formazione equimolare di - insulina matura → catene α e β - peptide di clivaggio → peptide C ↓ Accumulo di insulina e peptide C nei granuli. ↓ Secrezione di insulina e peptide C, dopo stimolazione, in quantità equimolari (livelli di peptide C come indice diagnostico della produzione di insulina endogena). 2. Rilascio di insulina. Stimolo: aumento della glicemia ↓ Captazione di glucosio nelle cellule β del pancreas, da parte di GLUT2 (trasportatore insulino-indipendente) ↓ Metabolismo glicolitico e produzione di ATP, con aumento della concentrazione di glucosio intracellulare. ↓ Inibizione dell’attività dei canali del K sensibili all’ATP sulla mbr. ↓ Depolarizzazione della mbr ed ingresso di calcio extracellulare attraverso i canali del calcio voltaggio dipendenti. ↓ Incremento del calcio intracellulare ↓ Secrezione di insulina AZIONE DELL’INSULINA Il rilascio dell’insulina in circolo porta al suo legame con recettori periferici che si trovano preferenzialmente a livello delle cellule muscolari striate ( muscolo scheletrico e miocardio) ed a livello degli adipociti. Il recettore dell’insulina è una proteina tetramerica, composta da: - 2 subunità α → legano l’insulina ed inducono modificazioni conformazionali dei domini β con conseguente loro attivazione - 2 subunità β → in seguito ad attivazione acquisisce attività tirosino chinasica, provocando una fosforilazione a cascata di molte proteine bersaglio. Si possono dividere le vie di attivazione del segnale i due grandi categorie: - via mitogena → mediata dall’attivazione della MAP kinasi - via metabolica → mediata dall’attivazione della fosfatidil-inositolo-3- chinasi (PI3-K). 126 Patogenesi del diabete mellito tipo 1 È un malattia autoimmune in cui si vede la distruzione delle insule pancreatiche mediata dalla risposta immunitaria contro antigeni ancora poco caratterizzati delle cellule β. MECCANISMI di DISTRUZIONE delle CELLULE β I meccanismi che concorrono alla distruzione delle cellule β sono diversi: 1. linfociti T che reagiscono contro antigeni delle cellule β → questo è testimoniato dalla presenza nei primissimi stadi della malattia di insulite (infiltrazione linfocitaria e necrosi) con presenza di linfociti TCD4+ (danno mediato dall’attivazione dei macrofagi) e di linfociti TCD8+ (citotossici, distruggono direttamente le cellule β ). La specificità di queste cellule è del tutto sconosciuta. 2. Citochine prodotte localmente che danneggiano le cellule β 3. Autoanticorpi contro antigeni delle cellule insulari ( → compresi Ac contro GAD, decarbossilasi dell’acido glutammico) ed insulina, presenti nel sangue del 70-80% dei pz. Inoltre nella reazione autoimmune vediamo nelle cellule β aumentata espressione di molecole MHC di classe I ed espressione aberrante di antigeni MHC di classe II, quest’ultima probabilmente indotta da citochine prodotte localmente dai linfociti CD4+. Essendo il diabete di tipo I una malattia autoimmunitaria un ruolo importante nella patogenesi di questa malattia viene svolto da: 1. suscettibilità genetica → vi sono vari loci associati alla malattia, ma quello più importante è il locus della classe II dell’MHC, responsabile da solo di circa la metà della suscettibilità genetica. 2. fattori ambientali → sono poco noti, ma sono evidenziati dall’evidenza che emigranti di una etnia hanno un rischio di ammalarsi più simile alle popolazioni del paese di destinazione. Probabile è il coinvolgimento di alcune infezioni virali nell’autoimmunità; in particolare si pensa alle infezioni da Coxsackie B e secondariamente a parotite, morbillo, rosolia e mononucleosi, visto che l’insorgenza del diabete sembra avere un trend stagionale simile a quello di queste infezioni. Il meccanismo mediante cui le infezioni provocherebbero autoimmunità può essere di due tipi: - le infezioni provocano danni tissutali ed infiammazione, con conseguente esposizione di Ag prima nascosti dalle cellule β e con conseguente reclutamento ed attivazione di linfociti ed altri leucociti nel tessuto. - I virus producono proteine che simulano e cross-linkano con proteine delle cellule β, con conseguente attivazione di una risposta immunitaria contro autoantigeni. Patogenesi del diabete mellito tipo 2 Il diabete mellito di tipo 2 è caratterizzato da 2 difetti metabolici: - insulino-resistenza → minore capacità dei tessuti periferici di rispondere all’insulina. Patogenesi legata a 127 • difetti genetici • situazione di obesità e stile di vita sedentario - disfunzione delle cellule β → inadeguata secrezione di insulina in adattamento all’insulino-resistenza.. Patogenesi legata a difetti o predisposizione genetica. INSULINO-RESISTENZA L’insulino-resistenza è la resistenza agli effetti dell’insulina.. Comporta: - < assorbimento di glucosio nelle cellule muscolari e nel tessuto adiposo - incapacità dell’insulina di sopprimere la gluconeogenesi epatica. È dovuta ad alterazioni qualitative e quantitative delle vie di segnalazione controllate dall’insulina, e nelle vie che determinano secrezione insulinica. La patogenesi dell’insulino-resistenza non è ben chiara, ma sicuramente è legata a: 1. difetti genetici del recettore e della via di regolazione dell’insulina (intermediari a valle del recettore dell’insulina) → è difficile identificare precisamente i geni coinvolti, anche se il fatto che vi sia una componente genetica è certo (50-90% di concordanza tra gemelli monozigoti). 2. Obesità: è stato dimostrato che il rischio di sviluppare diabete aumenti con l’aumento della massa corporea e sia associato in modo particolare ad un’obesità addominale, centrale. Probabilmente l’obesità gioca un ruolo centrale nel determinare insulino-resistenza attraverso tre meccanismi: - acidi grassi liberi (FFA) → tipicamente nei pz obesi si osserva un aumento del livello FFA plasmatici con conseguente accumulo di trigliceridi intracellulari. Questi, insieme ai prodotti del metabolismo degli acidi grassi diminuiscono la sensibilità del tessuto all’insulina. - Adipochine: leptina, adiponectina e resistina sono citochine rilasciate dagli adipociti nel circolo sistemico; la disregolazione della loro secrezione, che si osserva frequentemente nei pz obesi, può portare ad insulino-resistenza. • La leptina infatti sensibilizza gli organi periferici all’azione dell’insulina in modo mediato dal SNC, sui cui recettori essa agisce. • La resistina aumenta l’insulino-resistenza a livello del muscolo perifierico. • L’adiponectina aumenta la sensibilità all’insulina a livello del muscolo periferico - PPARγ (peroxisome-activated receptor γ) e tiazolidinedioni (TZD): I tazolidinedioni sono farmaci che agiscono sul PPARγ, un recettore nucleare che modula la trascrizione di adipochine nel tessuto adiposo, portando infine ad una diminuzione dell’insulino-resistenza. DISFUNZIONE delle CELLULE β Per disfunzione delle cellule β nel diabet mellito di tipo 2 si intende l’incapacità delle medesime di adattarsi all’insulino-resistenza periferica ed all’aumento di richiesta di secrezione di insulina. Nello sviluppo del diabete mellito di tipo 2 si hanno tre fasi: - fase1 → si ha una ocndizione di insulino-resistenza che è del tutto compensata da > livelli di secrezione insulinica,, con conseguente normoglicemia 128 - fase2 → la compensazione delle cellule β diventa inadeguata, per ↑ dell’insulinoresistenza accompagnato dall’iniziale esaurimento delle cellule β. Si ha uno stato di alterata tolleranza od omeostasi glucidica. - fase3 → l’insulino-resistenza si mantiene costante, ma si ha una compensazione che diviene sempre più inadeguata, con crescita dell’insufficienza delle cellule β. Si ha diabete conclamato. La disfunzione delle cellule β è qualitativa e quantitativa: - disfunzione qualitativa: si ha alterazione del normale schema della secrezione di insulina con attenuazione della prima fase di secrezione rapida dell’insulina in risposta all’aumento della glicemia. Con il tempo il difetto interessa tutte le fasi anche se persiste una certa secrezione basale, ampiamente insufficiente. - Disfunzione quantitativa: si ha una diminuzione della massa delle cellule β, per degenerazione di una parte delle insule, con deposito di amiloide. Patogenesi delle complicanze del diabete La morbilità associata al diabete e quasi sempre dovuta alle complicanze di questa patologia e non alla patologia in sé. Principalmente le complicanze sono vascolari ed interessano: 1. arterie di medio e grande calibro → macroangiopatia. Gli effetti sono principalmente un’aterosclerosi accelerata, con maggiore rischio di infarto del miocardio, di ictus o di gangrena degli arti inferiori. 2. Arteriole e capillari degli organi bersaglio → microangiopatia. Gli effetti sono principalmente un inspessimento della mbr basale prevalentemente a livello della retina (retinopatia), del rene (nefropatia) e dei nervi periferici (neuropatia). Queste complicanze sono dovute naturalmente allo stato iperglicemico ed in particolare sono implicate tre distinte vie metaboliche: a. formazione di AGE (prodotti finali della glicosilazione avanzata), per la reazione non enzimatica tra precursori glucosio-derivati e gruppi aminici di proteine intra ed extra cellulari. Gli AGE hanno azione lesiva sulla matrice extracellulare e sulle proteine plasmatiche circolanti. - sulla matrice extracellulare la formazione di AGE provoca • cross-linking tra polipeptidi della medesima proteina: collagene di tipo I nei grandi vasi (↓ elasticità e sovraccarico ematico conseguente), collagene di tipo IV della mbr basale (↑ permeabilità ai fluidi). • Intrappolamento delle proteine non glicosilate: LDL nei grandi vasi, con conseguente loro ossidazione ed aumento del rischio di aterosclerosi, proteine plasmatiche nei capillari con conseguente ↑ dello spessore della mbr basale. • Resistenza alla digestione proteolitica. - il legame dei precursori glucosio-derivati a proteine plasmatiche porta alla formazione di AGE circolanti che: • si legano ai recettori per gli AGE su monociti e cellule endoteliali • provocano l’attivazione della via mediata da Nf-κβ con conseguente: ¬ rilascio di citochine e fattori di crescita ¬ aumento della permeabilità vascolare ¬ induzione dell’attività procoagulante 129 ¬ aumentata proliferazione e sintesi di ECM da parte di fibroblasti e cellule muscolari liscie b. attivazione della proteina chinasi C: normalmente è attivata da ioni calcio e da diacilglicerolo (DAG). La sintesi ex novo di DAG può essere stimolata dall’iperglicemia intracellulare con conseguente abnorme attivazione della pKC che ha i seguenti effetti principalmente: • Produzione di VEGF, proteina proangiogenica, implicata nella neovascolarizzazione che caratterizza la retinopatia diabetica. • Aumento dell’attività vasocostrittrice (↑ secrezione endotelina) • Produzione di molecole profibrogeniche • Produzione della molecola procoagulanete PAI-1 che comporta ridotta fibrinolisi. • Produzione di citochine pro-infiammatorie. c. iperglicemia intracellulare che causa alterazione della via dei polioli. Avviene nei tessuti che non richiedono insulina per l’assunzione di glucosio, dove l’iperglicemia porta ad aumento del glucosio intracellulare, che viene metabolizzato a polioli (sorbitolo e fruttosio). Nel processo è consumato NADPH, che è anche cofattore dell’enzima glutatione reduttasi, che rigenera il glutatione ridotto, fondamentale meccanismo antiossidante. In presenza di iperglicemia prolungata sono compromessi i meccanismi di rigenerazione del glutatione ridotto e dunque viene acquisita maggiore suscettibilità cellulare allo stress ossidativo. Morfologia del diabete e delle sue complicanze PANCREAS - Riduzione numero e dimensioni delle insule → più spesso nel tipo 1, tardivamente a volte anche nel tipo 2 - Infiltrato leucocitario delle insule (insulite) → tipicamente nel tipo 1 alle primissime fasi dell’esordio clinico - Degranulazione delle cellule β → per la mancanza di granuli di insulina nelle cellule β danneggiate. Tipicamente nel tipo 1 negli stadi iniziali, quando sono ancora presenti alcune cellule β. - Amiloidosi delle insule → deposito di materiale amorfo rosa, inizialmente nei capillari e fra le cellule ed arriva fino all’obliterazione quasi completa delle insule, con riscontro di fibrosi. Tipica del tipo 2 - Iperplasia diffusa delle isole pancreatiche → interessa tipicamente neonato e lattante da madri diabetiche. Il feto a lungo esposto all’iperglicemia materna, risponde con aumento delle dimensioni e del numero delle proprie insule e questo può eventualmente provocare gravi episodi di iperglicemia. MACROANGIOPATIA DIABETICA - Accelerata aterosclerosi nelle arterie di grande e medio calibro, con conseguente grosso aumento del rischio di: • infarto miocardico → da aterosclerosi delle coronarie • ictus • gangrena degli arti inferiori • aterosclerosi renale → il rene è uno degli organi più spesso e gravemente colpiti. 130 - accelerata ateriolosclerosi ialina: inspessimento ialino, amorfo della parete delle arteriole, che provoca restringimento del lume. MICROANGIOPATIA DIABETICA È il diffuso inspessimento delle mbr basali da parte di strati concentrici di materiale ialino, contenente collagene IV, che si evidenzia soprattutto a livello dei capillari: - del rene → nefropatie - della retina → retinopatia - dei nervi periferici → neuropatie periferiche Malgrado l’incremento dello spessore questi capillari sono più permeabili a causa del cross-linking delle molecole di collagene IV, mediato dagli AGE, quindi se si a livello cutaneo si può avere anche edema diffuso. RENE I reni sono particolarmente colpiti dal diabete → nefropatia diabetica. Si possono avere: 1. lesioni glomerulari 2. lesioni vascolari renali → aterosclerosi ed arteriolosclerosi renale 3. pielonefrite → infiammazione acuta o cronica che ha origine nel tessuto interstiziale e dunque si propaga ai tubuli. I diabetici sono molto più colpiti ed in modo più grave da questo genere di infiammazione purulente. Il quadro tipico di presentazione nei diabetici è quello della necrosi della papilla renale. Un approfondimento è necessario per quello che riguarda le lesioni glomerulari che consistono principalmente in tre tipi di lesioni: a. inspessimento della mbr basale glomerulare b. sclerosi mesangiale diffusa → diffuso aumento della mbr mesangiale, sempre associato ad inspessimento della mbr basale. Può causare sd nefrosica quando marcata. c. Glomerulosclerosi nodulare → depositi nodulari di matrice laminare alla periferia del glomerulo. Questa forma di glomerulosclerosi è patognomonica del diabete. Induce ischemia sufficiente a causare una microsclerosi di tutto il rene. OCCHIO - retinopatia → la lesione fondamentale consiste in una neovascolarizzazione della retina. Compare in circa il 60-70% dei pz dopo 15-20 anni dalla diagnosi. - Glaucoma → lesione del nervo ottico provocata da ↑ pressione oculare - Cataratta NEUROPATIA Si può avere: - neuropatia sensitivo-motoria → che provoca grande riduzione della sensibilità della porzione distale degli arti e alterazioni motorie meno evidenti. - Neuropatia autonomica → colpisce il 20-40% dei diabetici in associazione alla neuropatia sensitivo-motoria 131 - Neuropatia periferica focale o multifocale → a carico di un solo nervo o a carico di più nervi disposti in modo asimmetrico Probabilmente insorgono per insufficienza vascolare che provoca danno ischemico del nervo periferico. Caratteristiche cliniche del diabete DIABETE di tipo 1 Solitamente insorge nell’età infantile, e si rende manifesto nella pubertà, prima dei 25 anni, ma di fatto può comparire ad ogni età. La maggior parte dei parte dei pazienti dipende dall’insulina per la sua sopravvivenza, anche se nei primi 1-2 anni dalla sua insorgenza la richiesta di insulina esogena è minima, per una secrezione residua di insulina endogena (periodo luna di miele). Le manifestazioni cliniche della malattia insorgono Tardivamente → dopo che più il 90% delle cellule è stato distrutto Improvvisamente → la transizione da una ridotta tolleranza al glucosio al diabete ben conclamato è spesso brutale. L’esordio è dunque acuto e caratterizzato da: - Poliuria → la secrezione incontrastata di ormoni antagonosti dell’insulina provoca assieme alla forte diminuzione dell’assorbimento del glucosio nei tessuti muscolare ed adiposo e al ridotto accumulo di glicogeno nel fegato e nel muscolo l’aumento della glicogenolisi. Ne risulta una iperglicemia che supera la soglia renale di assorbimento, con conseguente glicosuria. Il glucosio è un metabolita osmoticamente attivo che richiama acqua con conseguente diuresi osmotica e grave perdita di acqua ed elettroliti. - Polidipsia → la perdità di acqua, insieme con l’iperosmolarità dovuta agli elevati livelli di glicemia, porta a stimolazione degli osmocettori dei centri cerebrali della sete. - Polifagia → il bilancio metabolico si sposta a favore del catabolismo, con conseguente produzione di un bilancio energetico negativo ed aumento dell’appetito. - Calo ponderale e debolezza muscolare → perché nonostante l’aumentato appetito prevale l’effetto catabolico. Una complicanza metabolica acuta del diabete di tipo 1 è la chetoacidosi diabetica dovuta a : - disidratazione → dovuta alla diuresi osmotica - attivazione del meccanismo chetogenico : carenza di insulina → stimolazione della lipoproteina lipasi ↓ eccessiva degradazione delle riserve adipose ↓ aumento del livello di acidi grassi liberi ↓ nel fegato gli FFA vengono esterificati ad acil CoA ↓ 132 ossidazione delle molecole di acil CoA nei mitocondri con produzione di corpi chetonici → chetonemia e chetonuria ↓ se l’escrezione urinaria dei chetoni è compromessa da disidratazione ne risulta una chetoacidosi metabolica sistemica perché i corpi chetonici non riescono ad essere eliminati. ↓ Questa situazione se scompensata può portare a coma chetoacidosico. DIABETE di tipo 2 Solitamente i pazienti sono più anziani (> 40 anni) e frequentemente obesi. Tuttavia con l’incremento dell’obesità anche fra una popolazione più giovane, si è visto che il diabete di tipo 2 può insorgere anche nei bambini e negli adolescenti, con frequenza sempre maggiore. L’esordio non è acuto ed improvviso come quello del diabete di tipo 1, ma è più insidioso e sfumato, tanto che solitamente la diagnosi avviene dopo esame di routine delle urine o del sangue in pazienti asintomatici. Nelle situazioni di scompenso i pazienti possono sviluppare coma iperosmolare nonchetosico, sindrome generata dalla grave disidratazione che si acompagna alla diuresi osmotica. In entrambi i tipi di diabete comunque le maggiori cause di mortalità e di morbilità sono le complicanze a lungo termine del diabete, che compaiono circa 15-20 anni dopo l’esordio. Le complicanze sono: 1. accelerata aterosclerosi nelle arterie di grande e medio calibro • patogenesi che coinvolge molti fattori: - formazione di AGE - attivazione della pKC → alterazione della vasodilatazione e aumento dell’attività procoagulante (PAI 1) - obesità → fattore indipendente di rischio - ipertensione → presente in molti casi di diabete di tipo 2, forse come manifestazione secondaria della disfunzione endoteliale indotta dall’iperglicemia. È un fattore indipendente di rischio - dislipidemie → presenti in molti casi di diabete di tipo 2. Comprendono aumento dei trigliceridi e delle LDL e diminuzione delle HDL. - disfunzione piastrinica → negli stati di insulino-resistenza (diabete di tipo 2), si osserva aumentata adesività piastrinica, forse per un equilibrio trombossanoprostaciclina spostato a favore del trombossano A2. • Conseguenze dell’aterosclerosi: - infarto del miocardio - patologie cerebrovascolari - insufficienza renale cardiovascolare 2. nefropatia diabetica → è una delle principali cause di insufficienza renale. • Manifestazioni cliniche precoci → microalbuminuria • Manifestazioni cliniche tardive → nefropatia franca con macroalbuminuria, di solito con ipertensione 133 3. diminuzione della vista a volte fino alla cecità • retinopatia diabetica • glaucoma • cataratta 4. neuropatia diabetica 5. aumentata suscettibilità alle infezioni → infezioni della cute, tubercolosi, polmonite, pielonefrite Neoplasie endocrine del pancreas Sono molto rare e rappresentano solo il 2% dei tumori di quest’organo. Poiché colpiscono un organo endocrino, possono essere annoverati tra i tumori neuroendocrini e dunque assomigliano alla loro controparte (carcinoidi) che può trovarsi in qualunque porzione del tratto alimentare e che può trovarsi teoricamente in qualunque organo data la presenza del sistema neuroendocrino diffuso. Le neoplasie endocrine del pancreas possono essere: - benigne - maligne: frequentemente metastatizzano ai linfonodi regionali o al fegato Vi sono vari criteri diagnostici che permettono di distinguere tra neoplasia benigna e maligna. Neoplasia benigna Struttura organoide: tendenza alla formazione di strutture pseudoinsulari, simili a quelle dell’organo di appartenenza Citologia tipica della cellula endocrina ; la struttura della cellula assomiglia a quella della cellula d’origine, i nuclei sono omogenei e simili a quelli della cellula d’origine Attività proliferativa scarsa Necrosi assente o focale p53 assente: non vi sono né mutazioni, né accumuli della p53. La proteina p53 wild type ha emivita molto breve (4-5h) e dunque non è visualizzabile con l’immunoistochimica. La presenza di p53 dunque rispecchia sicuramente una mutazione della stessa che può essere: - pre trascrizionale - post-trascrizionale: legame di polimeri e stabilizzazione Neoplasia maligna Struttura solida Citologia atipica: la struttura della cellula non assomiglia più a quella della cellula d’origine, ma a quella della stem-cell. Tutti i tumori in fase finale sono molto simili. Attività proliferativa marcata Necrosi estesa perché la proliferazione supera le capacità di neo-angiogenesi. P53 spesso presente Altri criteri di malignità possono essere: - metastasi a linfonodi regionali ed organi distanti 134 - invasione vascolare invasione massiva dei visceri adiacenti infiltrazione del parenchima pancreatico oltre la capsula del tumore Le più frequenti sindromi cliniche associate alle neoplasie endocrine pancreatiche sono: - iperinsulinismo - sindrome di Zollinger- Ellison Iperinsulinismo È dovuto ad insulinoma, cioè a tumore delle cellule β, che è responsabile di una produzione di insulina tale da provocare ipoglicemia importante. La triade di sintomi che caratterizza la crisi ipoglicemica associata all’insulinoma è: - insorgenza per glucosio < 50 mg/dL. - Manifestazioni principalmente a carico del SNC → confusione, stupore, perdita di coscienza - Attacchi provocati dal digiuno o dall’attività fisica e migliorano rapidamente con alimentazione o somministrazione di glucosio La morfologia è solitamente benigna: - noduli piccoli, con diametro < 2 cm, incapsulati - Noduli simili ad insule giganti, che conservano la disposizione a cordoni di cellule con orientamento verso i vasi - All’indagine immunoistochimica, presenza di insulina nelle cellule Sindrome di Zollinger-Ellinson È una sindrome che vede spiccata ipersecrezione di gastrina, ed è frequentemente mediata da tumori gastrino-secernenti ad origine pancreatica, duodenale o dai tessuti molli peripancreatici. È probabile che le cellule endocrine di intestino e pancreas possano esserne l’origine. I tumori gastrino-secernenti in più della metà dei casi al momento della diagnosi hanno già metastatizzato, o mostrano invasività locale, anche se istologicamente si presentano di solito come benigni. La sindrome di Zollinger-Ellinson è caratterizzata da spiccata secrezione di gastrina ed acido gastrico, con conseguente formazione di ulcerazioni peptiche, solitamente multiple, a volte con localizzazioni insolite (digiuno) e spesso non responsive ai protocolli terapeutici utilizzati abitualmente per l’ulcera peptica. Nonostante questo il trattamento viene di solito effettuato con inibitori della pompa ATPasica idrogeno-potassio, al fine di controllare la secrezione gastrica, seguito da resezione della neoplasia. 135 Patologia del glomerulo renale Struttura del glomerulo renale Il glomerulo renale è una porzione fondamentale del nefrone ed è localizzato nella parte corticale del rene. Formato da una rete anastomotica di capillari, rivestiti da endotelio fenestrato ed incorporati all’interno di una doppia membrana, la capsula di Bowmann. La membrana interna è detta epitelio viscerale: è incorporato nella parete capillare, di cui diviene parte integrante, separato dalle cellule endoteliali da una sottile membrana basale. La membrana esterna è detta epitelio parietale: lo spazio che la separa dalla membrana interna è detta spazio urinario ed è la cavità che inizialmente raccoglie il filtrato plasmatico. La parete del capillare glomerulare costituisce la membrana responsabile della filtrazione del sangue. Essa è costituita, dall’interno verso l’esterno, dalle seguenti strutture: - Cellule endoteliali: hanno la caratteristica di essere fenestrate, cioè di avere pori di circa 70-100 nm. - Membrana basale glomerulare (MBG): costituita da collagene di tipo IV che forma una sovrastruttura a rete alla quale si attaccano altre glicoproteine e proteoglicani polianionici: questo intreccio rende ragione delle sue funzioni di filtro. È formata da tre strati: 1. strato interno: lamina rara interna 2. strato centrale: lamina densa (è spesso ed elettrondenso) 3. strato esterno: lamina rara esterna. - Cellule epiteliali viscerali: si tratta di cellule epiteliali modificate dette podociti. Sono elementi fondamentali del rene, dotati di prolungamenti, detti pedicelli, che aderiscono alla lamina rara ext della MBG. I pedicelli sono fra loro interdigitati e separati da piccoli spazi di 20-30nm che prendono il nome di fessure di filtrazione e che sono chiuse da un sottile diaframma. La membrana basale su cui si appoggiano i pedicelli, ne determina l’orientamento ed il loro versante funzionale, facendo inoltre da ponte fra pedicelli e cellule endoteliali dei vasi. I podociti, oltre alla loro fondamentale funzione di filtrazione, sono anche gli elementi che sintetizzano gran parte della MBG. L’intera massa glomerulare è sostenuta dal mesangio, struttura formata da: - Cellule mesangiali: cellule presenti fra le anse capillari, che presentano funzione molto variabile a seconda delle necessità. Hanno origine mesenchimale e presentano capacità contrattili, di produzione di matrice e collagene, di secrezione di mediatori attivi, capacità istiocitarie al fine di eliminare elementi di rifiuto e scarto. 136 - Matrice mesangiale: di costituzione simile alla mbr basale, forma un reticolo che sostiene le cellule mesangiali e supporta le anse capillari, trovandosi tra esse interdigitato. La principale funzione del glomerulo e quella di filtrare il sangue e costituire una barriera selettiva, capace di discriminare il passaggio delle diverse molecole, in particolare delle proteine selezionate in base alla carica ed alla dimensione. La barriera dimensione-carica dipendente è correlata alla struttura della parete capillare, che vede fenestrature endoteliali (facile passaggio di acqua e piccoli soluti), accanto alla presenza di una MBG porosa e ricca di valenze anioniche ed alla presenza di diaframmi di filtrazione fra i pedicelli. Per questo molecole di dimensioni maggiori dell’albumina non sono filtrate così come non lo è l’albumina medesima, data anche la sua elevata carica negativa. Malattie glomerulari Le patologie che riguardano il glomerulo renale sono dette glomerulonefriti o glomeulopatie, se non presentano componente cellulare infiammatoria. Si può parlare di: - glomerulonefriti primitive: forme che interessano solo (o in modo prevalente) e primitivamente il rene - glomerulonefriti secondarie o complesse: la patologia renale è associata alla presenza di altre malattie primitive, come malattie sistemiche (LES), vascolari (ipertensione e poliartrite nodosa), metaboliche (diabete). Il quadro clinico e le alterazioni morfologiche della forme primitive e secondarie possono essere simili. Le manifestazioni cliniche associate alle diverse malattie glomerulari sono sontetizzabili in cinque sindromi: 1. 2. 3. 4. 5. sindrome nefritica acuta glomerulonefrite rapidamente progressiva sindrome nefrosica insufficienza renale cronica ematuria o proteinuria asintomatica **Glossario - Diffuso: interessante tutti i glomeruli Focale: interessante < 50% dei glomeruli Globale: interessante tutto il singolo glomerulo Segmentale: interessante una porzione del singolo glomerulo Ipercellularità: aumento del numero di cellule del glomerulo presente in alcune patologie glomerulari. Esso è dovuto a una o più dei seguenti fattori: 1. proliferazione cellulare: del mesangio o delle cellule endoteliali. 2. Infiltrazione leucocitaria: di neutrofili, monociti, talvolta linfociti. 3. Formazione di crescent o semilune. 137 - - - - Ialinosi: accumulo di materiale acellulato, omogeneo ed eosinofilo al m.o. Si tratta di materiale amorfo extracellulare, dato da proteine plasmatiche trasudate dal torrente circolatorio alle strutture vascolari. Vi è dunque un aumento della componente filamentosa della matrice Sclerosi: aumento della porzione glicoproteica della matrice, senza corrispondente aumento della componente collagene. La sclerosi è un’evoluzione della ialinosi, caratterizzata dalla compressione fino all’obliterazione dei lumi capillari del glomerulo. Fibrosi: aumento della componente collagene Crescent o semilune: sono strutture semilunari date dalla proliferazione delle cellule epiteliali parietali associata ad infiltrazione di leucociti (principalmente neutrofili e macrofagi). La fibrina che a volte penetra nello spazio urinario attraverso le membrane endoteliali danneggiate, costituisce uno stimolo alla formazione delle semilune. Sinechie: date da un’eccessiva crescita delle strutture a semiluna fino a che non prendono contatto con le anse capillari Patogenesi del danno glomerulare Fondamentalmente il danno glomerulare primitivo e spesso anche secondario è dovuto ad una serie di meccanismi immunologici, che sono: 1. Lesioni anticorpo mediate: da anticorpi che reagiscono in situ dentro il glomerulo con antigeni glomerulari insolubili fissi, o con molecole circolanti che si sono impiantate dentro il glomerulo. 2. Deposizione nel glomerulo di immunocomplessi circolanti 3. Anticorpi citotossici 4. Lesione immunitaria cellulo-mediata 5. Attivazione del complemento Lesioni anticorpo-mediate Gli Ac reagiscono direttamente con antigeni intrinseci o impiantati nel glomerulo. Anticorpi contro Ag intrinseci Sono presenti due modelli animali che riproducono questo danno glomerulare. Nefrite da anticorpi anti-MBG Gli anticorpi sono diretti contro Ag intrinseci renali situati a livello della membrana basale glomerulare. Il modello sperimentale vede l’iniezione di Ac anti rene nel ratto, con legame degli anticorpi lungo tutta la lunghezza della MBG, evidenziabile all’immunofluorescenza come una colorazione diffusa e lineare. La malattia glomerulare che ne deriva è detta nefrite di Masugi ed è causata dalla reazione contro un Ag della membrana glomerulare. Nell’uomo si hanno due patologie correlate alla reazione contro uno specifico antigene della MBG: la forma classica della nefrite da Ac antiMBG e la sd di Goodpasture nella quale gli anticorpi contro l’antigene della membrana basale cross-reagiscono anche con antigeni presenti a livello degli alveoli pomonari. 138 Nefrite di Heymann Il modello sperimentale vede l’iniezione nel ratto di antigeni derivanti da preparati dell’orletto a spazzola dei tubuli prossimali. I ratti sviluppano anticorpi contro questo antigene, che cross-reagisce con un complesso antigenico sulla spf basale delle cellule epiteliali viscerali, provocando glomerulonefrite membranosa. Questa è evidenziabile all’immunofluorescenza come colorazione granulare e non lineare ed al microscopio elettronico si evidenziano depositi elettron-densi nel versante subepiteliale della membrana basale. Nell’uomo la patologia corrispondente è una glomerulonefrite membranosa, di cui non è ancora stato identificato l’antigene responsabile. Si ha ugualmente produzione di Ac che reagiscono contro componenti della membrana cellulare epiteliale, con conseguente attivazione del complemento, e danno alla membrana medesima. Numerose forme di glomerulonefriti autoimmuni inoltre possono essere indotte sperimentalmente da farmaci, da agenti infettivi, dalla reazione di rigetto verso l’ospite (graft-versus-host-reaction) Anticorpi contro Ag impiantati Gli anticorpi possono reagire in situ con antigeni che non sono normalmente presenti nel glomerulo e vi sono stati impiantati, che dunque si localizzano nel rene reagendo con elementi intrinseci del medesimo. Si tratta per esempio: - molecole cationiche che si legano ai numerosi siti anionici gomerulari - DNA, nucleosomi e proteine nucleari che presentano un’affinità con le componenti della MBG - Prodotti batterici - Grossi aggregati proteici, come immunoglobine aggregate o gli stessi immunocomplessi che si depositano nel mesangio Il quadro all’immunofluorescenza è tipicamente granulare. Deposizione di immunocomplessi circolanti Il danno glomerulare è causato dall’intrappolamento dei complessi antigene-anticorpo circolanti all’interno del glomerulo. Gli anticorpi non presentano una specificità immunologica per i costituenti glomerulari, ma i complessi si localizzano nel glomerulo a causa delle loro proprietà fisico-chimiche e per i peculiari fattori emodinamici presenti nel glomerulo. Gli immunocomplessi si formano in circolo e successivamente vengono intrappolati nel glomerulo, dove causano la lesione, con successiva infiltrazione leucocitaria, seguita spesso da proliferazione delle cellule mesangiali ed endoteliali. Il microscopio elettronico mette in evidenza gli immunocomplessi come depositi elettrondensi che possono essere localizzati: - nel mesangio - tra cellule endoteliali e MBG (depositi subendoteliali) - tra cellule epiteliali e MBG (depositi subepiteliali) 139 L’immunofluorescenza mette in evidenza gli immunocomplessi come depositi granulari Gli immunocomplessi depositati nel rene possono alla fine essere degradati, da parte dei neutrofili e dei macrofagi nell’infiltrato, delle cellule mesangiali, delle proteasi, con conseguente spegnimento della reazione infiammatoria. Quando vi è però una continua esposizione all’antigene, come nel LES o nell’epatite virale, si susseguono cicli continui di formazione degli immunocomplessi e di loro deposizione. Gli antigeni che formano gli immunocomplessi possono essere di natura: - esogena (prodotti dell’infezione) - endogena (DNA, antigeni tumorali) Le dimensioni e la carica degli immunocomplessi sono importanti al fine della localizzazione glomerulare e del danno. Carica: - sostanze cationiche: attraversano la MBG e tendono a localizzarsi in sede subepiteliale - sostanze anioniche: non riescono ad attraversare la MBG e quindi si localizzano in sede subendoteliale o non sono nefro-lesive - sostanze neutre: tendono a localizzarsi nel mesangio Dimensioni: - immunocomplessi di grandi dimensioni: non nefritogeni perché eliminati dai macrofagi - immunocomplessi di piccole dimensioni: più facilmente nefritogeni Anticorpi citotossici Si tratta di anticorpi diretti contro antigeni della cellula glomerulare, che dunque reagendo contro la componente cellulare, causano morte della cellula e danno glomerulare per la loro citotossicità. Possono essere rivolti: - contro componenti cellulari mesangiali: mesangiolisi seguita da proliferazione mesangiale - contro componenti cellulari endoteliali: lesioni endoteliali e trombosi intravascolare - contro componenti cellulari epiteliali viscerali: proteinuria. Le malattie associate a questo tipo di danno non mostrano alla microscopia elettronica ed all’immunofluorescenza depositi immuni visibili. Lesione immunitaria cellulo-mediata Probabilmente la causa primaria di tutte le glomerulonefriti è riconducibile ad un meccanismo mediato da anticorpo. Tuttavia in certi di tipi di glomerulonefriti vi è un infiltrazione di linfociti T i quali possono essere mediatori di danno glomerulare, causando a volte anche la progressione della malattia. Attivazione della via alternativa del complemento Avviene nell’entità clinico-patologica detta glomerulonefrite membranoproliferativa di tipo II o malattia a depositi densi. 140 Diagnosi delle malattie glomerulari La biopsia renale costituisce l’esame diagnostico fondamentale per l’analisi delle malattie glomerulari, poiché ci viene a fornire informazioni su: - tipo di malattia - natura della malattia: meccanismo patogenetico alla base delle lesioni. - Localizzazione ed estensione delle lesioni: se sono diffuse o focali, globali o segmentali. - Evoluzione della malattia: contiene elementi che aiutano il clinico ad avere un’indicazione prognostica della malattia. La diagnosi attraverso biopsia renale dunque permette una pianificazione del trattamento ma anche un’indicazione della prognosi. Molto spesso una diagnosi di malattia glomerulare necessita di un triplice esame della biopsia renale: 1. al microscopio ottico: dopo inclusione in paraffina e colorazione con PAS, che consente la visione della mbr basale e delle sue alterazioni. 2. al microscopio elettronico: che costituisce per una serie di patologie l’unico metodo diagnostico, essendo per molte altre fondamentale per la conferma diagnostica. Consente di vedere la formazione dei depositi densi corrispondenti agli immunocomplessi, spesso presenti nella patologia glomerulare. 3. Con metodiche di immunofluorescenza: evidenziano la presenza di immunocomplessi, o di anticorpi sulle membrane glomerulari. Sindrome nefritica acuta Caratterizzata da: - presentazione con ematuria e cilindri di globuli rossi nelle urine. - Iperazotemia: grandi livelli di azoto e solitamente di creatinina nel sangue, per una diminuzione della capacità renale di filtrazione (GFR: Glomerular Filtring Rate) - Ipertensione da lieve a moderata. - Oliguria con edema - Proteinuria (meno grave di quella presente nelle sindromi nefrosiche). È la sindrome che caratterizza la presentazione clinica di: - glomerulonefriti acute: glomerulonefriti acute proliferative (post-streptococcica e post-infettiva) - patologie multisitemiche coinvolgenti anche il glomerulo. Glomerulonefrite acute proliferative Le glomerulonefriti acute proliferative sono: - acute: perché caratterizzate da un punto di vista anatomico da alterazioni infiammatorie dei glomeruli - proliferative: perché caratterizzata da un punto di vista istologico da diffusa proliferazione di cellule glomerulari, associata ad afflusso di leucociti legato all’infiammazione. Sono tipicamente causate da lesioni da immunocomplessi. 141 L’antigene causale può essere esogeno (glomerulonefrite post-streptococcica) o endogeno (glomerulonefrite acuta proliferativa in corso di LES). Glomerulonefrite post-streptococcica Colpisce generalmente bambini di 6-10 anni di età. Compare generalmente da 1 a 4 settimane dopo un’infezione streptococcica faringea o cutanea Il periodo di latenza tra l’infezione e la nefrite è compatibile con il tempo richiesto per la produzione di anticorpi anti-streptococcici e per la successiva formazione di immunocomplessi. L’eziologia mediata da deposizione di immunocomplessi della malattia è confermata da: - Evidenze sperimentali - presenza di depositi granulari all’immunofluorescenza - presenza di depositi elettron-densi al microscopio elettrico la componente antigenica streptococcica responsabile della formazione di immunocomplessi è rimasta sconosciuta a lungo. Morfologia Al microscopio ottico: - glomeruli grandi ed ipercellulati: infiltrazione diffusa di leucociti, proliferazione diffusa di cellule endoteliali e mesangiali, formazione di semilune nei casi gravi - rigonfiamento delle cellule endoteliale - a volte obliterazione dei lumi capillari per combinazione di infiltrazione, proliferazione e rigonfiamento. Al microscopio elettronico: - depositi elettondensi sul versante epiteliale della membrana, spesso con l’aspetto di gobbe All’immunofluorescenza: depositi granulari di IgM, IgG e C3 nel mesangio e lungo la membrana basale. Clinica: Il bambino ha un esordio con sindrome nefritica acuta (emturia con urine color cocacola, ipertensione lieve, oliguria, edema periorbitale, proteinuria lieve), accompagnata da febbre, nausea, malessere. Più del 95% dei bambini guarisce completamente. Nell’adulto la malattia ha esordio più atipico ed insidioso e presenta prognosi meno benigna. Solo il 60% dei casi si glomerulonefrite guarisce spontaneamente, mentre gli altri possono pregredire in una glomerulonefrite cronica o rapidamente progressiva. 142 Glomerulonefrite post-infettiva Si verifica sporadicamente in associazione con altre infezioni batteriche, malattie virali ed infezioni parassitarie. Glomerulonefrite rapidamente progressiva (GNRP) È una sindrome associata a grave danno glomerulare. È caratterizzata da un punto di vista clinico: - grave oliguria - progressiva perdita della funzione renale (insufficienza renale acuta) - se non trattata, morte nel giro di poche settimane. È caratterizzata da un punto di vista istologico: - reni ingranditi e pallidi, spesso con petecchie emorragiche sulla superficie corticale - presenza di semilune nella maggior parte dei glomeruli. È provocato dalla proliferazione delle cellule parieteli e dalla migrazione di monociti e macrofagi. A volte anche dall’infiltrato di neutrofili e monociti. - Strie di fibrina tra gli strati delle semilune: la fibrina costituisce uno stimolo per la proliferazione delle cellule parietali e dunque per la formazione di semilune. - Al microscopio elettronico distruzione focale della MBG: questo permette a leucociti e macrofagi di passare nel glomerulo, con conseguente formazione di semilune - Sclerosi progressiva delle semilune nella maggor parte dei pazienti. È associata a diverse manifestazioni patologiche, idiopatiche quanto secondarie. È provocata da danno glomerulare immuno-mediato. La GNRP è suddivisibile in tre differenti tipologie: 1. GNRP I o sindrome da anticorpi anti-MBG 2. GNRP II da immunocomplessi 3. GNRP III o pauci-immune GNRP I È dovuta alla presenza di Ac diretti contro componenti della membrana basale del glomerulo renale. All’immunofluorescenza si vedono depositi lineari di IgG, e C3 lungo tutta la membrana basale. La terapia prevede utilizzo della plasmaferesi al fine di rimuovere gli anticorpi patogeni circolanti, affiancata a terapia immunosoppressiva. Patologia associata La GNRPI è associata caratteristicamente alla Sindrome di Goodpasture Gli anticorpi ragiscono contro la membrana basale glomerulare e con le membrane basali degli alveoli polmonari. Il quadro clinico è di insufficienza renale associata ad emorragia polmonare. 143 L’antigene di Goodpasture, che scatena la reazione anticorpale, è un peptide presente nel collagene di tipo IV. Esiste una predisposizione genetica a questo tipo di fenomeni autoimmunitari. GNRP II È una malattia dovuta al deposito di immunocomplessi. All’immunofluorescenza si vedono depositi immuni caratteristicamente granulari. I pazienti non traggono beneficio dalla plasmaferesi e la terapia è differenziata a seconda del tipo di patologia associata. Patologia associata La GNRPII può essere una complicanza di una qualsiasi malattia da immunocomplessi, come glomerulonefrite post-infettiva, LES, nefropatia da IgA, porpora di Schoenlein-Henoch. GNRP III È caratterizzata dalla mancanza, all’immunofluorescenza e con la microscopia elettronica, di anticorpi anti-membrana basale e di immunocomplessi. La sua eziologia non è molto chiara. La maggior parte dei pazienti presenta nel siero ANCA (anticorpi diretti contro antigeni citoplasmatici dei neutrofili), che giocano un ruolo importante nella patogenesi di alcune vasculiti. In base a questa evidenza si è ipotizzato che la GNRP III sia dovuta alla presenza di vasculiti, che possono essere sistemiche (in questo caso GNRP III secondaria) oppure interessare solo il glomerulo (in questo caso GNRP III idiopatica o primitiva). Questo spiegherebbe anche l’assenza di immunocomplessi o anticorpi contro componenti glomerulari in questo tipo di patologia. Patologia associata Vasculiti sistemiche (granulomatosi di Wegener o poliarterite microscopica) o vasculiti di piccoli vasi limitate al glomerulo. Tutti e 3 i tipi di GNRP possono essere associati a patologie renali o extra-renali specifiche, ma un 50% è idiopatico. Si tratta quindi di una sindrome a cui è riconducibile il quadro clinico di molte patologie, ma che costituisce da sola una patologia a sé stante. Sindrome nefrosica Sindrome caratterizzata da: • • • • proteinuria massiva: perdita giornaliera > 3,5g di proteine ipoalbulinemia: albumina plasmatica < 3g/dl edemi generalizzati iperlipidemia e lipiduria 144 Patogenesi: 1. Alterazione della parete capillare del glomerulo 2. Aumentata permeabilità alle proteine plasmatiche: solitamente si ha permeabilità selettiva con perdita soprattutto di proteine a basso peso molecolare, cioè di albumina 3. Proteinuria massiva: proteine che passano dal plasma al filtrato glomerulare. Può essere: • altamente selettiva: perdita solo delle proteine a basso peso molecolare (albumina e non globuline). È ciò che avviene solitamente • scarsamente selettiva: perdita oltre che di albumine, di proteine a peso molecolare maggiore, dunque anche di globuline. 4. In entrambi i casi si ha deplezione delle albumine, frequentemente al di sopra delle possibilità compensatorie del fegato, associata ad aumento del catabolismo renale delle albumine filtrate 5. Ipoalbulinemia, frequentemente con inversione del rapporto albumine/globuline. 6. Riduzione della pressione colloido-osmotica del sangue 7. Edema generalizzato 8. Ipovolemia che induce ritenzione di acqua e sodio compensatori 9. Aumento dell’edema 10. A questo si associa incremento della sintesi epatica di lipoproteine, alterato trasporto delle particelle lipidiche circolanti e ridotto catabolismo delle particelle lipidiche medesime con conseguente iperlipidemia 11. Attraversamento della parete capillare da parte delle aumentate lipoproteine 12. Lipiduria: comparsa dei lipidi nelle urine come grassi liberi e come corpi adiposi ovali (lipoproteine riassorbite dall’epitelio tubulare poi desquamate con le cellule in degenerazione). Cause: ¾ malattie sistemiche: diabete, amilodosi, LES ¾ malattie primitive del glomerulo: - Glomerulopatia a lesioni minime - GN proliferativa mesangiale - Glomerulosclerosi focale e segmentale - Glomerulopatia membranosa - GN membranoproliferativa - Nefropatia da IgA Glomerulopatia a lesioni minime Primitiva ed idiopatica. È la causa più frequente di sindrome nefrosica nei bambini con picco di incidenza fra i 2 ed i 6 anni. Caratterizzata dalla perdita dei pedicelli dei podociti in glomeruli che al microscopio ottico appaiono normali. Patogenesi: Anche se mancano depositi autoimmuni l’evidenza sperimentale indica la genesi immunologica. 145 L’ipotesi più accreditata è la presenza di una qualche disfunzione autoimmune risultante nella produzione di una citochina da parte dei linfociti T, che danneggi le cellule epiteliali viscerali. Il danno si esplicherebbe a carico del diaframma di filtrazione, con perdita delle sue cariche polianioniche, e conseguente alterazione dei pedicelli. Questo difetto della barriera carica-dipendente sarebbe il principale determinante della proteinuria. Morfolgia: Al microscopio ottico: - glomeruli normali Al microscopio elettronico: - diffuso e uniforme appiattimento dei pedicelli delle cellule epiteliali viscerali, detto “fusione” dei processi pedicellari. - Perdita dei diaframmi di filtrazione tra pedicello e pedicello, e conseguente perdita della barriera polianionica di filtrazione→ proteinuria selettiva nei cfr delle albumine - Alterazioni degenerative dei pedicelli: vacuolizzazione del citoplasma e comparsa di microvilli che si formano nel versante urinario dei podociti e sembrano riempire lo spazio lasciato libero dai pedicelli. All’immunofluorescenza: - mancanza di depositi di immunoglobuline o complemento - molto raramente: occasionali depositi di IgM e di C3. L’appiattimento dei processi pedicellari è presente in molte altre forme di malattie glomerulari: la diagnosi di glomerulopatia a lesioni minime si può fare solo nel caso in cui questa lesione non si associ a nessun’altra alterazione ed i glomeruli si presentino dunque normali al microscopio ottico. Clinica: Vi è massiva proteinuria altamente selettiva, ma la funzione renale rimane buona, con assenza di ematuria ed ipertensione. Secondo alcune ipotesi la glomerulopatia a lesioni minime, rappresenta solamente il primo stadio, facilmente curabile, di una serie di patologie ad andamento progressivo che sono: - glomerulopatia a lesioni minime - glomerulonefrite proliferativa mesangiale - glomerulosclerosi focale e segmentale Terapia: Generalmente vi è risposta eclatante alla terapia corticosteroide, con prognosi eccellente. Tuttavia nei casi in cui la malattia non riesca ad essere curata o non sia trattata, presenta spesso l’andamento evolutivo sopra detto. Glomerulonefrite proliferativa mesangiale Si tratta di una patologia che clinicamente risulta indistinguibile dalla glomerulopatia a lesioni minime. 146 Probabilmente si tratta di un’evoluzione della malattia a lesioni minime non trattata che vede una reazione del mesangio, con conseguente proliferazione del medesimo. Le differenze si riscontrano all’esame della biopsia renale. Morfologia: Al microscopio ottico: - crescita del mesangio ed aumento della cellularità del medesimo Al microscopio elettronico: - fusione dei pedicelli - perdita dei diaframmi di filtrazione - alterazioni degenerative dei podociti: vacuolizzazione, aumento della quantità di organuli citoplasmatici, iperplasia dei microvilli. - Comparsa nel mesangio di depositi elettrondensi di colore grigio: rappresentano l’espressione di un primo deposito di immunocomplessi mesangiali. All’immunofluorescenza: - evidenza di depositi di IgM e di C3 nel mesangio: questo depone a favore dell’ipotesi di una progressione di questa malattia a partire dalle rare forme di malattia a lesioni minime con iniziali depositi di IgM e di C3. Terapia: Trattamento con farmaci corticosteroidi che determina una prognosi favorevole nel 3050% dei casi. Glomerulosclerosi focale segmentale Lesione caratterizzata dalla sclerosi di alcuni, non di tutti i glomeruli (focale); nei glomeruli interessati solo una parte del convoluto capillare è coinvolta (segmentale). Cause: Si manifesta in tutta una serie di situazioni: - In associazione ad altre patologie note: infezione da HIV, dipendenza dell’eroina, anemia falcifome, obesità. - Determinate forme ereditarie - Evento secondario, esito di un evento cicatriziale glomerulare - Da ablazione renale: come complicanza di malattie renali e non renali che determinano riduzione della massa renale. - Come forma idiopatica, primitiva: evoluzione della progressione malattia a lesioni minime→ glomerulonefrite proliferativa mesangiale→ glomerulosclerosi focale segmentale oppure malattia distinta? Morfologia Al microscopio ottico: ¾ molti glomeruli sono intatti, non sclerotici e normali, dunque le lesioni segmentali non possono essere rilevate se il frammento bioptico contiene un numero insufficiente di glomeruli. ¾ Le lesioni coinvolgono inizialmente i glomeruli iuxta-midollari ¾ I glomeruli sclerotici presentano: • collasso della membrana basale • aumento dei nuclei mesangiali con moderato incremento della matrice • trasudazione di proteine plasmatiche lungo la parete dei capillari, con formazione di depositi ialini PAS negativi 147 • estensione dei depositi con aggregati all’interno dei capillari e compressione degli stessi: occlusione e scomparsa delle anse vascolari • gocce lipidiche e cellule schiumose macrofagiche • occasionali sinechie • la capsula del Bowmann può essere plurilaminata in corrispondenza delle sinechie: questo dimostra che alla diffusa proliferazione mesangiale, si accompagna la proliferazione un po’ di tutte le altre cellule, con alterazioni della capacità filtrante delle anse sempre più compresse e calo progressivo della capacità renale. Al microscopio elettronico: ¾ glomeruli non sclerotici: presentano un quadro del tutto simile a quello dei glomeruli nella nefropatia a lesioni minime: • appiattimento e fusione dei pedicelli • vacuolizzazione, aumento degli organuli citoplasmatico e iperplasia dei microvilli dei podociti • formazione di pseudocisti. ¾ glomeruli sclerotici: • aumento enorme dell’area occupata dalla matrice, che dunque ingloba la membrana basale • matrice che viene a formare ponti di unione tra il gomitolo capillare e la capsula • membrana basale glomerulare raggrinzita e contratta • aree sclerotiche del mesangio caratterizzate da una degenerazione delle cellule mesangiali che causa ipocellularità, accompagnata da grande aumento della matrice mesangiale • ipertrofia delle cellule endoteliali All’immunofluorescenza: ¾ presenza di depositi di IgM e C3 nelle aree sclerotiche e nel mesangio. Clinica Caratterizzata da: • ematuria • ridotta frazione di filtrazione glomerulare (GFR) • ipertensione • proteinuria non selettiva: dovuta alla perdita della selettività della filtrazione proteica per carica (perdita dei diaframmi di filtrazione), per taglia (per esteso danno della membrana glomerulare Patogenesi Non è ancora chiaro se la glomerulosclerosi focale e segmentale idiopatica rappresenti l’evoluzione della malattia a lesioni minime oppure sia una malattia distinta. In ogni caso abbiamo una proteinuria non selettiva dovuta alla mancanza del diaframma ed all’esteso danno selettivo, dunque la perdita di proteine plasmatiche, che rimangono intrappolate nel glomerulo e causano ialinosi. L’accumulo di proteine plasmatiche, associato alla proliferazione cellulare conseguente al danno ed all’ipertrofia delle cellule endoteliali determina compressione dei capillari, fino alla scomparsa delle anse→ sclerosi. 148 Recentemente sono state identificate alcune forme familiari di glomerulosclerosi focale segmentale, associate a mutazioni genetiche. - GSFS autosomica recessiva o sd nefrosica steroido-resistente dell’infanzia: deriva da mutazioni a carico del gene NPHS2, che codifica per un prodotto proteico, la podocina, localizzato a livello del diaframma di filtrazione. È tipica dei bambini - GSFS autosomica dominante: deriva da mutazioni a carico del gene che codifica per la proteina legante l’actina dei podociti. È una forma insidiosa che spesso evolve verso un’insufficienza renale. Queste mutazioni hanno in comune l’alterazione della struttura del diaframma o del citoscheletro dei podociti adiacenti, suggerendo l’importanza dell’integrità di queste strutture per mantenere la normale barriera di filtrazione glomerulare. Terapia e prognosi Vi è scarsa tendenza alla remissione spontanea La risposta alla terapia corticosteroidea è variabile e se c’è assenza di reattività si ha progressione, nella quale alla sclerosi segue la fibrosi, considerata l’ultimo stadio. I bambini hanno una migliore prognosi rispetto agli adulti e la prognosi è migliore se manca sindrome nefrosica. Il 20% dei pz presenta un’evoluzione molto rapida, con proteinuria massiva, intrattabile che porta all’insufficienza renale in 2 anni. Dopo trapianto si osservano recidive nel 25-50% dei casi. Glomerulonefrite membranosa È la più comune causa di sindrome nefrosica nell’adulto. È caratterizzata da diffuso inspessimento della parete capillare glomerulare e dall’accumulo di depositi elettrondensi di immunoglobuline lungo il lato subepiteliale della membrana basale. Cause - GN membranosa idiopatica (85%) - Secondaria a farmaci: penicillamina, FANS - Associata a tumori maligni: soprattutto carcinomi del polmone, del colon e melanomi - Associata a LES, artrite reumatoide, trombosi. - Secondaria ad infezioni (HIV, HBV) - Secondaria ad intossicazione da metalli pesanti Patogenesi È una forma cronica di malattia immuno-mediata. Le lesioni presentano stretta somiglianza con quelle della nefrite di Heymann e Come questa, si tratta di una malattia autoimmune, legata ad alterazioni nel locus MHC, che conferiscono maggiore predisposizione a produrre anticorpi contro l’antigene nefritogeno. All’interno del glomerulo non si trovano neutrofili, monociti e piastrine (assenza di una evidenziabile risposta infiammatoria), ma si trova praticamente costantemente il complemento, che media danno glomerulare: - direttamente: complesso di attacco alla membrana C5b-C9 149 - indirettamente: C5b-C9 che media attivazione delle cellule glomerulari epiteliali e mesangiali inducendole alla liberazione di proteasi ed agenti ossidanti, con conseguente ulteriore danno della parete capillare. L’attivazione del complemento può essere indotta da antigeni circolanti o derivanti da biosintesi locali all’interno del glomerulo medesimo. Morfologia L’evoluzione della glomerulonefrite membranosa può essere suddivisa in 5 stadi che hanno diverse caratteristiche al microscopio ottico ed al microscopio elettronico. Stadio 1: formazione di depositi continui di immunocomplessi che si appoggiano lungo il versante epiteliale della membrana basale, in posizione subepiteliale (tra pedicelli e membrana basale). Al microscopio ottico: parete cellulare normale; con colorazione PAS sono evidenziabili depositi granulari Al microscopio elettronico: depositi subepitelili elettrondensi, membrana basale che si presenta normale. Inizia ad intravedersi qualche spike (spicule irregolari che protrudono dalla membrana basale per inglobare gli immunocomplessi). Stadio 2: La membrana emette protrusioni irregolari, dette spikes, che avvolgono gli immunocomplessi, perché essi siano inglobati all’interno della membrana medesima. Si vede qualche deposito che sembra dentro la mbr. Al microscopio ottico: inspessimento della parete vascolare e formazione degli spikes. Al microscopio elettronico: risultano molto in evidenza gli spikes ed i depositi granulari elettron densi Stadio 3: Si ha inglobamento completo degli immunocomplessi con grande aumento dello spessore della membrana. Al microscopio ottico: inspessimento della parete vascolare con presenza ancora di irregolarità dovute alla presenza di spikes prominenti che tendono a fondersi Al microscopio elettronico: depositi granulari ancora più elettrondensi, grande inspessimento della membrana basale. Stadio 4: Gli immunocomplessi inglobati nella membrana cellulare sono degradati e metabolizzati. La membrana glomerulare assume un aspetto tarlato. Al microscopio ottico: glomeruli opsalescenti a volte con ialinosi ( per il danno alla membrana a cui segue trasudazione di proteine plasmatiche)e sclerosi locali (per inspessimento della membrana e compressione del lume capillare). Raramente sinechie focali. Al microscopio elettronico: membrana basale ancora inspessita, ma depositi gradualmente meno evidenti Stadio 5: poiché in questo caso la malattia è primitiva e vi è una continua esposizione all’antigene, il processo di deposizione di immunocomplessi non ha termine. 150 Si può vedere dunque a questo punto nuova deposizione di antigeni con compresenza dello stadio 1 e 4 All’immunofluorescenza è sempre dimostrabile la presenza di immunoglobuline, anche se in questo caso si tratta di IgG e non di IgM, con quantità variabili di complemento. Clinica Generalmente si ha esordio con sd nefrosica e nel 15% dei pz con proteinuria senza sd nefrosica. Nel 15-35% dei pz si ha ematuria ed ipertensione di lieve entità La proteinuria è di tipo non selettivo e spesso non si ha risposta a trattamento con corticosteroidi. La prognosi è generalmente buona anche se nel 50% dei pazienti si ha una progressione della malattia che si associa all’aumento della sclerosi renale e della proliferazione cellulare, con conseguente insufficienza renale in 2-3 anni e sviluppo di ipertensiona arteriosa. Fattori positivi per la prognosi sono: - sesso femminile - giovane età - assenza di sd nefrosiche precedenti - buona funzionalità renale Glomerulonefrite membranoproliferativa (GNMP) Rappresenta il 10-20% dei casi di sindrome nefrosica del bambino e del giovane adulto. Caratterizzata da: - alterazioni della membrana basale - proliferazione delle cellule glomerulari, principalmente a carico del mesangio. - infiltrazione leucocitaria La GNMP primitiva si divide in due tipi principali. GNMP di tipo I Morfologia Al microscopio ottico: - ipercellularità con formazione in molti casi di semilune. Essa deriva da: • proliferazione delle cellule mesangiale • proliferazione dell’endotelio capillare • presenza di lucociti infiltranti - aumento della matrice mesangiale - aspetto lobulato dei glomeruli, dato loro da proliferazione cellulare e stromale - MBG inspessita e spesso presentante un doppio contorno, una sorta di slaminamento della membrana, causato da: • neosintesi di un nuovo strato di membrana basale • interposizione di elementi cellulari, mesangiali, endoteliali, leucocitari nello spessore della mambrana 151 Al microscopio elettronico: - depositi elettrondensi granulari subendoteliali. All’immunofluorescenza - depositi costituiti da C3, IgG, e dalle componenti precoci del complemento C1q e C4. Patogenesi Il fatto che si osservino immunocomplessi e attivazione delle vie classica ed alternativa del complemento, suggerisce una patogenesi immuno-mediata. In particolare sembra che si tratti di una reazione anticorpale nei confronti di antigeni infettivi che si siano impiantati nelle strutture glomerulari, o contenuti in complessi immuni preformati depositati nel glomerulo dalla circolazione. GNMP di tipo II o malattia a depositi densi Morfologia Al micorscopio ottico: - analoga a quella della GNMP di tipo I Al microscopio elettronico - lamina densa della MBG che diviene una struttura elettrondensa, molto irregolare e nastriforme a causa della deposizione di materiale denso al suo interno, di origine ignota. All’immunofluorescenza: - presenza di C3 in focolai granulari o lineari su entrambi i lati della mbr basale. - Presenza di C3 nel mesangio sotto forma di aggregati circolari caratteristici (anelli mesangiali) - Assenza di C3 nei depositi elettrondensi - Assenza di IgG - Assenza delle componenti precoci del complemento (C1q e C4) Patogenesi Il fatto che si osservi deposito di C3, ma assenza di IgG e delle componenti precoci del complemento suggerisce una patogenesi legata all’attivazione della via alternativa del complemento. Nella via alternativa del complemento C3 è direttamente clivato in C3b, dopo interazione iniziale di C3 con sostanze come polisaccaridi batterici, endotossine ed aggregati di IgA, in presenza di fattori B e D. Ciò porta alla generazione di C3bBb, convertasi della via alternativa, che è un prodotto instabile e genralmente viene degradata. Sembra che il 70% dei pz con malattia a depositi densi, presenti un autoanticorpo circolante detto fattore nefritico C3 (C3NeF), che lega la C3 convertasi della via alternativa e la stabiliza proteggendola dalla degradazione enziamtica. Non è chiaro come la C3 convertasi sia correlata al danno glomerulare. 152 Clinica (comune a GNMPI e II) L’esordio è solitamente con sindrome nefrosica, anche se talvolta si ha presentazione con ematuria o con una più insidiosa proteinuria. La remissione spontanea è davvero rara e nella maggior parte dei casi la malattia segue un decorso clinico progressivo, evolvendo a volte in glomerulonefrite rapidamente progressiva e nel 50% in insufficienza renale cronica nei 10 anni successivi. La terapia con corticosteroidi non ha efficacia ben dimostrata. Nei pz trapiantati si ha alta frequenza di recidiva. Nefropatia da IgA (malattia di Berger) Forma di glomerulonefrite con prominenti depositi di IgA nelle regioni mesangiali La diagnosi dunque, anche se può essere sospettata anche al microscopio ottico, è posta solo sulla base di tecniche di immunofluorescenza. Cause: ¾ nefropatia da IgA primitiva ¾ nefropatia da IgA secondaria a • porpora di Schoenlein-Henoch • LES • Patologie epatiche (cirrosi) ed intestinali Patogenesi Normalmente le IgA, Ig delle secrezioni mucose, si ritrovano a basse concentrazioni nel siero normale, soprattutto in forma monomerica, poiché la forma polimerica è catabolizzata dal fegato. Nella nefropatia da IgA si ha aumento delle IgA polimeriche nel siero e formazione di immunocomplessi circolanti contenenti IgA. Questi immunocomplessi vengono ad essere intrappolati nel glomerulo, soprattutto a livello del mesangio, con conseguente attivazione della via alternativa del complemento (presenza di C3, ma assenza di C1q e C4) e danno glomerulare. L’aumento della concentrazione di IgA sieriche è probabilmente dovuto ad una alterazione genetica o acquisita della regolazione immune, che porta ad un aumento della loro sintesi a livello delle mucose, in risposta all’esposizione dell’apparato respiratorio o gastrointestinale ad agenti infettivi. Un’altra ipotesi vede come meccanismo patogenetico, lo sviluppo successivo ad infezione di anticorpi IgA, che cross-reagiscono con antigeni self del glomerulo renale: non si tratterebbe dunque di una patologia da deposizione di immunocomplessi, bensì da produzione di Ac rivolti contro le componenti glomerulari. Morfologia Al microscopio ottico: - proliferazione dello stroma e delle cellule mesangiali (reazione alla deposizione di IgA) - occasionale sclerosi focale e segmentale, per guarigione della lesione focale proliferativa. 153 - Crescent localizzato, che possono portare tardivamente a fibrosi Presenza di infiltrato infiammatorio. Al microscopio elettronico: - depositi elettrondensi mesangiali All’immunofluorescenza: - depositi mesangiali di IgA, associati a C3 - assenza delle componenti precoci del complemento (C1q e C4) - assenza o scarsa presenza di IgG e di IgM Di nefropatia da IgA vengono distinte 5 classi morfologiche per assicurare una migliore diagnosi differenziale. Clinica Interessa ogni fascia di età anche se prevalentemente dai 12-21 anni Ha prevalenza nei maschi rispetto che nelle femmine L’esordio è solitamente con ematuria massiva, dopo infezione dell’apparato respiratorio e meno spesso dell’apparato gastrointestinale o urinario. Tipicamente l’ematuria dura diversi giorni dunque scompare per ripresentarsi ogni pochi mesi. Il decorso poi è variabile, anche se generalmente la prognosi è favorevole. Frequente la recidiva dopo trapianto. Nefriti ereditarie Gruppo di patologie renali familiari associate a danno glomerulare. Sindrome di Alport Se completamente sviluppata si manifesta con - nefrite che evolve verso insufficienza renale cronica - ipoacusia sensoriale - dislocazione del cristallino, cataratta posteriore, distrofia corneale La forma più comune è una forma legata al sesso, al cromosoma X, nella quale i maschi esprimono la sindrome in modo completo, mentre le femmine sono portatrici, con manifestazioni solo legate all’ematuria. Patogenesi Anomala produzione di collagene IV→Alterata sintesi di MBG Morfologia Al microscopio ottico: - glomeruli normali 154 Al microscopio elettronico: - MBG con focolai di ispessimento, alternati ad assottigliamento, con slaminamento e frammentazione della lamina densa. - In alcuni reni cellule interstiziali del tubulo renale che acquistano aspetto schiumoso per l’accumulo di grassi e mucopolisaccaridi (cellule schiumose). - Con progredire della malattia possibile sclerosi, atrofia tubulare e fibrosi interstiziale. Clinica Esordio con ematuria macroscopica o microscopica, frequentemente con cilindri ematici. Si può avere proteinuria e raramente sindrome nefrosica. Sintomi che si manifestano tra i 5 ed i 20 anni. Insorgenza di un’insufficienza renale conclamata tra i 20 ed i 50 anni. Ematuria benigna familiare E’ una forma abbastanza comune che consiste in un’ematuria macroscopica o microscopica con decorso favorevole che può presentarsi associata ad altre glomerulopatie. A differenza della sindrome di Alport non presenta ipoacusia e anomalie oculari. Al microscopio si osserva una marcata riduzione dello spessore delle membrane che passano dai normali 361nm a 191nm. Anche la lamina basale appare assottigliata e segmentata mentre si osserva un ispessimento della matrice mesangiale che forma depositi. La malattia deriva da un’alterazione genetica riguardante la sintesi del collageno IV. 155 Malattie dei tubuli e dell’interstizio renale Sono fondamentalmente di due tipi: 1) necrosi tubulare acuta 2) nefrite tubulo-interstiziale Necrosi tubulare acuta È un’entità clinico-patologica che è caratterizzata: - morfologicamente: distruzione delle cellule epiteliali tubulari - clinicamente: riduzione acuta o perdita della funzionalità renale. Si tratta solitamente di una lesione renale reversibile Cause: 1) Ischemia → NTA ischemica. Inadeguato flusso ematico al rene, per danno dei vasi intrarenali o per una situazione di riduzione del volume circolante (ipotensione e shock). 2) Danno tossico diretto del tubulo → NTA nefrotossica. Innescata da farmaci, da mezzi di contrasto radiologici, da veleni, ma anche da emoglobine (crisi emolitiche che provocano emoglobinuria) e mioglobina (danni della muscolatura scheletrica con conseguente mioglobinuria). Patogenesi: La patogenesi è simile per entrambi i casi e parte da un danno diretto delle cellule tubulari dovuto a ridotta perfusione o danno tossico. Il danno inizialmente è reversibile e comporta una serie di alterazioni strutturali e funzionali: a. rigonfiamento cellulare b. vacuolizzazione c. perdita dell’orletto a spazzola e della polarità cellulare: a causa della ridistribuzione delle proteine di trasporto dalla spf luminale a quella basolaterale d. espressione di citochine e molecole di adesione da parte delle cellule danneggiate. e. distacco delle cellule danneggiate dalla membrana basale. c. Perdita dell’orletto a spazzola e della polarità cellulare Implica: 1. anomalo trasporto ionico attraverso la cellula 2. aumento del flusso di iodio a livello del tubulo distale 3. feedback tubulo-glomerulare con stimolazione del sistema renina-angiotensina 156 4. aumento del rilascio del vasocostrittore angiotensina e diminuzione del rilascio di NO e PGI 5. vasocostrizione 6. ridotto flusso plasmatici glomerulare 7. ridotta GFR 8. oliguria d. Espressione di citochine e di molecole di adesione da parte delle cellule danneggiate Implica: 1. reclutamento dei leucociti nell’interstizio 2. danno della membrana basale subendoteliale 3. fluidi che dal lume tubulare raggiungono l’interstizio 4. edema interstiziale 5. aumento della pressione interstiziale 6I. ulteriore danno tubulare 6II. Riduzione del flusso tubulare 7. oliguria e.Distacco delle cellule tubulari danneggiate dalla membrana basale 1. 2. 3. 4. ostruzione del lume tubulare aumento della pressione endotubulare ridotta GFR oliguria Oltre a ciò l’aumento della pressione endotubulare contribuisce anche alla fuoriuscita di fluidi dal lume all’interstizio e dunque all’edema interstiziale. Con il passare del tempo il danno diviene irreversibile con conseguente: a. necrosi ed apoptosi delle cellule tubulari danneggiate a. Necrosi ed apoptosi delle cellule tubulari 1. passaggio di liquido tubulare nell’interstizio 2. diminuzione del flusso tubulare 3. oliguria Se la causa scatenante viene rimossa si può avere una pronta riparazione dei focolai necrotici, data l’irregolare distribuzione della necrosi e il mantenimento dell’integrità della membrana in molti segmenti. Morfologia 1. NTA ischemica - necrosi tubulare che colpisce tratti relativamente brevi di tubuli, in particolare il tratto dritto dei tubuli prossimali e il braccio ascendente dell’ansa di Henle. Zone di rottura delle membrane basali (tubuloressi) Zone di occlusione dei lumi tubulari da parte di cilindri in particolare nei tubuli distali e nei dotti collettori. Edema interstiziale 157 - Accumuli di leucociti all’interno di vasi dilatati Aree di rigenerazione epiteliali (si osservano spesso). 2. NTA tossica - estesa necrosi lungo il tubulo contorto prossimale. La necrosi può essere istologicamente del tutto aspecifica o presentare aspetto caratteristici dell’avvelenamento da alcuni agenti tossici. - Zone di occlusione dei lumi tubulari da parte di cilindri in particolare nei tubuli distali e nei dotti collettori. - Edema interstiziale - Accumuli di leucociti all’interno di vasi dilatati. - Aree di rigenerazione epiteliale (si osservano spesso) Clinica Suddivisa in tre fasi: 1. Fase iniziale - Dominata dagli eventi scatenanti della necrosi medesima (eventi medici, chirurgici, ostetrici). L’unico segno a livello renale è la lieve riduzione del flusso urinario con lieve aumento dell’azotemia. 2. Fase di mantenimento - severa diminuzione del flusso urinario (oliguria: da 40 a 400ml.) sovraccarico di sali ed acqua nelle urine (per aumento dell’apporto di sodio nel lume tubulare) aumento del’azotemia e della potassiemia. 3. Fase di guarigione - rapido incremento del volume urinario (fino a 3l./die) con conseguente massiccia perdita nel flusso urinario di acqua, sodio, ma anche potassio. Ipopotassiemia Aumento della suscettibilità agli agenti infettivi In circa il 50% dei casi la NTA si manifesta non con oliguria ma con un aumento del flusso urinario. Si parla di NTA non oliguria. Prognosi Se si ha solamente coinvolgimento renale la prognosi è molto buona nel 90% dei casi. Altrimenti, in caso di coinvolgimento multiorgano, l’indice di mortalità può salire oltre il 50%. Nefrite tubulo-interstiziale Si tratta di un gruppo di malattie renali caratterizzato da alterazioni istologiche e funzionali coinvolgenti i tubuli e l’interstizio. Tubuli e d interstizio possono essere coinvolti: - Primitivamente → nefriti tubulo interstiziali primitive. 158 - Secondariamente a coinvolgimento del glomerulo → nefriti tubulo-interstiziali secondarie Inoltre le nefriti tubulo-interstiziali possono essere: - acute: • rapida insorgenza • edema interstiziale • infiltrazione leucocitaria soprattutto da parte di neutrofili ed eosinofili • necrosi tubulare focale - croniche • insorgenza lenta • fibrosi interstiziale • infiltrazione leucocitaria prevalentemente mononucleata • atrofie tubulari acute Le nefriti tubulo-interstiziali primitive sono un gruppo di patologie con differenti cause e differenti meccanismi patogene. Si distinguono clinicamente dalle malattie tubuleri per l’assenza di sindrome nefrosica o nefritica e per la presenza di alterazioni della funzione tubulare che si possono mettere in evidenza in modo insidioso con: - ridotta capacità di concentrazione delle urine (poliuria o nicturia) - perdita di sali - ridotta capacità di escrezione di sali - deficit isolati di riassorbimento o di secrezione Pielonefrite ed infezione delle vie urinarie La pielonefrite è una grave complicanza delle infezione delle vie urinarie che possono colpire vescica o reni e loro sistemi collettori, ed interessa tubuli, interstizio e pelvi renale. La pielonefrite può essere: - pielonerfite acuta: infiammazione suppurativa acuta causata dal danno diretto di alcuni batteri e virus alla pelvi renale pielonefrite cronica: l’infezione batterica gioca comunque un ruolo dominante, ma l’evoluzione è più lenta e sono coinvolti altri fattori (reflusso vescicauretrale, ostruzioned ellle vie urinarie). Patogenesi Nella maggior parte dei pz con infezione del tratto urinario, i microrganismi infettanti derivano dalla flora fecale del pz medesimo, e sono bacilli gram -, normali abitanti del tratto intestinale (E. coli, Proteus, Klebsiella). Si ratta dunque di un’infezione endogena che può raggiungere il rene attraverso 2 vie: 159 - - via ematogena: attraverso il flusso sanguigno. È la via meno comune. Si verifica in corso di setticemia o di endocardite infettiva. Si manifesta più frequentemente in pz molto debilitai, immunosoppressi o con grave ostruzione renale infezione ascendente: dalle basse vie urinarie. È la forma più comune, richiede una serie di passaggi poiché vescica ed urine normalmente sono sterili. TAPPE dell’INFEZIONE ASCENDENTE: 1. colonizzazione della parte distale dell’uretra da arte di batteri coliformi: i batteri devono possedere la capacità di aderire alle cellule della mucosa uretrale. 2. accesso alla vescica dall’uretra. Il passaggio vescica uretra può avvenire in corso di manovre di cateterizzazione uretrale o di altre manovre strumentali. In assenza delle medesime l’infezione è molto più comune nelle donne (uretra più breve, assenza di liquido prostatico che ha proprietà antibatteriche, modificazioni ormonli, traumi uretrali nel corso di rapporti sessuali). 3. moltiplicazione nella vescica. In condizioni normali questa non avviene, poiché i germi sono eliminati con il normale deflusso di svuotamento delle urine. Tuttavia un ostacolo al deflusso o disfunzioni vescicali che determinino una situazione di stasi, rendono posibile la moltiplicazione indisturbata dei batteri. Dunque una patologia ostruttiva delle basse vie urinarie è un fattore predisponente alle infezioni del tratto urinario. 4. reflusso vescico-ureterale. È sempre legato ad un’insufficienza della valvola vescico-ureterale, che consente la risalita dei batteri dalla vescica all’internod egli ureteri e dunque alla pelvi renale. L’insufficienza della valvola è quasi sempre determinata dall’assenza o dall’accorciamento congenito della porzione intravesciacle dell’uretere, cosicché l’uretere non riesce ad essere sufficientemente compresso dai muscoli della vescica durante la minzione. 5. reflusso intrarenale. L’urina vescicole infetta è spinta fino alla pelvi e penetra profondamente nel parenchima renale lungo i dotti collettori che si aprono a livello degli apici delle papille. È più frequente nei poli inferiore e superiore. Pielonefrite acuta Infiammazione suppurativa acuta del rene causata da alcuni batteri e da alcuni virus. Condizioni predisponesti - - ostruzione del tratto urinario manipolazioni strumentali (cateterizzazione) reflusso vescicoureterale gravidanza: 4-6% delle gestanti che sviluppa una batteriuria che se non trattata porta ad infezione urinaria sintomatica nel 20-40% dei casi sesso ed età del pz: 1-40 anni → infezioni più frequenti nelle donne. Con l’aumentare dell’età l’incidenza negli uomini aumenta per lo sviluppo di un’ipertrofia prostatica e le frequenti manipolazioni strumentali lesioni renali pre-esistenti, che possono causare cicatrizzazione ed ostruzione intrarenale diabete mellito (> suscettibilità alle infezioni, più frequenti manipolazioni) immunosprressione ed immunodeficienza 160 Morfologia Caratterizzata da: - flogosi interstiziale suppurativa distribuita a chiazza (ascessi focali), ma soprattutto nei poli superiore ed inferiore. Inizialmente l’infiltrato neutrofilo è limitato all’interstizio, poi coinvolge i tubuli con loro distruzione. - Aggregati intraluminali di neutrofili distribuiti dentro i tubuli di tutto il neurone coinvolto. - Necrosi tubulare - Il glomerulo è carttersiticamente risparmiato Complicanze: sono 3 caratteristicamente: 1. necrosi papillare: principalmente nei diabetici o nei pz con ostruzione delle vie urinarie. Generalmente bilaterale, coinvolge entrambe le piramidi renali. 2. pionefrosi: in presenza di un’ostruzione totale o quasi, in particolare se nelle alte vie urinarie. L’essudato suppurativo non è drenato e riempie la pelvi renale, i calici, l’uretere. 3. ascesso perinefrinico: estensione dell’infiammazione al tessuto perirenale attraverso la capsula renale. Guarigione: 1. l’infiltrato neutrofilo viene sostituito da un infiltrato mononucleato con macrofagi e plasmacellule e linfociti. 2. i foci infiammatori sono sostituiti da cicatrici, che si associano però quasi sempre ad infiammazione, fibrosi, deformazione dei calici e della sottostante pelvi. Clinica Esordio improvviso con: - dolore all’angolo costo-vertebrale - segni sistemici di infezione (febbre e malessere) - segni di irritazione vescicale ed ureterale: disuria, minzione imperiosa. - Urina contenente leucociti (piuria): non permette la differenziazione delle infezioni della lte e delle basse vie urinarie. - Reperto di cilindri leucocitari, ripieni di neutrofili nelle urine, che dimostra il coinvolgimento del rene (i cilindri si formano solo nei tubuli). La pielonefrite non complicata ha generalmente decorso benigno ed i sintomi scompaiono entro pochi giorni dall’inizio della terapia antibiotica. Pielonefrite cronica La caratteristica fondamentale della pielonefrite cronica è una flogosi tubulointerstiziale cronica, associata a cicatrici renali ed associata al coinvolgimento patologico di calici e pelvi. 161 Solo la pielonefrite cronica e la nefropatia da analgesici colpiscono anche i calici. Nefropatia da reflusso È la forma più comune. Si verfica precocemente nell’infanzia, per sovrapposizione di una infezione urinaria su un reflusso vescico-ureterale ed intrarenale congenito. Il reflusso può essere unilaterale o bilaterale e conseguentemente portare a cicatrizzazione ed atrofia di uno o di entrambi i reni. Pielonefrite cronica ostruttiva L’ostruzione renale predispone alle infezioni renali e contribuisce all’atrofia del parenchima in un quadro di infiammazione cicatrizzazione ricorrenti, cioè di pielonefrite cronica. Può essere bilaterale (es. alterazioni ostruttive dell’uretra) e porta ad insufficienza renale. Oppure monolaterale (es. calcolosi). Morfologia Macroscopica: - reni irregolarmente cicatriziali. Se bilaterale il coinvolgimento è asimmetrico (nella glomerulonefrite cronica i reni sono diffusamente e simmetricamente cicatriziali). Si ha retrazione cicatriziale cortico-midollare grossolana, che sovrasta calici tozzi, dilatati e deformati. Microscopica: - tubuli: atrofici in alcune porzioni, dilatati in altre. In presenza di infezione attiva, vi possono essere cilindri di pus al loro interno. Interstizio: infiammazione cronica e fibrosi. Neutrofili in corso di infiammazione attiva. Calice: circondato da fibrosi e da marcato infiltrato cronico Glomeruli di solito normali, con a volte fibrosi periglomerulare. Pielonefrite xantogranulomatosa: forma rara caratterizzata da accumulo di macrofagi schiumosi, frammisti a plasmacellule, linfociti, leucociti polimorfonucleati e a volte cellule giganti. Spesso associato all’infezione da Proteus. Clinica L’esordio generalmente è silente o insidioso. 162 I pz giungono all’osservazione in fase relativamente avanzata, per la comparsa graduale di insufficienza renale associata ad ipertensione oppure di giuria e batteriuria ad un esame di routine. La perdita della capacità di concentrazione tubulare può provocare poliuria e nicturia. Alcuni pazienti hanno una cicatrizzazione pielonefritica che determina alterazioni glomerulari adattative secondarie alla perdita di massa renale, che sfociano in una glomerulosclerosi focale e segmentale con elevata proteinuria. La comparsa di proteinuria e glomerulosclerosi è un segno prognostico sfavorevole. Nefrite tubulo-interstiziale da farmaci ed agenti tossici Farmaci ed agenti tossici possono provocare lesioni renali con 3 meccanismi: 1) innescano reazione immunologia interstiziale → nefrite acuta da ipersensibilità indotta da meticillina 2) provocano danno tubulare subdolo, ma cumulativo, che richiede anni pr manifestarsi ed esita in insufficienza renale cronica → nefropatia da abuso di analgesici. 3) Provocano insfuiicienza renale acuta Nefrite acuta da ipersensibilità Reazione scatenata da una serie di farmaci in costante incremento. In conseguenza dell’assunzione di penicilline sintetiche (meticillina, ampicillina), diuretici (tiazidici), FANS ecc… Inizia 15 gioni dopo l’esposizione al farmaco. L’esordio è caratterizzata da: - febbre - eosinofilia - rash cutaneo (25%) - manifestazioni renali: ematuria, lieve proteinuria, leucocituria (con eosinofili), sviluppo di insufficienza renale acuta con oliguiria (50%) Morfologia Alterazioni a carico dell’interstizio che mostra: - edema pronunciato - infiltrato leucocitario mononucleato (linfociti, macrofagi, eosinofili) A volte “tubulite”, infiltrazione linfocitaria dei tubuli. Patogenesi Meccanismo di tipo immunitario dose-indipendente. Si tratta di una reazione di ipersensibilità che può essere: - di tipo I (IgE mediata) - di tipo IV (ritardata). Probabilmente i farmaci agiscono su apteni che, durante la secrezione nei tubuli, si fissano a componenti citoplasmatici o extracellulari delle cellule tubulari, acquisendo così proprietà immunogene. 163 Il danno risltane èdnque dovuto ad una reazione di tipo immunitario contro le cellule epiteliali del tubulo o contro le loro mbr basali. Clinica L’immediata sospensione del farmaco è prontamente seguita dalla guarigione. Solo in alcuni pz anziani si può avere,a volte, danno irreversibile del rene. Nefropatia da analgesici È una forma di nefropatia cronica causata da un’assunzione eccessiva di miscele analgesicheI pz che sviluppano la malattia ingeriscono grandi quantità di una miscela di almeno 2 antipiretci; nella maggior pare dei casi la miscela contiene fenacetina. È caratterizzata da necrosi papillare renale, che si instaura per prima, associata a nefite tuvulo interstiziale e corticale che costituisce una manifestazione secondaria. Più comune negli uomini che nelle donne. Particolarmente frequente in individui con cefalea riccorrente o dolori muscolari cronici. Morfologia Macroscopica: - reni normali o poco ridotti di volume - corticale con aree depresse che rappresentano le zone di atrofia corticale che sovrastano le papille necrotiche. - Le papille mostrano vari gradi di necrosi, frammentazione, calcificazione e distacco Microscopica - forme iniziali: necrosi a chiazze della papilla forme avanzate: necrosi dell’intera papilla che speso rimane una passerella priva di struttura. Clinica Sintomi precosi: - incapacità di concentrare le urine - acidosi renale Frequentemente questi sintomi sono accompagnati da: - cefalea - anemia, sproporzionata a causa del danno sui globuli rossi indotto dai metabolici della fenacetina - sintomi gastrointestinali - ipertensioni - infezioni del tratto urinario; complicano circa la metà dei casi. Occasionalmente vengono escreti interi apici di papille renali e ciò può provocare ematuria massiva o colica renale dovuta ad ostruzione ureterale provocata dai frammenti necrotici. 164 La progressiva compromissione della funzione renale può condurre ad insufficienza renale cronica, ma con la sospensione del farmaco, la funzone renale può stabilizzarsi o migliorare.. 165 Neoplasie dei testicoli GENERALITA’ I tumori del testicolo possono avere due differenti origini: ¾ Cell germinali (Seminoma o Tumori germinativi non seminomatosi) ¾ Cell dello stroma gonadico (5%) I primi sono più frequenti e molto spesso maligni con rapida diffusione metastatica mentre i secondi sono a norma benigni. Colpisce maggiormente gli individui di razza bianca rispetto ai neri. In generale sono molto rari ma fra in alcuni lassi di età rappresentano la patologia neoplastica più frequente: ¾ 25-29 anni per le forme non seminomatose ¾ 40-50 anni per le forme seminomatose ¾ Età pediatrica per il tumore del sacco vitellino Fattori predisponenti: Æ Criptorchidismo: permanenza di cell germinali a °T troppo elevate. Æ Permanenza elementi germinali lungo la linea mediana: (come sopra). Æ Trattamenti estrogenici in vita intrauterina Æ Infertilità oligospermica Æ Familiarità per neoplasie testicolari o carcinoma mammario Prognosi: o Seminoma: 1° e 2°(metastasi) decade guariscono il 95% dei pz. o Non Seminomatose: 1° guarisce il 95%, 2° e 3° il 40%. o Coriocarcinoma: sempre fatale!!! Tumori a cellule germinali Sono in netta ascesa nelle statistiche mondiali e rappresentando il 10% di tutte le cause neoplastiche di morte e la neoplasia più comune nei maschi appartenenti a una fascia di età che va dai 15 ai 34 anni. In questo tipo di neoplasie derivanti dalle cell gonadiche possiamo nel 40% dei casi osservare l’omogeneità istotipica all’interno della neoplasia, nel restante 60% si parla di tumori germinali composti. Della tipologia composta molti prendono origine da una neoplasia intratubulare a cell germinali che si riscontra in compresenza nella quasi totalità delle neoplasie germinali dell’adulto. Tra le due tipologie di tumore vi sono correlazioni riguardanti la ploidia del DNA come ad esempio nelle sopracitate neoplasie intratubulari (ancora in situ) si osservano anomalie cromosomiche simili come l’isocromosoma 12p. 166 Le osservazioni sul confronto dei vari aspetti dei due tumori depone a favore di una comune istogenesi di ambedue le patologie, infatti derivano entrambi da cell germinali in vario stadio di sviluppo. Per quanto riguarda il primo tipo le cell neoplastiche si differenziano lungo la linea gonadica dando origine al seminoma oppure possono dare origine a una massa di cell totipotenti che possono rimanere anaplastiche (carcinoma embrionario) o differenziare verso una linea extraembrionaria (coriocarcinomi o tumori del sacco vitellino). Per quanto riguarda i tumori germinativi non seminomatosi (NSGT) si oseervano: • Carcinoma embrionario • Coriocarcinoma • Teratoma maturo ed immaturo • Tumore del seno entodermico o sacco vitellino Questi tumori tendono a riprodurre le fasi dell’embriogenesi e le proprie tappe maturative. Sono più precoci rispetto al seminoma. Questi tumori mostrano spesso un loro analogo nelle patologie neoplastiche dell’ovaio! Patogenesi dei tumori a cell gerinali Nonostante le precise cause scatenanti non siano ancora note si osservano dei fattori predisponenti: • Criptorchidismo: la persistenza dei testicoli nell’addome con prolungata esposizione a °T ben più alte di quelle a cui le gonadi maschili devono trovarsi causa disfunzioni delle cell germinali. • Disgenesia testicolare: particolarmente indicativo nei pazienti con femminilizzazione testicolare. • Fattori genetici: sono in corso studi che dimostrerebbero una familiarità nella possibilità di sviluppare la malattia. Tumori a cell dello stroma gonadico Queste neoplasie colpiscono le cell di sostegno del parenchima testicolare suddividendosi, perciò, in due tipologie: ¾ Tumore a cellule di Leydig (interstiziale) ¾ Tumore a cellule del Sertoli (androblastoma) Seminoma Questa patologia rappresenta il 30-40% della totalità dei tumori che colpiscono il testicolo. Non si manifesta quasi mai nell’infanzia bensì in età adulta colpendo principalmente uomini nella terza decade di età. Il seminoma ha un corrispettivo a livello dell’ovaio chiamato disgerminoma. 167 Il seminoma si può presentare in due forme: ¾ Classico (93%) ¾ Spermatocitico Seminoma classico Si presenta come una massa solida, omogenea, giallastra, lucida e lobulata al taglio con piccole aree di necrosi e componenti non seminomatose, con aspetti cistici ed emorragici, che può raggiungere dimensioni dieci volte maggiori quelle del testicolo normale. Morfologia Si osservano nidi di cell neoplastiche circondate da sottili setti fibrosi, linfociti T (80%), plasmacellule e reazioni granulomatose segno di una reazione che lo rende meno aggressivo. Le cell sono grandi, tonde o poligonali, con ampia rima citoplasmatica chiara per la presenza di glicogeno. ÆTest diastatico: Si preparano due sezioni del tumore e una la si tratta con diastasi che degrada il glicogeno. Mentre la prima sezione si colora con PAS quella trattata con diastasi non si colora a causa della degradazione del glicogeno bersaglio elettivo del PAS. Si riscontrano anche numerosi elementi mitotici a causa della spermatogenesi. Fenotipo • Fosfatasi alcalina placentare (PLAP): nel 40% circa dei pz. si riscontra a livello • Mancata espressione di cheratine: tipica caratteristica delle forme • E-caderina+ e β-catenina- : utili per la diagnosi differenziale col carcinoma plasmatico. seminomatose. embrionario o per distinguere diverse tipologie di cell all’interno del tumore. Clinica E’ bene effettuare una biopsia per ogni cm della massa in modo da evitare che sfuggano focolai di cell tumorali non seminomatose. I focolai possono essere composti da cell: - Carcinoma anaplastico - Cell giganti trofoblastiche - Elementi del seno entodermico 168 E’ importante quantificarle per distinguere i tumori germinali misti che sono, generalmente, più aggressivi mentre le forme seminomatose con scarsa presenza di focolai non seminomatosi hanno decorso meno grave. Seminoma bruciato Si evidenzia con voluminosa linfoadenite retroperitoneale a causa della diffusione delle metastasi attraverso i linfatici del testicolo che drenano ai linfonodi situati in prossimità dell’ilo renale. Si chiama bruciato perché in questa tipologia si evidenzia un processo involutivo con cicatrizzazione riscontrabile anche a livello delle metastasi. Si possono effettuare biopsie in laparoscopia o tac-mirate ma, con quest’ultimo metodo, si preleva solo un’esigua quantità di tessuto col rischio di prelevare da un zona di necrosi rendendo così inattuabile l’analisi istopatologica. Æ Spesso si trovano tumori lungo la linea mediana perché le cell germinali migrano in questa zona durante lo sviluppo embrionale e, perciò, non vuol dire che masse tumorali così localizzate siano per forza metastasi derivanti da neoplasie testicolari. Seminoma spermatocitico Costituisce il 4-7% dei seminomi e colpisce principalmente gli anziani. Si manifesta spesso bilateralmente al contrario del classico. La prognosi è positiva perché non metastatizza e si risolve con terapia chirurgica. Morfologia Si osserva una tendenza alla maturazione verso stadi più avanzati della spermatogenesi con cell linfocito-simili (diagnosi diff. Con linfoma testicolare). Assenti reazioni granulomatose e la presenza di glicogeno e PLAP. Carcinoma Embrionario Insorge normalmente tra i 20 e i 30 anni. E’ più aggressivo delle forme seminomatose. Si presenta come una massa solida grigio-biancastra, non omogenea a causa della disseminazione di focolai emorragici e necrotici dovuti alla crescita del tumore e all’interessamento vascolare. 169 Se diagnosticato in fase precoce risulta trattabile, al contrario, diagnosticato in fase tardiva, è quasi sempre letale! Morfologia Si evidenziano cell immature, molto voluminose ma con rapporto nucleo/citoplasma nettamente a favore del nucleo (non si evidenzia l’ampia rima citoplasmatica delle forme seminomatose). Le cell mostrano una maturazione verso elementi embrionari con formazione di strutture alveolari o tubulari simili a papille. Fenotipo • • Cheratine+, E-caderina-, β-catenina+ : contrario esatto dei seminomi. CD30+ : sempre presente negli LH di tipo classico, mette il carcinoma embrionario in diagnosi differenziale col tumore a grandi cell di tipo linfoide. **Mai basare una diagnosi su un solo marker! Teratoma Teratoma: Tumore che tende a riprodurre disordinatamente delle componenti dell’organo in cui sviluppa o delle strutture embrionali. Il suo sviluppo e totalmente afinalistico. ÆRappresenta il 5-10% dei tumori del testicolo. In età infantile si presenta come forma benigna ed è trattabile, in età adulta si presenta in forma più grave e il suo esito è imprevedibile. Le forme pure si presentano principalmente nei bambini mentre negli adulti si riscontrano solo nel 2-3% dei casi. Le forme miste con presenza di altri tipi istologici rappresentano il 45% dei casi. Il teratoma si suddivide in due forme principali: ¾ Maturo: presenta componenti tessutali mature che danno facilmente metastasi. ¾ Immaturo: presenta ancora aspetti comuni ai tessuti embrionali. Morfologia Si presentano come voluminose masse che vanno dai 5 ai 10 cm di diametro. L’aspetto è eterogeneo a causa della presenza di più tessuti con zone solide a volte cartilaginee e cistiche. 170 Si riscontra necrosi nelle varianti miste che presentano anche carcinoma embrionario o coriocarcinoma. I teratomi sono composti da più tessuti (nervoso, muscolare, cartilagineo) disposto disordinatamente e immerso in una matrice stremale fibrosa. Raramente possono andare incontro a trasformazione maligna che si presenta con l’insorgere di tumori non germinali quali adenocarcinoma, carcinoma squamoso o sarcoma. Queste forme metastatizzano con molta aggressività e sono altamente resistenti alla chemioterapia. La prognosi è sempre data dalla componente più aggressiva perciò è importante effettuare biopsie a più livelli del tumore per evidenziare eventuali componenti differenti. Coriocarcinoma Rappresenta il 5% dei tumori del testicolo (interessa nella stessa % anche ovaio). Metastatizza rapidamente colpendo i polmoni (99,9% diagnosi tardiva) Æ Letale!! Æper la sua pericolosità è importante il suo riscontro nelle forme miste! Deriva da una componente extraembrionaria e tende a riprodurre la placenta! Æ per questo motivo è molto irrorato e ciò fa sì che invada i vasi metastatizzando facilmente e causando aree di necrosi nella massa. Morfologia ¾ Sinciziotrofoblasti: cell grandi con nuclei atipici e abbondante citoplasma ¾ Citotrofoblasti: cell poligonali e nucleo uniforme Fenotipo • • Cheratina 7+ hCG+ : evidenzia la sua derivazione placentare Tumore del sacco vitellino (o seno endodermico) Nei bambini fino a 2 anni la patologia è benigna mentre negli adulti risulta molto aggressivo e, all’atto della diagnosi, ha già dato metastasi poco ed è poco responsivo alla terapia. Si presenta spesso in forma pura (80%). Morfologia Si evidenzia una struttura stromale lassa con formazioni cistiche. 171 Corpi di Sciller-Duval: sono strutture glomeruloidi disposte attorno all’asse pascolostromale che protrudono in strutture cistiche. Sono sempre diagnostici. Le cell risultano immature con rapporto nucleo/citoplasma fortemente a favore del nucleo. Fenotipo • • • • α1-fetoproteina+: ___mancano appunti!!!___ α1-antitripsina+ transferrina+ cheratina+ Neoplasia germinale intratubulare Sono forme in situ ovvero dentro i tubuli seminiferi contorti. Si riesce a operare la diagnosi in tempi precoci. Si riscontra nell’80% dei testicoli affetti da neoplasie infiltrativi. 172 Patologia della prostata Struttura Organo extraperitoneale, di circa 20g., che circonda collo della vescica ed uretra. È una ghiandola a composizione tubulo-alveolare. Le ghiandole sono composte da due strati cellulari: 1. strato basale di epitelio cuboide 2. strato di cellule cilindriche secretorie. Le ghiandole hanno tutte membrana basale evidente e sono separate da uno stroma fibromuscolare. Gli androgeni testicolari sono di primaria importanza per regolare la crescita prostatica, tanto ce la castrazione comporta atrofia prostatica. 1) Ipertrofia della prostata 2) adenocarcinoma della prostata Ipertrofia benigna della prostata L’ipertrofia prostatica benigna è una patologia molto comune nell’uomo di età superiore ai 50 anni, tanto da essere considerata una situazione parafisiologica. Si caratterizza per l’iperplasia delle cellule stromali ed epiteliali che esita nella formazione di ampi noduli, definiti, tipicamente localizzati nella regione più centrale della prostata. Incidenza L’evidenza dell’ipertrofia prostatica si reperta: - nel 20% degli uomini di 40 anni - nel 35% degli uomini di 50 anni - nel 65% degli uomini di 70 anni - nel 90% degli uomini di 90 anni Eziologia e patogenesi L’aumento di volume della prostata è correlato con l’azione degli androgeni. Il mediatore terminale della crescita prostatica è il dididrosterone, che viene sintetizzato dalle cellule stremalei della prostata a partire dal testosterone circolante, grazie all’azione dell’enzima 5α reduttasi. Una volta che è stato sintetizzato il DTH si lega a recettori nucleari presenti: - nelle cellule stremali medesime ( azione autocrina) - nelle cellule ghiandolari (azione paracrina) attivando la trascrizione di fattori di crescita ad azione mitogena. Gli estrogeni invece rendono le cellule stromali più sensibili all’azione del DTH. La prostata è dunque un organo ormono-dipendente che ha uno sviluppo negli anni correlato alla stimolazione ormonale. Infatti è piccola nel bambino, cresce nel giovane adulto sotto la stimolazione del diidrotestosterone, cresce ulteriormente nell’anziano sotto stimolazione delle crescenti quantità di estrogeni, che agiscono soprattutto sulla componente stromale. 173 Morfologia Prostata di peso 60-100g. Iperplasia nodulare nella zona centrale: - inizialmente: noduli stromali → grigi e pallidi senza secrezione - successivamente noduli epiteliali → tessuto giallo-roseo, di consistenza soffice, con secrezione simil-lattescente Clinica L’ipertrofia della prostata porta di fatto a due importanti effetti secondari: 1. Poiché si tratta di una patologia della parte interna, centrale della prostata, l’aumento di dimensione dei noduli provoca compromissione del canale dell’uretra, con restringimento del lume e parziale ostruzione del lume dell’uretra prostatica medesima. 2. La crescita del volume della prostata nella sua porzione superiore, alza il livello del trigono vescicole e dell’imbocco dell’uretra prostatica medesima, provocando al termine della minzione un residuo urinario in vescica, con conseguente distensione ed ipertrofia vescicale. Questi due effetti secondari provocano a loro volta una serie di conseguenze: a. nicturia e disuria: il pz sente il bisogno di urinare molto spesso, anche durante la notte. Alla minzione tuttavia il pz urina pochissimo e con un certo dolore, per l’ostacolo al flusso determinato dall’ostruzione prostatica. b. Difficoltà ad iniziare la minzione e ad arrestare il mitto. c. Maggiore suscettibilità alle infezioni vescicali, poiché l’urina che rimane in stasi come residuo permanente può infettarsi molto facilmente. Si ha dunque un frequente sviluppo di cistiti, ma anche di pielonefriti e di prostaticti, per la migrazione ascendente e discendente dei microbi lungo le vie urinarie. Diagnosi Non viene fatta attraverso indagine bioptica per due motivi: 1. l’agobiopsia che perfora tangenzialmente la capsula prostatica, non è in grado di arrivare fino alla zona più centrale 2. l’istologia nodulare non può essere apprezzata su campione così limitato. Terapia IPB iniziale Trattamento senza approccio farmacologico, né chirurgico, ma solo attraverso modificazioni dello stile di vita: - diminuzione dell’introito di liquidi soprattutto prima di coricarsi - moderata assunzione di alcolici e caffeina - orinazione ad intervalli definiti 174 IPB moderata o severa Terapia medica con: - anti- androgenici: inibitori della 5α redattasi, come il finasteride. Inducono sostanziale decremento di volume della prostata e del grado di ostruzione. - α-litici che diminuiscono il tono muscolare prostatico, inibendo i recettori adrenergici. IPB resistente alla terapia medica Trattamento chirurgico: - resezione transuretrale della prostata (TURP): sie ntra con un endoscopio e si raschia una parte dell’uretra ipertrofica per permettere il defluire dell’urina. È efficace nell’aumentare il flusso e diminuire il valore di residuo post-minzionale Adenocarcinoma prostatico È la più comune forma di candro nei maschi dei paesi occidentali e la seconda causa di morte per neoplasia. Incidenza 1 americano/europeo su 6 nel corso della vita sviluppa un cancro alla prostata. Ogni 3 minuti viene diagnosticato un nuovo cancro alla prostata. Il rischio di sviluppare un focolaio microscopico (che dunque non è visibile né all’esploarazione rettale, né con metodi ecografici) nel corso della vita è del 16%. Il rischio di sviluppare un carcinoma prostatico metastatico potenzialmente letale è del 3-4%. A dispetto dell’elevatissima incidenza la mortalità per carcinoma prostatico è mediamente molto inferiore a quella di altri tumori epiteliali (es. carcinoma della mammella). Fattori di rischio Accertati: 1. età: è il fattore di rischio prevalente. Con il crescere dell’età aumenta esponenzialmente il rischio di carcinoma prostatico. Questo è correlato, come si vedrà più avanti, all’aumento dei casi di ipertrofia prostatica benigna. 2. familiarità: Vi sono casi di tumori prostatici correlati alla eredità della linea germinale di alcuni geni di suscettibilità del cancro prostatico. Questi sono i casi più aggressivi che incorrono in età più giovane. L’evidenza di una certa familiarità di questa patologia è stata dimostrata da alcuni studi epidemiologici che vedono: 175 - 10% dei pz con carcinoma prostatico con un parente di primo grado affetto - uomini con un parente di primo grado affetto da neoplasia prostatica hanno rischio raddoppiato - se i parenti sono due il rischio è aumentato di cinque volte 3. razza etnica: gli Afroamericani hanno incidenza e mortalità in assoluto maggiori, i Caucasici hanno incidenza e mortalità media, Gli Asiatici hanno incidenza e mortalità in assoluto minori. Questa distribuzione etnica è dovuta al ruolo fondamentale degli androgeni nel mantenimento dell’epitelio prostatico e dunque al ruolo fondamentale degli androgeni come fattore permissivo del tumore prostatico. Infatti il gene AR codificante per il recettore nucleare degli androgeni è un gene polimorfo, con lunghezza variabile di triplette CAG ripetute. Studi hanno dimostrato che cellule con poche triplette ripetute di CAG presentano aumentata sensibilità agli androgeni. Infatti poche ripetizioni sono state riscontrate negli Afroamericani, i Caucasici hanno lunghezza intermedia, gli Asiatici hanno la lunghezza maggiore. Incerti: 1. Androgeni 2. Fattori dietetici Esclusi: 1. Alcool 2. Fumo 3. Attività sessuale Diagnosi I metodi diagnostici sono diversi: 1. esplorazione rettale: poiché la localizzazione della neoplasia è preferenzialmente periferica e posteriore un’accurata esplorazione rettale può evidenziare alcuni tumori allo stadio precoce, proprio grazie alla loro posizione posteriore anche se la metodica ha bassa specificità. 2. ecografia prostatica transrettale: anche questa metodica ha scarsa specificità e sensibilità dunque viene utilizzata soprattutto durante l’esecuzione della biopsia, appunto, ecoguidata. 3. ricerca dell’antigene prostatico specifico (PSA): è attualmente utilizzata come metodica prevalente di screening e di diagnosi del carcinoma prostatico. Il PSA è un prodotto dell’epitelio prostatico, normalmente secreto con il liquido seminale e con funzione lubrificante dei coaguli seminali che si formano a seguito dell’eiaculazione. Nel soggetto normale un’esigua quantità di PSA circola nel sangue. Alti livelli di PSA (> 4 ng/ml) sono sempre presenti in caso di tumore prostatico. Dunque un livello di PSA: - minore di 4: situazione normale - fra 4 e 10: possibile situazione neoplastica - maggiore di 10: fortemente predittivo di neoplasia. 176 Non si tratta però di un marcatore tumore-specifico; elevati livelli di PSA, sebbene minori, si riscontrano anche nell’ipertrofia prostatica, nella prostatite, nella manipolazione strumentale, nell’eiaculazione. Poiché la valutazione del PSA costituisce test di screening per le neoplasie, sono state messe a punto miglioramenti nella valutazione del PSA. a. valutazione della densità del PSA: rapporto tra il valore del PSA ed il volume della ghiandola prostatica, che riflette la produzione di PSA per g. di volume prostatico. Il valore massimo stabilito è 0,15. b. Curva di variazione del PSA nel tempo: pz con tumore alla prostata mostrano un aumento dei valori di PSA nel tempo rispetto ai pz normali: è una valutazione che si fa su di un periodo di almeno 18/24 mesi, data la forte variabilità a breve termine delle misure di PSA. c. Rapporto tra PSA free e PSA legato nel sangue: il PSA esiste in due forme. • Frazione maggiore: legata all’ alfa- chemotripsina • Frazione minore: libera Il valore del rapporto PSA free/ PSA totale è più basso negli uomini con carcinoma prostatico rispetto alle patologie benigne. Un valore di PSA < 15% è fortemente predittivo del tumore. Lo screening della PSA ha sicuramente rivoluzionato la diagnosi e la clinica del carcinoma prostatico, ma possiede i suoi pro ed i suoi contro. Pro: a. aumento esponenziale del numero di casi diagnosticati b. diagnosi e trattamento precoce in pazienti sempre più giovani c. oggi la maggior parte dei tumori prostatici viene diagnosticata in stadio T1 dunque quando è ancora fortemente confinata alla prostata Contro: a. diagnosi di carcinomi prostatici che non si sarebbero mai resi clinicamente evidenti b. trattamento chirurgico di tumori con andamento biologico “indolente” c. a dispetto della grande quantità di tumori che ha messo in evidenza non è stata dimostrata una effettiva diminuzione della mortalità. Il difetto della PSA è proprio quello di non essere in grado di differenziare un tumore a decorso indolente che non potrebbe mai essere letale e che dunque non dovrebbe essere operato, da uno a decorso aggressivo che deve essere operato con urgenza. Inoltre nonostante ormai, dopo una fase di aumento esponenziale del numero di tumori diagnosticati, tutti gli individui con sospetto tumore prostatico siano stati diagnosticati grazie allo screening con PSA, non si è avuto nessun miglioramento dimostrabile dal punto di vista della mortalità. Dunque sebbene il PSA non sia il golden standard per la diagnosi di cancro, in questo momento non esistono test più specifici e di facile utilizzazione. 4. mapping bioptici: vengono eseguiti mediante sonda ecografia transrettale, dunque introduzione dell’ago a partire dal retto; l’ago perfora tangenzialmente la capsula prostatica in diversi punti a partire dalla sua parte posteriore. Può 177 essere eseguita in modo casuale o in modo guidato dall’ecografia, su zone sospette, poco riflettenti gli echi degli ultrasuoni. In ogni caso per essere più sicuri di trovare il tessuto neoplastico, il numero delle biopsie deve essere molto alto: si fanno almeno 10-12 biopsie, fino a 20-22 in pazienti molto a rischio, finchè non si ritrova il tumore. Eziologia L’eziologia e la storia naturale di questo tumore sono state molto studiate, proprio per la diffusione di questo tumore, che ha fatto sì che colpisse anche persone note ed importanti, e che ha reso possibile un notevole versamento di fondi per il suo studio. Si è cercata una correlazione fra: - evoluzione morfologica del cancro della prostata - evoluzione delle alterazioni genetiche - evoluzione delle lesioni istologiche microscopiche (grading) Evoluzione morfologica La storia del cancro della prostata solitamente vede le seguenti tappe: 1. prostata normale con epitelio strutturato e sano 2. ipertrofia prostatica: come già visto è una condizione parafisologica che colpisce un numero davvero molto alto di uomini. L’epitelio prostatico nell’ipertrofia si mantiene normalmente costituito da due strati, quello staminale (basale) e quello secernente. La prostatite è inoltre una condizione predisponente al verificarsi di infezioni vescicali (cistite) che possono facilmente estendersi alla prostata. 3. prostatite: molto presente nell’anziano a seguito dell’ipertrofia prostatica, ma anche nel giovane. È caratterizzata da un’infiltrato leucocitario a carico della prostata, con frequente edema della medesima, associato ad aree di necrosi. Le prostatiti sono difficilmente curabili con antibiotici e facilmente cronicizzano, poiché la maggior parte degli antibiotici penetra con difficoltà nella prostata che dunque viene a costituire un “rifugio” per i batteri. La prostatite è un fattore favorente lo sviluppo del cancro anche se non vi è implicato direttamente, poiché è causa di lesioni prostatiche e dunque di una reazione di difesa della prostata con proliferazione compensatoria dello strato basale dell’epitelio. La proliferazione costituisce un fattore predisponente la trasformazione neoplastica 4. PIN (neoplasia intraepiteliale prostatica ad alto grado): lesioni focali considerate precursori del carcinoma. Sono caratterizzate da ghiandole dilatate benigne, le cui cellule, tutte uguali fra loro, mostrano evidenti atipie citologiche. Le cellule possiedono già le alterazioni genetiche tipiche della neoplasia. Inoltre le lesioni focali tipiche della PIN, compaiono proprio nella zona periferica esterna della prostata (come il tumore), e sono sempre presenti in caso di cancro, a lato del medesimo. Tutte queste caratteristiche correlano la PIN al tumore invasivo maligno. Tuttavia le cellule della PIN, sebbene siano con ogni probabilità precursori del carcinoma, non sono ancora cellule carcinomatose, 178 poiché le ghiandole hanno membrana basale ben definita, il che dimostra che la lesione non si è diffusa, non si è infiltrata. Finchè la lesione è limitata dalla mbr basale, non si tratta di iperplasia maligna. La Pin costituisce dunque un campanello d’allarme, una lesione pre-carcinomatosa che ci invita al monitoraggio attento del pz; dopo dagnosi di PIN infatti nel 35% dei casi al nuovo mapping si ha cancro. 5. Carcinoma prostatico: classicamente interessa la porzione periferico-posteriore della prostata, rendendosi spesso palpabile all’esplorazione rettale come un tessuto duro e nodoso. Le ghiandole neoplastiche sono tipicamente più piccole del normale e viene persa l’istologia a due strati delle cellule epiteliali; le ghiandole sono infatti ricoperte da una singola lamina di cellule cuboidi o cilindriche. La membrana basale è assente poiché è stata diffusamente infiltrata. Le ghiandole sono affollate di cellule che presentano atipie marcate come i nucleoli che sono tipicamente molto grandi. Le figure mitotiche in questo tipo di cancro sono molto scarse e questo lo rende resistente alla terapia chemioterapia che utilizza tipicamente farmaci citostatici. La scarsità della proliferazione mitotica spiega anche la scarsità di necrosi, poichè la proliferazione non supera mai la capacità di vascolarizzazione del tumore. 6. Metastasi del carcinoma prostatico: la diffusione colpisce soprattutto le ossa. Questo poiché la PSA ha elevata affinità per le guaine mieliniche e dunque le cellule neoplastiche tendono a risalire i nervi all’interno della prostata, che fanno parte della cauda equina, per giungere fino alle ossa, in particolare alle vertebre lombari, al femore prossimale, alla pelvi ossea, alle vertebre toraciche, alle coste. Le metastasi ossee coinvolgono tipicamente gli osteoblasti. La metastatizzazione ossea in fase avanzata si manifesta con erosione delle vertebre. Vi può essere anche metastatizzazione per via linfatica ai linfonodi. Evoluzione delle alterazioni genetiche 1. epitelio prostatico normale 2. Fattore iniziante: perdita di alcuni geni (es. ELAC2), i cui prodotti sono correlati alla detossificazione dei radicali liberi e dunque alla pulizia delle ghiandole prostatiche. Questo sarebbe il fattore iniziante i quanto i radicali liberi inducono lesione e dunque proliferazione cellulare. Dunque un’iniziazione del tumore si avrebbe in caso di prostatite associata a peridta di questi geni. 3. Fattori promuoventi: ulteriori mutazioni o perdita di geni coinvolti nella proliferazione cellulare. Per esempio la perdita e la metilazione di p27 o l’ipermetilazione di GSTP1, gene promotore della glutatione transferrasi, che ne blocca l’espressione. Questo gene è un punto importante nelle vie di segnalazione che prevengono il danno al genoma cellulare. 4. Mano a mano che il tumore evolve verso la malignità, si perde la regolazione della proliferazione per perdita di geni sempre più importanti, come PTEN e p53. 5. Si arriva ad un certo punto in cui la cellula non è più dipendente per la sua crescita dal DTH. È la fase dell’ormono-indipendenza, dove la crescita cellulare è del tutto incontrollata e smettono di essere efficaci i farmaci anti-androgeni. A questo punto si devono utilizzare chemioterapici, che sono molto meno efficaci data la scarsa attività fitogena del tumore. 179 Grading del tumore Si utlizza la gradazione di Gleason, che divide il tumore sulla base del profilo strutturale architettonico in 5 gradi. Grado 1: tumore ben differenziato. Ghiandole neoplastiche di aspetto uniforme e tondeggiate, piccole, regolari, vicine tra loro, circoscritte in noduli ben definiti. Grado 2 Grado 3 Grado 4 Grado 5: non c’è più alcuna differenziazione ghiandolare, il tumore è completamente indifferenziato. Le cellule neoplastiche infiltrano lo stroma sotto forma di cordoni, lamine, nidi, di aspetto solido. Dunque si va dal tumore più differenziato e con maggiore conservazione della struttura ghiandolare, al più indifferenziato, con perdita completa della struttura ghiandolare. La valutazione come visto è semi quantitativa e si basa su criteri architettonici difficilmente quantizzabili. La maggior parte dei tumori non presenta solo un quadro ghiandolare. Presenza di due quadri ghiandolari: si somma il grado dominante a quello sottodominante. Presenza di tre quadri ghiandolari: si somma il quadro dominante al più alto dei due gradi sottodominanti. Attraverso la somma dei gradi più rappresentati si ottiene lo score di gleason, che va da 2 (tumori molto ben differenziati, 1+1) a 10 (i tumori più anaplastici 5+5). Lo score di gleason è uno dei migliori indicatori per una prognosi predittiva. Pz con score di Gleason: - 1-3: hanno prognosi molto buona 4-7: hanno una prognosi decisamente peggiore 8-10: pz che non vale neppure la pena di trattare chirurgicamente, tanto la rognosi è comunque infausta Stadiazione del tumore T1: tumore limitato dalla capsula prostatica. Presente tutto da uno stesso lato della prostata. T2: tumore limitato dalla capsula prostatica. Presenta da entrambi i lati della prostata. T3a: invasione extraprostatica senza vescichette seminali T3b: invasione extraprostatica con vescichette seminali T4: invasione diretta di organi contigui. 180 Inoltre viene valutata la presenza o l’assenza di metastasi linfonodale (N0/N1), poichè può sempre associarsi ad un decorso fatale. La grande differenza prognostica qui si ha tra gli stadi: - T1 e T2 (limitati alla prostata): se il tumore viene eliminato il paziente può guarire completamente senza andare incontro ad ulteriori recidive. - T3 (a e b) e T4 ( che hanno attraversato la capsula e si ritrovano anche al di fuori della prostata): anche se il tumore viene eliminato completamente, non si può mai dire che si tratti di guarigione completa. Da questa serie di valutazioni vengono fuori sostanzialmente due differenti tipi di tumore: 1) tumore che colpisce prevalentemente soggetti giovani: è legato ad una familiarità, molto aggressivo, con elevato score di Gleason ed elevato stadio (T3 o T4). Va operato con urgenza. 2) Tumore che colpisce prevalentemente soggetti anziani: frequentemente non legato a familiarità, ma ad età, si instaura di solito su precedente ipertrofia prostatica, basso score di Gleason, e basso stadio (T1 o T2). Può non necessitare di terapia chirurgica, poiché con decorso indolente. Tuttavia lo screning con la PSA non è in grado di fare una differenziazione fra queste due forme, e sebbene grading e screening siano indicatori utili non possono dirci quali tumori siano da trattare e quali no. Oggi dunque si tende a trattare aggressivamente tutti i tumori. Terapia 1. terapia chirurgica 2. terapia ormonale: si utilizza nei casi di pz non operabili chirurgicamente. Ha effetti molto forti sul tumore e lo può portare a regressione completa, prima che il tumore arrivi allo stadio di ormono-indipendenza, nel quale essa non ha più alcun tipo di utilizzo. È basata sul blocco della stimolazione androgenica da parte del DTH che permette la sopravvivenza delle cellule epiteliali., Si utilizzano tre tipi di bloccanti: - bloccanti della 5 alfa redattasi - bloccanti del recettore: impediscono la dimerizzazione del recettore - bloccanti del recettore GNRH: agiscono a feedback sull’ipotalamo. Il blocco completo si ottiene solo attraverso l’utilizzo contemporaneo dei tre bloccanti, che tuttavia è sconsigliato perché facilita lo sviluppo di ormono indipendenza tumorale. Dunque solitamente si utilizzano blocchi di uno-due farmaci alla volta a cicli intervallati. Questi farmaci ed in particolare i bloccanti della 5 alfa redattasi. (finasteride), vengono utilizzati anche nell’ipertrofia prostatica. Accade molto spesso che l’utilizzo di questi farmaci come cura dell’ipertrofia prostatica diminuisca i livelli di PSA plasmatici, provocando molti falsi negativi allo screening. Inoltre successivamente all’utilizzo di questi farmaci è assolutamente impossibile fare un grading fedele, poiché essi, inducendo forte apoprtosi delle cellule epiteliali 181 creano un’immagine morfologica altamente indifferenziata, che sembra di grado 5°, ma che non lo è. Questa terapia conferisce comunque una capacità di sopravvivenza molto lunga, di almeno 10 anni. 3. Radioterapia: si utilizza in pz con cancro della prostata a presunta bassa malignità, poiché la prostatectomia completa è altamente invalidante (impotenza e molto spesso disuria). Consiste nel posizionamento di semi radioattivi nella ghiandola prostatica e comporta: - regressione, talora totale - tessuti normali che mostrano atipie marcate, per le radiazioni 182 Patologia della mammella maschile GENERALITA’ La mammella maschile consiste in un capezzolo e in un rudimentale sistema duttale che si conclude in gemme terminali prive di formazioni tubulari. Ginecomastia Consiste in un ingrossamento della mammella maschile che può essere monolaterale o bilaterale. Si presenta come un ingrandimento sottoareolare simile a un bottone o, addirittura, può simulare una mammella femminile adolescente. L’unica DD possibile è quella dal raro carcinoma della mammella ma non è un fattore di rischio per la patologia neoplastica! La ginecomastia è un segnale di ipersetrinismo che può essere segno di: • Cirrosi epatica • Tumore testicolare funzionante Morfologia Si osserva una proliferazione di un denso tessuto connettivo collageno e un’iperplasia micropapillare dell’epitelio dei dotti. Rara formazione di lobuli. Carcinoma Si manifesta con un rapporto inferiore all’ 1:100 rispetto alle donne e con una percentuale di insorgenza nella vita di un uomo dello 0,11% contro il 13% della donna. I fattori di rischio sono gli stessi che nella donna: • episodi all’interno della propria famiglia • ridotta funzione testicolare ed epatica con sovraesposizione agli estrogeni • età • infertilità e obesità I fattori prognostici e l’istopatologia sono gli stessi della patologia femminile, spicca unicamente un’aumentata espressione dei recettori per gli estrogeni. La secrezione dal capezzolo è un sintomo distintivo! 183 Neoplasie della vulva, vagina e cervice uterina Cervice uterina La cervice uterina si divide in due porzioni: • Endocervice: rivestita da un epitelio cilindrico semplice • Esocervice: rivestita da un epitelio squamoso non cheratinizzato Il punto di passaggio tra queste due tipologie di epiteli prende il nome di giunzione squamocolonnare ed è una zona molto importante perché è la sede di partenza della cancerogenesi che colpisce la cervice. Nonostante il carcinoma cervicale rappresenti il 5% delle cause di morte per tumore nelle donne negli ultimi anni si è verificato una diminuzione della mortalità nonostante il mantenimento dell’incidenza per merito della diagnosi precoce che si effettua col PAP Test. >> Questo esame consiste nel raschiamento delle cell dello strato superficiale dell’epitelio cervicale con conseguente analisi citologica. Citologia Le cellule dello strato basale (germinale) dell’epitelio sono giovani e ancora all’inizio del processo maturativi: poggiano su una membrana basale e sono le cell “staminali dell’epitelio, che servono al turnover dell’epitelio medesimo. Man mano che si sale agli strati superiori, le cell mature modificano le loro caratteristiche citologiche portando a termine l’iter maturativo. Il ricambio completo avviene in circa 20-30 giorni. All’esame microscopico le tappe della maturazione sono principalmente 3: ¾ Cell dello strato basale (immature): Rapporto nucleo/citoplasma a favore del nucleo.Abbondanza di figure mitotiche. Abbondante nucleo e citoplasma rosa per ingente presenza di organelli. ¾ Cell degli strati intermedi (maturazione): Aumenta il citoplasma che diventa più chiaro per la perdita di alcuni orfanelli, mentre i nuclei si fanno progressivamente più coartati. ¾ Cell dello strato superficiale (mature): Si evidenziano cell con citoplasma molto chiaro e nuclei picnotici, in questo strato le cell vanno apoptosi per lasciare posto alle cell degli strati sottostanti in maturazione. PAP Test Il PAP test è un’analisi molto utile ed utilizzata perché consente la valutazione di un numero molto ampio di donne coniugando un basso costo con una grande efficacia. Sfrutta la semplicità della cervice che deriva dal fatto di essere: - formata da due epiteli differenti - comunicante con l’esterno 184 Come detto in precedenza il PAP Test consiste nel prelievo mediante raschiamento dello strato superficiale dell’epitelio cervicale e, mediante striscio su vetrino del campione ottenuto, si analizza se la pz presenta cell con morfologie potenzialmente pericolose. Il test è utile perché mira all’analisi di cell che, in un soggetto normale, dovrebbero risultare mature provenendo esse dallo strato superficiale: dunque le cellule asportate dovrebbero apparire con citoplasma otticamente vuoto e con piccolo nucleo. In alternativa si possono asportare: - cellule non completamente mature circondate da granulociti e spesso da sangue. In questo caso è probabile che si tratti di donne con un disturbo della proliferazione che non viene ad essere necessariamente neoplastico. Per esempio si tratta spesso di situazioni infiammatorie, che causano iperplasia compensatoria, come un’ulcera. - Cellule con caratteristiche morfologiche molto lontane dalle cellule apoptotiche, ma anche dalle cellule dello strato basale: si tratta solitamente di cellule formate pressoché esclusivamente da nucleo ed abnormi. In questo caso le cellule vengono denominate dal citologo come carcinomatose. Se, infatti, si trovano cell dall’aspetto prevalentemente immaturo in questo campione il rischio di una patologia neoplastica è molto probabile. Il PAP Test può presentare tre principali esiti: ¾ Cell mature: completa normalità del campione ¾ Cell giovani con cell grandi 1/3 che risultano essere eosinofili: in questo caso si riscontra sicuramente un problema di proliferazione dovuto, probabilmente, a un ulcera che spinge alla proliferazione per riparare il danno. ¾ Cell abnormi con nucleo enorme: queste cell differiscono sia dalle cell mature che da quelle basali e fanno propendere per una diagnosi di neoplasia. I passaggi che portano alla trasformazione neoplastica sono i seguenti: 1. 2. 3. 4. epitelio colonnare normale metaplasia (tutti gli epiteli colonnari vanno facilmente incontro a metaplasma alterazione dell’equilibrio dell’epitelio intervento di fattori trasformanti inizianti (prevalentemente infezione da papillomavirus) e fattori cotrasformanti. 5. iniziazione e proliferazione neoplastica all’interno dell’epitelio Patogenesi Si è osservato che, nella maggioranza dei casi, la neoplasia cervicale è associata all’infezione da HPV (95%). I sierotipi più pericolosi per questo tipo di patologia sono il 16 e il 18.Il genotipo virale può essere identificato mediante PCR: dunque una donna affetta da papillomavirus deve essere caratterizzata anche da un punto di vista molecolare. Nel 2000 è uscita una ricerca su Science con la proposta di sottoporre a resezione chirurgica della cervice tutte le donne portatrici di HPV 16 e 18 a testimoniare la reale correlazione tra l’infezione virale e lo sviluppo di carcinoma. 185 Il virus esplica la sua funzione oncogena interferendo con la funzione di p53 tramite i geni virali E6 ed E7. Molto spesso le cellule infettate da HPV hanno segni distintivi all’esame citologico: si tratta di cellule con ampio citoplasma otticamente vuoto e cromatina addensata e granulomatosa, dette coilociti. Altri genotipi di HPV sono responsabili anche di una patologia benigna a trasmissione sessuale denominata condiloma acuminato della vulva (sono lesioni piatte o arborescenti che possono interessare anche vagina, perineo, spazio perianale). Nelle cell di questa patologia il genoma virale si riscontra in forma epitomale mentre nella neoplasia è integrato col genoma cellulare. Neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) Nella giunzione squamocellulare l’epitelio può andare incontro a metaplasia squamosa e, nel caso entri in contatto con altri fattori costraformanti, può dare origine alla neoplasia. Nella CIN si evidenzia sempre la presenza di HPV e lo si fa con due metodi: • PCR con amplificazione del genoma virale e poi elettroforesi • Ibridazione con sonde marcate sul campione patologico stesso (in situ) Inizialmente viene fatto un esame di diagnostica citologica: questo ci dà l’impressione di quella che è la popolazione di cellule e permette di dire se sono presenti o meno cellule neoplastiche, ma non apporta nessun contributo al concetto di grado del tumore. Può valutare i caratteri di atipica delle singole cellule, ma non consente la valutazione della displasia, che è un concetto citologico ed istologico. La valutazione della displasia richiede infatti la valutazione della cellula e del rapporto delle varie cell fra di loro, dunque richiede un’analisi del tessuto, un esame istologico. All’inizio si evidenziano le lesioni intraepiteliale squamose ma, non potendo fare una stima precisa del grado di displasia, si cerca una classificazione generale che tenga conto di alcuni elementi. Gli esiti possibili sono 4: • La cervice si presenta negativa alla presenza di cell trasformate. • Presenza di granulociti polimorfonucleati, leucociti ed emazie e cellule dello strato basale che denotano una flogosi Infatti anche una minima alterazione infiammatoria denota alterazione nello sviluppo delle cellule. • Cell irregolari atipiche coerenti con infezione da HPV (SIL di basso grado). SIL=lesione epiteliale squamosa) • Cell neoplastiche con eventuali cell infettate da HPV (SIL di elevato grado) Nel caso sia stata evidenziata una SIL di basso o di elevato grado si procede ad un secondo step che consiste nella biopsia, con successivo esame istologico; in questa maniera viene valutato un tessuto orientato che permette di valutare il reale grado di displasia e la reale presenza di tumore. All’esame istologico si evidenzia un CIN che può essere classificato in tre differenti tipi: • CIN1: alterazioni del rapporto nucleo/citoplasma e delle cellule limitate al terzo inferiore. Displasia lieve. Corrisponde ad un SIN di basso grado 186 • • CIN2: alterazioni molto più marcate delle cellule che interessano i due terzi inferiore. Displasia moderata. Corrisponde ad un SIN di grado elevato e le cellule sono chiamate carcinomatose. CIN3: alterazioni abnormi delle cellule che interessano tutto lo spessore epiteliale. Inoltre nell’epitelio neoplastico compaiono spesso troppe mitosi. Diaplasia severa. Corrisponde ad un SIN di grado elevato e le cellule sono chiamate carcinomatose. Solitamente il problema risiede nella diagnosi delle lesioni precoci che non si riescono rilevare ad occhio nudo. Viene dunque utilizzato uno strumento, detto colposcopio che consente di vedere la cervice ingrandita di venti volte. All’esame con il colposcopio la cervice appare con una forma simile ad una ciambella, con un buco centrale, l’orifizio uterino esterno, che corrisponde alla giunzione squamocolonnare. Con l’esame effettuato col colposcopio, la rilevazione di zone di trasformazione atipica è molto più facile. Si possono vedere: - aree atipiche che divengono bianche dopo spennellatura della cervice medesima con l’acido acetico (acetowhite epithelium). - Vasi atipici: ogni qual volta si rileva la presenza di vasi atipici si tratta di una lesione iperplastica o neoplastica con conseguente aumento notevole del numero delle cellule. L’esame al colposcopio permette dunque di rilevare le zone atipiche e di effettuare una biopsia mirata, non massiva, dell’epitelio dell’utero. Carcinoma a cellule squamose Si presenta dalla seconda decade di vita fino alla vecchiaia, il picco di incidenza è trai 40 e 45 anni, mentre le prime lesioni precancerose si evidenziano intorno ai 30 anni. Morfologia Questa patologia si presenta nei tre caratteristici quadri: ¾ Fungoide (più frequente) ¾ Ulcerato ¾ Infiltrante Il cancro è molto aggressivo ed invade le strutture circostanti fino a raggiungere peritoneo, retto, vagina, vescica, ureteri e linfonodi locali dando metastasi a fegato, polmoni e midollo osseo. Le cell sono molto grandi e presentano tre varianti: ¾ Cheratinizzanti ¾ Non-Cheratinizzanti ¾ Squamose (sottogruppo poco frequente) 187 Il 10-25% di neoplasie della cervice è costituito da altre forme di origine ghiandolare come gli adenocarcinomi e i carcinomi adenosquamosi che presentano caratteri misti e hanno prognosi più severa. Stadiazione Stadio 0: Carcinoma in situ (CIN III) Stadio I: Ia: carcinoma preclinico (diagnosi microscopica) Ia1: carcinoma microinvasivo (invasione stromale non oltre i 3mm) Ia2: massima invasione trai 5 e i 7mm Ib: carcinoma invasivo ristretto alla cervice e maggiore di Ia2 Stadio II: Carcinoma esteso oltre la cervice ma non alla parete pelvica, interessa i 2/3 superiori della vagina. Stadio III: Esteso alla parete pelvica, invade tutta cavità pelvica e quindi tutta la vagina. Stadio IV: Esteso oltre la pelvi alle mucose di vescica e retto. Presenza di metastasi. Clinica e Trattamento Prevenzione, controllo e risoluzione delle patologie neoplastiche della cervice si esplicano secondo uno schema preciso: ¾ Screening (PAP Test) ¾ Test per l’HPV ¾ Diagnosi istologica ¾ Rimozione lesioni precancerose ¾ Rimozione chirurgica dei tumori invasivi ¾ Radio e Che mio ¾ Vaccini contro HPV (?? Ancora in fase di studio??) La patologia evolve lentamente perciò è opportuna la reiterazione a intervalli regolari del PAP Test. Non tutte le atipie evidenziate nell’esame citologico sono preludio di cancro perciò in certi casi è opportuna un’ulteriore indagine mediante colposcopia. Vulva Condiloma acuminato Le alterazioni vulvare a crescita benigna o simil-verrucoide si presentano in tre forme: • Condiloma acuminato • Polipi mucosi • Condiloma lato luetico 188 Il condiloma è una lesione squamosa indotta dal papilloma, è una forma tumorale benigna a trasmissione sessuale. Possono essere solitari ma sono frequentemente multipli e coinvolgono la vulva, il perineo e la zona perianale ma possono estendersi anche alla cervice. Morfologia Il condiloma è una proliferazione arborescente di epitelio squamoso stratificato sorretto da uno stroma fibroso. Le cell presentano atipia nucleare con vacuolizzazione perinucleari (coilocitosi) I condilomi hanno come agente eziologico l’HPV, specie sierotipi 6 e 11, che matura negli strati dell’epitelio ed è responsabile della caratteristica coilocitosi. A eccezione dei pz immunocompromessi i condilomi spesso regrediscono e non sono considerati lesioni precancerose. Carcinoma e neoplasia intraepiteliale vulvare - Neoplasia maligna rara (rappresenta appena il 3% di tutti i tumori genitali femminili) I 2/3 di questi tumori riguardano donne che hanno passato la 6° decade di età L’85% di questi tumori sono carcinomi a cell squamose Il restante 15% sono carcinomi basocellulari, melanomi e adenocarcinomi Eziologia, patogenesi e manifestazione clinica Possiamo dividere la neoplasia intraepiteliale in 2 gruppi: Associato all’HPV Æ Spesso preceduta da neoplasia intraepiteliale vulvare (VIN) - Atipia delle cell epiteliali - Aumentata attività mitotica - Mancanza di differenziazione Æ Placche biancastre o pigmentate a livello vulvare Æ Aumento della frequenza in donne con più di 40 anni Æ Frequentemente multicentrica Æ 10-30% associata a neoplasia squamosa di vagina e cervice Æ 90% dei casi contiene il genoma di HPV (in particolare sierotipi 16 e 18) Æ Regressione spontanea nelle donne giovani Æ Aumento di progressione verso il cancro con l’ aumento dell’età e con quadri di immunodepressione 189 Associato a iperplasia delle cell squamose e a lichen scleroatrofico Æ Non associato ad HPV Æ Alcune alterazioni genetiche del lichen o dell’iperplasia possono causare invasione stromale Æ Altre alterazione possono portare a una VIN atipica definita VIN simplex (o differenziata) Æ Associati a un aumento dell’accumulo della p53 Morfologia • • • • Distinte lesioni color carne o pigmentate Lesioni lievemente rilevate che possono presentare ipercheratosi Lo sviluppo può essere esofitico o endofitico con possibili ulcerazioni Quelli del secondo gruppo possono svilupparsi nel contesto di una flogosi Manifestazioni cliniche • • • Fastidio locale Prurito Essudazione dovuta all’infezione Esame istologico I tumori associati ad HPV e a VIN presentano una modalità di crescita simil-epiteliale che può essere ben differenziata (verrucosa) o scarsamente differenziata (basalioide). I tumori HPV negativi presentano spesso crescita invasiva con forte cheratinizzazione. Evoluzione del tumore Il rischio di evoluzione in corso della VIN è in funzione dell’età, dell’estensione della neoplasia e dello stato immunitario. La diffusione metastatica è legata anch’essa alla dimensione della lesione e alla sua profondità contando anche il coinvolgimento dei linfatici. Le stazioni linfonodali colpite sono: - Inguinali - Pelvici - Iliaci - Periaortici Dalla disseminazione metastatica gli organi più colpiti sono: - Polmoni - Fegato - Altri organi Vi sono delle rare varianti del carcinoma squamocellulare non associate ad HPV: - Carcinomi verrucosi - Carcinomi basocellulari 190 Queste forme difficilmente metastatizzano e si trattano con ampia escissione chirurgica. Malattia di Paget extramammaria E’ una rara lesione vulvare o perianale simile nelle sue manifestazioni cutanee a quella propria della mammella. Caratteristiche: - Pruriginosa - Colore rosso e ben demarcata - Incrostata - A livello delle grandi labbra Può essere accompagnata da un ispessimento sottomucoso e da un tumore. Morfologia Le cell neoplastiche appaiono: Ampio citoplasma finemente granulato con presenza di mucopolisaccaridi Disposte in singolo strato o in ridotti gruppi all’interno dell’epidermide Distinguibili dalle cell epiteliali per presenza di un alone chiaro che le circonda Possono presentare differenziazione (autocrino, eccrino, cheratinocitico) Derivano da cell progenitrici primitive Le lesioni vulvare sono di solito limitate a: - Epidermide - Follicoli piliferi - Ghiandole sudoripare adiacenti Prognosi Æ La forma intraepidermica ha prognosi favorevole, può persistere decenni senza presentare caratteri invasivi. Æ La forma associata al carcinoma (rara) ha prognosi sfavorevole. Presenta recidive frequenti perché le cell di Paget possono estendersi oltre la lesione macroscopicamente visibile. Melanoma maligno E’ una patologia molto rara che presenta il 5% delle neoplasie vulvare e appena il 2% di tutti i melanomi nella donna. Il picco di incidenza è tra la 6° e la 7° decade. Le caratteristiche biologiche e istologiche sono quelle tipiche del melanoma. 191 Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è <32% per ritardi nella diagnosi e per la caratteristica di cominciare presto a crescere verticalmente. La mortalità è del 60% per le lesioni che superano in profondità l’invasione di 1mm! DD con malattia di Paget dato che macroscopicamente possono assomigliarsi: • Reattività ad anticorpi anti-S100 • Assenza di reattività ad anticorpi contro Ag carcinoembrionario • Mancanza di mucopolisaccaridi Vagina Neoplasia intraepiteliale e carcinoma squamocellulare Il carcinoma primitivo della vagina è molto raro, rappresenta l’1% dei tumori maligni dell’apparato genitale femminile e di questi il 95% sono carcinomi a cell squamose. La maggior parte è associata ad HPV! I fattori di rischio sono rappresentati dal pregresso carcinoma della cervice e della vulva. Morfologia In genere è localizzato nella vagina postero-superiore. Esordisce con un’area di ispessimento epiteliale associata a displasia delle cell epiteliali con progressione verso una massa simile ad una placca che invade cervice e strutture perivaginali. Le lesioni nei 2/3 inferiori metastatizzano ai linfonodi inguinali. Le lesioni superiori tendono a coinvolgere i linfonodi iliaci regionali. Questi tumori si rendono manifesti attraverso: • Sanguinamento irregolare • Leucorrea Alcune volte possono rimanere silenti o si manifestano con la sola insorgenza di fistole vescicali o rettali. 192 Neoplasie dell’utero Generalità L’utero è composto prevalentemente da muscolatura liscia, il miometrio che circonda la cavità endometriale. L’endometrio che riveste la cavità è una mucosa formata da ghiandole endometriali e da stroma. L’utero è una struttura ormono-dipendente sotto stimolo ormonale continuo. In particolare l’endometrio è sotto l’influsso di estrogeni e progesterone, sintetizzati dall’ovaio sotto controllo a sua volta di FSH e LH prodotti dall’adenoipofisi (asse ipotalamo-ipofisario). Le strutture regolate da estrogeni e progesterone sono utero, endometrio e mammella. L’endometrio è sottoposto ad un ciclo mensile, il ciclo mestruale, di periodico sfaldamento della metà superiore fino ai due terzi: il terzo basale, non risponde agli stimoli ovarici ed è quindi costantemente preservato. Il ciclo mestruale vede un’alternanza di due fasi di stimolazione: - fase estrogenica o proliferativa (14gg.): crescita estremamente rapida sia delle ghiandole sia dello stroma, sotto l’influsso degli estrogeni che hanno azione anabolizzante e che provocano aumento del numero delle cellule. Se il ciclo si accorcia o si allunga si hanno alterazioni della sola fase estrogenica. - fase progestinica o secretiva (14gg): le ghiandole endometriali, non proliferano più, ma cominciano la loro attività secretoria, divenendo mano a mano più ingrossate e tortuose, sotto lo stimolo del progesterone. Questa fase è sempre stabile e dura sempre 14 giorni. Se non si ha la fecondazione si ha diminuzione dell’imput estro-progestinico con conseguente sfaldamento della mucosa. Molte cancerogenesi sono ormono-dipendenti ed in particolare dipendono dall’estrogeno. Non è necessario avere nel siero alti livelli di estrogeno in assoluto, per i meccanismi di iniziazione del tumore basta solamente una prevalenza della fase estrogenica su quella progestinica. Situazioni di iperestrenismo assoluto (elevata concentrazione di estrogeni nel sangue): Sono situazioni molto rare che possono essere per esempio: ¾ tumori della teca ovarica ¾ patologie dell’ovaio: ovaio policistico. ¾ Cancro della mammella 193 Situazioni di iperestrenismo relativo (maggiore esposizione agli estrogeni, senza aumento in assoluto nel sangue dei livelli di estrogeni, ma solo con aumento degli stessi rispetto al progesterone): ¾ donna con cicli molto lunghi ( aumenta solo la fase estrogenica) ¾ menarca precoce e menopausa tardiva ¾ assenza di gravidanza ( nullipare): la gravidanza blocca l’asse ipotalamoipofisario, dunque blocca l’ovulazione ed il ciclo mestruale. ¾ Obesità: facilita la conversione di ormoni surrenalici, presenti anche nel tessuto adiposo, come l’amminostrenedione, in estrogeni. Questi ormoni infatti hanno un nucleo in comune a quello del colesterolo e degli ormoni sessuali. ¾ Diabete mellito: è un dismetabolismo glucidico, lipidico e protidico. L’iperestrenismo relativo non è di per sé una situazione già patologica, bensì una situazione parafisiologica che è importante conoscere per valutare quelli che sono i soggetti a rischio di situazioni pre-cancerose, e mettersi in grado di compiere una diagnosi precoce. Diagnosi Il principale sintomo di una patologia endometriale neoplastica o preneoplastica è il sanguinamento vaginale atipico, in post-menopausa o in fase intermestruale per esempio. Se si ha questa sintomatologia bisogna procedere a delle indagini diagnostiche. Ogni iter diagnostico deve partire dall’indagine meno cruenta a quella più cruenta. Nel caso dell’endometrio abbiamo in successione: 1. ecografia: può essere compiuta: • attraverso la parete addominale a vescica piena ( per rendere visibile l’utero) • per via transvaginale con una sonda che arriva vicino alll’utero Attraverso l’ecografia è visibile: • spessore: il massimo spessore fisiologico è 1-1,5 cm. (nella fase proliferativa). Tutte le situazioni in cui lo spessore viene ad essere maggiore di 1-1,5 cm. Sono da ritenersi anomale, atipiche. Chiaramente un aumentato spessore è da considerarsi a maggiore rischio nella postmenopausa, soprattutto se associato a perdite di sangue. 2. isteroscopia: si compie nella seguente maniera: • si penetra con una sonda • si dilata la parete dell’endometrio mediante introduzione di CO2 • si vede la mucosa endometriale • si rilevano le aree di maggiore spessore, eventualmente rilevate, con presenza di vascolarizzazione atipica • si fa prelievo mirato su queste aree 194 Vantaggi: • il prelievo è mirato • • • è dolorosa richiede tempo: il personale medico deve assistere a lungo tempo la pz è costosa (costo del tempo-uomo) Svantaggi: 3. curettage endometriale (raschiamento dell’endometrio): la pz è in leggera narcosi, dunque non è una procedura dolorosa, ed è di breve durata, ma il prelievo non è mirato, perché l’operatore non è in grado di vedere ciò che prelieva. È sempre diagnostica per lesioni di grandi dimensioni, ma può dare dei falsi negativi per lesioni di piccole dimensioni. Iperplasia È l’aumento numerico delle ghiandole endometriali principalmente rispetto allo stroma. Normalmente il rapporto fra stroma e ghiandola è 4:1: il mantenimento di un abbondante stroma è importante per l’impianto dell’uvolo. L’aumento delle ghiandole endometriali sullo stroma può essere: - lieve: si parla di iperplasia endometriale semplice - severa: si parla di iperplasia endometriale complessa. Può arrivare fino ad un rapporto ghiandola/stroma 1:1 o maggiore. L’iperplasia endometriale merita una speciale attenzione poiché può divenire una lesione pre-carcinomatosa: numerosi studi ne hanno confermato il ruolo potenzialmente maligno. Un’iperpasia dell’endometrio si associa sempre ad un aumento della rima endometriale, rilevabile mediante ecografia ed isteroscopia. Generalmente un’iperplasia endometriale si presenta localizzata come rilievi dell’utero e solo più raramente si manifesta in modo diffuso con a volte manifestazioni emorragiche. L’atipia citologica rappresenta però l’elemento morfologico fondamentale, che nel contesto di un iperplasia ghiandolare, conduce all’iniziazione ed alla trasformazione in senso neoplastico. Dunque l’atipia citologica in un quadro di iperplasia rappresenta il precursore morfologico del cancro. 195 Carcinomi dell’endometrio Il carcinoma dell’endometrio è il più comune cancro invasivo del tratto genitale femminile, responsabile del 7% di tutti i tm invasivi dell donne, se si escludono i tumori della cute. In passato era molto meno comune rispetto ai tumori della cervice uterina, ma l’individuazione precoce e l’eradicazione del CIN hanno invertito questo rapporto. Attualmente vi sono 34000 nuovi casi di cancro endometriale all’anno. I tumori endometriali colpiscono principalmente donne in post-menopausa con un picco fra i 55 ed i 65 anni, causando sanguinamento atipico e dunque consentendo una diagnosi precoce. Classificazione 1. adenocarcinoma endometrioide variante comune: • adenocarcinoma endometrioide con differenziazione squamosa varianti rare: • villoglandulare adencarcinoma • secretory adenocarcinoma • ciliated cells adenocarcinoma 2. 3. 4. 5. 6. 7. adencarcinoma sieroso adenocarcinoma a cellule chiare adenocarcinoma mucoso adenocarcinoma a cellule squamose adenocarcinoma di tipo misto carcinoma indifferenziato Adenocarcinoma endometrioide Rappresenta l’85% della casistica. Tende ad essere molto simile all’epitelio da cui deriva, mimando le normali ghiandole endometriali proliferanti (endometrioide). Al tumore endometriode viene applicato un sistema di gradazione in tre livelli che comprende 1. grado1→ ben differenziato: quadri ghiandolari facilmente riconoscibili 2. grado2→moderatamente differenziato: ghiandole ben formate frammiste ad aree solide di cellule maligne 3. grado3→ scarsamente differenziato: aree solide maligne con presenza di strutture ghiandolari a malapena riconoscibili ed un maggior grado di atipica nucleare e di attività mitotica. Il grado dell’adenocarcinoma endometrioide viene a corrispondere allo stadio in modo molto stretto. La stadiazione degli adenocarcinomi endometriali è la seguente: stadio I: carcinoma limitato al solo corpo dell’utero stadio II: carcinoma che interessa corpo e cervice 196 stadio III: carcinoma che si è esteso all’ esterno dell’utero, ma non al di fuori della pelvi stadio IV: carcinoma che si è esteso al di fuori della pelvi oppure ha coinvolto in modo evidente vescica o retto. La gradazione e la stadiazione sono importanti per impostare un ia terapia ed un intervento proporzionali alla gravità del tm. La variante più comune dell’adenocarcinoma endometrioide (20% degli stessi) è la presenza di focolai di differenziazione squamosa. Queste aree di tessuto squamoso, che può essere esso stesso neoplastico o meno, non cambiano in alcuna maniera la prognosi del tumore, basata solo sulla gradazione e sulla stadiazione. Questa differenziazione squamosa può essere presente ad ogni grado e stadio dell’adenocarcinoma endometrioide. Adenocarcinomi sierosi ed adenocarcinomi a cellule chiare Questi due istotipi, nella loro storia naturale mancano delle caratterizzazioni morfologiche della situazione pre-cancerosa e cioè di atipia cellulare ed iperplasia. Sono tumori molto poco differenziati, il che li assimila a carcinomi di grado III indipendentemente dal quadro istologico. Colpiscono soprattutto donne tra i 65 ed i 70 anni e sono tumori decisamente con prognosi peggiore rispetto agli adenocarcinomi endometrioidi: in generale la sopravvivenza a 3 anni dopo la diagnosi è minore del 50%e quella a 5 anni è minore del 35%. Carcinoma indifferenziato Le forme di carcinoma indifferenziato rappresentano lo stadio finale di tutti i tipi di tumoree vengono ad l’aspetto morfologico di un tumore che assomiglia molto alla cellula staminale di origine. Endometriosi Endometriosi è il termine ustao per indicare la presenza di ghiandole endometriali e di stroma in foci ectopiche, al di fuori dell’utero. Si osserva nelle seguenti sedi in ordine decrescente di frequenza: 1) parete dell’utero (miometrio). In questo caso si parla anche di adenomiosi. 2) Entrambe le ovaie 3) Legamenti uterini 4) Peritoneo pelvico 5) Ombelico, vagina, vulva 6) Vescica e colon 7) Mucosa delle fosse nasali e del laringe 197 Si tratta di una patologia dell’età pre- menopausale che comincia dal post-menarca e si conclude con la menopausa e colpisce circa il 10% delle donne. I focolai ectopici di endometrio rispondono alla stimolazione ciclica ormonale, con conseguente sfaldamento dell’endometrio durante il ciclo mestruale. Quseto dà luogo a micro-emorragie locali che evocano una reazione infiammatoria ed una risposta di riparazione., con conseguente formazione di coaguli e di zone fibrotiche, a volte obliteranti. I segni clinici prevedono la presenza di forte dolore, grave dismenorrea, e spesso questa patologia porta alla sterilità abbastanza velocemente. L’intenso dolore in sede ectopica rispetto all’endometrio, può rendere particolarmente diffcile una diagnosi corretta, fuorviandola. La localizzazione dell’endometriosi nella parete del colon (endometriosi colica) non è molto frequente. Nei casi in cui sia presente essa si manifesta però in stadi molto avanzati, con una localizzazione prevalente nella parte più esterna della parete colica e nel tessuto adiposo esocolico, ma anche eventualmente a livello della regione mucosa o sottomucosa. Quando è presente nella mucosa o sottomucosa viene a formare lesioni rilevete della parete colica, che possono mimare la patologia neoplastica e indirizzano spesso la diagnosi in direzione sbagliata. In genere risulta diagnostica in questi casi una diagnosi di imaging che consente di localizzare il focolaio endometrico ectopico. Se la patologia è localizzata sarà possibile compiere un intervento di resezione del focolaio ectopico, mentre nel caso di endometriosi cronica o prolungata, l’unica terapia possibile risulta il blocco degli estrogeni. Leiomiomi Vengono denominati leiomiomi tutti i tumori a differenziazione muscolare liscia ed a morfologia benigna. In questo caso si parla dei leiomiomi uterini o fibromi, che rappresentano probabilmente il più comune tumore umano. Possono essere presenti in circa il 75% delle donne colpendo tutte le fasce d’età ma preferenzialmente le donne tra i 40 ed i 45 anni. Morfologia Sono lesioni nodulari che possono essere masse singole o multiple Hanno dimensioni che vanno da 1 a 25 cm. Sono tumori ben circoscritti, demarcati, rotondi, di consistenza dura, grigia bianchi, che solitamente si rinvengono nel contesto del miometrio del corpo. All’esame istologico sono composti da fasci muscolari lisci, intrecciati che assomigliano notevolmente al circostante miometrio non coinvolto. 198 I leiomiomi dell’utero, anche quando sono molto estesi, possono essere asintomatici, I sintomi più importanti sono sanguinamento atipico, compressione della vescica, dolore dovute ad eventuale ischemia compressiva, compromissione della fertilità. Diagnosi La diagnosi è agevole. I leiomiomi sono infatti avvertibili anche per semplice palpazione, come massa che deforma la morfologia del corpo uterino. La diagnosi definitiva si fa con l’ecografia che permette di vedere - forma - dimensioni - localizzazione - molteplicità L’individuazione di questi parametri è piuttosto importante, perché determina anche il rischio di sterilità che il liomioma implica per ostacolamento del passaggio degli spermatozoi e difficoltà nell’annidamento dell’uovo. Terapia La terapia consiste nell’asportazione delle lesioni, che fino a pochi anni fa avveniva per asportazione diretta dell’intero utero, ma che oggi avviene per asportazione laparoscopica mirata. Leiomiosarcomi Sono rare neoplasie maligne che compaiono ex novo direttamente dal miometrio oppure dallo stroma endometriale che va incontro a differenziazione muscolare liscia. Vanno da forme ben differenziate fino a lesioni del tutto aplastiche, con accrescimento selvaggio. Sono capaci di dare metastasi anche dopo 5 anni prevalentemente a polmoni, encefalo e tessuto osseo. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è circa del 40%. Morfologia Si presentano come una massa solida indolente; a un secondo esame si osservano voluminose masse carnose che invadono la parete o masse polipoidi che protrudono nel lume uterino. Le cell sono fusiformi e si dispongono in fascicoli intrecciati. Tipici sono i nuclei “a sigaro”. Fra leiomiomi e leiomiosarcomi vi sono una serie di leiomiomi atipici, che possono essere suddivisi all’esame cito-istologico in probabilmente benigni o probabilmente maligni. 199 Criteri di diagnosi differenziale tra leiomiomi e leiomiosarcomi Età Margini della lesione Dimensioni Multiplicità Necrosi Emorragie Alto indice mitotico Atipica citologica Trombosi vascolare (cellule neoplastiche nei capillari ematici) leiomioma 30s (in post menopausa tende a diminuire) netti < 5 cm. Generalmente associata a presenza di leiomiomi limitrofi Assente o irrilevante 200 leiomiosarcoma Post- menopausa indistinti > 10 cm. Generalmente unica Presente sempre e caratteristica di tutti i tumori maligni Cisti e tumori dell’ovaio La corticale contiene i follicoli, uno solo al mese matura . L’epitelio superficiale è cubico o cilindrico ( epitelio celomatico). La zona corticale è ricca di recettori per gli estrogeni e progestinici. Oltre alla zona corticale vi è una zona midollare. Aspetti clinici Donne tra i 25 e 65 anni I sintomi precoci sono assenti o lievi come distensione addominale ascite e dolore Sintomi urinarie gastrointestinali Sanguinamento vaginale di tipo funzionale( si ha solo per quei tumori dell’ovaio che tendono a produrre estrogeni) Ancora oggi si evidenzia in stadio avanzato Diagnosi Dosaggio del Ca-125: si trova nel liquido ascetico nei tumori sierosi dell’ovaio e sierosità anche della pleura e del peritoneo Ecografia transvaginale Stadiazione Si definiscono 4 stadi: nel 1’ il tumore è limitato all’ovaio o a entrambe le ovaie, andando avanti con la gradazione interessa sempre più la sierosa extraovarica con diffusione agli organi limitrofi e ai linfonodi. Non dà metastasi a distanza ma esfolia sul peritoneo e diffonde su questo. Ha un tropismo per la sierosa peritoneale ed eventualmente per la sierosa pleurica. Fattori prognostici Dimensioni Stadio (ecografia-tac) Tipo istologico ( prelievo con laparoscopia) Grado istologico( correla con lo stadio questo però rappresenta lo statodi differenziazione del tumore e più è alto peggio è!!!!) Residuo tumorale ( dopo chemio neoadiuvante che viene fatta prima dell’intervento; l’intento èdi diminuire la massa ed eliminarla ma purtroppo non succede spesso) 201 Sopravvivenza a 5 anni Stadio 1 Stadio 2 Stadio 3 Stadio 4 90% 80% 15% 4% Tabella 22-3 del robbins classificazione WHO Tumori dell’epitelio celomatico di superficie Tipo cellulare: sieroso mucinoso endometroide a cellule chiare transizionale squamoso può avere crescita esofitica o intracistica la proliferazione cellulare ripresenta benigna maligna o borderline Intracistico: sostituisce il parenchima ovario Esofitico: cresce sull’epitelio sieroso Borderline: ha un diminuito potenziale di malignità Tumori sierosi 30.40% di tutti itumori ovarici 70% benigni 5.10% borderline 20-25% maligni Possono essere bilaterali, la bilateralità nei sierotipi non sierosi molto spesso è indice di metastasi e non di malattia primitiva es: ca. colon stomaco, mammella. Tumori benigni Max incidenza nella V decade. Spesso di riscontro occasionale, possono essere intravistici o esofitici. Uni multi loculati. Le cisti sono tappezzate da 1 epitelio piatto o cilindrico ciliato maturo. Le cisti contengono materiale sieroso limpido. Es: 55 anni sanguinamento anomalo. L’ecografia può vedere le cisti fluide. Si fa poi dosaggio del Ca-125 che fluttua anche nelle lesioni benigne, Si può togliere per via laparoscopica. 202 Tumori borderline 25.30% dei tumori sierosi “non benigni” tra i 30 ed i 50 anni 30% bilaterali 70% diagnosticati allo stadio 1 tumori sierosi borderline ( SBT), MACRO: Endofitici spesso multiloculati con escrescenze papillari sono esofitici papillari sulla sierosa dell’ovaio. In alcuni casi l’intera superficie ovarica è ricoperta. Le papille hanno un asse connettivo vascolareb lasso molto edematoso ricoperto da 1 epitelio cubico ciliato con vari gradi di atipica citologica che però non è mai sgarbatissima. L’attività mitotica non è mai elevata. Ci possono essere focolai di microinvasione. SNITOMI? MAI Come si fa a fare diagnosi? _ primo contatto _ ecografia transvaginale solitamente si vede una lesione Ca-125 è 10 volte più alto della norma quindi si procede con una laparoscopia interventistica. Si identifica o un tumore sieroso benigno bilaterale o un tumore sieroso borderline Bisogna poi verificare la natura biologica della lesione mandando la laparoscopia fresca al patologo e poi si fa un esame estemporaneo per fare un vetrino. La maggior parte dei casi cade nel borderline. Si toglie la lesione macroscopicamente e poi bisogna controllare il peritoneo facendo un lavaggio peritoneale o raccogliendo il siero , si osserva la citologia e poi si guarda se ci sono localizzazioni atipiche se si bisogna fare dei prelievi di quest’ultime. A questo punto la paziente è curata chirurgicamente e stadiata. IMPIANTI PERITONEALI Possono essere non invasivi e invasivi. Sono più frequenti in donne con SBT esofitici. Si manifestano come placche o noduli nel peritoneo ( minori di 1 –2 cm) Possono essere anche de novo da residui mulleriani. NON INVASIVI Sono l’88% dei casi. Si dividono in: Epiteliali: proliferazioni di cellule epiteliali atipiche che ricordano quelle dell’SBT. 203 Desmoplastici: reazione fibrosa/Stromale contenente cell epiteliali atipiche e occasionali corpi psammomatosi ( che si trovano anche nei tumori papilliferi della tiroide) INVASIVI Sono il 12% Hanno una proliferazione disordinata di componenti stremale ed epiteliale, le cellule possono mostrare anche severa atipica, i margini sono infiltrativi. SBT COMPORTAMENTO BIOLOGICO Ricorrenza stadio I : 5-10% Il 5-10% si ripresenta nel giro di 2 anni dall’intervento in quanto sono stati sottostadiati. I casi a prognosi infausta sono correlati alla presenza di impianti invasivi. SBT PRIMITIVI DEL PERITONEO Poco frequenti ma difficili per la diagnosi. Sembra tutto normale ma la paziente presenta ascite e Ca-125 aumentato. Istologicamente assomiglia agli impianti non invasivi. La prognosi è buona. L’epitelio ovarico può essere normale o minimamente coinvolto. Si manifesta con fibrosi o fini granulazioni . Si localizza principalmente nel peritoneo pelvico. La dd è con il ca. sieroso ovario Carcinoma sieroso ovarico Aspetti clinici Età media 55 anni Sintomi minimi Stadio avanzato ( II.III) nel 70% dei casi Si procede con laparotomia e terapia neoadiuvante citoreduttiva. Perché è un tumore in operabile? Il tumore cresce lungo la sierosa e la infiltra andando ad invadere tutti gli organi rivestiti da sierosa. Crea aderenze tra utero, ovaie e organi limitrofi. Aspetto macroscopico Può raggiungere dimensioni maggiori di 20 cm. E’ bilaterale in un terzo dei casi E’ una massa a struttura grossolanamente cistica con spesse aree di necrosi ed emorragia. 204 Questi tumori possono prendere la via linfatica. Esprime la citocheratina 7 Esprime il Ca-125 Questi dosaggi sono fondamentali per sapere se il tumore è primitivo o no. ISTOTIPI MUCINOSI In uno stesso tumore ci può essere una componente benigna, borderline e maligna. Presentano una progressione da benigno a maligno. Non ci sono caratteristiche macroscopiche differenziabili. Sono monolateral; se bilaterali bisogna pensare ad una metastasi indipendentemente dall’età della paziente. Danno segno di sé in modo improvviso attraverso torsione o rottura. La paziente arriva in pronto soccorso con un quadro di addome acuto.( Fuoriesce liquido mucoide ) Il Ca del colon più frequentemente dà metastasi all’ovaio. Quindi se il tumore è esteso a tutte e due le ovaie è necessario palpare tutto il colon. L’immunoistochimica serve per le identificare le citocheratine: la anticitocheratina 20 è espressa dalla mucosa colica ed il cdx2 a livello nucleare prevalentemente nei tumori colici. Quindi un tumore mucinoso bilaterale quasi mai è primitivo ma è una metastasi proveniente da: colon, stomaco, mammella!!!!! 205 Patologia della mammella femminile Generalità La mammella femminile è un insieme di dotti ramificati che parte dall’unità terminale duttulo-tubulare, progredisce tramite ramificazioni, converge verso il dotto galattoforo e sbocca, infine, nel capezzolo. Il dotto terminale extralobulare afferisce all’unità terminale duttulo-tubulare, si fa intralobulare, ramifica nei dotti lobulari e afferisce agli acini. Nella parte extralobulare l’epitelio è cilindrico mentre nella parte intralobulare l’epitelio si fa cubico. Tutte le cell di questo sistema giacciono su uno strato di cell mioepiteliali + lamina basale. Le cell mioepiteliali servono nell’allattamento e per detergere il secreto dai dotti; inoltre la loro presenza è un fattore prognostico positivo in caso di lesione proliferativa. Questa struttura di dotti è circondata da stroma connettivale che può essere intralobulare o interlobulare. Neoplasie e loro patogenesi Le neoplasie della mammella possono originare dai due tessuti che costituiscono questo organo: ¾ Epitelio • Dotti • Acini ¾ Stroma • Intralobulare • Extralobulare Essendo il parenchima mammellare soggetto al ciclo ormonale femminile si possono osservare tre fattori che influenzano la proliferazione e, conseguentemente, il rischio di neoplasia nella donna: Ciclo mestruale Gravidanza e allattamento Menopausa Estrogeno: stimola le mitosi e quindi causa sia ipertrofia che iperplasia delle unità duttulo-lobulari e degli acini. Progesterone: induce secrezione apocrina che fa apparire i duttuli dilatati PRL e PG: aumentano nell’allattamento e stimolano anche loro il parenchima Durante la menopausa si abbassano notevolmente i livelli di estrogeno e di progesterone mentre aumentano gli androgeni (specie nelle donne obese o affette da dismetabolismi). Questa condizione causa atrofia dovuta alla diminuzione della trama 206 vascolare che si compensa con un aumento dell’adipe e del connettivo; questo processo fa assomigliare la morfologia della mammella femminile a quella maschile. Diagnosi La mammella è un organo esterno e, perciò, facilmente palpabile. Per questo motivo l’autopalpazione rimane un gradino fondamentale nel iter diagnostico! I limiti di questa procedura risiedono nella morfologia della patologia che non sempre si presenta in forma nodulare e quindi facilmente palpabile e, anche, nelle dimensioni della stessa tenendo conto che masse con diametro <1cm non sono comunemente apprezzabili alla palpazione. Il gradino successivo è l’ecografia che non sempre, però riesce a evidenziare ogni tipo di lesione, specie se essa e di dimensioni modeste. A seguire ancora c’è la mammografia e, infine, la biopsia. Lesioni epiteliali benigne Tra le differenti lesioni che possono occorrere alla mammella vi sono quelle di tipo benigno che sono: ¾ Lesioni non proliferative ¾ Lesioni proliferative ¾ Iperplasia atipica Queste tre condizioni vengono riscontrate mediante: • Alterazioni mammografiche • Riscontro incidentale • Noduli palpabili Lesioni non proliferative della mammella (modificazioni fibrocitiche) Si rendono evidenti soprattutto attraverso il riscontro di cisti. Questa patologia si presenta all’attenzione del medico come… o Per il clinico Æ mammella irregolarmente nodulare o Per il radiologo Æ mammella densa con cisti o Per il patologo Æ modificazioni morfologiche benigne Le aree interessate sono caratterizzate da: • Aumento della consistenza mal definita e diffusa • Possibili calcificazioni che spesso formano raggruppamenti sospetti (carcinoma?) 207 Le cisti sono la causa più frequente di massa palpabile e risultano allarmanti nei casi in cui si presentino: • Solitarie • Dure • Fisse ai piani profondi Spesso sono associate alla secrezione spontanea monolaterale del capezzolo. Morfologia Le alterazioni morfologiche sono principalmente di 3 tipi: Æ Cisti: - Si formano dalla distensione e dalla dilatazione dei lobuli. - Sono di un colore che va dal marrone al blu a seconda del loro contenuto che può consistere in fluido semitrasparente o torbido. - Sono delimitate da epitelio piatto atrofico o da cell apocrine. - Frequenti le calcificazioni e le formazioni papillari. Æ Fibrosi: Æ Adenomi: Le cisti si rompono frequentemente e liberano il materiale secretorio al loro interno nello stroma adiacente causando infiammazione cronica e cicatrici fibrose che aumentano la consistenza della mammella. - Aumenta il numero di acini per lobulo. - Acini aumentati di volume e non distorti. - Occasionali calcificazioni dentro il lume. Adenomi da lattazione Æ masse palpabili in gravidanza o durante l’allattamento. Costituite da tessuto mammario apparentemente normale con adenomi fisiologici e modificazioni lattazionali dell’epitelio. Non sono una neoplasia ma un’esagerata risposta allo stimolo ormonale Malattia proliferativa della mammella senza atipia Raramente forma masse palpabili. Vengono evidenziati come addensamenti alla mammografia o vengono riscontrate incidentalmente nelle biopsie eseguite per altri motivi. Più dell’80% dei papilloma dei grandi dotti si presenta con secrezione dal capezzolo. Il restante 20% si presenta con piccole masse palpabili o addensamenti alla mammografia. Le patologie comprese in questo gruppo sono: Æ Papilloma grande: Può andare in contro a infarto spontaneo a causa della torsione del peduncolo con seguente secrezione ematica. La secrezione 208 non ematica dipende dalle normali secrezioni mammarie o dall’infiammazione del dotto dovuta al papilloma. Æ Papilloma piccolo: Si sviluppa in profondità all’interno della mammella, viene riscontrato accidentalmente e può presentare calcificazioni associate. Æ Iperplasia epiteliale: Definita dalla presenza di più strati di cell al di sopra della membrana basale. Riempie e distende i lobuli. I lumi si presentano irregolari con fenestrazioni. Æ Adenoma sclerosante: Aumento di almeno il doppio degli acini per dotto terminale. La normale disposizione globulare è conservata. Gli acini sono compressi e deformati al centro della lesione mentre alla periferia sono dilatati. Vi sono abbondanti cell mioepiteliali. La fibrosi stromale può comprimere gli acini fino a trasformarli in cordoni a doppie file di cell. Frequenti le calcificazioni. Æ Lesione sclerosante complessa: Anche detta cicatrice radiale perché si presenta come lesione stellata caratterizzata da un agglomerato centrale di ghiandole intrappolate in uno stroma ialinizzato. Æ Papilloma: Composto da assi fibrovascolari con ramificazioni multiple aventi ognuna un asse di tessuto connettivo rivestito da cell luminali e mioepiteliali. Si osserva un’iperplasia epiteliale con differenziazione apocrifa frequente. - Papilloma dei piccoli dotti: Spesso multipli e in profondità con alto rischio di carcinoma! - Papilloma dei grandi dotti: Solitari, nei seni galattofori del capezzolo, probabile correlazione con rischio di carcinoma. Adenoma E’ una neoplasia benigna a struttura duttulo-ghiandolare che origina dall’epitelio e dal mio epitelio. Si presenta come una lesione occupante massa (nodulo) nella zona retro areolare. Spesso si accompagna a secrezione dal capezzoli (gemizio) che può essere: • Sierosa • Ematica Æ può fare confondere col carcinoma • Siero-ematica Nel caso di secrezione ematica può venire il dubbio che si tratti di carcinoma ma… Æ se la pz è giovane l’ipotesi diventa inverosimile (non impossibile) Æ si esegue l’esame citologico del secreto (difficile da leggere ma se c’è mioepit. è ok!) Æ si verifica che la massa sia più mobile di un carcinoma Æ Eco e mammografia sono inutili 209 Æ si manda la pz dal chirurgo con il compito di eseguire una valutazione intraoperatoria Æ il chirurgo manda il campione al patologo: ¾ Se è un adenoma il chirurgo può richiudere ¾ Se è un carcinoma il chirurgo deve rimuovere completamente la mammella Malattia proliferativa della mammella con atipia Questa patologia comprende: ¾ Iperplasia duttale atipica ¾ Iperplasia lobulare atipica Iperplasia duttale atipica Si riscontra nel 5-17% delle biopsie eseguite per calcificazioni come quelle effettuate per riscontro di masse palpabili o per calcificazioni radiologicamente evidenti. Vi è una somiglianza col carcinoma duttale in situ, le lesioni sono limitate in estensione e presentano una popolazione cellulare monomorfa con cell posizionate correttamente ma che non riescono a riempire completamente più di due spazi duttali. Iperplasia lobulare atipica Osservata incidentalmente in meno del 5% delle biopsie. Vi è una somiglianza col carcinoma lobulare in situ, la lesione presenta cell che riempiono meno del 50% degli acini dell’intero lobulo e può estendersi nei dotti con rischio di carcinoma invasivo. Tumori stromali Si dividono in due categorie: ¾ Stroma intralobulare • Fibroadenoma • Tumore filloide Æ questi tumori secernono GF che determina proliferazione non neoplastica dell’epitelio! ¾ Stroma interlobulare Æ stessi tipi del tumore del connettivo Fibroadenoma • • • • E’ il più comune tumore benigno della mammella Si tratta di una neoplasia fibroepiteliale Si presenta a qualsiasi età ma è più frequente prima dei 30aa Spesso multiplo e bilaterale 210 • • • Nelle giovani donne si presenta come massa palpabile mentre nei soggetti più anziani come addensamento o calcificazione alla mammografia E’ responsivo agli ormoni perciò aumenta lievemente di dimensioni nella fase terminale del ciclo mestruale Regredisce in seguito alla menopausa Alcuni studi hanno dimostrato che: • La componente fibrosa (stromale) è monoclonale e può presentare aberrazioni citogenetiche • La componente epiteliale è policlonale e non presenta modificazioni citogenetiche • Se i fibroadenomi insorgono associati a cisti >0,3 cm, adenoma sclerosante, calcificazioni epiteliali o modificazioni papillari apocrine, hanno un lieve aumento del rischio di sfociare in carcinoma Morfologia Nodulo singolo sferico di dimensioni variabili (da meno di 1 cm fino ad alcuni cm), ben circoscritto, duro, indolente, rapida crescita e mobile rispetto al parenchima. Lo stroma è delicato, cellulare e spesso mixoide; racchiude ghiandole e spazi cistici rivestiti da epitelio come lo stroma intralobulare. L’epitelio è deformato dallo stroma compresso che lo circonda. Si presenta come una massa bianca a margini ben definiti e con cisti che sono dotti dilatati riccamente cellulati con espansione dello stroma che risulta chiaro perché edematoso. Clinica Si tratta con escissione completa in quanto risulta alquanto agevole visti i margini ben definiti e la totale mancanza di vincoli col parenchima circostante. Si verifica spesso una recidiva per escissione incompleta nelle adolescenti in quanto si mira a un intervento che sia il più conservativo possibile. Questa patologia ha un basso rischio di tramutarsi in cancro. Tumore filloide • • • • Frequente nella 6° decade La maggior parte si presentano come masse palpabili o evidenti alla mammografia Sono manifestazioni relativamente benigne La maggior parte non presenta aspetto cistico 211 Morfologia Presenta dimensioni variabili, può avere un diametro di pochi cm o manifestarsi come lesione interessante tutta la mammella con protrusioni polipoidi. DD coi fibroadenomi: Cellularità Maggiore indice mitotico Pleomorfismo nucleare Eccessiva crescita della quota stromale Bordi infiltranti Questa neoplasia spesso recidiva localmente ma di rado metastatizza e in questi casi è solo la componente stromale ad essere interessata dal processo diffusivo. Terapia Questi tumori vanno escissi con ampi margini di exeresi oppure può essere necessaria la mastectomia totale per evitare metastatizzazione locale. Infiammazioni Sono rare. Si presentano sottoforma di tumefazioni della mammella che possono essere dolorose o eritematose. Mastite acuta • • • • • E’ la forma più frequente di malattia della mammella Quasi sempre durante l’allattamento (in particolare durante il primo mese) perché la mammella è vulnerabile a causa di ragadi e fissurazioni sui capezzoli. Il patogeno più frequente è lo Stafilococco aureus I sintomi tipici sono, mammella eritematosa e dolente con febbre All’inizio si manifesta con un interessamento solo localizzato a una zona della mammella o con un mero coinvolgimento del solo sistema duttale poi, se non trattata, può propagarsi. Morfologia Specie in caso di infezione stafilococcica si ha la formazione di ascessi singoli o multipli che possono fistolizzare sboccando in zona periareolare. Terapia - Antibioticoterapia Completo drenaggio del latte dalla mammella Raramente drenaggio chirurgico 212 Lesioni precancerose L’iperplasia epiteliale può essere di due tipi: ¾ Semplice Æ non rappresenta una lesione precancerosa ¾ Con atipia citologica Æ pericolo a causa della displasia! L’iperplasia con atipia citologica, specie se insorge su una mastopatia fibrosi cistica, porta alla formazione di addensamenti e irregolarità palpatorie. In questo caso, in particolare se la pz ha meno di 40 anni, si effettua l’ECO e la mammografia, se questo ultimo esame evidenzia delle microcalcificazioni scatta l’allarme! Le microcalcificazioni a seconda della loro morfologia sono più o meno associabili a un livello di rischio di carcinoma. Se le calcificazioni appaiono grossolane con margini irregolari sono spesso predittive di cancro. Lesioni proliferative maligne Classificazione del tumore della mammella Il 95% dei tumori maligni della mammella sono adenocarcinomi che si dividono in: ¾ Carcinomi in situ ¾ Carcinomi invasivi I carcinomi in situ consistono in una proliferazione di cell neoplastiche limitata ai dotti e ai lobuli senza superare la membrana basale. Quindi, per definizione, non danno metastasi. I carcinomi invasivi consistono in una proliferazione di cell neoplastiche che invade lo stroma circostante fino ad arrivare ai vasi dando così metastasi diffuse. Sia il carcinoma in situ che quello invasivo possono essere divisi in due categorie a seconda della sede di sviluppo: ¾ Duttale ¾ Lobulare Carcinoma invasivo E’ la neoplasia più frequente nella donna coprendo fino al 22% di tutti i tumori. Dei carcinomi invasivi il più frequente è il duttale. La prognosi è buona se la diagnosi è precoce! 213 Morfologia del carcinoma duttale invasivo Queste neoplasie formano noduli duri e scirrosi o infidi per la consistenza similmammaria. Si manifestano con leggera prevalenza nel seno sx nel quadrante supero esterno. Uno dei segni distintivi è la retrazione del capezzolo o della cute che può significare che il tumore è subito lì sotto o che il tumore ha dato metastasi alla cute ed è presente in tutta altra sede. All’osservazione microscopiche si osservano strutture duttali alterate con cell piene di atipie che hanno valicato la membrana basale! Grado di Elston-Ellis Æ E’ una scala di gradazione del tumore che si basa sull’analisi del grado di differenziazione, sul polimorfismo nucleare e sull’indice mitotico. Un elevato grado di questa scala (3) si associa a una prognosi più severa. All’esame clinico il nodulo si presenta fisso perché infiltra il tessuto adiposo e per la copiosa reazione desmoplastica che lo circonda. Questa tipologia presenta 5 istotipi: • • • Tubulare: di origine duttale, ben differenziato (il più diff.) per questo motivo la prognosi è favorevole in quanto il 100% delle pz è libera a 5 anni. Si presenta come un nodulo duro di dimensioni notevoli per l’intensa reazione fibrotica (desmoplasia). Le cell differenziate si aggregano in tubuli che differiscono dai normali per la mancanza di mioepitelio. Questo istotipo espone un’elevata concentrazione di recettori per estrogeni e progestinica mentre esprime poco il cerb-2 e ha un basso MIB. Papillifero: può essere secondario a una lesione papillomatosa o può insorgere de novo. Di solito è silente tranne quando si sviluppa nei dotti galattofori in quanto causa secrezione ematica. Le lesioni papillomatose da cui derivano si evidenziano solo se sono multipli e, proprio in questa forma, se si manifestano trai 30-40aa sono da considerarsi lesioni precancerose. Anche qui si evidenzia il grado di differenziazione osservando quanto la neoplasia è papillare; in alcuni casi la neoplasia si manifesta in forma solida, di alto grado con molte atipie e mitosi, questa forma sdifferenziata è la più pericolosa. Midollare: Si associa a infiltrato linfoide e plasmacellulare. C’è un elevato numero di mitosi aberranti, una citologia nucleare ad alto grado e la presenza di cell giganti. Rappresenta il 65% della patologia dopo i 50aa e, nonostante la sua istologia, ha prognosi favorevole (??). • Mucoide: contiene laghi di mucina che può essere extracellulare oppure intracellulare nelle così dette cell ad anello con castone. Questa tipologia ha uno strano aspetto palpatorio simile a quello della mammella mastopatica. 214 • Invasivo micropapillare: è una forma molto aggressiva che da numerose metastasi ai linfonodi. E’ molto frequente nelle donne in menopausa. Si tratta con chemio e radio adiuvanti prima dell’intervento. Morfologia del carcinoma lobulare invasivo L’istotipo lobulare è il meno frequente e si può manifestare in con più focolai e spesso è bilaterale. Capita che non dia una massa dura ma semplicemente un’area di maggiore consistenza assieme al grasso limitrofo. Si evidenzia alla mammografia solo quando ha raggiunto una certa grandezza. Le cell di questo tumore mostrano la tipica crescita “a fila indiana”. Questa tipologia presenta due istotipi: • Classico: cell piccole linfocito simili, poche mitosi, cell in fila indiana, < aggressività • Pleomorfo: > aggressività in base alla scala di Elston-Ellis Diagnosi Esame clinico Eco e mammografia Citologia/biopsia Prognosi I fattori prognostici positivi sono: • post-menopausa • assenza di invasione vascolare • assenza di metastasi linfonodali • diametro < 3 cm Le forme duttali di alto grado e le forme lobulari di istotipo pleomorfo sono le più aggressive! Punti di un referto di carcinoma della mammella 1) Molti tumori della mammella ricevono una forte stimolazione proliferativa dal ciclo mestruale e, quindi, dagli ormoni liberati dall’ovaio. Per questo motivo un’opzione terapeutica consiste nella cura antiormonale dove vengono somministrati antiestrogenici (tamoxifen). Il referto deve riportare se le cell della neoplasia esprimono o meno i recettori per gli estrogeni perché in caso non li esprimano la terapia con tamoxifene è inutile. 2) Il referto deve riportare una valutazione dell’indice mitotico (MIB) 215 3) Il referto deve riportare se le cell della neoplasia esprimono c-erb-b2. Questa proteina di membrana è un oncogene che viene espresso nella neoplasia della mammella e si correla col grado della neoplasia. In neoplasia con grado => di 3 si può usare una terapia anticorpali contro questo oncogene e, al contempo, la sua espressione rende inutile la terapia antiormonale anche nei carcinomi che esprimono il recettore per gli estrogeni. 4) Il referto deve riportare la presenza di linfangite carcinomatosa 5) Il referto deve riportare gli eventuali linfonodi asportati 6) Il referto deve riportare i dati immunoistotipici Carcinoma in situ Anche in questo caso, come già detto, si hanno i due tipi: duttale e lobulare. Per la definizione di carcinoma in situ è necessario che le cell neoplastiche non abbiano superato la membrana basale dei dotti. Per questo motivo i carcinomi in situ non danno metastasi per definizione! Morfologia Finché non supera i 2mm di diametro risulta impalpabile e invisibile, come valore di cut off si danno i 30 dotti pieni di cell neoplastiche per essere chiaramente visibile e, inoltre, si tiene conto delle possibili microcalcificazioni che si visualizzano come aree grossolane. La valutazione del grado di queste neoplasia si basa sull’analisi delle atipie del nucleo, in base a questo si distinguono in generale neoplasie ad… • Alto grado: sono masse solide con aree otticamente vuote ripiene di materiale necrotico (comedocarcinomi) • Basso grado: in queste varianti i lobuli possono assumere aspetto micropapillare, solido o cribriforme. La routine diagnostica comprende la mammografia e l’esame istologico ma, vista la frequente ridotta grandezza della massa si usano due ulteriori tecniche: ¾ Mammotome: questa tecnica individua le microcalcificazioni con l’imaging e le reseca una ad una con un grosso ago. Una volta esportata tutta l’area viene mandata al patologo. Il vantaggio è che tutto si risolve in un’unica seduta con anestesia locale e la pz va a casa subito. Gli svantaggi sono che è una tecnica dolorosa, che l’ago non può togliere più di una certa quantità di tessuto (non > 1cm) e c’è il rischio di copiose emorragie. ¾ Resezione chirurgica: Si effettua una tecnica di imaging chiamata stereotassi che evidenzia le zone neoplastiche iniettando in loro prossimità del carbone e mettendo un filo metallico di repere per il chirurgo. Il filo serve perché la pz sosta 216 quasi sempre una notte in reparto prima dell’intervento e, durante il sonno, il carbone può spargersi. Il giorno seguente il chirurgo segue il filo e asporta la zona nera con una porzione di materiale circostante. Il pezzo viene poi orientato con delle graffette e inviato al radiologo che gli fa una radiografia da sovrapporre all’originale per vedere se la lesione è stata asportata completamente. In questo caso non serve l’esame estemporaneo del patologo perché la diagnosi è complessa e non basta un piccolo pezzo, servono diverse sezioni. Una volta appurata l’asportazione completa il patologo tatua i margini del pezzo con china e fa diagnosi dopo averlo tagliato in diverse sezioni. Il comedocarcinoma normalmente si manifesta come lesione non inferiore ai 5cm perciò il patologo deve poter analizzare tutta la massa per porre diagnosi. Questo è importante perché nel 2% dei casi questa patologia da metastasi ma non sempre il patologo può cogliere il punto in cui le cell maligne hanno oltrepassato la membrana basale, è anche questione di fortuna nella preparazione della sezione. Sempre a questo proposito si osserva come il comedocarcinoma ad alto grado possa presentarsi con una certa frequenza in forma microinvasiva ovvero che oltrepassa la membrana basale di non più di 2mm. Il problema di questa forma è che le cell che metastatizzato sono estremamente anaplastiche, hanno un’elevata espressione di cerb-2, non presentano recettori per ormoni femminili e hanno un alto MIB. Questa forma, perciò, è estremamente aggressiva. Tecnica del linfonodo sentinella Col tecnezio99 si individua in primo linfonodo che drena dalla neoplasia e, se è il caso, asporti quello mantenendo il resto della catena evitando così la metastatizzazione e il linfedema del braccio per totale rimozione della catena. Si inietta il tracciante nel nodulo e poi con un rilevatore di radiazioni si osserva fino a che livello è arrivato e da lì si asporta. L’esame istologico dei linfonodi rimossi mette in evidenza tre tipi di metastasi: Macrometastasi: visibili a occhio nudo Micrometastasi: <2mm che sono la ripetizione del tumore primitivo Occulte: pochi elementi anche unicellulari sparsi casualmente nel linfonodo. Æ RICAPITOLANDO…. Carcinoma duttale in situ • • Negli ultimi 20 anni è aumentata la frequenza fino al 15-30% di tutti i carcinomi questo grazie anche all’introduzione dello screening Può presentarsi come calcificazione alla mammografia (frequente) o come massa vagamente palpabile (raro) con secrezione spontanea dal capezzolo o, ancora, si può presentare a una biopsia incidentale eseguita per altri motivi. 217 • • • Di solito interessa un solo sistema duttale ma può estendersi causando lesioni estese. Diversi casi progrediscono fino al carcinoma invasivo trattato con successo nel 95% dei casi con mastectomia. Le rare recidive e decessi sono dovuti alla ripresa della malattia a partire dal tessuto adiposo sottocutaneo che non sempre viene asportato completamente. I fattori di rischio sono: grado dimensioni positività dei margini di exeresi Morfologia Questa neoplasia si divide in 5 istotipi: comedocarcinoma solido cribriforme papillare micropapillare ..ma la maggioranza ha un quadro composito che comprende più istotipi. L’istotipo comedonico è caratterizzato da proliferazione solida di cell pleomorfe con marcate atipie nucleari e necrosi centrale. I frammenti necrotici calcificano e vengono visti alla mammografia come microcalcificazioni a grappoli, lineari o ramificate. Spesso è presente un quadro di flogosi cronica associata a fibrosi. Gli istotipi non comedonico consiste in una popolazione di cell neoplastiche monomorfe con grado nucleare da basso ad alto. - Il tipo cribriforme presenta degli spazi ghiandolari neoformati che sono ben distribuiti con forma “a setaccio”. - Il tipo solido riempie interamente i dotti interessati. - Il tipo papillare cresce in formazioni papillari con asse fibrovascolari. - Il tipo micropapillare cresce in protrusioni a forma di stalattite senza asse fibrovascolari. La Malattia di Paget del capezzolo è una rara carcinomatosi che si evidenzia come eritema del capezzolo monolaterale con crosta scura e secrezioni composta da fluido extracellulare. Le cell maligne di Paget si estendono dal carcinoma duttale in situ fino alla cute senza superare mai la membrana basale del sistema duttale. Nel 50-60% dei casi questa patologia si accompagna alla presenza di una massa palpabile e, in questi casi, vi è sempre un sottostante carcinoma invasivo! Carcinoma lobulare in situ E’ riscontrato sempre in maniera incidentale in biopsie fatte per altre ragioni perché non si associa a calcificazioni o a una reazione stromale che possa dare addensamenti. 218 Rappresenta l’1-6% di tutti i carcinomi. In quasi la metà dei casi è bilaterale. E’ comune nelle giovani donne visto che il 90% di questa patologia si manifesta nella premenopausa. Per le sue caratteristiche viene considerato non più come una vera e propria neoplasia ma come un marker di rischio di sviluppare cancro della mammella. Donne con CLIS sviluppano cancro con la medesima frequenza delle donne con CDIS. La terapia consiste in mastectomia profilattica, tamoxifen ed è necessario mantenere uno stretto follow-up della pz. Morfologia Le cell anomale del CLIS e del carcinoma lobulare invasivo sono identiche e sono piccole cell con nuclei ovali o rotondi poco adese tra loro. Sono anche presenti cell ad anello con castone piene di mucina. Questa neoplasia esprime recettori per estrogeni e progesterone. Carcinoma duttale invasivo E’ detto anche carcinoma invasivo non a tipo speciale perché rappresenta il 70-80% dei tumori che non rientrano nei sottotipi definiti. Morfologia Si presenta come massa dura dai margini irregolari. Al centro ci sono focolai di stroma elastico e/o microcalcificazioni. Presentano una vasta gamma di aspetti: • forme ben differenziate, confondibili con lesioni benigne, che esprimono recettori ormonali • forme composte da lamine intrecciate di cell pleomorfo che raramente esprimono recettori ormonali Le forme tumorali normalmente si manifestano con aspetti compresi trai due estremi sopraelencati. Il carcinoma duttale invasivo si accompagna quasi sempre a una certa quota di CDIS e i gradi delle due varianti, normalmente, corrispondono. La quasi totalità di questi tumori evoca una reazione desmoplastica che causa un aumento della componente stromale fibrosa la quale è responsabile della consistenza lignea del nodulo. 219 Carcinoma lobulare invasivo Si presenta come un nodulo palpabile o come area iperdensa alla mammografia. Hanno una maggiore incidenza di bilateralità. La maggioranza di questi tumori presenta una delezione sul 16 di geni coinvolti nell’adesione cellulare. Danno un peculiare interessamento metastatico localizzato al peritoneo e al retroperitoneo, alle meningi, tratto gastrointestinale, ovaie e utero. Morfologia Si presenta come massa dura dai margini irregolari. Le cell sono identiche a quelle del CLIS e questa ultima patologia è sempre coesistente in caso di forma invasiv; tipico l’aspetto delle cell infiltranti “a fila indiana” e la presenza di cell ad anello con castone. Normalmente la risposta desmoplastica è minima 220 Neoplasie Linfoidi GENERALITA’ LEUCEMIA: termine utilizzato per descrivere neoplasie linfoidi che si presentano con diffusi interessamento del midollo osseo, spesso con alto numero di cellule neoplastiche nel sangue periferico. LINFOMA: termine utilizzato per descrivere proliferazioni linfoidi che si presentano come masse tissutali distinte. Non è molto chiaro però il confine netto tra il termine leucemia e linfoma. - - - - I linfomi sono al quarto posto in ordine di incidenza fra le neoplasie al mondo. Il linfoma di Hodgkin è separato dalle altre forme che sono definite Linfomi non Hogdkin (LNH), clinicamente, istologicamente, nonché da un punto di vista terapeutico. Nel corso degli ultimi venti anni si è avuto incremento esponenziale dell’incidenza dei linfomi non Hodgkin, mentre i linfomi di Hodgkin non hanno subito incrementi significativi. A causa del declinare di alcune patologie e di una crescente diagnosi precoce di altre (es. tumore della mammella) si stima che i linfomi diventeranno i tumori più frequenti nel prossimo mezzo secolo. Il rapporto tra Linfoma di Hodgkin e Linfoma non Hodgkin è pari a 1:10 Si possono anche fare alcune considerazioni di tipo clinico generalizzate a tutte le neoplasie linfoidi: • La presentazione clinica delle varie neoplasie linfoidi è dettata dalla distribuzione anatomica della malattia. - 66% degli LNH e il 100% degli LH si presentano con ingrossamento linfonodale non dolente localizzato o generalizzato. - 33% degli LNH insorge in sedi extranodali (cute, stomaco, cervello…). - Le forme leucemiche giungono all’osservazione clinica per la soppressione dell’emopoiesi scaturita dall’invasione del midollo osseo. - Le forme leucemiche infiltrano tipicamente fegato e milza causando epatomegalia e splenomegalia. - Le neoplasie plasmacellulari si manifestano con fratture ossee nei casi in cui coinvolgano lo scheletro. • Per la diagnosi è sempre necessario l’esame istologico dei linfonodi o degli altri tessuti coinvolti. • Nella maggioranza delle neoplasie linfoidi, il riarrangiamento dei geni per il recettore antigenico, precede la trasformazione neoplastica perciò le cell derivate dal progenitore neoplastico esprimono le stesse proteine recettoriali per l’Ag. - La monoclonalità delle neoplasie linfoidi è messa a confronto con la policlonalità delle cell linfoidi normali; questo confronto serve a distinguere popolazioni linfoidi neoplastiche da popolazioni linfoidi reattive. 221 • L’85% delle neoplasie linfoidi origina da cell B, la restante parte da cell T. Raramente si osservano neoplasia originate da cell NK • Le neoplasie linfoidi alterano spesso le funzioni del S.I. determinando anomalie nello stesso. - Perdita della vigilanza con alta suscettibilità alle infezioni - Perdita della tolleranza con fenomeni autoimmuni • Le cell B e T neoplastiche tendono ad imitare il comportamento della loro controparte normale - Tendono a localizzarsi in determinate sedi tissutali proprie dei loro corrispettivi sani determinando i tipici quadri clinici d’interessamento d’organo. Il linfoma di Hodgkin si estende in maniera ordinata e il suo stadio finale è fondamentale per decidere la terapia. CLASSIFICAZIONE DEI LINFOMI - - Storicamente poche patologie hanno evocato tante controversie e confusa classificazione come i linfomi. Negli anni ’80 vi erano sei diversi tipi di classificazione. Dal 1994 la situazione è molto migliore: vi è una sola classificazione , promulgata dall’OMS nel cosiddetto blue book. La Classificazione è detta REAL/WHO (Revised European-American Limphoyd Neoplasm Classification/ World Health Organization); è un’elencazione di reali entità clinico patologiche condotta attraverso criteri identificabili mediante le tecnologie attualmente disponibili. Questa classificazione è oggi alla base di tutte le malattie emolinfatiche tumorali. Il progredire dello sviluppo tecnologico porta alla necessità di periodici riaggiornamenti di questa classificazione; il prossimo è previsto nel 2008 Le precedenti classificazioni identificavano entità cliniche solo attraverso i caratteri morfologici del tumore. Questa classificazione identifica entità clinico patologiche utilizzando ed incorporando criteri oggettivi insieme alle caratteristiche morfologiche e agli aspetti clinici. I criteri su cui si basa questa classificazione sono: morfologia 1) 2) 3) 4) dati clinici identificazione della controparte normale, se fattibile profilo fenotipico caratteristiche citogenetiche e molecolari (profilo genetico, molecolare) La maggior parte delle entità distinte dalla REAL può essere diagnosticata in modo riproducibile e permette la stratificazione dei pazienti in gruppi a buona o cattiva prognosi. 222 I linfomi si possono dividere in 1) Linfomi non Hodgkin: a) di derivazione linfocitaria B b) di derivazione linfocitaria T/NK 2) Linfomi di Hodgkin La classificazione REAL/WHO divide i linfomi in cinque grandi categorie sulla base della loro origine cellulare: 1) neoplasie derivanti dai precursori : derivano da cellule ancora immature a. dei precursori B-cellulari: maturazione nel midollo osseo b. dei precursori T-cellulari: maturazione nel timo 2) linfoma di Hodgkin 3) neoplasie delle cellule periferiche: derivano da cellule mature perché una volta che si sia realizzata maturazione le cellule migrano nel tessuto linfoide periferico a. delle cellule B periferiche b. delle cellule T/NK periferiche N.B. i linfomi sono caratteristicamente malattie sistemiche, dunque possono interessare varie sedi, nodali ed extranodali: la costante deve essere la presenza di tessuto linfoide. - - - La grande maggioranza delle neoplasie linfoidi (80%-85%) origina dalle cellule B, mentre la gran parte dei rimanenti casi è costituito da cellule T: solo raramente tumori di origine NK. La differenziazione del tumore, che verifica la somiglianza con la controparte normale, è un indice della malignità di tutti i tumori solidi, ma non dei tumori emolinfopoietici. Anche la morfologia non è indice prognostico del grado di malignità del tumore, ma concorre solo a fare la diagnosi. È per questo che la REAL/WHO non comprende alcuna indicazione sul grado di malignità Un’altra comune distinzione dei tumori è quella che viene fatta tra: a) linfomi indolenti: nel momento in cui si rendono evidenti, comportano anche se non trattati lunghe aspettative di vita (anni). b) Linfomi aggressivi: nel momento in cui si rendono evidenti, hanno progressione rapida e se non trattati portano a morte in breve tempo. Molto spesso però i linfomi indolenti sono però quelli con peggiore risposta alla terapia, perché, pur non espandendosi con enorme velocità, si dimostrano molto protetti all’apoptosi. Di conseguenza sono parzialmente insensibili ai farmaci. 223 FATTORI CHE INFLUENZANO IL CORSO DELLA MALTTIA 1) sede primitiva (nodale o extra-nodale) 2) presenza di specifiche alterazioni gnomiche 3) correlazione con agenti infettivi: trattamento di alcuni tumori con antibioticoterapia 4) cinetica cellulare (proliferazione-delezione) 5) resistenza pleiotropica (chemioresistenza) 6) possibili bersagli terapeutici (molecolari, genici): attualmente si sta sviluppando l’uso di farmaci intelligenti, cioè farmaci che tendono a trattare la neoplasia un po’ come fa l’insulina nei crf del diabete. PATOBIOLOGIA DEI LINFOMI Eziologia - - 75% eziologia sconosciuta 15-20% dovuta all’azione di patogeni: a) batteri: H.pilori (carcinoma gastrico) Campylobacter jujeni Chlamydia psittaci (occhio) Borrelia burgdoferi (cute) b) virus: HCV: perché interagisce anche con i linfociti con il suo recettore HHV8: PEL, malattia di Castlemann EBV: linfoma di Burkitt, linfoma di Hodgkin HTLV1: ATL (HIV): azione facilitante in fnz dell’immunosoppressione 5% immunodeficit o autoimmunità 0.5-1% pesticidi Patogenesi La patogenesi è comunque legata a 2 processi fondamentali: 1) Attivazione di proto-oncogeni 2) Inattivazione di onco-soppressori Traslocazione: Normalmente si ha traslocazione con giustapposizione di 224 - regione trascrivente per un oncogene o un oncosoppressore regione reglatoria di un altro gene espresso costitutivamente o non espresso mai Dunque può accadere che il prodotto del gene trascrivente: - venga costantemente espresso (oncogene) - venga costantemente silenziato (oncosoppressore) Es: molto frequente è la traslocazione 8-14, dove l’oncogene di Bcl-2 (8) viene posto sotto il controllo trascrizionale del promoter del gene per la porzione costante della catena H delle Ig. Conseguente abnorme espressione di Bcl-2→ proliferazione cellulare incontrollata→ neoplasia. Formazione di un gene di fusione Per traslocazione con successiva fusione di due regioni trascrizionali di due geni diversi divenuti contigui. Formazione di un gene ibrido che trascrive per una proteina chimerica la quale provoca neoplasia: - direttamente - indirettamente: inducendo alterazioni cellulari Es. linfoma a grandi cellule anaplastiche. Si ha formazione di un gene ibrido NPM → formazione proteina chimerica che: - è coinvolta direttamente nella patogenesi tumorale - è un fattore prognostico: migliore risposta alle terapie Mutazione di geni regolatori Mutazioni puntiformi in oncosoppressori (es. p53) o in oncogeni Fenotipo e genotipo Fenotipo Vede : - maggiore espressione di molecole legate alla proliferazione - minore espressione di molecole legate all’apoptosi - minore espressione di molecole legate alla differenziazione Genotipo - Oggi sappiamo con esattezza nell’ambito dei tumori linfatici, quali geni siano costantemente deregolati. - Questo consente l’utilizzo di nuovi protocolli terapeutici - I protocolli terapeutici utilizzati una volta erano rigidi e basati su dati epidemiologici e su una chimera, cioè l’illusione di poter aumentare la dose farmacologica illimitatamente. - Oggi si tende alla Taylored Therapy non rigida, che tiene conto dei fattori caratteristici del singolo paziente. 225 Ontogenesi del sistema linfocitario B La linfoghiandola o linfonodo è la struttura principale del sistema linfatico. Nella struttura del linfonodo si distinguono: - CORTICALE: è la zona periferica del linfonodo, tipicamente B-linfocitaria. Contiene follicoli nei quali si collocano e maturano i linfociti B. - CORTICALE PARAFOLLICOLARE: è lo strato più interno della corticale che è tipicamente T-linfocitario. - MIDOLLARE: formata da cordoni midollari ramificati, separati da irregolari seni midollari. Nei cordoni midollari sono contenute soprattutto plasmacellule differenziate che stanno migrando verso l’ilo del linfonodo. Nei seni midollari si ritrovano macrofagi. Cordoni e seni sono entrambi sostenuti da una rete di fibre reticolari che si estende a partire dalla capsula. Follicolo linfatico Una volta che l’elemento linfocitario B è maturo, fuoriesce dal midollo osseo e si viene a collocare nei linfonodi in corrispondenza dei follicoli linfoidi primari. Nei follicoli primari i linfociti B sono maturi, ma ancora vergini e dunque non differenziati. Non essendo mai venuti a contatto con Ag presentano alla loro spf. recettori anticorpali non specifici, IgM e IgD, con il ruolo di riconoscere ed opsonizzare l’antigene. Nei follicoli primari manca il centro germinativo, riconoscibile come un’area pallida centrale. Nei follicoli primari i linfociti B sono però sostenuti da una rete di APC, costituita principalmente da cellule dendritiche follicolari e secondariamente da macrofagi. Non appena nei follicoli primari le APC presentano l’Ag ai linfociti B il follicolo si differenzia venendo a formare un centro germinativo, in follicolo linfoide secondario. Struttura follicolo secondario Vede a partire dall’esterno verso l’interno: 1) zona marginale: zona un po’ più pallida del mantello. Molto sviluppata caratteristicamente in alcune stazioni linfonodali (es. linfonodo mesenterico), meno in altre. 226 2) zona mantellare o mantello: è la prima periferia del centro germinativo, intensamente colorata. Contiene cellule vergini residue e elementi B di memoria. Di solito è asimmetrica con maggiore spessore nel lato rivolto verso la capsula. 3) Centro germinativo: in esso si trovano le cellule che hanno appena riconosciuto l’Ag,e stanno andando incontro a proliferazione e differenziazione (trasformazione blastica). Primo stadio di attivazione: i linfociti B danno vita ai centroblasti→ cellule grandi (20 µm), ad elevato indice mitotico, presenza di nucleolini al di sotto della mbr, rima citoplasmatica apprezzabile, nella parte scura del centro germinativo. Si trovano nella fase di ipermutazione somatica Secondo stadio di attivazione: linfociti B danno vita ai centrociti→cellule più piccole (8µm.), meno figure mitotiche, profilo nucleare inciso, nella parte pallida del centro germinativo. Si trovano nella fase di selezione. - Il centro germinativo si trova dunque ad essere polarizzato (fase di polarizzazione): centroblasti ad un polo→ parte più scura centrociti all’altro polo→ parte più pallida I centrociti vanno dunque incontro a nuove divisioni mitotiche e si differenziano in plasmacellule o cellule B della memoria. Nel centro germinativo avvengono: I. Ipermutazione somatica 9 Colpisce i geni dei linfociti B che hanno riconosciuto l’antigene e sono in fase di attiva proliferazione. 9 Vede una frequenza di mutazioni puntiformi aumentata di circa 100 volte in corrispondenza dei geni per le porzioni variabili delle catene leggere e pesanti delle Ig. 9 In questo modo vengono originati moltissimi cloni di linfociti B che possono legarsi con affinità molto variabile all’Ag che ha innescato la risposta. II. Selezione delle cellule ad affinità maggiore. 9 Parallelamente Ac che sono stati secreti nelle prime fasi, si legano all’Ag formando complessi Ag-Ac che attivano il complemento. 9 Gli immunocomplessi sono catturati dalle cellule follicolari dendritiche residenti nel centro germinativo ( recettori per Fc degli Ac e per C3b) che espongono l’Ag sulla membrana. 9 In questo modo le APC che continuano a presentare L’Ag fungono da test di prova nei crf dei linfociti B permutati, che verifica l’affinità del legame all’Ag. 9 LfcB con Ac a basso grado di specificità→ apoptosi 9 LfcB con Ac ad alto grado di specificità→ sopravvivenza e differenziazione in plasmacellule (migrazione verso la midollare, ilo) o cellule memoria (migrazione verso il mantello). III. Scambio di classe della catena pesante 227 9 I linfociti B cominciano a produrre anticorpi di classe diversa dalle IgM o IgD: miglior adattamento della risposta umorale allo specifico tipo di patogeni. Linfoma follicolare i. Incidenza: • 35% dei linfomi degli adulti negli U.S.A (forma più comune di LNH ) • 22% dei linfomi altrove • L’incidenza è storicamente associata a maschi adulti (età media 59) ma la malattia di fatto è presente in ogni fascia di età ii. Si presenta solitamente in terzo, quarto stadio: dunque al momento in cui diviene evidente il tumore è gia ampiamente diffuso, facilmente sistemico (tutte le sedi dove vi è linfatico). iii. Ha una mediana di sopravvivenza di 7-10 anni, che è veramente scarsa se il tumore incorre in età giovanile iv. Terapia: • dal momento in cui si è visto che il tumore incorre anche in età giovanile, la terapia è stata modificata perché la mediana di sopravvivenza è così scarsa, che è necessario puntare alla guarigione. • Fondamentale per la terapia è la rilevazione fatta in diagnostica. • La terapia dunque è differenziata in base all’età; in genere non si ha miglioramento con una terapia aggressiva • Efficaci i protocolli con adrimacina Crescita del tumore 1. Formazione di aggregati simil-follicolari Il linfoma follicolare tende più spesso alla formazione di aggregati simil-follicolari che riproducono il centro germinativo. I follicoli neoplastici appaiono però come strutture: → più chiare → di dimensione più omogenea → più addossati → con tendenza all’espansione centrifuga con conseguente fusione. Dunque vi può essere una successione temporale di: 1) crescita follicolare 2) crescita follicolare-diffusa in fasi più avanzate 3) crescita diffusa nelle fai più avanzate come risultato della progressiva fusione dei follicoli tra di loro. Il tumore viene diagnosticato nella terza fase solo nel 5% dei casi. 228 2. Invasione strutture vascolari Il linfoma follicolare nella sua crescita tende all’invasione delle strutture vascolari del linfonodo con conseguente possibile infarto del linfonodo se viene colpita l’arteria afferente del linfonodo. Se la biopsia linfonodale dunque in fase diagnostica vede completa necrosi del linfonodo, si può avere linfoma follicolare. Bisogna dunque procedere a nuova biopsia da un altro linfonodo per verificare l’ipotesi. 3. Sclerosi tipo Bennet Colpisce soprattutto i linfonodi retroperitoneali. Alla diagnosi si palesa come una massa profonda di consistenza lignea spesso sostenuta dal linfoma follicolare. Diagnosi È necessario fare diagnosi differenziale con l’iperplasia follicolare. Iperplasia follicolare: non è una neoplasia ma una reazione adattativa frequente nei casi di - collagenopatia - artrite reumatoide - lupus eritematoso - HIV Le caratteristiche distintive del follicolo neoplastico del linfoma follicolare sono: - - non è distribuito topograficamente, ma interessa tutto il linfonodo i diversi follicoli hanno forma e dimensioni disomogenee per la tendenza alla crescita centrifuga i follicoli comprimono la paracorticale e vengono a trovarsi in una condizione di crescita “schiena-schiena” che prelude la fusione non c’è mantello non vi è distribuzione polarizzata di centroblasti e centrociti Grading istologico del linfoma Si ottiene con utilizzando un ingrandimento molto alto del campione bioptico, detto CAMPO a FORTE INGRANDIMENTO (CFI). Quindi vengono valutati 10 campi a forte ingrandimento, valutando il contenuto in cell.del centro germinativo. • Grado I < 5 centroblasti/CFI 229 • Grado II 5-15 centroblasti/CFI • Grado IIIa >15 centroblasti/CFI Qui la quota di centroblasti è maggiore ma non prevalente • Grado IIIb i follicoli tumorali sono formati quasi esclusivamente da centroblasti Si ha una differenziazione anche molecolare. Il grading orienta anche nella scelta della terapia: • Grado I e II: trattati meno aggressivamente • Grado IIIa: trattati più aggressivamente • Grado IIIb: equiparati con i protocolli più intensivi fra quelli dei linfomi a cellule B come se avessero un linfoma a grandi cellule B diffuso. Fenotipo La diagnosi fenotipica è un criterio oggettivo di valutazione che diviene ancora più importante nella diagnosi di tumori che non hanno una chiara morfologia ed organizzazione architettonica. Il linfoma follicolare essendo un linfoma di derivazione B linfocitaria esprime: Marcatori B (molecole tipiche dei linfociti B) Sono fondamentali per stabilire in modo oggettivo se un linfoma è a cellule T o B, anche perché alcuni linfomi T assumono forma follicolare. - CD19 e CD79a→ marcatori precoci, espressi da cellule pre-B del midollo, ma non da plasmacellule CD20, CD23→ marcatori più tardivi, espressi da cellule B mature Recentemente la molecola CD20 ha acquisito importanza farmacologica. È stata utilizzata infatti come molecola target nei confronti di alcuni farmaci costituiti da Ac monoclinali umanizzati utilizzati come tali o coniugati ad isotopi radioattivi. Questi farmaci in vivo hanno: Se utilizzati come tali: effetto citocida Se marcati radioattivamente: effettuano radioterapia specifica. Questi farmaci hanno però due limiti: a) sono molto costosi b) non colpiscono solo i linfociti B neoplastici ma anche quelli sani, provocando importante immunosoppressione. Dunque per utilizzare come target marcatori CD dei linfociti B devi essere sicuro che le molecole CD siano ampiamente espresse nel soggetto con neoplasia. 230 Di conseguenza essi devono essere sempre ricercati anche nel follow-up, poiché la terapia medesima può portare a scomparsa di questi marcatori anche per lunghi periodi. Marcatori del centro germinativo Sono molecole espresse specificatamente dal linfoma follicolare che consentono di verificare la derivazione dal centro germinativo. - CD10 è una proteina nucleare espressa da cellule B del centro germinativo Bcl-6 è una zincfinger espressa da cellule B del centro germinativo La caratteristica del linfoma follicolare rispetto all’iperplasia follicolare è che si vede la presenza di queste molecole ancheal di fuori dei centri germinativi e dei follicoli. Nell’iperplasia follicolare, queste cellule sono presenti e sono espresse, ma sono confinate ai centri germinativi. Marcatori specifici - espressione solo dell’isotipo K della catena leggera delle Ig Monoclonalità e monotipicità I tumori di derivazione B traggono origine da una cellula aberrante con alterazioni tali da potere prendere il sopravvento sulle altre cellule. Monoclonalità Se il tumore prende origine da una sola cellula, nella maggior parte dei casi il riarrangiamento dei geni per il recettore antigenico precede la trasformazione neoplastica. Dunque le cellule derivate dal progenitore neoplastico condividono la medesima sequenza del recettore per l’antigene e sintetizzano proteine recettoriali per l’antigene identiche. Hanno dunque medesimo riarrangiamento genico per le catene H e L delle Ig. Monotipicità Per quanto riguarda le catene leggere: • • il riarrangiamento per λ si verifica solo se fallisce riarrangiamnto per κ in condizioni normale il carattere isotipo della catena L ha una policlonalità 2/3 κ Nelle cellule neoplastiche invece le cellule hanno: • tutte riarrangiamento κ oppure • tutte riarrangiamento λ 231 Si ha capacità di produrre un solo isotipo di catena leggera delle Ig coerentemente con il tipo di riarrangiamento presente al momento della aberrazione neoplastica. N.B. nel tumore trovi una rete di cellule follicolari dendritiche di sostegno: - più disordinata - più lassa La sua presenza fa supporre che il tumore necessiti nelle sue fasi precoci delle CFD e dunque necessiti di attiva stimolazione antigenica. Frazione di crescita Rappresenta la percentuale di cellule che è in ciclo nel tumore. Si determina attraverso l’evidenziazione immunocitochimica di Ag associati alla proliferazione, come Ki 67. Questo elemento va costantemente valutato perché il grado proliferativi si viene ad integrare con il grado del grading. Es. se hai grading I e FdC elevata è opportuno utilizzare farmaci ciclo-specifici. Genotipo Traslocazione 14→18 È l’anomalia cromosomiale presente nel 90% dei casi. La regione codificante del gene BCL2 (18) viene posta sotto controllo del promoter per il gene della porzione costante della catena pesante delle Ig (14). Il risultato è una sovraespressione di BCL2 BCL2 è un antagonista della morte cellulare apoptotica. Ciò comporta che i linfociti del follicolo neoplastico siano enormemente protetti dall’apoptosi. Nel follicolo normale vi sono fenomeni di selezione, con apoptosi delle cellule che non esprimono Ac ad alto grado di affinità: dunque le cellule norm.sono BCL2 -. Nel follicolo neoplastico, invece normalmente la crescita non è dovuta all’attività proliferativa, che è modesta, bensì da una protezione nei cfr dell’apoptosi (soprattutto grado I e II). Questo rende il tumore più insensibile ai farmaci citostatici e maggiore bersaglio invece di Ac monoclonali, che invece utilizzino come bersaglio molecole come CD20,cioè elementi intrinseci che non hanno nulla a che vedere con la cinetica cellulare. Nei pz con questo tipo di traslocazione essa è utilizzata anche nel follow-up a scopo prognostico: Infatti i pz con residuo anche minimo di traslocazione sotto il profilo molecolare, sono spesso soggetti a ricadute e spesso insensibili ai farmaci. Si rende necessaria spesso una terapia sovramassimale: trapianto. 232 Anomalie atipiche Nel 10% dei casi non vi è traslocazione 14-18. né sovra espressione di BCL2. Questi casi corrispondono a pz: - con linfoma follicolare con interessamenti extranodali - con linfoma follicolare di grado IIIb - di età giovane Sistema quantitativo batman Per utilizzare a scopo terapeutico-prognostico le analisi genotipiche sono necessari sistemi di analisi genetica come questo che è una valutazione quantitativa del numero di copie di un determinato gene. Prevede le dimostrazione che il tipo di riarrangiamento dei linfociti di cui si analizza il genoma sia esattamente quello tipico dell’esordio della malattia. Infatti una traslocazione di BCL2 si potrebbe trovare anche in individui completamente sani, associata a cellule potenzialmente patogene,ma che non hanno subito alterazioni che le abbiano portate ad una completa differenziazione in senso neoplastico. Una così precisa quantificazione genetica permette: 1) differenziazione immediata della terapia 2) esitamento di eventuali falsi positivi, corrispondenti ai pz con mutazioni ma non malati Trasformazione • La trasformazione istologica del linfoma follicolare si verifica nel 30-50% dei casi. • Nel linfoma follicolare come nella leucemia mieloide, nell’andamento evolutivo si può avere dopo molti anni crisi blasticag, con trasformazione in linfoma a cellule blastiche con proliferazione molto maggiore e dunque, date le premesse di protezione dall’apoptosi, con enorme espansione. • Questo solitamente avviene per la presenza di ulteriori anomalie, come una minore espressione di p53, per mutazioni puntiformi o come una maggiore espressione dell’oncogene c-myc, per riarrangiamenti. Oggi vi sono tecnologie che operano scansione dei geni umani. Questo permette l’individuazione dei geni costantemente deregolati in un determinato tipo di patologia. Vengono dunque stabilite firme genomiche associate a cellule neoplastiche o più semplicemente ad elementi reattivi. Nel linfoma follicolare si può avere: 1) firma da risposta immunitaria I (da parte dei linfociti B): comporta prognosi favorevole. 233 2) firma da risposta immunitaria II (monolito-istiocitaria): comporta prognosi sfavorevole Oggi è possibile stabilire la firma gnomica di tipo II anche con semplici indagini immunocitochimiche. Linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso (DLBCL) i. Incidenza: • 30-40% dei tumori linfatici (primo posto in U.S.A., secondo in Europa) • 60-70% delle neoplasie linfoidi aggressive ii. La categoria è stata istituita comprendendo tanti casi, tutti trattabili nella medesima maniera: poi dal 1994 in poi (classificazione REAL/WHO) vi è stata differenziazione. iii. Lo stessa terminologia ci dice che cresce in modo diffuso con cellule di diametro maggiore di 20 µm. iv. Possono essere primitivi (la maggior parte) o secondari a trasformazionedi un altro linfoma (in questo caso, difficilmente trattabili). v. Tipicamente si presentano con un rapido aumento, spesso sintomatico, della massa neoplastica in una singola sede (sede primitiva) che può essere nodale o extranodale (prognosi migliore). Morfologia 1. 75% dei casi: composizione citologica polimorfa. Cellule grandi ma non simili 2. Variante centroblastica (minor parte dei casi): composizione citologica omogenea 3. Variante immunoblastica:cellule multilobate a profilo immunoblastico, con ampia rima citoplasmatica e grosso nucleolo. 4. Variante anaplastica: cellule a profilo reniforme. 5. Linfoma a grandi cellule B ricco in linfociti T: le cellule tumorali si accompagnano e sono circondate da grandi quantità di elementi reattivi. È una forma che può essere confusa con il linfoma di Hodgkin: questo errore può essere fatale, perché questa è una forma molto aggressiva che, se trattata come il linfoma di Hodgkin, progredisce con estrema rapidità. 6. Variante con sclerosi: si ha reazione fibro produttiva con tendenza delle cellule ad essere suddivise da tralci fibrosi (compartimentalizzazione). È frequente in sedi extranodali (primitivo dell’osso, retrosternale). 234 Fenotipo Marcatori generali B Analoghi a quelli del linfoma follicolare. Testimoniano la derivazione B linfocitaria del tumore. Espressione di CD5 CD5 è una molecola che era denominata in passato molecola T1, perché considerata come primo marcatore dei linfociti T. Successivamente si è visto che questa molecola può occorrere anche in piccole popolazioni di linfociti B ed in particolare in condizioni normali, negli elementi del mantello ( di conseguenza anche nei tumori mantellari). È una molecola espressa nel 10% dei linfomi a grandi cellule B di tipo diffuso. I DLBCL che sono CD5+ sono anche ciclina D1- e questo aiuta nella diagnosi differenziale, poiché invece i tumori mantellarisono CD5+ e ciclina D1+. Il 10% dei DLBCL che esprime la molecola CD5 è: - più aggressivo - le cellule neoplastiche tendono a localizzarsi all’interno delle strutture vascolari. Se vi sono molte cellule tumorali all’interno dei vasi sanguigni il trattamento terapeutico può provocare massiva sindrome da lisi tumorale a causa della morte delle cellule dentro i vasi. Marcatori del centro germinativo L’espressione dei marcatori del centro germinativo CD10 e BCL2 è variabile. Se presente riconduce ad una derivazione delle cellule dal centro germinativo. Ciò non porta a confondere il DLBCL con un linfoma follicolare per le evidenti differenze nel tipo di crescita e nella composizione cellulare. IRF4 (Interferon4 Regulating Factor). È una molecola che compare normalmente nelle cellule del centro germinativo che hanno superato la selezione clonale e che dunque si trovano alla periferia del centro germinativo (migrazione nella midollare→ plasmacellule; migrazione nel mantello→ cellule della memoria. Il massimo dell’espressione di IRF4 si ha nelle plasmacellule già formate che esprimono anche CD138. Altri marcatori IRTA-1 è prodotto dall’omologo gene che fa parte di un gruppo di geni di regolazione della produzione delle catene delle Ig. Frequentemente espresso nella zona marginale, dove i linfociti B selezionati e maturi si collocano transitoriamete prima di migrare come plasmacellule mature nei cordoni midollari. 235 CD30 è un marker di attivazione, espresso caratteristicamente dai linfociti B e T attivati. È molto espresso anche nelle varianti del linfoma di Hodgkin classico. Genotipo • processo di ipermutazione (50% dei casi): interessa: 1) geni che vanno normalmente incontro ad ipermutazione (BCL 6 e FAS) 2) geni che normalmente non vanno incontro ad ipermutazione→ ipermutazione aberrante (PIM-1, Rho/TFF, c-myc, pax 6) • traslocazioni: interessano principalmente il gene Bcl 6, perché in esso vi è un punto fragile, comportando riarrangiamento con una serie di partners molecolari. • Alterazioni legate a forme di tumore secondarie: 1) Riarrangiamenti di c-myc 2) Anomalie di p53 3) Riarrangiamenti di Bcl 2 4) Mutazioni di Bcl 6 Studi basati su micro-array Vi sono 2 tipi di micro-array: 1) Genomici: la fnz è la valutazione del profilo di espressoine genica 2) Tissutali: la fnz è la valutazione del profilo di espressione proteica Micro-array genomici Su un supporto di piccola taglia poniamo gli acidi nucleici tratti dai geni: il supporto è in grado di contenere parecchie migliaia di geni fino alla totalità del nostro genoma. Questo tipo di micro-array consente la valutazione dell’espressione dei geni, legata ad un processo patologico, dunque consente di valutare il profilo di espressione genica→gene expression profile. In un processo neoplastico ne verifica la firma genomica, confrontandola con la firma genomica della controparte normale, permettendo dunque di conoscere quali e quanti geni sono espressi patologicamente nei confronti della controparte normale. In particolare nel linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso il confronto viene fatto tra: 1) geni delle cellule del DLBCL 2) geni delle cellule del centro germinativo 3) geni dei linfociti B del sangue periferico, sottoposti dunque a processo di attivazione. Rispetto alla controparte normale la tecnica di micro-array mette in evidenza la presenza di: - geni espressi normalmente: si evidenziano come rettangoli neri - geni sovraespressi: si evidenziano come rettangoli rossi - geni sottoespressi: si evidenziano come rettangoli verdi 236 In questo modo divengo in grado di fare un raggruppamento gerarchico; raggruppo tutti i linfomi con simile firma. Attraverso questa metodica dunque vengo a differenziare 3 sottogruppi all’interno dei DLBCL: 1) gruppo con firma simile a quella del centro germinativo: linfomi correlati al centro germinativo. Nel 70% dei pz si ha prognosi favorevole con guarigione. 2) Gruppo con firma simile a quella degli elementi linfoidi attivati: linfomi attivati. Solo il 20-30% dei pz ha prognosi favorevole con guarigione e lunghe aspettative di vita. 3) Gruppo non classificabile, con firma diversa: è venuto fuori in un recente studio condotto su 274 persone. Dunque questa distinzione viene ad avere anche un valore diagnostico-prognostico. Il limite delle tecniche di micro-array genomico risiede nella necessità di assoluta freschezza del materiale che si esamina, perché l’mRNA deve essere assolutamente intatto. A tal scopo il materiale deve essere congelato a bassissime temperature non appena prelevato e spedito ai laboratori di analisi con tutte le precauzioni. Questo costituisce un elemento davvero limitante, tanto da avere reso necessaria la ricerca di alterative della tecnica di gene expression profilino. 1. aprile 2004: si prende in considerazione l’espressione di solo 6 geni (non necessità di utilizzare micro-array) ed in base a questo vengono differenziati tre gruppi simili a quelli trovati con la tecnologia di micro-array 2. ricerca dei prodotti proteici dei geni de-regolati. Utilizzo di micro-array tissutali. Micro-array tissutali Si cerca l’espressione deregolata delle proteine, in ragione dell’espressione deregolata dei corrispondenti geni. I risultati sono valicati su una casistica molto ampia, creando algoritmi in grado di ricostruire esatamente quelli che sarebbero i risultati della gene expression profiling. Il vantaggio è che il materiale proteico è sempre presente e disponibile e non ha necessità di grosse precauzioni per la conservazione. Esempio: Analisi dei prodotti proteici dei geni: Bcl 6/CD10 IRF4 Bcl 2 CD 138 CD 30 IRTA-1 237 L'analisi di questo limitato numero di proteine porta alla caratterizzazione di un profilo di espressione proteica che consente la suddivisione dei DLBCL in tre sottogruppi comparabili a quelli ottenuti con micro-array genomico. La tecnologia micro-array dunque permette una classificazione ed identificazione dei tumori basata solo su criteri biologici ed oggettivi e non morfologici e soggettivi. Accanto a questi tre sottogruppi genotipici vi sono poi dei sottotipi clinico patologici del DLBCL. Una delle forme più importanti è Linfoma a grandi cellule B primitivo dell’intestino i. ii. Prevalente nelle donne con età intorno ai 30 anni. La presentazione della malattia è quasi sempre drammatica venendo a costituire spesso delle vere e proprie situazioni di emergenza. iii. Nonostante questo all’esordio clinico la massa tumorale, è piuttosto grossa (diametro >20cm.) ma contenuta interamente nel mediastino (no metastasi). iv. In 1/3 dei casi al momento dell’esordio clinico è presente la sindrome della vena cava superiore che vede reflusso di sangue a livello della vena cava superiore con edema. v. Terapia: prevede la possibilità di tre approcci: • Protocollo CHOP: è molto utilizzato dagli americani ma garantisce solo un 40% di guarigione • Protocollo MACOP-B + radioterapia: è il protocollo più utilizzato in ambito europeo. Garantisce un 80% di guarigioni. • Terapia sovramassimale: prevede trapianto di midollo osseo generalmente autologo e porta a guarigione una percentuale di pazienti di poco maggiore del protocollo MACOP-B vi. Ricadute frequenti in sedi extranodali: polmone, fegato, reni, intestino, gonadi. Morfologia - Cellule di grandi dimensioni. Rima citoplasmatica evidente e chiara Cellule delimitate da ampi tralci fibrosi: sclerosi da compartimentalizzazione. Sono confusi molto spesso con 1. tumori di derivazione da cellule germinali 2. tumori di origine epiteliale (carcinoma timico nella variante a cellule chiare) data l’aggregazione adesiva delle cellule e la reazione fibrotica. Fenotipo Marcatori generali B 238 Marcatori comuni al DLBCL Bcl-2 (78%) Bcl-6 (55%) IRFA4 (75%) Marcatori comuni al linfoma di Hodgkin CD30 Presente nell’86% dei linfomi a grandi cellule B primitivi del mediastino. È comune anche al linfoma di Hodgkin con il quale è necessaria fare diagnosi differenziale. Mancanza completa di espressione delle Ig. Sono presenti tutti i fattori di trascrizione che dovrebbero portare alla produzione di Ig, ma vi è incapacità della loro produzione, probabilmente a causa di un riarrangiamento. Questo è un carattere in comune con il linfoma di Hodgkin di tipo classico anche se in esso è dovuto ad un difetto trascrizionale e non di riarrangiamento. Marcatori che permettono diagnosi differenziale con LdH CD45+ presente su tutti i leucociti, anche noto come antigene comune ai leucociti (LCA). Non espresso nei linfomi di Hodgkin CD15 tipico dei granulociti. Anche espresso in alcune varianti del linoma di Hodgkin. Marcatori specifici Proteina MAL ( dal nome dello scopritore, Miguel Alonso): è espressa nel 70% dei casi di linfoma a grandi cellule B primitivo del mediastino. Compare difficilmente nei DLBCL e nei linfomi di Hodgkin. Genotipo Amplificazione di c-rel Costantemente presente l’amplificazione di c-rel, che entra a fare parte della via di traduzione del segnale Nfκβ che conduce all’apoptosi cellulare. Non si tratta dunque di un tumore protetto dall’apoptosi Sovraespressione del gene FIG1 Assolutamente caratteristica e peculiare di questo tumore Anomalia a livello di p9 È un amplificazione a livello del braccio corto del cromosoma 9, con conseguente guadagno, che si osserva anomalia cromosomica ricorrente caratteristica. La firma genomica di questo tumore è assolutamente diversa da quella dei DLBCL, mentre invece anche nella firma genica si ha ampia corrispondenza con i linfomi di Hodgkin. 239 Probabilmente tutte e due le patologie derivano da cellule dendritiche presenti: - a livello del timo : sono molto abbondanti e dette cellule B asteroidi - in altre sedi Linfoma di Burkiit Linfoma di Burkiit tipico (LBT): Clinica: E’ il più aggressivo! 1) Endemico: - In Africa Centrale ovvero in territorio malarico. - Colpisce principalmente i bambini. - Si localizza tipicamente a livello della mandibola e delle Gonadi. 2) Sporadico: - In Occidente. - Età variabile. - Si localizza nell’intestino (tumefazione addominale), gonadi ed SNC (in particolare in corso di HIV). ** I soggetti con infezione da HIV sono la principale categoria a rischio nel linfoma con interessamento del SNC, tanto che nei primi studi sull’HIV era stata ipotizzato il linfoma di Burkitt come causa dell’HIV medesimo. Questa correlazione ha determinato un aumento del numero dei casi di questa forma di linfoma negli ultimi anni, in associazione con l’aumento dell’HIV. E’ altamente invasivo, cresce a macchia d’olio Æ in età pediatrica si tratta con successo con terapie aggressive. (+ arduo in età adulta) Morfologia: Endemico e sporadico sono istologicamente identici. • • • • • • • • • Cell con dimensioni simili Diversi nucleoli Cromatina densa e reticolare Rima citoplasmatica estremamente basofila Limiti cell poco definitiÆ simile a un sincizio Numerose mitosi X campo Numerosi corpi apoptotic Macrofagi adibiti allo smaltimento dei corpi mitotici Aspetto a “Cielo Stellato” Æ Dovuto al citoplasma chiaro dei macrofagi Fenotipo: • • Bcl-6 e CD10+ Æ Marcatori tipici del centro germinativo Bcl-2¯ Æ Spiega le numerose mitosi osservabili. 240 • • C-myc+ Mib-1+ 100% Æ ??? Linfoma di Burkiit atipico (LBA): Clinica: Si differenzia per una maggiore differenza di volume cell. Occorre sempre in età adulta. Richiede terapie molto aggressive (megaterapie). Morfologia: Cell con dimensioni variabili. Alcune cell sono grandi con differenziazione plasmoblastica. Fenotipo: • • • • CD10¯ Bcl-6¯ Bcl-2+ Æ ma non soggetto a traslocazione Mib-1+ 90% Æ E’ un valore comunque alto che giustifica le numerose mitosi. Æ Genotipo: • Endemico: - Vi è la traslocazione del gene dell’oncogene c-myc vicino al promoter del gene per la porzione costante della catena pesante delle I Ig (t8-14). La sovrapproduzione di c-myc comporta l’entrata in circolo di tutte le cell portanti la traslocazione. - Il genoma cell è EBV+!!! • Sporadico: - Vi è una deregolazione di c-myc causata dalla t.8-14 dalla t2-8 (catena leggera k) o dalla t8-22 (catena leggera λ). - EBV+ negli HIV+ (50%) e negli HIV- (25%). • Atipico: - t8-14 sempre presente! **Ipotesi sulla patogenesi della forma endemica: Questa forma di tumore è costantemente associata alla coinfezione latente del virus EBV. 241 Secondo un ipotesi del 2004 pubblicata da “the Lancet Oncology” l’integrazione del virus EBV è un fattore predisponente ma non sufficiente per generare da sola il linfoma. EBV ha funzione immortalizzante nei confronti dei linfociti infettati, favorendone la proliferazione, ma vi è necessita di altre interazioni. All’infezione da EBV segue spesso l’infezione da plasmodi, che causano la malaria. La malaria fornisce un’ulteriore spinta proliferativa ai linfociti B, indebolendo oltretutto l’azione dei linfociti T, che eliminerebbero le cellule infette. Segue in molti casi l’infezione da Arbovirus, trasmessa dalle mosche; essa fornisce alle cellule immortalizzate e proliferanti uno stimolo immunitario, cioè le porta ad un processo di maturazione. La maturazione comporta anche processi di ipermutazione e scambio di classe della catena pesante, che aumentano le possibilità di rischio di insorgenza di alterazioni nel DNA, come la traslocazione del gene c-myc. Infine un ulteriore fattore predisponente può essere il contatto con Euphorbia tirucalli, un vegetale utilizzato nella zona africana come medicamento e come gioco. Ognuno di questi fattori è predisponente ad un danno al DNA, non riparato dai sistemi enzimatici cellulari, con conseguente definitiva trasformazione in senso neoplastico: l’insorgenza del tumore è un processo multistep. Ricapitolando…. • • • EBV: immortalizza le cell Malaria: causa una spinta proliferativa nelle cell dell’ S.I. Arbovirus: anche questi scatenano una proliferazione delle cell dell’S.I. • Euphorbia Tirucalli: vegetale usato come decotto o come gioco dai bambini inoltre le loro epidemie sono correlate a picchi di LBT. ed è capace di danneggiare il DNA facilitando le traslocazioni. Linfoma da cellule mantellari (LCM) *Mantello: Porzione del follicolo non omogenea a causa delle due tipologie di cell presenti; Cell vergini e Cell della memoria. La disomogeneità cellulare è riflessa a livello molecolare, per quanto riguarda l’espressione fenotipica. A dispetto della disomogeneità vi è però un elemento comune. Gli elementi B che entrano nel mantello cominciano ad esprimere la molecola CD5 (molecola che fu individuata come caratteristicamente T dipendente e poi fu trovata espressa anche da alcune popolazioni B). 242 Clinica: • • • Consiste nel 3-10% dei linfomi non-Hodgkin a livello mondiale (3% USA, 7-9% UE) Colpisce prevalentemente maschi in età avanzata (5°-6° decade di età). Al momento della diagnosi la malattia è già diffusa a livello sistemico interessando: - anello del Waldayer - milza (polpa bianca) - midollo osseo (70%) - componente circolante (10%) - intestino (poliposi linfomatosa di cui è la causa principale!) Morfologia: • • • Cell piccole con profilo ripiegato (asse max 8 µm) Nucleo ripiegato Scarso citoplasma ÆLe cell possono essere di tre varietà: 1. Classico 2. Blastoide: Simile al linfoma linfoplastico (cell precursori) 3. Polimorfa: Più voluminose, simili al linfoma a DLBCL Æ All’inizio accresce a livello del mantello (crescita mantellare) dopodichè si espande in direzione centripeta verso il centro germinativo formando dei noduli (crescita nodulare). Infine, in una fase tardiva, i noduli si fondono tra loro (crescita diffusa). Nel 70% dei casi la diagnosi avviene in questa fase. Fenotipo: • • CD5+ e CD23¯ Æ per distinguerlo dalla leucemia linfocitica cronica Ciclina D1+ (95%) Æ quasi sempre diagnostica per questo linfoma Genotipo: Si ha una t11-14. Sul cromosoma 11 vi è il gene B1-1 che codifica per la Ciclina D1. Il gene per la Ciclina D1 viene traslocato sul cromosoma 14 finendo sotto il controllo del promoter del gene per la porzione costante delle catene pesanti delle Ig. La sovraespressione del gene comporta una sovrapproduzione di Ciclina D1 che promuove il passaggio G1-S. Bcl-2+ è normale perché sia le cell vergini che le cell della memoria sono cell che devono vivere a lungo e questa proteina li preserva dall’apoptosi. 243 Prognosi e Terapia I casi con cospicue frazioni di crescita (Ki-67) nel 50% dei casi muoiono entro l’anno. Questi casi, se trattati in maniera convenzionale, hanno poche chance. In generale possiamo avere due derivazioni utili ai fini diagnostici: • Cell non-mutate (vergini) : 75% dei casi, sono le + aggressive • Cell altamente mutate (cell della memoria): forme meno aggressive Una terapia convenzionale con questo tipo di tumore dà poche possibilità di guarigione. Normalmente vengono soprattutto trattati con terapia sovramassimale. Linfoma Della Zona Extranodale (LZME) Questi linfomi derivano dalla zona marginale dei follicoli del MALT. La zona marginale è la porzione più periferica del follicolo secondario. E’ molto sviluppata nella milza, nelle placche di Peyer e nei linfonodi mesenterici. In questi organi linfoidi vi è una concentrazione di plasmacellule superiore a quella presente nei cordoni della midollare perché il tratto gastroenterico viene a contatto ripetutamente con elementi potenzialmente infettivi. Æ Il MALT è diviso in due tipi: • Congenito: rappresentato da aggregati linfoidi nella mucosa del tenue e del colon • Acquisito: rappresentato da masse di tessuto linfoide che si possono localizzare in sedi disparate (polmoni, tiroide, ghiandole salivari, stomaco, cute) in seguito a un processo infettivo o autoimmune. Questi due fenomeni possono anche comparire associati. ¾ A seguito del fenomeno flogistico e/o autoimmune si organizza un tessuto linfoide precedentemente assente. ¾ Questo nuovo sistema è organizzato in focolai. ¾ La sua organizzazione interna è differente dalle linfoghiandole. ¾ Possiede sistemi di ricircolo peculiari. ¾ Possiedono componenti linfocitari regolatori (CD4 e CD8 soppressori) Dopo la maturazione i linfociti migrano nella zona marginale e in seguito nei linfonodi regionali. Da questo punto in poi possono intraprendere due vie per maturare a plasmacellule: Æ 98% ritornano nell’organo di provenienza. Æ 2% penetra nel dotto toracico e migra verso disparate zone anatomiche. L’intero processo è regolato dai recettori α4β7 e dalla molecola di adesione MAdCAM-1 244 Il 2% degli elementi linfoidi che migra verso sedi anatomiche differenti da quella di provenienza servono per proteggere gli altri organi da una seconda eventuale esposizione all’Ag in una sede diversa da quella del contatto primario. In sostanza cercano di anticipare e prevenire una seconda infezione rendendo immunocompetenti tutti gli organi nei confronti di quel determinato Ag!! Gli LZME sono spessi correlati alla presenza di microrganismi: • Gastrico: Helycobacter Pilorii • Cutaneo: Borrelia Burgdoferi • Oculare: Chlamydia Psittacii • Intestino: Campylobacter Jejuni LZME Gastrico: Correlazioni con infezione da H. Pilorii Questo linfoma è associato alla formazione di MALT gastrico che causa, a lungo termine, fenomeni autoimmuni. Vi è anche una correlazione con l’infezione da Helycobacter Pilorii in particolare dello stipite CagA+ che risulta essere il più virulento. Questo stipite stimola una massiva produzione di IL-8 che, a sua volta, stimola massivamente l’attività ossidativa dei neutrofili aumentando le probabilità di danno al genoma dei linfociti B! L’infezione da H. Pilorii è causa, più frequentemente, di LZME che di carcinoma a livello gastrico e, nelle zone ad alto tasso d’infezione da questo microrganismo, gli LZME raggiungono il 20% dei linfomi totali! Si è notato che mettendo in coltura le cellule del linfoma da sole esse morivano. Se, invece, le cellule venivano messe in coltura con h. Pilorii ed elementi del sistema T linfocitario (CD40-CD40 ligando/CD153) il tumore proliferava. Ciò portò a scoprire che l’uso della terapia antibiotica volta a eliminare H. Pilorii causa anche remissione del linfoma in una porzione significativa dei casi! Sono documentati anche casi correlati all’infezione da HCV che regrediscono dopo trattamento con ribavirina. Morfologia Cell di piccola taglia con diversi profili e forme: > simili ai centrociti: confondibili con linfoma mantellare > simili a plasmacellule >… La patologia è la medesima nonostante la forma! 245 Vi sono, inoltre, diversi elementi strutturali: ¾ Hanno la tendenza ad aggredire le strutture ghiandolari della mucosa gastrica causando lesioni linfoepiteliali normalmente assenti. ¾ Assumono una distribuzione focale che interessa estesamente il parenchima dell’organo; per questo motivo in passato la gastrectomia parziale risultava inefficace. Diagnosi e Trattamento Serve l’endoscopia con prelievo di materiale bioptico per verificare il livello di penetrazione nella parete gastrica. ÆLe lesioni molto infiltrative e con interessamento delle linfoghiandola di rado regrediscono con la terapia antibiotica, servono altre soluzioni terapeutiche. In caso di funzionamento dell’antibiotico il linfoma va in necrosi. Dopo è opportuno eseguire biopsie a intervalli regolari per tenere sotto controllo la situazione e prevenire eventuali recidive: • 1° biopsia a distanza di un mese per valutare l’eradicazione del batterio. • 2° biopsia 3 mesi dopo per valutare la risposta del tessuto neoplastico (nel caso non risponda serve il cambio della terapia). • 3° biopsia sempre a distanza di 3 mesi per controllare • 4° biopsia si possono cominciare ad effettuare a intervalli di 6 mesi/1 anno per tutta la vita. In alcuni casi la PCR può evidenziare una piccola banda monoclonale che può rappresentare lo stipite linfoide alterato ma in realtà non è predittivo, serve sempre e comunque la biopsia. Fenotipo Il marker principe di questa patologia è IRTA-1 espresso dagli elementi della zona marginale. Genotipo In questo tipo di linfoma si hanno cell che non vanno più incontro a ipermutazioni, le mutazioni somatiche che presentano sono stabili. Vi è un riarrangiamento dei geni per le Ig in particolare per le IgVh in concomitanza con tre differenti tipi di traslocazioni: • t14-18: è una traslocazione differente da quella del linfoma follicolare che porta il gene MALT1 sotto il controllo del promoter delle catene H delle Ig causando la sua sovraespressione. • t1-14: questa traslocazione porta il gene Bcl-10 sotto il controllo del promoter per le catene H delle Ig che porta a una sovraespressione di MALT1 • t11-18: questa traslocazione si riscontra nel 35% dei casi e porta alla creazione di un gene di fusione API1-MALT1 che porta a una sovraespressione di MALT1. 246 Tutte e tre le traslocazioni portano alla sovraespressione del gene MALT1 che porta alla sovrapproduzione di NFK-β che protegge la cell dall’apoptosi. Schema di Isaacsson E’valido nel 55% dei casi perché nel restante 45% la malattia non regredisce in seguito a terapia antibiotica. Vi sono due elementi discriminanti: ¾ Profondità dell’infiltrato ¾ Anomalie cromosomiche I casi in cui la malattia non risponde alla terapia antibiotica sono tre: • La malattia è occorsa in assenza di H. Pilorii • Il linfoma si altamente infiltrativi • Le cellule neoplastiche portino nel loro genoma t1-14 o t11-18 Linfoma di Hodgkin Così chiamato perché scoperto nel Gennaio del 1832 da Thomas Hodgkin, che lo descrisse sulla base di sette casi studiati, dei quali ancora oggi 5 sono validi e sono riconosciuti come casi facenti parti del LH. È un tumore del tessuto epiteliale che è del tutto sui generis in quanto presenta: - molte poche cellule neoplastiche (1-2%) del tessuto esaminato - un abbondante pabulum reattivo che contiene le cellule neoplastiche. Cellule neoplastiche Sono di due tipi : 1) cellule di Hodgkin: unilobate 2) cellule di Reed-Stenberg: plurilobate Le caratteristiche comuni ai due tipi di cellule sono le seguenti: 1) si tratta di cellule molto grandi (in particolare le cell. RS hanno diametro > 60µm. 2) Hanno nucleoli molto sviluppati che occupano più del 50% della spf del nucleo ed in particolare vi è presenza sempre di un grande nucleolo con le caratteristiche di un inclusione aventi le dimensioni di un piccolo linfocita. 3) La loro particolare morfologia fa sì che ci si possa riferire a loro come a cellule diagnostiche. 4) Sono contenute in un pabulum citologico reattivo (infiammatorio) non neoplastico. Questo fa sì che la loro presenza, sia diagnostica della malattia. Pabulum reattivo È formato da elementi linfoidi e non linfoidi. Si tratta di un corteo infiammatorio che è dovuto all’elevato scambio di mediatori chimici fra il tessuto neoplastico ed i tessuti limitrofi. 247 I mediatori chimici possono essere prodotti sia da cellule neoplastiche, sia da cellule dei tessuti limitrofi, e possono avere azione paracrina, così come azione endocrina, di autostimolaziione. Bisogna comunque sottolineare che le cellule di accompagnamento contenute nel pabulum reattivo costituiscono la grande prevalenza celllulare e che le cellule neoplastiche si trovano ad essere in netta minoranza. Istogenesi del LH L’istogenesi del LH è stata a lungo sconosciuta, tanto che inizialmente si parlava di malattia di Hodgkin. Solo in un secondo momento si è scoperta la derivazione linfoide di questa malattia e le si è dato il nome di Linfoma di Hodgkin. Classificazione del LH Il linfoma di Hodgkin si può sostanzialmente dividere in due tipi principali, a loro volta suddivisibili in sottotipi. A. LH a prevalenza linfocitaria • Nodulare • Diffusa B. LH di tipo comune ( di più frequente osservazione • Forma ricca di linfociti (RL): la componente reattiva è rappresentata da linfociti • Forma a sclerosi nodulare (SN): vi è tendenza della popolazione reattiva e neoplastica ad aggregarsi in noduli circondati da tralci fibrosi molto grossolani • Forma a cellularità mista (CM): pabulum molto ricco con popolazione reattiva molto varia. • Forma a deplezione linfocitaria (DL) la componente reattiva ha pochi linfociti. Linfoma di Hodgkin a prevalenza linfocitaria - è una varietà rara che costituisce il 4-5% dei casi di LH. Le caratteristiche cliniche distintive sono: I. picco di incidenza verso i 40 anni → distribuzione unimodale che è rappresentabile con una curva gaussiana. II. Tendenza alla diffusione nell’organismo uguale a quella dei LNH. Il LH non insorge mai primitivamente nel midollare ma sempre in una linfoghiandola e da qui può quindi distribuirsi variamente all’organismo. III. Decorso indolente. 248 IV. Spesso presenta recidive a distanza di anni dal momento della remissione completa (anche dieci anni o più), ma la prognosi è migliore di quella della forma comune. V. La malattia ha evoluzione trpida che dunque non progredisce in modo rapido e sistematico. VI. Nella sua evoluzione può anche progredire in un linfoma a grandi cellule B secondario. Dunque questa forma di tumore ha un decorso clinico del tutto peculiare, per molti lati dissimile da quello della forma comune del linfoma di Hodgkin. Quindi il problema nel trattamento di questa forma è rilevante. Su di esso vengono applicate le medesime terapie utilizzate per la forma comune ma si tratta molto speso di terapie sovradosate. Nella terapia vengono utilizzati farmaci tossici che a loro volta possono essere causa di tumori secondari. Attualmente è in via di definizione una terapia ottimale nel rapporto costi/benefici. Forma nodulare Costituisce l’80% delle forme a prevalenza linfocitaria. È caratterizzata dalla presenza di un infiltrato di noduli costituiti da piccoli linfociti B (cellule di accompagnamento)frammisti ad un numero variabile di istiociti benigni ed alle cellule neoplastiche. Cellule neoplastiche: le cellule diagnostiche qui sono molto difficili da ritrovare e sono invece più comuni cellule definite cellule pop-corn. Le caratteristiche delle cellule pop-corn sono le seguenti: - cellule voluminose. - Presenza di un nucleo polilobato ed alla periferia policiclico., simile ad un nocciolo di pop-corn. - Nucleoli appariscenti - Cromatina finemente dispersa. - Citoplasma relativamente abbondante Le cellule pop-corn sono cellule neo-plastiche e sono le cellule che si riscontrano più comunemente nel nodulo. I noduli delle forme a prevalenza linfocitaria entrano in diagnosi differenziale con l’involuzione del centro germinativo. Terminata la sua funzione infatti il centro germinativo evolve in diversi modi uno dei quali viene definito, centro germinativo progressivamente trasformato. La denominazione è infausta poiché fa pensare ad una trasformazione neoplastica, quando in realtà si tratta di una normale involuzione del centro germinativo e sua sostituzione con linfociti del mantello. La diagnosi differenziale sembra facile, poiché nel LH a prevalenza linfocitaria vi è presenza delle cellule pop-corn, che sicuramente sono assenti nell’involuzione normale del centro germinativo. 249 Tuttavia la diagnosi differenziale è complicata dal fatto che può capitare di vedere le due strutture contemporaneamente in un medesimo linfonodo. Si possono trovare soggetti: - soggetto con un linfoma di Hodgkin che nella precedente biopsia mostrava centri germinativi progressivamente trasformati. - Soggetto nel quale il linfoma di Hodgkin sia stato trattato con successo, che nelle biopsie successive presenta centri germinativi progressivamente trasformati. Questo ci porta a concludere che sebbene il centro germinativo progressivamente trasformato non sia un elemento neoplastico, né sia la causa del LH a prevalenza linfocitaria, costituisce tuttavia un fattore di rischio, che può involvere in questa forma di tumore. Forma diffusa Costituisce il 20% delle forme a prevalenza linfocitaria. È dovuta alla diffusione ed alla fusione dei diversi noduli contenenti cellule pop-corn, dunque la sua realizzazione spesso rappresenta una progressione della malatia. La progressione biologica e clinica comporta anche ad una variazione delle cellule reattive di accompagnamento: - perdita delle cellule follicolari dendiritiche - mutazione Linfociti B → Linfociti T. Questo porta ad una necessaria diagnosi differenziale con il T cell rich B linphoma (linfoma a grandi cellule B ricco in linfociti T). Oggi esistono marcatori molecolari che consentono una distinzione con questo tumore ( e con altre forme di tumori): ciò è molto importante da un punto di vista terapeutico perché il linfoma a grandi cellule B ricco in linfociti T è molto più aggressivo e va dunque trattato diversamente. Immunofenotipo delle forme a prevalenza linfocitaria - - - - Ag comune linfocitario: questo è un Ag molto espresso dagli elementi emolinfopoietici e presente anche nelle cellule pop-corn. Costituisce inoltre un elemento distintivo, poiché la varietà comune manca di esso. Marcatori dei linfociti B: • CD20→ cellule pre-B e cellule B mature non plasmacellulari. • CD79→ cellule pre-B e cellule mature EMA ( Epithelial Mbr Antighen) o Ag epiteliale di membrana: scoperto per la prima volta su elementi epiteliali, ma non ristretto agli stessi. È caratteristico del linfoma di Hodgkin. Bcl-6: molecola che connette il linfoma di Hodking alle cellule del centro germinativo. Questa correlazione è confermata da dati di biologia molecolare. Oct-2, BOB1, PU1 sono molecole facenti parte di un sistema trascrizionale che codifica per i geni che regolano la trascrizione delle Ig. È integrato ed altamente conservato. 250 Le cellule neoplastiche (forma nodulare) si trovano immerse in un pabulum reattivo costituito da linfociti, principalmente B, ma anche linfociti T. In particolare nell’intorno della cellula neoplastica vi è una rosetta di cellule che non esprimono i marcatori B. Si tratta di una rosetta di T linfociti (esprimenti CD57) e di cellule follicolari dendritiche, presenti in grande quantità, le quali confermano la correlazione fenogenetica del tumore con le cellule del centro germinativo. Genotipo delle forme a prevalenza linfocitaria La derivazione da cellule del centro germinativo è confermata d studi di biologia molecolare. Solitamente gli studi di biologia molecolare sono compiuti tramite estrazione del DNA o dell’mRNA neoplastico, dal campione patologico, poiché le cellule neoplastiche sono le cellule prevalenti nei campioni. In questa forma di linfoma però le cell. neoplastiche rappresentano solo l’1-2% delle cellule presenti, dunque l’estrazione di DNA o mRNA dal campione porta lettura del genotipo solo degli elementi reattivi. Dunque deve essere utilizzata una metodologia differente: 1. le cellule sono scontornate: dunque vengono prelevate da materiale fresco crioconservato singole cellule tumorali. 2. una decina di cellule neoplastiche sono poste in provetta 3. Dunque viene fatta estrazione del DNA o dell’mRNA solo da cellule tumorali. DNA: il processo di processazione dl DNA e riconoscimento del profilo di espressione genica è stato del tutto completato. Si è utilizzata single-PCR cioè reazione polimerasica a catena sul DNA estratto da singole cellule. Ciò permette i capire che le cellule neoplastiche del LH a prevalenza linfocitaria sono: a. tutti linfociti B b. monoclinali c. portano molte mutazioni somatiche le quali spesso sono in fieri e non del tutto completate (iopening mutations). Tutto ciò permette di ricondurre questo tumore ad una derivazione dalle cellule del centro germinativo. De resto il CG da origine a molti tumoi di diversa natura proprio per la sua intrinseca instabilità. Terapia Viene erroneamente affermato che dal linfoma di Hodgkin si guarisce con grande frequenza. In realtà il 30% dei pz con LH non risponde alla terapia e va incontro a morte. 251 Questo è vero in particolare modo per il tipo comune di LH, che è anche quello di assoluto maggiore riscontro. LH a prevalenza linfocitaria → se recidiva (cosa abbastanza frequente) risponde nuovamente alla medesima terapia. LH di tipo comune → non sempre risponde alla terapia: - fin dall’inizio - dopo recidive: esse non rispondono a terapie anche sovramassimali. - Andamento strisciante: nonostante la terapia il tumore rimane torpido o crea uno strano equilibrio con l’ospite. Attualmente si sta cercando di raccogliere una casistica ampia di pz che non rispondono con successo alla terapia in modo da creare un confronto efficace fra: - profilo di espressione genica dei pz che rispondono alla terapia - profilo di espressione genica dei pz che non rispondono alla terapia. La terapia del LH si è cmq molto modificata dagli anni 60 in poi: - - una volta veniva utilizzata la terapia MOPP: questa sembrava dare un enorme numero di risultati positivi, ma successivamente ha determinato un 20% di tumori secondari di altro tipo. Attualmente si sta ancora studiando la terapia. Il linfoma di Hodgkin presenta ancora problemi e ciò è dimostrato dalla larga fetta di persone non responsive alle terapie, nonostante la prevalenza di una prognosi positiva. Linfoma di Hodgkin di tipo comune Presente in 4 varietà istologiche fondamentali: - ricco in linfociti RL a sclerosi nodulare SN a cellularità media CM a deplezione linfocitaria DL le quali presentano un progressivo aggravamento da un punto di vista prognostico. La distribuzione con l’età è bimodale, dunque vede due picchi: - nel passaggio fra la seconda e la terza decade : fra i 16 ed i 25 anni - nel passaggio fra la sesta e la settima decade: fra i 60 ed i 70 anni Questa forma di neoplasia presenta una possibile correlazione con il virus EBV e ciò è dimostrato dall’età prevalente di manifestazione del tumore: Il primo picco del tumore si ha infatti nell’età in cui si ha più frequentemente il primo contatto con EBV, e si contrae inizialmente la mononucleosi infettiva. 252 Il secondo picco del tumore si ha invece ad un età in cui si ha spesso un fisiologico abbassamento delle difese immunitarie, con conseguente riattivazione del virus latente. La modalità di diffusione di questo tumore è ordinata e progressiva (sulla base del postulato di Kaplan???) Questo significa che il tumore ha inizio da una stazione linfonodale e progressivamente, seguendo l’andamento della linfa coinvolge i nuovi linfonodi. È proprio sulla base di questa diffusione ordinata e progressiva del LH di tipo comune che è stata enunciata una stadiazione dei tumori,che risulta applicabile a molti tumori, ma valida soprattutto per il LH di tipo comune. Grado I: interessamento di una sola regione linfonodale (I) o interessamento di un singolo organo o sito extralinfatico (IE). Grado II: interessamento di due o più regioni linfonodali dal medesimo lato del diaframma (sotto o sopra) (II) o interessamento del solo organo e tessuto extralinfatico contiguo (IIE) Grado III: interessamento delle regioni linfonodali su entrambi i lati del diaframma (III), o interessamento che comprende la milza (IIIs), o/e interessamento che comprende il solo organo o sito extralinfatico contiguo (IIIE, IIIES). Grado IV: focolai multipli e disseminati di interessamento di uno o più organi o tessuti extralinfatici, con o senza coinvolgimento linfatico. Questa stadiazione comporta il fatto che non vi può essere coinvolgimento contemporaneo di un solo linfonodo e del midollo osseo. La milza viene a costituire un coinvolgimento importante. Naturalmente via via che si avanza di grado si hanno prospettive prognostiche peggiori. La stadiazione è dunque predittiva della prognosi e molto importante da un punto di vista terapeutico. Essa richiede un attento esame obiettivo e diagnostico, comprendente procedure di imaging radiologico dell’addome, della pelvi e del torace nonché biopsia del midollo osseo. LH di tipo comune ricco in linfociti È una forma rara di LH di tipo comune. Veniva in passato inserita nella più ampia categoria di LH a prevalenza linfocitaria, poiché le cellule di accompagnamento sono piccoli linfociti. Ha assunto successivamente autonomia poiché: - non ci sono cellule pop-corn - le cellule diagnostiche sono di frequente osservazione e non eccezionali. - L’espressione fenotipica è quella del normale LH. Risulta tuttavia necessaria diagnosi differenziale con LH a prevalenza linfocitaria. 253 Nella maggior parte dei casi i linfonodi sono infiltrati diffusamente, però può essere a volte osservata vaga nodularità. È associata all’EBV nel 40% dei casi ed ha una prognosi da molto buona ad eccellente. LH tipo comune a sclerosi nodulare È la forma più comune costituendo il 65-70% dei casi. Presenta varietà di distribuzione geografica con grande prevalenza in Italia, Francia U.S.A. Nel Nord Europa invece rappresenta solo un 20-30% dei casi di LH. Interessa prevalentemente giovani donne. Nella maggior parte dei casi esordisce con una massa neoplastica mediastinica, il che dimostra una correlazione con il linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso a prevalenza mediastinica. L’integrazione del virus EBV è dimostrata nel 33% dei casi, fra cui la quasi totalità dei casi presenti in Africa. La morfologia di questo tumore è caratterizzata da: 1) struttura del linfonodo con • aggregati nodulari • reazione fibrotica ordinata, con formazione di bande di sclerosi, che di solito originano dalla capsula, che circondano e dividono i noduli. 2) si trovano poche cellule diagnostiche 3) si ritrova grande prevalenza di un tipo particolare di cell. neoplastiche, le cellule lacunari, caratterizzate da: • un solo nucleo, leggermente ripiegato o multilobato. • Citoplasma chiaro con pochi organuli. • Se si esegue trattamento con mezzi chimici aggressivi il citoplasma si raddensa intorno al nucleo, lasciando lacune nello spazio citoplasmatico (artefatto di fissazione, che attualmente non si riscontra più, per l’uso di mezzi chimici più delicati). 4) il pabulum è molto variabile e le cellule neoplastiche sono circondate da un vero e proprio corteo di cellule reattive: linfociti, plasmacellule, eosinofili, macrofagi. Grading del LH-SN Fornisce fattori prognostici: SN di tipo I: - più comunemente poche cell. neoplastiche in abbondante pabulum reattivo. 254 SN di tipo II: - Si verifica quando si presenta un quadro citologico differente; noduli che contengono molte cellule neoplastiche e molte cellule fibrose o istiocitarie. - più dell’80% dei noduli deve avere composizione fibro-istiocitaria. Più del 25% dei noduli deve avere prevalenza di cellule neoplastiche È più aggressivo e richiede dunque un trattamento diversificato. Linfoma di tipo comune a cellularità mista Costituisce circa il 25-30% dei casi di linfoma. È di più comune osservazione nei soggetti di sesso maschile. Il coinvolgimento linfonodale prende la forma di un coinvolgimento più o meno diffuso e più o meno composto della struttura delle linfoghiandole. L’infiltrato cellulare è molto eterogeneo comprendendo: piccoli linfociti, eosinofili, macrofagi, plasmacellule, frammiste a cellule neoplastiche. Le cellule neoplastiche in questo tumore sono facilmente identificabili, ma non prevalenti. Vi è un maggior numero di cellule di Reed-Stenberg. Vi è integrazione del virus EBV nel 90% dei casi. La prognosi è molto buona Linfoma di tipo comune a deplezione linfocitaria È molto raro venendo a costituire meno del 5% dei casi di linfoma. È caratterizzato dalla scarsità di linfociti contrapposta ad una relativa abbondanza di cellule neoplastiche. Ve ne sono due sottotipi: 1. fibroso o fibro-istiocitario: composto da fibroblasti e da cellule istiocitarie. 2. sarcomatoso prevalenza di cellule neoplastiche Queste due varianti sembrano riunire quella che è l’istologia del linfoma di tipo comune a sclerosi nodulare di tipo II: la differenza fra questa due forme è però fondamentale perché nel linfoma DL non vi è presenza di noduli. La componente fibrosa o sarcomatosa si diffonde in modo uniforme in ogni tessuto interessato dal tumore, sostituendosi omogeneamente ai linfociti, senza dare luogo ad alcun aspetto nodulare. Questo linfoma è un linfoma più aggressivo e con prognosi meno favorevole dei precedenti. In particolare la forma sarcomatosa, che è la più aggressiva, entra in 255 diagnosi differenziale con il linfoma a grandi cellule B di tipo diffuso e con il linfoma a cellule anaplastiche. DL va riconosciuto, perché si tratta invece di una forma più aggressiva. È spesso associato con l’integrazione del virus EBV. Fenotipo del Lh di tipo comune CD30+: i linfomi di Hodgkin di tipo comune hanno costante espressione di questa molecola, inizialmente descritta come caratteristica esclusiva dei LH su “Nature”. In realtà anche se questa molecola è sempre presente nei Lh di tipo comune, non è ristretta ad essi. Si può trovare anche in situazioni neoplastiche linfoidi di altro genere o in espressioni non neoplastiche. È infatti una molecola caratteristicamente espressa da elementi linfoidi attivati celllule B attivate, cellule T e monociti). È espressa in modo variabile anche dalle cellule diagnostiche. Può essere utilizzata anche come bersaglio terapeutico di Ac monoclinali. Si tratta di una immunoterapia ancora gestita da un numero limitato di centri ed utilizzata come terapia integrativa, volto all’eliminazione di malattia residua. La sua espressione nel linfoma di Hodgkin va di pari passo con la negatività dello stesso per: Ag comune linfocitario – Ema espressa eccezionalmente. CD15+: è una molecola normalmente espressa dai granulociti. È presente almeno nel 75% dei Lh di tipo comune. CD45 – questo differenzia nettamente la forma a prevalenza linfocitaria da quella di tipo comune. Marcatori di linea B (CD20, CD79) o di linea T: - 75% dei casi fenotipo NULL: negatività per l’espressione di marcatori B e T - 23% dei casi espressione di marcatori prevalentemente di tipo B - 1-2% dei casi espressione di marcatori di linea T: si tratta di tumori spesso non coerenti anche con le altre caratteristiche molecolari di questo tumore. BSAP (B Specific Activator Protein)+: È una molecola molto espressa fin dalle fasi più precoci dello sviluppo degli elementi B. Si tratta infatti della prima molecola specifica espressa dai linfociti B, che si mantiene fino al livello di plasmacellule. Il 98% dei Lh di tipo comune esprime questa molecola nelle cellule tumorali diagnostiche. Dunque la maggior parte dei casi riconosce in questo modo una derivazione delle cellule neoplastiche dai linfociti B. Questo marcatore è importante perché invece, come si è visto, molto spesso il fenotipo per i marcatori di linea B o T è null, e per le diagnosi differenziali con gli altri tipi di tumori. 256 Bcl6 – Oct-2, BOB1, PU1 -: manca il sistema trascrizionale tipico dei tumori a prevalenza linfocitaria. IRF4+ indicativo del fatto che le cellule neoplastiche derivano da elementi B che hanno già lasciato il centro germinativo. Genotipo del LH di tipo comune Viene utilizzata nella maggior parte dei casi, la tecnica di isolamento delle cellule tumorali già menzionata per il LH a prevalenza linfocitaria. La single PCR mostra che nella maggior parte dei casi sussistono riarrangiamneti clonali dei geni per le immunoglobuline il che conferma che il tumore tragga origine dalle Ig che hanno già attraversato il centro germinativo. Solamente nell’1-2% dei casi vi è un riarrangiamento dei geni per il TCR, il che conferma l’occasione derivazione degli elementi neoplastici dai linfociti T. Cinetica cellulare La cinetica è connessa con lo studio della frequenza di proliferazione e di apoptosi di un dato tipo di cellule. Le cellule neoplastiche del Lh di tipo comune presentano citocinesi inefficiente. Si ha che il 60-90% delle cellule neoplastiche esprime Ag legati alla proliferazione celllulare. Secondo questo dato, dunque le cellule neoplastiche dovrebbero rapidamente soverchiare le cellule reattive, ma ciò non avviene. Questo si spiega attraverso la dimostrazione del fatto che le cellule sono in ciclo, ma si trovano congelate in ciclo: solo una piccola parte arriva alla fase terminale del ciclo e dunque va incontro a reale moltiplicazione. In compenso si tratta di cellule molto protette dall’apoptosi, con basso indice apoptotico. Questo consente una loro, seppur modesta, crescita. Il fatto che la maggior parte delle cellule si trovi in ciclo, rende le cellule sensibili ai farmaci ciclo-specifici. Lo studio della cinetica cellulare prevede la valutazione dell’espressione di Bcl-2 ( che ha attinenza con la protezione dall’apoptosi) e di p53 ( che si collega ad una citocinesi inefficace, bloccando le cellule in un punto del ciclo). I casi che vedono espressione di p53 e contemporaneamente di Bcl-2 hanno comportamento più aggressivo: in questo modo questi elementi concorrono alla identificazione di un rischio individuale. 257 Connessione con EBV Il virus di Epstein-Barr si trova integrato nel menoma delle cellule neoplastiche in una quota notevole di casi: - 33% dei casi in forma SN - 40% dei casi in forma RL - 90% dei casi in forma CM Le cellule neoplastiche con integrazione di EBV esprimono le LMP (Late Membrane Protein) che, stimolando la produzione di NFK-β, sono in grado di indurre la proliferazione cellulare e proteggere le cell dall’apoptosi; sono dunque oncotrasformanti. Nei casi in cui EBV si trova ad essere integrato, dunque, esso viene a fare parte della linfomagenesi. Attualmente è in discussione l’utilità preventiva di una eventuale vaccinazione contro EBV per prevenire il linfoma di Hodgkin. L’associazione tra EBV ed il tumore è confermata da dati epidemiologici di conferma: - soggetti ce hanno contratto la mononucleosi infettiva hanno maggiore probabilità di ammalarsi di LH. - LH presenta spesso andamento stagionale, con maggiore insorgenza in primavera. Inoltre alla correlazione con EBV è stato riconosciuto un significato prognostico: a. EBV contratto in età giovanile: non vi è significato prognostico negativo. b. EBV contratto in età senile: fattore prognostico molto negativo. Terapia È auspicabile che le tecniche di gene expression profiling consentiranno di fare un confronto tra le mutazioni genetiche presenti: - nei casi che rispondono alle terapie - nei casi che non rispondono alle terapie. Attualmente però il profilo di espressione genica è stato studiato su un numero di linee cellulari troppo limitato, che non rispecchia la varietà e la casistica dei linfomi di Hodgkin presenti in realtà. Per il momento questi studi, hanno dimostrato la notevole diversità dei linfomi a prevalenza linfocitaria, con i linfomi del tipo comune e questo porta ad avere dei dubbi sull’ attuale protocollo terapeutico, che prevede la somministrazione della medesima terapia ad entrambe le forme, dove quella a prevalenza linfocitaria è sicuramente meno aggressiva. 258 Tumori dell’ipofisi Cenni strutturali: Organo dalla forma circa di un fagiolo. - Dimensioni: diametro 1cm. aumenta nel periodo gravidico - Peso: 0.5g. - Localizzazione: alla base del cranio, all’interno della sella turcica, nelle vicinanze del chiasma ottico e dei seni cavernosi. - Collegata all’ipotalamo attraverso il peduncolo ipofisario, che fuoriesce dalla sella turcica mediante un foro della dura madre. - Funzione: con l’ipotalamo regolazione delle altre ghiandole endocrine. Suddivisione dell’ipofisi: L’ipofisi è suddivisa in tre parti principali: 1. lobo anteriore o adenoipofisi: • parte distale: componente più importante • parte intermedia • parte tuberale: localizzata sulla spf del peduncolo ipofisario. 2. zona intermedia: residui cistici della tasca di Rathke 3. lobo posteriore o neuroipofisi: • infundibulo • peduncolo • lobo posteriore Adenoipofisi Costituisce circa l’80% della ghiandola Deriva embriologicamente dalla tasca di Rathke (estroflessione della cavità orale, dalla quale viene separata dalla progressiva crescita dell’osso sferoidale) Dotata di un sistema vascolare di tipo portale che costituisce il mezzo di trasporto degli ormoni ipofisari, ma anche ipotalamici. Tipi cellulari dell’adenoipofisi Classificazione su basi tintoriali - Cellule cromofobe (50%). Assumono pochi coloranti. Non producono ormoni o li - producono, ma li rilasciano con eccessiva velocità. Cellule acidofile (40%). Assumono coloranti acidi. Cellule basofile (10%). Assumono coloranti basici. È una classificazione desueta, poiché oggi si sa che l’affinità ai coloranti è espressione solo della loro funzionalità secretoria cioè dei granuli contenuti. Dunque la cellula cromofoba è semplicemente una cellula non secernente o secernente troppo in fretta, ma ciò non ha grossa rilevanza da un punto di vista clinico-patologico. Classificazione funzionale È quella attualmente utilizzata: riflette la classificazione dei tumori. 259 1. Cellule gonadotrope (10%) (FSH-LH): • sono cellule solitamente basofile • producono FSH → stimola la formazione dei follicoli ovarici • producono LH → induce l’ovulazione e la formazione del corpo luteo. 2. Cellule tireotrope (5%) (TSH) • Sono cellule solitamente debolmente basofile. • Producono TSH → ormone tireo-stimolante 3. Cellule somatotrope (50%) (GH) • Sono cellule solitamente acidofile. • Secernono GH → ormone della crescita 4. Cellule lattotrope (mammotrope) (20%) (PRL) • Sono cellule solitamente acidofile • Secernono prolattina → ruolo essenziale nella lattazione 5. Cellule corticotrope (15-20%) (ACTH) • Sono cellule solitamente basofile. • Secernono principalmente ACTH → ormone adenocorticotropo • Ma anche propiomelonocortina, MSH (ormone stimolante la crescita dei melanociti), endorfine, lipotropina. Adenomi dell’ipofisi - incidenza: 10-25% dei tumori intracranici età: soprattutto donne fra la 3° e la 6° decade di età; il tumore può insorgere anche correlato alla gravidanza ed è frequente data l’alterazione ormonale. Dopo gli 80 anni è colpito un 20% dei soggetti I sintomi clinici sono: cefalea, deficit visivo, incoscienza. Numero: meno dell’1% è dato da tumori multipli La distinzione di questi tumori può essere fatta in base a tre caratteristiche: 1. dimensione del tumore: • Microadenomi: diametro < 1 cm. • Macroadenomi: diametro > 1 cm. 2. benignità o malignità: • Benigni: comportamento usuale • Maligni: forme molto rare che sono solitamente localizzate nello spazio subaracnoideo, e che possono dare metastasi a distanza. 3. invasività: • non invasive: localizzate all’interno della sella turcica • invasive: Generalmente di maggiori dimensioni Hanno maggiore probabilità di dare sintomatologia evidente Sono loco-regionali nell’esordio 260 Successivamente infiltrano dura madre, pavimento della sella turcica, seno sferoidale, nervi, dunque interessano le varie strutture all’interno della sella. L’invasività determina una prognosi peggiore Il trattamento terapeutico è più complesso 4. funzionalità: • Adenomi ipofisari silenti: vi è dimostrazione immunoistochimica e/o ultrastrutturale della produzione ormonale solo a livello tissutale, senza sintomi clinici riferibili a iperproduzione ormonale. Sono i più voluminosi. Costituiscono un terzo dei tumori ipofisari operati. Possono rendersi clinicamente manifesti in una fase più tardiva rispetto a quelli con sintomi endocrini e per tale motivo si presentano più spesso come macroadenomi. • Adenomi ipofisari funzionanti: Associati ad aumentati livelli ormonali e conseguenti manifestazioni cliniche. Sono i più frequenti. • Adenomi ipofisari non secernenti o da disfunzione endocrina: Iperpituitarismo (70%) dei casi Ipopituitarismo (30%) dei casi o da distruzione o compressione della ghiandola o per interferenza con il rilascio di ormoni ipotalamici. Gli adenomi ipofisari sono generalmente costituiti da un singolo tipo cellulare e producono un singolo ormone predominante, sebbene vi siano eccezioni. Alcuni adenomi possono secernere due ormoni (GH e prolattina rappresentano l’associazione più frequente), più raramente si hanno adenomi a secrezione multipla. Sintomi loco regionali - - - - cefalea: • da stiramento della dura madre • da idrocefalo compromissione dei nevi intracranici: • disturbi visivi • oftalmoplegia • compressione 1° e 2° branca del trigemino compromissione del chiasma ottico: • emianopsia eteronima bitemporale: vengono compresse nel chiasma le porzioni nervose che portano il segnale dalla porzione esterna bilaterale del campo visivo rinorrea liquorale e/o meningi ricorrenti: • rare, da erosione della sella turcica. 261 Aspetti macroscopici - consistenza soffice forma irregolare: questo rende spesso difficile la completa escissione chirurgica. Aspetti istologici Modalità (pattern) di crescita: - solido - alveolare - trabecolare - papillare (ACTH+): associato più frequentemente ad iperpituarismo - pseudoghiandolare (gonadotropo): associato più frequentemente ad iperpituarismo - fusiforme Mitosi scarse o assenti Calcificazioni (7%) e depositi ialini di tipo amiloide soprattutto nelle forme a PRL. Quseti depositi sono visibili anche con tecniche di imaging). Classificazione degli adenomi Classificazione istologica tradizionale degli adenomi - cromofobi acidofili basofili Classificazione immunoistochimica ed ultrastrutturale Attualmente viene utilizzata questa classificazione funzionale che tiene conto delle alterazioni ormonali. - adenomi PRL • sparely granulated (26%) • densely granulated (1%) - adenomi GH • sparely granulated (7%) • densely granulated (7%) - adenomi misti GH e PRL (8%) adenoma funzionale corticotropo ACTH (14%) adenoma tireotropo (1%) adenoma gonadotropo (6%) adenoma null (26%) adenomi pluriormonali non classificati (4%) La classificazione in densely granulated e sparely granulated è aggiuntiva, ma di scarsa rilevanza prognostica e non fondamentale da un punto di vista clinicopatologico. Si basa sulla presenza di granuli di tipo endocrino nelle cellule tumorali. 262 1. Forme densamente granulate: appaiono ricche di granuli voluminosi ripiene di prodotto ormonale e sono più intensamente cromofile. 2. Forme scarsamente colorate:granuli più piccoli, RER ben sviluppato, Golgi molto evidente, possibili aggregati di filamenti intermedi e/o ormoni. Sono spesso cromofobe. Prolattinomi Rappresentano il tipo più frequente di adenoma ipofisario iperfunzionante. Costituiscono il 30% degli adenomi ipofisari diagnosticati clinicamente. Microscopicamente si dividono in: - prolattinomi a granuli sparsi (sono i più frequenti): cellule debolmente eosinofile o cromofobe. - Prolattinomi a granuli densi (rari): cellule fortemente eosinofile. Metodi immunoistochimici, cioè Ac anti-prolattina, mettono in evidenza accumuli di prolattina nei granuli di secrezione citoplasmatica. I prolattinomi vanno incontro a calcificazioni di tipo distrofico, che vanno da piccoli corpi psammomatosi (piccoli depositi di calcio) a estesi depositi calcifici che possono occupare l’intera massa tumorale. (calcoli ipofisari), fino alla deposizione di materiale ialino simil-amorfo o simil-amiloide. Ciò può realizzarsi spontaneamente o dopo trattamento del prolattinoma con bromocriptina (antagonista dei recettori per la dopamina che è in grado di indurre una diminuzione delle dimensioni del tumore). La secrezione di prolattina da un adenoma funzionante è un processo caratterizzata da: - Efficienza: può causare iperprolattemia - proporzionalità: secrezioni di prl proporzionali alle dimensioni dell’adenoma Clinica Nella donna (20-40 anni): sindrome galattorrea- amenorrea: abbiamo un genizio attraverso i dotti galattofori, associato ad amenorrea (quadro simil-gravidico). I microadenomi incorrono in maggiore misura nell’età fertile. I macroadenomi sono più rari ed incorrono di più in età avanzata. Nell’uomo: galattorrea associata spesso all’impotenza C’è una maggiore frequenza di adenomi. Adenomi somatotropi (GH-secernenti) Secondo tipo più frequente di adenomi funzionanti. Il 40% dei casi presentano un’alterazione genetica che si esprime in un deficit dell’attività GTPasica. 263 Possono raggiungere notevoli dimensioni, in quanto le alterazioni che da essi derivano progrediscono per decenni prima di essere diagnosticate. Microscopicamente si dividono in 2 sottogruppi: - A granuli sparsi: cellule cromofobe con notevole polimorfismo nucleare. Debole reattività immunoistochimica al GH. - A granuli densi: cellule uniformi ed acidofile. Forte reattività immunoistochimica al GH. Clinica Nell’infanzia o nell’adolescenza (non si ancora completata la saldatura delle epifisi): - gigantismo: aumento generalizzato delle dimensioni corporee ed ossa di lunghezza sproporzionata. Nell’adulto (si è già completata la saldatura delle epifisi): - acromegalia: • Eccessiva crescita di cute, tessuti molli, visceri (tiroide, cuore, fegato, surreni), ossa di faccia, mani e piedi (dita grandi “a salsiccia”). • Iperostosi: maggiore densità ossea della colonna vertebrale • Prognatismo: aumento delle dimensioni della mandibola che protrude, con allungamento della parte inferiore della faccia. A volte vi sono forme miste, se prese in età tardo-adolescenziale. Sono più frequenti i macroadenomi con espansione soprasellare ce può portare ance a manifestazioni compressive nell’adulto (compressione del chiasma). La terapia mira a riportare i livelli di GH nella norma ed a ridurre i sintomi legati alla compressione da parte della massa, cercando di non provocare ipopituitarismo. Il tumore può essere rimosso chirurgicamente oppure distrutto attraverso terapia radiante, o ancora viene ridotta la secrezione di GH attraverso terapia farmacologica. Adenomi corticotropi Sono adenomi generalmente funzionanti che al momento della diagnosi sono generalmente di piccole dimensioni (microadenomi). Microscopicamente si dividono in 2 sottogruppi: - A granuli sparsi: più occasionali - A granuli densi: più frequenti. Clinica 1. Adenomi funzionanti: • sindrome di Cushing: iperproduzione surrenalica di cortisolo (stimolata dall’ACTH) • sindrome di Nelson: si tratta di adenomi deostruenti di grosse dimensioni 264 generalmente insorgono dopo rimozione chirurgica delle surrenali a seguito del trattamento per la sindrome di Cushing. Si verifica dunque a seguito della perdita dell’effetto inibitorio esercitato dai corticosteroidi surrenalici su un microadenoma corticotropo pre-esistente. Non sono pz con ipercortisolismo, ma presentano un notevole effetto-massa da adenoma ipofisario Possono presentare iperpigmentazione cutanea a causa della stimolazione dei melanociti da parte dell’MSH. 2. Adenomi silenti: • si tratta di adenomi che pur producendo ACTH non lo liberano, che mancano dunque della fase escretoria. • L’ACTH rimane dunque a livello cellulare causando un accumulo ed un ingrossamento delle cellule secretorie. • Per questo motivo gli adenomi silenti tendono ad essere macroadenomi e ad andare incontro ad apoplessia, cioè necrosi massiva dovuta alla compressione esercitata dall’adenoma. • L’apoplessia comunque si verifichi ( si può verificare anche a seguito di alterazioni neoplastiche, o a seguito di emorragia ostetrica) è molto temibile e peggiora notevolmente la prognosi. Adenomi gonadotropi Forme non molto frequenti. Forme di difficile identificazione poiché: - spesso non sono funzionanti (secrezione ormonale inefficace e variabile). - I prodotti secreti solitamente non provocano sintomatologia evidente. Clinica Presenti soprattutto in uomini e donne di mezza età. Solitamente questi tumori causano ipopituitarismo, cioè deficit complessivo nella produzione di ormoni da parte dell’adenoipofisi. Ciò è dovuto alla compressione dell’ipofisi nella sede sellare e soprasellare da partesi un macroadenoma. Dunque i segni sono di tipo compressivo: allo slargamento della sella turcica ed alla compressione del chiasma segue una sintomatologia neurologica caratterizzata da: - disturbi della visione - cefalea - diplopia - a volte apoplessia ipofisaria da compressione In rari casi la sintomatologia con cui si presentano questi tumori è proprio dovuta al secondario deficit nella secrezione di gonadotropine. Per esempio un deficit nella secrezione dell’LH può portare: - negli uomini: diminuito testosterone→ diminuita forza fisica e libido - nelle donne in pre-menopausa → amenorrea 265 Adenomi a cellule tireotrope Sono rari: 1% degli adenomi ipofisari Sono costituiti da cellule cromofobe o basofile Causa poco frequente di ipetiroidismo Adenomi non funzionanti Comprendono: - adenomi funzionanti ma clinicamente silenti - adenomi non secernenti Costituiscono il 25% di tutte le neoplasie ipofisarie Non hanno evidenza immunoistochimica né clinico-laboratoristica di produzione ormonale. Età: soprattutto individui adulti. Sede: sellare o soprasellare Clinica: segni compressivi a volte associati ad ipopituitarismo (effetto-massa) In passato erano classificati come adenomi null a causa dell’impossibilità di dimostrare la presenza di un marker di differenziazione. In realtà le caratteristiche ultrastrutturali e biochimiche della maggior parte degli adenomi null permettono oggi la loro caratterizzazione come tumori gonadotropi silenti. I veri adenomi non secernenti sono rari. Adenomi pluriormonali I più frequenti sono quelli con produzione mista di GH-PRL. Sono neoplasie più aggressive della media: si tratta di macroadenomi con proprietà invasive. Ci si può trovare di fronte a due tipi di situazioni: - tumori in cui un medesimo tipo cellulare genera più ormoni: • si tratta di tumori derivanti da progenitori pluripotenti e dunque ancora in grado di produrre tutti i tipi ormonali, delle cellule dell’adenoipofisi. • Sono neoplasie da precursori degli elementi maturi - tumori dati da una mescolanza di cellule che producono tipi ormonali differenti: • forma derivante da cellule mature. • Elementi citologici con diversa capacità funzionale. 266 La tiroide Struttura normale Ghiandola endocrina, del peso di 15-25 gr. formata da due lobi laterali uniti da un istmo sottile. Frequentemente si ritrova anche un lobo piramidale al di sopra dell’istmi come residuo embriologico del dotto tireoglosso. Derivazione embriologica: estroflessione dell’abbozzo dell’epitelio faringeo, che dal forame cieco si porta in basso fino alla regione cervicale anteriore. Occasionalmente è possibile riscontrare tessuto tiroideo ectopico alla base della lingua (tiroide sublinguale) o in altre sedi comunque nella parte alta del collo. Raramente questo tessuto può subire una trasformazione neoplastica e divenire sede di carcinoma tiroideo primitivo. Irrorazione: da parte delle arterie tiroidee superiori (→ dalla carotide esterna) e delle arterie tiroidee inferiori (→ dalla succlavia). Struttura: suddivisione per mezzo di sottili setti fibrosi in lobuli, ognuno composto da 20-40 follicoli. I follicoli sono rivestiti da epitelio cuboidale o colonnare e sono ripieni di un materiale colloidale dato dalla tireoglobulina. Meccanismo di funzionamento della secrezione tiroidea: ipotalamo: produzione di TRH ↓ ipofisi: produzione di TSH (tireotropina) ↓ legame TSH-recettore a livello dell’epitelio follicolare ↓ incremento dei livelli intracellulari di cAMP nell’epitelio follicolare ↓ conversione tireoglobulina → tiroxina (T4) e triiodotironina (T3) da parte delle cellule dell’epitelio follicolare ↓ rilascio di T4 e T3 nel circolo sistemico (T4 prodotta in quantità molto maggiori), dove questi peptidi si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche (globulina legante la tiroxina e transtiretina) Il legame alle proteine plasmatiche è funzionale al mantenimento dei livelli di T3 e di T4 liberi entro limiti precisi ed ad assicurare una loro rapida disponibilità a livello dei tessuti. ↓ Nei tessuti periferici si ha conversione della maggior parte di T4 libero in T3, che rappresenta la forma attiva. ↓ Legame T3→recettori nucleari per gli ormoni tiroidei, con formazione di un complesso multiproteico ormone-recettore. ↓ Legame del complesso neoformato a specifici elementi di risposta all’ormone tiroideo, nei geni bersaglio, con conseguente regolazione della trascrizione. ↓ Complessivo aumento del metabolismo basale 267 L’ormone tiroideo svolge anche un importantissima funzione nello sviluppo cerebrale. L’ormone TSH prodotto dall’ipofisi stimola anche l’incremento di volume della ghiandola tiroidea. Il TSH, così come il TRH sono però inibiti da meccanismi a feedback negativo mediati dall’incremento dei livelli di T3 e di T4 nel sangue. Vengono perciò chiamate gozzigeni una serie di composti che agiscono a livello della tiroide determinando inibizione della sintesi di T3 e di T4, con conseguente aumento dei livelli di TSH, non più inibito a feedback e stimolazione abnorme della tiroide, con iperplasia della ghiandola. Ipertiroidismo La tireotossicosi è lo stato ipermetabolico che si viene a determinare in conseguenza degli elevati livelli ematici delle frazioni libere di T3 e di T4. La tireotossicosi può essere dovuta a: - Ipertiroidismo → la grandissima parte delle tireotossicosi - Tiroidite subacuta granulomatosa (dolorosa) → per abnorme liberazione di ormoni tiroidei preformati - Tiroidite subacuta linfocitaria (indolore) → per abnorme liberazione di ormoni tiroidei preformati - Ormoni tiroidei di origine extratiroidea (struma ovarico, tiretossicosi esogena, con apporto esterno di tiroxina) Dunque l’ipertiroidismo è la causa primaria di tireotossicosi. L’ipertiroidismo si suddivide in: - ipertiroidismo primario → causato da alterazioni intrinseche della tiroide - ipertiroidismo secondario → causato da processi extra-tiroidei Le patologie che comportano più frequentemente ipertiroidismo e di conseguenza anche tireotossicosi sono 3: - iperplasia diffusa della tiroide o malattia di Graves- Basedow gozzo multinodulare iperfunzionante adenoma tiroideo iperfunzionante Clinica Le manifestazioni cliniche sono molteplici e sono dovute 1. allo stato ipermetabolico 2. all’iperattività del sistema nervoso simpatico. Cute: - aumento del metabolismo basale che comporta aumento del flusso ematico e della vasodilatazione periferica; la cute e calda ed arrossata e frequentemente si ha intolleranza al caldo. Cuore: - aumento del fabbisogno di ossigeno periferico ed aumento della contrattilità cardiaca che comportano aumento della portata cardiaca - tachicardia, palpitazioni e cardiomegalia di comune riscontro - insufficienza cardiaca congestizia in particolare nei pz anziani, con cardiopatie preesistenti Sistema neuromuscolare: 268 - l’iperattività del sistema nervoso simpatico determina la comparsa di tremori, iperattività, instabilità emotiva, ansia, inacpacità di concentrazione, insonnia. - Frequentemente debolezza dei muscoli prossimali - Frequentemente riduzione della massa muscolare Alterazioni oculari - iperstimolazione simpatica del muscolo elevatore della palpebra superiore che comporta fissità dello sguardo e retrazione palpebrale. - Esoftalmo vero e proprio come caratteristica esclusiva del morbo di GravesBasedow Sistema gastrointestinale: - aumento della motilità intestinale con conseguente malassorbimento e diarrea Sistema scheletrico: - stimolazione del riassorbimento osseo con aumento della porosità e diminuzione di volume dell’osso → osteoporosi e maggior rischio di fratture A livello sistemico - perdita di peso nonostante l’aumento dell’appetito Crisi tireotossica: brusca insorgenza di un grave ipertiroidismo, che si presenta in genere in pazienti con malattia di Graves- Basedow in atto ed è probabilmente causata da improvviso aumento dei livelli di catecolamine, dovuto ad uno stress di qualsiasi genere. I pazienti presentano febbre e tachicardia molto forte. La crisi tireotossica viene a costituire un’emergenza medica Ipertiroidismo apatico: ipertiroidismo che insorge in soggetti anziani, nei quali l’età avanzata ed i processi metabolici concomitanti determinano attenuazione della sintomatologia. Diagnosi - Screening iniziale: determinazione dei livelli sierici di TSH che devono essere bassi (elevata inibizione a feedback negativo) - Test di conferma: determinazione del T4 e del T3 liberi. Solitamente è il T4 ad essere elevato ( è normalemente presente in concentrazioni maggiori). In rari casi il T4 è normale o ridotto e si ha aumento dei livelli di T3. Nei rari casi di ipertiroidismo secondario (dovuto ad alterazioni ipofisarie), i livelli di TSH sono normali o aumentati. - per determinare l’eziologia della tireotossicosi: determinazione della captazione dello iodio radioattivo da parte della tiroide. Possono essere riscontrati: ¬ aumento globale della captazione di iodio da parte dell’intera ghiandola (morbo di Graves-Basedow) ¬ aumento della captazione in un singolo nodulo (adenoma) ¬ ridotta captazione (tiroidite) Ipotiroidismo Stato ipometabolico da insufficienza della ghiandola tiroide, con conseguenti bassi livelli ematici di T3 e di T4. Anch’esso può essere: - primario → anomalia intrinseca tiroidea. A sua volta può essere: • tireoprivo: dovuto ad assenza o perdita di tessuto tiroideo 269 • associato a gozzo: dovuto alla mancata secrezione degli ormoni tiroidei, con continuo stimolo da parte del TSH,e conseguente ingrandimento della tiroide secondario → alterazioni ipofisarie terziario → alterazioni ipotalamiche Le cause dell’ipotiroidismo primario, che è quello di gran lunga più frequente sono le seguenti: 1. apporto di iodio deficitario: non vi può essere organificazione dello iodio cioè legame dello iodio ossidato ai residui di tireoglobulina, passaggio fondamentale per la formazione degli ormoni tiroidei. 2. ablazione chirurgica o ablazione indotta da radioterapia del tessuto tiroideo 3. ipotiroidismo autoimmune: è la causa principale di ipotiroidismo associato a gozzo nelle regioni geografiche ad adeguato apporto di iodio. Nella maggior parte dei casi è dovuto a tiroidite di Hashimoto 4. farmaci, somministrati allo scopo di ridurre la secrezione tiroidea 5. difetti congeniti nel metabolismo tiroideo: sono una causa di ipotiroidismo non così diffusa. Possono coinvolgere uno qualsiasi dei passaggi della sintesi di ormoni tiroidei 6. sindrome di resistenza agli ormoni tiroidei: è molto rara e dovuta a mutazioni ereditarie dei recettori leganti gli ormoni tiroidei, che conseguentemente non possono esercitare la loro azione, pur essendo presenti in grandi quantità in circolo. La medesima resistenza si ha anche a livello dell’ipofisi, con conseguente mancata inibizione a feedback, cosicché anche i livelli di TSH tendono ad essere elevati. Clinica Le mannifestazioni cliniche dipendono dall’età di insorgenza: - durante lo sviluppo fetale e nella prima infanzia → cretinismo - nelle età successive → mixedema CRETINISMO Ritardo nello sviluppo fisico e mentale, inapparente alla nascita, si manifesta nelle prime settimane di vita o nei primi mesi. Il cretinismo può essere: - endemico → nelle aree con deficienza endemica di iodio. Era molto più diffuso in passato - sporadico → è dovuto ad errori congeniti dello sviluppo della tiroide o della biosintesi degli ormoni tiroidei Le caratteristiche cliniche del cretinismo comprendono: - cute rugosa e secca - ampia distanza interoculare - naso largo e piatto - lingua grossa, protrudente - bassa statura - ernia ombelicale - grave ritardo mentale Tutto ciò è dovuto al ruolo determinante degli ormoni tiroidei nello sviluppo scheletrico e del SNC. MIXEDEMA È l’ipotiroidismo che insorge nei bambini di età superiore e nell’adulto. 270 Nel bambino in particolare si hanno segni e sintomi intermedi tra cretinismo e mixedema adulto Nell’adulto l’esordio è progressivo ed insidioso: - progressivo rallentamento delle attività psicofisiche, con diminuita resistenza alla fatica, apatia, torpore mentale, intolleranza al freddo, calo dell’attenzione - la parola e le funzioni intellettuali divengono lente, si ha aumento del peso e diminuzione della sudorazione. - La cute appare fredda e pallida sempre più inspessita e secca - Con il passare del tempo si sviluppa edema periorbitale, e i lineamenti del volto si appesantiscono, divenendo più marcati con ingrossamento della lingua ed abbassamento del tono della voce - Mixedema del cuore → il cuore appare flaccido ed ingrossato, con le camere dilatate, a causa dell’edema interstiziale che provoca accumulo di liquido anche a livello del sacco periorbitale. Diagnosi I livello di TSH risultano aumentati nell’ipertiroidismo primario per la perdita di inibizione a feedback. I livelli di T4 in ogni forma di ipotiroidismo vengono ad essere diminuiti. Malattia di Graves-Basedow (iperplasia diffusa della tiroide) È la causa più comune di ipertiroidismo endogeno Incidenza massima fra i 20-40 anni con incidenza maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Patogenesi È una malattia autoimmune nella quale possono essere presenti nel siero una grande varietà di anticorpi diretti contro componenti della tiroide. Di questi i più importanti sembrano essere gli autoanticorpi anti-recettore per il TSH. Gli effetti di questi autoanticorpi sono differenti a seconda dell’epitopo verso cui sono rivolti: - Thyroid stimulating immunoglobulin (TSI) → IgG che si lega ai recettori del TSH stimolandone l’azione. È specifico per la malattia di Graves-Basedow. - Thyroid growth-stimulating immunoglobulin (TGI) → dirette contro i recettori del Tsh sembrano implicate soprattutto nella proliferazione dell’epitelio follicolare tiroideo. - TSH-binding inhibitor immunoglobuline (TBII) → impediscono il corretto legame TSH-recettore sulle cellule epiteliali. Per fare questo alcune forma mimano l’azione del TSH stimolando la funzione tiroidea, mentre altre effettivamente la inibiscono. Alla base della produzione di questi anticorpi vi è probabilmente la perdita della tolleranza da parte delle cellule Th nei cfr dei diversi componenti della tiroide, con conseguente produzione di autoanticorpi anti-TSH. Morfologia Macroscopica: - iperplasia diffusa delle cellule follicolari della tiroide - capsula intatta 271 Microscopica: - ipercellularità: cellule epieteliali follicolari ingrandite, alte e più affollate del solito, protrudono nel lume - colloide pallida, per il diffuso riassorbimento della stessa - infiltrati di linfociti (soprattutto cellule T) a livello interstiziale. Clinica La malattia di Graves- Basedow è caratterizzata da una triade sintomatologica: - ipertiroidismo con ingrossamento diffuso della tiroide - oftalmopatia infiltrativa: è caratterizzata oltre che dal classico sguardo fisso e palpebre retratte (dovuto a iperreattività del simpatico) anche da protusione del bulbo oculare, dovuta ad una serie di cause: • notevole infiltrato infiammatorio in sede retro-orbitaria, da parte di cellule mononucleate (linfociti T) • edema infiammatorio con conseguente tumefazione • accumulo di componenti della matrice extracellulare • aumento del numero di adipociti - dermopatia infiltrativa o mixedema pretibiale: inspessimento del derma dovuto alla deposizione di glicosaminoglicani e all’infiltrato linfocitario. È presente solo in una piccola percentuale di pz. Diagnosi Si riscontrano: - elevati livelli di T4 e di T3 liberi, con diminuzione dei livelli di TSH - aumento diffuso della capatazione di iodio radioattivo alla scintigrafia. Gozzo diffuso e multinodulare Per gozzo si intende l’aumento di volume delle tiroide che è una delle manifestazioni più frequenti della patologia tiroidea, dovuto ad un inadeguata sinetsi romonale tiroidea, che comporta aumento compensatorio dei livelli di TSH, causa a sua volta dell’iperplasia e dell’ipertrofia delle cellule follicolari, con aumento volumetrico dell’organo. Solitamente l’aumento della massa contrasta da solo il deficit, portando ad uno stato metabolico eutirorideo. Se il difetto è grave può svilupparsi anche ipertiroidismo associato a gozzo GOZZO DIFFUSO non TOSSICO Si ha interessamento in modo diffuso di tutta la ghiandola, senza formazione di noduli. Può essere: 1. gozzo endemico → si sviluppa nelle aree dove terreno, acqua ed alimenti, presentano bassi livelli di iodio, con conseguente ridotta sintesi di ormoni tiroidei ed aumento del TSH compensatorio. Le differenze nella prevalenza di gozzo in regioni con uguale carenza iodica hanno portato all’ipotesi dell’esistenza di altri fattori causali, fra cui l’utilizzo di particolari sostanze alimentari dette gozzigene. 2. Gozzo sporadico → più raro nel gozzo endemico, con prevalenza nel sesso femminile e picco di incidenza alla pubertà. Nella maggior parte dei casi il fattore causale non è noto 272 Morfologia Nello sviluppo di un gozzo diffuso possono essere presenti due fasi: 1. fase iperplastica - tiroide omogeneamente e diffusamente ingrandita sebbene l’aumento sia piuttosto modesto - i follicoli sono rivestiti da cellule colonnari disposte fittamente 2. fase di involuzione colloidale: avviene solo se successivamente si verifica un aumento dell’apporto di iodio o se diminuisce la richiesta di ormone tiroideo. Vede: - involuzione dell’epitelio follicolare - la ghiandola rimane ingrandita e diviene ripiena di colloide Clinica Solitamente asintomatico ( metabolismo eutiroideo) Talvola complicazioni dovute all’effetto massa. GOZZO MULTINODULARE Dovuto al ripetersi nel tempo di episodi di iperplasia ed involuzione del gozzo diffuso: per questa sua caratteristica la prevalenza è sempre maggiore nelle donne, ma tenderà a colpire individui più anziani. È un ingrossamento della tiroide maggiore, più irregolare, più spesso scambiato per una forma neoplastica. Patogenesi Probabilmente insorge a causa di una diversa risposta agli stimoli ormonali ipofisari da parte delle cellule follicolari. Alcune cellule in un follicolo sviluppano un anomalia genetica (simile a quelle che costituiscono l’evento scatenante gli adenomi della tiroide) che le porta ad avere una maggiore crescita, con formazione di cloni di cellule a proliferazione spontanea e dunque di un nodulo. Dunque nel gozzo multinodulare possono coesistere noduli policlonali e monoclonali, ma il gozzo deve probabilmente avere acquisito un’alterazione genetica che lo predispone alla crescita. Iperplasia follicolare disomogenea + generazione di nuovi follicoli + accumulo disomogeneo di colloide ↓ Produzione di trazioni e stiramenti ↓ Rottura dei follicoli e dei vasi ↓ conseguente emorragia e cicatrizzazione, talvolta anche calcificazione ↓ la cicatrizzazione e le calcificazioni aumentano le trazioni. In questo ciclo viene favorita la comparsa di anomalie genetiche e la formazione di nuovi noduli. 273 Morfologia Macroscopica - gozzi polilobulati, asimmetrici, enormemente ingranditi (peso fino a 2 kg.) - l’ingrandimento è del tutto imprevedibile ed un lobo può essere ingrandito molto più di un altro - si ha frequentemente compressione e dislocazione laterale delle strutture mediane (trachea ed esofago) - colloide bruna e gelatinosa presente in qunetità variabile nei noduli irregolari - alterazioni regressive in partciolare nei noduli più vecchi → emorragie, fibrosi, calcificazioni Clinica Da un punto di vista metabolico la maggior parte dei oz è eutiroidea e solo una minoranza dei pz può sviluppare ipertiroidismo, dovuto alla presenza di noduli iperfunzionanti → in questo caso il gozzo viene detto tossico e la condizione clinica è detta sindrome di Plummer, e non è accompagnata né da oftalmopatia né da dermopatia. Tiroiditi Le tiroiditi sono un gruppo di affezioni accomunate dall’infiammazione che interessa in modo variabile la ghiandola. Possono essere: - manifestazioni acute associate a notevole sintomatologia dolorosa - manifestazioni subacute in cui l’infiammazione è presente, ma relativamente ridotta e la malattia si manifesta principalmente con la compromissione delle funzioni ghiandolari TIROIDITE di HASHIMOTO È la causa più comune di ipotiroidismo in zone con adeguato apporto di iodio. È la causa principale di gozzo non endemico nei bambini È una malattia autoimmune e tra di esse è stata le prima ad essere riconosciuta e descritta e per questo ne costituisce il prototipo. Insorge prevalentemente tra i 45 ed i 65 anni e colpisce con frequenza >> il sesso femminile. Come in tutte le malattie autoimmuni anche nella tiroidite di hashimoto vi è una notevole componente genetica nella patogenesi, anche se non si tratta di un’ereditarietà di tipo mendeliano, poiché consiste nella sottile alterazione nelle funzioni di molti geni. Tuttavia alcuni ipotizzano un’ereditarietà autosomica dominante. Patogenesi Il sistema immunitario reagisce contro antigeni tiroidei, probabilmente a causa di un difetto dei linfociti T soppressori tiroide-specifici, con conseguente sopravvivenza e dunque predominanza di linfociti T CD4+ specifici per Ag tiroidei, che coopererebbero con i linfociti B alla produzione di anticorpi. - anticorpi contro le perossidasi tiroidee (Ac anti-microsomiali) - anticorpi per la tireoglobulina - anticorpi per il recettore del TSH I meccanismi che provocano morte dei tireociti sono i sgeuenti: 274 1. morte cellulare mediata da linfociti T CD8+ 2. morte cellulare citochino mediata → linfociti T che producono citochine che mediano attivazione dei macrofagi con conseguente danno dei follicoli 3. legame degli anticorpi antitiroide seguito da citotossicità cellulo-mediata anticorpo dipendente Morfologia Macroscopica: - tiroide diffusamente aumentata di volume - capsula integra Microscopica: - infiltrato infiammatorio mononucleato che interessa diffusamente il parenchima, formato da linfociti, da plasmacellule e da centri germinativi - follicoli atrofici con perdita progressiva delle cellule epiteliali follicolari, gradualmente sostituite da infiltrato infiammatorio e dunque da fibrosi - a volte i follicoli appaiono rivestiti da cellule epiteliali alterate dette cellule di Hurthle, che rappresentano una trasformazione metaplastica del normale epitelio follicolare cuboidale Clinica Tumefazione non dolente e diffusa della ghiandola associata ad un certo grado di ipotiroidismo, che si sviluppa gradualmente. In una piccola parte dei casi l’ipotiroidismo è preceduto da una tireotossicosi transitoria, causata da distruzione dei follicoli tiroidei, con rilascio ormonale massivo (“ hashitossicosi”). Quando compare l’ipotiroidismo caratteristicamente alla diagnosi i pz presentano un diminuito livello di T3 e di T4, accompagnato da incremento di TSH. Come le altre malattie autoimmuni anche in questo caso i pz affetti hanno un maggiore rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni, come il lupus, il diabete di tipo 1, la malattia di Graves. Tiroidite subacuta (granulomatosa) Ha incidenza molto minore della tiroidite di hashimoto, pur colpendo sempre preferenzialmente il sesso femminile Patogenesi Probabilmente in seguito a infezione virale o processo infiammatorio post-virale in grado di produrre, in seguito al danno tissuatale, l’esposizione di epitopi antigenici, prima nascosti, di origine tiroidea. Questo stimolerebbe in partciolare modo i linfociti TCD8+, responsabili del danno alle cellule follicolari. Il processo è autolimitante perché la risposta immunitaria indotta dal virus non si automantiene. Morfologia Macroscopica - lieve aumento di volume - capsula normale - a volte lieve aderenza con le strutture circostanti 275 Microscopica: - fase iniziale → infiammazione attiva che comporta distruzione focale dei follicoli con ampio infiltrato neutrofilo a formare microascessi - fase successiva → alterazioni più specifiche: • aggregati di linfociti, istiociti e plasmacellule intorno ai follicoli danneggiati • presenza di cellule giganti multinucleate (tiroidite granulomatosa) - fasi avanzate: sostituzione con fibrosi riparativa Clinica - dolore in sede cerivicale che irradia a collo, mandibola, gola, orecchie ingrandimento variabile della tiroide sintomi di accompagnamento: febbre, affaticabilità, malessere, mialgie ad una fase iniziale di ipertiroidismo ( follicoli danneggiati che riversano il loro contenuto all’esterno), segue una fase successiva di ipotiroidismo, ma anche questo è transitorio e di solito va incontro a completa guarigione. Tiroidite subacuta linfocitaria (indolore) È poco frequente, e si manifesta in adulti di mezza età, con prevalenza nelle donne, soprattutto nel postpartum. La patogenesi è sconosciuta, ma forse si tratta di un meccansimo autoimmune. La tiroide è lievemente ingrossata, con infiltrati di linfociti nel parenchima, distruzione del parenchima e follicoli tiroidei collassati. Non ci sono fibrosi né metaplasia Tipicamente la patologia si manifesta con ipertiroidismo, ed i suoi sintomi tipici, ma alcuni pz non presentano sintomatologia. Si hanno elevati livelli di T3 e T4 e bassi livelli di TSH. 276 Neoplasie della corticale del surrene Nell’ambito dei tumori della corticale possiamo vedere: 1. neoplasie non funzionanti: generalmente di tratta di carcinomi. 2. neoplasie funzionanti: producono una serie di sindromi: • sindrome da iperaldosteroidismo: è causato quasi sempre da adenoma aldosterone-secernente colpisce prevalentemente individui di mezza età, specialmente donne provoca ritenzione di sodio→ ipertensione provoca perdita di potassio→ ipokaliemia • sindrome di Cushing (iperproduzione di cortisolo) generalmente provocata da adenoma Inizialmente ipertensione ed aumento ponderale. Con il tempo: distribuzione centrale del tessuto adiposo→ obesità del tronco, facies lunare, accumulo di tessuto adiposo sulla nuca e sul dorso (gibbo di bufalo). Atrofia selettiva delle fibre muscolari rapide→ debolezza muscolare, riduzione della massa muscolare. Induzione della gluconeogenesi, inibizone della captazione cellulare di glucosio→ glicemia, glicosuria, diabete secondario. Aumento del catabolismo proteico, perdita del collagene, riassorbimento del tessuto osseo→ cute sottile, fragile, tendenza all’ecchimosi, cicatrizzazione lenta, osteoporosi. Soppressione della risposta immunitaria→ aumento della suscettibilità alle infezioni. Disturbi mentali Irsutismo • sindrome adreno-genitale: la corteccia del surrene normalmente esprime de-idro-epiandrosterone ed androstenedione; questi precursori richiedono la conversione periferica in androsterone. Generalmente si tratta di una sindrome associata a carcinomi surrenalici ad eccessiva androgeno-secrezione. Comporta solitamente virilizzazione. Adenoma (incidentaloma) È così chiamato perché si tratta di un tumore di reperto molto spesso incidentale: si tratta spesso di un riscontro casuale nel corso di indagini strumentali svolte per altra causa o in corso di autopsia. Generalmente il diametro è minore di 5cm. ed il peso è minore di 50 grammi. Nonostante le piccole dimensioni si tratta di una neoplasia benigna che espande la ghiandola surrenale. È un tumore molto ben delimitato, con capsula evidente. Lascia la corticale con uno spessore normale (non atrofica). 277 Alla sezione presenta una superficie liscia e compatta, colore giallo-zolfo, per la presenza di lipidi nelle cellule neoplastiche, non interessata da necrosi o emorragie. Istologia All’esame istologico si rivela assolutamente benigno. Infatti le cellule neoplastiche rimangono differenziate e simili a quelle del normale surrene, riproducendo le caratteristiche della midollare, della fascicolata o di entrambe. I nuclei delle cellule tendono ad essere piuttosto piccoli, sebbene a volte vi sia un certo polimorfismo, con attività mitotica scarsa. Diagnosi differenziale Gli adenomi devono essere assolutamente distinti dai carcinomi. Questa distinzione non può essere fatta solo sulla base del peso e delle dimensioni, che rimangono solo fattori indicativi. L’ipotesi diagnostica al microscopio va invece valicata con esami obiettivi, cioè mediante tecniche di immunoistochimica (vedi fenotipo). Fenotipo Dal punto di vista immunoistochimico gli adenomi presentano: - forte positività per citocheratine a basso peso molecolare (le citocheratine sono filamenti intermedi che entrano a fare parte del citoscheletro;sono classificate sulla base del loro peso molecolare). - Debole espressione di vimentina (si tratta anche in questo caso di filamenti intermedi). - Negatività per EMA. - Negatività per gli isoantigeni del gruppo sanguigno Lewis. - Positività per gli ormoni steroidei. Genotipo L’analisi del DNA rileva alterazioni della ploidia solo in un 20% dei casi. Carcinoma Non ci sono predilezioni di sesso, ma l’età media di insorgenza è 50 anni. Si tratta di un tumore funzionante dunque con produzione di ormoni nel 50% dei casi: in questi casi è associato ad iper-cortico-surrenalismo. Le dimensioni sono molto maggiori della sua variante benigna e superano spesso i 20 cm. con peso maggiore di 100g. La loro grandezza fa sì che la struttura normale della ghiandola surrenalica non sia più distinguibile. 278 Al momento della diagnosi il 50% dei pz presenta già metastasi. Si tratta dunque di un tumore molto aggressivo, con tendenza alla diffusione per via ematica (tumore angio-invasivo) e dunque successivo interessamento secondario di fegato (60%), linfonodi, polmoni, ossa o cute. Alla sezione presenta una superficie mal definita, non compatta che contiene: - aree necrotiche, dovute alla nutrizione insufficiente rispetto alle necessità del tumore; la velocità della neoangiogenesi è inferiore alla velocità di crescita del tumore; - emorragie perché la struttura dei vasi neoformati è spesso fragile e sottoposta a notevoli pressioni meccaniche (crescita del tumore) e dovute all’invasione neoplastica dei vasi principali (vena cava inferiore e vena surrenalica). - molteplici noduli friabili e soffici. Istologia Il tumore può essere costituito da cellule ben differenziate simili a quelle dell’adenoma (problemi di diagnosi differenziale con l’adenoma medesimo), così come da cellule con elevata atipia, giganti come quelle di un carcinoma che ha metastatizzato secondariamente nel surrene, o fusate, o con moderato grado di anaplasia. Fenotipo - negatività per citocheratine a basso peso molecolare positività per vicentina negatività per EMA ci può essere produzione di ormoni steroidei ma è molto più scarsa di quella dell’adenoma. Genotipo L’analisi del DNA rileva alterazioni della ploidia in un 70% dei casi. Solitamente si ha perdita di omozigosi per p53 e per Rb. Recentemente si è osservata spesso anche una sovraespressione di TRF-1, molecola che ha attinenza con lo sviluppo dei telomeri. 279 Neoplasie della midollare del surrene Generalità La midollare del surrene è composta da: a. cellule cromaffini: cellule specializzate della cresta neurale a funzione neuroendocrina. b. cellule sustentacolari: cellule di sostegno. Le cellule cromaffini presentano numerosi granuli citoplasmatici di deposito delle catecolamine. Sintetizzano e secernono catecolamine (adrenalina e noradrenalina) in risposta a segnali trasmessi da fibre pregangliari del sistema nervoso simpatico. - noradrenalina: funziona come neurotrasmettitore dei neuroni simpatico postgangliari. Raggiunge la circolazione in quota molto ridotta. - Adrenalina: funziona principalmente come ormone dunque è secreta in gran parte nella circolazione. La secrezione di queste molecole nella circolazione è facilitata dalla ricca vascolarizzazione dello stroma che circonda le cellule cromaffini. La funzione della midollare del surrene è dunque quella di essere la principale fonte di catecolamine, configurandosi così come un importante punto di regolazione di molte funzioni vitali. Cellule neuroendocrine del tutto simili alle cellule cromaffini sono ampiamente distribuite in un sistema extra-surrenalico composto da gruppi di cellule e noduli. Queste, con la midollare fanno parte del sistema paragangliare. Questi paragangli extra-surrenalici, strettamente connessi con il sistema nervoso autonomo sono distinti in tre gruppi, in base alla loro sede anatomica. 1. brachiomerico vicino alle arterie maggiori ed ai nervi cranici della testa e del collo ( soprattutto glomi carotidei). 2. intravagali distribuiti lungo il nervo vago. 3. aorticosimpatico soprattutto lungo l’aorta addominale e in posizione retroperitoneale. Neuroblastoma E’ una patologia tipica dell’età pediatrica visto che si manifesta entro i 4 anni di età e fa parte delle così dette Small Blue Cell Tumor. ÆQuesto è un gruppo di tumori tipici dell’infanzia, accomunati da una derivazione di tipo blastico, dunque con cellule di aspetto primitivo: nuclei piccoli e rotondi, intensamente basofili, che occupano quasi interamente la cellula (simil-linfociti) E’ il secondo tumore solido maligno per frequenza nell’infanzia dopo quello cerebrale e rappresenta 7-10% di tutte le neoplasie pediatriche. 280 Nei lattanti la prognosi è migliore rispetto agli adulti. Si nota una possibile familiarità visto che si associa spesso a sindromi geneticamente trasmissibili. Circa il 30% di questi tumori origina nella midollare del surrene. I rimanenti compaiono nel sistema paragangliare aorticosimpatico:il 70% di questi tumori ha localizzazione retroperitoneale. Può accadere che abbia collocazione mediastinica anche un altro tumore a piccole cellule rotonde blu; si tratta di un linfoma a cellule T che rappresenta una grande causa di morte infantile. E’ una neoplasia che metastatizza facilmente: o Fegato: Sindrome di Pepper o Cranio: Sindrome di Hutchinson o Scheletro: Sindrome di Isser-Leury (Issernoidi?) o Linfonodi o Ovaio Morfologia Sono tumori molto grandi che crescono rapidamente, si presentano come grosse masse di tessuto grigio-bruno cerebroide con estese zone di necrosi, emorragie, rammollimento, con occasionali focolai di calcificazioni puntiformi. Possono essere circoscritti da una capsula fibrosa o essere più infiltrativi invadendo le strutture circostanti come vena renale, vena cava, aorta, rene… Le cellule presentano contorni poco nitidi, volume ridotto, caratteristiche linfocitosimili (nucleo>>citoplasma) e crescita in tipiche lamine solide, dunque mantengono le caratteristiche di organogenesi della sede della neoplasia. Tipica è la presenza delle Rosette di Homer-Wright: le cell neoplastiche differenziano in senso neuritico e si organizzano attorno a del materiale amorfo formato dai neuriti stessi delle cell (neuropili) embricati tra loro. Il 90% di questi tumori produce un’ingente quantità di catecolamine che servono per la diagnosi insieme ai loro metabolici (VMA e HVA) nelle urine. Fenotipo - Neurofilamenti (filamenti intermedi degli elementi neuroendocrini) Sinaptofisina Enolasi neurono-specifiche Cromogranina VIP positività ad antigeni neurali associati Clinica Dunque in tutti i pz con diagnosi di neuroblastoma è necessario compiere una biopsia ostiomidollare di routine per verificare se c’è iniziale interessamento scheletrico. 281 Molto spesso questo tumore si accompagna a pancitopenia: anemia + piastrinopenia + leucopenia. In alcuni casi si accompagna anche a una violenta diarrea molto liquida dovuta al rilascio massivo di VIP. Prognosi Vi è un 30% di sopravvivenza entro i tre anni. Positiva se: Quasi triploidia Diagnosi sotto i 2 anni Presenza Cell di Schwann Presenza di infiltrato linfoide NK come segno di reazione alla malattia Presenza in sede extrasurrenalica Diagnosi in stadi avanzati della malattia Espressione di Trk-A (recettore per il fattore di crescita neuronale) Negativa se: Quasi tetraploidia Età maggiore dei 2-5 anni Vi sono bassi VMA/HVA Amplificazione di N-myc Espressione di Bcl-2 Espressione della proteina P: in particolare l’espressione della proteina P170 conferisce una multidrug resistance. Patologie affini Vi sono delle patologie strettamente apparentate con il neuroblastoma ma che presentano solitamente una prognosi migliore. Questa maggiore positività dell’esito è dovuta alla presenza di cell più mature con aumentato volume e aumentato citoplasma riconducibili alle cell gangliari. Inoltre si riscontra spesso la comparsa di cell di Schwann in questi frangenti , come detto in precedenza, comportano un miglioramento della prognosi. Ganglioneuroblastoma - Presenta una differenziazione in senso gangliare (grandi cellule, citoplasma più abbondante, grandi nuclei vescicolosi e prominente nucleolo) Si presenta in sede mediastinica o retroperitoneale. La malattia va in contro a maturazione in terapia. Ganglioneuroma - Si presenta sempre in sede extraperitoneale. Presenta cell gangliari mature senza residui simpatoblastici. 282 - E’ una forma benigna che può evolvere in una forma sclerotica. Necessario valutare tutto il tumore per evidenziare eventuali zone immature riconducibili al neuroblastoma. Può andare in contro a resezione sclerotica. Feocromocitoma Si tratta di un tumore raro, costituito da cellule cromaffini che sintetizzano e rilasciano catecolamine ed in alcuni casi ormoni peptidici. E’ chiamato “tumore del 10%” perché nel 10% dei casi… • E’ extrasurrenalico • Insorge in età pediatrica (tipico dell’età adulta) • E’ maligno • E’ extra-surrenalico, sviluppandosi lungo il tragitto dell’aorta, dove questo tumore assume il nome di paraganglioma della midollare del surrene • E’ in associazione con una sindrome familiare: entra spesso nell’ambito delle neoplasie endocrine multiple: MEN2A in cui è associato con il carcinoma.della tiroide e MEN2B in cui è associato con la neurofibromatosi. • Dei feocromocitomi surrenalici non familiari è bilaterale: questa percentuale può raggiungere il 70% nei casi familiari Morfologia Le dimensioni vanno da un piccolo tumore circoscritto confinato al surrene ( peso minimo 1g.), a grandi masse che possono pesare fino a 4kg. Normalmente si presenta come una massa di grosse dimensioni formata da aggregati solidi, tralci fibrosi,vasi ed è ben delimitata da connettivo o dalla corticale o midollare medesima compresse. Nel complesso si può definire come una struttura organoide: le cellule neoplastiche cromaffini sono raggruppate a formare piccoli nidi o alveoli (→ nidi di zellballen), circondati da una rete trasecolare fibrosa, riccamente vascolarizzata, che produce una struttura globulare. La ricca vascolarizzazione e lo stretto contatto fra aggregati cellulari e vasi fa sì che le catecolamine vengano liberate facilmente nel sangue. In sezione la superficie dei feocromocitomi appare giallo-bruna, nelle lesioni voluminose anche interessata da aree di necrosi, di emorragia, o cistiche che fanno tendenzialmente scomparire il parenchima della ghiandola surrenale. Se si espone la superficie di sezione,a fresco, al reattivo di Zenker (bicromato di potassio), si ha viraggio del colore veso il bruno, per ossidazione delle catecolamine ( da qui il nome delle cellule cromaffini): questo rappresenta un prova efficace della presenza di granuli di catecolamine. 283 Fenotipo - Enolasi Catecolamine Neurofilamenti Cromogranina Sinaptofisina Clinica La caratteristica clinica dominante è l’ipertensione: improvviso aumento della pressione arteriosa, associato a tachicardia, palpitazioni, sudorazione, mal di testa, tremori, a volte dolore addominale o toracico, nausea, vomito. In meno della metà dei pz esso produce veri e propri picchi, accessi ipertensivi intermittenti, scatenate anche da situazioni incidentali (stress emotivi, esercizi fisici, farmaci, interventi chirurgici, variazioni della postura, palpazione del tumore, pasti….). Producendo ingenti quantità di ormoni vasoattivi (catecolamine attive al contrario del neuroblastoma) può causare una accesso ipertensivo che può portare a morte. ÆQuesta produzione può essere influenzata da farmaci, gravidanza o intervento chirurgico: se durante un’operazione il chirurgo va a ledere involontariamente la massa tumorale può avvenire un rilascio massivo di catecolamine che porta a decesso il paziente. Nei rimanenti casi lo stato di ipertensione è continuo. In entrambi i casi comunque lo stato di ipertensione è provocato dall’improvviso rilascio di catecolamine, che può determinare anche scompenso cardiaco, edema polmonare, infarto acuto del miocardio. In alcuni, molto rari casi, i feocromocitomi secernono altri ormoni, come ACTH e somatostatina, e dunque provocano manifestazioni cliniche differenti. Prognosi Non si può prevedere se la malattia è benigna o maligna, l’indice di malignità è dato dall’infiltrazione delle cell neoplastiche nei vasi che portano a metastasi e alla rapida diffusione sistemica delle catecolamine. Le metastasi hanno uno spiccato tropismo per lo scheletro, in questo caso la prognosi è infausta. Nel 10% dei casi con potenziale metastatico il tumore porta a morte in un anno. Paragangliomi Neoplasie del tutto analoghe al feocromocitoma che si sviluppano nei gangli simpatici e parasimpatici ( sede carotidea, mediastinica, giugulo temporale…) 284 Neoplasie endocrine multiple MEN2A: paraganglioma + carcinoma midollare della tiroide È una patologia altamente aggressiva e rapidamente letale. 285 Tumori neuroendocrini Generalmente si parla di tumori neuroendocrini riferendosi al tratto gastrointestinale, ma in realtà ci si potrebbe riferire ad ogni organo per la presenza di un sistema neuroendocrino diffuso. Il concetto di sistema neuroendocrino diffuso è stato rivisto e modificato negli anni. Fu definito per la prima volta circa 60 anni fa, come sistema formato da cellule in grado di captare amine e decarbossilarle, sistema APUD (Amine Precursor Uptake and Decarboxilation). Da ciò i tumori derivanti da queste cellule furono chiamati apudomi. Successivamente venne dimostrato che non tutte le cellule del gruppo esibivano questa funzione e dunque il termine è caduto in disuso. Attualmente le cellule appartenenti a questo sistema sono definite in base alle seguenti caratteristiche: • cellule capaci di produrre amine o peptidi ad azione ormonale o neurotrasmettitrice • cellule che possiedono vescicole simili alle vescicole sinaptiche o ai granuli neurosecretori • i loro prodotti di secrezione vengono liberati per esocitosi regolata in risposta a stimoli esterni Il gruppo di cellule neuroendocrine include: - sistema neuroroendocrino gastrointestinale: il più rilevante ed importante, formato da molti tipi di cellule che si trovano disperse nella mucosa dell’apparato gastrointestinale e del pancreas. Le cellule secernono ormoni che costituiscono un sistema bilanciato di antagonisti ed agonisti in grado di regolare e coordinare gran parte dell’attività gastrointestinale. Alcune di queste sostanze hanno azione endocrina, altre paracrina, altre agiscono come neurotrasmettitori del SNC. - Sistema endocrino respiratorio: nel tratto inferiore dell’albero bronchiale si trovano cellule endocrine diffuse secernenti amine e peptidi, probabilmente implicati nella regolazione locale ed in quella basata sul sistema nervoso autonomo delle funzioni respiratorie. - Sistema neuroendocrino diffuso urogenitale - Cellule formanti parti distinte di ghiandole endocrine: midollare del surrene, cellule C della tiroide, insule pancreatiche, cellule che producono ACTH e MSH dell’ipofisi - Cellule secernenti renina dell’apparato iuxta-glomerulare - Chemocettori del corpo carotideo - ….. Il sistema neuroendocrino diffuso è quindi un insieme di elementi cellulari endocrini, che hanno la medesima origine embriogenetica degli organi di cui fanno parte. Sono praticamente posizionati in ogni organo e tessuto. Una volta questi tumori erano definiti carcinoidi, per evidenziare un tipo di neoplasia simile al carcinoma, ma con decorso clinico più blando. 286 Ora questo termine è in disuso e recentemente è stata introdotta una nuova classificazione dei tumori neuroendocrini, da parte di un professore dell’università di Pavia, che è molto più dinamica, e differenzia i tumori in: 1. tumori endocrini ben differenziati a. comportamento benigno b. indefiniti a comportamento benigno o potenzialmente maligno (border line) 2. carcinomi endocrini ben differenziati ( basso grado di malignità) 3. carcinomi endocrini scarsamente differenziati (alto grado di malignità) Questa classificazione si basa sulla valutazione di una serie di criteri diagnostici all’esame del tumore: - - - • • • • caratteristiche biologiche del tumore sede volume metastasi angioinvasione caratteristiche funzionali del tumore secernente e funzionante → sono le forme di cui è più facile fare diagnosi perché in base al tipo di secrezione ormonale si può avere presenza di sindromi associate (insulinoma, gastrinoma) • secernente e non funzionante → la neoplasia produce sostanze che non hanno funzionalità o non hanno emivita sufficiente, dunque non danno simìntomatologia neuroendocrina • non secerenente e non funzionante → il comportamento di questi tumori è di solito quello che presenta il decorso più aggressivo • sede del tumore Questi criteri diagnostici in pratica permettono una differenziazione tra neoplasie benigne e maligne. Le principali differenze tra neoplasie benigne e maligne all’esame istologico sono le seguenti: Neoplasia benigna Struttura organoide: tendenza alla formazione di strutture pseudoghiandolari o pseudotubulari, simili a quelle dell’organo di appartenenza Citologia tipica della cellula endocrina ; la struttura della cellula assomiglia a quella della cellula d’origine, i nuclei sono omogenei e simili a quelli della cellula d’origine, dunque presentano: - cromatina granulare “sale e pepe” - abbondante citoplasma molto eosinofilo: grande attività sintetica Neoplasia maligna Struttura solida Citologia atipica: la struttura della cellula non assomiglia più a quella della cellula d’origine, ma a quella della stem-cell. Tutti i tumori in fase finale sono molto simili. 287 Attività proliferativa scarsa Necrosi assente o focale p53 assente: non vi sono né mutazioni, né accumuli della p53. La proteina p53 wild type ha emivita molto breve (4-5h) e dunque non è visualizzabile con l’immunoistochimica. La presenza di p53 dunque rispecchia sicuramente una mutazione della stessa che può essere: - pre trascrizionale - post-trascrizionale: legame di polimeri e stabilizzazione Attività proliferativa marcata Necrosi estesa perché la proliferazione supera le capacità di neo-angiogenesi. P53 spesso presente Da un punto di vista di marcatori molecolari del tumore abbiamo: Neoplasia benigna Cromogranina A ++ → dosabile nel sangue NSE (neuro specific neurono specifica ++ → dosabile nel sangue Sinaptofisina ++ enolase) Neoplasia maligna Cromogranina A – → la cromogranina tende a scomparire nelle forme indifferenziate enolasi NSE ++ Sinaptofisina ++ Con l’indagine al microscopio ottico dopo colorazione con ematossilina/eosina si può fare solo diagnosi di tumore neurosendocrino e si può dire se esso è poco o ben differenziato, la presenza di attività mitotica o la presenza di aree necrotiche. Dunque diviene necessario eseguire l’indagine immunoistochimica. Questa ci serve anche per valutare in modo più preciso la proliferazione cellulare di cui è marcatore la proteina Ki67, una proteina nucleare presente in tutte le fasi del ciclo cellulare eccetto la G0; nel carcinoma mammario la ricerca di questa proteina è necessaria e sufficiente a definire l’impostazione della terapia Il trattamento della neoplasia ben differenziata (tumore o carcinoma) di solito prevede: - escissione chirurgica → sempre, operata anche al fine di analizzare la neoplasia (qui non è possibile fare una microbiopsia per valutare l’intera neoplasia con precisione) - trattamento farmacologico con somatostatina ed IFN Il trattamento della neoplasia scarsamente differenziata è del tutto diverso e prevede: - escissione chirurgica soli in casi radicali ( solitamente la chirurgia è inutile) - trattamento chemioterapico e radioterapico aggressivo associato I tumori neuroendocrini che interessano il tratto gastrointestinale colpiscono in prevalenza: - appendice → sede di insorgenza più comune 288 - intestino tenue (ileo soprattutto e frequentemente ampolla del Vater) - retto - stomaco - colon I tumori neuroendocrini a partenza dall’appendice e dal retto raramente metastatizzano, persino nei casi con diffusa estensione locale. Al contrario il 90% dei tumori neuroendocrini dell’ileo, dello stomaco e del colon che abbiano già infiltrato per metà la tonaca muscolare, ha già coinvolto linfonodi regionali e sedi distanti con un particolare tropismo per il fegato. MORFOLOGIA Macroscopica Nell’appendice insorgono frequentemente tumori dell’apice, spesso obliteranti il lume. Nelle altre porzioni dell’intestino formano masse sottomucose o intramurali che creano piccole rilevatezze generalmente di diametro inferiore ai 3 cm. La mucosa sovrastante può essere integra o ulcerata, mentre sul versante opposto può infiltrare la parete intestinale fino ad invadere il mesentere. Questi tumori sono estremamente duri, e quando coinvolgono il mesentere possono provocare in esso lesioni sclerosanti, dando luogo ad angolazioni o strozzature sufficienti a causare occlusioni intestinali. Microscopica Le cellule neoplastiche possono formare isole, trabecole, ghiandole, oppure disporsi diffusamente a tappeto. Solitamente e soprattutto nei casi benigni le cellule tumorali sono monomorfe, con citoplasma scarso, intensamente eosinofilo e nucleo rotondo ed ovoidale con fini granuli di cromatina (aspetto “sale e pepe”) Nella maggior parte dei casi nel citoplasma si osservano granuli secretori con centro denso. CLINICA I tumori neuroendocrini dell’apparato gastrointestinale possono - essere asintomatici - provocare sintomi locali (molto raro) dovuti ad angolazione ed occlusione del tenue - produrre sindromi ed endocrinopatie se funzionanti in funzione del prodotto secreto. - Provocare una classica sindrome detta sindrome da carcinoide → si presenta nell’!% dei casi e sembra che molte delle manifestazioni di questa sindrome dipendano da un eccesso di serotonina nel sangue. Solitamente la serotonina è degradata dal fegato, che la trasforma in un prodotto inattivo. Di conseguenza si ha di solito questa sindrome nel momento in cui vi siano metastasi epatiche (la serotonina raggiunge il circolo sistemico sfuggendo alla degradazione epatica) o in caso di tumori neuroendocrini extra-intestinali (le sostanze prodotte da questi tumori sono rilasciate direttamente in circolo). CASO CLINICO I Il paziente all’ecografia presenta una massa nel fegato. 289 Bisogna stabilire se il paziente è cirrotico, nel qual caso potrebbe trattarsi più facilmente di un epatocarcinoma primitivo del fegato, oppure non lo è, nel qual caso aumentano le probabilità di metastasi. Se è possibile dunque si fa biopsia epatica. Alla biopsia epatica si riscontra un quadro citologico compatibile con quello di un tumore endocrino ben differenziato. Questo significa al 99% dei casi che si tratta di metastasi di un tumore neuroendocrino a locazzazione primitiva intestinale. Per fare diagnosi definitiva tuttavia vado a ricercare marcatori specifici del tumore nel siero, dunque ricerco cromogranina A e NSE. Il tumore primitivo si localizza nel tratto gastrointestinale e risulta negativo per insulina, gastrina, glucagone, somatostatina e calcitonina. Dunque si tratta di un tumore non secernente e non funzionante. ⇒ tumore endocrino ben differenziato → probabile metastasi epatica di un carcinoma primario occulto. CASO CLINICO II Il sistema neuroendocrino deriva da cellule progenitrice che sono in grado di differenziarsi in senso endocrino così come in senso epiteliale: dunque il tumore divenendo indifferenziato può dare luogo a cellule progenitrici che possono differenziarsi anche in senso epiteliale. Nello stomaco le cellule neuroendocrine si ritrovano alla base delle cripte, fra cellule epiteliali e mbr basale. I tumori neuroendocrini ben differenziati dello stomaco possono essere: - del tutto benigni: • con diametro < 1cm • non angioinvasivi • si presentano come piccole rilevatezze della sottomucosa, delle dimensioni della capocchia di uno spillo • sono multifocali - border line • con diametro > 1 cm. • Possono essere angioinvasivi • Possono essere benigni ma anche potenzialmente maligni. Nel nostro caso si ha un maschio di 60 anni, che all’esofago-gastro-duodenoscopia presenta: - mucosa gastrica marezzata - lesioni polipoidi nel corpo Viene fatta una biopsia delle rilevatezze nodulari (polipi) e si vede un quadro istologico che mostra la proliferazione di elementi cellulari omogenei con nuclei monomorfi e dall’aspetto di cellule di origine endocrina. Il campione bioptico viene dunque analizzato con tecniche immunoistochimiche attraverso l’utilizzo di Ac anti-cromogranina A e si vede una grossa positività, una iperreattività. 290 ⇒ Si tratta dunque di un tumore ben differenziato dello stomaco, a cellule ECL enterocromaffini, che molto spesso si inserisce nel contesto di una gastrite cronica atrofica del corpo (non fa pensare ad H. Pylori) e dunque di una ipergastrinemia. CASO CLINICO III e IV Si analizza l’ampolla del Vater. Il tumore più frequente in questo sito è l’adenocarcinoma che insorge sul polipo duodenale, a causa della mataplasia carcinomatosa displastica. Uno dei primi sintomi precoci della patologia dell’ampolla di Vater è l’ittero ostruttivo, che però è causato anche da altri tipi di patologie e da altri tipi di tumori come il tumore che colpisce la testa del pancreas. Nel nostro caso si ha una femmina di 60 anni, che presenta una sintomatologia con dolore epigastrico associata ad un quadro precedente di neurofibromatosi di tipo1 (patologia gentica caratterizzata dalla formazione di neurofibromi, gliomi del nervo ottico, noduli pigmentati dell’iride, macule cutanee iperpigmantate → malattia dell’elephant man). Alla colangiografia vediamo ostruzione delle vie rettali. Possiamo eseguire una serie di ulteriori indagini come i raggi x del tubo digerente, la ERCP (retrograda trans duodenoscopica), ma alla fine si deve eseguire ampillectomia, che è un intervento ampio ad alto rischio di mortalità. Al successivo esame istologico il tumore si presenta molto ghiandolare. Tuttavia non può trattarsi di un adenocarcinoma, poiché gli adenocarcinomi, anche se ben differenziati, presentano elevato indice mitotico, mentre questo tumore si presenta molto monomorfo con un Ki67 di solo il 2,2%. All’esame della cromogranina hai una reazione molto positiva. Si tratta dunque di un tumore ben differenziato ed a bassa aggressività. Inoltre il tumore è positivo alla somatostatina in modo diffuso. Nel secondo caso abbiamo invece un pz che presenta una sintomatologia con ittero ostruttivo e perdita di peso. Eseguendo tutti gli esami si vede che il tumore ha origine dall’ampolla del Vater e dunque viene eseguita ampillectomia. All’esame istologico si vede un tumore: - poco differenziato - con cellule piccole, con scarso citoplasma, disposte in cordoni - le cellule sono fortemente positive per l’ematossilina perché il rapporto nucleo/citoplasma è nettamente a favore del nucleo - le cellule presentano positività per sinaptofisina e NSE - le cellule presentano negatività per la cromogranina A Si tratta dunque di un carcinoma endocrino ben differenziato. 291 Malattie vascolari del SNC Generalità Le malattie vascolari del SNC ed, in particolare dell’encefalo, rappresentano la terza causa di morte negli USA dopo le malattie cardiovascolari e i tumori arrivando a coprire il 50% delle lesioni neurologiche. A livello clinico si suddividono in 3 tipologie principali: ¾ Trombosi ¾ Embolia ¾ Emorragia Ictus (o Stroke) è la denominazione che si applica a questi fenomeni nel caso essi si manifestino in maniera acuta! A livello fisiopatologico possiamo dividere la malattia in 2 processi: ¾ Ipossia, ischemia e infarto causati da compromissione del flusso ematico e dell’ossigenazione del SNC ¾ Emorragia causata dalla rottura dei vasi del SNC Ipossia, ischemia e infarto L’encefalo riceve il 15% della gittata cardiaca ed è responsabile del 20% del consumo corporeo totale dell’ossigeno. Il flusso corrisponde a 50ml/min X 100g di tessuto e rimane costante in certi intervalli di pressione arteriosa e intracranica grazie a un sistema di autoregolazione delle resistenze vascolari. Quando il flusso ematico a una zona si interrompe la sua sopravvivenza dipende da: • Disponibilità di circoli collaterali • Durata dell’ischemia • Entità e rapidità della riduzione del flusso Alla luce di questi criteri si distinguono due principali tipi di danno ischemico: ¾ Ischemia cerebrale globale: generale calo della per fusione cerebrale ¾ Ischemia cerebrale focale: calo della perfusione localizzato a una zona Ischemia cerebrale globale Questa condizione si verifica in caso di arresto cardiaco, shock o ipotensione grave e l’entità del danno è correlata alla durata dell’insulto. Nei casi lievi si possono manifestare stati confusionali con recupero e assenza di danno. La ripetizione, però, di questi episodi in alcuni pz, a lungo andare, causa danno irreversibile. 292 Vi è una gerarchia dettata dalla sensibilità delle cell nervose all’insulto nella quale i neuroni si piazzano al primo posto come cell meno resistenti superando i già particolarmente vulnerabili astrociti e oligodendrociti (glia). Vi è, inoltre, all’interno dei neuroni, una vulnerabilità selettiva che distingue neuroni di diverse zone dell’encefalo in base all’entità del flusso ematico ricevuto e alle richieste metaboliche. Nell’ischemia cerebrale globale si verifica una morte neuronale diffusa indipendente dalla vulnerabilità regionale. I pazienti che sopravvivono a questi episodi cadono in stato vegetativo persistente (coma) che può giungere fino alla morte cerebrale contraddistinta principalmente da: • Danno corticale diffuso • EEG piatto • Mancanza di stimoli respiratori • Mancanza di stimolo di perfusione cerebrale Il pz è tenuto in vita con la respirazione artificiale mentre il suo cervello va incontro a un processo autolitico definito rammollimento. Morfologia L’encefalo si presenta rigonfio con circonvoluzioni allargate e solchi ristretti. Si osserva una scarsa demarcazione tra sostanza bianca e sostanza grigia. A livello istopatologico si osservano 3 modificazioni: ¾ Cambiamenti precoci: (12-24 ore dopo l’insulto) si assiste a una microvacuolizzazione dei neuroni e a una successiva eosinofilia in seguito a picnosi e carioressi del nucleo. In seguito eventi analoghi si presentano anche nella macroglia. Inizia infiltrazione di neutrofili. ¾ Cambiamenti subacuti: (24h – 2 settimane dopo l’insulto) necrosi del tessuto con comparsa di macrofagi, proliferazione vascolare e gliosi reattiva. ¾ Riparazione: (dopo 2 settimane dall’insulto) rimozione del tessuto necrotico con perdita della normale organizzazione parenchimale e gliosi. A seguito di questi fenomeni si verifica una distruzione asimmetrica della neocortex causata dal coinvolgimento non omogeneo di uno o più strati della stessa; questo fenomeno prende il nome di necrosi pseudolaminare. Gli infarti della zona di confine sono aree cuneiformi localizzate nei campi più distali dell’irrorazione arteriosa, si verificano di solito in seguito a episodi di ipotensione. Il così detto “cervello respiratorio” si presenta come materiale soffice e disgregato. Ischemia cerebrale focale Causata dall’occlusione di un’arteria cerebrale e diffusa a tutta la zona che l’arteria stessa perfonde. Il danno e la sua entità dipendono dalla zona colpita e, soprattutto, dalla presenza o meno di circoli collaterali; a questo proposito il poligono di Willis è il principale punto che sopperisce il più possibile in questi casi. 293 Vi sono poi rinforzi parziali e incostanti per la superficie cefalica dovuti ad anastomosi cortico-leptomeningee; al contrario l’irrorazione delle strutture profonde (talamo, nuclei della base…) non può contare su circoli collaterali. ÆLa reazione all’ischemia delle cellule nervose comprende la massiva liberazione di neurotrasmettitori che possono causare la morte di cellule più o meno adiacenti intaccando la funzionalità dei loro canali ionici. L’ischemia cerebrale focale può essere causata da diversi fattori: ¾ Trombosi in situ ¾ Embolizzazione da una sorgente a distanza ¾ Vasculite infettiva ¾ Vasculiti non infettive ¾ Altre cause A questi fattori si aggiunge, ovviamente, una forte associazione della patologia con diabete e ipertensione. Trombosi E’ causata principalmente dall’aterosclerosi. Le sedi più comuni sono la biforcazione carotidea, l’origine della cerebrale media e ogni ramo terminale della basilare. Vasculite infettiva Negli anni passati si osservava spesso arterite associata a sifilide o tubercolosi; al giorno d’oggi si osservano spesso in quadri di immunosoppressione associati a infezioni opportunistiche da, per esempio, toxoplasma, aspergilo e CMV. Vasculite non infettiva La poliarterite nodosa è una collagenopatia in grado di causare infarti singoli o multipli all’encefalo. L’angioite primitiva del SNC è un disturbo infiammatorio che coinvolge specialmente i vasi subaracnoidei e parenchimali di piccolo calibro; è una flogosi cronica che porta alla distruzione della parete vasale. Altre cause Malattie ematologiche con stati di ipercoagulabilità Aneurisma dissecante dei vasi epiaortici Abuso di sostanze stupefacenti Arteropatia cerebrale autosomica dominante con infarti subcorticali e leucocefalopatia Forma ereditaria causata da mutazioni del gene Notch3. La malattia è caratterizzata da ictus ricorrenti e demenza. 294 L’istologia ha messo in evidenza un ispessimento concentrico della media e dell’avventizia di alcuni vasi parenchimali e leptomeningei. Angiopatia amiloidea cerebrale Peptidi identici a quelli della malattia di Alzheimer si depositano nei vasi di piccolo e medio calibro della corticale e delle meningi. Ne deriva un indebolimento del vaso e una conseguente emorragia. Embolia cerebrale La sorgente più comune sono i trombi parietali cardiaci che sono conseguenza di: Infarto del miocardio Malattia valvolare Fibrillazione atriale In ordine di importanza seguono i tromboembolismi arteriosi spesso a livello delle placche ateromasiche carotidee. Altre cause: Embolismo paradosso nei bambini con malformazioni cardiache Embolia associata a chirurgia cardiaca Embolia da materiale (grasso, tumore, aria..) Il distretto di vascolarizzazione della cerebrale media è il più interessato da emboli. Morfologia L’infarto può essere di due tipi ¾ Rosso: in seguito a emorragie petecchiali diffuse che confluiscono; si associa spesso a un evento embolico e alla riperfusione, tramite circoli collaterali, dei vasi danneggiati dalla massa occludente, questo fenomeno causerebbe le emorragie diffuse. ¾ Pallido: si associa solitamente a trombosi. Infarto emorragico (rosso) Ha caratteristiche simili a quelle dell’infarto ischemico con aggiunta di stravaso e riassorbimento ematico. Da notare come gli infarti venosi siano quasi sempre emorragici in seguito all’occlusione da parte di un trombo dei seni cerebrali. Infarto non emorragico (pallido) E’ un infarto che si modifica nel tempo. • Dopo 48 ore dal danno irreversibile il tessuto diventa molle, pallido e tumefatto; la giunzione corticomidollare si fa indistinta. • Dopo 2-10 gg il parenchima si fa gelatinoso e friabile; la giunzione si fa ancora meno definita a causa dell’edema che circonda la tumefazione. 295 • Fino alle 3 settimane dopo il tessuto si liquefa lasciando una cavità in espansione rivestita da tessuto scuro grigiastro. Dal punto di vista tissutale si assiste alle seguenti modificazioni: • Fino a 12h: modificazioni neuronali ischemiche (neuroni rossi), edema vasogenico e citotossico, cell endoteliali e astrociti iniziano a gonfiarsi, le fibre mieliniche cominciano a disintegrarsi. • Fino a 48h: migrazione dei neutrofili ha un picco poi scema, i macrofagi derivanti dalla microglia e dai moniciti circolanti assumono un ruolo predominante fino alle 2-3 settimane. • Dopo 1 settimana: quando i macrofagi sono già al lavoro da un po’ si osservano i primi astrociti reattivi. • Dopo parecchi mesi: le dimensioni cell degli astrociti si riducono e i loro processi formano un denso agglomerato di fibre gliali frammiste a capillari e rare fibre di tessuto connettivo. Questi processi sono la testimonianza della riparazione in atto. Clinica A seconda della localizzazione della patologia si può avere un pz asintomatico o presentante una vasta gamma di sintomi correlati alla zona colpita che possono evolvere fino a exitus. Emorragia intracranica Le emorragie possono insorgere in qualsiasi sede del SNC. Possono essere un evento secondario a, per esempio, infarti dovuti a occlusione vascolare, o possono essere primitive tipicamente in conseguenza di traumi e si sviluppano nello spazio subdurale ed epidurale. Le emorragie a livello subaracnoideo, sebbene possano anch’esse essere causate da traumi, sono più spesso espressione di una malattia cerebrovascolare. Emorragia intraparenchimale (intracerebrale) Queste patologie di origine spontanea (non traumatica) mostrano un picco nelle persone intorno ai 60 anni. L’ipertensione è la causa più comune coprendo il 50% dell’eziologia dell’emorragia intraparenchimale. Questo perché l’ipertensione causa: • Aterosclerosi accelerata delle arterie di grosso calibro • Aterosclerosi ialina dei capillari • Lesioni proliferative e necrosi nelle arteriose • Sviluppo dei microaneurimi di Charcot-Bouchard Æ siti di rottura?? Altri fattori che possono causare emorragia spontanea sono: ¾ Alterazioni della coagulazione ¾ Chirurgia a cuore aperto ¾ Neoplasie 296 ¾ ¾ ¾ ¾ Angiopatie amiloidi Vasculiti Aneurismi fusiformi Malformazioni vascolari Morfologia L’emorragia di origine ipertensiva origina al nel putamen (60%), talamo, ponte ed emisferi cerebellari (raro). Per le loro localizzazioni si dividono in e. gangliari ed e. lobari. Lo stravaso di sangue causa compressione parenchimale e, a lungo andare, si forma una cavità con bordo marrone pallido con edema periferico che va riassorbendosi; le osservazioni istologiche sono le medesime dell’infarto cerebrale. Clinica Se colpisce vaste aree può essere fatale in poco tempo oppure può essere silente nel caso l’interessamento sia ridotto e circoscritto. L’ematoma va poi riassorbendosi con miglioramento clinico. La sintomatologia dipende dalla zona colpita. Emorragia subarcanoidea e aneurismi sacculari La rottura di un aneurisma sacculare è la più frequente causa di emorragia subaracnoidea. Altre cause: ¾ Estensione di un ematoma traumatico ¾ Rottura di un’emorragia ipertensiva intracerebrale nel sistema ventricolare ¾ Malformazione vascolare ¾ Tumori ¾ Disturbi ematologici L’aneurisma sacculare è il tipo più comune di aneurisma intracranico, si riscontrano per la quasi totalità nella circolazione cerebrale anteriore in prossimità dei principali punti di ramificazione arteriosa. Patogenesi degli aneurismi sacculari L’eziologia è sconosciuta! Alcuni studi li mettono in correlazione con alcuni disturbi genetici ereditari. Fumo e ipertensione sono statisticamente considerati fattori di rischio. Morfologia Un aneurisma sacculare è un’estroflessione a parete sottile e traslucida in corrispondenza di punti di ramificazione lungo il circolo di Willis. Misurano 2-3 mm di diametro. 297 La rottura del sacco avviene normalmente all’apice dell’estroflessione con stravaso di sangue in sede subaracnoidei e/o nella sostanza cerebrale. La parete del sacco è priva della parete muscolare e della lamina elastica ed è costituita da una parete ialina ispessita. Clinica Più frequente nella 5° decade e leggermente più comune nelle donne. Maggiore sono le dimensioni dell’aneurisma maggiori sono i pericoli di sanguinamento. La rottura si ha a un aumento della pressione intracranica come durante attività sportiva o un rapporto sessuale; il pz manifesta una cefalea lancinante e sviene. Il 25-50% muore alla prima rottura, gli altri rinvengono in pochi minuti e migliorano. Le recidive sono imprevedibili e la loro ricorrenza aggrava la prognosi. Gli effetti possono essere: ¾ Acuti: a seguito entro poche ore del sanguinamento ¾ Tardivi: legati al processo di riparazione Uno dei pericoli della fase acuta è la diffusione di un vasospasmo che si può estendere a diversi vasi e causare ischemia nelle zone adiacenti. Tra gli effetti tardivi vi è l’alterato flusso di liquor dovuto alla formazione di cicatrici. Malformazioni vascolari Classificabili in 4 gruppi: ¾ Arterovenose ¾ Angiomi cavernosi ¾ Teleangiectasie capillari ¾ Angiomi venosi Malformazioni arterovenose Sono le più comuni e interessano i vasi dello spazio subaracnoideo che si estendono nell’encefalo o in quelli esclusivamente all’interno dell’encefalo stesso. Assomigliano a una rete aggrovigliata di canali vascolari vermiformi con notevole shunt arterovenoso e notevole flusso ematico passante per la malformazione. Molti si presentano come vasi ispessiti e presentanti alterazioni della lamina elastica o sostituzione della media con connettivo ialinizzato. Angiomi cavernosi Canali vascolari bassamente organizzati, distesi, con pareti sottili e pive di tessuto nervoso! Di solito presenti nel cervelletto, ponte e nelle regioni subcorticali. 298 Teleangiectasie capillari Foci microscopici di canali vascolari a parete sottile, dilatati e separati da parenchima cerebrale. Angiomi venosi Aggregati di vasi venosi ectasici. Clinica Maschi sono colpiti il doppio delle donne con picco trai 10 e i 30 anni presentandosi come disordine epilettico. La più colpita è la cerebrale media. 299 Neoplasie del Sistema Nervoso Centrale Generalità Le neoplasie a carico del sistema nervoso centrale sono per ½-3/4 primitive, ovvero originano primariamente nel parenchima cellulare nervoso, la restante parte rappresenta le neoplasie di origine metastatica. Questi tumori arrivano a costituire fino al 20% di tutte le neoplasie pediatriche con un peculiare sviluppo nella fossa cranica posteriore in posizione sopratentoriale. Le neoplasie del SNC presentano due picchi di età: - 1° decade: raggiunge il 9%di frequenza - 6° decade: succede perché i tumori più comuni come, ad es, l’astrocitoma, generano verso i 40 anni ma, a causa della loro crescita lenta, vengono all’evidenza clinica solo nell’anziano. Questi tumori presentano caratteristiche peculiari: ¾ La distinzione tra forme maligne e forme benigne è meno marcata: - Vi sono neoplasie gliali a basso indice mitotico che sono altamente infiltrative. - Queste neoplasie sono di difficile eradicazione chirurgica. - Posso risultare fatali nonostante il loro istotipi a seconda della loro localizzazione. ¾ Sono formati da cell particolari e non vi è presenza di stroma connettivale. ¾ Danno solo raramente metastasi: - La barriera emato-encefalica viene solo in rari casi valicata da cell metastatizzanti - Lo spazio sub-aracnoideo è la via sfruttata dalle cell tumorali per metastatizzare a livello encefalico e midollare. Normalmente prevalgono a livello statistico le forme benigne ma, come già accennato, in questa classe di patologia conta maggiormente il rapporto della neoplasia, sia essa benigna o maligna, con l’ambiente circostante che l’istotipo stesso. ÆUn meningioma benigno, per esempio, può comprimere il bulbo causando morte per arresto respiratorio. ÆPiù in generale c’è da dire che questi tumori crescono in spazi ristretti e spesso causano compressione da cui spesso scaturisce un aumento della pressione del liquor (norm=20mmHg); da qui il più comune sintomo riconducibile spesso a queste malattie ovvero la cefalea. Le neoplasie del SNC possono derivare da tre tipi di cell: ¾ Neuroni: rari perché sono cell molto stabili. 300 ¾ Macroglia: - Astrociti: cell simili ai fibroblasti che possono formare cicatrici in condizioni particolari - Oligodendrociti - Cell ependimali: hanno caratteristiche comuni alle cell epiteliali, tappezzano i ventricoli e il canale vertebrale. ¾ Microglia: sono cell simili ai macrofagi che possono dare patologie diverse ma mai tumore Le neoplasie della macroglia sono di gran lunga le più frequenti! ÆMeningiomi: tumori intracranici extra-parenchimali. Æ Vi sono ancora problemi nella classificazione a causa di forme che si presentano a componenti miste gliale-neuronale o due tipologie gliali. Oltre a questa classificazione questi tumori si possono dividere anche in base alla sede di interessamento: ¾ Sopratentoriale: tipico dell’adulto ¾ Sottotentoriale: tipico del bambino Classificazione WHO dei tumori del sistema nervoso 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. T. neuroepiteliali T. dei nervi periferici T. delle meningi Linfomi e neoplasie ematopoietiche T. cellule germinali T. della sella turcica Æ esordio clinico per compressione T. metastatici Æ sono di difficile diagnosi visto che, per es, una metastasi di adenocarcinoma può essere confusa con un meningioma vista la natura a metà tra l’epiteliale e l’endoteliale delle cell meningee. Diagnosi La diagnosi risulta spesso difficile viste le disparate varietà di tumore e la variabilità della sintomatologia manifesta. Anche l’immunoistochimica è di scarso aiuto in quanto possiamo evidenziare solo due marker: ¾ GFAP (proteina gliofibrillare acida): indica una derivazione gliale. ¾ Ig anti-sinaptofisina: indica una derivazione neuronale. Problema dell’eradicazione chirurgica Vi sono neoplasie benigne che diventano di fatto maligne a causa dell’impossibilità di escissione chirurgica. Ciò non è dovuto a una difficoltà di accesso ma all’interessamento di una zona funzionale. 301 Clinica Come già detto la clinica è molto variabile e dipende principalmente dalla crescita e dalla sede di sviluppo. • • • Cefalea: la massa tumorale ha effetto di aumentare la pressione endocranica. Epilessia: tumore che ha infiltrato la corteccia (gliomi) Falso segno focale: il tumore spinge masse cerebrali fino a farle erniare dai diversi fori e causando la compressione dei nervi in quella sede Vero segno focale: il tumore ernia comprimendo lui stesso il nervo Emorragia: segno evidente della crescita tumorale che porta con sé neoangiogenesi e, quindi, formazione di vasi non stabili. Idrocefalo: il tumore cresce dentro al canale cefalo-rachidiano obliterandolo e rendendo così impossibile il drenaggio del liquor dall’encefalo. Edema • • • • Tumori neuroepiteliali • • • • • • • • • • Tumori astrocitici Tumori oligodendrogliali Gliomi misti Tumori ependimali Tumori del plesso coroideo Tumori gliali di origine incerta Tumori neuronali e misti neuronali-gliali Tumori neuroblastici Tumori del parenchima pineale Æ derivanti dal terzo occhio dei rettili e infatti presentano cell simili a quelle della retina Tumori embrionali Tumori astrocitici ¾ Astrocitoma diffuso: • Fibrillare • Gemistocitico • Protoplasmatico ¾ Astrocitoma anaplastico ¾ Glioblastoma ¾ Astrocitoma pilocitico ¾ Xantoastrocitoma pleomorfo ¾ Astrocitoma subependimale a cell giganti Gli ultimi tre tipi di astrocitoma sono localizzati e perciò hanno una prognosi migliore. 302 Al contrario gli astrocitomi diffusi, nonostante abbiano un più basso grado istologico, sono più infiltrativi e quindi più maligni; inoltre vengono diagnosticati tardivamente e, negli anni, possono passare dal basso grado fino a glioblastoma. Grading E’ stata elaborata una nuova scala di valutazione che supera quella di St.Anne/Mayo. ¾ I: Astrocitoma pilocitico ¾ II: Astrocitoma di basso grado Æ proliferazione di astrociti che si mantengono quasi uguali ai normali con qualche atipia. Proliferazione lassa perciò non vedo mitosi. ¾ III: Astrocitoma anaplastico Æ elementi polimorfi + atipia + mitosi + neoangiogenesi ¾ IV: Glioblastoma Æ ….+ necrosi!! Æ questo tumore da aspettative di vita che non superano 1 anno nonostante eventuali interventi chirurgici, la giovane età del pz aumenta un poco le aspettative di vita; se attacca zone mute la chirurgia può essere più radicale ma recidiva spesso con differenziamento cellulare e anaplasia ripresentandosi più aggressivo. Eziologia • • • Radiazioni Sequenze DNA SV40 Eventi molecolari… Æ Nel passaggio da grado II a III, nell’ astrocitoma diffuso, si ha la perdita di alleli su 9q e su 13q e un’amplificazione su 12q. I geni coinvolti sono tutti regolatori del ciclo cell. In sostanza vi è più di un fattore necessario allo sviluppo della patologia. Fenotipo Grado II a III: perdita di allele 9p,13q,amplificazione12q (9p21 geni codificanti per p16 e p15 del ciclo cell) Astrocitoma diffuso • • • • • • • • Elevata differenziazione cellulare, lenta crescita; Età: 30-40 Æ Questa neoplasia rappresenta l’80% dei tumori cerebrali dell’adulto! Sesso: maschi > femmine Grado: II Localizzazione: sopratentoriale, frontale e temporale; causa perciò sindrome prefrontale con aggressività, disinibizione e alterazioni caratteriali Macro: margini indistinti o massa gelatinosa a confini indefinibili Istopatologia: cellularità, rare atipie nucleari., mitosi assenti,GFAP+ Sopravvivenza: 6-8 anni 303 • • Fattori prognostici: età, resezione chirurgica, mutazione TP53 – (variante gemistocitica) Clinica: convulsioni, cefalea e deficit neurologici L’astrocitoma, dal punto di vista istopatologico, è suddiviso in 3 tipi: • Fibrillari: cell a stella • Gemistocitico: cell con citoplasma eosinofilo e fini processi, è la forma più aggressiva • Protoplasmatici: cell con piccolo corpo, scarsi e flaccidi processi simili a cell reattive, degenerazione mucide Astrocitoma anaplastico • • • • • • • • • • Anaplasia focale o diffusa; marcato potenziale proliferativo; progressione in glioblastoma Età: media 41 Sesso: maschi > femmine Grado: III Localizzazione: emisfero cerebrale Macro: indistinguibile dall’astrocitoma diffuso Istopatologia: cellularità + elevata, atipie nucleari, mitosi frequenti Genetica molecolare: mutazione TP53 Sopravvivenza: 3 anni Fattori prognostici: età, resezione chirurgica, presenza di oligodendrociti che rendono meno aggressivo il tumore. Glioblastoma In seguito a uno differenziamento che può essere locale o diffuso avviene il seguente schema di trasformazione: astrocitoma fibrillareÆastrocitoma anaplastico- - ->glioblastoma Inoltre vi è anche la forma primaria. • • • • • • • • • Astrociti scarsamente differenziati, proliferazione vascolare, necrosi Vi può essere una progressione da grado III o insorgenza “de novo”; Età: media 45-70 (rare manifestazioni in utero); Incidenza: 12-15% SNC Sesso: maschi > femmine Grado: IV Localizzazione: sostanza bianca subcorticale dell’emisfero cerebrale (temporale, parietale, frontale) Macro: massa grigiastra mal definita, necrosi a palizzata, emorragie, unilaterale o bilaterale (a farfalla); inoltre proliferazione vascolare glomeruloide (per similitudine col glomerulo renale) che può dare emorragia con relativi sintomi. Diffusione: rapida, attraverso il corpo calloso, rare metastasi via liquor, rare metastasi via ematica e liquorale (iatrogena) 304 • • • • • • Istopatologia: astrociti poco differenziati., atipia nucleare, marcata attività mitotica con strano orientamento dei fusi mitotici, proliferazione microvascolare (aspetto glomeruloide), necrosi (a palizzata), strutture ghiandolari (dd con adenocarcinoma), cell giganti multinucleate (variabile – maligna), cell.lipidizzate, cell.granulari ICC: GFAP+ EM: variabilità morfologica, mitocondri degenerati, presenza filamenti dipende da differenziazione Genetica molecolare: - Mutazione TP53, LOH 17p Æ secondario (progressione da grado III) - LOH 10p, amplificazione EGFR Æ primario (GBM de novo) Sopravvivenza: <1 anno indipendente da chemio e radioterapia Fattori prognostici: età (< 45 anni), necrosi -, resezione chirurgica, EGFR -, PTEN+, TP53 indiff. E’ un tumore dal comportamento imprevedibile ed assurdo, in alcuni casi produce actina, miosina e risulta GFAP-. La sopravvivenza non supera un anno nonostante radioterapia e chemioterapia. Astrocitoma pilocitico • • • • • • • • • • • • • Circoscritto, lenta crescita, pattern bifasico (cell bipolari + fibre di Rosenthal; cell.multipolari + microcisti e granular bodies) Età: 10-20 anni Clinica: cefalea, endocrinopatie, deficit visivi, no epilessia Sesso: no prevalenza Grado: I Localizzazione: nevrasse; principalmente nel cervelletto, nervo ottico, chiasma ottico, emisfero cerebrale, midollo spinale Macro: massa discreta ben limitata con cisti Istopatologia: pattern bifasico, scarsa cellularità, processi hair-like (aspetto piloide), rare mitosi, proliferazione vascolare, alterazioni regressive (calcificazioni, necrosi, linfociti) ICC: GFAP +, fibre di Rosenthal (αβcristallina dalla degenerazione dei filamenti del citoscheletro), EGB (α1chimotripsina e α1tripsina) Genetica: correlato a NF1 Sopravvivenza: benigno; a lenta evoluzione con possibilità di stabilizzazione o regressione, associazione a NF1 più aggressivo; associato a rare mitosi, aumentata cellularità, atipia cellulare (astro pilocitico atipico) non ha significato clinico. Clinica: deficit visivi, endocrinopatie Diagnosi: in presenza di cell multipolari e di granuli i può porre certa diagnosi Tumori oligodendrogliali ¾ ¾ Oligodendroglioma Oligodendroglioma anaplastico 305 Oligodendroglioma • • • • • • • • • • • • • • Cellule oligodendrogliali ben differenziate; diffusamente infiltrante; Età: 50-60 anni, rari nell’infanzia; Incidenza: 4.2% SNC Sesso: maschi > femmine Grado: II Localizzazione: sostanza bianca emisferica (frontale) Clinica: convulsioni epilettiche, cefalea Macro: massa soffice, grigio-rosata o gelatinosa, calcificazioni Istopatologia: moderatamente cellulato, cell rotonde con citoplasma chiaro, microcalcificazioni, rete capillare, occasionali mitosi ICC: no markers specifici (S-100, Leu7, GFAP, Vim) EM: cellule rotonde, citoplasma estratto, nucleo regolare, microtubuli perinucleari, tozzi e corti microvilli, aggregati mitocondriali Genetica molecolare: perdita eterozigoti per 19q, 1p; forte espressione di EGFR Sopravvivenza: 3-5 anni Fattori prognostici: età, localizzazione frontale, resezione chirurgica La variante anaplastica presenta all’EM un’aumentata densità cellulare con anaplasia nucleare, aumento delle mitosi e necrosi. In questo caso la prognosi è peggiore. Vista l’assenza di marker distintivi può essere confuso con l’ependimoma a cell chiare o con un neurocitoma (che può essere sinaptofisina – a causa del prolungato fissaggio). Per questo è molto importante la diagnosi differenziale. Gliomi misti Oligoastrocitoma Oligoastrocitoma anaplastico ¾ ¾ Tumori ependimali ¾ • • • • ¾ ¾ ¾ Ependimoma Cellulare Papillare A cellule chiare Tanicitico Ependimoma anaplastico Ependimoma mixopapillare Subependimoma Questo tipo di patologie insorgono spesso in prossimità del sistema ventricolare o del canale centrale visto che entrambi sono rivestiti da ependima. 306 Ependimoma • • • • • • • • • Cellule ependimali ben diff; lenta crescita; bambino e giovane adulto; parete dei ventricoli; Incidenza: 3-9% dei t. neuroepiteliali Età: - nel bambino è infratentoriale interessando 3° e 4° ventricolo - nell’adulto (30-40 anni) è spinale - bambino e adulto è sopratentoriale interessando i ventricoli laterali Sesso: non prevalenza Grado: II Localizzazione: fossa posteriore e midollo spinale; III,IV e ventricoli laterali Clinica: dipende dalla sede (sottotentoriali, idrocefalo; fossa post, atassia cerebellare; sopratentoriali, deficit neurologici, convulsioni) Macro: ben demarcato, soffice, grigiastro-rosa, cisti, foci di necrosi o emorragici Istopatologia: nuclei monomorfi (basso grado), pseudorosette perivascolari e rosette ependimali (tipiche del tessuto), mitosi rare o assenti, necrosi occasionale; GFAP, Vim., S-100, EMA, CK focali…può avere tre aspetti: - Cellulare con scarse rosette; - Papillare con papille ben formate - Cellule chiare che va in DD con oligodendroglioma e neurocitoma; EM diagnostica - Tanicitico con aspetto astrocitico EM: cellule fusate, filamenti gliali, giunzioni zipper-like, microrosette con microvilli e ciglia Genetica: correlato a NF2 (neurofibromatosi di tipo 2) Genetica molecolare: LOH 17p Sopravvivenza: 5-10 anni indipendente dal grado di resezione chirurgica Fattori prognostici: giovane età -, localizzazione (spinale, sovratentoriale, fossa) Æ se la malattia è localizzata a livello del 3-4 ventricolo, per la sua vicinanza ai centri bulbari e pontini è difficile la sua resecazione completa; nelle manifestazioni spinali, invece, la resecazione è spesso totale. Ependimoma mixopapillare • • • • • • • • • • • Si manifesta nel giovane adulto a livello del filum terminale della cauda presentando un pattern papillare Incidenza: rappresenta il 13% degli ependimomi ed è la neoplasia intramidollare più comune Età: media 36 Sesso: femmine>maschio Grado: I Localizzazione: cauda equina e, raramente, a livello emisferico Clinica: dolori alla schiena di lunga durata Macro: soffice, lobulato, grigiastro Istopatologia: pattern papillare con cell cuboidali, matrice mixoide, mitosi rare o assenti; ICC: GFAP, S-100, Vim EM: caratteristiche ependimali, lamina basale 307 • Sopravvivenza: prognosi buona, 10 anni indipendente dal grado di resezione chirurgica; recidive rare Papilloma dei plessi • • • Età pediatrica Asse connettivale ricoperto da epitelio cuboidale a volte colonnare che riproduce fedelmente la struttura di un vero plesso corioideo. Idrocefalo (anche comunicante per iperproduzione) Tumori neuronali e misti neuronali-gliali Gangliocitoma Astrocitoma infantile desmoplastico/ Ganglioglioma Tumore neuroepiteliale disembrioplastico (DNT) Ganglioglioma Ganglioglioma anaplastico Neurocitoma centrale Liponeurocitoma cerebellare Paraganglioma ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ Si presentano spesso come entità con più citotipi diversi prendendo, così, la denominazione di misti. Le varietà di questi tumori misti sono in numero molto elevato. La denominazione ganglioma distingue una famiglia di neoplasie derivanti dalle cell piramidali. La denominazione neurocitoma indica la proliferazione neoplastica di piccoli neuroni derivati dalle cell dei granuli interni del cervelletto che spesso si manifestano in posizione paraventricolare. Neurocitoma centrale • • • • • • • • • Cellule rotonde a diff neuronale; ventricolo laterale;giovane adulto; prognosi favorevole Incidenza: 0.25-0.5% SNC Età: media 29 anni Sesso: non prevalenza Grado: II Localizzazione: ventricoli laterali e III ventricolo Clinica: pressione intracranica, occasionali deficit visivi e mentali Macro: massa grigiastra, friabile, calcificazioni e occasionali emorragie Istopatologia: cellule rotonde, monomorfe, oligo-like; neuropilo (aree fibrillari); microvascolarizzazione con aspetti di arborizzazione; 308 • • • • • ICC : Sinaptofisina (falsi + o negatività) DD: oligodendroglioma, ependimoma a cell chiare, pineocitoma, DNT EM: cellule rotonde, nucleo monomorfo, microtubuli dispersi, granuli neuroendocrini, prolungamenti neuritici con microtubuli, strutture similsinaptiche Genetica molecolare: gain chr.7, isocromosoma 17 Sopravvivenza: prognosi favorevole, resezione completa; può avere aggressività istologica non influente sulla prognosi Ganglioma • • • • • • • • Gruppi irregolari di neuroni displastici, multipolari + componente gliale costituita da astrociti circondati da stroma reticolinico. Necrosi assente Incidenza: 0.4% SNC Età: media tra 8.5 e 25 anni Sesso: 1.1:1 Grado: I Localizzazione: cervello, cervelletto, midollo allungato, spinale, nervo ottico, ipofisi, gh. pineale Clinica: dipende dalla sede Macro: massa solida o cistica, occasionali calcificazioni Tumori embrionari ¾ Medulloepitelioma ¾ Ependimoblastoma ¾ Medulloblastoma • Medulloblastoma desmoplastico • Medulloblastoma a grandi cellule • Medullomioblastoma • Medulloblastoma melanotico ¾ PNET • Neuroblastoma • Ganglioneuroblastoma ¾ T.rabdoide-teratoide atipico Æ Tutti questi tumori esprimono pochi o nessun marcatore della cell mature del SNC, per questo sono detti embrionari o indifferenziati Medulloblastoma • • • • • • Tumore invasivo, maligno embrionale del cervelletto; differenziazione prevalentemente neuronale; bambino; tendenza alla disseminazione mediante liquor …costituisce il 20% dei tumori cerebrali nei bambini. Incidenza: 0.5 x 100.000 Età: media 7 anni; nell’adulto, 21-40 anni Sesso: 65% nei maschi Grado: IV Localizzazione: verme del cervelletto; tendenza ad infiltrare il IV ventricolo 309 • • • • • • Clinica: atassia del tronco, disturbo del passo, ipertensione secondaria ad ostruzione del canale ependimale, cefalea, vomito mattutino Macro: consistenza variabile, emorragia massiva Istopatologia: - Medulloblastoma classico: cell.rotondo-ovali. Nucleo ipercromatico, scarso citoplasma, rosette neuroblastiche - Medulloblastoma desmoplastico: noduli a bassa cell. con nucleo monomorfo, circondati da aree intensamente cellulate e proliferanti - Medulloblastoma a grandi cellule: cell. grandi, nucleo pleomorfo, nucleoli prominenti, necrosi, elevata attività mitotica ICC: nestina, Vim, Sin, NF, GFAP, N-CAM EM: differenziazione neuroblastica con neuriti, granuli neuroendocrini, strutture simil-sinaptiche; aree di differenziazione gliale Genetica: associato a forme famigliari, sindrome di Turcot Genetica molecolare: amplificazione gene MYC; LOH 17p, 1q, 10q,5q (gene APC) Sopravvivenza: 50-70% a 5 anni - Fattori negativi: età<3 anni, metastasi alla presentazione, resezione chirurgica parziale, variante a grandi cellule, differenziazione gliale, LOH 17p, amplificazione MYC. - Fattori positivi: variante desmoplastica, aneuploidia, differenziazione neuronale, apoptosi. Meningioma • • • • • • • • • Tumore generalmente a lenta crescita, benigno in rapporto alla dura madre costituito da cellule meningoteliali dell’aracnoide . Può essere multifocale e recidivare. Incidenza: 6 x 100.000 (frequenza all’autopsia 1.4%) Età: adulto-anziano Sesso: femminile (rapporto 2:1) Grado: I, II (meningioma atipico), III (meningioma anaplastico) Localizzazione: intracranici (sopra le convessità cerebrali attaccati alla falce), cavità orbitale e intravertebrale, rari extracranici Clinica: sintomatologia da compressione delle strutture adiacenti o deficits specifici relativamente alla sede Macro: consistenza solida o elastica; lobulato Istopatologia: - Meningoteliale o sinciziale: whorls e corpi psammomatosi - Fibroso: cellule fusate in fasci separati da abbondante collagene - Transizionale: intermedio tra meningoteliale e fibroso - Meningioma atipico: mitosi + 3 o piu parametri (cellularita, elevato N/C, nucleoli prominenti, necrosi, sheet-like), - Meningioma anaplastico: simil-sarcoma, >20 mitosi x 10HPF 310 Æ Varianti: Psammomatosa, angiomatoso, microcistico,secretorio, metaplastico ,cordoide (II), a cellule chiare (II) , papillare (III), rabdoide (III) ICC: EMA, VIM, S-100, CEA (secretorio) EM: desmosomi, prolungamenti citoplasmatici interdigitati, filamenti intermedi, nuclei con pseudoinclusioni. • Genetica: - Meningioma, grado I : LOH 22q, mutazioni NF2 - Meningioma atipico, grado II : LOH 1p, 6q, 10q, 18q; gain 1q, 9q, 12q, 15q, 17q, 20q. - Meningioma anaplastico, grado III: LOH 6q, 9p, 10 e 14 q, amplificazione 17q, mutazioni rare TP53, PTEN, delezioni rare CDKN2A • Prognosi: predizione di recidiva e di sopravvivenza (grado III); estensione della resezione, sede, età, grado, indici di proliferazione (MIB1), recettori per il progesterone. • • Tumori metastatici Le metastasi, soprattutto di origine carcinomatosa, rappresentano fino alla metà delle neoplasie intracraniche. Le sedi di derivazione primaria principali sono: Polmone Mammella Cute (melanoma) Rene Tratto gastrointestinale Spesso le masse metastatiche si possono presentare come la prima manifestazione della neoplasia che le ha generate. Le masse intraparenchimali risultano ben delimitate, spesso al confine tra sostanza bianca e sostanza grigia e circondate da una zona edematosa. Alle volte le metastasi possono essere attorniate da gliosi reattiva. 311 Neoplasie epiteliali della cute Epidermide normale Vi sono diversi tipi di cellule da ognuno dei quali può derivare un tumore. Cheratinociti Cellule epiteliali suddivise in diversi strati. Mano a mano che dagli strati profondi si va verso gli strati superficiali, le cellule maturano, si differenziano ed assumono caratteristiche diverse. A partire dallo strato più interno, verso la superficie, si hanno: Strato basale: contiene cellule staminali della cute che rigenerano in continuazione. Essendo indifferenziate e proliferanti sono più sensibili allo sviluppo del tumore. Strato spinoso: hanno questo aspetto per la presenza di ponti fra cellula e cellula. Inoltre nel citoplasma cominciano ad accumularsi tonofibrille composte da citocheratina (proteina tipica delle cellule epiteliali). Le tonofibrille conferiscono resistenza e tono alle cellule. Strato granuloso: sulle tonofibrille che continuano ad accumularsi si va depositando un collante lipidico, che in questo strato forma dei granuli. Strato lucido; le tonofibrille ed il collante continuano ad accumularsi formando una massa amorfa. In questo strato già non è più visibile il nucleo. Si tratta dunque di cellule già morte Strato corneo: si tratta di cellule completamente differenziate e morte, che vanno incontro a desquamazione. Ognuno di questi tipi cellulari può andare incontro a proliferazione neoplastica. La cellula neoplastica nella proliferazione tende a ricostituire una struttura uguale a quella di partenza, ma non riesce a garantire la funzionalità della medesima. A volte l’epitelio perde alcune delle sue caratteristiche proprio nella differenziazione. Ortocheratosi: normale differenziazione. Paracheratosi: differenziazione alterata. Nelle cellule degli starti superficiali si vede ancora il nucleo. La membrana basale è uno strtato che sottende ai cheratinociti. Fornisce appoggio meccanico alle cellule dell’epitelio garantendo la polarizzazione della differenziazione (è un processo orientato vettorialmente ). Inoltre è il mezzo di contatto tra epidermide e sottostante derma garantendo il signalling fra di essi. 312 Il fenotipo normale dei cheratinociti li vede fondamentalmente positivi per la citocheratina. Melanociti Sono cellule che si ritrovano nella parte basale dell’epitelio. Derivano dalla cresta neurale, ma sono diverse dai cheratinociti. Si tratta di cellule dendritiche, dotate di numerosi prolungamenti e capaci di formare diramazioni. Producono melanina, un pigmento colore marrone scuro che ha la fnz di proteggere il DNA dai raggi UV nella cute esposta al sole. In risposta allo stimolo luminoso, i melanociti producono granuli di melanina, detti melenosomi, e li trasportano fino alla parte terminale dei loro dendriti, nello strato superiore: I cheratinociti dunque fagocitano la porzione terminale dei dendriti, contenente i melanosomi, acquisendo così la melanina che li protegge dai danni delle radiazioni. Il fenotipo normale dei melanociti li vede fondamentalmente positivi per la vimentina e negativi per la citocheratina. La vimentina è un marker delle cellule mesenchimali in genere. Cellule di Langherans Sono cellule epidermiche dendritiche, APC professionali. Esse catturano e processano gli antigeni, presentandoli poi sulla loro superficie; dunque, grazie alla loro capacità di movimento discendono nell’epitelio ed attraversano la membrana basale, ponendosi così a contatto con gli elementi linfoidi. Fanno quindi parte del sistema immunitario: anche la cute in generale si può considerare come parte del compartimento innato del S.I. poiché costituisce una prima barriera fisica all’ingresso dei microbi Si ritrovano negli strati al di sopra di quello basale e non sono unite alle altre da alcuna giunzione specializzata. Anche queste cellule sono in grado di andare incontro ad una proliferazione neoplastica, dando luogo ad istiocitosi. Il marker caratteristico di questo tipo di proliferazione neoplastica è l’identificazione ultrastrutturale di granuli di Birbeck, caratteristici delle cellule di Langhrans. Cellule di Merkel Si tratta di elementi neuroendocrini che contengono al loro interno granulazioni costituenti il neurosecreto. Si ritrovano nello strato basale dell’epidermide. Anche queste cellule sono in grado di andare incontro ad una proliferazione neoplastica, dando luogo a merkelosi, un tipo di tumore molto raro. 313 Trasformazioni tumorali dei cheratinociti Secondo una progressione in senso di acquisizione di malignità, la trasformazione tumorale dei cheratinociti vede i seguenti stadi: 1. cheratosi attinica: è una situazione pre-cancerosa 2. carcinoma in situ 3. carcinoma invasivo Vi sono diversi fattori che possono portare ad una proliferazione anomala: - fattori ambientali: es. luce solare - infezioni virali da virus oncogeno. Es. papillomavirus La diagnosi differenziale è necessaria nei confronti di: - nevo epidermico - cheratosi seborroica - cheratoacantoma - carcinoma a cellule squamose - neoplasie poco differenziate (metastasi, carcinoma mesenchimale) Acantoma a cellule chiare Si tratta di una neoplasia benigna a partire da cellule squamose epidermiche cheratinizzate, con citoplasma ricco di glicogeno. - all’esame obiettivo si presenta come un erosione della superficie ha una localizzazione preferenziale agli arti inferiori colpisce prevalentemente adulti ed anziani, perché è dovuta all’accumulo di mutazioni in sede epiteliale. Le cellule sono chiare per la presenza di abbondanti quantità di glicogeno, che nella fissazione in paraffina o con formalina tende ad essere estratto. La diagnosi differenziale è molto importante perché all’esame obiettivo questo tipo di tumore si presenta come un’ulcera. Cheratoacantoma È una neoplasia benigna derivante da cellule epidermiche dello strato corneo, già cheratinizzate. Ha una prevalenza nei maschi rispetto che nelle femmine, con un rapporto 3:1. Si presenta come un nodulo cupoliforme, di colore roseo, con una depressione centrale ripiena di cheratina (aspetto a cratere) circondata da un anello di proliferazione epiteliale neoplastica. 314 Generalmente è un nodulo singolo localizzato prevalentemente nel viso, nel dorso e nelle mani (principalmente aree cutanee fotoesposte); solamente in condizioni di immunodepressione a volte ha uno sviluppo multiplo. Le sue dimensioni sono molto variabili: solitamente il nodulo ha un diametro di 1-2.5 cm., ma a volte raggiunge anche forme giganti con diametro > di 5cm., fino a 20cm. A differenza degli altri tumori benigni, che generalmente si sviluppano nel corso del tempo per accumulo di mutazioni, questa è una neoplasia a crescita rapida. È necessaria diagnosi differenziale nei confronti del carcinoma squamo-cellulare che a volte si presenta con una situazione macroscopica di tipo crateriforme Istologia È una neoplasia, fortemente demarcata rispetto alla circostante cute, sia esofitica (cresce all’esterno) che endofitica (cresce all’interno). Presenta un cratere centrale ripieno di squame che vengono ad essere ortocheratosiche, ma comunque con una quantità maggiore di cheratina, che si presenta come laminata ed eosinofila. Nella zona marginale vi è iperplasia dell’epitelio, senza displasia del medesimo: le cellule epiteliali si estendono intorno ai margini del cratere in un numero aumentato di strati, come prolungamenti irregolari. Si tratta comunque di un tumore benigno dunque che può andare incontro a regressione spontanea, senza alcun tipo di trattamento. È privo di cheratosi attinica, in presenza della quale vi sarebbe paracheratosi. Citologia Le cellule epiteliali sono di dimensioni aumentate, squamose, con abbondante glicogeno. Possono presentare atipie citologiche, che sono tuttavia di tipo reattivo e non displastico (il nucleo nelle cellule cheratinizzate non è presente, le alterazioni sono dovute unicamente all’iperplasia). Queste cellule hanno citoplasma eosinofilo caratteristico e cheratinizzano bruscamente ( senza presenza di un interposto strato granuloso). Le cellule periferiche che occupano lo strato basale, sono cellule basaliodi, che dunque assomigliano alle cellule dello strato basale, ma sono meno differenziate. Nella fase iniziale, di rapida proliferazione, la risposta infiammatoria è molto scarsa. Quando la lesione progredisce invece vi è notevole risposta infiammatoria che può portare alla formazione di micro-ascessi. Nel momento in cui il tumore va incontro a regressione e perde le cellule dello strato corneo, si ha produzione di fibrosi del derma, necessaria alla guarigione dal processo neoplastico. 315 Diagnosi differenziale Dal carcinoma squamo-cellulare. Nel carcinoma squamo-cellulare: - si ha presenza dello strato granulare - si ha paracheratosi, dunque pedita del nucleo negli strati superficiali - si ha invasione del derma - la crescita è più lenta, ma non si ha mai regressione spontanea, anzi il tm tende all’invasione - si ha presenza di aree di necrosi: presenti in tutte le neoplasie maligne, poiché l’irrorazione sanguina e dunque il nutrimento è sempre insufficiente rispetto alle necessità della massa tumorale, in rapida crescita. - Si ha presenza di aree di emorragia, accanto alle aree di necrosi: l’emorragia è dovuta alla neoangiogenesi compensatoria che porta alla formazione di vasi con pareti immature che vanno incontro più facilmente a rottura. Il risultato è la formazione di aree necrotiche ricche di coaguli. Dalla cheratosi attinica (situazione pre-cancerosa) Nella cheratosi attinica: - si ha ugualmente crescita rapida - si ha presenza di dotti eccrini proliferanti e metaplastici che secernono un prodotto differente. - Si ha pseudoinvasione periferica: in realtà non si ha invasione ma solo una situazione di proliferazione di elementi atipici. Sembra di vedere la presenza di cordoni che penetrano nel derma, ma non è così. - La regressione è molto lenta ma comunque la prognosi è favorevole. Cheratosi attinica È importante perché viene a costituire la modificazione displastica che precede la definitiva trasformazione cellulare cancerosa. È causata da una serie di agenti: - esposizione cronica al sole - radiazioni ionizzanti: può essere un problema che insorge post-radioterapia - idrocarburi ed arsenicati: possono essere sostanze che inducono mutazioni. Insorge prevalentemente nell’adulto/anziano (accumulo di mutazioni) Fra i fattori predisponenti vi è la pelle di carnagione chiara, che è più delicata avendo meno melanociti. Le lesioni hanno generalmente diametro<1 cm., colorito rosso bruno, o rosso, ma comunque eritematoso ( DD con carcinoma basalioide), aspetto a carta vetrata. Si ha una cheratosi, dunque una produzione molto maggiore di cheratina negli strati superficiali squamosi: in alcuni casi la produzione di cheratina è così abbondante da dare luogo alla formazione di un corno cutaneo. 316 Le lesioni sono pigmentate ( DD con lentigo e con lentigo maligna). Le regioni cutanee più colpite sono quelle più frequentemente esposte al sole: volto, braccia, dorso delle mani. Istologia Marker fondamentale di questo tumore da un punto di vista istologico è la presenza di displasia, cioè di atipia cellulare. L’atipia cellulare compare inizialmente nelle cellule dello strato basale dell’epidermide, che sono le più sensibili agli stimoli oncogenici e mano a mano si propaga agli strati superiori. Nel momento in cui tutto lo spessore dell’epitelio è interessato da atipie e displasie si può già parlare di carcinoma in situ. Le cellule basali atipiche presentano citoplasma rosa o rosso, nuclei allungati ipercromatici con cromatina raccolta in grosse zolle, a volte ponti intercellulari. La maturazione di queste strutture è alterata, tanto che lo strato corneo è ispessito e vede la presenza di cellule ancora nucleate→ paracheratosi. Il tumore può presentare due varianti: - variante iperplastica: le cellule displastiche dello strato basale proliferano attivamente - variante atrofica: le cellule displastiche dello strato basale vanno incontro a diffusa atrofia che comporta diffuso assottigliamento della cute. Il tumore può essere associato a : - infiltrato infiammatorio→ cheratosi attinica licheinoide - pigmentazione melanica - elastosi: degenerazione delle fibre elastiche. Vede presenza di una sostanza amorfa, rossastra, monomorfa, che si associa spesso a teleangioctasia, cioè dilatazione delle strutture vascolari. È un aspetto molto comune della cute esposta ai raggi solari che vede ispessimento della cute, ma, se non si tratta di tumore, mancanza di atipie. - Acantolisi: dissoluzione o lisi dei siti di adesione intercellulare all’interno dell’epitelio. Provoca un disordine dello strato basale con conseguente degenerazione delle cellule neoplastiche e formazione di foci di vescicolazione. La cheratosi può essere associata ad un carcinoma micro-invasivo, che dunque tende a diffondersi nel derma sottostante. Prognosi della cheratosi attinica - - generalmente buona si tratta di una lesione pre-cancerosa, dunque è bene eradicarla e non lasciarla in situ, anche perché è di facile identificazione, interessando zone della cute di grande visibilità. Non si conosce la percentuale di casi che evolve verso il carcinoma spinocellulare. 317 Carcinoma spino-cellulare È definibile come una proliferazione di cellule epidermiche con caratteristiche di elementi basali e soprabasali. È il secondo tumore per frequenza, che insorge nella cute fotoesposta, principalmente a livello di testa e tronco. Eccetto che per le lesioni degli arti inferiori, questi tumori presentano una maggiore incidenza tra gli uomini, principalmente nei soggetti anziani ( accumulo di lesioni). Inizialmente si sviluppa come carcinoma in situ (non infiltra la mbr basale della giunzione dermoepidermica): - placca a margini netti di colore rosso (eritematosa) - a volte ipercheratosica - DD con le dermatiti infiammatorie che però non hanno ipercheratosi. Quindi il tumore può passare allo stato di invasività (superamento della mbr basale): - placche dure - presenza di bordo ipercheratosico, con perdita di squame - ulcerazione superficiale a volte - a volte si ha la presenza di un cratere superficiale (DD con cheratoacantoma) - se è interessata la mucosa orale si hanno aree di ispessimento biancastre → leucoplachia La prognosi di questo carcinoma non è mai biologicamente così maligna come dovrebbe essere quella di un carcinoma. La capacità di dare metastasi di questo tumore è molto maggiore se esso si localizza a livello delle mucose, poiché si ha una maggiore vicinanza ai vasi. È causata da una serie di agenti: - esposizione cronica ai raggi UV (sole) - cancerogeni industriali (catrami ed oli) - ulcere croniche e vecchie cicatrici da ustioni: vi è una continua proliferazione riparativa, con conseguente aumento della probabilità di insorgenza di mutazioni. - radiazioni ionizzanti - tabacco: è causa della comparsa di questo tumore a livello della mucosa orale. Il calore del fumo infatti è uno stimolo irritativi continuo che provoca metaplasia e dunque successivamente aumentail rischio di neoplasia. - xeroderma pigmentoso: i soggetti affetti da questa patologia hanno minima capacità di riparare il DNA. - HPV36 (papillomavirus): ceppo di virus con proprietà oncogeniche spiccate Istologia Proliferazione di cellule atipiche a tutti i livelli dell’epidermide. L’atipia è prevalentemente nucleare: i nuclei sono grand,.polimorfi, con contorno angolato, ipercromatici, con aumentata attività mitotica, atipie nella disposizione del fuso mitotico, nucleoli prominenti.. 318 Lo strato corneo, sia nei tumori in situ che in quelli invasivi è ispessito, e presenta paracheratosi. Lo strato granuloso è invece assente o silente. Vi è aumento dell’angiogenesi, per fornire un maggiore nutrimento alle cellule neoplastiche, ma vi è anche infiltrato infiammatorio. Nel momento in cui la cellula epiteliode neoplastica attraversa la mbr basale, il tumore diventa di tipo invasivo. La mbr basale è lo stratodi separazione tra epidermide e derma ed è formata da: - collagene di tipo IV - laminina o epiliprina - integrine: proteine di mbr Le cellule prendono contatto con i componenti della matrice attraverso strutture giunzionali dette emidesmosomi. Le cellule epiteliali acquisiscono la capacità di passare la mbr basale nel momento in cui le strutture desmosomiali si perdono. I carcinomi squamocellulari infiltranti mostrano un grado molto variabile di differenziazione, variando da tumori composti da cellule poligonali squamose disposte in ordinati lobuli, con ampie aree di ipercheratinizzazione, a tumori formati da cellule tondeggianti, anaplastiche, con focolai di necrosi e di emorragia. Alcune varianti della morfologia del tumore sono rappresentate da: - variante a cellule fusate - variante con pattern pseudghiandolari: presenza di aree acantolitiche che potrebbero simulare un lume ghiandolare La cellula neoplastica tenta sempre di riprodurre funzionalmente la cellula normale, ma non vi può riuscire completamente: a volte tentando di conservare la produzione di cheratina la cellula neoplastica produce negli strati epidermici delle strutture dette perle cornee, ammassi cheratinizzati, dovuti alla produzione di cheratina all’interno dell’epidermide medesima. Diagnosi È molto importante stabilire se si tratti di una neoplasia primitiva della cute o di una metastasi secondaria a livello cutaneo. Per fare ciò vengono utilizzate tecniche di immunoistochimica, che mettono in evidenza la positività per le citocheratine delle cellule neoplastiche di derivazione epidermica. La diagnosi differenziale è importante nei confronti di altre 3 situazioni, di cui 2 neoplastiche: - melanoma - linfoma a grandi cellule - cheratoacantoma: il problema della diagnosi differenziale in questo caso è meno grave La prognosi è solitamente buona. 319 Il tumore metastatizza nel 2-3% dei casi: di questi l’11% vede metastasi sulla mucosa labiale, mentre lo 0.5% vede metastasi sulla cute danneggiata dall’esposizione al sole. Carcinoma basocellulare È una neoplasia maligna derivante da un elemento indifferenziato che dà origine a: - cellule dello strato basale - dotti delle ghiandole che formano gli annessi È il primo tumore per frequenza, che insorge nella cute fotoesposta, principalmente nei soggetti anziani (accumulo di lesioni). Ha crescita indolente Il fattore cancerogeno più importante è l’esposizione cronica ai raggi UV. Si presenta come una papula grigiastra, traslucida, priva di spessore e ben circoscritta, associata a teleangiectasia (capillari subepidermici prominenti e dilatati). Le lesioni avanzate possono ulcerare: l’ulcerazione è sintomo di maggiore invasività del tm nel derma. Infatti l’ulcera si ricrea in continuazione e vi possono essere casi di invasione locale profonda fino all’osso o fino ai seni dell’osso mascellare, giustificando la denominazione di ulcus rodens. Può essere fortemente invasivo e raramente presentare anche notevole capacità metastatica, spesso per via ematica. Alcune varianti della morfologia del tumore sono rappresentate da: - variante multifocale: le cellule epidermiche neoplastiche si estendono lateralmente per molti cm. Quadrati - variante eritematosa: richiede DD con ca spinocellulare, con melanoma a crescita radiale nelle prime fasi, con dermatiti infettive. - Variante pigmentata: placca pigmentata che può assomigliare ad una forma precoce di meloma. DD con melanoma a crescita radiale. Istologia Le cellule neopastiche formano cordoni ed isole, abbastanza basofile, che si addentrano nel derma superficiale e profondo; i margini fra cellule non sono quasi distinguibili. Le cellule neoplastiche hanno nuclei ipercromatici e sono circondate da uno stroma molto abbondante, contenente molti fibroblasti e linfociti. Le cellule che formano la periferia dei cordoni si dispongono a palizzata, cioè radicalmente parallele le une alle altre. Lo stroma intorno ad esse è però caratteristicamente retratto, dando luogo a spazi otticamente vuoti artefattuali, che aiutano nella DD. La cheratosi attinica non è necessariamente presente come tappa pre-cancerosa, ma può esserlo: nei casi in cui non vi sia, il carcinoma insorge direttamente nel derma, lasciando le cellule epidermiche intatte. 320 È spesso accompagnato da elastosi, proprio perché una dei fattori cancerogenici principali è costituito dalle radiazioni solari. Prognosi La crescita locale è aggressiva, anche se la capacità metastatica è scarsa, con tendenza a recidivare nella medesima sede. Questo tumore ha un particolare tropismo per le cellule neurali e questo costituisce un problema, soprattutto se è localizzato al viso, poiché seguendo i rami nervosi può giungere fino al SNC. Diagnosi differenziale con il carcinoma squamocellulare Il basalioma ha le seguenti caratteristiche che lo distinguono da un carcinoma squamocellulare: a. nucleoli non prominenti b. non vi sono singole cellule che possono invadere il derma dall’epitelio, ma le cellule sono sempre disposte in cordoni c. bassa attività mitotica d. necrosi a cellule singole e non in aree come nel ca squamocellulare e. organizzazione delle cellule neoplastiche in palizzate perinodulari f. proliferazione stremale L’unico problema lo può creare una variante del basalioma che è il basalioma cheratinizzato: produce cheratina (perle cornee) nonostante le cellule dello strato basale si trovino ad uno stto precedente di differenziazione. 321 Tumori dei melanociti Melanoma Tumore relativamente comune e molto aggressivo,data la sua alta capacità metastatica, che può rendersi evidente anche dopo molto tempo. È presente generalmente sulla cute fotoesposta,cioè in zone immediatamente visibili, ma con una certa frequenza si localizza anche in altre sedi, di più difficile diagnosi. Queste sono: - mucosa orale e anogenitale (parte terminale del retto) - uvea ed occhio - esofago - SNC (meningi) In questi casi naturalmente la diagnosi è più difficile ed il tm risulta più aggressivo in quanto risulta più vicino alla vascolarizzazione; il risultato è che il tm dà metastasi abbastanza rapidamente e la diagnosi viene fatta sulle metastasi stesse, dunque secondariamente. Il melanoma è sempre maligno, ed è la neoplasia cutanea letale più frequente nella maggior parte delle popolazioni occidentali, con una predisposizione nelle persone di carnagione chiara. In effetti l’esposizione ai raggi solari sembra essere uno dei principali fattori predisponenti allo sviluppo del tm: questa per provocare tumore deve essere acuta, cioè saltuaria ed intensa, non ripetuta non continuativa, non cronica. In accordo con il ruolo eziologico dei raggi solari gli uomini presentano più spesso questo tumore nella parte superiore del dorso e le donne più spesso negli arti inferiori ( perché portano le gonne). Le cellule del melanoma sono solitamente prive di strutture specifiche e talmente polimorfe da rendere la diagnosi di tumore davvero difficile, anche perché hanno scarsa caratterizzazione fenotipica. La diagnosi dunque, se il melanoma è localizzato sulla cute, è principalmente ispettiva. Una diagnosi precoce ed un intervento chirurgico possono eradicare più del 30% dei casi. Attualmente per la valutare l’interessamento metastatico dei linfonodi adiacenti al tumore si utilizza la tecnica del linfonodo sentinella: - iniezione di tracciante nella sede del tumore - si preleva solo il primo linfonodo più vicino al tumore - se questo è interessato da metastasi, si prosegue al successivo,altrimenti si interrompono prelievi. Una volta si faceva uno svuotamento chirurgico linfonodale completo della sede interessata dal tumore: questo metodo consente invece di prelevare solo i linfonodi realmente coinvolti metastaticamente. 322 L’escissione dei linfonodi coinvolti metastaticamente è utile per fermare la diffusione metastatica per via linfatica del tumore: il problema rimane nel fatto che questo tumore diffonde anche per via ematica. Questo tumore insorge prevalentemente nell’età adulta. Se è presente nell’infanzia o nell’adolescenza è associato a fattori di rischio particolari: - xeroderma pigmentoso ( minore riparazione del DNA) - nevo a costume da bagno ( bathing sun nevus) - sindrome del nevo displastico familiare: nevi di dimensioni maggiori rispetto alla maggior parte dei nevi acquisiti ( >di 5 mm.), che possono insorgere sotto forma di centinaia di lesioni sulla superficie neoplastica. Il melanoma può formarsi: 3) de novo 4) da nevo melanocitico congenito o acquisito pre-esistente 5) da un nevo blu: nevo superficiale ma che interessa anche il derma tanto da avere un colorito molto intenso, bluastro Le cause della formazione del melanoma vengono principalmente ad essere: - esposizione intensa e saltuaria ai raggi UV (in particolare quelli con lunghezza d’onda di 290-320nm.) - fattori predisponesti genetici - fattori predisponesti razziali: I maschi sono sempre più colpiti delle femmine, ed in essi la mortalità è maggiore. Il melanoma ha una presentazione clinica precoce, come nevo alterato. Infatti mentre qualsiasi nevo, acquisito o congenito, viene a costituire una neoplasia benigna a partire dai melanociti, il melanoma viene invece ad essere sempre maligno. Per evidenziare un nevo che abbia subito trasformazione in senso maligno si utilizza la regola dell’ABCDE. A→ asimmetria: il nevo dunque cambia forma e da regolare diviene asimmetrico. B→ bordo: il margine diviene irregolare C→colore: la pigmentazione diviene irregolare ed a volte vi sono anche delle apigmentosi D→diametro: assume un diametro maggiore di 5mm. E→elevation: assume maggiore rilevatezza, il che testimonia un passaggio dagli strati superficiali a quelli profondi. Nel termine melanoma sono incluse diverse entità clinico-patologiche, cioè diverse lesioni con caratteristiche cliniche e fisiologiche che si differenziano dalle altre. In senso generale il melanoma viene a presentare sempre due fasi di crescita: a. fase a crescita radiale: lesione proliferativi in situ e limitata all’epidermide. A volte può essere associata ad una microinvasione del derma. Questa è la prima fase, meno aggressiva del tm, da cui il tm può 323 anche regredire. Successivamente alla regressione, tuttavia il tm può recidivare e ripresentarsi, già in fase di crescita verticale b. fase a crescita verticale: invasiva, verso la profondità del derma. Può metastatizzare. Fase a crescita radiale Crescita indolente, ma progressiva Non si può avere metastatizzazione, ma al massimo microinvasione, cioè invasione locale del derma papillare ( strato del derma più superficiale, lasso e popolato da cellule; confina con il sottostante derma reticolare, più denso e fibroso, separato da esso da vasi sanguigni). L’iperproliferazione tra le cellule del derma papillare, se presente è anche detta melanosi pre-cancerosa o iperplasia aplastica atipica. In questa fase il tm può regredire, dando luogo alla formazione di cicatrici fibrose nelle aree di regressione, oppure può andare incontro a progressione verso la fase a crescita verticale. Istologia Si hanno melanociti chiari, singoli o in piccoli gruppi, che tendono ad essere presenti in tutti gli strati dell’epidermide, fino allo strato corneo. I melanociti, che normalmente sono cellule dendritiche, divengono: - cellule epitelioidi: perdono la loro conformazione specifica e vengono ad assomigliare morfologicamente sempre di più alle cellule dell’epitelio - cellule con atipica uniforme: solitamente si hanno cellule più grandi, con nucleo irregolare e polimorfo, ipercromatismo, dovuto all’addensamento della cromatina alla prf della mbr nucleare, mitosi rare nell’epidermide, ma presenti in un terzo dei casi nel derma, segno di un iniziale passaggio alla fase verticale. L’epidermide si presenta irregolarmente ispessita. Si ha sempre infiltrato infiammatorio, che si dispone a bande: questa presenza testimonia la reazione dell’organismo, che può portare anche a regressione del tumore È necessaria la DD con il nevo displastico che però presenta - atipia casuale: non tutte le cellule sono uniformemente atipiche - regolare allungamento delle papille - infiltrato infiammatorio “pathly” e solitamente piuttosto scarso - assenza di regressione (fibrosi) e mitosi. Fase a crescita verticale Il tm acquisisce la capacità di proliferazione ed invasione del derma: si ha discesa delle cellule neoplastiche e loro attraversamento della mbr basale. 324 La neoplasia può estendersi verso l’esterno, provocando una lesione nodulare, rilevata ( melanoma nodulare, che è una delle entità clinico-patologiche e che nasce già nello stato di crescita verticale, senza passare la fase radiale). Si possono avere possibili metastasi a distanza Il nodulo che si viene a formare può: - essere pigmentato o amelanotico ( condizione di più difficile diagnosi) - può ulcerare e sanguinare: questo è un segno da tenere in grossa considerazione Vi possono essere metastasi: - cutanee nella zona intorno al linfonodo(satellitosi) - nei linfonodi regionali - a distanza (SNC) Istologia e citologia Le cellule vengono ad essere epiteiliodi o fusate, simili a cellule mesenchimali (DD con sarcoma). Le atipie cellulari coinvolgono soprattutto il nucleo e sono costanti ed evidenti: - mitosi aberranti, molto frequenti per la proliferazione esasperata delle cellule - pseudoinclusioni nucleari: i nuclei sono a tale punto alterati e polimorfi, che nella sezione può sembrare che all’interno del nucleo vi siano aree di citoplasma. Fenotipo Questo tipo di tumore presenta: a. marker aspecifici: vimentina ( marker delle cellule mesenchimali), S-100, marker delle cellule di derivazione dalla cresta neurale. b. marker specifici : HMB45 e MART-1. Questi marker possono essere a volte poco positivi e dunque l’immunofenotipizzazione può essere poco utile. A questo punto è necessario fare ricorso al microscopio elettronico: infatti nelle cellule neoplastiche di derivazione melanocitica, nonostante tutte le alterazioni è sempre identificabile e presente nel citoplasma il melanosoma, organulo tipico dei melanociti. Tuttavia nelle neoplasie molto indifferenziate anche il melnosoma diviene atipico. Melanoma: stadiazione Questa è di enorme rilievo per stabilire l’approccio terapeutico più opportuno. La stadiazione tiene conto di diversi fattori: a. spessore: quanto discende volumetricamente il tm a partire dallo strato granuloso oppure a quale strato della cute giunge. Criterio di fondamentale importanza per il patologo 325 b. invasione linfonodale: rilevata mediante la tecnica del linfonodo sentinella c. ulcerazione d. sede delle metastasi: satellitosi, linfonodi regionali, o metastasi a distanza e. valori della DHL: lattico-deidrogenasi Melanoma: entità clinico-patologiche a. b. c. d. lentigo maligna lentigo maligna melanoma melanoma maligno a crescita superficiale melanoma maligno acrale lentigginoso melanoma nodulare Lentigo maligna Lesione pigmentata, soprattutto nella cute dell’anziano (60-70 anni) danneggiata cronicamente da raggi UV. Si localizza soprattutto sulle tempie e sulla fronte Ha crescita estremamente lenta: impiega 10-15 anni prima dello sviluppo della lesione aggressiva Non ha capacità metastatica e rimane in situ. Morfologia. È una macula piatta, a margini irregolari, gradualmente in estensione, variamente pigmentata, ma spesso con aree di depigmentazione che possono corrispondere alle aree di regressione Istologia. Caratterizzata da melanociti: - displastici: soprattutto nello strato basale - atipici: che però continuano a mantenere la forma dendritica - con organizzazione a palizzata - che possono coinvolgere l’epitelio degli annessi cutanei ( tutti gli epiteli contengono melanociti) Questo tipo di neoplasia può insorgere primitivamente anche nel tratto gastrointestinale, nel SNC, a partire da cellule indifferenziate, ma derivanti comunque dalla cresta neurale. L’epidermide interessata risulta atrofica, con presenza spesso di elastosi solare. 326 Lentigo maligna melanoma Le cellule sono assolutamente atipiche ed anomale. Il tm ha acquisito capacità invasiva del derma, che può esplicarsi in diversi punti ( invasione multifocale). Melanoma maligno a crescita superficiale È l’entità clinico-patologica di più comune riscontro. Insorge pressoché in uguale misura nei maschi e nelle femmine, ma con diversa localizzazione: nei maschi con localizzazione prevalente al dorso, nelle femmine agli arti inferiori. Morfologia. Macula o placca piatta, desquamata, con tendenza ad assumere aspetto nodulare ( il nodulo rappresenta il passaggio alla fase di crescita nodulare). La forma è irregolare e la pigmentazione variabile. Può dare problemi di DD con il carcinoma basocellulare, con il carcinoma spinocellulare e con neoplasie non maligne: un criterio di differenziazione utile può risiedere nel ricordare la regola dell’ABCDE, ed il fatto che queste alterazioni insorgono de novo, o a causa di un nevo pre-esistente. Ci sono varianti amelanotiche o ipopigmentate, con aree edematose Istologia Le cellule sono fortemente atipiche: - epitelioidi: indifferenziate a tale punto da avere perso ogni prolungamento ( a differenza della lentigo-maligna) e da assomigliare alle cellule epiteliali. - Citoplasma abbondante - Nucleo pleomorfo e vescicoloso - Nucleoli prominenti ( abbondante proliferazione) - Numerose mitosi Le cellule non riangono singole, ma si raggruppano in nidi. Nella prima fase questi nidi cellulari invadono tutto lo spessore dell’epidermide Nella seconda fase questi nidi cellulari discendono verticalmente verso il derma, con conseguenza presenza di mitosi nel derma medesimo. Si ha acantosi: notevole proliferazione ed ispessimento dello strato malpighiano Si ha appiattimento della rete epidermica delle creste. Melanoma maligno acrale lentigginoso Denominato: 327 - - acrale: perché si localizza prevalentemente alle estremità. Cresce a livello della pianta del piede o nel dorso delle mani. Le lesioni sono più aggressive in queste zone del corpo perché: • in queste regioni la cute e più sottile e dunque c’è una maggiore vicinanza dei melanociti alla vascolarizzazione • in queste regioni vi è un’irritazione meccanica, uno sfregamento continuo, che induce la continua rigenerazione epiteliale • in queste regioni un’ispezione è più difficile lentigginoso: perché cresce come la lentiggine, per estensione in modo parallelo all’epidermide. Si tratta di un’iperplasia dell’epidermide, con tendenza all’invasione del derma da parte delle cellule neoplastiche, formanti nidi giunzionali. Le cellule neoplastiche sono melanociti atipici, dendritici o epitelioidi, a volte giganti, localizzati nella regione basale dell’epidermide. Si ha invasione a cellule fusate con desmoplasia: dunque nel momento in cui penetrano nel derma le cellule divengono simil mesenchimali e si ha associazione della presenza di cellule neoplastiche con aumento dello stroma connettivale- collagenico. Si ha acantosi. Melanoma maligno nodulare Questo melanoma è caratteristico per mancare della fase di crescita radiale: esso nasce nella fase di crescita verticale e questo rende la sua prognosi più infausta. È più frequente nei maschi che nelle femmine con un rapporto 2:1 Insorge in età adulta-anziana: 50-60 anni, prevalentemente al tronco e agli arti. Morfologia. Aspetto nodulare o polipoide, profondo nel derma. Molto vascolarizzato e spesso ulcerato. Può essere anche amelanotico Questo insieme di caratteristiche pone il problema della DD con una neoplasia vascolare. Non essendoci la fase di crescita radiale non vi sono cellule neoplastiche a livello dell’epidermide. Istologia Vi sono diversi possibili tipi cellulari in questo tipo di melanoma: - cellule epitelioidi: • di dimensioni maggiori • rotonde • con pigmentazione variabile 328 • • • con nucleo vescicoloso ed altamente polimorfo ( presenza di pseudoinclusioni) nucleolo prominente (elevata proliferazione) mitosi atipiche - cellule fusate • ovalari • con processi citoplasmatici • simili alle cellule mesenchiamali del tutto indifferenziate - cellule giganti • sono le cellule con massimo grado di indifferenziazione e conseguente perdita di fnz, che costituiscono forse la tappa comune di tutte le neoplasie più maligne. Dunque in questo caso causano il problema di una DD con metastasi, sarcoma, linfoma anaplastico. L’infiltrato infiammatorio accompagna sempre il tumore Diagnosi La dg è particolarmente difficile perché spesso si hanno forme così indifferenziate che vengono perse le caratteristiche fenotipiche ed a volte la cellula neoplastica esprime antigeni per i quali non è positiva. Il campione viene dunque esaminato con diverse modalità fra cui, di fondamentale rilevanza clinica, risulta quella ultrastrutturale al microscopio elettronico, poiché, come si è già cisto, anche al massimo grado di indifferenziazione queste cellule contengono melanosomi, anche se talvolta alterati (melanosomi granulari per esempio). La diagnosi si fa più difficile: - in caso di lesione apigmentata - se si fa diagnosi delle metastasi secondarie del melanosoma orbita • cavità nasale ed orale • vulva, vagina, uretra, regione anale • raramente: meninge, esofago, stomaco, mammella, bronchi, surrenale • in questi casi inoltre la prognosi è sempre infausta perché il tumore ha già metastatizzato in aree altamente vascolarizzate, dove può svilupparsi con maggiore aggressività. Fattori prognostici - diagnosi istologica; per stabilire di quale entità clinico-patologica stiamo parlando fase di crescita (radiale o verticale) spessore: deve essere quantificato esattamente livello di invasione: a quale strato è giunto il tumore 329 - - mitosi: quantifica la capacità proliferativi del tumore presenza o assenza di regressione che generalmente si trova associata alla presenza di infiltrato infiammatorio apoptosi: rappresenta un segno di autolimitazione del tumore: un tumore con una mutazione di p53 andrà incontro ad apoptosi con molta maggiore difficoltà e dunque sarà più aggressivo EGFR: recettore per EGF (Epidermal Grow Factor). Molti tumori iperesprimono EGFR anche in assenza di segnale trascrizionale oppure addirittura hanno amplificazione del gene che codifica per EGFR. EGFR viene dunque ad essere più presente e viene ad essere attivato cosituzionalmente, senza bisogno di un ligando, con conseguente attivazione di una casacta di segnali che porta anche alla produzione di oncogeni. N.B. esistono farmaci di nuova generazione, inibitori delle Tyr chinasi, come EGFR, che vengono utilizzati (es. nel carcinoma polmonare) ed agiscono selettivamente solo sulle cellule neoplastiche, senza molti degli effetti collaterali dei farmaci di vecchia generazione. Livelli di invasione (classificazone di Clark) Lo spessore del tm viene quantificato in base allo strato che raggiunge: - livello 1: melanoma maligno in situ livello 2: raggiungimento del derma papillare con cellule singole livello 3: invasione dell’interfaccia dermica, cioè dell’area del plesso capillare, tra derma papillare e reticolare livello 4: invasione del derma reticolare livello 5: invasione del tessuto adiposo sottocutaneo: qui vi è massima invasività perché vi sono i vasi di maggiore calibro e le strutture nervose Volume della neoplasia (classificazione di Breslow) È il fattore diagnostico singolo della classificazione del melanoma a crescita verticale. Si misura dallo strato granuloso superficiale al più profondo punto di invasione del derma - IA→ <1 mm. (sopravvivenza a 7 anni: 95%) IB ( basso richio )→ <1, 69mm. (sopravvivenza a 7 anni: 88%) II ( medio rischio )→ 1,70-3,99mm. (sopravvivenza a 7 anni: 61%) III ( alto rischio )→ > 4mm. (sopravvivenza a 7 anni: 32%) 330