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CAPACITA’ PROCESSUALE
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La valutazione della capacità processuale dell'imputato rientra nella
tematica relativa alla tutela dei diritti dello stesso: costituendo il
diritto alla difesa un requisito imprescindibile del processo, se
l'imputato non è in grado di esercitare lo stesso viene infatti meno
la stessa sussistenza del processo, come confronto paritario –
almeno in teoria – fra accusa e difesa.
Nel codice del 1913 era prevista una disposizione che riguardava
la sospensione del processo in caso di impedimento dell'imputato
a comparire all'udienza dibattimentale, senza fare distinzione
rispetto all'evenienza che l'impedimento fosse già presente al
momento del reato o fosse a esso sopravvenuto (Chiavaro 1967).
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Diversa appare la disposizione contenuta nel codice Rocco (1930),
ove il tema della capacità processuale trova una sua autonoma
trattazione all'art. 88 del c.p.p., relativamente all'ipotesi di infermità
sopravvenuta. Nel succitato articolo, infatti, l'incapacità processuale,
valutata secondo gli stessi criteri che il c.p. all'art. 88 adottava
nell'ambito della capacità di intendere e di volere per l'imputabilità,
era presa in considerazione come eventuale conseguenza di
un'infermità totale di mente insorta successivamente al momento
del reato. In caso di accertamento positivo, in fase di istruttoria o
dibattimentale, dell'incapacità processuale, il giudice sospendeva il
processo per un periodo indeterminato, durante il quale l'imputato
soggiornava in soggiornava in luoghi di cura, di preferenza
giudiziari.
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CAPACITA’ PROCESSUALE
Salvo quanto stabilito negli artt. 216 e 259, «se l'imputato venga
a trovarsi in tale stato di infermità di mente tale da escludere la
capacità di intendere e di volere, il Giudice, in qualsiasi stato e
grado del procedimento di merito, dispone con ordinanza la
sospensione dell'azione penale e ha facoltà di disporre ricovero
in un manicomio pubblico, preferibilmente giudiziario. Per gli
accertamenti occorrenti il Giudice può disporre anche perizia.
[...] Qualora l'imputato riacquisti in tutto o in parte la detta
capacità, il Giudice ordina che il procedimento riprenda il suo
corso [...]».
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CAPACITA’ PROCESSUALE
Un ulteriore, sostanziale cambiamento del concetto di capacità
processuale si verifica, con l'entrata in vigore del nuovo c.p.p. nel
1988-'89, ove la capacità processuale e regolamentata dagli articoli
70-73. Un primo punto da sottolineare è quello che riguarda, sul
piano formate, l'abolizione della limitazione del concetto di
capacità processuale a un'incapacità unicamente prodotta da
un'infermità mentale sopravvenuta al fatto.
Infatti nel 1992 questa restrizione fu considerata incostituzionale
rispetto al diritto di autodifesa (art. 24 co.II Cost.) e si procedette
pertanto alla modifica della specifica disposizione rimuovendo dal
dettato dell'art. 70 l'espressione «sopravvenuta al fatto».
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CAPACITA’ PROCESSUALE
Come afferma Conso, la corte ravvisò infatti un'effettiva lesione
del diritto all'autodifesa dell'imputato nella circostanza che la
limitazione della sospensione ai soli casi di infermità mentale
sopravvenuta impediva di fatto la sospensione del processo anche
nell'ipotesi di infermità mentale già sussistente al momento del
reato e successivamente protrattasi, allorché la stessa non
comportava l'esclusione della capacità di intendere e di volere
dell'imputato. Secondo la corte (sent. 92/340) la lesione del diritto
all'autodifesa veniva integrata, più precisamente, dal conseguente
regime secondo cui l'imputato, benché non sia in condizioni, a
causa dell'infermità mentale, di partecipare coscientemente al
processo, non può fruire della sospensione nonostante il processo
medesimo si possa concludere con sentenza di condanna.
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CAPACITA’ PROCESSUALE
Sul piano sostanziale il nuovo c.p.p., che si caratterizza rispetto al
precedente per il suo carattere accusatorio, enfatizza il ruolo del
giudice nella tutela di una partecipazione attiva e responsabile
dell'imputato: il giudice è tenuto a garantire che l'imputato sia nella
possibilità di «partecipare coscientemente al processo» (art. 70
c.p.p.). Il concetto di infermità che comporta l'esclusione della
capacità di intendere o di volere è abbandonato in favore di
un'infermità tale da impedire la partecipazione cosciente al
processo. Secondo Cordero (1991) partecipa coscientemente chi
intende il senso elementare dell'avvenimento: lo stanno giudicando
su quel fatto e, se risultasse colpevole, sarebbe condannato. In
effetti, sul significato della formula legislativa della partecipazione
cosciente al processo, esiste un confronto che induce alcuni autori
a definirla sottile e sfuggente» (Conso et al. 1990) rispetto alla
normativa del 1930.
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In teoria una piena capacità processuale dovrebbe essere in grado
di valutare e tenere conto di tutti i seguenti possibili
comportamenti (Lore e Moscarini 1999):
a) la piena comprensione dell'addebito di cui si fa carico;
b) tenere quei comportamenti che costituiscono il contenuto
negativo dell'autodifesa quali il silenzio durante l'interrogatorio
(art. 64 comma 3), la rinuncia a comparire in dibattimento (art. 488
comma 1), il rifiuto dell'esame (art. 208);
c) esercitare in positivo l'autodifesa rispondendo con contezza alle
domande rivoltegli in sede di interrogatorio (art. 65 comma 2) o di
esame (art. 503 comma 2);
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d) gestire attraverso una scelta cosciente e volontaria le varie
possibilità di giustizia negoziata offertagli dalla previsione dei
diversi riti alternativi (per es. artt. 438 comma 1 e 444 comma I);
e) acquisire una piena coscienza del contenuto e del significato
della sentenza ai fini di un libero e consapevole esercizio del
diritto di impugnazione (art. 571 comma 1).
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Svolgimento e problemi della perizia d'ufficio
 La disposizione di questo tipo di perizia avviene in tutti i casi in cui,
per diretta constatazione del giudice o su istanza della difesa, vi sia
il fondato dubbio che il soggetto non sia in grado di partecipare
coscientemente al processo.
 Si tratta di una fattispecie invocata di rado, sia perché la
sospensione del processo per mesi o anni, se non per sempre di
fronte a infermità mentali di carattere cronico, non è apprezzata
dai giudici, sia perché, nei casi in cui sussisteva già al momento dei
fatti la stessa infermità (come quasi sempre), e motto più logico e
agevole valutare direttamente la non imputabilità ex artt. 88-89
c.p.
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II quesito peritale è in genere molto sintetico, del tipo:
“Accerti il perito, esperita ogni opportuna e necessaria
indagine, acquisita la documentazione del caso, e sentito il
personale curante, le attuali condizioni di salute mentale
dell'imputato [...] con particolare riferimento alla
capacità di stare in giudizio”.
Quasi sempre, comunque, tale quesito viene inserito
nell'ambito delle fattispecie da valutare nel contesto della
perizia psichiatrica, costituendosi quale terzo quesito
della stessa, dopo quelli su imputabilità e pericolosità
sociale.
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Dal punto di vista applicativo si pongono al perito psichiatra una
serie di rilevanti problemi operativi, perche la fattispecie in esame
e tutt'altro che chiara.
 Già nel 1989, quando era ancora in vigore il codice Rocco e la
capacita processuale coincideva con la capacità di intendere e di
volere (art. 88 c.p.p. 1930),
Fornari suggeriva che essa:
 "..... potesse essere intesa almeno sotto tre profili:
 1) come presenza fisica dell'imputato durante gli interrogatori, i
confronti e il dibattimento;
 2) idoneità a comprendere l'oggetto e il contenuto delle
imputazioni e la posizione di imputato rispetto alle altre parti;
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3) idoneità ad argomentare con efficacia, precisione rievocativa e
coerenza logica circa le accuse che al soggetto vengono mosse, a
sostenere confronti, a reggere le contestazioni, a misurarsi in
maniera adeguata, sia intellettivamente che emotivamente, con gli
altri protagonisti del processo (giudici, testimoni, accusatori, vittime, ecc.).
Ne consegue quindi che molteplici sono le situazioni
psicopatologiche che — incidendo variamente sulla capacita di
intendere o di volere dell'imputato — possono anche essere al di
fuori della patologia psichiatrica maggiore.
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In effetti l'autore è favorevole a un'interpretazione restrittiva della
legge e indica come possibili condizioni di incapacità processuale gli
stati di malattia mentale che alterano «[...] quella funzione
integrativa e organizzativa che è appunto la coscienza (deliri,
depersonalizzazione, derealizzazione, autismo, disturbi psicotici
acuti) [...]» (Fornari 2008).
Anche Introna (1990) affermò, a proposito della capacita di stare in
giudizio, che: «Al perito e lasciata la libertà tecnica di commisurare il
grado di compromissione della capacita di intendere e volere alla
complessità dei compiti che l'imputato deve svolgere in seno al
dibattimento. II perito dovrebbe quindi affermare che le due capacita
non sono escluse (intendere e volere, N.d.R.), ma che tuttavia
l'imputato non è in condizioni psichiche da poter esercitare
utilmente il suo diritto alla difesa».
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Un paziente con schizofrenia in fase di scompenso acuto non è
processabile, come non è processabile un paziente con disturbo
bipolare in fase d'eccitamento o di grave depressione, o un
soggetto con una demenza medio- grave.
Le prime due sono comunque condizioni la cui fase critica non
presenta generalmente una durata lunga, se trattata in modo
adeguato. Sotto il profilo umanitario è invece legittimo chiedersi se
e etico processare un soggetto affetto da demenza iniziale, che
magari ha ancora sufficienti capacità cognitive per comprendere
quanto avviene, ma che sicuramente non sarà in grado di giungere
capace all'ultimo grado di giudizio, terminando cosi la sua esistenza
cognitiva nel modo pin angoscioso possibile.
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Alla luce delle considerazioni esposte va rilevato che, per esempio
soggetti che per una grave forma depressiva siano disinteressati
all'andamento del processo, disattenti su fatti personali che invece
li dovrebbero interessare moltissimo, con un'ideazione polarizzata
su tematiche di morte e affettivamente coartati in modo severo,
sono persone che difficilmente possano essere valutare come
processabili. Condizioni cliniche come quelle descritte
impediscono infatti che un soggetto possa programmare una
strategia difensiva diversa da un generico assenso a quanto
proposto dall'avvocato, come anche possa fornire elementi
pertinenti al processo in corso, dei rapporti sussistenti e delle
azioni realizzate al momento dei fatti reato per i quali è
processato.
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Tali persone, inoltre, non possono effettuare un confronto con altri
testi, assumersi responsabilità, anche ammettendole a fini
esclusivamente processuali, ed è assodato che un depresso grave e
disposto ad assumersi qualsiasi responsabilità, pur di porre fine a
un'esperienza intollerabile come quella del processo.
La natura del reato contestato è un'altra variabile che può dare
luogo a valutazioni distinte: un soggetto con un quoziente
intellettivo di 65, che ruba una valigia a un passeggero alla stazione,
è infatti in una posizione diversa da chi sia invece imputato di avere
un ruolo attivo in un commercio internazionale di stupefacenti,
prospettando anche un grado di complessità del processo, e
pertanto delle esigenze difensive, del tutto differenziato.
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Tuttavia, visto che i parametri di valutazione sono basati anche su
fattori di carattere circostanziale, è dubbio che le persone più
idonee a valutare questo tipo di capacita, cosi analiticamente
formulata, siano gli psichiatri o i medici legali. Forse, volendo
entrare in un tipo di disamina cosi analitico, la persona che è più in
grado di rendersi conto delle effettive capacita di difesa
dell'imputato il suo avvocato difensore, ovverosia colui che ha una
comunicazione continua e dettagliata con l'imputato, ma che e
anche in grado di rendersi conto del grado di comprensione che il
suo assistito ha della situazione.
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Non e tuttavia possibile affidarsi all'avvocato difensore
dell'imputato per questa valutazione per ovvie considerazioni
d'opportunità, oltre che per il fatto che l'avvocato diverrebbe
testimone sul suo assistito. Ne è possibile affermare che un uso
estensivo del concetto sia di fatto applicabile in ambito
processuale penale, dove personalità abnormi, fortemente
motivate da fattori processuali, possono esasperare tratti e
comportamenti, fino a compromettere ogni utile rapporto con le
proprie difese. I soggetti con psicosindromi organiche sono quelli
che pongono con maggiore problematicità la difficoltà di
valutazione della capacita processuale, anche perche la diagnosi del
livello di compromissione funzionale è resa difficoltosa dalla
maggiore o minore disponibilità del soggetto a cooperare con
l'indagine.
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Se si applicano criteri sottili di capacità processuale, soprattutto in
relazione a fatti complessi, basta poco perche un imputato con una
lieve psicosindrome organica non sia più capace processualmente.
Se invece si sceglie una linea di valutazione per la quale è
necessaria un'incapacità processuale assoluta, allora la valutazione
è evidente.
D'altra parte e implicita nel c.p.p. art. 70 che la capacita di assistere
coscientemente al processo miri alla tutela dell'imputato sotto il
profilo dell'esercizio del suo diritto di autodifesa. Il livello di
valutazione deve quindi essere basato su un attento e preciso
esame clinico, cercando di ottenere il massimo di certezza
diagnostica.
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Non è però necessario entrare in una valutazione psicologica
approfondita: i motivi profondi che possono sottostare a un
determinato comportamento non sono sempre di rilievo per
quello che concerne la capacita processuale, la quale è un giudizio
sul presente, e non sul passato, come l'imputabilità, o sul futuro,
come la pericolosità sociale.
Che il presente sia l'unico tempo di rilievo in questo tipo di
giudizio è ricavabile da un'ipotetica valutazione di un soggetto che
è amnesico del proprio reato, e che non stia simulando l'amnesia.
Se l'unico sintomo fosse l'amnesia del fatto, e ciò si può avere
quasi solo per una forma di amnesia psicogena, il soggetto
rimarrebbe processabile in quanto il disturbo rientrerebbe
nell'ambito dei disturbi dissociativi, e perciò di una forma
psicopatologica che non altera l'analisi della realtà, e lascia
inalterate le attuali capacita di giudizio e critica.
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Potrebbe anche verificarsi che il soggetto abbia avuto un trauma
cranico subito dopo il fatto reato, ma in tal caso è difficile che si
possa avere un quadro amnesico senza altri sintomi cognitivi, con
una quasi certa corrispondenza anatomo- lesionale. Non è
peraltro necessario neanche ottenere una valutazione
approfondita quanto quella che deve essere stabilita per un
trattamento clinico, in quanto il giudizio si pone in termini di tutto
o nulla e le possibili sfumature cliniche sono irrilevanti, una volta
stabilita la diagnosi e il livello di compromissione cognitiva.
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Una volta ottenuta una diagnosi di relativa certezza, il giudizio
dovrebbe articolarsi su una chiara definizione del tipo di criterio
valutativo utilizzato, sottolineando con precisione i passaggi
associativi, in modo da mettere le parti nelle condizioni di seguire
il tipo di iter logico-deduttivo che l'esperto decide di utilizzare.
Molte alternative sono possibili, e l'aderenza a determinati modelli
concettuali rispetto ad altri può condurre a diverse formulazioni di
giudizio. Fermo restando che questo e un tipo di libertà di giudizio
deliberatamente voluto dal codice del nostro Paese, diviene
importante tematizzare il tipo di ragionamento con cui si stabilisce
il nesso di causalità tra la patologia riscontrata e il giudizio del
caso.
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CAPACITA’ PROCESSUALE
Questo, infatti, è probabilmente l'unico modo per consentire lo
svolgimento di un dibattito dignitoso e approfondito, con la
consapevolezza che un uso restrittivo del concetto è di certo più
prudente e opportuno nella maggior parte dei casi. Nella
valutazione del caso si deve altresì tenere conto del fatto che,
talvolta, la ricerca di un'improvvisa infermità rilevante ai fini
dell'incapacità processuale rappresenta solo un disperato tentativo
di simulare una condizione patologica per evitare una condanna
ritenuta ormai pressoché certa o, nel caso, per ottenere il
trasferimento in OPG e quindi la possibile apertura di un percorso
psichiatrico grazie al quale avvicinarsi a misure alternative alla
detenzione.
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Tale via, peraltro, è cercata dagli autori di reati anche gravissimi,
afferenti alla criminalità organizzata. Tutto ciò introduce la
necessità di effettuare in ogni caso un approfondito esame
diagnostico, da esperirsi non solo attraverso reiterati colloqui
psichiatrici, ma anche attraverso la somministrazione di una
completa batteria di test psicodiagnostici, il cui incrocio dei
risultati può consentire anche un'attenta lettura delle possibili
quote di simulazione del sintomo psicopatologico, fermo restando
che l'esperienza psicotica realmente vissuta comporta aspetti di
perplessità e di alienità che nessun detenuto, per quanto attento e
nel caso istruito, potrà mai recitare in modo convincente.
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Svolgimento e problemi della consulenza di parte
 Ancora una volta, si deve innanzitutto ricordare il valore di verità
clinicodiagnostica che, pur nell'interpretazione pro bono
dell'assistito, deve essere assunto dalle valutazioni del CTP, anche
in considerazione del fatto che spesso le stesse attengono a
soggetti autori di reati molto gravi.
 Allo stesso modo, è da proscrivere anche ogni altra attività diretta
a rendere il cliente edotto delle caratteristiche degli esami o, ancor
peggio, delle possibili manifestazioni della condizione
psicopatologica allegata dal professionista.
 Peraltro, come già detto, si tratta di attività del tutto inutili e
controproducenti, oltre che tali da esporre lo stesso consulente a
probabili guai ordinistici se non anche giudiziari.
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Dal punto di vista metodologico, essendo frequente che il
periziando sia incontrato per primo dal consulente di parte, al fine
della redazione della relazione preliminare, si ricorda che è
opportuno evitare la somministrazione di reattivi mentali non più
ripetibili per lungo tempo (come il test di Rorschach), perché in tal
modo si priva il perito d'ufficio, e quindi il proprio assistito, di un
importante sussidio diagnostico, essendo improbabile che la
perizia d'ufficio possa acriticamente acquisire un importante dato
diagnostico elaborato in autonomia dalla parte interessata.
Importante, inoltre, è che lo stesso CTP acquisisca in modo il più
possibile completo ogni elemento utile a documentare la storia
patologica del periziando, anche sentendo i congiunti, in modo da
rendere più completa la propria valutazione e da agevolare il
lavoro del perito, acquisendo con ciò ulteriore credibilità nel
dibattito diagnostico e valutativo.
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