caratteri generali della filosofia ellenistica e - Digilander

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FILOSOFIA DELL’ETA’ ELLENISTICA
(caratteri generali e scetticismo)
Prof. Michele de Pasquale
con la morte di Alessandro Magno e di
Aristotele si chiude un'epoca, quella
detta della Grecia classica, e inizia la
cosiddetta età ellenistica …
finita l'epoca degli antichi "saggi" che esprimevano il potere
del "filosofo" nella società, e finita anche l'epoca dei
liberi cittadini che nel dibattito democratico all'interno
della città trovavano l'ambiente ideale per la libera
discussione e circolazione delle proprie filosofie, lo
sganciamento del filosofo dalla vita pubblica già
teorizzato da Aristotele diviene ormai la sua normale e
naturale condizione
la filosofia si istituzionalizza nella "scuola", con sue
norme e con suoi codici di comportamento,
all'interno della società civile, ben distinta e
separata da questa:
diventa sempre più una scuola che si propone dei
fini di "sopravvivenza" dell'individuo di fronte ad
una società che l'opprime
le scuole filosofiche dell'età ellenistica sono
caratterizzate dall'accento che pongono sulla
"felicità" del singolo, che deve e può essere
raggiunta mediante l'acquisizione di due concetti
cardine che diventano dei veri e propri dogmi:
l'uomo non deve
impegnarsi nella
vita politica
l’idea di necessità
viene trasportata nel
campo della società
umana
l'uomo non deve impegnarsi nella vita politica,
che è diventata ormai campo esclusivo
dell'attività del monarca e dei suoi
funzionari, e solo grazie a questa rinuncia
egli può riuscire a riconquistarsi uno spazio
assolutamente privato ed indipendente dalla
vita pubblica, nei cui confini soltanto può
realizzare autenticamente se stesso e
raggiungere così uno stato di tranquillità e di
"libertà" interiore
l'idea di necessità, che era stata una categoria di
interpretazione scientifica della realtà naturale viene
trasportata nel campo della società umana
una volta assimilato l'ordine sociale all'ordine naturale,
diviene inutile e superfluo, anzi dannoso, impiantare
ricerche e discussioni sulle istituzioni della società
umana, che sono dotate di quella stessa necessità
propria dell'ordine sociale
all'uomo non resta che adeguarsi a questa legge
universale, a questo logos che governa la realtà
naturale come quella politica, perché solo in questo
suo adeguamento egli potrà trovare le condizioni di
una sua vita ordinata e tranquilla se non felice
il ruolo che assume la filosofia
consolatrice:
autonoma:
si tende a privilegiare gli
aspetti etici e morali
piuttosto che quelli
conoscitivi e scientifici di
una dottrina, la quale aveva
tanto più valore quanto
meglio delle altre era in
grado di dettare norme di
vita e di comportamento
adatte allo scopo
la filosofia tende a costituirsi
in maniera sempre più
autonoma rispetto alle altre
scienze, nel senso di un suo
progressivo distacco dalle
scienze della natura; è in età
ellenistica che inizia quel
processo di separazione del
sapere filosofico dal sapere
scientifico
tre furono le scuole filosofiche nuove fondate sul
finire del IV secolo e perciò dette " postaristoteliche ":
lo scetticismo, l'epicureismo, lo stoicismo
esse convissero con l'Accademia e il Liceo, che
continuavano, sia pure con caratteristiche che
non erano più le stesse del periodo della loro
fondazione, la loro attività
un tratto comune delle nuove scuole fu il loro rifiuto
dell'aristotelismo ed il richiamarsi ad alcuni
motivi o ad alcune tesi delle filosofie
presocratiche
lo scetticismo di Pirrone intende valorizzare innanzitutto un
atteggiamento critico (da cui deriva lo stesso termine scetticismo, da
skèptomai = mi guardo intorno, indago, osservo, o da skèpsis =
dubbio, coscienza critica) nei confronti del problema della
conoscenza, e in particolare rispetto al rapporto sensazioneriflessione:
come è possibile passare dalle sensazioni (così varie e
particolari e sempre legate alla soggettività) attraverso il
linguaggio (così pieno di insidie e di ambiguità) ad una
verità che abbia le caratteristiche dell'universalità?
un sapere vero è irraggiungibile:
chi afferma di poter giungere alla verità non è che un
dommatico
“ Gli Scettici si dedicarono in profondità al capovolgimento di tutte le dottrine dommatiche
dei vari indirizzi filosofici, senza fare essi stessi alcuna dichiarazione di stampo
dommatico, fino al punto di profferire soltanto i dommi degli altri e di discutere senza
dare alcuna definizione.” (Diogene Laerzio IX,74)
se la verità non è che dogma, e se tutte le opinioni si
equivalgono, l'unico atteggiamento saggio sarà quello
dell'epochè, della "sospensione del giudizio":
non definire nulla, avere coscienza che ad ogni
argomentazione si oppone un'altra argomentazione,
significa adottare contro la logica dell'«è» la logica del "non
più“
ogni cosa ed ogni concetto esistono "non più" di altri, ed anzi
una singola cosa ed un singolo concetto "non più esistono
che non esistano":
“ Pertanto questa locuzione, come dice Timone, intende significare "il non
definire nulla e il non ammettere opinione alcuna". Anche l'espressione
"ad ogni argomentazione si oppone un'argomentazione" contiene
implicitamente la sospensione del giudizio [epochè]: infatti alla
discordanza delle cose reali ed all'equipollenza delle argomentazioni
consegue l'ignoranza della verità.” (Diog. Laer. IX,76)
l'epochè e la logica del "non più" stanno ad indicare la perdita di ogni
criterio valido per il raggiungimento della verità, e quindi di ogni sistema
di riferimento valido in sé, e cioè di una "natura" oggettivamente data:
non esiste nulla "per natura", né c'è un rapporto tra le cose come sono "per natura"
e come "appaiono", perché le cose si limitano solo ad apparire, ed è questo
apparire soltanto la vera natura delle cose
la perdita del criterio significa per gli Scettici non solo l'afasia, cioè il non
parlare, il non pronunciarsi sulle cose, ma soprattutto la conquista di
quella atarassia, cioè imperturbabilità e tranquillità "di fronte" al mondo
delle cose, che costituiscono appunto il fine e forse la felicità dell'uomo
veramente saggio
“ Timone afferma che chi aspira alla felicità deve tendere a queste tre cose: in primo luogo a rendersi
conto della natura delle cose, in secondo luogo ad assumere un adeguato comportamento nei
confronti di queste, e, infine, a capire cosa accadrà a quelli che così abbiano agito. Aristotele
osserva che, per quanto concerne le cose, Timone le dichiarava tutte quanti indifferenti, instabili e
non-giudicabili e aggiungeva, perciò, che né i nostri sensi né le nostre opinioni sono nel vero o nel
falso. Per questo motivo, allora, non si deve prestar fede né ai sensi né alle opinioni, ma
dobbiamo essere privi di opinione, non essere inclini a nessuna soluzione e non lasciarci scuotere
da nulla, ma dobbiano dire, a proposito di ogni cosa particolare, che essa esiste "non più" che non
esista, oppure che essa "è e non è" e non semplicemente che essa non è. E Timone sostiene che
a quanti si trovano in questa disposizione d'animo consegne anzitutto l'afasia e, in secondo luogo,
l'imperturbabilità.” (Aristocle in Eusebio, P.E. 758 d)
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