European Trade Union Confederation (ETUC) Confederazione Europea dei Sindacati (CES) Risoluzione CES su un programma per la ripresa europea Proteggere i posti di lavoro da depressione e deflazione, difendere i salari, la contrattazione collettiva e le pensioni PROTEGGERE I POSTI DI LAVORO DA DEPRESSIONE E DEFLAZIONE, DIFENDERE I SALARI, LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E LE PENSIONI Risoluzione CES su un programma per la ripresa europea 1. Il Piano per la ripresa economica della Commissione: un buon punto di partenza, ma con alcune incertezze e con una tiepida accoglienza degli Stati membri. Il 26 novembre la Commissione ha presentato le proprie proposte per il rilancio dell’economia. La principale consiste nell’introduzione di incentivi dal lato della domanda per 200 miliardi di Euro, pari all’1,5% del Pil, con uno sforzo per la maggior parte a carico degli Stati membri (1,2%). La Commissione ha descritto dieci ambiti prioritari di intervento. L’intento di stimolare la domanda è sostanzialmente corretto, essendo urgentemente necessario evitare che l’economia entri in una fase di recessione prolungata. Emergono tuttavia alcuni limiti evidenti. La logica del Patto di stabilità e di crescita e il parametro del 3% del deficit continuano ancora a dominare concettualmente, in modo tale che gli interventi proposti per rilanciare la domanda pari all’1,2% del Pil europeo verranno assunti essenzialmente da quegli Stati membri che dispongono delle possibilità fiscali per farlo. Tuttavia, ad eccezione della Germania e dei paesi scandinavi, non sono molti gli Stati membri in una tale posizione. Sorge la domanda se Germania e paesi scandinavi si assumeranno la responsabilità di operare come locomotiva dell’intera economia europea. Un ulteriore limite sta nello squilibrio dell’approccio alla formazione salariale. I sistemi di formazione salariale dei paesi affetti da problemi di inflazione e di competitività sono attualmente sotto attacco, mentre il caso opposto in cui le dinamiche salariali non tengono assolutamente il passo degli sviluppi della produttività viene semplicemente ignorato. Più importante ancora, non appare coerente deregolamentare i mercati del lavoro quando invece sono i mercati finanziari a necessitare di una ri-regolamentazione. Inoltre la reazione di alcuni Stati membri e di alcuni ministri è stata tutt’altro che travolgente e il rapporto del Consiglio Ecofin si è rivelato particolarmente scoraggiante. Anche se il piano della Commissione è lungi dall’essere perfetto, rappresenta comunque un primo passo avanti. Il Piano per la ripresa della Commissione necessita quindi di ulteriori sviluppi. La presente risoluzione, che descrive le caratteristiche di un piano maggiormente coerente per la ripresa europea, costituisce la base di un intervento comune con la Commissione, il Consiglio e il vertice sociale tripartito straordinario auspicato dalle Parti sociali europee. La risoluzione della CES si basa sui seguenti principi chiave: Appare ormai assolutamente chiaro che i mercati non possono risolvere tutti i problemi e in particolare che, soprattutto nelle circostanze attuali, è necessario l’intervento della mano visibile pubblica per guidare l’economia e organizzare la solidarietà nella nostra società, ivi compresi servizi pubblici solidi. Il programma della CES parte dal principio in base al quale è indispensabile una forte dimensione europea. È inoltre necessario un coordinamento paneuropeo per impedire che in Europa vengano attuati programmi nazionali isolati che si trasformino in politiche a scapito del vicino o di indebito vantaggio. L’intervento europeo si rivela inoltre necessario per garantire il finanziamento del programma per la ripresa europea garantendo maggiori possibilità di accesso ai mercati globali del capitale a tassi di interesse più accessibili e mantenendo sotto controllo la concorrenza fiscale, alimentando quindi la base imponibile degli Stati membri. 2 2. L’economia in preda a una spirale al ribasso. La crisi finanziaria sta ora facendo sentire i suoi effetti sull’economia reale. La generale stretta creditizia sta causando il crollo della domanda. L’economia è già in recessione, fase nella quale permarrà per i prossimi quattro trimestri circa. Mentre le banche e le famiglie saranno alle prese con l’onere del rispettivo debito per i prossimi anni, la prospettiva che emerge è quella di una protratta depressione della crescita. Il tutto non farà che alimentare la crisi del settore finanziario. 3. I tagli dei tassi di interesse e gli stabilizzatori automatici non sono sufficienti. La BCE ha finalmente avviato la fase del taglio dei tassi di interesse; sembra inoltre esservi un qualche consenso sul fatto che l’aumento dei deficit debba essere tollerato per far fronte agli effetti della crisi attuale. Si tratta di un approccio pragmatico che deve certamente essere accolto con favore, ma che si rivela tuttavia insufficiente. I tagli dei tassi di interesse erano attesi da lungo tempo e sono arrivati troppo tardivamente per poter sostenere l’economia in un 2009 che si presenta difficile. Gli stabilizzatori automatici possono attutire solamente una parte del colpo inferto all’attività economica, ma non possono di certo condurre alla ripresa. 4. Per evitare che le aspettative negative si radichino ulteriormente sono necessari interventi urgenti di politica fiscale discrezionale. Se si permette che la crisi si dispieghi senza intervenire questa non farà che intensificarsi ulteriormente. Le massicce ristrutturazioni dell’occupazione e la disoccupazione crescente alimenteranno aspettative ancora più pessimistiche le quali, a loro volta, accelereranno il crollo della domanda, in un contesto in cui la disinflazione finirà per trasformarsi in deflazione. È necessario intervenire affinché ciò non accada. Per arginare l’ondata recessiva che si sta alimentando devono essere messe in atto – e rapidamente – politiche dal lato della domanda. 5. L’Europa deve mobilitare la propria capacità di agire congiuntamente. Sebbene le politiche di intervento dal lato della domanda siano principalmente nelle mani dei governi nazionali, l’Europa ha comunque un ruolo chiave da svolgere. Interventi di incentivazione fiscale congiunti e coordinati comporteranno un effetto a un duplice livello rispetto all’intervento da parte di singoli Stati membri. L’istituzione di un Fondo di investimento sovrano europeo che emetta obbligazioni europee fornirà agli Stati membri l’accesso al risparmio mondiale a tassi di interesse inferiori. L’Europa deve inoltre chiarire come sia necessario fare ricorso a tutte le varie forme di flessibilità1 introdotte nella riforma del Patto di stabilità del 2005. 6. Un piano di incentivi per il 2% del Pil da investire in risorse umane, innovazione e sviluppo sostenibile. Il Piano per la ripresa europea dovrà basarsi su due principi: Interventi di emergenza nel brevissimo periodo per evitare il collasso dell’economia. Per evitare il crollo dell’economia è necessaria l’adozione rapida e massiccia di politiche del mercato del lavoro nella misura dell’1% del Pil. L’obiettivo consiste nel garantire maggiore sicurezza ai lavoratori in generale e nel fornire risorse a coloro che più ne hanno bisogno. A seconda delle caratteristiche del mercato del lavoro dei singoli Stati membri, il sopra citato 1% del Pil del programma di “investimenti in risorse umane” potrà rivolgersi a obiettivi diversi: 1 In circostanze eccezionali, quali un periodo protratto di bassa crescita, il Patto di stabilità e di crescita nella sua versione successiva alla riforma prevede l’aumento del deficit anche oltre la soglia del 3%. L’ulteriore elemento di flessibilità introdotto nel 2005 permette ulteriori deviazioni dalla disciplina del Patto di stabilità nel caso in cui gli Stati membri avviino riforme strutturali che comportino un impatto sulle finanze pubbliche. La proposta di investire il 2% del Pil in risorse umane e ambiente dovrebbe essere considerata nel quadro di tali investimenti per riforme strutturali. 3 a. Rafforzare le indennità di disoccupazione. In quegli Stati membri in cui l’indennità di disoccupazione, la possibilità di accedervi e la rispettiva durata sono relativamente limitati, sarà necessario intervenire dal lato del rafforzamento strutturale di tali sistemi. b. Migliorare la sicurezza per i lavoratori maggiormente flessibili. Ancora una volta la crisi evidenzia come i mercati del lavoro in Europa siano già fortemente flessibili: nel momento in cui l’attività economica entra in fase di stallo si verifica immediatamente una ristrutturazione massiccia dell’occupazione. Manca invece la dimensione della sicurezza. In particolare, i lavoratori con contratti di lavoro a breve termine, come i lavoratori temporanei e i lavoratori con contratto a tempo determinato, vengono gravemente colpiti dal rallentamento dell’economia. Al tempo stesso, i lavoratori con questi contratti di norma non godono di tutti i pieni diritti della sicurezza sociale, potendo accedere solamente a limitate misure formative a livello di impresa. Appare quanto meno equo che questi lavoratori vengano compensati per questa enorme flessibilità, garantendo loro ulteriori indennità di disoccupazione sotto forma di importi versati una tantum. Tale misura potrebbe anche essere intesa come bonus “occupazione” che i soggetti disoccupati in questione potrebbero utilizzare per finanziare la ricerca di un nuovo posto di lavoro. c. Sostenere la flessicurezza interna. Mantenendo al lavoro i lavoratori durante i periodi di crisi economica, la flessicurezza interna fornisce alle imprese il vantaggio di disporre di lavoratori formati e qualificati non appena si verifichi la ripresa dell’economia. I modelli di flessicurezza interna vengono promossi da un lato attraverso una forte protezione del posto di lavoro, dall’altro attraverso la cassa integrazione finanziata tramite il sistema previdenziale. In questo caso i lavoratori mantengono il posto di lavoro e lavorano a tempo parziale, con relativa riduzione dei salari, che vengono integrati grazie ai sussidi di disoccupazione. Gli Stati membri che intendano operare in tal modo possono versare, in tutto o in parte, l’1% dell’investimento in politiche del mercato del lavoro con l’obiettivo di sviluppare o rafforzare la flessicurezza interna. d. Investire in competenze e apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Le indennità di disoccupazione devono essere integrate da programmi il cui obiettivo sia la riqualificazione e il miglioramento delle competenze dei lavoratori disoccupati. In tal modo i periodi di disoccupazione possono essere sfruttati come opportunità per migliorare il capitale umano dell’economia, evitando quindi i tipici colli di bottiglia che si verificano nei momenti di ripresa economica. e. Adottare programmi lavoro per incrementare l’occupazione nel settore dell’economia sociale. Oltre alla formazione, un altro modo per far sì che i lavoratori disoccupati mantengano un contatto con il mercato del lavoro evitando quindi il deprezzamento del capitale umano consiste nell’istituire programmi lavoro gestiti dai governi con l’obiettivo di creare posti di lavoro che rispondano alle necessità sociali nei confronti delle quali vi sarebbe altrimenti scarsa attenzione, come nel caso dell’assistenza agli anziani, delle strutture per i bambini o dei lavori di comunità. f. Rafforzare il Fondo Europeo di adeguamento alla Globalizzazione. Queste azioni a livello nazionale devono essere integrate da un’azione a livello europeo. Il Fondo per la globalizzazione esistente deve essere ampliato e trasformato in un 4 fondo di assistenza e di supporto per tutti i lavoratori colpiti dalla prospettiva della perdita del posto di lavoro, indipendentemente dal fatto che la minaccia al loro posto di lavoro origini dalla globalizzazione o dalla crisi economica attuale. Sono necessarie maggiori risorse e dovrebbe inoltre essere garantito il coinvolgimento strutturale delle parti sociali. Investimenti in un New Deal verde per trascinare l’economia verso la ripresa. Gli Stati membri dovrebbero trarre vantaggio dagli spazi di manovra offerti dal programma di “investimento nelle risorse umane” per programmare ulteriori piani di investimento che dovrebbero vedere la luce non oltre la metà del 2009. Se adeguatamente mirato, un tale programma di investimento non solo aiuterà l’economia a superare la fase di depressione, ma ne rafforzerà anche il potenziale di crescita nel lungo periodo. Emerge qui un’opportunità per combinare la lotta contro la crisi economico-finanziaria con un programma di investimenti nello sviluppo di nuovi settori industriali, di fonti energetiche razionali e sostenibili, di reti europee e di edilizia convenzionata. In pratica, l’obiettivo della politica fiscale dovrebbe consistere nell’incremento degli investimenti di un ulteriore 1% del Pil, portando quindi il totale delle misure per la ripresa al 2% del Pil. 7. Evitare la cascata deflazionista sui salari. Crescita e posti di lavoro non sono gli unici elementi a dover sopportare gli effetti della crisi. Con il diffondersi della crisi a tutta Europa sussiste il rischio che le dinamiche salariali possano giungere a minacciare la stessa stabilità dei prezzi, spingendoli al ribasso. Se la disinflazione si trasformasse in deflazione ciò non farebbe che aggravare il quadro generale. Per creare un’ulteriore garanzia contro la deflazione e per evitare l’effetto a cascata di una spirale salariale al ribasso, la Commissione dovrebbe basare le proprie scelte sulle linee guida già esistenti e integrate nella strategia di Lisbona 2 con l’obiettivo di proporre un nuovo processo politico: gli Stati membri, di concerto con le parti sociali nazionali, dovrebbero essere invitati a formulare politiche che istituiscano o rafforzino un minimo salariale con dinamiche salariali in linea con gli incrementi di inflazione tendenziale e produttività tendenziale. Ciò implica tra l’altro garantire che: ciascun paese istituisca un minimo salariale all’estremo più basso del mercato del lavoro, rimuovendo dal mercato la concorrenza basata su salari di povertà; i contratti collettivi abbiano un’ampia diffusione; la gerarchia della contrattazione collettiva venga generalmente rispettata; le condizioni salariali e occupazionali stabilite nei contratti collettivi e/o nel diritto del lavoro vengano rispettate e attuate nella pratica. Per raggiungere tali obiettivi sono disponibili vari strumenti, quali ad esempio i salari minimi garantiti, i redditi minimi stabiliti nei programmi di previdenza sociale, il sostegno per una maggiore sindacalizzazione, l’allargamento giuridico della contrattazione collettiva e gli appalti pubblici che promuovano i contratti collettivi. Resta di responsabilità delle parti sociali Secondo le linee guida integrate europee, gli Stati membri dovrebbero perseguire sviluppi salariali “in linea con la stabilità dei prezzi e l’incremento della produttività tendenziale”. Quanto sopra non riguarda i casi di crescita zero o negativa. 2 5 a livello nazionale decidere quali strumenti siano maggiormente in linea con la tradizione nazionale della contrattazione collettiva. 8. Giustizia distributiva, politica fiscale e finanze pubbliche sostenibili. Crescenti diseguaglianze ed eccessivi oneri del debito sono due fenomeni strettamente collegati. Nell’arco degli ultimi decenni i redditi di capitale (profitti delle imprese, affitti, aumento del valore dei prezzi dei titoli) e le remunerazioni di soggetti a redditi più elevati sono cresciuti enormemente, mentre la crescita del salario reale dei lavoratori è stata pressoché stagnante. Per sostenere la domanda e l’economia nonostante l’accumulo di ricchezze nelle mani di pochi soggetti con retribuzioni elevatissime le famiglie sono state obbligate ad indebitarsi. Il modello della crescita originata dalla bolla del debito e del prezzo dei titoli si è rivelato insostenibile e ha ora reso necessario fare marcia indietro. Le famiglie e le banche stanno progressivamente riducendo livelli eccessivi di indebitamento, ciò che rischia di deprimere la crescita per molti anni a venire. Al fine di evitare che questo processo di deflazione del debito comporti una depressione prolungata è necessario che la politica fiscale avvii processi di redistribuzione, spostando gli incrementi reddituali dal capitale e dalla ricchezza alle famiglie e ai lavoratori delle classi medie. Stante il livello di integrazione economica e la concorrenza fiscale in Europa, ciò implica un’agenda europea che preveda coordinamento fiscale, misure di intervento contro i paradisi fiscali e i regimi a imposte zero o prossime allo zero, i regimi fiscali ad aliquota fissa e interventi su temi quali l’introduzione di un’aliquota fiscale minima e una base imponibile armonizzata sui profitti delle imprese, oltre all’imposizione sulle plusvalenze e sulle grandi ricchezze. Al tempo stesso il coordinamento della politica fiscale europea permette anche di intervenire sulla questione della sostenibilità delle finanze pubbliche. Per evitare che il processo della deflazione del debito rovini le nostre economie e le nostre società, il settore pubblico dovrà guidare l’economia e intervenire in misura molto maggiore, mentre deficit e debiti aumenteranno. Per mantenere la sostenibilità delle finanze pubbliche, rispettando tra l’altro l’impegno al versamento di pensioni dignitose, saranno necessarie nuove risorse fiscali, che potranno essere reperite a partire da quei redditi e da quelle fortune che fino ad ora hanno fortemente sfruttato il capitalismo da casinò. Va inoltre ricordato che investimenti e consumi pubblici sono di gran lunga più efficaci nel risollevare la domanda rispetto al taglio delle tasse, che probabilmente alimenta solo maggiori risparmi. 9. Politica industriale coerente e sviluppo sostenibile: altri due elementi necessari. La crisi finanziaria e la crisi dell’economia reale sollevano anche la questione specifica del ruolo e del futuro dell’industria in Europa. L’industria europea rappresenta il 20% del Pil e contribuisce direttamente con 40 milioni di posti di lavoro. La crisi economico-finanziaria minaccia questi posti di lavoro come mai prima d’ora, oltre ad altri milioni di posti di lavoro che dipendono dall’industria europea. Gli standard ambientali europei sono tra i più severi al mondo, così tanto da costituire punti di riferimento per le future misure a carattere globale. Le imprese europee che operano nei mercati internazionali sono già esposte a forti pressioni competitive in conseguenza delle normative ambientali dell’Unione Europea, oltre a numerose altre fonti di pressione. Tuttavia l’elemento positivo è che la ricerca e lo sviluppo, l’innovazione tecnologica e la reazione delle imprese alle norme ambientali in Europa in relazione ai cambiamenti climatici e ad altre tematiche hanno messo in moto una nuova dinamica. 6 La Commissione ha riconosciuto parte di questa nuova dinamica per una transizione verso un’economia basata in minore misura sull’utilizzo dei combustibili fossili, sottolineando invece l’utilizzo di sistemi e tecnologie pulite e di prodotti ecologici. I consumatori richiedono comunque di muoversi in questa direzione e sempre di più sceglieranno tecnologie più pulite. Per questa ragione si registra una sempre maggiore pressione in questa direzione. La CES ha ottenuto l’impegno della Presidenza francese per l’istituzione di un Comitato consultivo delle parti sociali sul cambiamento climatico. Se il riscaldamento del pianeta deve essere mantenuto entro i 2 gradi centigradi da qui al 2050, come accettato dall’UE, un tale approccio concertato risulta essenziale per operare questa transizione. Si tratta quindi di esaminare come dare attuazione a misure difficili, incluse ad esempio quelle che influenzano l’occupazione. Su questo punto l’Europa ha l’obbligo di dare un segnale, poiché le nostre nazioni sono responsabili di larga parte delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Altri paesi, quali Cina e India, hanno superato i nostri livelli di emissioni, con conseguenze delle quali soffriamo tutti. Possiamo però aiutarli e al contempo aiutare noi stessi. Di conseguenza la CES sostiene fortemente l’iniziativa “Green Cars” (auto verdi), il programma europeo per l’efficienza energetica in edilizia e le “fabbriche del futuro” per la ricerca e lo sviluppo. Per conseguire l’obiettivo dei 2 gradi è necessario creare una produzione e un consumo entrambi sostenibili. La CES identifica chiari segnali di una rivoluzione in corso verso le tecnologie pulite, segnali che devono essere sostenuti in una situazione di carenza di credito. Tutto ciò, unitamente ad altre misure, potrà permettere di proteggere i posti di lavoro esistenti, soddisfare rigide norme ambientali e mettere a disposizione nuove possibilità di esportazione di particolare rilevanza per il settore dei metalli ed altri del comparto manifatturiero. È già possibile rilevare in che misura i sistemi economici che assumono ruoli di leader nelle tecnologie verdi siano quelli con maggiori probabilità di posizionarsi tra i primi nel riemergere dalla crisi globale e di fornire un contributo importante per salvare il pianeta. Usciti dalla crisi potrà emergere una nuova visione, che costituirà parte integrante del “New Deal verde”, un pacchetto degno del ventunesimo secolo. 10. La nuova regolamentazione dei mercati finanziari deve essere accelerata e deve garantire che la crisi non abbia più a verificarsi. La crisi finanziaria minaccia pesantemente l’economia reale. Contemporaneamente ad una rapida attuazione di un Programma per la ripresa europea a sostegno dell’economia reale, il piano di azione europeo sui servizi finanziari e la modernizzazione del diritto societario e della corporate governance dovranno concretizzarsi ed essere attuati immediatamente. La CES e UNI Europa hanno presentato proposte concrete per una più efficace regolamentazione dei mercati finanziari (si veda il documento di sintesi CES dell’ottobre del 2008 e le richieste di UNI Europa del maggio 2008). L’Unione Europea deve agire di comune accordo e parlare con un’unica voce nel G20 a livello internazionale affinché il settore finanziario torni al servizio dell’economia reale. Sono necessarie riforme che modifichino dalle fondamenta la struttura e gli incentivi dell’architettura finanziaria. La dichiarazione dei leader del G20 riconosce l’esistenza di vuoti normativi nel sistema finanziario globale; è stata redatta una road map per la revisione delle norme finanziarie globali con una tempistica di interventi fino a marzo del 2009, oltre a un certo numero di temi chiave su cui intervenire. Tuttavia altri temi di grande rilevanza sollevati dal movimento sindacale internazionale non vengono al momento considerati, quali ad esempio la responsabilità pubblica delle banche centrali, la protezione dei programmi pensionistici, la tassazione internazionale e i limiti al commercio speculativo. Inoltre non vi è riconoscimento alcuno della necessità della partecipazione delle organizzazioni sindacali e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ai negoziati in corso. La CES continuerà ad operare di concerto con CIS, TUAC e Global Unions ribadendo il proprio sostegno alla “Dichiarazione di Washington”. 7 11. Garantire che i lavoratori ottengano un trattamento equo e il rafforzamento dei propri diritti. Da ultimo, va sottolineato come la crisi economica non debba condurre ad un indebolimento delle posizioni del mondo del lavoro. La risposta giusta per combattere con efficacia la crisi economica e l’ulteriore frammentazione del mercato del lavoro sta nel rafforzamento dei diritti dei lavoratori. Le istanze della contrattazione collettiva devono essere rafforzate al fine di garantire un livello minimo dei salari nominali. La CES richiede quindi all’Europa di lottare per i diritti dei lavoratori, per salari equi e dignitosi, per posti di lavoro stabili e per una forte contrattazione collettiva, indipendente dai giudici e dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee e non subordinata a questi. Si preannuncia una valanga di piani di ristrutturazione in numerose imprese, mentre il lavoro temporaneo e i contratti a tempo determinato vengono tagliati rapidamente in conseguenza della crisi. Piuttosto che riforme strutturali che promuovano licenziamenti facili e prolungamento dell’orario di lavoro (vedi la direttiva sull’orario di lavoro), sono necessarie riforme che forniscano alle imprese incentivi per sviluppare politiche incentrate sulla promozione della formazione interna e sulla flessibilità funzionale interna, con l’obiettivo di promuovere la creazione di posti di lavoro stabili. Devono inoltre essere rafforzati i diritti di partecipazione dei lavoratori (come nel caso dei CAE) per permettere la gestione del cambiamento e il miglioramento delle condizioni di lavoro, e di conseguenza della produttività. 8