testimonianza di “Bruno” Brunetti

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INCONTRO TRA GENERAZIONI
Pagine di Storia attraverso le parole del Comandante partigiano "BRUNO" Presidente
dell'A.N.P.I. sez. di Saronno
(Incontro avvenuto con gli studenti della 5^ B Igea
il 29 gennaio 2001 )
"Vi presento questo "giovanotto" di
ottantaquattro anni, lo ringrazio innanzitutto
d’essere con noi, perché oggi ci farà una lezione
particolare di storia. Comandante partigiano,
nome di battaglia "Bruno", anche tu sei stato in
Russia. Partirei da lì per far comprendere
meglio agli studenti il percorso che hai compiuto
prima di diventare partigiano"
Sul fronte russo gli italiani hanno partecipato anche
loro, mandando 10 divisioni. Era il prezzo che
Mussolini doveva pagare per avere anche lui alla fine della guerra la sua fetta di torta. Era il 1942,
in quel periodo era in corso la battaglia di Stalingrado. I tedeschi, contrariamente a tutte le norme
militari, mentre avanzano su Mosca, invece di concentrarvi le forze, inviarono delle truppe su
Stalingrado, perché andare a Stalingrado significava andare nel Caucaso e occupare i pozzi di
petrolio.
Noi eravamo presenti anche con un corpo d'armata alpino destinato a combattere sul Caucaso e ci
schierammo sul Don. Su un fronte di 200 chilometri c'erano queste dieci divisioni italiane senza
carri armati. Mentre i Russi si erano trincerati a Leningrado e a Mosca, combattevano a Stalingrado
e nel frattempo prepararono un'armata che attaccò proprio sul fronte dove erano schierati gli italiani.
"Ritorniamo a quella giornata trascorsa in combattimento fino al pomeriggio dopo l'attacco
russo"
I Russi attaccano proprio a Verhnijmamon dove
c'erano delle divisioni italiane, a sud c'erano altre tre
divisioni italiane con bersaglieri e cavalieri, a nord
c'erano gli alpini. Loro attaccano proprio nel settore
centrale circondando gli alpini . La mattina del 19
dicembre 1942 ho visto arrivare a Kantarnirowka,
dove ero schierato con la mia batteria i primi carri
armati russi. Noi avevamo dei moderni cannoni
contraerei e con i nostri tiri abbiamo ritardato la loro
avanzata per l’intera giornata. Alla sera, siamo
riusciti a sganciarci ed a iniziare il tragico
ripiegamento.
"Adesso facciamo un piccolo flashback,
raccontaci degli anni della tua formazione durante il fascismo, dell’esperienza con la guerra, e
cosa ha prodotto in te il grande cambiamento"
Io sono nato in Umbria, figlio di contadini, ho frequentato lì le scuole fino il liceo. A scuola ci
esaltavano l'impero romano; tra Sparta ed Atene noi facevamo il tifo per Sparta, perché gli Spartani
erano gente sana, robusta, sportiva. Poi ho frequentato l'Accademia militare a Padova. Quindi sono
partito per la guerra come fascista. Noi tutti siamo partiti per l’impresa di Russia convinti di
effettuare un'opera di civilizzazione latino-cristiana, perché i Russi erano dei senza Dio. In un primo
momento avevo l'entusiasmo di tutti i giovani: la guerra, l’ impresa, poi venne l'impatto con la
guerra, i disagi: dormire sempre sotto una tenda per terra e quando ci andava bene, ci davano sette
chili di paglia a testa, così invece di dormire per terra direttamente, dormivi sulla paglia. L'impatto
più drammatico quando incominci a vedere la gente che muore intorno a te, incominci a vedere i
tuoi compagni che muoiono, incominci a vedere che tu devi uccidere delle persone che a te non
hanno fatto niente. Fu questa la mia prima constatazione sulla guerra per la quale ero stato
addestrato: la sua inutilità. La guerra è un non senso! la guerra non ha senso, perché non ha senso
distruggere le città, distruggere i ponti, distruggere le chiese, ammazzare la gente, per fare che cosa?
I ragazzi morti in guerra non risorgono più.
La seconda cosa che mi indusse a cambiare, fu capire che noi stavamo combattendo non per il
nostro paese, ma per il grande Reich, per il nazismo, perché trionfasse il nazismo, perché trionfasse
quella liturgia mostruosa secondo la quale gli ariani erano una razza privilegiata e gli altri dovevano
scomparire, gli ebrei in primo luogo, poi gli slavi, ma anche gli italiani erano considerati gente di
seconda classe. Quindi anche se noi avessimo vinto, saremmo stati degli schiavi.
Ma l’episodio determinante fu quando ho visto uccidere un ebreo che stava lavorando e non aveva
più forze da un ufficiale tedesco. Lui secondo quella sua logica, tremenda, e senza scrupoli,
pensava: - Perché devo dare da mangiare a lui che non è più buono per lavorare, quando il mio
bambino forse ha bisogno di mangiare? Tu non sei più buono per lavorare: Kaputt. Domani faccio
venire altri venti ebrei buoni per lavorare e quando non saranno più buoni, ne farò venire altri venti,
ma io non dò da mangiare a uno che non è buono per lavorare -.
Ecco questo è un episodio a cui ho assistito. Tutti questi episodi messi insieme hanno determinato
in me la trasformazione.
"E l’episodio di Leopoli e quello del soldato nel cespuglio, quanto hanno inciso?"
Arrivammo a Leopoli, città a sud della Polonia, la prima sera di trasferimento alle otto.Ci
fermammo in una grande piazza, a un certo momento la sentinella arrivò correndo e mi disse:
‘Signor tenente, signor tenente i Tedeschi ci vogliono sparare!', - 'Ma come ci vogliono sparare?!.
Siamo alleati, perché ci vogliono sparare?', Allora andiamo e vediamo che un lato di questa piazza
era circondata da reticolati e dentro era un ghetto degli ebrei, dietro questo reticolato c'erano dei
bambini. Avevano visto delle facce nuove, iniziano a parlare con i soldati italiani, e fecero capire a
gesti che avevano fame. Noi eravamo partiti il giorno prima, eravamo pieni di ogni bendiddio. Il
giorno della partenza le nonne, le zie, le mamme, le sorelle ci avevano riempito di torte, di
formaggi, e di tante cose buone. 'Diamogli qualche cosa da mangiare' . I bambini erano tutti felici.
Ad un certo momento un tedesco ci urla: 'Andate via! Andate via! Lasciate stare! E' proibito! Sapete
chi sono quelli?! Sono degli ebrei e gli ebrei devono scomparire tutti dalla faccia della terra!!!
Andate via se no vi sparo!'.
Pensate voi, che siete giovani, cosa può aver immaginato un ragazzo di vent'anni, che ha lasciato a
casa i fratellini, che si sente dire 'Ti sparo se dai un pezzo di pane ad un bambino'. C'era qualcosa
che non andava.
L’altro episodio si riferisce a quando eravamo in piena avanzata, terrorizzati perché c’erano
partigiani da tutte le parti e ci dicevano tra terribili cose: 'Non entrate mai nelle case disabitate
perché sono minate, non bevete l'acqua dei pozzi, e soprattutto, state lontano dai boschi, perché nei
boschi ci sono i partigiani e se vi prendono ve ne fanno di tutti i colori'.
Alle quattro del mattino una sentinella mi dice: 'Signor tenente io ho visto dei movimenti dietro
quel cespuglio'. Allora andiamo a vedere: non c'era niente. Cerca, cerca alla fine troviamo il
cadavere di un giovane. Lì c'era stata una battaglia quindici giorni prima a non avevano fatto in
tempo a seppellirlo. Avrà avuto circa vent'anni disfatto nella bellezza dei suoi ventenni. Deturpato
dalla morte nelle sue fattezze, nel suo corpo, e gli abbiamo fatto il funerale, gli abbiamo messo
addirittura una croce e dei fiori. Quella mattina nessuno ha detto più niente, perché noi della morte
avevamo un concetto diverso. Ricordo da piccolino quando mio nonno morì e quando morirò devo
essere posto nella bara, con il mio fazzoletto rosso intorno al collo! Ma quel ragazzo di vent'anni
morto in quella maniera!
L'ideologia scompare quando non puoi dare da mangiare un bambino, quando vedi quel povero
ebreo, che non aveva quarant'anni, che non ce la faceva a sollevare sassi e vedi quel tedesco che l'
ha ammazzato perché non era più buono per lavorare. Ecco che questi tre episodi messi assieme, i
partigiani che vedevamo impiccati, hanno maturato una totale e assoluta repulsione verso la guerra
e alimentato un odio verso il nazismo, verso il fascismo perché il fascismo complice. Ecco il motivo
per cui quando sono tornato in Italia non ero più fascista!
"Tu rientri in Italia nel marzo del '43 e dove vai? "
Riprendo servizio a Padova, mi iscrivo all'Università. Ormai ero stufo di fare il militare e prendo
contatto con alcuni elementi antifascisti. Viene l'8 settembre, incomincio la Resistenza. La in
comincio a Padova. Perché ho fatto quella scelta? Prima cosa è per odio unito al terrore di capitare
sotto il nazismo, perché il nazismo non poteva, non doveva vincere.
"Il 25 luglio cade il fascismo: quante divisioni c'erano in Italia ?"
Il 25 luglio nella riunione del Gran Consiglio Mussolini viene destituito dagli stessi fascisti che gli
dicono: 'Mussolini stiamo perdendo la guerra, tu non puoi fare che una cosa dai le dimissioni, vai
dal Re, nella speranza che il Re tratti una pace accettabile'. Mussolini va dal Re che lo fa arrestare.
Mussolini aveva le guardie del corpo, 'I moschettieri del Duce'. Vicino a Roma c'era una divisione
tutta fascista coi carri armati che invece della stellette avevano la M rossa , ma nessuno si mosse. Il
26 mattina in Italia non c'era più un fascista.
"Inizia il periodo badogliano, come si comportò Badoglio contro gli scioperanti, perché ci
furono tentativi di insurrezione popolare, vero?"
Quando cadde il fascismo in Italia c'erano solo sette divisioni tedesche, gli operai, i soldati volevano
ribellarsi e farla finita con i tedeschi ma Badoglio disse: 'Niente da fare la guerra continua'. A
Reggio Emilia pensate ci furono gli operai che avevano scioperato i bersaglieri di Badoglio li
attaccarono sparando, perché la guerra doveva continuare.
"Badoglio è dunque una figura discutibile?"
Sì, è una figura ambigua. Dopo l'8 settembre le divisioni tedesche in Italia erano diventate 17: in
poche ore disarmarono gli italiani, tanto che i soldati avevano tre alternative: la scelta di andare coi
partigiani, di andare con i tedeschi o di scappare .
"Come è stato l'8 settembre per te?"
E' stata una cosa analoga. Sono andato a dormire da un prete che conoscevo, ma la massa di soldati
italiani è stata presa, messa nei vagoni e portata in Germania. A Cefalonia dove un'intera divisione
non ha voluto arrendersi ai tedeschi sono stati ammazzati tutti.Circa 5.100 soldati italiani.
"Cefalonia è un bellissimo episodio di attaccamento all'ideale militare senza volersi arrendersi
al nemico, non si voleva diventare dei collaborazionisti ..."
In Germania sono stati internati nei campi di concentramento più di 640mila italiani, e di questi ne
sono tornati in Italia solo 40.000 arruolati nella Repubblica Sociale, da cui molti disertarono.
"Arriviamo a quando ad un certo punto nell'ottobre mediti di
prendere contatti con un certo ufficiale di Verona"
Questo ufficiale l'avevo conosciuto in Germania, dove ero andato a fare
un corso di artiglieria contraerea tornato dalla Russia. Al circolo
ufficiale di questa scuola, c'era una mappa del grande Reich che
comprendeva l'Alsazia, la Lorena eccetera e comprendeva anche tutta
la parte dell’Italia che faceva parte del regno Lombardo-Veneto,
considerato parte integrante del Terzo Reich, il quale aveva già annesso
Trento, Bolzano, Belluno, Gorizia, Trieste e Udine.
"Ma raccontaci la tua storia".
Dunque avevo preso contatti con questo ufficiale di Verona, il quale
aveva già dei contatti con degli antifascisti, nel modo che l'8 settembre
io ero già contatto con queste persone che erano dell'università.
"Allora diciamo che la decisione avviene nell'ambiente universitario?".
La mia, sì.
"E dove ti rechi in prima battuta?".
Rimango nel padovano, in una casa in campagna e organizzo le prime formazioni.
"Cioè delle formazioni armate ?".
Ma no, non erano proprio delle formazioni armate, si incominciava ad unirsi e a cercare delle armi,
nonchè ad prendere contatti.
"La tua partenza in montagna risale al 4 di dicembre?".
Esatto, perché la prima formazione partigiana nel Bellunese voleva liberare un partigiano preso dai
carabinieri, ma non essendoci riusciti, erano rimasti sette o otto persone, avevano bisogno di
supporto, così sono andato insieme ad altri e abbiamo
ripreso la lotta. Da quella piccola formazione poi è
venuto fuori un movimento che contava quasi dodicimila
persone.
"La tua brigata di quante persone era composta?"
La mia brigata era costituita da cinque battaglioni. In
montagna eravamo più di mille uomini e in pianura
c'erano novanta donne, novanta staffette. Tutta la
popolazione bellunese era dalla nostra parte, ci voleva
aiutare perché i vecchi ricordavano ciò che era accaduto
durante la prima guerra mondiale, quando arrivarono i
bosniaci e gli ungheresi, che ne fecero di tutti i colori,
razziando ogni bendidio. E poi ci voleva aiutare perchè desiderava che i propri figli avessero un
mondo migliore.
"Ma parliamo delle azioni: qual è la prima azione hai compiuto e della quale sei
particolarmente fiero?"
Nel Veneto c'è una ferrovia che fa Bolzano-Trento-Verona, c'era anche una linea secondaria che
andava da Trento alla Valsugana. Queste ferrovie erano usate dai tedeschi per mandare le truppe in
Italia. Gli americani bombardavano continuamente la linea del Brennero, ma la Valsugana era una
ferrovia incassata nella montagna. Noi riuscimmo a farla saltare in aria. Uno dei segreti della guerra
partigiana è il contatto con la popolazione, parli con la gente. Salta fuori un vecchio minatore che
dice: ‘Guardate vicino c’è un forte della prima guerra mondiale, che si chiamava Tombion, è pieno
di esplosivo perché i tedeschi l’adoperano come deposito per esplosivo’ - ci dice: ‘Voi andate lì,
prendete l’esplosivo, lo mettete sotto la galleria che è proprio di fronte e il gioco è fatto’. Le
informazioni precise ce le avevano date due ragazze. Erano partite in bicicletta, messo nel cestino
del burro, in modo che se le fermavano avrebbero detto che stavano andando a Mestre per cambiare
il burro con il sale (perché in quel periodo non c’era il sale e si andava a Mestre per scambiarlo con
il sale). Quando si sono avvicinate a questo forte c'erano degli uomini di guardia fuori e hanno fatto
un po’ la commedia, hanno chiesto se potevano avere un bicchiere d'acqua, hanno iniziato a parlare,
per farla breve alla fine sapevano tutto, fornendoci le informazioni di cui avevamo bisogno. Alla
sera ci siamo andati sul posto: sapevamo che c'erano due uomini di guardia che andavano avanti
indietro, li abbiamo aspettati, hanno fatto dietro front, abbiamo sparato un po’ per aria per
spaventarli e abbiamo detto: ‘ Se voi prendete quell'esplosivo e lo portate sotto galleria e noi vi
lasciamo liberi’. Alcuni in pigiama, altri in mutande eseguono l’ordine come fulmini e trasportano
l’esplosivo lì sotto alla galleria. Noi abbiamo detto: ‘Adesso voi andate via’ , ma tre di quelli
dicono: ‘Noi preferiamo rimanere con voi’- allora continuai- ‘uno di voi mi deve dare una mano,
adesso facciamo saltare la galleria’. Fortunatamente prima di cominciare l'azione un contadino che
era stato minatore in Belgio, ci aveva dato tutte le istruzioni. – Ricordati, un centimetro di miccia
dura un secondo! - Avevo una miccia di 10 metri, li metto tutti e 10, così almeno sono sicuro di
avere un quarto d'ora. - Ricordati, bisogna prendere il detonatore schiacciarlo con i denti -. Ora
bisognava dargli fuoco. Per fortuna che quel contadino ci aveva dato perfino una scatola di
fiammiferi controvento! Così abbiamo acceso la miccia. Per un momento stavo per saltare per aria
anch'io, a furia di controllare. C'è stato un gran boato. E’ stata la più grande azione compiuta in
Europa, perché erano state fatte saltare ben 23 quintali di esplosivo! Ne sarebbero bastati molto
meno! Questa fu la più grande azione di sabotaggio.
"Senti, quanti mesi hai trascorso in montagna?".
Dal 4 dicembre 1943 fino al 2 maggio 1945.
"Senza l'aiuto dei civili i partigiani erano tagliati un po' fuori, vero ?".
Sicuramente. I feriti venivano curati dalle donne, nascosti dalle donne. C’è un episodio che racconto
sempre, di una donna la quale aveva una specie di cantina dove teneva il vino al fresco e ha tenuto
per tre mesi un partigiano. Sopra l'ingresso aveva delle reti da letto e su quelle reti buttava del
letame e sopra ci metteva una mucca quando i
ragazzini l’avvisavano che stavano per arrivare
tedeschi. In questo modo il partigiano si è salvato.
Però se se ne accorgevano la prima cosa che
avrebbero fatto sarebbe stata di bruciarle la casa.
"A proposito di bruciare, ci furono delle
rappresaglie?"
Una volta i tedeschi hanno tentato di attaccarci sono arrivati nella strada, ma non ci sono riusciti e al
ritorno hanno bruciato il primo villaggio che hanno trovato.
"Quali erano i vostri contatti con il Comitato Nazionale di Liberazione? "
Il CNL rappresentava un elemento molto importante di unificazione per tutte le forze: diverse erano
le posizioni a seconda dei vari orientamenti politici.
"Che atteggiamento avevano le forze anglo-americane nei confronti dei partigiani?"
Gli Inglesi erano sospettosi nei nostri confronti, perché erano filo-monarchici, loro facevano di tutto
perché rimanesse la monarchia in Italia e non tolleravano che potesse esserci un radicale
cambiamento di regime. Siccome alcuni partigiani volevano un mondo diverso, non davano loro le
armi. Gli Americani invece pensavano soprattutto di ottenere rapidi risultati con l’aiuto dei
partigiani.
"Ci sono stati episodi di spiate, per cui qualche azione non è andata a buon fine?"
Da che mondo è mondo c'è sempre stato un traditore, in Europa tutta, noi avevamo la Repubblica
Sociale, in Francia c’è stato il governo di Petain, ci sono sempre stati dei collaborazionisti. Anche
tra i partigiani c'erano spie.La spia era il pericolo peggiore. Una volta in una casa di un contadino,
luogo di ritrovo dei partigiani, dato che doveva effettuarsi una riunione, e la cosa andava per le
lunghe, decisi di andarmene. Dopo un quarto d'ora la casa era
circondata: sapevano che io ero lì. Una spia li aveva accompagnati lì
per catturarmi.
"Il tradimento veniva pagato?"
Facevano la segnalazione e i tedeschi pagavano, pagavano,
pagavano, eccome!
"Ti ricordi del tuo 25 aprile?"
Il 25 aprile combattevo sul fronte. Noi avevamo attaccato una caserma dove c'erano delle SS e
quelle non si volevano arrendere allora abbiamo trattato.
Per concludere, vorrei raccontarvi un episodio brutto e uno bello. Il primo: cosa si prova ad
uccidere un tedesco. Una volta dopo un’azione stavamo rientrando in montagna, perchè di giorno
dormivamo e di notte bisognava stare attenti ai tedeschi. Erano ormai le cinque di sera, ci fanno:
‘Sveglia, sveglia, si sentono dei rumori lontano’ ...ci stavano circondando, erano le famose spie.
O scappavamo o stavamo lì. Siamo scappati. Arrivati al ponte, ad un certo momento guardiamo un
po’avanti: il sentiero faceva una curva, andiamo avanti e sentiamo: 'Alt!' Erano i tedeschi, ci
troviamo di fronte io e un tedesco. Io avevo il mitra e pochi compagni, invece dietro di lui ce
n'erano undici. Però io avevo un vantaggio: avevo il mitra pronto a sparare, lui no, così sparo una
raffica di colpi, chiudo gli occhi, e mi accorgo che il tedesco era caduto a terra con una macchia
rossa che si allargava sul petto. Avrei dovuto provare orgoglio perché avevo ucciso un maresciallo
tedesco o sollievo perché sarebbe potuta capitare a me la sua sorte, invece no, cosa ho provato? Non
sono capace di spiegarlo, forse potrei dire un senso di profonda amarezza.
L’altro si riferisce ancora al fronte russo. Camminavamo in colonna nella neve. Una sera cammina,
cammina non si vedeva nessun villaggio: chi aveva i piedi congelati, chi non ce la faceva più,
chiedendoci aiuto; si procedeva facendo prevalere l'istinto di sopravvivenza, abbandonando
purtroppo i più deboli.
Il sole era già tramontato da due ore ed io e due soldati bussiamo ad una porta, si affaccia una
donna, una mamma: entro, e la prima cosa che faccio è di andare verso la stufa, lei mi dice di no,
perché mi avrebbe fatto male. Lei va fuori prende della neve e mi massaggia il viso e le mani e mi
guarisce. Avevo già un congelamento di primo grado. Lei parlava abbastanza bene l'italiano e io le
chiesi: ‘Ma perché l' hai fatto?’ e lei mi rispose : ‘A noi hanno detto che voi italiani non siete venuti
qua di vostra volontà, vi hanno - non dice mandato - vi hanno strappato alle vostre mamme per
morire qua, e ora volete ritornare a casa. Anch’ io ho un fratello che mi hanno strappato e mi
auguro che se mio fratello dovesse trovarsi in difficoltà come voi, vorrei che trovasse qualcuno che
lo aiutasse come io ho aiutato voi'.
Ora cari ragazzi, vorrei farvi due auguri: uno, che possiate sempre sperare in qualche ideale, in
qualche cosa che dia significato alla vostra vita, l’altro è che quando sarete vecchi, non dobbiate più
vedere quella macchia rossa, mai. Arrivederci.
…erano partiti dall'Italia in 229.000, 43.000 circa tornarono feriti o congelati, quasi 80.000 non
sono mai più tornati…nelle ore mentre marciava l'uomo era solo sempre più solo con le sue
sofferenze, il suo freddo inumano, la sua disperazione, le sue lacrima solo, in questa immensa
solitudine ghiacciata…(dal filmato "Italiani sul fronte russo")
* Testo trascritto dall'alunna L. G. e revisionato dal testimone
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