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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Centro competenze tributarie
Novità fiscali
L’attualità del diritto tributario svizzero
e internazionale
N° 10 – ottobre 2015
Politica fiscale
Verso l’era dei patent box
È in arrivo l’uragano BEPS!
Domanda raggruppata olandese:
esempio per l’Europa o buco nell’acqua?
Esentare fiscalmente gli aiuti sociali disincentiva il lavoro?
Creare ricchezza per creare gettito
Raffronto intercantonale sulla deduzione per liberalità:
è Basilea Campagna il Cantone più benevolo!
3
4
5
6
12
17
Pragmatismo o ideologia? L'uovo o la gallina?
21
Civismo liberale vs. statalismo socialdemocratico
23
Diritto tributario italiano
La pretesa erariale nei confronti delle società di capitali
cancellate dal registro delle imprese
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Brasile: la dichiarazione spontanea dei patrimoni
detenuti all’estero
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Perdita immobiliare e relativa compensazione: aspetti temporali
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano
Conti esteri cointestati, inosservanza dell’obbligo di compilazione
del quadro RW e determinazione della sanzione
Offerta formativa
Seminari e corsi di diritto tributario
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40
Introduzione
Novità fiscali
10/2015
Redazione
SUPSI
Centro di competenze
tributarie
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Redattore responsabile
Samuele Vorpe
Comitato redazionale
Flavio Amadò
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Paolo Arginelli
Sacha Cattelan
Rocco Filippini
Roberto Franzè
Marco Greggi
Giordano Macchi
Giovanni Molo
Andrea Pedroli
Sabina Rigozzi
Curzio Toffoli
Samuele Vorpe
Impaginazione e layout
Laboratorio cultura visiva
Questo numero di ottobre 2015 offre una buona
idea sugli spazi, quasi sconfinati, che il diritto fiscale
raggiunge. Molto estesa questo mese è la rubrica di
politica fiscale che vanta ben otto articoli. I primi due
di Samuele Vorpe propongono una prospettiva sul
futuro in termini di marketing territoriale e di scambio
delle informazioni con riferimento ad imprese multinazionali. Il terzo, di chi scrive, affronta alcuni nodi
della recente domanda raggruppata di assistenza
olandese. Sabina Rigozzi presenta poi gli eterni, ma
più che mai attuali, quesiti fondamentali di equità
orizzontale che l’imposizione delle prestazioni di
aiuto sociale nonché l’esenzione fiscale del minimo
vitale pongono e Cristiano Bortolotti propone un
approccio offensivo a tutto campo di politica fiscale
territoriale. La rubrica si conclude con i contributi di
Sacha Cattelan, Michele Foletti e Paolo Pamini che
si esprimono sul possibile innalzamento della deduzione per liberalità nel Canton Ticino. Il contributo di
diritto italiano di Nicola Daina ci illustra quanto è dura
a morire la pretesa erariale, anche nei confronti di
società estinte. Si arriva, con Carlo Lorusso e Ludmila
Leite Groch, fino in Brasile, il quale anch’esso propone
una dichiarazione spontanea di patrimoni detenuti
all’estero. E la samba è musica lontana, ma anche di
pregnante pertinenza per i desk “America Latina” delle
banche svizzere. Samuele Vorpe ci conduce quindi,
nella rassegna di giurisprudenza di diritto svizzero,
nei criteri di applicazione sviluppati dal Tribunale federale in merito alle perdite immobiliari e relative
compensazioni, in particolare da un profilo temporale.
Infine, Roberto Franzè puntualizza, nella rassegna
giurisprudenziale di diritto italiano, con riferimento
ad una recente pronuncia fiorentina, gli obblighi
del quadro RW e le modalità di determinazione della
sanzione per conti esteri cointestati. Buona lettura!
Giovanni Molo
Politica fiscale
Verso l’era dei patent box
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
Con la Riforma III dell’imposizione delle imprese è
prevista l’introduzione dell’istituto del “patent box” per
sostituire i privilegi in favore delle società a statuto
speciale
Da qualche mese è disponibile il disegno di legge del Consiglio
federale sulla Riforma III dell’imposizione delle imprese. Una
delle misure (oltre alla riduzione generale delle aliquote) per tentare di attenuare il colpo dovuto all’abrogazione dei privilegi in
favore delle società a statuto speciale (società holding, domicilio e miste) è costituita dall’introduzione del cosiddetto “patent
box” a livello cantonale. La Confederazione rinuncia ad istituire
un patent box federale. Il provento privilegiato fiscalmente sarà
ridotto per la tassazione al massimo del 90% del suo valore, a
dipendenza della scelta del legislatore cantonale. Si parla di box
poiché vengono isolati i beni immateriali, i quali sottostanno ad
un’imposizione privilegiata.
Ma che cos’è il “patent box”? È una misura di promozione fiscale che interviene alla fine del processo di ricerca e sviluppo
(di seguito R&S) con lo scopo di attenuare l’imposizione dei
proventi immateriali derivanti appunto dall’attività di R&S.
Il modello presentato dal Consiglio federale costituisce una
misura fortemente orientata ai brevetti ed è compatibile con
lo standard definito dall’OCSE. Questa organizzazione internazionale imporrà, agli Stati che vorranno mantenere o dotarsi di
un patent box, l’utilizzo del metodo “nexus”. Questo metodo ha
lo scopo di impedire che i redditi vengano trasferiti arbitrariamente da Paesi con imposte elevate a Paesi con imposte basse.
Infatti, secondo tale approccio i redditi provenienti dai diritti
derivanti dalla proprietà intellettuale possono essere privilegiati
fiscalmente solamente in rapporto alle spese dell’attività di R&S
sostenute nel Paese di domicilio rispetto al totale delle spese di
R&S. Non si potranno quindi privilegiare redditi della proprietà
intellettuale se la società non avrà sostenuto delle spese di R&S
intra muros.
Ne consegue che se una società ha sostenuto personalmente
spese per 50 per lo sviluppo di un bene, mentre le spese totali
ammontano a 100, può beneficiare di un’imposizione privilegiata
della metà. Il reddito, per esempio di 200 non entrerà completamente nel box; solo la metà sarà imposta privilegiatamente.
Articolo pubblicato il 22.09.2015
sul Giornale del Popolo
Dopo un accordo tra Germania e Regno Unito sul patent
box, che ha trovato l’avallo dell’OCSE agli inizi di quest’anno, il modello “nexus” si è trasformato in “nexus modificato”.
È stata infatti prevista la possibilità di indennizzare il finanziamento e il controllo dell’attività di R&S all’estero mediante
un supplemento (cosiddetto “uplift”) del 30% delle spese di
R&S sostenute nel Paese stesso, a condizione che all’estero sia
effettivamente svolta un’attività di R&S di tale entità (p. es.
nell’ambito delle società appartenenti allo stesso gruppo).
Ammettiamo che la società madre al beneficio del patent box
sostiene delle spese di R&S per un importo di 50 (come l’esempio sopra). La società figlia, alla quale vengono esternalizzate
delle funzioni di R&S, registra delle spese per un importo di
20. In questo caso, l’importo massimo che può essere preso
in considerazione a titolo di spese di R&S è di 15 (50 x 30%).
L’eccedenza di 5 (20 – 15) non viene considerata. Tornando
all’esempio sopra indicato, il valore delle spese ammesse salirà
da 50 a 65. Ne consegue che il 65% (65/100) dei redditi immateriali saranno considerati privilegiati.
Il modello “nexus modificato” prevede tuttavia un approccio
stretto, nel senso che ammette nel box i brevetti e gli altri
attivi della proprietà intellettuale che hanno una funzione
equivalente ai brevetti. Questa visione dell’OCSE ha l’effetto
di escludere dalla definizione dei diritti immateriali gli attivi a carattere commerciale, come i marchi di fabbrica. Per il
Canton Ticino, nel cui territorio vi sono diversi nomi illustri
della moda, il patent box non costituirà un grande incentivo.
Per contro, l’Italia, in barba alle raccomandazioni dell’OCSE,
ha appena introdotto un modello di patent box nel suo diritto
interno, e lo ha potenziato con la (piena) inclusione anche dei
marchi commerciali tra le attività immateriali per le quali viene riconosciuto il beneficio fiscale!
Per maggiori informazioni:
Consiglio federale, Riforma III dell’imposizione delle imprese pronta per i
dibattiti parlamentari, Comunicato stampa, Berna, 5 giugno 2015, in: https://
www.news.admin.ch/message/index.html?lang=it&msg-id=57551
[05.10.2015]
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Politica fiscale
È in arrivo l’uragano BEPS!
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
Articolo pubblicato il 13.10.2015
sul Giornale del Popolo
Il 5 ottobre 2015 sono stati pubblicati i rapporti finali
del progetto BEPS, destinati a diventare il nuovo standard internazionale per la tassazione delle imprese
fiscali, ha pianificato l’introduzione di un regime fiscale privilegiato per i redditi della proprietà intellettuale in linea con le
direttive del piano d’azione n. 5 del BEPS (cosiddetto patent box).
Il 5 ottobre 2015 l’OCSE ha pubblicato i 15 piani d’azione relativi al progetto BEPS (Base Erosion Profit Shifting, ovvero Erosione
della base imponibile e trasferimento degli utili). Non appena i
rapporti sono stati resi pubblici, il Dipartimento federale delle
finanze (di seguito DFF) ha emanato un comunicato stampa
dal titolo emblematico: “Nuovi standard internazionali dell’OCSE
obbligatori in ambito di imposizione delle imprese: anche la Svizzera è
chiamata ad agire”.
Il BEPS si occupa anche di scambio di informazioni fiscali tra
autorità e sono previste una serie di raccomandazioni che
hanno lo scopo di migliorare la trasparenza dell’imposizione delle imprese. Infatti le multinazionali saranno tenute, per
mezzo dello scambio di informazioni, ad informare tutte le
autorità fiscali dei Paesi in cui sono economicamente attive,
sulle loro attività e sulle imposte che pagano. Inoltre, si prevede uno scambio di informazioni spontaneo e obbligatorio dei
ruling (ovvero degli accordi sul trattamento fiscale tra società e fisco) tra i diversi Paesi. Ne consegue che qualsiasi ruling
pattuito tra fisco e società finirà per essere conosciuto anche
dalle altre autorità fiscali. Tutto dovrà quindi essere corretto,
anche le regole applicabili ai prezzi di trasferimento infragruppo.
A livello fiscale si sono ormai armonizzate le regole del gioco,
spetterà ora alla Svizzera riuscire ad essere abile ad attirare
società capaci di creare valore aggiunto.
Queste 15 azioni avranno un forte impatto sul diritto fiscale
societario degli Stati, Svizzera inclusa. Come è stato per lo scambio di informazioni in materia fiscale, anche per l’imposizione
delle imprese, l’OCSE ha assunto un ruolo trainante emanando
degli standards ai quali tutti gli Stati dovranno adeguarsi. Il direttore dell’OCSE non ha ancora parlato di liste grigie o nere, ma
di una cooperazione tra Stati. È pur vero che per far applicare le
regole del BEPS, non si esclude l’utilizzo di mezzi punitivi, come
appunto le liste nere. Dunque non solo trasparenza fiscale, ma
anche regole del gioco più chiare per la tassazione delle imprese.
Come evidenziato dal DFF “i risultati del progetto permettono di
coordinare meglio le regole del diritto fiscale internazionale e di colmare le lacune sfruttate finora dalle multinazionali (ndr. Google, Apple,
Amazon, Starbucks, McDonalds per citarne alcune) per attuare
una pianificazione fiscale aggressiva. Grazie alla partecipazione delle
più grandi piazze finanziarie, vengono inoltre create condizioni eque
(«level playing field») per la Svizzera e le piazze finanziarie concorrenti”.
Il piano d’azione BEPS si basa su tre principi cardine: si vuole fare
in modo che gli utili siano tassati nel luogo in cui viene effettivamente esercitata l’attività economica, che sia impedita una
pianificazione fiscale aggressiva e che siano evitati fenomeni di
doppia non imposizione nei rapporti internazionali. Il BEPS, per
quanto concerne la Svizzera, ha messo la parola fine ai regimi
fiscali “potenzialmente” dannosi alla concorrenza, con particolare
riferimento agli statuti fiscali speciali previsti dal diritto cantonale (società di domicilio, società miste, società holding). Con la
Riforma III dell’imposizione delle imprese la Svizzera ha tenuto conto di questi sviluppi e, oltre ad abrogare i suddetti regimi
Per maggiori informazioni:
DFF, Nuovi standard internazionali dell’OCSE obbligatori in ambito di imposizione delle imprese: anche la Svizzera è chiamata ad agire, Comunicato
stampa, Berna, 5 ottobre 2015, in: https://www.news.admin.ch/message/
index.html?lang=it&msg-id=58972 [13.10.2015]
OCSE, Base Erosion and Profit Shifting, Parigi 2015, in: http://www.oecd.
org/ctp/beps-actions.htm [13.10.2015]
Politica fiscale
Domanda raggruppata olandese:
esempio per l’Europa o buco nell’acqua?
Giovanni Molo
Avvocato, LL.M.
Socio Studio Bolla Bonzanigo
& Associati, Lugano
Nel Foglio federale n. 37 del 22 settembre 2015 l'AFC ha
pubblicato un modello di comportamento presentato dalle autorità olandesi per lo scambio di informazioni fiscali
Ha fatto un certo scalpore, in Svizzera ed all’estero, la richiesta di collaborazione internazionale in materia fiscale dei
Paesi Bassi venuta recentemente alla luce. Di che si tratta?
A fine settembre 2015 è stato pubblicato un avviso dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC),
che informa i titolari di conti presso UBS sull’esistenza di una
domanda di assistenza amministrativa olandese volta ad
individuare tutti i contribuenti olandesi che hanno detenuto
relazioni presso UBS a partire dal 1. gennaio 2013 e che sono
stati quindi invitati dalla banca a regolarizzare le loro posizioni
fiscali secondo un provvedimento di disclosure olandese. L’iniziativa olandese ricalca strumenti analoghi che erano stati
messi in atto dagli Stati Uniti diversi anni fa. Alcuni speravano che l’esempio americano non sarebbe stato arrivato oltre
Oceano. Invece così è stato, è giunto nel porto di Rotterdam.
Si diffonderà, ora, dalle Fiandre a tutto il Continente europeo,
o verrà ributtato a mare? Alcuni specialisti sono rimasti sorpresi, o delusi, che l’AFC, quale autorità richiesta, non abbia
immediatamente cassato la domanda di assistenza olandese.
Ciò, invece, non deve sorprendere. Per Legge, l’AFC compie
soltanto un esame preliminare sui requisiti di ammissibilità
della domanda estera.
Competente per una valutazione approfondita sulla sua legittimità è poi il Tribunale amministrativo federale. E da lì, la
domanda raggruppata olandese ha poche possibilità di uscire indenne. Vero, la Svizzera ammette dal 1. febbraio 2013
domande raggruppate. Queste, però, non possono essere
eccessivamente estese o indifferenziate per non incorrere nel
divieto delle fishing expeditions. Quale invece appare, a tutti gli
effetti, la domanda olandese, che infatti è rivolta indiscriminatamente ad una categoria astratta di soggetti (tutti i clienti
olandesi di UBS) senza criteri di concretizzazione. Sì, quindi, la
domanda olandese verrà probabilmente ributtata a mare. Ma
soltanto, però, nei confronti di chi farà opposizione e la impugnerà davanti al Tribunale. Per gli altri, invece, essa esplicherà
i suoi effetti, con l’individuazione del cliente in Svizzera e la
trasmissione dei suoi dati bancari all’estero. Chi, poi, dormirà
Articolo pubblicato il 15.10.2015
sul Giornale del Popolo
del tutto, cioè non solo non impugnerà la decisione di trasmissione dell’AFC, ma non notificherà nemmeno un proprio
rappresentante in Svizzera, rischierà, una volta riconosciuto
dalla banca, di essere interpellato con comunicato pubblicato
sul sito dell’AFC. E questa volta non più in forma anonima, ma
con nome e cognome. Questo faticoso traghettamento della
piazza finanziaria svizzera da un’era all’altra impone quindi di
tenere gli occhi ben aperti.
Per maggiori informazioni:
Foglio federale 2015 pagina 5679 e seguenti, in: https://www.admin.ch/
opc/it/federal-gazette/2015/5679.pdf [15.10.2015]
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Politica fiscale
Esentare fiscalmente gli aiuti
sociali disincentiva il lavoro?
Sabina Rigozzi
Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Collaboratrice scientifica SUPSI
Il 20 giugno 2014 il Consiglio federale ha licenziato un
rapporto che illustra le possibili ripercussioni sul reddito liberamente disponibile dell’imposizione delle
prestazioni di aiuto sociale nonché dell’esenzione fiscale del minimo vitale
1.
Introduzione
Il 4 febbraio 2009 il Canton Berna ha presentato un’iniziativa
cantonale[1] che esigeva che le prestazioni assistenziali finanziate da fondi pubblici versate in luogo del reddito da attività
lucrativa (in particolare le prestazioni di aiuto sociale) fossero
assoggettate all'imposta sul reddito, nel rispetto della parità
di trattamento fiscale ed economico. Nell’ambito dell’esame
dell’iniziativa è stato chiesto che l’imposizione delle prestazioni
assistenziali fosse combinata con l’esenzione fiscale del minimo
vitale. La Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati (di seguito CET-S) ha pertanto presentato una
mozione contenente questo complemento[2]. L’iniziativa cantonale è stata quindi sospesa. L’obiettivo dell’iniziativa cantonale
e della mozione della CET-S è quello di eliminare gli “effetti soglia”
e i disincentivi al lavoro che derivano dalla legislazione tributaria
attuale. Un “effetto soglia” si verifica quando il “reddito liberamente
disponibile” del contribuente si riduce bruscamente a causa di un
lieve aumento di reddito, per esempio perché questo aumento di reddito preclude allo stesso contribuente il diritto di una
riduzione dei premi di cassa malati e, nel complesso, vi è una
diminuzione di reddito (in altre parole, se, in sostanza, l’aumento
del reddito è inferiore all’aumento del premio di cassa malati),
disincentivando così il contribuente a lavorare[3]. Per “reddito
liberamente disponibile”, si intende il reddito complessivo rimanente di tutte le persone che vivono in un’economia domestica
dopo aver considerato tutte le entrate (stipendio e prestazioni
assistenziali) e detratto i costi fissi (pigione, premi dell’assicurazione malattia ed eventuali costi per la custodia di bambini
complementare alla famiglia) nonché le imposte. Con il reddito liberamente disponibile sono quindi finanziate le spese per
gli alimenti, l’abbigliamento, la formazione, la mobilità, il tempo
libero e altro.
La mozione della CET-S è stata inoltrata al Consiglio federale il
14 marzo 2011 con la seguente modifica:
“Il Consiglio federale è incaricato di presentare un rapporto sulle conseguenze di una revisione della legislazione federale (segnatamente le
disposizioni della legge federale sull'imposta federale diretta e della
legge federale sull'armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni
e dei Comuni) che esamini in particolare i seguenti aspetti: le prestazioni assistenziali, finanziate con mezzi pubblici, versate al posto
del reddito da attività lucrativa (in particolare le prestazioni di aiuto
sociale) sono integralmente assoggettate all'imposta sul reddito ai
sensi della parità di trattamento fiscale ed economico e nel contempo
le persone che dispongono del minimo vitale vengono sgravate fiscalmente (LIFD e LAID)” [4].
L’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC),
competente in materia, ha incaricato la Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale (di seguito COSAS) di
analizzare le ripercussioni dell’imponibilità delle prestazioni assistenziali pubbliche e dell’esenzione fiscale del minimo
vitale. Dai risultati, emersi dall’esame effettuato dalla COSAS
(di seguito Rapporto COSAS), che è la base sulla quale il Consiglio federale ha poi redatto il rapporto[5] in adempimento
alla mozione della CET-S, emerge che gli effetti soglia dovuti
al sistema fiscale e i disincentivi al lavoro possono essere eliminati in diversi modi, vale a dire imponendo le prestazioni
assistenziali pubbliche e, nel contempo, esentando il minimo
vitale sociale oppure procedendo unicamente all’esenzione
fiscale del minimo vitale sociale. L’imponibilità delle prestazioni assistenziali sarebbe corretta sotto il profilo della
sistematica fiscale e garantirebbe un’imposizione orizzontale
equa, secondo l’articolo 127 capoverso 2 della Costituzione
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
federale (di seguito Cost.). Mediante misure correttive mirate
e funzionali al proprio sistema tributario e al proprio sistema di
trasferimento, i Cantoni (eventualmente anche la Confederazione) dovrebbero provvedere affinché il minimo vitale sociale
venga garantito nonostante l’imponibilità delle prestazioni
assistenziali.
È importante sottolineare che il Rapporto COSAS, sul quale
si basa il Rapporto del Consiglio federale, prende unicamente in considerazione le prestazioni di aiuto sociale provenienti
da fondi pubblici e da una riduzione individuale dei premi (di
seguito RIP). Rimangono quindi escluse dall’analisi, in particolare,
le prestazioni complementari all’Assicurazione vecchiaia superstiti (di seguito AVS) e all’Assicurazione invalidità (di seguito AI).
Nel corso degli ultimi anni sono stati inoltrati numerosi interventi parlamentari sul tema delle prestazioni di aiuto sociale,
nella sostanza volti ad eliminare gli effetti soglia e i disincentivi
al lavoro, ma nessuno di questi aveva come obiettivo (anche)
l’imposizione delle prestazioni di aiuto sociale. Inoltre è utile
osservare che, nel corso degli ultimi anni, non si è mai riusciti,
a livello federale, ad introdurre una norma che esplicitamente obbligasse i Cantoni ad esentare fiscalmente il minimo
vitale[6]. Probabilmente perché già oggi i Cantoni prevedono
misure simili che, nella sostanza, raggiungono il medesimo
obiettivo, senza però intaccare la loro sovranità fiscale.
Scopo del presente contributo è quello di illustrare – e poi
commentare brevemente – i principali risultati emersi dal
Rapporto del Consiglio federale, in adempimento alla mozione
della CET-S, inerente l’imponibilità delle prestazioni pubbliche
di assistenza, esentando nel contempo il reddito minimo vitale.
2.
Il diritto vigente
2.1.
La non imponibilità delle prestazioni assistenziali
L’articolo 24 lettera d della Legge federale sull’imposta federale
diretta (di seguito LIFD) – e il corrispondente articolo 7 capoverso 4 lettera f della Legge federale sull’armonizzazione delle
imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) –
stabilisce quanto segue:
“Non sottostanno all'imposta sul reddito: […] i sussidi d'assistenza
provenienti da fondi pubblici o privati”.
Si considerano “sussidi d'assistenza provenienti da fondi pubblici o
privati” (o, più semplicemente, “prestazioni assistenziali”) esenti
da imposta ai sensi di queste disposizioni le prestazioni erogate a titolo gratuito alle persone bisognose per far fronte
al sostentamento minimo necessario. Sono in particolare
motivi di indigenza l’inabilità al lavoro (malattia, invalidità), la
disoccupazione causata dall’adempimento di obblighi parentali (genitore solo con figli) oppure la disoccupazione dovuta
alla formazione (scuola, apprendistato, studi). Le prestazioni
assistenziali non sono integralmente esenti da imposta, ma
soltanto nella misura in cui non sono in relazione con un rapporto di lavoro e non superano, unitamente agli altri proventi,
il fabbisogno vitale del beneficiario e dei familiari che sostenta
nonché gli eventuali costi di formazione. L’esenzione fiscale
poggia sull’idea che il sostegno fornito dalla comunità o da
privati per porre rimedio a una situazione d’emergenza deve
pervenire per intero alla persona bisognosa[7].
2.2.
Dal diritto costituzionale dell’aiuto in situazioni di bisogno non
discende l’obbligo di un’esenzione fiscale del minimo vitale
La Costituzione federale garantisce all’articolo 12 l’aiuto in
situazioni di bisogno. L’articolo prevede il diritto all’aiuto e
all’assistenza, come pure alle risorse indispensabili a una vita
dignitosa[8]. Tuttavia non precisa l’ammontare di cui una
persona necessita per tale scopo. Secondo il Tribunale federale, dal diritto fondamentale alla garanzia del fabbisogno vitale
non discende nessun diritto ad un’esenzione fiscale del minimo
vitale[9]. La tutela costituzionale si limita ad assicurare che
nessuno subisca una violazione effettiva del proprio diritto
alla garanzia del fabbisogno vitale a causa di un credito fiscale
dello Stato. La tutela in ambito tributario può pertanto essere
realizzata sia mediante uno sgravio a livello di base di calcolo
(importo tariffale esente da imposta, deduzione personale o
entrambi), sia tramite la rinuncia all’esecuzione di un credito
fiscale (condono d’imposta).
Oggi l’esenzione fiscale del minimo vitale non è prescritta
esplicitamente né dalla Confederazione, né dai Cantoni. Per
quanto riguarda la Confederazione, l’esonero del minimo
vitale è però di fatto garantito dagli elevati importi (tariffali) esenti da imposta e dalle deduzioni. Anche nei Cantoni si
tiene conto del minimo vitale mediante una combinazione di
misure come l’esenzione di determinati proventi, le deduzioni
fiscali e la possibilità di concedere condoni d’imposta[10].
Nemmeno la definizione stessa di minimo vitale è uniforme
in Svizzera: diversi settori della sicurezza sociale hanno infatti fissato minimi vitali propri. Quelli maggiormente utilizzati
sono (i) il minimo vitale ai sensi della legislazione sull’esecuzione e sul fallimento, (ii) il minimo vitale ai sensi dell’aiuto
sociale e (iii) il minimo vitale ai sensi delle prestazioni complementari all’AVS/AI. Per minimo vitale, nel Rapporto del
Consiglio federale, si intende il minimo vitale ai sensi dell’aiuto
sociale, secondo le direttive della COSAS[11].
3.
Il contesto e gli obiettivi
In Svizzera esistono, a livello cantonale e comunale, numerose
prestazioni sociali (aiuti sociali, RIP, anticipi di alimenti, prestazioni complementari per le famiglie, eccetera) erogate a
condizione che il beneficiario dimostri una necessità finanziaria.
Il reddito liberamente disponibile delle economie domestiche che dispongono di deboli risorse finanziarie è influenzato
in maniera determinante dalle prestazioni sociali ricevute e
dall’entità (spesso dipendente dallo stipendio) di determinate
spese (imposte, tariffa della custodia di bambini complementare alla famiglia).
Due studi, pubblicati dalla COSAS nel 2007, illustrano come
le modalità di definizione delle prestazioni in funzione del
bisogno e dei tributi possano provocare diminuzioni di reddito sistemiche. Secondo questi studi, se il reddito da attività
lucrativa di un’economia domestica aumenta, può capitare
7
8
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
che essa disponga di meno mezzi rispetto a prima perché le
prestazioni vengono parzialmente o integralmente soppresse
e/o perché subentrano oneri supplementari. Secondo un rapporto del Consiglio federale in adempimento ad un postulato, i
Cantoni hanno riconosciuto la problematica delle diminuzioni
di reddito sistemiche, delle disparità di trattamento e dei disincentivi al lavoro che ne derivano[12].
L’obiettivo della mozione della CET-S in discussione è di eliminare i disincentivi al lavoro e gli effetti soglia causati dall’attuale
sistema fiscale. I beneficiari dell’aiuto sociale devono essere incitati ad attivarsi sul mercato del lavoro. Il Rapporto del Consiglio
federale è volto a esaminare se questo obiettivo può essere
raggiunto, nel caso in cui le prestazioni assistenziali fossero
imponibili e il minimo vitale venisse esentato dall’imposta[13].
della prestazione assistenziale, data la parità di trattamento
dal punto di vista fiscale. Per l’Amministrazione cantonale delle
contribuzioni bernese è inoltre importante che i Cantoni possano decidere come attuare l’esenzione del minimo vitale.
D’altro canto, l’Amministrazione cantonale delle contribuzioni
del Canton Neuchâtel ha preso atto del Rapporto COSAS e ha
ribadito che, in caso di inclusione delle prestazioni sociali nella
base di calcolo, sarebbe necessario adattare il sistema dei trasferimenti sociali a questa nuova situazione[16].
L’AFC ha quindi incaricato la COSAS di analizzare le ripercussioni dell’imponibilità delle prestazioni assistenziali e dell’esenzione fiscale del minimo vitale, poiché la COSAS dispone
di conoscenze dettagliate dell’interazione tra il sistema dei
trasferimenti (prestazioni) sociali e il sistema fiscale.
Il Rapporto COSAS si riferisce alle prestazioni di aiuto sociale
e alla RIP nei Cantoni di Berna e di Neuchâtel. Sono stati scelti questi Cantoni perché per entrambi erano disponibili dati
aggiornati e perché dal raffronto intercantonale del 2006 era
emerso che negli stessi l’imposizione dei redditi bassi è relativamente elevata[14]. Inoltre, il Canton Berna è autore della
succitata iniziativa cantonale. In entrambi i Cantoni l’inchiesta
è stata condotta su tre diverse forme di economia domestica, con domicilio nel capoluogo cantonale, ritenute tipiche: (i)
famiglia monoparentale con un figlio, (ii) famiglia biparentale
con due figli e (iii) uomo divorziato con obbligo di mantenimento. Si descrive innanzitutto la situazione attuale, per poi
indicare le conseguenze di un’eventuale imposizione delle
prestazioni della RIP e dell’aiuto sociale. Infine viene analizzata in modo più dettagliato la possibilità di esentare il minimo
vitale. Come già accennato, nel Rapporto COSAS non sono
state considerate le prestazioni complementari all’AVS/AI.
L’inchiesta ha rinunciato a esaminarle dato che la mozione è incentrata sui beneficiari dell’aiuto sociale. Inoltre, che
si percepiscano le prestazioni complementari all’AVS/AI o le
prestazioni di aiuto sociale, gli effetti soglia si verificano per
lo stesso motivo, ovvero a seguito della non imposizione di
questi redditi[15].
4.
Le conclusioni del Rapporto del Consiglio federale
4.1.
I pareri del Canton Berna e del Canton Neuchâtel
L’Amministrazione cantonale delle contribuzioni del Canton
Berna ha comunicato che a suo parere le affermazioni e i calcoli del Rapporto COSAS sono corretti. Inoltre, da quest’ultimo
emerge che la parità di trattamento fiscale tra le prestazioni
assistenziali e i proventi da attività lucrativa ha l’effetto di (i)
evitare i disincentivi al lavoro e (ii) sopprimere gli effetti soglia
dovuti alla legislazione fiscale. In tal modo, il reddito liberamente disponibile rimarrebbe invariato se ad un aumento di
reddito corrispondesse una diminuzione di pari ammontare
4.2.
La rilevanza del Rapporto COSAS
In merito alla rilevanza del Rapporto COSAS ai fini degli
obiettivi del Rapporto del Consiglio federale, si evidenzia
quanto segue:
◆◆ i risultati del Rapporto COSAS possono essere applicati
in misura limitata agli altri Cantoni, a causa delle notevoli
differenze tra i Cantoni in ambito di struttura e coordinamento delle prestazioni sociali e delle imposte;
◆◆ non tutti gli effetti soglia e i disincentivi al lavoro sono
causati dalle normative fiscali. Alcuni di essi traggono
origine dalla struttura e dalla modalità di erogazione delle
prestazioni sociali cantonali e comunali. Occorre quindi
considerare anche questo aspetto, non incluso negli obiettivi della mozione[17];
◆◆ si rammenta che nell’analisi di studio non sono incluse le
prestazioni complementari all’AVS/AI e altre prestazioni
assistenziali al di fuori di quelle espressamente menzionate; e
◆◆ la stima delle ripercussioni finanziarie sulla Confederazione
e sui Cantoni non è oggetto del Rapporto COSAS[18].
4.3.
L’esenzione fiscale del minimo vitale senza includere nella
base imponibile le prestazioni assistenziali
4.3.1.
L’esenzione fiscale del minimo vitale ed eliminazione degli
effetti soglia e dei disincentivi al lavoro
Secondo il Rapporto COSAS, sarebbe possibile eliminare gli
effetti soglia e i disincentivi al lavoro che derivano dalla legislazione tributaria attraverso (solamente) l’esonero fiscale del
minimo vitale. Questo potrebbe avvenire in diversi modi, ad
esempio adeguando le tariffe nelle leggi tributarie o introducendo o aumentando le deduzioni[19].
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Tuttavia, a dipendenza dell’ambito di riferimento, esistono
diverse definizioni di minimo vitale[20]. L’esenzione fiscale del
minimo vitale presuppone dunque una definizione dello stesso.
In base alla definizione adottata per il Rapporto del Consiglio
federale, nei casi in cui le persone interessate percepiscano
prestazioni dell’aiuto sociale o prestazioni complementari,
il minimo vitale dovrebbe corrispondere almeno all’importo
delle prestazioni erogate nell’ambito dell’aiuto sociale o delle
prestazioni complementari. Se fosse inferiore, gli effetti soglia
e i disincentivi al lavoro non verrebbero eliminati. Le Tabelle 1
e 2 mostrano due esempi concreti.
Tabella 1: Effetti soglia e disincentivi al lavoro nel caso in cui il minimo vitale
sia pari alla prestazione sociale erogata
Contribuente X
(importi in franchi)
Contribuente Y
(importi in franchi)
Prestazione sociale
(esente da imposta)
1'000
0
Reddito lavorativo
(imponibile)
0
1'000
Minimo vitale
(esente da imposta)
1'000
1'000
Esenzione
dall’imposta
1'000
1'000
0
0
Reddito imponibile
Tabella 2: Effetti soglia e disincentivi al lavoro nel caso in cui il minimo vitale
sia inferiore alla prestazione sociale erogata
Contribuente X
(importi in franchi)
Contribuente Y
(importi in franchi)
Prestazione sociale
(esente da imposta)
1'000
0
Reddito lavorativo
(imponibile)
0
1'000
Minimo vitale
(esente da imposta)
500
500
1'000
500
0
500
Esenzione
dall’imposta
Reddito imponibile
Inoltre, considerare il minimo vitale di ogni singolo contribuente
non sarebbe fattibile dal punto di vista amministrativo[21].
4.3.2.
Le ripercussioni finanziarie dell’esonero del minimo vitale in
combinazione con l’eliminazione degli effetti soglia
Nel caso dell’imposta federale diretta, il minimo vitale sociale
è attualmente garantito sulla base della struttura tariffaria e di
varie deduzioni. Al momento l’esenzione del minimo vitale non
renderebbe dunque necessario alcun adeguamento a livello federale e non avrebbe alcuna ripercussione finanziaria. I
Cantoni che, per eliminare gli effetti soglia e i disincentivi al
lavoro, dovessero procedere ad adeguamenti dell’esenzione
fiscale del minimo vitale (ad esempio sotto forma di un importo esente da imposta più elevato, introducendo o aumentando
una deduzione dalla base di calcolo oppure una deduzione
dall’importo dell’imposta) registrerebbero una diminuzione del
gettito fiscale. L’entità delle minori entrate dipende soprattutto dalla necessità di procedere ad adeguamenti e dalle
misure concrete che vengono scelte. Poiché non si dispone di
dati su questi fattori, le minori entrate non sono state quantificate nel Rapporto del Consiglio federale.
L’aumento dell’importo esente da imposta o delle deduzioni
dalla base di calcolo avvantaggerebbero soprattutto i contribuenti con redditi elevati, sempre che la progressione delle
imposte rimanga invariata e le deduzioni non vengano destinate a determinati gruppi di contribuenti[22].
4.4.
L’esenzione fiscale del minimo vitale e inclusione nella base
imponibile delle prestazioni assistenziali
4.4.1.
Il principio dell’imposizione del reddito netto, l’equità fiscale
orizzontale e l’eliminazione degli effetti soglia e dei disincentivi al lavoro
In ambito di legislazione fiscale sul reddito vige il principio
dell’imposizione del reddito netto. Tutti i proventi conseguiti
durante il periodo di calcolo vanno inclusi nella base di calcolo. Alcune eccezioni a questo principio sono però previste
dalla legge (articoli 24 LIFD e 7 LAID), come le prestazioni assistenziali provenienti da fondi pubblici e privati e le
prestazioni complementari all’AVS/AI, che sono esentate
dall’imposta. L’imponibilità delle prestazioni dell’aiuto sociale
e degli altri trasferimenti sociali sarebbe pertanto corretta
sotto il profilo della sistematica fiscale, poiché, di fatto, si
eliminerebbe semplicemente l’eccezione alla regola, ripristinando la parità di trattamento fiscale dei proventi derivanti
dall’attività lucrativa con quelli derivanti dai trasferimenti
sociali. Includendo le prestazioni assistenziali dello Stato nella base di calcolo si eliminerebbero dunque gli effetti soglia e
i disincentivi al lavoro [23].
4.4.2.
La correzione degli interventi sul minimo vitale sociale a seguito dell’imponibilità delle prestazioni assistenziali dello Stato
Il Rapporto COSAS ha analizzato come l’imposizione delle
prestazioni dell’aiuto sociale e della RIP si ripercuotono sul reddito liberamente disponibile. Esso indica che l’imposizione di
queste prestazioni potrebbe intaccare il minimo vitale sociale.
Un tale risultato non è intenzionale, né auspicabile. L’inclusione di queste prestazioni nella base di calcolo
costituirebbe però il primo passo verso l’equità fiscale orizzontale e l’eliminazione degli effetti soglia e dei disincentivi
al lavoro. Nell’ambito di una seconda fase, si dovranno, se del
caso, adottare misure correttive per impedire che a causa
dell’imposizione di tali prestazioni si intacchi il minimo vitale
sociale. Simili misure correttive potrebbero essere adottate
sia a livello di legislazione fiscale, sia in ambito di aiuto sociale
e di altri trasferimenti sociali. Le modalità di attuazione sono
numerose; le necessità d’intervento dei Cantoni (e della Confederazione) sono invece diverse[24].
9
10
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
L’Amministrazione cantonale delle contribuzioni del Canton
Berna ha intenzione di adeguare l’attuale deduzione per contribuenti a basso reddito (da attività lucrativa) in maniera tale
che il reddito liberamente disponibile di questi contribuenti sia
superiore a quello dei beneficiari dell’aiuto sociale. In tal modo
vengono eliminati gli effetti soglia e i disincentivi al lavoro.
Si tratta di una misura mirata che provoca una diminuzione
del gettito fiscale più debole e accettabile rispetto, ad esempio,
all’esenzione fiscale del minimo vitale forfettario per tutti i contribuenti (quindi anche per i contribuenti a reddito più elevato)[25].
loro sistema di trasferimento sociale, i Cantoni potrebbero
garantire il minimo vitale sociale. Per le prestazioni complementari all’AVS/AI valgono premesse e condizioni quadro
diverse rispetto alle prestazioni dell’aiuto sociale e alle altre
prestazioni di trasferimento (per esempio per quanto concerne i disincentivi al lavoro, che si manifestano solo nel caso di
beneficiari di rendite AI parzialmente incapaci al guadagno), di
cui bisognerebbe tenere conto[29].
4.4.3.
Il coordinamento tra il sistema fiscale e il sistema di trasferimento sociale in questione
Le misure sul fronte delle entrate e quelle sul fronte delle uscite
devono essere coordinate attentamente per evitare disparità
e distorsioni indesiderate. L’imponibilità delle prestazioni assistenziali dello Stato e le misure volte a correggere gli interventi
sul minimo vitale sociale possono pertanto richiedere adeguamenti di altri trasferimenti sociali[26].
4.4.4.
Le ripercussioni finanziarie: le ripercussioni finanziarie sulla
Confederazione e sui Cantoni non sono quantificabili
Ciascun Cantone possiede un sistema fiscale e un sistema
di trasferimento sociale specifico che, in misura diversa, è
necessario adeguare. I Cantoni dispongono inoltre di diverse possibilità per farlo. Essi possono ad esempio adeguare
i propri sistemi fiscali e di trasferimento in modo che complessivamente non si registrino né maggiori, né minori
entrate. Attualmente nel caso dell’imposta federale diretta si
può partire dal presupposto che il minimo vitale basato sugli
importi esenti da imposta e sulle deduzioni continuerebbe a
essere garantito anche in caso di imponibilità delle prestazioni assistenziali, cosicché non sussisterebbe alcuna necessità di
procedere ad adeguamenti e non verrebbero originate minori entrate. In linea di massima va osservato che un approccio
meramente statico, che consiste cioè nel trascurare i cambiamenti comportamentali dei contribuenti, è riduttivo. In ultima
analisi, questi cambiamenti avrebbero un influsso positivo
anche sulle finanze pubbliche, originando maggiori entrate e
minori uscite[27].
4.5.
Il bilancio finale
Includere le prestazioni assistenziali nella base di calcolo
dell’imposta sul reddito sarebbe corretto sotto il profilo della
sistematica fiscale e garantirebbe un’imposizione orizzontale
equa. Quest’opinione è del resto condivisa anche dalla dottrina[28]. In tal modo si eliminerebbero gli effetti soglia e i
disincentivi al lavoro dovuti al sistema fiscale. Per evitare che
il minimo vitale sociale venga intaccato da una maggiore
pressione fiscale, andrebbero adottate misure correttive mirate a livello cantonale ed eventualmente federale. Per questa
ragione, nella LAID bisognerebbe iscrivere il principio secondo
cui il minimo vitale deve essere esentato. A seguito dei differenti sistemi fiscali cantonali, l’ammontare del minimo vitale
e la struttura concreta dell’esenzione fiscale dovrebbero tuttavia essere di competenza dei Cantoni. Attraverso misure
correttive mirate e compatibili con il loro sistema fiscale e il
5.
Breve commento al Rapporto del Consiglio federale
Il Rapporto del Consiglio federale tocca un tema molto delicato
e, a parere di chi scrive, di non facile interpretazione. Dall’analisi del Consiglio federale, emerge chiaramente che esistono
degli effetti soglia, con un conseguente effetto disincentivante
a lavorare, dovuti alla disparità di trattamento in ambito fiscale
tra reddito derivante dall’aiuto sociale (non imponibile) e quello
derivante dall’attività lucrativa (imponibile). Tuttavia, si reputa
altrettanto importante considerare altri aspetti che entrano
in gioco – meno evidenti e soprattutto meno misurabili – nella fattispecie. Se si pensa ad un giovane che ha appena finito di
studiare, per esempio, si può fortemente dubitare che quest’ultimo preferisca andare in assistenza piuttosto che cercare un
posto di lavoro, anche al costo di avere un reddito disponibile
inferiore. A parere di chi scrive, la voglia di indipendenza economica e sociale di un giovane, potrebbe prevalere sull’aspetto
esclusivamente finanziario. Lo stesso discorso si potrebbe fare
per una giovane coppia, con o senza figli. Insomma, i disincentivi al lavoro dipendono non solamente dal reddito disponibile
nudo e crudo, ma anche da altri fattori meno (o per nulla) prevedibili, quali l’educazione ricevuta, il carattere, la cultura,
l’età, il tipo di lavoro, eccetera. In conclusione, i problemi legati
agli effetti soglia e ai disincentivi al lavoro causati dall’attuale sistema fiscale senza dubbio esistono, ma correggerli con
misure che prendono in considerazione solamente l’aspetto
fiscale/finanziario potrebbe essere riduttivo, non sufficiente e
soprattutto causare effetti indesiderati su altri fronti[30].
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Per maggiori informazioni:
AFC, Imponibilità delle prestazioni pubbliche di assistenza ed esenzione
fiscale del minimo vitale: ripercussioni sui redditi liberamente disponibili,
Rapporto del Consiglio federale in adempimento della mozione del 29 marzo
2010 della Commissione dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati
CET-S (10.3340), Stato maggiore Legislazione, Berna, maggio 2014, in: http://
www.news.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/35287.pdf
[05.10.2015]
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.liberatv.ch/sites/default/files/styles/grande_628/public/
topimage/reguzzi.jpg?itok=RgAw1Mhq [05.10.2015]
http://www.rsi.ch/news/svizzera/cronaca/tp_salvadanaio-porcellino.jpg150662.html/alternates/LANDSCAPE_357/tp_salvadanaio-porcellino.jpg
[05.10.2015]
http://images.gadmin.st.s3.amazonaws.com/n64489/images/buehne/
neuchatel_sommer.jpg [05.10.2015]
[1] Iniziativa cantonale del Canton Berna,
Imposizione delle prestazioni di aiuto sociale, n.
09.300, depositata il 4 febbraio 2009, in: http://
www.parlament.ch/i/suche/Pagine/geschaefte.
aspx?gesch_id=20090300 [05.10.2015].
[2] Mozione della CET-S, Imposizione delle prestazioni di aiuto sociale e sgravio fiscale del minimo
vitale, n. 10.3340, depositata il 29 marzo 2010,
in: http://www.parlament.ch/i/suche/pagine/
geschaefte.aspx?gesch_id=20103340 [05.10.2015].
[3] Cfr. Consiglio federale, Aiuti sociali: rapporto
del Consiglio federale sui disincentivi al lavoro
causati dalle imposte, Comunicato stampa, Berna,
20 giugno 2014, in: https://www.news.admin.
ch/message/index.html?lang=it&msg-id=53418
[05.10.2015].
[4] Si veda la nota n. 2.
[5] AFC, Imponibilità delle prestazioni pubbliche di
assistenza ed esenzione fiscale del minimo vitale:
ripercussioni sui redditi liberamente disponibili,
Rapporto del Consiglio federale in adempimento
della mozione del 29 marzo 2010 della Commissione
dell’economia e dei tributi del Consiglio degli Stati
CET-S (10.3340), Stato maggiore Legislazione,
maggio 2014 (di seguito Rapporto del Consiglio
federale).
[6] Si veda il capitolo 1.4 del Rapporto del Consiglio
federale, pagine 6 e 7.
[7] Rapporto del Consiglio federale, pagine 3 e 4.
[8] DTF 121 I 367, consid. 2c; Rapporto del Consiglio
federale, pagina 4.
[9] DTF 122 I 101; Rapporto del Consiglio federale,
pagina 4.
[10] Rapporto del Consiglio federale, pagine 4 e 5.
[11] Idem, pagine 5 e 6. Secondo tali direttive, la
COSAS opera una distinzione tra il minimo vitale
assoluto e il minimo vitale sociale. Il minimo vitale
assoluto si riferisce alla garanzia della base economica minima (977 franchi per persona nel 2013). Il
minimo vitale sociale comprende, oltre alla tutela
materiale di base, anche prestazioni situazionali,
che risultano dalla situazione economica, familiare
e dallo stato di salute della persona interessata
(ad esempio costi di custodia dei bambini, spese
causate dalla malattia).
[12] Rapporto del Consiglio federale, pagine 7 e 8.
[13] Idem, pagina 8.
[14] Knupfer Caroline/Bieri Oliver, Steuern, Transfers
und Einkommen in der Schweiz, COSAS, Berna
2007.
[15] Rapporto del Consiglio federale, pagine 8 e 9.
[16] Idem, pagine 11 e 12.
[17] Idem, pagine 9 e 10.
[18] Idem, pagina 12.
[19] Idem, pagine 12 e 13.
[20] Cfr. capitolo 2.2. del presente contributo.
[21] Rapporto del Consiglio federale, pagina 13.
[22] Idem, pagine 13 e 14.
[23] Idem, pagina 14.
[24] Idem.
[25] Idem, pagine 14 e 15.
[26] Idem, pagina 15.
[27] Idem.
[28] Reich Markus, Steuerrecht, II. ed., Zurigo/
Basilea/Ginevra 2012, § 13, n. 236.
[29] Rapporto del Consiglio federale, pagina 16.
[30] Il Rapporto del Consiglio federale fa comunque
notare questo aspetto (si veda, in particolare, il
capitolo 4.3 del Rapporto del Consiglio federale, a
pagina 15).
11
12
Politica fiscale
Creare ricchezza per creare gettito
Cristiano Bortolotti
Head of tax - Swiss operations
Senior tax specialist, Kering Group
Docente incaricato al Master
of Advanced Studies SUPSI
in Tax Law
Quando in politica fiscale la miglior difesa è l’attacco
1.
Premessa
Da mesi ormai si è acceso il dibattito sulle misure da introdurre a
livello federale e cantonale in conseguenza dell’abolizione dei
regimi di tassazione di talune tipologie di società. La riforma
fiscale si aggiunge alle discussioni ricorrenti circa le misure da
intraprendere a sostegno del mercato del lavoro. La portata
sociale e politica di qualsiasi misura avente ad oggetto il mercato
del lavoro è sicuramente più sentita rispetto a qualsiasi riforma
fiscale, per quanto importante e straordinaria. A giudizio dello
scrivente tuttavia i due temi dovrebbero essere considerati come
strettamente legati l’uno all’altro, in quanto – se affrontati organicamente – potrebbero diventare uno la soluzione dell’altro.
Con i limiti e i rischi della sintesi, i due dibattiti sulla riforma fiscale
e sulle misure a sostegno del mercato del lavoro possono essere
riassunti come segue:
◆◆ con riferimento alla Riforma III dell’imposizione delle imprese
(di seguito Riforma III), la ricerca di un’aliquota d’imposta
cantonale più bassa di quella corrente, che consenta al Ticino
di essere competitivo rispetto a Paesi e Cantoni confinanti;
◆◆ con riferimento alle misure a sostegno del mercato del
lavoro, stabilire delle regole anti-dumping salariale e la soluzione delle storiche discussioni sui regimi applicabili ai
frontalieri ed in particolare ai ristorni pagati ai Comuni della
fascia di confine.
Tutte le proposte fatte per risolvere i due quesiti di cui sopra si
scontrano con l’esigenza sociale e politica di trovare un consenso quanto più prossimo a quello plebiscitario per evitare che gli
sforzi vengano vanificati dai referendum abrogativi. La complessità e la profondità degli argomenti di cui sopra, nonché i
vincoli ed i contrappesi ai quali devono sottostare le varie proposte, rendono il lavoro del legislatore particolarmente complesso e vi è il rischio concreto che il massimo sforzo produca il
minimo risultato.
La difficoltà a trovare una soluzione di compromesso che sia
condivisa, credibile, stabile e concretamente appetibile, rischia
di far perdere nel giro di pochi anni alla Svizzera ed al Ticino il
vantaggio competitivo che, a tutt’oggi, hanno rispetto ai Paesi
dell’Unione europea (di seguito UE).
2.
Le premesse per una vera e propria rivoluzione fiscale
Il vantaggio competitivo del sistema svizzero rispetto ai Paesi
limitrofi a giudizio dello scrivente infatti è ancora talmente
ampio che, confrontarsi con i Paesi dell’UE sugli argomenti a
loro più congeniali, ossia i tax rate, rischia di diventare un errore
strategico che potrebbe costare caro.
L’argomento di confronto con i Paesi confinanti non può essere
limitato alla sola aliquota fiscale delle imprese. Per esempio,
quando uscì la Circolare n. 8 dell’Amministrazione federale
delle contribuzioni (di seguito AFC) sulle società principal nel
2001, l’aliquota dell’allora Imposta sul reddito delle persone
giuridiche italiana (di seguito IRPEG) era del 36%. Oggi l’IRPEG
è stata sostituita dall’Imposta sul reddito delle società (di
seguito IRES) che ha un’aliquota del 27.5% e vi è il progetto di
ridurla ulteriormente nei prossimi anni fino al 24%. Molti Stati
membri dell’UE inoltre hanno da tempo intrapreso la strada
dell’abbassamento delle aliquote fiscali applicabili ai redditi di
impresa.
L’assottigliamento dei differenziali d’imposta tra Ticino e Italia
in particolare potrebbe non essere più né uno stimolo per le
imprese italiane a trasferirsi al di qua del confine, né sufficientemente rassicurante per quei gruppi che lo hanno fatto negli
anni in cui la differenza tra tax rate italiano e tax rate svizzero
agevolato, sfiorava i 30 punti percentuali.
Il Ticino non deve fare l’errore di pensare che un’aliquota
cumulata del 15% ad esempio, possa essere la soluzione che
garantisca la competitività. Il tax rate nelle scelte aziendali è
ottimisticamente il terzo fattore per importanza preso in considerazione nelle scelte di pianificazione (cfr. Infra). È del tutto
evidente che se le politiche fiscali cantonali si concentrano su
un solo elemento di competitività, e nemmeno il più importante, le prospettive non possono essere rassicuranti.
Si vedano le tabelle seguenti:
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Tabella 1
Paese
Aliquota 2014
Paese
Aliquota 2014
Austria
25%
Lettonia
15%
Belgio
33%
Lituania
15%
Bulgaria
10%
Lussemburgo
Fino a 22.47%
Croazia
20%
Malta
Effettivo 5%
Cipro
12.5%
Paesi Bassi
20% 0-200’000, 25% oltre
Repubblica Ceca
19%
Polonia
19%
Danimarca
23.5%
Portogallo
23%
Estonia
20%
Regno Unito
20%
Finlandia
20%
Romania
16%
Francia
33.33%
Slovacchia
22%
Germania
15.83%
Slovenia
17%
Grecia
26%
Spagna
20% 0-200’000, 30% oltre
Irlanda
12.5%
Svezia
22%
Italia
27.5%
Ungheria
10-19%
Aliquota 2014
Paese
Tabella 2
Paese
Altre Europa
Aliquota 2014
Altre Mondo
Svizzera
8-20%
Russia
20%
Norvegia
27%
Stati Uniti d'America
35%
Bielorussia
18%
Cina
25%
Turchia
20%
Canada
28%
Moldova
12%
Australia
30%
Ucraina
18%
Giappone
25.5%
Islanda
20%
India
35%
Serbia
15%
Brasile
25%
Albania
15%
Corea del sud
10-22%
Nelle scelte di pianificazione strategica, prima del tax rate delle
imposte dirette, vengono innanzitutto considerati fattori quali:
(i) il costo del lavoro e dei servizi e (ii) l’insieme delle imposte,
dirette ed indirette.
i Paesi dell’Est Europa (alcuni di essi sono membri dell’UE),
Irlanda, Cipro, Malta solo per citarne alcuni. Questi Paesi ad
oggi sembrano già essere in molti casi più competitivi sul piano
fiscale della Svizzera e del Ticino.
Le tabelle riportate sopra evidenziano come vi siano Paesi con
un tax rate nominale inferiore o vicino al target del 15% ma dove
la remunerazione media ed i costi dei servizi sono di gran lunga
inferiori ai salari minimi praticati in Svizzera ovvero ai costi per
i servizi praticati nella Confederazione. Tra questi rientrano
Esistono infine Paesi con tax rate superiori al 15%, ma comunque
con costi del lavoro e dei servizi enormemente inferiori a quelli
svizzeri. Senza andare lontano, quanto sopra vale ad esempio per
l’Italia, dove lo stipendio minimo di 3’800 franchi, a cambi correnti è una remunerazione da quadro direttivo.
13
14
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
In sede di scelta strategica, i gruppi valutano poi la presenza di
accordi di libero scambio che minimizzino gli oneri doganali.
Esistono Paesi emergenti come Messico e Brasile o grandi
mercati come Corea del sud, Cina e Giappone che oggi praticano dazi anche del 35% su talune merci importate dalla
Svizzera. Il giorno – ormai prossimo – in cui l’UE si doterà di un
completo sistema di accordi di libero scambio con questi Paesi,
non sarà di certo qualche punto di differenza nel tax rate a spingere i gruppi ad investire ovvero a restare in Svizzera, se la
variabile doganale diventerà prevalente rispetto a quella puramente fiscale.
Lo scopo della riforma fiscale – congiuntamente alle misure di
stimolo del mercato del lavoro – deve avere l’obiettivo di richiamare nuovi investimenti dall’estero e non semplicemente
limitarsi a non perdere quelli già in essere. Le misure oggi in
discussione sembrano, infatti, non essere sufficienti al raggiungimento di nessuno degli obiettivi prefissati. Lo scopo della
riforma del lavoro deve essere quella di garantire in primis alla
popolazione residente – che dovrà fronteggiare tra l’altro la crisi di gran parte del settore bancario e dell’indotto a esso
collegato – il massimo tasso di occupazione, spingendo i salari
verso l’alto, agendo sulla domanda di lavoro, e non tentando di
limitare l’offerta straniera di lavoro.
3.
La rivoluzione fiscale in breve
Un’autentica rivoluzione fiscale che porti a risultati concreti e
stabili potrebbe essere articolata sui seguenti tre semplici punti:
1) detassare le imprese che assumono personale residente;
2) detassare i redditi da stock option e i premi di produttività;
3) prevedere o rinegoziare accordi di libero scambio con i Paesi
che costituiscono i maggiori mercati di sbocco per i prodotti
svizzeri, allargando le condizioni per l’esenzione daziaria.
3.1.
Detassare le imprese che assumono personale residente
La detassazione – anche drastica – del reddito di impresa in funzione degli organici composti da personale residente, da un lato
abbasserebbe il gettito legato alle imposte sui redditi delle società,
ma aumenterebbe il gettito legato ai redditi delle persone fisiche
ed avrebbe importanti benefiche ripercussioni in termini di imposte indirette, sulla raccolta delle casse pensioni e più in generale in
termini di sostegno del mercato interno.
Ipotizziamo due differenti aziende ticinesi: A e B. In seguito alla
riforma proposta in queste pagine, A decide di impiegare solo
manodopera ticinese, B solamente manodopera frontaliera.
Ipotizziamo per semplicità che le tre aliquote federale, cantonale e comunale siano tutte e tre dell’8%.
Ipotizziamo per esempio che l’agevolazione fiscale sia determinata come uno sconto sull’imposta cantonale pari alla proporzione tra manodopera residente e manodopera frontaliera.
Nel caso in esame, descritto in dettaglio nella Tabella 3, A non
pagherebbe imposta cantonale, mentre B pagherebbe l’imposta
cantonale in misura piena. Il tax rate di A si aggirerebbe nell’ordine
del 16%, quella di B del 24%. La media sarebbe attorno al 18%.
Tabella 3
Azienda A
Azienda B
Costo del personale
2’000
1’500
Utile ante imposte
5’000
5’500
Dipendenti residenti/frontalieri
20/0 (100% residenti)
0/20 (100% frontalieri)
Aliquota federale
8%
8%
Aliquota cantonale
0%
8%
Aliquota comunale
8%
8%
Imposte sugli utili delle società
800
1’320
Utile netto
4’200
4’180
Maggiori oneri del personale
500
-
Minori imposte utili società
1’320 - 800 = 520
-
Aliquota cantonale persone fisiche
6%
6%
Imposte persone fisiche
al netto dei ristorni
2’000 x 6% = 120
(1’500 x 6%) x 70% = 63
Minor gettito cantonale
presente proposta
5’000 x 8% - 120 = 280
Minor gettito cantonale
riduzione aliquota al 15%
5’000 x (8% - 15% / 3) = 150
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Con riferimento esclusivamente ad A, il Cantone perderebbe il
gettito sugli utili (5’000 x 8% = 400), ma incasserebbe le imposte dalle persone fisiche (2’000 x 6% = 120), oltre a tutte le
imposte dirette e indirette generate dall’indotto che stimiamo
poter essere almeno pari a 300 (15% del monte salari di cui alla
tabella precedente). Il sistema sarebbe vicino all’equilibrio
finanziario (-400+120+300=+20), ma addirittura potrebbe
arrivare ad essere virtuoso rispetto al caso di un indifferenziato
abbassamento delle aliquote cantonali.
parità di gettito. Una volta introdotta la misura per aumentare
la domanda di manodopera residente ed i salari medi, la prossima proposta si pone l’obiettivo di stimolare l’aumento dei
redditi delle imprese residenti.
L’incidenza dell’indotto potrebbe essere molto più alta rispetto a quanto stimato: la componente della spesa infatti incide
in misura maggiore sui salari rispetto a quanto previsto.
Nell’esempio precedente, stimando l’aliquota target nella
misura del 15%, equamente ripartita tra imposta federale,
cantonale e municipale, la sola riduzione dell’aliquota fiscale
porterebbe ad una perdita di gettito pari a:
5’000 x (15% / 3) - 5’000 x 8% = -150
La proposta sopra descritta sostanzialmente pareggia la perdita
di gettito cantonale rispetto alla mera riduzione dell’aliquota
cantonale e raggiunge l’obiettivo di aumentare la ricchezza
complessiva destinata alla manodopera locale.
Nel modello sopra descritto l’azienda A accetterebbe di sopportare un maggior costo del lavoro rispetto all’Azienda B (2’000
anziché 1’500, pari a circa +30%), poiché tale maggior costo
sarebbe compensato dalle minori imposte.
Una misura del genere non dovrebbe incappare sui divieti previsti dalle norme sulla libera circolazione delle persone. Nell’UE
inoltre esistono decine di forme di detassazione ed incentivazione delle nuove assunzioni e arriva al nobile risultato di
premiare la manodopera locale con salari più alti del 30% a
3.2.
Detassare le stock option e i premi produttività
Per attrarre in Svizzera ed in Ticino le direzioni dei gruppi multinazionali ed i loro utili, occorre che la piazza sia attrattiva in primis
per gli executive e per le funzioni aziendali ad alto valore aggiunto,
ossia per coloro che “decidono” dove stabilire le direzioni dei gruppi. Nelle retribuzioni degli executive assume una parte rilevante la
parte variabile legata ai risultati globali, misurata tramite i piani di
stock option e bonus. Il regime della tassazione globale non è
applicabile agli executive poiché la condizione per il rilascio della
cosiddetta “globale” è il non esercizio in Svizzera di un’attività
lavorativa. Attraverso la detassazione delle stock option e dei
bonus, nell’esempio precedente, gli executive del gruppo A potrebbero scegliere di trasferirsi in Svizzera portandosi dietro i
maggiori utili collegati alla loro attività direzionale. Tale misura
compenserebbe e forse azzererebbe il minor gettito cantonale
derivante dalla misura di cui alla tabella precedente. Si veda la
Tabella 4 seguente:
Tabella 4
Azienda A
Da Paese X alla Svizzera
Costo del personale trasferito in Svizzera
2'000 + 3'000 = 5'000
Stock option
4’000
Maggior utile ante imposte
10’000
Dipendenti residenti/frontalieri
(+ 2 executive residenti + 4 dipendenti frontalieri)
22/4
Maggior gettito Comune Confederazione
(8%+8%) x 10’000 = 1’600
Maggior gettito cantonale impresa
10’000 x 4/26 x 8% = 123
Maggior gettito cantonale persone fisiche
5'000 x 6% = 300
Minor gettito cantonale da riduzione
aliquota da 8% a 5% (15% / 3)
10'000 x (8%-5%) = 300
Maggior gettito cantonale da due
proposte rispetto riduzione aliquota
- 300 + 123 + 300 = 123
Maggior gettito assoluto da due proposte
-(400 - 300) + 123 = +23
15
16
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Come si può notare dall’esempio di cui sopra, la semplice riduzione dell’aliquota cantonale non ha particolari effetti dal
punto di vista sociale sulla popolazione residente e sul mercato
del lavoro locale. Anzi, la perdita di gettito fiscale per il Cantone
potrebbe essere critica, imponendo tagli, magari proprio al
welfare. La detassazione delle stock option e dei bonus potrebbe
essere un forte incentivo per i decision makers dei gruppi multinazionali a trasferire in Svizzera le direzioni aziendali e quindi gli
utili. La tassazione di detti utili ad un tasso premiale, in funzione
dell’utilizzo di personale locale rispetto a quello frontaliero potrebbe addirittura aumentare il gettito cantonale (+ 23 nell’esempio
precedente). Le apparenti minori entrate legate al meccanismo
premiale sarebbero in parte compensate dalle maggiori entrate
sotto forma di imposte sui redditi pagate dal personale residente
e dai maggiori utili aziendali conseguenti al trasferimento delle
direzioni.
3.3.
Prevedere o rinegoziare accordi di libero scambio con i Paesi che
costituiscono i maggiori mercati di sbocco per i prodotti svizzeri,
allargando le condizioni per l’esenzione daziaria
Tutte le valutazioni sulle aliquote fiscali delle imprese rischiano di
diventare inutili se non si interviene sui dazi all’importazione in quei
Paesi che costituiscono importanti mercati di sbocco per la merce
svizzera. Nel caso in cui l’UE dovesse sottoscrivere una massiccia
serie di trattati di libero scambio con i Paesi rappresentativi dei
maggiori mercati, senza una risposta concreta da parte della Svizzera, potrebbe non bastare alcuna politica fiscale impostata sui
soli tassi di imposta. Si veda l’esempio seguente (Tabella 5). Si ipotizzi che l’impresa A sia residente in Svizzera, e l’impresa B sia
residente in un Paese che ha sottoscritto con il Paese C un trattato
di libero scambio che – a parità di prodotto venduto da A e B, azzeri i dazi all’importazione fissati nella misura del 35%. Per semplicità
espositiva, sia A che B vendono la totalità dei loro prodotti in C.
Come si può notare, un tax rate pari a tre volte quello svizzero, a
parità di business non renderebbe conveniente per il gruppo A
trasferire le proprie operations in Svizzera, anzi ove A fosse già in
Svizzera non sarà la riduzione del tax rate ad assicurarne la permanenza sul territorio elvetico. In tutti quei casi, e potrebbero
essere non pochi, in cui il differenziale tra tassi di imposta tra
Svizzera e Paesi europei sono vanificati dal maggior carico
Tabella 5
Azienda A
Azienda B
Svizzera
Paese X
Vendite
2’000
2’000
Costi
1’000
1’000
Dazi all’importazione 35% x 2’000
700
0
Utile
300
1’000
Imposte sui
redditi imprese
15%
45%
Utile netto
255
550
daziario, per un’impresa non vi sarebbe convenienza né ad
installarsi in Svizzera, né probabilmente a rimanervi.
4.
Conclusioni
Gli esempi sopra riportati, pur avendo valore puramente teorico,
cercano di rendere l’idea di come la riforma fiscale delle imprese
non possa, da un lato non tenere conto dei riflessi sul mercato
del lavoro, dall’altro non debba avere il solo obiettivo di ricercare
la competitività in un semplice differenziale di tasso di imposta.
La maggior competitività che il sistema “Svizzera” ha tutt’ora
rispetto ai Paesi limitrofi, deve servire semmai come punto di
appoggio per un effetto leva che aumenti ancor di più la competitività del Ticino che non deve limitarsi a erigere barricate tanto
fragili quanto inutili se ci si deve confrontare con un numero
sempre maggiore di Stati, nell’era dell’economia globale.
La riforma fiscale deve essere attivamente propedeutica alla
creazione di sviluppo e quindi di ricchezza; qualsiasi approccio
puramente difensivo rischierebbe infatti di essere inadeguato
ed insufficiente.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.pmi.it/wp-content/uploads/2015/10/Tasse-e1444681888578.jpg
[05.10.2015]
Politica fiscale
Raffronto intercantonale sulla deduzione
per liberalità: è Basilea Campagna il Cantone
più benevolo!
Sacha Cattelan
Bachelor of Science SUPSI
in Economia aziendale
Assistente SUPSI
Il Ticino potrebbe presto innalzare la soglia delle deduzioni per liberalità al 50% del reddito netto; ma gli altri
Cantoni cosa prevedono?
1.
Introduzione
Dal 1. gennaio 2014 è entrata in vigore la modifica della Legge
tributaria del Canton Ticino del 21 giugno 1994 (di seguito LT)
che prevede l’innalzamento delle deduzioni massime dal 10%
al 20% del reddito netto, vale a dire dopo le deduzioni di cui
agli articoli da 25 a 32 LT.
Per le persone giuridiche il parlamentare propose una deduzione analoga a quella delle persone fisiche[2].
In data 11 febbraio 2015 il Consiglio di Stato ha presentato un
controprogetto[3] che, al contrario dell’iniziativa, ammette una
deduzione maggiorata solamente quando i beneficiari sono il
Cantone, i Comuni ed i loro stabilimenti, nonché persone giuridiche controllate dal Cantone o dai Comuni ed esentate dalle
imposte in virtù del loro scopo pubblico o di pubblica utilità.
Le liberalità devono inoltre venire analizzate caso per caso e
secondo il requisito dell’interesse pubblico rilevante.
Il nuovo articolo 32a LT prevede che:
“Sono dedotti dai proventi le prestazioni volontarie in contanti e in
altri beni a persone giuridiche con sede in Svizzera che sono esentate
dalle imposte in virtù del loro scopo pubblico o di utilità pubblica (art.
65 lett. f), sempre che tali prestazioni, durante l’anno fiscale, siano
di almeno 100.– franchi e non superino complessivamente il 20 per
cento dei proventi imponibili, dopo le deduzioni di cui agli articoli da
25 a 32. Le prestazioni volontarie in contanti e in altri beni alla Confederazione, ai Cantoni, ai Comuni e ai loro stabilimenti (art. 65 lett.
a - c) sono deducibili nella medesima misura”.
Con la modifica legislativa il Canton Ticino si è così perfettamente allineato ai disposti dell’articolo 33a della Legge
federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD)[1].
In data 18 dicembre 2013, il deputato in Gran Consiglio Sergio
Morisoli presentò un’iniziativa parlamentare generica sull’innalzamento delle deduzioni massime per liberalità “Chi più dà
meno paga”. Il testo dell’iniziativa prevede quanto segue:
“Articolo 32b (nuovo) – Deduzione persone fisiche
Per le prestazioni volontarie in contanti e in altri beni a persone giuridiche pubbliche o private con sede giuridica e operativa in Ticino che
sono esentate dalle imposte in virtù del loro scopo pubblico o di utilità
pubblica (art. 65 lett. f) segnatamente gli ospedali, le cliniche, le case
di riposo, gli istituti per handicappati e per orfani, le scuole, i laboratori
di ricerca sulla salute, i musei; tali prestazioni possono essere dedotte,
dalla tassazione cantonale, oltre il 20% e fino al massimo del 50% dei
proventi imponibili, dopo le deduzioni di cui agli articoli da 25 a 32”.
Il Messaggio governativo non ha trovato però un consenso
unanime in sede di Commissione speciale tributaria lo scorso
16 ottobre. Il rapporto di maggioranza è infatti stato sottoscritto da tutti tranne che da Paolo Pamini (La Destra), Gianmaria
Frapolli (Lega) e dai deputati socialisti, mentre è stato firmato
con riserva dai parlamentari PPD e da quelli dei Verdi.
Pamini ha poi a sua volta presentato un rapporto di minoranza
sottoscritto dal collega leghista Frapolli. I rapporti verranno
discussi all’inizio del mese di novembre dal Gran Consiglio[4].
2.
Il raffronto intercantonale
Sulla base di quanto pubblicato dall’Amministrazione federale
delle contribuzioni (di seguito AFC) nelle sue “brochures fiscales” [5] concernenti l’anno 2014, qui di seguito sarà illustrato un
raffronto intercantonale in merito alla deduzione per liberalità:
17
18
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Cantone
Limite massimo di deduzione
dal reddito netto
Deduzione ammessa per
liberalità in favore di:
Ticino (TI)
20% - minimo 100 franchi
Persone giuridiche con sede in Svizzera
che sono esentate dalle imposte in
virtù del loro scopo pubblico o di utilità
pubblica (di seguito PG con scopo
pubbl. o pubbl. ut.) nonché per le prestazioni volontarie in contanti e in
altri beni alla Confederazione, ai Cantoni,
ai Comuni e ai loro stabilimenti
(di seguito Confed., Cantoni e Comuni)
Appenzello Esterno (AR)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Appenzello Interno (AI)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Argovia (AG)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.,
Confed., Cantoni e Comuni
e Chiesa
Basilea Città (BS)
20% - minimo 100 franchi
In casi eccezionali e giustificati il
Consiglio di Stato può autorizzare
una deduzione maggiore al 20%
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Basilea Campagna (BL)
Nessun limite massimo
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Berna (BE)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Ginevra (GE)
20%
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Glarona (GL)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Grigioni (GR)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Friborgo (FR)
20% - minimo 100 franchi
In casi eccezionali e giustificati il
Consiglio di Stato può autorizzare
una deduzione maggiore al 20%
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Giura ( JU)
10% - minimo 100 franchi
Il Consiglio di Stato può autorizzare
una deduzione maggiore se la liberalità
è a favore del Cantone, dei Comuni, di
una Chiesa riconosciuta o ad una sua
Parrocchia oppure a istituzioni statali
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Società sportive o culturali a
carattere locale o regionale
Lucerna (LU)
20% - minimo 100 franchi
In casi eccezionali e giustificati il
Consiglio di Stato può autorizzare
una deduzione maggiore al 20%
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Neuchâtel (NE)
5% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Cantone
Limite massimo di deduzione
dal reddito netto
Deduzione ammessa per
liberalità in favore di:
Nidvaldo (NW)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.,
Confed., Cantoni e Comuni
e Partiti politici
Obvaldo (OW)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
San Gallo (SG)
20% - minimo 500 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Sciaffusa (SH)
20%
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Soletta (SO)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Svitto (SZ)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Turgovia (TG)
20% - minimo 200 franchi
(reddito netto non deve essere
inferiore a 8'000 franchi)
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Uri (UR)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Vallese (VS)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
Vaud (VD)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Zugo (ZG)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
Zurigo (ZH)
20% - minimo 100 franchi
PG con scopo pubbl. o pubbl. ut.
e Confed., Cantoni e Comuni
La maggior parte dei Cantoni, Ticino compreso, concedono
una deduzione per liberalità del 20% del reddito netto sempre
che tali prestazioni, durante l'anno fiscale, siano di almeno
100 franchi. In questi Cantoni le liberalità che possono godere
della deduzione, sono quelle a favore della Confederazione,
dei Cantoni, dei Comuni e dei loro stabilimenti così come le
prestazioni volontarie in contanti e in altri beni a persone
giuridiche con sede in Svizzera che sono esentate dall'imposta
in virtù del loro scopo pubblico o di utilità pubblica.
inferiore a 8'000 franchi, mentre nel Canton San Gallo si deve
donare un importo pari ad almeno 500 franchi per avere
diritto alla deduzione.
I Cantoni Appenzello Interno ed Esterno, Argovia, Berna,
Glarona, Grigioni, Nidvaldo, Obvaldo, Soletta, Svitto, Uri, Vaud,
Zugo, Zurigo e, come anticipato in precedenza, il Canton Ticino
sono pertanto armonizzati con il diritto federale superiore
(articolo 33a LIFD)[6].
D’altro canto, il Canton Giura oltre a concedere una deduzione
per le devoluzioni in favore di persone giuridiche con sede in
Svizzera che sono esentate dalle imposte in virtù del loro scopo
pubblico o di utilità pubblica, la concede anche per le liberalità in favore di società sportive o culturali a carattere locale
o regionale. Le devoluzioni in favore del Cantone, dei Comuni
oppure di una Chiesa riconosciuta o di una sua Parrocchia
devono sottostare all’approvazione del Consiglio di Stato prima
di poter godere della deduzione fiscale.
Il Canton Turgovia prevede una deduzione del 20% del reddito
netto, sempre che tali prestazioni durante l'anno fiscale siano
di almeno 200 franchi; il reddito netto non deve però essere
I Cantoni Lucerna, Basilea Città e Friborgo, prevedono nei
rispettivi ordinamenti tributari delle deduzioni analoghe alla
Confederazione e al Canton Ticino (20%, minimo 100 franchi),
riservandosi tuttavia la possibilità di accordare delle deduzioni
maggiori per le liberalità ritenute “giustificate” dal Consiglio di Stato.
19
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Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
La palma del Cantone più benevolo è senza dubbio attribuita
a Basilea Campagna che concede una deduzione per liberalità
a Confederazione, Cantoni, Comuni e ai suoi stabilimenti, così
come per prestazioni volontarie in contanti e in altri beni a
persone giuridiche con sede in Svizzera che sono esentate
dall'imposta in virtù del loro scopo pubblico o di utilità pubblica, senza prevedere alcun tetto massimo (!).
Il Canton Ticino seguirà gli adeguamenti già adottati in forma
similare da Lucerna e Basilea Campagna (come tra l’altro propone
il Governo ticinese nel suo Messaggio n. 7046), oppure sposerà
la visione iniziale di Sergio Morisoli, ripresa poi nella sostanza
da Pamini e Frapolli nel rapporto di minoranza che propone un
aumento della deduzione al 50% in modo più esteso?
Nella sessione dal 2 al 4 novembre 2015 in Gran consiglio
si dibatterà se e in che misura promuovere tali liberalità dal
profilo fiscale.
Affaire à suivre…
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.cdt.ch/files/images/n_517f1a721735eb18bce3b8852378d
daf.jpg [20.10.2015]
[1] L’articolo 9 capoverso 2 lettera i della Legge
federale sull'armonizzazione delle imposte dirette
dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) per
le persone fisiche e l’articolo 25 capoverso 1
lettera c LAID per le persone giuridiche prevedono
che sono deducibili le prestazioni volontarie in
contanti e in altri beni, entro i limiti determinati
dal diritto cantonale, a persone giuridiche con
sede in Svizzera che sono esentate dall’imposta in
virtù del loro scopo pubblico o di utilità pubblica
(articolo 23 capoverso 1 lettera f) nonché alla
Confederazione, ai Cantoni, ai Comuni e ai loro
stabilimenti (articolo 23 capoverso 1 lettere a-c).
[2] Articolo 68 capoverso 1 lettera c-bis (nuovo)
– Deduzione persone giuridiche: “Per le prestazioni
volontarie in contanti e in altri beni a persone giuridiche
pubbliche o private con sede giuridica e operativa
in Ticino che sono esentate dalle imposte in virtù del
loro scopo pubblico o di utilità pubblica (articolo 65
lettera f) segnatamente gli ospedali, le cliniche, le case
di riposo, gli istituti per handicappati e per orfani, le
scuole, i laboratori di ricerca sulla salute, i musei; tali
prestazioni possono essere dedotte, dalla tassazione
cantonale, oltre il 20% e fino al massimo del 50%
dell’utile netto”.
[3] DFE, Messaggio del Consiglio di Stato n. 7046,
11 febbraio 2015, pagina 4 e seguenti.
[4] Corriere del Ticino, 17 ottobre 2015, pagina 10.
[5] AFC, Impôts sur le revenu et sur la fortune des personnes physiques, Brochure fiscale 2014, in: https://
www.estv.admin.ch/estv/fr/home/allgemein/dokumentation/publikationen/weitere-publikationen/
steuermaeppchen/steuermaeppchen-2014.html
[20.10.2015].
[6] Vedi nota 1.
Politica fiscale
Pragmatismo o ideologia? L'uovo o la gallina?
Michele Foletti
Membro del Gran Consiglio del Canton Ticino
per la Lega dei ticinesi, Membro del Municipio
della Città di Lugano
Innalzamento delle deduzioni massime per liberalità
a favore del Cantone, dei Comuni e di loro stabilimenti
Quando una donazione ha un effetto fiscale non basta valutarne la generosità ma bisogna avere riguardo per l’equità
delle sue conseguenze tributarie.
Dal 2014 nel Canton Ticino sia le persone fisiche, sia quelle giuridiche, possono dedurre dal proprio reddito netto intermedio,
rispettivamente dall’utile netto, il 20% delle prestazioni volontarie che effettuano a favore di persone giuridiche (soprattutto
fondazioni e associazioni) che sono esentate dalle imposte in
quanto perseguono uno scopo pubblico o di pubblica utilità.
Tale deduzione vale altresì per le donazioni a favore di Confederazione, Cantoni, Comuni e dei loro stabilimenti. Questo
limite del 20% scaturisce da una decisione parlamentare che
diede seguito ad un’iniziativa dell’allora deputato Christian
Vitta e cofirmatari per il gruppo PLR atta ad adeguare il limite massimo dell’importo deducibile cantonalmente a quanto
già previsto a livello federale. Nell’ambito del dibattito parlamentare il deputato Sergio Morisoli presentò una proposta di
emendamento atta a innalzare la soglia massima della deducibilità al 50% in caso di liberalità ad enti di pubblica utilità
con sede in Ticino. Detta idea, a seguito della bocciatura parlamentare, sfociò in un’iniziativa parlamentare generica da
parte del granconsigliere Morisoli.
In un primo tempo avevo preparato un rapporto sostanzialmente favorevole all’iniziativa che postulava però, per
questioni di armonizzazione al diritto federale, un aumento
generalizzato della soglia minima deducibile a prescindere
dalla sede dell’ente, conscio dell’importanza che questa riforma poteva avere nel sostenere i vari progetti culturali, sociali e
di ricerca presenti in Svizzera. Il deputato Quadranti presentò,
per contro, un rapporto contrario sostanzialmente in quanto
l’emendamento sarebbe stato in conflitto con il diritto superiore. L’allora consigliera di Stato Laura Sadis chiese di poter
valutare la questione ed alla fine della scorsa legislatura il Consiglio di Stato presentò il Messaggio n. 7046 che si prefigge
di accordare una deduzione maggiorata unicamente quando
i beneficiari delle liberalità sono il Cantone, il Comune e i loro
stabilimenti, nonché le persone giuridiche al beneficio dell’e-
sonero e controllate dal Cantone o dai Comuni. Le liberalità
dovrebbero essere analizzate caso per caso dal Consiglio di
Stato, sentiti i Comuni, e in base al requisito dell’interesse pubblico preponderante.
La maggioranza della Commissione speciale tributaria, nominata dopo le elezioni di aprile 2015, ha in pratica accolto quasi
all’unanimità il controprogetto governativo, che ho tradotto
in un rapporto di maggioranza. Il deputato Pamini per contro, con un articolato rapporto, propone di innalzare in modo
generalizzato la soglia della deducibilità dal 20% al 50% a prescindere dall’ente destinatario.
Ho a più riprese sostenuto che il mecenatismo, soprattutto in
un momento di difficoltà finanziarie, è importante e va sicuramente sostenuto. Lo Stato non può arrivare dappertutto e
iniziative volte a promuovere il benessere culturale e sociale di
un Cantone vanno indubbiamente favorite.
Basilea, citata da tutti (Messaggio governativo e due rapporti)
quale città illuminata, è senza dubbio un esempio di quanto
sia importante la partecipazione dei privati alla crescita culturale di una città se non di un intero Cantone. Devo però
riconoscere che l’intervento dei privati nel mondo della cultura e dell’arte a Basilea è nato ben prima della deducibilità
fiscale, non va infatti dimenticato che due delle sei più grosse industrie farmaceutiche mondiali hanno sede a Basilea e
partecipano attivamente da sempre allo sviluppo culturale
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Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
di questa città. La politica fiscale non crea il mecenatismo in
quanto tale, lo può solo accompagnare, favorendolo dal punto
di vista tributario. Evidenzio inoltre che anche il Canton Lucerna
ha una norma che prevede la possibilità per il Consiglio di
Stato, in determinati casi, di aumentare la deduzione del 20%
fissata nella legislazione tributaria ad enti in stretta relazione
con l’ente pubblico. La proposta governativa da me sostenuta
nel rapporto è quindi in linea con quanto già viene applicato in
un altro Cantone ed anzi è più trasparente in quanto prescrive
tutte le condizioni nella legge tributaria stessa senza regolare
in una direttiva, come è il caso di Lucerna, quali liberalità possono beneficiare di una deduzione maggiorata.
Tramite la soluzione da me avallata si otterrà essenzialmente la possibilità di differenziare la deducibilità a seconda della
verificabilità dell’uso della sua destinazione. Detto altrimenti,
a fronte di una diminuzione del gettito fiscale conseguente
alla deduzione della liberalità, lo Stato si assicura che la sua
destinazione rientri appieno in uno scopo di utilità collettiva. Così facendo, deduzione di imponibile ed incremento di
effetto sociale indiretto si compensano. Ciò è tanto più vero
in un momento in cui la congiuntura economica produce una
contrazione della risorsa fiscale dovendosi quindi, con cura
accresciuta, giustificare ogni indebolimento ulteriore della
base imponibile.
La maggioranza della Commissione speciale tributaria non ha
voluto limitarsi unicamente a considerazioni di tipo giuridico
e legislativo ma inserirle in una più complessiva valutazione
di sostenibilità ed equità. È evidente inoltre che se con il tempo sarà possibile verificare gli effetti concreti sia della riforma
precedente (innalzamento della deducibilità al 20%) sia di questa, si potranno apportare, se del caso, gli opportuni correttivi.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.teamforchildren.it/wp-content/uploads/2013/12/donaresoldi.jpg [20.10.2015]
23
Politica fiscale
Civismo liberale vs. statalismo socialdemocratico
Paolo Pamini
Dr. oec., esperto fiscale diplomato, docente al Politecnico
federale di Zurigo, Deputato nel Gran Consiglio ticinese e
membro della Commissione speciale tributaria, Assistant
Manager presso PricewaterhouseCoopers SA a Lugano
[email protected]
L’incremento della deducibilità fiscale delle liberalità
Nella sessione dal 2 al 4 novembre 2015 il Parlamento cantonale ticinese dibatterà se e in che misura promuovere
le liberalità ad enti di pubblica utilità o con scopo pubblico
aumentandone la deducibilità fiscale[1]. La riforma è di primaria importanza per il rilancio della società civile nonché per
alleggerire le disastrate finanze cantonali.
1.
Il ruolo centrale della società civile
La tradizione culturale europea è intrisa dell’idea di civismo ed
impegno spontaneo per scopi di utilità pubblica. Aristotele diceva che l’uomo è un animale politico (zoon politikon), ossia capace
di vivere in società all’interno di regole ed abitudini. Ma non
solo. Aggiungeva Sant’Agostino che l’uomo è pure naturalmente inclinato ad aiutare il prossimo come un fratello (homo homini
naturaliter frater). Naturalmente, non ne discende che ognuno si
spogli di tutti i beni, bensì che spesso impegni parte dei propri
mezzi (finanziari oppure il proprio tempo) per la società ed il
prossimo. La leggenda di Hobbes scondo cui l’uomo sarebbe
lupo per l’uomo non regge né il test teorico né quello empirico.
Non serve infatti un dottorato in filosofia, antropologia o storia
per sapere che il vivere sociale dell’uomo è ben più antico dello
Stato moderno finanziato con la coercizione fiscale.
In Svizzera la cosiddetta società civile ha tutt’ora un ruolo
centrale nell’occuparsi di funzioni pubbliche (pensiamo ai pompieri volontari di tanti paesini) o di pubblica utilità (assistenza
a bisognosi, anziani e immigrati; cultura; ricerca; formazione).
In tutto ciò vi è pure un interesse fiscale dello Stato, che grazie
alle iniziative benefiche dei cittadini si trova scaricato da oneri
finanziari altrimenti in parte accollati alla mano pubblica.
2.
La legislazione tributaria promuove le liberalità ad enti
benefici
Le leggi tributarie federale e cantonali permettono a giusta
ragione di dedurre le liberalità che un contribuente (persona
fisica o giuridica) devolve ad un’istituzione che si occupa di
scopi pubblici (in sostituzione dello Stato) o di utilità pubblica.
Ai fini dell’imposta federale diretta, si può dedurre fino al 20%
del proprio reddito imponibile giusta l’articolo 33a della Legge
federale sull’imposta federale diretta (di seguito LIFD) (persone fisiche, imposta sul reddito) e l’articolo 59 capoverso 1
lettera c LIFD (persone giuridiche, imposta sull’utile) per donazioni a persone giuridiche soggettivamente esenti per scopo
pubblico o di pubblica utilità, alla Confederazione, ai Cantoni,
ai Comuni e agli stabilimenti di queste tre ultime categorie di
soggetti. La Legge federale sull’armonizzazione delle imposte
dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID) obbliga i
Cantoni ad adottare la stessa sistematica fiscale nelle proprie
leggi tributarie, ma lascia loro libertà nel fissare la soglia massima di deducibilità. Dal 2014, la soglia del 20% vale anche per
le imposte cantonali ticinesi.
3.
La deducibilità fiscale delle liberalità di contribuenti ticinesi potrebbe presto aumentare
Il Parlamento discuterà ad inizio novembre l’iniziativa parlamentare generica n. 540 di Sergio Morisoli di innalzare la
soglia al 50% del reddito netto se l’ente destinatario è ticinese.
I socialdemocratici in Gran Consiglio l’avversano da due anni
con l’argomento che è incompatibile con il diritto federale
superiore, che in effetti non prevede la possibilità di favoritismi
territoriali. Di tale tenore era nel 2014 la bozza di rapporto di
Matteo Quadranti. In Commissione tributaria, Michele Foletti
tenne tuttavia accesa la speranza, ben conscio dell’importanza
strategica che un tale innalzamento della deducibilità fiscale
delle liberalità avrebbe per esempio per il mondo della cultura
(LAC e PalaCinema), della ricerca (Cardiocentro, IRB) e delle
tante organizzazioni di aiuto ai bisognosi.
24
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
A titolo di esempio, qualche anno fa il mondo della cultura
e dell’arte di Basilea venne lanciato grazie anche all’innalzamento delle soglie di deducibilità fiscale. Nel contesto italiano
odierno, è più che lecito per il Ticino ambire ad una dinamica del genere nei confronti di possibili mecenati italiani ormai
straziati e decisamente stanchi dell’accanimento fiscale di cui
sono vittime nel proprio Paese.
Cercando di salvare capra e cavoli, a fine legislatura il Dipartimento delle finanze e dell’economa (DFE) di Laura Sadis
formulò il Messaggio n. 7046 di prossima votazione parlamentare secondo cui la soglia del 50% varrebbe a discrezione del
Consiglio di Stato, sentiti i Comuni, solo se il destinatario è il
Cantone, i Comuni, o un ente da loro controllato. Una proposta
piena zeppa di arbitrio giuridico e incompatibile con il diritto federale ancor più di quella di Morisoli, pertanto pronta ad
essere impugnata da qualsiasi contribuente ticinese con ricorso
in materia di diritto pubblico al Tribunale federale ex articolo 82
lettera b della Legge sul Tribunale federale (di seguito LTF) in
combinato disposto con l’articolo 87 capoverso 1 LTF.
4.
Il coraggio di uscire dal pasticciaccio e promuovere il rilancio
del Ticino
Per le ragioni esposte all’inizio di questo articolo e per mantenere una soluzione legale, chi scrive propone nel rapporto di
minoranza al Messaggio n. 7046[2] di innalzare generalmente la soglia dal 20% al 50%. Nello stesso rapporto, lungo 23
pagine, gli interessati possono trovare tutti i riferimenti alla
sistematica fiscale, legislazione, prassi e giurisprudenza connessi all’argomento. Non solo si spiega perché il successo di
un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale è
più che probabile, ma si riassumono i criteri propri della prassi
amministrativa decennale in materia di concessione dell’esenzione fiscale agli enti con scopo pubblico o di pubblica utilità
ex articolo 56 lettera g LIFD, esenzione che a sua volta fa scattare la deducibilità fiscale delle liberalità corrisposte verso tali
soggetti giuridici.
[1] Iniziativa parlamentare generica n. 540 del 18
dicembre 2013 di Sergio Morisoli e Messaggio del
Consiglio di Stato n. 7064 dell’11 febbraio 2015. I
rapporti della Commissione tributaria sono stati
firmati il 18 ottobre 2015.
[2] I messaggi ed i relativi rapporti sono pubblicamente consultabili online sul sito web del Gran
Consiglio, in: www.ti.ch/gc.
Il rapporto di minoranza elenca inoltre le posizioni personali di
ben 57 deputati ticinesi (su 90) in persone giuridiche che verosimilmente soddisfano i criteri per l’esenzione soggettiva per
scopo pubblico o di utilità pubblica (l’Ufficio giuridico non può
per il momento trasmettere tale informazione perché coperta
da segreto fiscale). Sono infatti i deputati stessi che con il loro
lodevole impegno testimoniano la grande tradizione svizzera
di civismo menzionata sopra. Nella sessione di novembre pertanto, molti deputati saranno chiamati a chiedersi se il loro voto
teso ad innalzare o meno il sostegno ad enti benefici sia coerente con l’impegno profuso da loro stessi a tali enti. Per non
dimenticare infine che molti di tali enti sono pure sussidiati dallo
Stato: sarebbe pertanto perlomeno curioso osservare dei deputati pretendere soldi pubblici ma rigettare una proposta che
permetterebbe ai cittadini di aiutare la stessa organizzazione
benefica senza pesare come ora sullo straziato budget cantonale.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.noceraconsulting.eu/wp-content/uploads/2015/07/handscome-donare-e1336230895859.png [20.10.2015]
Diritto tributario italiano
La pretesa erariale nei confronti delle società
di capitali cancellate dal registro delle imprese
Nicola Daina
Dottore in Giurisprudenza (Università
Cattolica del Sacro Cuore, Milano)
In quali forme, tempi e nei confronti di quali soggetti,
l’Amministrazione finanziaria ha il potere di esercitare
l’azione di accertamento anche in seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese
1.
Premessa
La questione dell’estinzione della società di capitali in relazione
ai debiti erariali viene qui intesa come le condizioni che consentono all’Amministrazione finanziaria di riscuotere il credito
erariale pendente nei confronti di una società ormai cancellata
dal registro delle imprese. Il problema si pone con riguardo ad
eventuali cancellazioni palesemente “pretestuose”, ossia finalizzate a evitare l’accertamento erariale. È dunque necessario
comprendere se, in che forme, tempi e nei confronti di quali
soggetti, l’Amministrazione finanziaria ha il potere di esercitare l’azione di accertamento anche in seguito alla cancellazione
della società dal registro delle imprese.
2.
Il quadro normativo
A partire dal momento della cancellazione, la società non è
più esistente. Tale conclusione discende dalla formulazione
dell’articolo 2495 comma 2 del Codice civile (di seguito
c.c.), in vigore dal 1. gennaio 2004, a seguito della riforma
del diritto societario. È vero, infatti, che “fermo restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non
soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino
a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio
finale, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è
dipeso da colpa di questi”.
Nell’attuale formulazione del testo dell’articolo 2495 c.c. è stato inserito un inciso d’esordio (non presente nella previgente
norma sulla cancellazione delle società, e cioè nell’articolo
2456 c.c.), secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società, ed ha quindi efficacia
costitutiva e non meramente dichiarativa o presuntiva. Come
si vedrà nel prosieguo, l’effetto costitutivo della cancellazione,
nell’attuale formulazione della norma di cui ci stiamo occupando, è stato sin da subito riconosciuto dalla giurisprudenza
di legittimità[1].
Dunque, il creditore di una società di capitali qualora a seguito
della cancellazione della società non abbia ancora soddisfatto il proprio diritto di credito può agire nei confronti dei soci
nei limiti di quanto quest’ultimi hanno percepito in sede di
liquidazione. Non solo, il legislatore ha altresì previsto una
responsabilità personale del liquidatore se il mancato pagamento dei debiti della società sia dipeso da una sua specifica
colpa. Con riguardo ai debiti di natura tributaria la società, ormai estinta, è sottoposta a una disciplina ancor più
garantista a favore del creditore erariale. L’Amministrazione
finanziaria, infatti, ha la facoltà di emettere il cosiddetto “atto
di recupero” ex articolo 36 del Decreto del Presidente della
Repubblica (di seguito D.P.R.) n. 602/1973[2] , che coinvolge tre
diverse categorie di soggetti (liquidatori, soci, amministratori), ai quali può essere imputata una responsabilità personale
in merito al pagamento della pretesa erariale gravante nei
confronti della società.
Ai sensi dell’articolo 36, per il pagamento dei debiti erariali
accertati nei confronti della società, sussiste:
a) la responsabilità del liquidatore, a condizione che non provi
di aver soddisfatto i crediti erariali anteriormente all’assegnazione dei beni ai soci, ovvero di avere soddisfatto crediti
di ordine superiore a quelli tributari (comma 1);
b) la responsabilità del socio, a condizione che, nei due periodi
di imposta precedenti alla messa in liquidazione, abbia
ricevuto danaro o altri beni sociali e nei limiti di quanto
percepito (comma 2);
c) la responsabilità dell’amministratore, a condizione che,
negli ultimi due periodi di imposta precedenti alla liquidazione, abbia posto in essere operazioni di liquidazione
ovvero abbia occultato attività sociali mediante omissioni
nelle scritture contabili (comma 3).
Con riguardo alla portata applicativa dell’articolo 36 D.P.R.
n. 602/1973 si constata che l’atto di recupero, sino alla riforma del 2014[3] , era riservato alle mere imposte sul reddito e
non anche alle altre imposte quali, ad esempio, l’imposta sul
valore aggiunto (IVA). Ciò in forza della previsione normativa
contenuta nell’articolo 19 D.Lgs. n. 46/1999, che circoscriveva
l’applicazione dell’articolo 36 alle sole imposte sui redditi[4].
25
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Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
3.
La responsabilità del socio, dell’amministratore e del liquidatore
Dal mero dettato normativo emerge chiaramente che l’articolo 36 D.P.R. n. 602/1973 non prevede alcuna forma di
responsabilità oggettiva nei confronti dei suddetti soggetti per
i debiti erariali della società. Invero, tale responsabilità sorge
solamente al verificarsi di determinate condizioni, che devono
essere espressamente esaminate nell’atto di accertamento
emesso dall’Agenzia delle Entrate. L’articolo 36, al comma 5,
prevede infatti che “la responsabilità di cui ai commi precedenti è
accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare
ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600”.
Secondo la previsione normativa, dunque, devono essere
espressamente indicate nell’atto impositivo le ragioni per le
quali si estende al socio o all’amministratore o al liquidatore la responsabilità per i debiti erariali della società estinta.
Così si è espressa, a più riprese, la Suprema Corte, statuendo che “una volta cancellata la società, la responsabilità di soci e
liquidatori non è automatica, in quanto l’Erario deve dimostrare la
presenza delle condizioni che possono far ritenere responsabili i soci
o i liquidatori” [5].
Come visto, la responsabilità nei confronti del socio sorge solo
se egli ha ricevuto, nel corso degli ultimi due periodi di imposta
precedenti alla messa in liquidazione, danaro o altri beni sociali
in assegnazione o ha avuto in assegnazione beni sociali dai
liquidatori durante il periodo della liquidazione.
Innanzitutto, l’Agenzia delle Entrate è chiamata a verificare
i documenti contabili della società, accertando se durante la
liquidazione o nei due anni antecedenti sono stati distribuiti
beni o somme di denaro agli allora soci. In tal caso, l’Agenzia
delle Entrate, adempiendo all’obbligo di motivazione imposto
dalla norma in esame, dovrà precisare nell’atto di recupero
quali beni o quali somme sono state percepite dall’allora socio
in spregio ai crediti erariali[6].
Analoghe valutazioni sono da farsi per l’accertamento della responsabilità dell’amministratore, il quale, ai sensi del
terzo comma dell’articolo 36 D.P.R. n. 602/1973, è chiamato
ad adempiere l’obbligazione tributaria gravante nei confronti
della società qualora, in spregio ai crediti erariali, abbia posto in
essere operazioni di liquidazione ovvero abbia occultato attività sociali mediante omissioni nelle scritture contabili.
Diversa, invece, è l’ipotesi di responsabilità del liquidatore della
società estinta. È condivisa la teoria secondo cui i liquidatori assumendo una responsabilità per fatto proprio, non sono
obbligati al pagamento del tributo dovuto dalla società, ma al
pagamento di un’equivalente somma, in ragione della scelta di
destinare gli attivi risultanti dalla liquidazione ai soci, o ad altri
creditori, in luogo del soddisfacimento dei crediti tributari[7].
Tale responsabilità parrebbe quindi assumere una natura sanzionatoria che sorge al verificarsi di una precisa condotta illecita
del liquidatore. Particolare importanza è assunta dall’effettiva
esistenza del debito tributario, quale presupposto logico fattuale alla configurazione della responsabilità del liquidatore. È vero,
infatti, che il liquidatore diviene responsabile solamente quando,
trovandosi di fronte alla pretesa erariale, liquida l’attivo a favore
dei soci o di altri creditori, proprio in spregio al credito erariale. Dunque è necessario che al momento della liquidazione vi
sia una consapevolezza da parte del liquidatore circa l’esistenza
del debito fiscale, attraverso una formale iniziativa dell’Agenzia.
Diversamente, mancherebbe quella specifica condotta, rappresentata dalla scelta del liquidatore di preferire i soci o altri
creditori in luogo dell’erario, necessaria a configurare la fattispecie astratta prevista dall’articolo 36 D.P.R. n. 602/1973. In questi
termini si è espressa la Corte di Cassazione, secondo cui “la condizione della certezza legale del tributo deve sussistere al momento
dell’esercizio dell’azione di responsabilità da parte dell’amministrazione
finanziaria e non a quello del deposito del bilancio finale di liquidazione
ad opera del liquidatore […]”[8].
Preme infine rilevare che il legislatore ha recentemente
modificato la norma in esame, introducendo un’inversione
dell’onere della prova a sfavore del liquidatore. Invero, a seguito di tale riforma, è il liquidatore che per escludere una sua
responsabilità ha l’onere di provare “di aver soddisfatto i crediti
tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati,
ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari” [9]. In sostanza, la prova che il liquidatore potrà assolvere,
verosimilmente già in sede di contraddittorio preventivo, sarà
costituita dall’esibizione del bilancio di liquidazione dal quale
dovranno necessariamente risultare i pagamenti effettuati ed
i beneficiari.
Riassumendo, i presupposti per la configurazione della responsabilità del liquidatore sono: l’esistenza della pretesa erariale della
società, l’esistenza di un attivo da liquidare e il mancato pagamento del debito erariale in favore dei soci o di altri creditori.
4.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione con riguardo
al rapporto sostanziale e a quello processuale
Con riguardo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in merito alla portata della cancellazione della società dal
registro delle imprese, non si può non segnalare lo storico revirement ad opera delle sentenze delle Sezioni Unite del 22 febbraio
2010, n. 4060, 4061 e 4062, con cui la Suprema Corte ha stabilito che la cancellazione dal registro delle imprese delle società
ne determina l’estinzione anche in caso di creditori insoddisfatti.
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Come già anticipato, tale conclusione discende dalla formulazione dell’articolo 2495, secondo comma c.c., secondo cui la
cancellazione dal registro delle imprese comporta l’estinzione
della società, ed ha quindi efficacia costitutiva e non meramente dichiarativa o presuntiva.
È infatti vero che nel processo tributario, grazie al richiamo
delle disposizioni del codice di procedura civile contenuto
nell’articolo 1, comma 2 D.Lgs. n. 546/1992, la disciplina della
successione ex articolo 110 c.p.c. è integralmente applicabile.
Dunque, secondo questo primo orientamento della Suprema Corte, la società una volta cancellata dal registro delle
imprese non può essere chiamata a rispondere di alcun debito (nemmeno qualora si tratti di debiti erariali). Con specifico
riferimento alla materia tributaria, ne consegue che un atto
impositivo emesso nei confronti di una società inesistente,
perché cancellata dal registro delle imprese, è radicalmente
nullo[10]. Rimane salva ovviamente la facoltà dell’Erario di
attivare le azioni previste dall’articolo 2495 c.c. e dall’articolo
36 D.P.R. n. 602/1973 nei confronti dei soci, degli amministratori e dei liquidatori[11].
La Suprema Corte, anche nel 2012, ha ritenuto che “non si può
dubitare del fatto che la cancellazione dal registro delle imprese produca l’estinzione della società anche in presenza di debiti insoddisfatti
o rapporti non definiti […]” [12].
Tuttavia le Sezioni Unite, con le sentenze del 12 marzo 2013,
n. 6070, 6071, 6072, hanno precisato che l’estinzione delle
società cancellate dal registro delle imprese darebbe luogo a
un fenomeno successorio, non a titolo particolare, ma di natura
universale, ampliando la responsabilità dei soci entro i limiti
della quota di partecipazione. La Cassazione, quindi, ha travolto il principio di responsabilità dei soci (e in particolare dei
liquidatori), introducendo un più ampio e indefinito concetto
successorio che vedrebbe il socio quale “erede” universale dei
debiti erariali della società.
Diversa è l’ipotesi in cui l’avviso di accertamento non sia stato
ancora impugnato al momento della cancellazione della società e non sia ancora scaduto il termine per impugnare. In questo
caso sussisterebbe un vero e proprio onere all’impugnazione
in capo ai soci, i quali, così facendo, eviterebbero la definizione della pretesa nei confronti della società e di conseguenza
impedirebbero all’Agenzia delle Entrate di disporre del titolo
giuridico necessario per agire nei loro confronti (ex articolo 36
D.P.R. n. 602/1973).
Per contro, si rileva che di fronte ad un avviso di accertamento
intestato e notificato ad una società ormai estinta (e quindi non più esistente) si porrebbe un problema riguardo alla
legittimazione ad impugnare. Il ricorso, invero, può essere
legittimamente proposto in via esclusiva dal soggetto al
quale l’atto è stato consegnato, purché eccepisca in via assolutamente pregiudiziale il proprio difetto di legittimazione,
deducendo l’intervenuta estinzione della società. In tal caso,
il giudice tributario accoglierebbe il ricorso, rilevando il difetto
di legittimazione e dando atto dell’intervenuta estinzione della
società. Così ha statuito la Suprema Corte in una recente pronuncia, dove ha cassato la sentenza con cui il giudice di merito
aveva accolto l’impugnazione proposta dal liquidatore della
società estinta[15].
Ad ogni modo, qualora il giudice rilevi l’inammissibilità del
ricorso non si verifica l’inoppugnabilità dell’atto impugnato,
in quanto, essendo intestato e notificato alla società estinta,
è giuridicamente nullo.
Sul versante processuale è stata avallata l’applicabilità dell’istituto della successione nel processo ex articolo 110 del codice
di procedura civile (di seguito c.p.c.), ritenendo quindi realizzabile il subentro dei soci nella posizione processuale della
società[13]. Quindi, se l’estinzione della società cancellata
dal registro interviene in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del
processo, disciplinato dall’articolo 299 c.p.c., con possibile e
successiva prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio
da parte o nei confronti dei soci[14].
5.
La novella normativa ex articolo 28, comma 4 D.Lgs.
n. 175/2014
Il legislatore con l’articolo 28, comma 4 D.Lgs. n. 175/2014,
entrato in vigore il 13 dicembre 2014, ha stabilito che “ai soli fini
della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento,
contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi,
l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha
effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”.
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In altri termini, la società cancellata dal registro delle imprese, ovverosia estinta alla stregua della nuova formulazione di
cui all’articolo 2495 c.c., rimane comunque in vita per cinque
anni dalla domanda di cancellazione, in relazione agli “atti di
liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi
e contributi, sanzioni e interessi”.
La norma in esame rappresenta, quindi, una deroga al regime
generale, consentendo all’Agenzia delle Entrate di esperire
un’autonoma azione contro la società cessata anche dopo la
sua formale estinzione, entro però un limite temporale di cinque anni. Dunque, in relazione alla pretesa erariale, la società
cancellata dal registro delle imprese non perde la soggettività
e la capacità processuale sino a cinque anni dalla richiesta di
cancellazione. Da ciò si deduce che l’avviso di accertamento,
contenente la rettifica della dichiarazione della società cancellata dal registro delle imprese, sarà emesso nei confronti
della società e notificato alla stessa presso la sede dell’ultimo
domicilio fiscale, in quanto, a tal fine, l’effetto dell’estinzione
si produrrà solamente trascorsi cinque anni dalla data della
cancellazione.
La società, ad ogni modo, per evitare spiacevoli inconvenienti
(tra cui la definizione dell’avviso di accertamento per omessa
impugnazione) potrà avvalersi della facoltà di eleggere domicilio
presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio
fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che la riguardano, così come previsto dall’articolo 60 D.P.R. n. 600/1973.
6.
Prime interpretazioni
L’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti sulla portata applicativa della nuova norma, approfondendo soprattutto
gli aspetti riguardanti l’eventuale notificazione degli atti di
accertamento. In particolare, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 31/E del 2014, ha affermato che la norma ha efficacia
retroattiva, quindi varrebbe tanto per le società già cancellate
dal registro delle imprese alla data di entrata in vigore, quanto
per le attività di controllo riguardanti periodi precedenti a detta data, fermo restando il rispetto dei termini di prescrizione e
decadenza. Nella circolare l’Agenzia ha precisato che “trattandosi di norma procedurale, si ritiene che la stessa trova applicazione
anche per attività di controllo fiscale riferite a società che hanno già
chiesto la cancellazione dal registro delle imprese o già cancellate dallo
stesso registro prima della data di entrata in vigore del decreto in
commento”.
Secondo tale impostazione, quindi, la novella normativa entrata in vigore con l’articolo 28, comma 4 D.Lgs. n. 175/2014, si
applicherebbe anche agli atti oggetto di contenzioso impugnati prima del 13 dicembre 2014. Di parere nettamente
difforme è stata la Suprema Corte, la quale, pronunciandosi sulla questione, ha statuito che l’Agenzia delle Entrate ha
facoltà di accertare la pretesa erariale nei confronti di società
cessate, solo nel caso in cui l’istanza di cancellazione sia pervenuta dopo la data del 13 dicembre 2014, ovvero la data di
entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014[16].
Nella sentenza si legge che “occorre perciò concludere che il D.Lgs.
n. 175 del 2014, articolo 28, comma 4, recante disposizioni di natura
sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle
imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell’amministrazione finanziaria
e degli altri enti creditori o di riscossione, indicati nello stesso comma,
con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’estinzione della
società derivanti dall’art. 2495 c.c., comma 2, si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal
registro delle imprese (richiesta che costituisce il presupposto di tale
differimento) sia presentata nella vigenza di detto decreto legislativo
(cioè il 13 dicembre 2014 o successivamente)”.
È di tutta evidenza, quindi, che la Cassazione, con la decisione
n. 6743/2015, ha scelto un orientamento che si discosta da
quanto precisato dall’Agenzia nella suddetta circolare.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la disposizione in esame
non ha una natura procedurale, ma ha carattere costitutivo e
in quanto tale non può essere applicata retroattivamente[17].
La motivazione poggia su alcuni riferimenti normativi, quali:
(i) l’articolo 11 delle preleggi, secondo cui la legge dispone per
l’avvenire e non ha effetto retroattivo e (ii) l’articolo 3, comma
1 dello Statuto dei diritti del contribuente per cui le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo, salvi i casi di
interpretazione autentica.
In considerazione di questa norma, sorgono comunque alcune
perplessità, in specie sulla costituzionalità della norma stessa,
tesa a rendere ancora in vita, esclusivamente per la notifica di
atti fiscali, una società civilisticamente non più esistente. Non
è irragionevole rilevare, infatti, una disparità di trattamento
tra gli enti creditori indicati nella disposizione (aventi titolo a
richiedere tributi) e tutti gli altri creditori sociali. Tenuto altresì
conto che l’articolo 1 della Legge delega n. 23/2014 richiede
espressamente il rispetto dell’articolo 3 della Costituzione della
Repubblica italiana (ove, come è noto, è sancito il principio di
eguaglianza), da cui deriverebbe il divieto di introdurre una
disciplina degli effetti estintivi differenziata a seconda della
natura dei creditori.
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Elenco delle fonti fotografiche:
http://w w w.retenews24.it/r tn24/wp-content/uploads/2015/03/
soldi.jpg [05.10.2015]
http://www.forexinfo.it/IMG/arton26275.jpg [05.10.2015]
http://www.cisaluniversita.org/sito/images/stories/cassazione-agenzialegale.jpg [05.10.2015]
http://www.bagattivalsecchivaredo.it/foto/grandi/amministratore-disistema.jpg [05.10.2015]
[1] Tra tutte, si veda la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 22 febbraio 2010,
n. 4062, in cui si statuisce che “l’art. 2495, comma
2, c.c., come modificato dal d.lgs. 17 gennaio 2003,
n. 6, art. 4 […], disciplina gli effetti delle cancellazioni
delle iscrizioni di società di capitali (…), prevedendo a
tale data la loro estinzione, in conseguenza dell’indicata pubblicità”. Secondo tale pronuncia, dunque, la
cancellazione dal registro delle imprese comporta
l’immediata e definitiva estinzione della società.
[2] Ex articolo 36 D.P.R. n. 602/1973: “I liquidatori
dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con
le attività della liquidazione, le imposte dovute per il
periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte
se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari
anteriormente all’assegnazione di beni a soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore
a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata
all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato
capienza in sede di graduazione dei crediti. La disposizione contenuta nel precedente comma si applica agli
amministratori in carica all’atto dello scioglimento della
società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori. I soci o associati, che hanno ricevuto
nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti
alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in
assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in
assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento
delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori
responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del
denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si
presume proporzionalmente equivalente alla quota
di capitale detenuta dal socio o associato, salva la
prova contraria. Le responsabilità previste dai commi
precedenti sono estese agli amministratori che hanno
compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni
di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali
anche mediante omissioni nelle scritture contabili. La
responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata
dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Avverso l’atto di accertamento è ammesso ricorso secondo
le disposizioni relative al contenzioso tributario di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 26
ottobre 1972, n. 636. Si applica il primo comma
dell’articolo 39”.
[3] Articolo 28, comma 7 del Decreto Legislativo
(di seguito D.Lgs.) n. 175/2014.
[4] Anche la Corte di Cassazione si era espressa
sul punto, escludendo che l’articolo 36 D.P.R. n.
602/1973 fosse applicabile al di fuori del campo
delle imposte sui redditi (si veda Cass., sez. V, 13
luglio 2012, n. 11968).
[5] Cass., sez. V, 11 maggio 2012, n. 7327.
[6] Cass., sez. V, 21 aprile 2008, n. 10276.
[7] Ciò trova conferma dalla riforma dell’articolo
36 D.P.R. n. 602/1973, compiuta dal legislatore
mediante l’articolo 28, quinto comma D.Lgs. n.
175/2014. Secondo la nuova versione del primo
comma dell’articolo 36, “la responsabilità del liquidatore è commisurata all’importo dei crediti di imposta
che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione
dei crediti”.
[8] Cass., sez. VI, 8 gennaio 2014, n. 179.
[9] Primo comma dell’articolo 36 D.P.R. n.
602/1973, così modificato dall’articolo 28, quinto
comma D.Lgs. n. 175/2014.
[10] Cass., sez. V, 3 novembre 2011, n. 22863;
Cass., sez. V, 10 novembre 2010, n. 22830.
[11] Anche la giurisprudenza di merito ha affermato che “è nullo l’avviso di accertamento notificato
al socio ex liquidatore, in «qualità di ultimo legale rappresentante», di società cancellata dal registro delle
imprese. L’avviso di accertamento avrebbe dovuto
essere notificato al socio in qualità di avente titolo
alla partecipe percezione, in via solidale con tutta la
compagine sociale, delle somme rinvenienti dall’approvazione del bilancio finale di liquidazione e del relativo
piano di riparto” (Comm. trib. prov. di Milano, sez.
III, 14 marzo 2011, n. 94).
[12] Cass., sez. V, 13 luglio 2012, n. 11968.
[13] Cass., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7676.
[14] Cass., sez. V, 15 gennaio 2014, n. 664.
[15] Cass., sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21188.
[16] Cass., sez. V, 2 aprile 2015, n. 6743.
[17] Invero, la Cassazione precisa che “La norma,
pertanto (contrariamente a quanto talora sostenuto
dall’amministrazione finanziaria nelle sue circolari),
opera su un piano sostanziale e non «procedurale», in
quanto non si risolve in una diversa regolamentazione
dei termini processuali o dei tempi e delle procedure di
accertamento o di riscossione: il caso in esame, cioè, è
del tutto diverso da quello di interventi normativi che,
ad esempio, incidano sulla disciplina dei termini del processo tributario o prolunghino i termini di accertamento
o introducano nuovi parametri di settore e che, per loro
natura, possono applicarsi a fattispecie processuali o
sostanziali precedenti” (Cass., sez. V, 2 aprile 2015,
n. 6743).
29
30
Diritto tributario internazionale e dell’UE
Brasile: la dichiarazione spontanea
dei patrimoni detenuti all’estero
Carlo Lorusso
Avvocato specializzato in diritto
tributario internazionale
Iscritto come avvocato straniero presso
l’ordine degli avvocati brasiliani
[email protected]
[email protected]
Un cammino percorribile e auspicabile
1.
Premessa
La regolarizzazione dei patrimoni detenuti all’estero e non
dichiarati al fisco brasiliano da parte di soggetti residenti
in Brasile è un tema di cui si è discusso nel corso dell’ultimo
decennio. L’approvazione di una legge, a tal proposito, sembra
essere ogni giorno più vicina, specialmente in seguito alla presentazione del progetto di legge su iniziativa del Governo al
Congresso Nazionale[1].
Ludmila Leite Groch
Avvocato
Professoressa in diritto penale presso
l’Università di San Paolo (USP)
[email protected]
Il Brasile ha già firmato una convenzione per la cooperazione
e lo scambio di informazioni automatiche con gli Stati Uniti
d’America[3] (accordo meglio conosciuto come Foreign Account
Tax Compliance Act [FATCA]). Oltre a questa convenzione, il
Brasile facendo parte del G20, si è impegnato a implementare un programma multilaterale di scambio automatico di
informazioni con diversi Paesi, seguendo la raccomandazione
dell’OCSE.
L’approvazione di questo progetto di legge è prioritaria per il
Governo brasiliano visto che, da un lato, le entrate tributarie
connesse ai capitali detenuti all’estero e non dichiarati aiuterebbero il Governo a diminuire il deficit pubblico e, dall’altro,
tale provvedimento permetterebbe all’Amministrazione finanziaria brasiliana di raccogliere informazioni utili per stabilire la
reale capacità contributiva di alcuni soggetti, nonché di acquisire maggiori dettagli sulle strutture di pianificazione fiscale
utilizzate per detenere i patrimoni all’estero.
2.
Lo scenario internazionale
L’importanza di questo progetto non è collegata solo a questioni di interesse nazionale. In realtà, il Brasile fa parte di un
gruppo di Stati che già hanno implementato o stanno implementando nella propria legislazione interna delle normative
per la regolarizzazione dei capitali all’estero non dichiarati.
Si tratta, dunque, di una tendenza globale ispirata alle nuove
politiche di cooperazione internazionale e di lotta all’evasione fiscale, così come discusse dall’OCSE e dal G20.
Molte giurisdizioni, infatti, hanno abrogato le normative che
garantivano il segreto bancario ai fini fiscali. Alcune nazioni,
conosciute come grandi centri finanziari, hanno già firmato, o
sono in prossimità di farlo, accordi che permettono lo scambio automatico di informazioni[2] con le autorità fiscali di altri
Paesi al fine di contrastare l’evasione d’imposta. Tali cambiamenti rendono il mantenimento di patrimoni non dichiarati
all’estero ogni giorno più difficoltoso ed espongono i contribuenti a rischi non solo di natura tributaria ma anche penale.
Attraverso l’accordo multilaterale sullo scambio automatico di
informazioni, i Paesi firmatari scambieranno in maniera automatica (ossia, senza alcuna richiesta specifica) dati relativi
alle attività finanziarie dei suoi residenti all’estero. L’entrata
in vigore di tale accordo è prevista per il 2017 o al più tardi
nel 2018.
La stesso organismo internazionale (OCSE) raccomanda che
i Paesi partecipanti al programma di scambio automatico di
informazioni diano un’ultima possibilità ai contribuenti di
dichiarare i capitali ovvero i beni esistenti all’estero prima che
l’accordo cominci ad operare.
In tal senso, il provvedimento legislativo suggerito dal Governo
segue quelle che sono le indicazioni internazionali.
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
3.
Il progetto di legge
È importante rilevare come nell’ultimo decennio sono state
molte le ragioni che hanno spinto la migrazione dei patrimoni
brasiliani all’estero. Instabilità economica e cambiaria, incertezza sul futuro del Paese e piani economici dagli esiti incerti ne
rappresentano solo alcuni esempi. Tanto premesso, le ragioni
alla base della proposta del Governo sembrerebbero rispettare
una logica ben precisa.
Per quanto riguarda gli aspetti pratici del progetto di legge
in discussione denominato “Regime Speciale di regolarizzazione
cambiaria e tributaria” (RERCT), lo stesso introduce le condizioni
ed illustra il procedimento di regolarizzazione per le persone fisiche e giuridiche detentrici di patrimoni non dichiarati
all’estero, concedendo un’amnistia per i reati collegati a tale
condotta illecita perpetrata in anni precedenti alla data di
regolarizzazione.
◆◆ la percentuale che dovrà essere pagata a titolo di imposte e
sanzioni per la regolarizzazione, sarà del 35% del valore del
patrimonio soggetto a regolarizzazione e tale tassazione
verrà considerata come tassazione definitiva;
◆◆ la regolarizzazione esclude l’incidenza della sanzione
applicata per la non presentazione in maniera completa
e tempestiva della Dichiarazione dei Capitali Brasiliani
all’Estero alla Banca Centrale Brasiliana.
In linea generale, sono queste le disposizioni che dovrebbero
regolamentare la procedura.
Il processo legislativo potrebbe subire ulteriori sviluppi ed il testo
potrebbe essere ulteriormente modificato ma le basi per la
regolarizzazione dei patrimoni all’estero sono state poste. Ai contribuenti potenzialmente interessati dalla normativa, pertanto,
non resta che prepararsi per il momento in cui saranno chiamati
a scegliere la strada da percorrere.
Al fine di analizzare i rischi ed i benefici collegati alla proposta legislativa è necessario comprendere le sue linee generali.
Di seguito, seppur in maniera schematica, vengono elencati i
punti centrali del testo sottoposto all’approvazione del Congresso Nazionale:
◆◆ la dichiarazione dei capitali, dei beni e dei diritti mantenuti
all’estero deve essere su base volontaria e presentata entro
180 giorni a partire dalla data di entrata in vigore della
regolamentazione, attraverso una “dichiarazione di regolarizzazione specifica”. Tale dichiarazione, dovrà contenere la
descrizione dettagliata degli attivi, nonché il valore degli
stessi espresso in reais (utilizzando la quotazione del dollaro
a dicembre 2014); le informazioni necessarie ad identificare l’oggetto della regolarizzazione ed i dati completi del
titolare;
◆◆ nel caso in cui i patrimoni da dichiarare fossero superiori a
100'000 dollari, un’istituzione finanziaria brasiliana dovrà
svolgere il compito di intermediazione nella regolarizzazione;
◆◆ il dichiarante non potrà accedere alla procedura se condannato con sentenza passata in giudicato per la pratica
di crimini direttamente connessi al patrimonio oggetto di
denuncia spontanea;
◆◆ esclusivamente gli attivi di origine lecita (la cui dimostrazione, in realtà, potrebbe essere “complicata”) potranno
essere oggetto di dichiarazione di regolarizzazione;
◆◆ sarà estinta la punibilità in relazione ai crimini tributari
di falsificazione perpetrata nei confronti del sistema
finanziario, di reato cambiario e di riciclaggio di denaro dei
contribuenti che hanno dichiarato i valori in base a quanto
previsto per legge;
◆◆ nel caso di regolarizzazione degli attivi mantenuti all’estero in nome di terze parti, l’estinzione della punibilità sarà
estesa anche ai terzi;
4.
Conclusioni
Come era possibile intuire, molte sono state le riflessioni e le critiche intorno al progetto di legge: elevata carica
tributaria, tempistiche di adesione ristrette, restrizioni per
l’accesso all’adesione, estensione della partecipazione delle
istituzioni finanziarie (che avranno una responsabilità diretta
per verificare il procedimento di dichiarazione), possibilità di
auto-incriminarsi e tanti altri dubbi che sempre precedono i
grandi programmi di adesione spontanea.
Tali problematiche, potrebbero essere facilmente risolte
prendendo a riferimento le procedure già implementate per
gli altri Paesi che hanno aderito al programma di dichiarazione spontanea (comunemente conosciuta come voluntary
disclosure) [4].
I dettagli relativi alle altre procedure sono state rese note
da parte dell’OCSE sul sito web dell’organizzazione e, senza
ombra di dubbio, sono conosciute dai tecnici che lavorano
alla redazione del progetto di legge.
In termini generali, sarebbe auspicabile un’estensione del
termine di presentazione della dichiarazione di adesione,
tenendo in considerazione le difficoltà nel ricostruire la storia
di alcune operazioni e l’ottenimento della documentazione
da parte delle istituzioni finanziarie estere. Una riduzione
delle sanzioni e dell’imposta applicabile sarebbe anche ben
vista, oltre ad alcuni chiarimenti riguardo le possibili conseguenze di un’auto-incriminazione per le fattispecie di reato
non espressamente coperte dal progetto di legge al fine di
incentivare i contribuenti ad aderire al progetto.
31
32
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
Nonostante tali riflessioni, non possiamo esimerci dal riconoscere che questa è un’opportunità unica nella storia del
Brasile e che appare improbabile che una tale opportunità
possa essere concessa in futuro, data la situazione politica e
sociale vissuta dal Paese. Molte potrebbero essere ancora le
modifiche apportate al progetto di legge prima dell’approvazione, ma sicuramente possiamo affermare che non siamo mai
stati così vicini all’approvazione di un effettivo programma di
regolarizzazione come lo siamo oggi.
Sulla base di quanto sopra considerato, si potrebbe concludere
che i contribuenti che si faranno trovare pronti nel momento in
cui i tempi per l’adesione cominceranno a scorrere, avranno una
maggiore tranquillità per poter stabilire il cammino da seguire. Questo comporterà un’attenzione particolare alle notizie
riguardanti il progetto di legge, nonché un’analisi preliminare
dei vantaggi e svantaggi del “pacchetto offerto” ed una richiesta
dei documenti che potrebbero essere importanti per la procedura. In questo senso, è importante che il contribuente ricorra
a specialisti nell’area penale e tributaria per valutare la propria
situazione personale e tracciare una strategia da seguire.
È importante evidenziare, infine, che, quando si tratta di
presentare le prove atte a dimostrare l’inesistenza di illeciti
perpetrati nei confronti del Governo e degli istituti regolatori del Paese, è necessaria un’attenzione particolare in quanto
non è consentito fare passi falsi.
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.sassieditore.it/wp-content/uploads/2014/05/copertina_
BRASILE_web2.jpg [09.10.2015]
http://www.aboutbrasil.com/modules/images/1039.jpg [09.10.2015]
[1] PL 2960/15.
[2] OCSE, Automatic Exchange of Information, in:
http://www.oecd.org/ctp/exchange-of-tax-information/automaticexchange.htm [09.10.2015].
[3] U.S. Department of the Treasury, FATCA
– Archive, in: http://www.treasury.gov/resourcecenter/tax-policy/treaties/Pages/FATCA-Archive.
aspx [09.10.2015].
[4] OCSE, Update on Voluntary Disclosure Programmes: A Pathway to Tax Compliance, in: http://
www.oecd.org/ctp/exchange-of-tax-information/
update-on-voluntary-disclosure-programmes-apathwaypto-tax-compliance.htm [09.10.2015].
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero
Perdita immobiliare e relativa
compensazione: aspetti temporali
Samuele Vorpe
Responsabile del Centro di competenze
tributarie della SUPSI
Sentenza del Tribunale federale, del 2 maggio 2014, n. 2C_404/2013,
in: RDAF 2014, pagine 513-527, traduzione a cura di Fernando
Ghiringhelli
Doppia imposizione intercantonale – Vendita di immobili – Imposta
ordinaria sull’utile ed imposta separata sugli utili immobiliari –
Momento della realizzazione di una perdita nel Cantone di situazione
dell’immobile – Articolo 127 capoverso 3 Cost. – Articolo 12 capoversi 1 e 4 LAID
1.
Società immobiliare con diversi domicili fiscali all’interno
della Svizzera
La società A Sagl, costituita nel 2000, ha la propria sede a U nel
Canton Berna. Il suo scopo principale consiste, secondo gli statuti,
nella detenzione di immobili come pure nell’offerta di prestazioni
di consulenza in economia aziendale. Nel 2006 essa era proprietaria di immobili edificati nei Cantoni di Berna, Basilea-Campagna
e Basilea-Città. A V nel Canton Basilea-Città essa ha detenuto,
per poco meno di un mese, due immobili composti da abitazioni
e da autorimesse. Li aveva acquistati il 5 maggio 2006 e li aveva
ceduti con contratto di vendita del 30 maggio 2006. Queste transazioni hanno generato un utile immobiliare di 173’451 franchi,
rispettivamente di 80’120 franchi, per un totale complessivo di
253’571 franchi. Simultaneamente, il 1. giugno 2006, la A Sagl
ha acquistato un immobile sito a Y nel Canton Basilea-Città.
Lo ha detenuto per circa sette mesi e lo ha alienato con contratto di
vendita del 20 dicembre 2006 iscritto a registro fondiario il 3 gennaio 2007. Questa vendita ha generato una perdita immobiliare di
117’990 franchi. Nel bilancio della A Sagl di fine 2006 l’immobile di
Y nel Canton Basilea-Città non figurava più fra gli attivi contabilizzati. L’utile straordinario di 135’581 franchi raggruppava il risultato
di tre transazioni (253’571 franchi di V nel Canton Basilea-Città,
meno 117’990 franchi di Y sempre nel Canton Basilea-Città). Una
voce separata evidenziava dei costi amministrativi di 4’800 franchi.
2.
La ripartizione intercantonale non soddisfa tutte le parti
e viene contestata
L’Ufficio delle imposte del Canton Berna ha tassato la A Sagl
per l’anno 2006 con decisione del 16 marzo 2009. Nella
ripartizione intercantonale ha attribuito la totalità dell’utile
straordinario di 135’581 franchi al Canton Basilea-Città. Ha poi
addebitato al domicilio fiscale speciale (Basilea-Città) le spese
di amministrazione di 288’000 franchi (pari al 5% dell’ammontare cumulato dei ricavi di alienazione di 5’760’000 franchi)
accreditandole al domicilio fiscale principale (Canton Berna).
La tassazione è stata contestata con reclamo del contribuente e
del Cantone di domicilio fiscale speciale. Statuendo sul reclamo
del contribuente, l’Ufficio delle imposte ha ridotto la ripresa
effettuata sull’accantonamento eccessivo per imposte di 8’000
franchi (tassazione del 6 novembre 2009). Procedendo alla
ripartizione intercantonale ha confermato l’attribuzione dell’utile
straordinario di 135’581 franchi al Canton Basilea-Città mentre
ha ridotto al 2%, pari a 115’200 franchi, le spese di amministrazione a carico del Canton Basilea-Città ed in favore del Canton
Berna, motivando tale correzione con l’argomento che un tasso
meno elevato era giustificato dal fatto che la ricorrente non era
da qualificare quale commerciante professionale di immobili.
A seguito di tale correzione, nella ripartizione intercantonale
dell’utile imponibile di 156’436 franchi, si attribuivano 89’682
franchi al Canton Berna, 0 franchi al Canton Basilea-Campagna
e 66’754 franchi al Canton Basilea-Città.
3.
Le molteplici richieste della ricorrente al Tribunale federale
Nel quadro della tassazione sugli utili immobiliari 2006 del Canton Basilea-Città si è posto il problema di come considerare la
perdita immobiliare subita. In considerazione del fatto che la terza
transazione era stata iscritta a registro fondiario soltanto il 3
gennaio 2007, e visto che il diritto fiscale cantonale non prevedeva (ancora) per quel periodo un riporto retroattivo delle perdite
immobiliari, l’autorità fiscale ha rifiutato il computo della perdita.
I ricorsi della A Sagl alla Commissione cantonale di ricorso in
materia fiscale (decisione del 16 settembre 2010) ed al Tribunale
di appello del Canton Basilea-Città quale tribunale amministrativo (del 6 marzo 2013) sono stati respinti.
Con memoria del 2 maggio 2013 la A Sagl (di seguito la contribuente) ha interposto un ricorso di diritto pubblico presso il
Tribunale federale chiedendo l’annullamento della decisione del
Tribunale di appello del Cantone di Basilea-Città del 6 marzo
2013 concernente l’imposta sugli utili immobiliari del Cantone
33
34
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
di Basilea-Città (conclusione n. 1). Essa chiede, come già fatto
davanti all’istanza inferiore, che la perdita di ripartizione per le
imposte dirette subita per il periodo fiscale 2006 sia ricalcolata in
modo diverso. Il risultato totale risultante dai suoi conti per l’anno 2006 dovrebbe essere corretto nella misura della differenza
esistente fra il carico fiscale effettivo nel Canton Basilea-Città e
l’accantonamento per imposte contabilizzato (=risultato totale
corretto) ed in seguito ridotto nella misura dei ricavi lordi sottoposti all’imposta separata sugli utili immobiliari nel medesimo
periodo per i primi due oggetti (=reddito residuo al domicilio
fiscale principale dopo ripartizione dell’utile). Il risultato di questo
calcolo dovrebbe essere confrontato con i ricavi lordi sottoposti
all’imposta separata sugli utili immobiliari per il periodo fiscale
2006 realizzati sui primi due immobili e l’eccedenza dei ricavi lordi per rapporto al risultato globale dovrebbe essere considerata
quale perdita di ripartizione (conclusione n. 2). La tassazione per
l’imposta separata sugli utili immobiliari derivanti dalla vendita
dei primi due oggetti dovrebbe inoltre essere effettuata in modo
tale da sopprimere la perdita di ripartizione eliminando così la
doppia imposizione intercantonale (conclusione n. 3). Per l’imposta separata sugli utili immobiliari dovrebbe essere ammessa
una deduzione forfettaria a titolo di spese amministrative fino a
concorrenza del 2% dei ricavi di alienazione delle prime due vendite, il cui diritto di imposizione dovrebbe essere riconosciuto al
Cantone di domicilio fiscale principale (conclusione n. 4). La causa dovrebbe eventualmente essere rinviata all’istanza inferiore,
rispettivamente all’autorità di tassazione, con l’istruzione di procedere ad una nuova tassazione ai sensi delle conclusioni 2 e 4
(conclusione n. 5). Il Tribunale di appello del Canton Basilea-Città,
l’Amministrazione fiscale del Canton Basilea-Città e l’Amministrazione fiscale del Canton Berna propongono di respingere il
ricorso, mentre l’Amministrazione federale delle contribuzioni
rinuncia a prendere posizione.
Secondo l’accertamento dei fatti eseguito dall’istanza inferiore
relativo al 2006, che vincola il Tribunale federale, la contribuente era una società di capitali con la sede nel Canton Berna che
possedeva degli immobili nel Canton Basilea-Città. Le vendite
sono state effettuate mediante dei puri contratti di vendita
(senza componenti del contratto d’opera). La contribuente
non possiede degli stabilimenti d’impresa nel Canton BasileaCittà per cui non si pone il problema della qualifica dei tre
oggetti basilesi quali immobili aziendali. È per contro aperta la
questione a sapere se si tratti di immobili che costituiscono un
investimento di capitale (sostanza fissa) o di immobili che rappresentano degli oggetti di commercio (sostanza circolante).
Questa seconda qualifica presupporrebbe che la contribuente
fosse considerata, dal punto di vista del diritto fiscale intercantonale, quale commerciante professionale d’immobili. La
contribuente lo pretende, mentre i Cantoni implicati considerano che si tratti di un’ordinaria società di gestione. Nell’ottica
del contestato momento della realizzazione tale questione
verrà analizzata al momento dell’esame del tasso forfettario
delle spese generali.
5.
Le norme di collisione elaborate dal Tribunale federale e il
diritto dell’armonizzazione tra i Cantoni
4.
In che anno considerare la perdita immobiliare relativa
alla terza transazione?
È controverso, e va esaminato, se ed eventualmente in quale
misura nei rapporti intercantonali la perdita subita con la vendita del terzo oggetto debba essere imputata, nel 2006, sull’utile
lordo delle due precedenti transazioni. La questione centrale è
quella a sapere in quale momento, nelle relazioni intercantonali,
il risultato della vendita di un immobile – utile o perdita che sia
– va tenuto in considerazione quando il negozio obbligatorio
(contratto di vendita) e l’atto di disposizione (iscrizione a registro fondiario) siano stati stipulati in due anni contabili diversi.
La contribuente è proprietaria di immobili nel Canton Basilea-Città dove è assoggettata in modo limitato in virtù
dell’appartenenza economica (articolo 21 capoverso 1 lettera c della Legge federale sull'armonizzazione delle imposte
dirette dei Cantoni e dei Comuni [di seguito LAID]). Secondo
la prassi del Tribunale federale in materia di doppia imposizione, in una simile costellazione la proprietà immobiliare ed
i relativi proventi sottostanno all’esclusiva sovranità fiscale
del Cantone di situazione del bene. Anche un utile derivante
dall’aumento di valore (o una perdita) devono essere ripartiti per oggetto[1]. Il diritto sull’armonizzazione permette
ai Cantoni di sottomettere l’utile derivante da un aumento
di valore immobiliare appartenente alla sostanza aziendale
con l’imposta ordinaria sul reddito (persone fisiche), rispettivamente a quella sull’utile (persone giuridiche) sulla base
del sistema dualistico di cui all’articolo 12 capoverso 1 LAID,
oppure all’imposta speciale sugli utili immobiliari con il sistema monistico ai sensi dell’articolo 12 capoverso 4 LAID [2].
Il diritto relativo alla doppia imposizione limita tuttavia tale
scelta, rispettivamente la sua concreta applicazione, nel
senso che il sistema utilizzato da un Cantone non può ripercuotersi a svantaggio di un altro Cantone o del contribuente
assoggettato all’imposta in più Cantoni[3].
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
6.
Le regole di compensazione delle perdite
Sulla base della vigente prassi il Cantone di situazione dell’immobile deve tenere conto della situazione del contribuente
e della sua capacità contributiva (doppia esigenza secondo
l’articolo 127 capoversi 2 e 3 della Costituzione federale [di
seguito Cost.]). Sul piano intercantonale, in presenza di perdite realizzate con l’alienazione di oggetti di commercio da
parte di commercianti professionali di immobili oppure con
la vendita di immobili che costituiscono un investimento
di capitale (al di fuori del Cantone della sede o della stabile
organizzazione), esse vanno inizialmente compensate con i
redditi immobiliari e con altri proventi/utili conseguiti nello
stesso Cantone e nello stesso anno anche nel caso in cui il
diritto cantonale non dovesse prevedere tale possibilità[4].
Se dopo tale compensazione emerge un risultato negativo, esso va successivamente imputato sull’utile aziendale al
domicilio fiscale principale, poi al domicilio fiscale secondario [5] ed infine sul risultato dei puri Cantoni di situazione di
immobili[6]. La situazione è identica, ma inversa, in presenza
di un risultato positivo nel puro Cantone di situazione di un
immobile e di una perdita aziendale[7].
7.
La realizzazione di una “zona fiscale svizzera”
Se nell’ambito della ripartizione intercantonale del reddito
e della sostanza, rispettivamente dell’utile e del capitale, un
Cantone che applica il sistema monistico entra in concorrenza con un Cantone che prevede il sistema dualistico, bisogna
includere nella ripartizione d’imposta tutti gli utili derivanti
dall’aumento di valore nella loro integralità al fine di creare
delle situazioni di fatto che siano comparabili[8]. Il problema
della creazione di situazioni di fatto comparabili si è innanzitutto posto nella giurisprudenza del Tribunale federale in
senso oggettivo[9]. Se si vuole realizzare “la zona fiscale svizzera” [10] , vanno certamente create delle condizioni uniformi
anche in senso temporale. Come nell’ambito oggettivo, anche
qui va creata una regolamentazione uniforme e coerente
affinché nei rapporti intercantonali il momento determinante
sia conforme a quello previsto dalla Legge federale sull’armonizzazione (LAID) e dalla Legge federale sull’imposta federale
diretta (di seguito LIFD). Con l’unificazione intercantonale si
ottiene contemporaneamente anche l’auspicata armonizzazione verticale fra la Confederazione ed i Cantoni[11].
8.
Il legame tra diritto fiscale e diritto commerciale
Il diritto fiscale applicabile alle persone giuridiche ed ai contribuenti che esercitano un’attività lucrativa indipendente si
fonda (direttamente) sul diritto commerciale e (indirettamente) sulla dottrina in materia economica (articoli 18 capoverso
3 e 58 LIFD)[12]. Va quindi applicato il principio della rilevanza del bilancio commerciale[13]. Qui rilevante è il principio
della prudenza che governa il diritto commerciale (articolo
662a capoverso 2 n. 3 del Codice delle obbligazioni [di seguito CO], rispettivamente articolo 958c capoverso 1 n. 5 CO).
Esso include il principio della realizzazione, dell’imparità[14]
nonché il principio del valore minimo[15]. Secondo il principio
dell’imparità i ricavi, contrariamente ai costi, possono essere contabilizzati soltanto quando sono certi o realizzati. Essi
sono realizzati nel momento in cui, a seguito di un’operazione
commerciale, nasce un credito giuridicamente e fattivamente
esigibile nei confronti del debitore[16].
Se il contribuente è obbligato a tenere una contabilità, o se egli
la tiene spontaneamente, il metodo di conteggio sulla base del
fatturato prescritto dal diritto commerciale vale anche in ambito fiscale. I contribuenti con attività lucrativa indipendente che
non sono obbligati a tenere una contabilità possono per contro effettuare le loro registrazioni sia sulla base dell’incassato
(“Ist-Methode”) sia sulla base del fatturato (“Soll-Methode”)[17].
La giurisprudenza del Tribunale federale secondo cui si deve
partire dal principio della fatturazione a meno che la realizzazione del credito appaia (particolarmente) incerta è fatta su
misura per casi del genere. Se del caso si posticipa l’imposizione fino al momento della realizzazione[18].
9.
La questione temporale in caso di vendita dell’immobile
Per la vendita di immobili il Tribunale federale ha concretizzato
il principio della fatturazione nel senso che la conclusione
valida del contratto per atto pubblico è determinante dal
punto di vista temporale (per i contratti di vendita: articolo
216 capoverso 1 CO)[19]. Questa giurisprudenza, sviluppata
prevalentemente per i contribuenti con attività lucrativa indipendente, si applica ugualmente alle società di capitali ed alle
società cooperative dato che esse sottostavano a regole contabili più severe (articolo 662a versus articolo 957 e seguente
vecchio CO) e ne sottostanno tutt’ora (articolo 957 capoverso
1 versus capoverso 2 CO).
La prevalenza del diritto commerciale e la susseguente prassi
che ne è derivata per gli utili immobiliari valgono innanzitutto
per l’imposta ordinaria sull’utile nell’ambito della ripartizione fra
domicilio fiscale principale (sede) e domicilio fiscale secondario
(stabile organizzazione). I medesimi principi devono pure valere
nei rapporti intercantonali quando si tratta in un Cantone
dell’imposta ordinaria sull’utile e nell’altro Cantone dell’imposta separata sugli utili immobiliari (in gran parte armonizzata).
Non esiste alcun valido motivo per considerare dei momenti differenti di realizzazione per l’utile ordinario da una parte
e per l’utile o la perdita immobiliare dall’altra. Al contrario, è
indispensabile trovare una soluzione coerente per soddisfare
l’esigenza della congruenza (oggettiva e temporale) in presenza
di circostanze di fatto paragonabili. Un ruolo determinante
35
36
Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
spetta alle norme fiscali concernenti l’imposizione dell’utile.
L’utile immobiliare rappresenta una forma di utile (o di perdita).
Le regole armonizzate relative all’imposta ordinaria sull’utile
sono concepite in modo manifestamente più ampio di quelle
per l’imposta separata sugli utili immobiliari (articolo 12 LAID).
Le disposizioni (oggettive e temporali) riferite all’imposta ordinaria sull’utile hanno quindi necessariamente la preminenza
a meno che l’articolo 12 LAID non preveda espressamente
qualcosa di diverso[20]. Nelle relazioni intercantonali, l’utile o
la perdita derivanti dalla vendita di un immobile appartenente
alla sostanza aziendale che, con il sistema monistico vengono
imposti separatamente, devono di conseguenza essere tassati
in modo uniforme per l’esercizio durante il quale è avvenuta la
conclusione valida del contratto per atto pubblico[21].
Nel presente caso, sia il Cantone del domicilio fiscale principale che il Cantone del domicilio fiscale speciale applicano il
sistema monistico. I due Cantoni concordano pure sull’aspetto
temporale, basandosi sulla data dell’atto dispositivo (iscrizione
a registro fondiario; articolo 656 capoverso 1 in correlazione
con l’articolo 971 capoverso 1 del Codice civile). Ciò corrisponde alla costante prassi del Canton Berna[22] , mentre il
Cantone di Basilea-Città si è dotato a tale riguardo di una norma di diritto positivo (articolo 110 capoverso 1 lettera a della
Legge tributaria del Canton Basilea-Città [di seguito LT-BS])
che crea una divergenza per rapporto al diritto fiscale armonizzato. Va quindi chiarito se essa è sostenibile nell’ottica della
doppia imposizione intercantonale.
10.
La realizzazione interviene al momento della conclusione
del negozio obbligatorio oppure all’atto di disposizione?
L’istanza inferiore ha ritenuto che, applicando il diritto fiscale del
Cantone di Basilea-Città, gli utili immobiliari potevano essere compensati esclusivamente con perdite immobiliari subite nel corso
dello stesso anno civile. L’imposta separata sugli utili immobiliari
nasce con il trasferimento della proprietà a seguito dell’iscrizione a registro fondiario. Dato che l’alienazione del terzo oggetto
(iscritta a registro fondiario il 3 gennaio 2007) è avvenuta soltanto nel 2007, la perdita che ne è scaturita non poteva essere
imputata sugli utili immobiliari conseguiti durante il 2006. Non
vi era quindi alcuna perdita di ripartizione visto che l’utile aziendale complessivo superava l’utile immobiliare netto di 115’815
franchi realizzato nel Canton Basilea-Città.
La contribuente sostiene che, in base alle regole vigenti in
materia di doppia imposizione, la perdita subita con la vendita del terzo oggetto debba essere attribuita all’esercizio
fiscale 2006 anche se le norme cantonali prevedono un’altra
soluzione. La perdita dovrebbe essere ripartita per oggetto
e sopportata dal Canton Basilea-Città al fine di evitare una
perdita di ripartizione. In caso contrario la somma degli utili
imposti nel Canton Berna e nel Canton Basilea-Città supererebbe l’utile aziendale complessivo.
Sia il Canton Berna che il Canton Basilea-Città applicano sul
piano interno il sistema monistico (articolo 12 capoverso 4
LAID) e considerano la data dell’atto dispositivo quale elemento
temporale determinante. Malgrado ciò si arriva ad una soluzione finale disarmonizzata dal momento che il Canton Berna
preleva, quale domicilio fiscale principale, un’imposta ordinaria sull’utile mentre nel domicilio fiscale speciale viene riscossa
un’imposta separata sugli utili immobiliari. Nel primo caso è
incontestato che la realizzazione intervenga al momento della
conclusione del negozio obbligatorio mentre nel secondo caso
fa stato l’atto di disposizione.
Secondo l’accertamento dei fatti eseguito dall’istanza inferiore,
che vincola il Tribunale federale, il Canton Berna ha tenuto conto
delle tre transazioni nell’anno 2006. L’istanza inferiore considera corretto il metodo di tassazione del Canton Berna anche se
fa riferimento, in uno dei suoi considerandi, alla decisione del
Tribunale federale n. 2C_199/2011 del 14 novembre 2011 consid. 4.1, desumendone che il domicilio fiscale speciale poteva
senz’altro riesaminare la prassi di tassazione del Cantone del
domicilio fiscale principale. Nella consultazione del 13 giugno
2013 l’istanza inferiore ammette comunque di avere ritenuto
che, secondo le leggi fiscali concordanti dei due Cantoni, ci si
dovesse basare sull’atto di disposizione. Per quanto concerne il
Canton Berna si era fidata delle relative istruzioni emanate dalla
Divisione dell’imposta sugli utili immobiliari ritenendo che esse
fossero valevoli anche nel caso di una perdita immobiliare.
Il comportamento del Canton Berna, che qui non è in discussione ma che va tuttavia esaminato a titolo pregiudiziale, risulta
conforme al diritto federale in considerazione di quanto detto
precedentemente. In concreto l’articolo 24 capoverso 1 LAID
(in correlazione con l’articolo 58 capoverso 1 LIFD), che concretizza l’articolo 127 capoverso 3 Cost. in modo vincolante
per il Tribunale (articolo 190 Cost.), ha la precedenza sull’opposta norma cantonale (articolo 110 capoverso 1 lettera a
LT-BS). Una regola uniforme per fissare il momento determinante è come minimo indispensabile per i due seguenti motivi:
◆◆ dal punto di vista del contribuente esiste una sovrimposizione dato che la perdita immobiliare di 117’990 franchi
non viene mai presa completamente in considerazione.
Essa esplica i suoi effetti soltanto nella misura in cui il
Canton Berna applica un’aliquota complessiva ridotta, ciò
che viola il principio dell’imposizione secondo la capacità
economica (articolo 127 capoverso 2 Cost.);
◆◆ nel Canton Berna vi è una minore imposizione dal
momento che nel 2006 esso deve considerare la perdita immobiliare ai fini dell’aliquota mentre nel 2007 la
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dovrebbe pure dedurre dall’utile imponibile a causa della
mancata possibilità di compensazione nel Cantone di
Basilea-Città. Un simile “doppio effetto” riduce le pretese
fiscali del Canton Berna in maniera ingiustificata e non è
sostenibile nell’ottica dell’articolo 127 capoverso 3 Cost.
Il diverso punto di vista dell’istanza inferiore è contrario al diritto federale. Su questo punto il ricorso va pertanto ammesso.
11.
La determinazione delle spese generali dei commercianti
professionali: vale sempre la regola del 5%?
Il Cantone di situazione dell’immobile deve sopportare, in favore del domicilio fiscale principale, una quota delle spese generali
dei commercianti professionali di immobili[23]. Il “forfait dei
commercianti” ammonta di regola al 5% del prezzo di vendita
e dovrebbe coprire le spese generali (in particolare le spese del
personale e quelle correnti) che nascono in occasione dell’acquisto e della vendita dei propri oggetti di commercio[24].
Dal tasso del 5% concepito quale regola empirica ci si deve
scostare soltanto per motivi particolari, specialmente se esistono sufficienti elementi per ritenere che esso sia o troppo
alto o troppo basso. Un tasso meno elevato è in particolare giustificato se vengono contabilizzate delle provvigioni di
intermediazione e degli onorari per prestazioni di servizio
versati a terzi[25]. In un simile caso è giustificato ammettere una deduzione forfettaria dell’1% soltanto a titolo di spese
generali[26]. L’esperienza insegna che la collaborazione di
un intermediario o di un terzo che fornisce delle prestazioni connesse con la transazione riducono le spese generali del
commerciante professionale di immobili[27]. Le provvigioni di
intermediazione e gli onorari per prestazioni di servizio versati in occasione dell’acquisto e della vendita degli oggetti di
commercio vengono oltretutto fatturati separatamente; dal
punto di vista economico essi rappresentano per lo più dei
costi specifici e non delle spese generali. Ciò permette di imputarli direttamente al singolo utile immobiliare (o alla perdita).
Per tale ragione le provvigioni di intermediazione e gli onorari
per prestazioni di servizio vanno dedotti fin da principio (per
oggetto) nel Cantone di situazione dell’immobile[28].
Se l’utile derivante dall’aumento di valore risulta essere relativamente modesto per rapporto al prezzo di vendita, per cui
l’applicazione del forfait dei commercianti genera una deduzione proporzionalmente elevata, ciò rappresenta un serio
indizio che le effettive spese generali da computare ammontavano a meno del 5% del prezzo di vendita. Inversamente, un
utile relativamente alto può rappresentare un indizio in favore
di un tasso più elevato di spese generali. Per questo motivo
il Tribunale federale ha considerato che non è arbitrario ridurre
il tasso forfettario di spese generali del 5% del prezzo di vendita
quando, a causa dell’elevato prezzo di vendita, non soltanto ne
scaturisce un modesto utile derivante dall’aumento di valore
ma l’applicazione del tasso del 5% creerebbe addirittura una
perdita immobiliare[29].
Una quota forfettaria di spese generali entra in linea di conto
esclusivamente in caso di commercianti professionali di
immobili che operano a livello intercantonale. La LIFD ed il
diritto fiscale intercantonale utilizzano la medesima nozione
di commerciante professionale di immobili[30]. Con le dovute
restrizioni tali criteri si applicano anche alle persone giuridiche.
Secondo l’accertamento dei fatti eseguito dall’istanza inferiore, che vincola il Tribunale federale, il Canton Berna ha
inizialmente qualificato la ricorrente quale commerciante professionale di immobili (in base alla decisione di tassazione del
16 marzo 2009). Per la ripartizione intercantonale l’autorità
fiscale del Canton Berna ha dapprima considerato, a carico del
Cantone di domicilio fiscale speciale (Basilea-Città), una quota
forfettaria di spese generali di 288’000 franchi (5% dei ricavi
cumulati di 5’760’000 franchi) per poi ridurla al 2% (115’200
franchi). Quale giustificazione di tale riduzione essa ha invocato il fatto che la contribuente non era da considerare quale
commerciante professionale di immobili. Le dichiarazioni d’imposta relative all’imposta separata sugli utili immobiliari del
Canton Basilea-Città figurano agli atti e possono quindi essere
esaminate a titolo complementare da parte del Tribunale
federale (articolo 105 capoverso 2 della Legge federale sul Tribunale federale [di seguito LTF]). Dalle stesse risulta che sono
state versate delle provvigioni di intermediazione di 173’451
franchi e di 80’120 franchi. Il Canton Berna le ha ammesse in
deduzione accettando pure un onorario di intermediazione di
100’000 franchi per la terza vendita. Esso è quindi partito dal
reddito straordinario dichiarato di 135’581 franchi.
12.
La contribuente può essere considerata commerciante
professionale d’immobili?
La contribuente chiede ora la deduzione di una quota forfettaria di spese generali del 2% limitatamente alle prime due
vendite. Con dei ricavi cumulati di 3’520’000 franchi ciò corrisponde a circa 70’000 franchi. A ciò si contrappongono dei
costi amministrativi di 4’800 franchi ma nessun salario contabilizzato. Anche nel caso in cui i propri costi non fossero stati
contabilizzati, ciò che potrebbe sollevare delle questioni di diritto
commerciale, risulta difficilmente comprensibile per quale motivo sarebbe sorto un ulteriore costo amministrativo di
circa 70’000 franchi oltre alle comprovate provvigioni ed agli
onorari di intermediazione di 353’571 franchi (ovvero 173’451
franchi più 80’120 più 100’000) ammessi in deduzione dal Canton Berna. Manca qualsiasi argomentazione che possa essere
controllata.
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Novità fiscali / n.10 / ottobre 2015
La questione a sapere se la contribuente possa essere considerata quale commerciante professionale di immobili può quindi
rimanere aperta. Non va certo dimenticato che la durata di
possesso è stata manifestamente breve, non avendo superato
un mese (per gli oggetti 1 e 2) e sette mesi (per l’oggetto 3).
Il terzo oggetto è stato inoltre acquistato nello stesso momento della vendita dei primi due immobili. Tale fatto non
esclude per lo meno un procedimento sistematico e pianificato. Manca tuttavia una documentazione relativa a precedenti
transazioni – la contribuente è stata costituita nell’anno 2000
–, a particolari conoscenze professionali, a pratiche commerciali e finanziarie lungamente esercitate, ma esse non vengono
nemmeno invocate dalla contribuente.
13.
Conclusioni
Il ricorso è fondato nella misura in cui la ricorrente chiede
un’armonizzazione dei criteri temporali per l’imputazione delle
perdite, mentre non lo è per il resto. Il ricorso è parzialmente
accolto e la decisione impugnata annullata. La situazione di
[1] DTF 137 I 145 consid. 4.2; 132 I 220 consid. 3.1;
111 Ia 120 consid. 2a.
[2] DTF 139 II 373 consid. 4.2.
[3] DTF 139 II 373 consid. 4.2; 138 I 297 consid. 3.1;
131 I 249 consid. 6.3; come già DTF 92 I 198 consid. 3b.
[4] In merito al commerciante di immobili DTF 131 I
249 consid. 4.2; 111 1a 318 consid 4b; sentenza TF
n. 2C_689/2010 del 4 aprile 2011 consid. 3, in: ASA
80 pagina 361; StE 2011 24.43.1 N 22.
[5] DTF 132 I 220 consid. 5.
[6] DTF 138 I 297 consid. 4.2.
[7] In merito agli immobili che costituiscono un
investimento di capitale nel puro Cantone di situazione dell’immobile: de Vries Reilingh Daniel, La
double imposition intercantonale, 2. edizione, Berna
2013, Nr. 1059; Oberson Xavier, Droit fiscal suisse, 4.
edizione, Basilea 2012, N 48 ad § 21; Oertli Mathias/
Zigerlig Rainer, N 39 ad § 33; in: Zweifel Martin/
Beusch Michael/Mäusli-Allenspach Peter (a cura
di), Kommentar zum Schweizerischen Steuerrecht,
volume II/1, Interkantonales Steuerrecht, Basilea
2011; Locher Peter, Einführung in das interkantonale Steuerrecht, 3. edizione, Berna 2009, pagina
95 (citato: Intercantonale); in merito agli oggetti
di commercio dei commercianti professionali di
immobili, de Vries Reilingh Daniel, op. cit., Nr. 1112;
Oertli Mathias/Zigerlig Rainer, op. cit., N 119 e
seguente ad § 33; Locher Peter, Intercantonale,
pagina 120.
[8] Cfr. DTF 139 II 373 consid. 4.2.
[9] Ammontare e calcolo di un utile o di una perdita;
cfr. sentenza TF n. 2C_319/2013 del 13 marzo 2014.
[10] Articolo 129 capoverso 1 Cost.; cfr. a tale
riguardo sentenza TF n. 2C_337/2012 del 19
dicembre 2012, consid. 3.5, in: RDAF 2013 II 350,
StE 2013 B 42.38 N 36, StR 68/2013 pagina 368.
[11] DTF 139 II 363 consid. 3.2; 131 I 409 consid. 3.2.
[12] Sentenze TF n. 2C_104/2013 e n. 2C_105/2013
del 27 settembre 2013, consid. 3.4, in: StR 69/2014
pagina 202; n. 2C_309/2013 e n. 2C_310/2013 del
18 settembre 2013, consid. 2.2.2, in: StE 2013 B
72.14.2 N 42, StR 69/2014 pagina 222.
[13] DTF 137 II 353 consid. 6.2; 136 II 88 consid. 3.1;
fatto e di diritto richiede una nuova tassazione sugli utili immobiliari per il 2006. La causa è quindi rinviata all’istanza inferiore
affinché pronunci una nuova decisione (articolo 107 capoverso
2 seconda frase LTF).
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.handelszeitung.ch/sites/handelszeitung.ch/files/imagecache/teaser-big/lead_image/bern_2.jpg [05.10.2015]
http://foxtrailwebsite.s3.amazonaws.com/img/cities/basel_stadt.jpg
[05.10.2015]
http://www.stadtwohnen.bs.ch/.imaging/stk/basel-stadt/amt-headerwidth/website/stadtwohnen/imageBinary/STADTWOHNEN.BS004.jpg
[05.10.2015]
http://images. zeit .de/2011/13/ch-liestal/ch-liestal-540x30 4.jpg
[05.10.2015]
http://cms.weka.ch/fileadmin/_processed_/csm_interkantonalesteuerausscheidung_4c193f78cc.jpg [05.10.2015]
132 I 175 consid. 2.2; 199 Ib 111 consid. 2c.
[14] DTF 116 II 533 consid. 2a/dd; sentenza TF n.
4A_277/2010 del 2 settembre 2010, consid. 2.2.
[15]
Madörin
Bernhard/Bertschinger
Peter,
Rechnungslegung und Wirtschaftsprüfung, Berna
2009, pagina 49 e seguenti.
[16] Handschin Lukas, Rechnungslegung im
Gesellschaftsrecht, Basilea 2013 Nr. 347; MeierHayoz Arthur/Forstmoser Peter, Schweizerisches
Gesellschaftsrecht, 11. edizione, Berna 2012, N
67 ad § 8; Forstmoser Peter/Meier-Hayoz Arthur/
Nobel Peter, Schweizerisches Aktienrecht, Berna
1996, N 231 ad § 50; Böckli Peter, Schweizer
Aktienrecht, 4. edizione, Zurigo 2009, N 122 ad § 8.
[17] Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/
Meuter Hans Ulrich, Handkommentar zum DBG, 2.
edizione, Berna 2009, N 143 ad Art. 18 LIFD.
[18] Metodo dell’incassato; per l’insieme del
problema cfr. sentenze TF n. 2C_941/2012 e
n. 2C_942/2012 del 9 novembre 2013, consid.
2.5, in: StR 69/2014 pagina 207; sul principio
DTF 105 Ib 238 consid. 4b; 113 Ib 23 consid. 2e;
Oberson Xavier, op. cit., N 12 ad § 7; Reich Markus,
Steuerrecht, 2. edizione, Zurigo 2012, N 51 ad § 10;
Locher Peter, Kommentar zum DBG, I. Teil, Therwil
2001, N 18 ad Art. 16 LIFD (citato DBG); Weidmann
Markus, Einkommensbegriff und Realisation, Diss.,
Zurigo 1996, pagina 195 e seguente.
[19] Sentenza TF n. 2C_115/2010 del 18 giugno
2010 consid. 2.2; n. 2A.250/2006 dell’11 ottobre
2006 consid. 2.1, in: StE 2007 B 21.2 N 24; n.
2A.475/2002 del 31 marzo 2003 consid. 3.1,
in: RDAF 2004 II 38, StE 2003 B 21.2 N 17; n.
2A.67/1997 del 14 ottobre 1998 consid. 5b, in:
RDAF 1999 II 233, StR 54/1999 pagina 196; n.
2P.14/1998 del 3 luglio 1998 consid. 3a, in: RDAF
1998 II 374; n. 2A.56/1991 del 1. novembre 1991
consid. 3b, in: ASA 61 pagina 666, BVR 1992
pagina 196, StE 1992 B 21.2 N 6, StR 47/1992
pagina 584; cfr. Känzig Ernst, Wehrsteuer [Direkte
Bundessteuer], I. Teil, 2. edizione, 1982, N 167 ad
Art. 21 DIFD; Locher Peter, DBG, N 75 ad Art. 18
LIFD.
[20] Cfr. sentenza TF n. 2C_662/2011 del 29 febbraio 2012 consid. 4, in: StE 2012 B 21.1 N 21.
[21] Cfr. comunque la critica della dottrina, da
ultimo Richner Felix/Frei Walter/Kaufmann Stefan/
Meuter Hans Ulrich, Kommentar zum harmonisierten Zürcher Steuergesetz, 3. edizione, Berna 2013,
N 46 e seguente ad § 50 LT-ZH.
[22] Langenegger Markus, N 3 ad Art. 138 LT-BE,
in: Leuch Christoph/Kästli Peter/Langenegger
Markus (a cura di), Praxis-kommentar zum Berner
Steuergesetz, volume 2, Berna 2011.
[23] Sentenza TF n. 2C_689/2010 del 4 aprile 2011
consid. 2.1, in: ASA 80 pagina 361, StE 2011 24.3.1
N 22; DTF 120 Ia 361 consid. 5b; 111 Ia 220 consid.
2d; 92 I 461 consid. 2b.
[24] Cfr. sentenza TF n. 2C_689/2010 del 4 aprile
2011 consid. 2.1; de Vries Reilingh Daniel, op. cit., Nr.
1037; Oertli Mathias/Zigerlig Rainer, op. cit., N 117
ad § 33; Locher Peter, Intercantonale, pagina 119.
[25] Sentenza TF n. 2C_689/2010 del 4 aprile
2011 consid. 2.1, in: ASA 80 pagina 361, StE 2011
24.3.1 N 22; n. 2P.118/1992 del 23 febbraio 1993
consid. 5b, in: ASA 62 pagina 720, StE 1993 45 N 8;
n. P.1683/1984 del 5 dicembre 1985 consid. 4b, in:
ASA 56 pagina 569.
[26] Sentenza TF n. 2C_689/2010 del 4 aprile 2011
consid. 2.1; n. 2P.58/2007 del 5 settembre 2007
consid. 2.2; Zuppinger Ferdinand, Die Besteuerung
des Liegenschaftenhändlers im interkantonalen
Verhältnis, Berna 1971, pagina 30.
[27] Sentenza TF n. 2P.91/1995 del 27 gennaio
1998, consid. 2b.
[28] Sentenza TF n. 2P.90/1995 del 27 gennaio
1998 consid. 2b; n. 2P.91/1995 del 27 gennaio 1998
consid. 2b.
[29] Per l’insieme del problema cfr. sentenza TF n.
2P.118/1992 del 23 febbraio 1993, consid. 5.
[30] Sentenza TF n. 2C_713/2012 del 3 marzo
2013 consid. 3.1; n. 2P.154/2004 del 16 agosto
2005 consid. 3.3, in: RtiD I-2006 pagina 543; per i
criteri determinanti, cfr. in particolare sentenza TF
n. 2C_1273/2012 del 13 giugno 2013 consid. 2.2,
in: StE 2013 B 23.1 N 79.
Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italiano 39
Conti esteri cointestati, inosservanza dell’obbligo
di compilazione del quadro RW e determinazione
della sanzione
Roberto Franzè
Professore aggregato di diritto
tributario nell’Università
della Valle d’Aosta
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze 18 maggio 2015
n. 592/6/15
Sono sempre più frequenti i pronunciamenti giurisprudenziali vertenti sull’obbligo di compilazione del quadro RW e in
questo solco si colloca anche la recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Firenze che si pronuncia sul
valore al quale parametrare la sanzione applicabile, nel caso di
mancata indicazione – in quadro RW – di attività finanziarie
estere cointestate con il coniuge e delle quali la contribuente
aveva la piena disponibilità.
Interpretando – si ritiene in modo corretto – le disposizioni di
cui al Decreto Legge (D.L.) n. 167/1990, la Commissione tributaria provinciale di Firenze conferma la correttezza dell’operato
dell’Agenzia dell’Entrate che aveva comminato sanzioni – per la
mancata compilazione del quadro RW – parametrate all’intero
importo delle attività finanziarie detenute all’estero, ancorché
le stesse fossero cointestate a più soggetti, avendo riscontrato che la contribuente aveva la piena disponibilità delle attività
finanziarie medesime.
beni stessi ma anche a quanti ne abbiano, in concreto, la
disponibilità. È questa, peraltro, l’interpretazione sposata, successivamente agli arresti giurisprudenziali citati, dall’Agenzia
delle Entrate nella Circolare n. 45 (§ 1) del 13 settembre 2010
e ribadite nella Circolare n. 38 del 23 dicembre 2013.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze non era, invece, stata chiamata a pronunciarsi sul soggetto destinatario
degli obblighi di dichiarazione e di pagamento delle imposte
reddituali (Imposta sul reddito delle persone fisiche, IRPEF) e
patrimoniali (Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero, IVAFE) scaturenti dalla detenzione di quelle
attività finanziarie estere.
Appare, a tal proposito, utile rammentare che, in caso di
attività (finanziarie o patrimoniali) cointestate, l’obbligo di
dichiarazione e pagamento delle imposte reddituali e patrimoniali sulle attività detenute all’estero incombe su ciascun
soggetto cointestatario delle predette attività per la parte a
ciascuno riferibile.
Per maggiori informazioni:
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, 18 maggio 2015, sentenza
n. 592/6/15
Elenco delle fonti fotografiche:
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estero.png [05.10.2015]
La Commissione tributaria provinciale di Firenze fa, quindi, propria l’interpretazione scaturente da quegli arresti della
Suprema Corte di Cassazione (sentenze n. 9320 dell’11 giugno 2003 e n. 17051 del 21 luglio 2010), nei quali il Supremo
Collegio, in ragione di un’interpretazione teleologica delle
disposizioni normative, ha riferito l’obbligo della compilazione del quadro RW non solo al soggetto titolare effettivo dei
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□ Il ruolo della piazza finanziaria svizzera
nell'era post voluntary disclosure
5 novembre 2015, Lugano
delle imprese
19 novembre 2015, Manno
□ Novità legislative in ambito fiscale
3 dicembre 2015, Cadempino