IL CORPO ESIBITO E LA MATERIALITÀ DELLA MUSICA POP MASSIMILIANO STRAMAGLIA AMORE È MUSICA. GLI ADOLESCENTI E IL MONDO DELLO S P E T TA C O L O , S E I , TO R I N O , 2 0 11 LA LOOK-AT-ME GENERATION La «cultura musicale giovanile» nasce «negli anni Cinquanta» (Marco Santoro) con la diffusione della «musica rock», che pone «l’accento sul corpo e sul sesso» proprio come il pop odierno. «Alla fine degli anni Sessanta vi» sono «i primi grandi raduni di massa. Da Woodstock all’isola di Wight, migliaia di giovani si» ritrovano «per affermare la loro differenza, la bellezza di essere giovani, la volontà di restare disimpegnati, di fare di una condizione temporanea una condizione permanente» (Anna Oliverio Ferraris). I «tre giorni di pace, amore e musica» dell’agosto 1969 – ai quali segue, a distanza di pochi giorni, la «risposta inglese» dell’«isola di Wight» (Ernesto Assante-Gino Castaldo) – vedono riunirsi «oltre mezzo milione di giovani» (Franco Ferrarotti) per celebrare, sulle note di artisti stravaganti come Jimi Hendrix, sentimenti di libertà, uguaglianza e fratellanza. La musica e le proprietà disinibitorie a essa correlate costituiscono, oggi, la cifra della cultura giovanile. Il corpo musicato, autorappresentato ed esibito, accompagna il debutto adolescenziale nella moderna società delle immagini, che nasce negli anni Ottanta e si sviluppa fino ai giorni nostri per modulare stili, visioni e sonorità di intere generazioni. SESSUAZIONE E SESSUALITÀ POP-MEDIATE La sessuazione (il sentirsi maschi o femmine) e la sessualità (le pratiche erotiche) sono conquiste sostanzialmente adolescenziali che compongono il sorgere di un’identità definita, della stima di Sé e della crescente mentalizzazione (o ipotesi progettuale) di una generatività adulta. Gli «stimoli fisici e psicoaffettivi sempre meno agevoli da governare» intensificano negli adolescenti «la masturbazione»; l’interessamento per le «dimensioni dei loro membri» induce i ragazzi a compiere «misurazioni reciproche» e le ragazze a rivolgere «l’attenzione al seno» (Norberto Galli). L’atto masturbatorio praticato «nel gruppo di coetanei ha per fine la dimostrazione della propria virilità, e talvolta avvengono vere e proprie gare tra adolescenti» (Gianfrancesco Zuanazzi). La funzione pragmatica, propedeutica alla genitalità adulta, propria della masturbazione maschile, si accompagna a una funzione simbolica di autoaccettazione: la funzionalità del pene corrisponde, in questa fase, a una dilatazione del Sé. «L’eiaculazione, simbolicamente, acquista l’analogo significato di “pro-gettazione”, di un gettare avanti il proprio Sé nel mondo: ovvero riconoscersi ed essere riconosciuto. Amare ed essere amati» (Antonio Puleggio). La sessualità adolescenziale femminile, più complessa di quella maschile, include non solo gli atti masturbatori, ma atteggiamenti amorosi (Leonardo Ancona) tra coetanee. La musica pop è il luogo odierno della rievocazione della sessualità “di mezzo”: testi, musiche, personaggi e videoclip enfatizzano gli elementi ambigui, eccessivi e orgiastici dell’età adolescenziale, proponendo prodotti ad alto contenuto erotico ed erotizzante. LA POPULAR MUSIC Il rock’n’roll nasce in America negli anni Cinquanta, ma le origini storiche del genere musicale ribelle e anticonformista per eccellenza risalgono al 1930, anno in cui la «musica popolare nera» assume la forma documentabile del «rockin’and reelin’», l’oscillare-dondolare caratteristico dei fedeli che accompagnano in coro, con un movimento del corpo ritmico e crescente, le «preghiere e gli inni» del «predicatore», sino a comporre suggestivi «canti di chiesa». Il rock ha origini sacre, e, dagli esordi, coinvolge i “fedeli” (i “fan”) sul piano corporeo: questo spiega il successo della rock music presso gli adolescenti, divisi tra sacro e profano, tra reincarnazione e trascendenza. Se «la sessualità», oggi, «è una componente fondamentale della musica pop», lo si deve al fatto che «tale musica discende dal rock’n’roll e dalla cultura profondamente fisica e corporale degli afroamericani» (Vanni Codeluppi). Ma cos’è la pop music? La definizione che si predilige in questo ambito descrive il pop (nelle sue varianti pop rock, dance pop e pop elettronico) quale genere musicale fruito dalle masse e basato sulla creazione artificiosa di celebrità che comunicano valori sui piani della musica, dell’immagine e, talora, del sesso. Giancarlo Gasperoni riporta il dato per il quale i generi musicali più ascoltati e più amati dai giovanissimi sono «la musica dance/commerciale (73,1%)» e «la musica leggera/pop (64,3%)». Il pop, dunque, è altresì definibile come genere musicale adolescenziale. BAD GIRLS & BAD ROMANCES La pop music degli ultimi decenni è un connubio di sesso e girlpower, manifestazione, quest’ultimo, dell’ideologia post-femminista. Un processo culturale, quello della sessualizzazione al femminile della musica, la cui origine potrebbe collocarsi nel 1975, anno in cui Donna Summer incide il famosissimo brano dance Love To Love You Baby, la cui versione extended mix è un susseguirsi scabroso di sussulti che simulano il piacere femminile. L’erotizzazione esplicita, femminile, della pop music in Italia, è collocabile intorno al 1974, un anno prima dell’uscita di Love To Love You Baby. In quell’anno, infatti, la controversa Loredana Bertè pubblica Streaking, primo album della sua carriera, le cui foto interne con nudo integrale dell’artista (immagini che oggi passerebbero quasi inosservate) destano scalpore al punto da provocarne la censura. Si tratta di un evento sommerso, o piuttosto “italiano”, di contro all’ufficialità del primato di Donna Summer. Solo all’interno di una simile cornice interpretativa è possibile comprendere il grande successo della musica pop tra gli adolescenti, maschi e femmine. La femminilità propagandata dalla pop music e dalla relativa pop culture è eccessiva ed eccedente, erompente e vulcanica, quasi eiaculatoria. Un eccesso sonoro di femminilità che risponde, in termini metaculturali, alle dinamiche bio-psico-fisiche in corso nello sviluppo adolescenziale delle teenager. Una femminilità che ingenera sensi di colpa, perché tradisce l’innocenza del corpo infantile e asessuato, e che necessita, pertanto, di essere “sublimata”. Una femminilità ibrida, non propriamente adulta, ma neppure infantile. Si tratta delle stesse caratteristiche rintracciabili nelle moderne icone pop: bad girls (cattive), bisessuali, androgine, sexy e lolite per definizione. L’istintività dell’adolescente maschio, di converso, individua nella musica pop una fonte di eccitazione totale che gratifica il bisogno di astrazione con quello corporale. Si tratta di personaggi distanti, idealizzati, dunque non minacciosi per l’integrità maschile (soprattutto nella prima fase di esplorazione e di conoscenza del Sé, in cui il rischio di disintegrazione è quanto mai elevato). La relativa e sbandierata androginia delle icone pop, inoltre, rassicura circa gli esiti di tali innamoramenti, proteggendo la componente narcisistica che, propria di qualsiasi forma d’amore, è però in esubero, eccedente, nello specifico della fase adolescenziale. LA MATERIA MUSICALE La diffusione della musica su larga scala avviene dapprima con «i dischi in vinile», poi «con le cassette registrate e i CD» (Diego Miscioscia). Con l’avvento della Grande Rete, la materialità musicale si smaterializza (Gianni Sibilla), e, con essa, le modalità di ascolto della musica, e gli stessi affetti. L’MP3, infatti, rischia di depauperare il brano musicale della sua funzione evocativa. Se la musica contenuta in un CD non viene acquistata solo «per essere consumata» (almeno nell’ambito di codesto contesto interpretativo), «ma per la sua carica» emotiva, trascinante e «simbolica» (Carlo Freccero-Daniela Strumia), e se «ascoltare musica gratuitamente grazie alla Rete» autorizza «una fruizione maggiore», tale ricezione è a ogni modo «più confusa e disattenta», perché «la gratuità permette distacco» (Michele Monina). I nuovi adolescenti, deprivati dei tradizionali supporti musicali (della storia materiale della musica), si riducono all’insignificanza uditiva, a un ascolto smaterializzato, strumentale e accessorio; se la tracklist di un concept album ha senso quanto l’indice di un volume cartaceo, il singolo brano isolato dal contesto è paragonabile al capitolo di un libro avulso dall’intera opera. La futura irrilevanza del pensiero dell’artista (o del team artistico) sarà speculare alla disorganizzazione cognitiva che coinvolge fin da ora le nuove generazioni, incapaci di legare le parti al tutto, di intavolare discorsi coerenti, di tollerare il rigore del pensiero dialettico. GLI STUDI DI ADORNO Secondo Theodor Wiesengrund Adorno, la pop music osserva due mandati: destare «l’attenzione dell’ascoltatore»; rispettare la “naturalità” delle «convenzioni e delle formule musicali a cui è abituato», che derivano dalle «prime esperienze musicali, le filastrocche infantili, gli inni cantati al doposcuola, i motivetti fischiati tornando a casa da scuola». Una canzone di successo, pertanto, è conforme sia a criteri di familiarità che di specificità: vi si ritrovano elementi ricorsivi e strutturali, come elementi sovrastrutturali, che si discostano pure di poco dalla struttura, rendendola “riconoscibile”. Come rinforzo alla struttura del brano, l’uso del «baby talk» corrobora un «linguaggio musicale infantile» che si attualizza nella «ripetizione costante di alcune formule musicali comparabile all’atteggiamento del bambino che fa incessantemente la stessa domanda», o in «alcuni timbri sdolcinatissimi, che funzionano come biscotti e canditi musicali. Trattare gli adulti come bambini è parte di quella rappresentazione del divertimento a cui si punta per alleviare la tensione delle loro responsabilità appunto da adulti». Infine, secondo Adorno, nel pop melodico e sentimentale echeggia il suono consolatorio e contenitivo della voce materna, o «l’immagine della madre che dice: “vieni qui a piangere, bambino mio”». È chiaro che un siffatto genere musicale, così materno e postinfantile, dovesse trovare accoglimento tra gli adolescenti. Adorno, peraltro, scrive in un periodo in cui la musica non si è ancora “fatta immagine”. Oggi che “la musica si vede”, a maggior ragione, la popular music appare come un surrogato sociologico (e intrapsichico) della presenza e dell’amore della madre, illusione che si oppone al lutto per un’adultità incombente, spesso rappresentata dagli stessi adulti quale necessaria perdita del sogno, della magia, dell’incanto.