La filosofia come terapia Mappa dell`Unità A furia di voler fare della

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La filosofia come terapia
Mappa dell'Unità
A furia di voler fare della filosofia un Pharmakon, ecco che sulla scena giunge un medico vero, Sesto Empirico, un tardo
ellenista contemporaneo di Plotino, di cui parleremo nel prossimo incontro. Oserei dire che siamo ormai giunti, con
questo campione di scetticismo, alla decadenza della filosofia classica. Lo contraddistinguono infatti un’assoluta sfiducia
nella ragione ovvero nelle ragioni della conoscenza. A furia di voler conoscere, egli sostiene, i filosofi si sono ridotti ad
essere i più infelici tra gli uomini. Egli giunge alla fine del dibattito: di fronte a sé ha i cocci di una tradizione speculativa
che si è corrotta in pura competizione tra scuole e dottrine, nessuna delle quali ha dimostrato di avere più forza delle
altre. Quello che il filosofo deve fare è non rincorrere più false speranze. Il bene e il male sono inconoscibili, e questo
sia sul piano dei fatti – ciò che per un uomo è male, per molti altri può risultare un bene, e viceversa -, sia su quello delle
teorie, poiché, come si diceva, la pacata conversazione iniziata da Socrate è degenerata in una rissa indecifrabile, dalla
quale non emerge nessuna chiarezza e nessuna verità. Ricostruendo l’insegnamento di Pirrone, a cui egli fa risalire il
proprio pensiero, Sesto scrive:
Timone afferma che colui che vuole essere felice deve guardare a queste tre cose: in primo luogo, come sono per
natura le cose; in secondo luogo, quale deve essere la nostra disposizione verso di esse; infine, che cosa ce ne verrà,
comportandoci così. Egli dice che Pirrone mostra che le cose sono egualmente senza differenze, senza stabilità,
indiscriminate; perciò né le nostre sensazioni né le nostre opinioni sono vere o false. Non bisogna quindi dar loro fiducia,
ma essere senza opinioni, senza inclinazioni, senza scosse, su ogni cosa dicendo: “è non più che non è”, oppure “è e
non è”, oppure “né è, né non è”. A coloro che si troveranno in questa disposizione, Timone dice che deriverà per prima
cosa l’afasia, poi l’imperturbabilità”. [in: De Luise, Farinetti, Storia della felicità, Torino Einaudi, 2001, pag. 144]
“Come sono per natura le cose…”: oggi diciamo “guardare in faccia la realtà”. È il mantra del disincanto, dell’uscita
amara dall’età delle illusioni della ragione. Una considerazione non certo geniale, ma che diventa determinante per la
storia del pensiero nel momento in cui è in bocca ad un filosofo. Perché? Perché questo enunciato certifica l’impotenza
del pensiero, e non è solo un atteggiamento. Perché, detto nella logica di un discorrere filosofico, ne mina alle
fondamenta il sistema complessivo, come la scoperta delle Lune di Giove nel sistema tolemaico adottato dalla Chiesa di
Roma.
“Quale deve essere la nostra disposizione verso di esse…”: ecco un’altra svolta copernicana per il pensiero filosofico.
Da Parmenide (ed Eraclito) in poi, il pensiero è Logos, atteggiamento deterministicamente proiettato verso una presa di
controllo sulla realtà. Il pensare aveva un fine: la verità, da Socrate in poi identificata con la felicità (il vero è il bene).
Tutta la fatica del pensare era orientata come una strategia razionale tesa alla costruzione di una vita degna di essere
vissuta. Ma questo, alla luce dei disastri morali di una “filosofia per bande”, di un logos privo di saggezza pratica,
nell’assenza di maestri degni di questo nome, non regge più. Nel III secolo della nostra era la filosofia ha perso il
contatto con la vita. Pensiamoci: in fondo, essa era nata come espressione di una cultura di élite, prima classista (il
logos del saggio contro l’opinione del volgo), poi politica (l’identità della Polis che ha nel dialogo socratico il proprio
veicolo di costruzione). Ma che cosa può ancora fare il filosofo in un mondo senza confini e senza conflitti, come quello
globalizzato da Roma? Il bisogno di verità sorge dal confronto. Di fronte all’uguale tutto si scolora in un anonimato senza
dinamismo. Il globalismo romano non è stato semplicemente un’opera di civilizzazione (anzi… Graecia capta foerum
victorem coepit!), ma una pacificazione sedativa delle diversità che avevano fatto la grandezza dell’area mediterranea
fino alla conquista della Grecia. Il pensiero si nutre di polemos, che non è necessariamente guerra. I filosofi di età
imperiale non hanno nulla su cui incidere il loro pensiero, se non il circolo vizioso delle proprie diatribe intestine, che
servono tutt’al più ad accaparrarsi una clientela di ascoltatori a pagamento. Ogni “posizione” è una sorta di “logo” cucito
su un prodotto di serie chiamato “filosofia”. È contro questa décadence che si scaglia Sesto Empirico, è questo il
significato profondo dello scetticismo. Siamo nell’ottica di un pensare che mira a sgombrare le macerie che gli tolgono la
visuale sul mondo della vita. Il caterpillar è l’epoché, una sospensione del giudizio attraverso la quale il saggio prende le
distanze dalle diverse posizioni – una vale l’altra -, in favore di un criterio più pragmatico e decisamente più saggio, di
una saggezza più corrente, da uomo comune: scegliere, tra le diverse ragioni in campo, quella che appare in quel
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momento preferibile e desiderabile.
Sesto Empirico - A cura di Roberto Salvadori
Piccolo popolo – Comunque questo scetticismo mi sembra qualcosa di vivo. Come una presa di coscienza. Una specie
di filosofia della vita, o di filosofia pratica.
- Ma quale vita? Non è mica chiaro, sai?! D’accordo che le battaglie intellettuali delle epoche globalizzate non valgono
granché, ma questa epoché, questo distacco è davvero poco “simpatico”; voglio dire: poco empatico, poco vibrante.
Non mi pare così vitale.
Ermetis – Il silenzio, il distacco dello scettico vero, è solo nei confronti delle cose predilette dai filosofi. È
l’imperturbabilità verso le dispute accademiche, o i parapiglia da salotto letterario. Un prendere le distanze da un
ambiente di cui si è scoperta l'inutilità. Quando la ricerca della verità diventa passione per la propria verità, lo scettico
tace. Egli si accosta invece alle ragioni degli altri, alle opinioni condivise, alla cultura di appartenenza: purga la filosofia
dagli eccessi di una razionalità troppo sicura di sé, tanto sicura da non avere più orecchio per la vita.
Piccolo popolo – Ma ancora una volta: è filosofia, lo scetticismo?
-Io ho un’ipotesi da fare. Voglio dire questo: immaginiamo che il mondo sia diviso in due sfere, da un lato la realtà, col
suo peso, dall’altra il pensiero, con la sua leggerezza. Prima dicevamo: l’agire e il riflettere. La realtà è la parte
sofferente, lacerata da conflitti, tormentata nella carne dal dolore e dalla malattia. Il pensiero è il balsamo, la medicina, il
conforto. Credo che la filosofia sia questo. E allora ad ogni epoca, coi suoi dolori e le sue piaghe, corrisponde una
medicina diversa, un pharmakon specifico, che sappia placare le lacerazioni del proprio tempo. Una parola adatta per gli
uomini del suo tempo.
-Una visione un po’ “latte & miele”...
-La leggerezza del pensiero, poi...
Ermetis – Sono metafore, ma hanno una loro verità. Non mi è mai capitato di leggere come si deve un filosofo, senza
rimanerne avvolto, per l’armonia dei pensieri, per la semplicità con cui la grandezza si disvela. È quando anche ciò che
è smisurato si fa toccante. In fondo, sapete, nessun pensiero è decisivo per la vita in sé, ma ogni pagina di autentico
pensiero dà una ragione nuova per essere felici di esserci, lì, in quel momento. E questo si addice bene al prosieguo
della nostra conversazione...
discutetene
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Esercizi - Versione stampabile (vedi allegati)
Siamo nel III secolo d.C
Che cosa vuol dire, oggi, essere "scettici"? Cercate il significato di questa parola e
confrontatelo con la dottrina di Pirrone. Per accedere agli esercizi, crea il tuo account su Didaspace, fai il login e
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Donatella Piacentino
Editore: BBN
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