Recensione Finito Infinito

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Ezio Gamba, Legalità del sentimento puro. L’estetica di Hermann Cohen come modello
di una filosofia della cultura, Mimesis, Milano 2008, p. 352.
Negli ultimi vent’anni la Kant-Forschung ha mostrato in modo inequivocabile
l’importanza dell’estetica kantiana per la fondazione delle scienze delle spirito verso la
fine del XIX secolo. L’ermeneutica filosofica e la filosofia della cultura hanno
enormemente risentito dell’approccio alternativo alla realtà sviluppato da Kant nella
Kritik der Urteilskraft in opposizione o in aggiunta, secondo le varie interpretazioni, al
modello esplicativo delle scienze positive. A una generale rivalutazione dell’estetica
kantiana ha dato un contributo decisivo la corrente del neokantismo e in particolare la
figura di Hermann Cohen. Fra i fondatori della scuola neokantiana di Marburg, Cohen
ha portato un importante, e ancora oggi valido, contributo per la comprensione del ruolo
dell’estetica nel sistema di Kant con il suo libro Kants Begründung der Ästhetik del
1889. Il suo interesse per l’estetica non doveva essere peregrino se nel 1912 si cimentò
anche in una personale interpretazione dell’estetica in Ästhetik des reinen Gefühls. È,
tuttavia, quanto meno singolare che in una scuola neokantiana come quella di Marburg,
solitamente molto impegnata nelle questioni di epistemologia e logica, Cohen si
distingue come un pensatore attento ai problemi di estetica tanto che a questa spettava la
medesima autorità e autonomia della logica e dell’etica. Non è che Wilhelm
Windelband e Paul Natorp, gli altri due grandi esponenti della scuola di Marburg, non
fossero interessati all’estetica, ma non avevano mai comunque concretizzato le loro
riflessioni in opere scritte. L’unico neokantista del periodo impegnato nell’estetica era
Jonas Cohn, la cui opera è purtroppo spesso consegnata ai margini dei manuali di storia
della filosofia.
Per quanto uno voglia cercare nella bibliografia sul neokantismo un’opera che studi
il problema estetico in Cohen si troverà alla fine della sua indagine con pochissime
pubblicazioni e di carattere assai frammentario. Appare così assai lodevole il contributo
storico-filosofico portato da Ezio Gamba, che per primo ha dedicato un intero libro
all’interpretazione dell’estetica di Cohen, soprattutto nel tentativo di comprendere il suo
ruolo paradigmatico per la fondazione della filosofia della cultura.
L’arte nella sua specificità si presenta come un prodotto culturale ben diverso da
quello delle scienze esatte e il suo divenire storico, che non può essere interpretato come
un progresso analogo a quello scientifico, diventa un motivo esemplare al quale
ricondurre tutta l’impostazione della filosofia della cultura. In questo senso l’estetica di
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Cohen non è, come ci si potrebbe aspettare, un’applicazione dei principi e degli
strumenti metodici della filosofia trascendentale neokantiana a un ambito particolare
della cultura, bensì è un’autentica occasione di approfondimento del valore e della
funzione dei principi metodologici della filosofia della cultura. Quindi solamente
soffermandosi sull’estetica di Cohen si può «comprendere autenticamente il significato
del sistema coheniano nel suo avere per oggetto l’unità sistematica della cultura nelle
sue molteplici direzioni» (p. 17).
Alla luce di questa ipotesi di lavoro, Gamba conduce le sue analisi, che sono una
rielaborazione della sua tesi di dottorato, per i sei capitoli che compongono l’intero
libro. Il filo-conduttore dell’indagine proposta da Gamba è l’esame di come l’estetica di
Cohen possa rispondere al problema fondamentale di «rendere ragione della validità di
un fatto non scientifico della cultura senza pretendere di sottoporre tutte le realizzazioni
di questo fatto a un criterio derivante da un fondamento assoluto» (p. 17).
La ricerca è divisa principalmente in tre parti. Una prima parte tratta dei problemi
estetici nel periodo delle ricerche psicologiche coheniane nell’ambito della
Völkerpsychologie
di
Moritz
Lazarus
e
Heyman
Steinthal,
concentrandosi
particolarmente sul problema della creazione artistica come intuizione e sul ruolo delle
espressioni artistiche del mito e della poesia. La seconda parte analizza in particolare il
testo di Cohen del 1889 individuando il ruolo specifico dell’estetica all’interno del
sistema filosofico trascendentale. Non desta stupore, dopo quanto si è detto, il fatto che
Cohen ritenga Kant il vero fondatore dell’estetica, infatti con la sua reflektierende
Urteilskraft aveva spiegato le dinamiche per la comprensione della realtà che uscivano
dalla logica razionalistica legata all’estetica baumgartiana per la quale l’“estetico” era
un concettuale inteso in modo confuso. L’“estetico” diveniva un oggetto del tutto
speciale che non poteva essere per nulla concettualizzato, cioè conosciuto attraverso i
metodi logico-epistemici. Ecco perché Kant è così fondamentale per Cohen nel fondare
una logica morfologica a-concettuale e perché critichi l’impostazione hegeliana che
voleva ridurre l’arte a mera espressione del concetto. La terza parte, dedicata all’analisi
dell’opera del 1912, è senz’altro più approfondita da Gamba, giustificato dal fatto che in
questo testo Cohen propone la sua concezione di estetica. Soprattutto in questa parte, le
indagini si fanno decisamente più penetranti e toccano temi assai importanti come il
valore del bello come idea, la legalità del sentimento puro, il divenire storico dell’arte, il
linguaggio poetico e l’individualità della rappresentazione estetica. In questa terza parte
Gamba dedica anche uno spazio specifico alla trattazione coheniana delle singole arti.
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Le conclusioni di Gamba stabiliscono che l’estetica di Cohen rende ragione
dell’arte come prodotto culturale, ma senza formulare leggi universali valide per tutte le
creazioni artistiche, «perché la creazione artistica si dà di volta in volta le proprie leggi»
(p. 320). Ciò porta alla paradossale conseguenza che nell’arte contemporanea, dove
ogni creazione è senza regole, ogni opera d’arte costituisce un genere artistico a sé.
Tuttavia, il concetto di legalità coheniano non indica soltanto la produzione di leggi
diverse per le diverse opere d’arte, ma indica anche la necessità di un fondamento
universale nella produzione di tali leggi che viene individuato nel sentimento puro. Il
sentimento puro come funzione produttiva pura della coscienza sarebbe l’espressione
dell’opera d’arte sotto forma dell’interpretazione psicologica come amore dell’uomo.
Da queste considerazioni si può dire che Cohen comprende – e non spiega – un fatto
culturale non scientifico senza ingabbiarlo in schemi concettuali predefiniti e senza
rinunciare al pluralismo della cultura nel suo concreto divenire storico.
Il merito del libro di Gamba è sicuramente quello di mostrare che l’estetica di
Cohen si fa ermeneutica del mondo storico e di tutti i suoi prodotti culturali in modo del
tutto analogo a quello sviluppato nei medesimi anni da Wilhelm Dilthey, che però non è
purtroppo preso in considerazione nel volume, ma che Federico Vercellone in
Apparenza e interpretazione aveva mostrato essere il pensatore chiave che sintetizzava
il pensiero estetico kantiano con l’ermeneutica filosofica che avrà come sistematizzatore
finale Hans-Georg Gadamer in Wahrheit und Methode.
Marco Sgarbi, Università di Verona
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