C`è un paradosso nell`era comporanea: mentre sempre più nazioni

COME DECLINARE LA PAROLA DEMOCRAZIA
C’è un paradosso nell’era contemporanea: mentre sempre più nazioni si avvicinano all’idea di
democrazia, sempre più, in altri paesi di democrazia consolidata, l’efficacia della democrazia come
forma di organizzazione nazionale viene messa in discussione.
La parola democrazia, inoltre, assume quindi significati diversi, secondo i luoghi e secondo le
epoche.
Ciò che vale per i paesi dell’Europa occidentale è già diverso da ciò che si intende, ad esempio, nei
paesi del nord america. Ed è assai diverso da ciò che si intende in molti paesi dell’ex terzo-mondo
(Asia, Africa e America latina).
A lungo, nella scienza politica, il concetto di democrazia si è orientato verso criteri procedurali
minimi: elezioni libere e periodiche intese come indicatori minimi e sufficienti della sua presenza.
Ma tra la democrazia empirica e la democrazia normativa (ossia la capacità di promuovere un
governo per il popolo, esiste una grande differenza.
Com’è possibile individuare i desideri o le preferenze di un popolo? Chi ha titolo a esprimere queste
preferenze senza tradirle? Vale solo la preferenza della maggioranza od occorre tener conto anche
delle minoranze? Come misurare la congruenza tra le scelte di governo e l’ideale democratico.
In che modo l’idea di eguaglianza si sposta con l’ideale democratico?
In che misura possiamo classificare ‘democratico’ un paese nel momento in cui, in misura sempre
maggiore, importanti decisioni economiche e sociali vengono prese al di fuori delle assemblee
elettive?
Come si concilia l’ideale democratico e a quali conseguenze andiamo incontro nell’era del villaggio
globale e di internet.?
Così, nel rispondere a questi interrogativi, dobbiamo concludere che la ricca storia della
democrazia, le sue implicazioni, la sua applicazione nei diversi contesti sociali, geografici, storici,
registrano un abuso del termine dato da sistemi politici differenti e da un profondo disaccordo sulla
sua concettualizzazione.
Esistono diverse definizioni di democrazia . La norma corrente sottolinea il ruolo legittimante del
popolo. E’ il popolo che elegge i suoi rappresentanti. La democrazia è il potere del popolo, e il
governo deve essere usato per il popolo.
Le scienze sociali individuano 4 approcci alla democrazia:
1. approccio costituzionale: sono le leggi fondamentali che definiscono l’attività politica
2. approccio sostantivo: riguarda la promozione delle condizioni di vita che il regime
democratico promuove
3. approccio procedurale: guardando alle pratiche di governo, determina se un regime può
essere definito democratico
4. approccio processuale: identifica i processi decisionali affinchè un regime possa essere
considerato una democrazia.
La definizione di democrazia è altresì un concetto mutevole nel tempo. Potremmo dire che è un
processo permanente di definizione e ridefinizione.
Giovane, dal punto di vista storico (una volta si pensava che democrazia corrispondesse al suffragio
universale), il concetto di democrazia è antichissimo: se nell’età di Pericle (500 a.c.) la democrazia
e4ra concetto piuttosto vago, data ad esempio la presenza della schiavitù), oggi la democrazia
richiede altre qualità, prima tra queste il modo con il quale lo stato traduce le domande dei cittadini
e il modo con il quale il processo di traduzione delle domande impegna lo stato e gli stessi cittadini.
Se la democrazia cosiddetta liberale (il suffragio universale) è di fatto oggi dominante, a questìo
concetto si contrappongono altre forme di vita democratica: la democrazia partecipativa (può
esistere una democrazia senza partecipazione?), la democrazia forte, la democrazia comunicativa, la
democrazia del welfare, la democrazia associativa.
La democrazia liberale classica prevede la presenza di rappresentanti eletti in libere elezioni, la
presenza di diverse fonti di informazione, libertà di espressione ed associazione. In q1uesta
tipologia (la democrazia liberale dell’800, ad esempio) il sistema prevede, al di là di diverse
preferenze, un ampio consenso tra interessi compatibili. Il conflitto sociale è visto come elemento
negativo in quanto considerato come antisistema.
Nell’evoluzione storica del concetto di democrazia liberale si è affermato invece che la democrazia
può attuarsi anche al di fuori dei circuiti elettorali. La protesta, specie in un sistema di suffragio
ristretto, non passava attraverso il circuito parlamentare ma si manifestava contro quell’istituto.
La sfida alla democrazia liberale è consistita, soprattutto, nella concezione partecipativa della
democrazia.
Se le società sono attraversate da profondi conflitti, i teorici della democrazia partecipativa hanno
sottolineato l’importanza del coinvolgimento dei cittadini al di là del momento elettorale.
La seconda alternativa al concetto liberale è data dalla democrazia deliberativa, un sistema nel quale
la decisione si assume attraverso un voto. Ma la democrazia non può identificarsi solo con il
principio della maggioranza che vince sulla minoranza ma piuttosto con la possibilità di confronto
tra i diversi punti di vista e con la possibilità di trasformare il pensiero iniziale.
Uno degli scienziati politici piuù influenti sul tema della democrazia liberale, Robert Dahl, ha
definito le caratteristiche fondamentali della democrazia:
Un governo deve garantire ai cittadini:
a. di formulare le proprie proposte
b. poterle presentare ai concittadini
c. fare in modo che il governo non attui discriminazioni sui contenuti della proposta
Al fine di realizzare queste condizioni, sono necessarie 8 garanzie continutizionali:
1. libertà di organizzazione
2. libertà di espressione
3. diritto di voto
4. diritto di ricorrenti competizioni elettorali
5. eleggibilità alle cariche pubbliche
6. fonti alternative di comunicazione/informazione
7. elezioni libere e corrette
8. un governo dipendente dal voto espresso dai cittadini
E’ opportuno, a questo punto, svolgere alcune riflessioni.
Se il concetto di democrazia ha una storia millenaria, la storia dei regimi democratici è invece molto
breve.
La democrazia liberale è una democrazia rappresentativa. Cosa significa? Significa, come dice
Sartori, che la rappresentatività è lo strumento attraverso il quale le istituzioni limitano ilk rischio
di consegnare tutto il potere a masse che, spesso, sono considerate ignoranti o pericolose.
Democrazia è quindi queol direitto che permette ai cittadini di determinate la volontà collettiva
attraverso la mediazione dei rappresentati eletti. E’, in sopstanza, il diritto di cittadinanza.
Per Stuart Mill, consiste nella differenza tra il controllare il governo ed esercitare le funzioni di
governo, lasciando queste ultime agli specialisti.
Secondo Sartori, inoltre, la democrazia liberale, non ha solo una legittimazione popolare esercitatav
attraverso l’elezione dei propri rappresentanti ma ha l’esigenza di limitare ogni tipo di potere,
sottomettendo gli organi rappresentativi al diritto, alla legge.
Le moderne democrazie,, infatti, prevedono un controllo costituzionale della legislazione
La maggioranza parlamentare, dunque, ha diritto di decidere molte cose ma non su tutto. In primo
luogo deve escludere tutte quelle decisioni che alterano in qualche modo le regole del gioco
democratico tutelando alcuni diritti, tra i quali il diritto delle minoranze dall’arbitrio delle
maggioranze
La democrazia, infatti, è basata sui un accordo di compromesso che riconosce regole
universalmente accettate per la risoluzione pacifica dei conflitti, sul riconoscimento di diritti
individuali ed infine sulla considerazione del conflitto come avvenimento ‘patologico’ delle nostre
società.
LE RADICI DELLA DEMOCRAZIA: ATENE, 508 A.C.
Studiosi e dotti fanno fatica ad indicare una data in cui far partire la storia della democrazia. C’è,
certamente, la storia della parola “democrazia”: come molti sanno il vocabolo democrazia proviene
dal greco demokratia, composto da demos e da kratia. Demos aveva il valore di popolo, in
opposizione al re e alla nobiltà, ovvero - nelle antiche città-stato come Atene - i cittadini liberi che
formavano l’assemblea del popolo. Kratia, da kratos (collegata alla base krat da cui nasce il nostro
grazia) indicava la forza, la potenza, e, nell’ambito della politica, la signoria, il potere. Il concetto e
la parola democrazia ci giungono dunque dall’antica Grecia: già Erodoto, il padre della storia, nel V
secolo avanti Cristo utilizzava la parola democrazia nel senso di governo popolare. E alla storia
greca dobbiamo rifarci per scrivere una brevissima descrizione dei colori che ebbe l’alba della
democrazia.
ATENE, 508 A.C.
Alla base della società greca primitiva intorno all'800 a.C. si collocavano le famiglie riunite in clan
e in tribù. Durante i sec. IX e X a.C. con l’espansione commerciale e coloniale un gran numero di
Greci si erano resi indipendenti dai legami terrieri arcaici, segnando l’inizio del declino della classe
aristocratica.
Il primo vero passo verso la democrazia può essere considerato l’opera attuata da Dracone (VII
sec.a.C.) che mise per iscritto le leggi di una tradizione orale, per volere degli aristocratici. Quando
però l’Attica fu scossa da una crisi agraria che causò disordini civili, venne nominato per la città di
Atene un aisymnetes affinché regolasse la situazione politica e sociale.
Essendo stato nominato Solone (ca.594/3 o 592/1 a.C.) per questa carica, dunque, si avviò l'inizio
evolutivo di questa forma di governo.
Dall’intermezzo costituito dalla tirannide di Pisistrato(561 a.C.) che donò splendore artistico alla
città di Atene, si passò alla riforma di Clistene (508 a.C.) che rappresenta una forma più popolare
(demotikoteria) rispetto a quella di Solone: proprio la riforma di Clistene del 508 a. C. è da noi
considerata l’atto di nascita della democrazia nel mondo occidentale, anche se molta strada sarebbe
ancora stata fatta ad Atene.
Arrivò infatti successivamente il momento della democrazia radicale, contrassegnato
dall'abbattimento dell'areopagocrazia, periodo centrale e di equilibrio politico nella concezione
aristotelica. L'avvento della democrazia radicale (462/1 a.C.) fu segnato dalle figure di Efialte
(fautore della riforma del 462) e Pericle.
L'età di Solone
Per prima cosa Solone nel 594 a.C. procedette alla classificazione della popolazione in base al
censo in 5 categorie dando così un ordine ed un senso anche alla cavalleria e alla fanteria che già
esistevano, ma senza una precisa collocazione in ambito sociale. Basandosi sul censo Solone diede
a chiunque la facoltà di migliorare il proprio livello di vita e fornì l'autocoscienza necessaria per
sfruttarla. Solone inoltre stipulò delle norme che regolavano l'accesso alle cariche pubbliche:
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l' arcontato era accessibile solo alle prime due classi,
il consiglio(boulè) era accessibile solamente alle prime tre classi;
l'assemblea popolare era invece di pubblico dominio.
Per quanto riguarda il demos Solone sciolse i debiti e migliorò le condizioni di milioni di
CITTADINI che diventarono :
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thetes, i senza terra, che secondo Aristotele furono liberati solo dalla schiavitù perchè non
furono supportati da nessuna riforma fondiaria;
piccoli agricoltori indipendenti o vasai entrando a far parte delle fila del demos che aveva
comunque i suoi diritti tra cui il partecipare all' assemblea popolare e il diritto di voto
passivo.
Fu un costituzionalista e cercò con le sue opere di trasmettere quest'ordine di idee anche agli
Ateniesi; voleva che ciascuno agisse in conformità alla legge e che per gli Ateniesi la costituzione
istituita da lui fosse il codice: infatti è il magistrato che deve essere servo della legge, non il padrone
e il popolo doveva controllare il suo operato.
L' età di Pisistrato dal 561 a.C.
Pisistrato apparteneva al partito delle Colline cioè la parte radicale dei tre partiti ateniesi (esistevano
anche quello della Costa cioè i moderati e quello della Pianura cioè dei conservatori). La
maggioranza dei suoi seguaci era composta da thetes o contadini poveri riscossi dai fallimenti
economici della riforma di Solone ed egli contava molto sul fatto che tra gli stessi soloniani erano
presenti dissapori.
All'epoca di Pisistrato i cittadini ateniesi non fecero nulla per bloccare la loro coscienza politica, ma
al contrario si sentirono partecipi e lo stesso sviluppo della città presentò delle problematiche non
evidenziate o non considerate da Solone. L'organizzazione statale non fu di fatto ritoccata, anzi la
centralizzazione di governo favorì la crescita di importanza delle istituzioni e fornì al demos un'
ulteriore consapevolezza di sè nonostante gli affari rimanessero nelle mani degli
aristocratici;Pisistrato contro il fenomeno di controllo della fratria aveva isituito dei giudici vaganti
e agì in modo da creare nel popolo l'interesse nazionale piuttosto che quello direttamente
aristocratico.
L'idea di appartenenza ad un popolo fu ulteriormente rafforzata dalla coniazione di monete i cui
beneficiari furono le dee Atena e Demetra o il dio Dioniso e dalla loro identità nazionale e dall' idea
di cittadinanza.
L' età di Clistene
Clistene proveniva dal partito aristocratico e dalla testimonianza di Erodoto ("...aggiunse il demos
alla sua fazione....") sappiamo che si guadagnò l' appoggio del popolo.
Clistene è ricordato per il nuovo sistema tribale e per l'ostracismo, oltre che come fondatore della
democrazia.
Nel VI sec a.C. il consiglio fu composto da 500 membri ( 50 per ciascuna tribù) e l'assemblea non
era più di dominio aristocratico, ma ogni anno veniva scelto in ogni tribù il proprio sindaco o
demarchos, un consiglio e i funzionari. Alla base era presente il concetto democratico proprio nel
fatto che tutti i suoi membri fossero considerati uguali sotto tutti i punti di vista e in particolare
perchè tutti si potevano riconoscere come membri di uno stato.
La riforma di Clistene viene etichettata dagli storici con le parole isonomia e isergoria, ma non
demokratia! In realtà la sua è stata davvero una prima pietra, su cui poi si sono poggiate le
costruzioni successive.
La riforma costituzionale di Clistene aprì le porte al demos che progressivamente prese coscienza di
sé e in seguito alla vittoria sui Persiani a Maratona nel 490 e a Salamina nel 480a.C.si instaurarono
in Atene due fazioni politiche : i moderati di Aristide e i progressisti di Temistocle (vincitore di
Salamina) e quest' ultimo salì al potere, ma dopo l'ostracismo subito, fu sostituito da Pericle.
L'età di Pericle
Nel 462 a.C. il partito conservatore, filospartano ed antipersiano, guidato da Cimone, venne
sostituito nel governo di Atene da quello democratico e antispartano che faceva capo ad Efialte.
Costui provvide a ridurre immediatamente le competenze dell’Areopago ai soli reati di sangue così
da ridurre il potere degli aristocratici.
Efialte venne assassinato, e la guida del partito passò in mano a Pericle.
Pericle proseguì nel piano di riforme democratiche ottenendo, per prima cosa, che i giudici popolari
fossero indennizzati per le loro funzioni: questo segnò una svolta nella vita politica, ampliando la
sfera dei cittadini coinvolta direttamente nella vita politica.
Momento fondamentale del suo governo fu il trasferimento sull'Acropoli del tesoro della Lega,
gestito direttamente dall’assemblea ateniese e sfruttato poi per l’abbellimento della città. Il progetto,
apertamente demagogico, implicò l’impiego nella flotta, come rematori, di grandi masse di cittadini
fino ad allora disoccupate e garantì a tutti gli inabili e ai disagiati un sussidio in denaro.
Il positivo periodo dei quasi cinquant’anni che intercorsero fra Salamina e il 432 a.C. (indicato con
il nome di Pentacontaetia), durante i quali la civiltà attica conobbe il massimo splendore, si
concluse bruscamente e per sempre al momento dello scoppio del conflitto peloponnesiaco. L’urto
con Sparta fu voluto da Pericle. La guerra, che venne generata da un netto contrasto politico e si
fondò su una complessa rete di alleanze, determinò l’insorgere di sospetti, diffidenze e discordie fra
i cittadini. La politica ateniese iniziò quindi un lungo periodo di instabilità associato a un processo
di progressivo deterioramento soprattutto morale, che vide sempre più frequentemente sostituiti agli
interessi della collettività quelli di un partito politico o, peggio, quelli personali; in ciò il movimento
culturale della sofistica ebbe una responsabilità notevole. La democrazia ateniese si avvitò, così, in
una crisi che, alla morte di Pericle nel 429 a.C., aprì la fine la porta, dopo la guerra del
Peloponneso, all’abolizione della costituzione democratica e alla dittatura.
La teoria costituzionale della democrazia ateniese è molto semplice: il popolo è sovrano (kurios).
Sieda nell’Assemblea o nei tribunali, è il sovrano assoluto di tutto ciò che concerne la città e i
cittadini sono liberi e uguali sotto l’egida della legge.
Partecipazione all’Assemblea o Ecclesia
Per far parte dell’Ecclesia erano necessari due requisiti:
1.essere cittadino ateniese: una legge del 450 a. C., voluta da Pericle, stabiliva che divenisse
cittadino solo chi fosse nato da padre e madre ateniesi (mentre prima, e nella maggior parte delle
altre poleis, bastava che fosse cittadino il padre);
2.essere maggiorenne. La maggiore età si acquisiva a diciotto anni, per via dell’iscrizione sui
registri del demo (i demi erano le unità territoriali più piccole in cui era stata divisa l’Attica dalla
riforma di Clistene –508 a. C.-, dotate di autonomia dal punto di vista amministrativo. Questa
frammentazione del territorio statale di Atene era dovuta alla sua estensione -più di 2400 kmq,
all’incirca come l’attuale Granducato di Lussemburgo-). Non sempre questi registri erano sicuri:
infatti molti meteci (che erano gli stranieri che si stabilivano ad Atene ma erano privi dei diritti
politici) riuscivano a farsi iscrivere e quindi a partecipare ai lavori dell’Assemblea che si tenevano
sulla collina della Pnice. Questa, nonostante le sue modeste dimensioni, bastava largamente poiché
molti Ateniesi spesso preferivano non assentarsi da casa, non rinunciando così a delle giornate
lavorative.
Riunioni e funzionamento dell’Assemblea
In origine, l’Ecclesia si riuniva una volta per pritania, ovvero dieci volte all’anno; ma, col passare
del tempo, vennero aggiunte tre sedute supplementari per pritania. Ogni assemblea aveva il proprio
ordine del giorno, tuttavia, nel caso di una sventura pubblica o di un evento imprevisto che
esigessero un provvedimento urgente, potevano essere indette assemblee straordinarie. La seduta
incominciava di buon mattino quando un segnale era dato da una bandiera sventolante sulla Pnice.
Così la polizia sbarrava le strade che conducevano all’Agorà e spingeva i cittadini verso la
collinetta della Pnice, cui si accedeva per una ripida scalinata e che poteva raccogliere fino a 6000
persone. Presidente dell’Assemblea era l’epistate dei pritani (presidente anche della Bulè),
designato dall’estrazione a sorte ogni giorno, che, dopo una cerimonia religiosa in onore di Zeus,
dava inizio alla seduta. Si incominciava con la discussione delle proposte di legge della Bulè , i
probuleumata: ogni cittadino poteva prendere la parola e proporne emendamenti, salendo su una
tribuna e mettendosi sul capo una corona di mirto, simbolo d’inviolabilità. Dopo la discussione, i
pritani indicevano le votazioni per alzata di mano (epicheirotonìa) e il presidente, proclamatone il
risultato, poteva togliere la seduta.
Poteri dell’Assemblea
All’Ecclesia competevano svariate funzioni:
1. le relazioni estere,
2. il potere legislativo,
3. il potere giudiziario e il controllo del potere esecutivo, con la nomina di tutti i magistrati.
In materia di politica estera l’Assemblea , sotto la direzione della Bulè, decideva della pace, della
guerra e delle alleanze e nominava gli ambasciatori. Per quanto riguarda invece il potere legislativo,
l’Ecclesia non si arrogava il diritto di abolire formalmente le leggi e votarne di nuove, ma trovava le
forme necessarie per legiferare attraverso decreti. Il popolo era anche supremo giudice, ma delegava
il potere giudiziario ai tribunali, intervenendo direttamente solo nelle questioni più delicate e
importanti.
Riunioni straordinarie dell’Assemblea
Nel V secolo, in circostanze di particolare importanza, si riuniva anche l’Assemblea plenaria,
convocata nell’agorà, divisa per tribù e considerata come rappresentante l’intera città. Il minimo di
unanimità era un voto espresso da seimila suffragi. L’Assemblea plenaria era convocata per
designare chi dovesse essere bandito per ostracismo, per conferire l’adeia, cioè l’impunità o la
grazia, o nel caso di collazione del diritto di cittadinanza. Il bando per ostracismo venne decretato
per la prima volta nel 487 e, con gli anni più frequentemente, nelle circostanze gravi e nelle guerre
perché non vi fossero continui dissensi in merito alla difesa nazionale e nella politica interna, e servì
così alle fazioni opposte a decapitarsi a vicenda. L’operazione dell’ostracophorìa si effettuava in
seduta plenaria durante la sesta pritania: il voto veniva espresso per mezzo di pezzi di coccio,
ostraca, e il condannato doveva lasciare l’Attica entro dieci giorni e per dieci anni, salvo eventuali
amnistie.
Composizione del Consiglio dei Cinquecento o Bulè
La Bulè, organizzata dalla riforma di Clistene (508 a. C.), era un organo composto da cinquecento
membri detti buleuti, sorteggiati, come afferma Tucidide, "per mezzo della fava" tra i demoti aventi
più di trent’anni che si presentassero come candidati. Questi solitamente non erano in grande
numero dal momento che, nonostante venissero retribuiti, dovevano comunque sacrificare un’intera
annata agli affari pubblici. Prima di entrare in carica i buleuti dovevano prestare giuramento e
cingevano la corona di mirto, segno della loro inviolabilità, mentre, al termine dell’annata, il
Consiglio intero doveva rendere conto al popolo del proprio operato. La Bulè era convocata dai
pritani e si riuniva nel Buleuterio, situato a sud dell'agorà. Ma come l’Ecclesia, non poteva sedere in
permanenza per un’intera annata; per il disbrigo degli affari ordinari aveva bisogno di una giunta
direttiva controllata a turno da una delle dieci tribù per una decima parte dell’anno : essa era
costituita da cinquanta pritani (ovvero 1/10 dei buleuti) e presieduta da un epistate (sorteggiato ogni
giorno tra i pritani) che teneva per ventiquattro ore le chiavi dei templi dove si trovavano i tesori, gli
archivi e i sigilli dello Stato. Questa giunta aveva il compito di mettersi in relazione con l’Ecclesia ,
con i magistrati, gli ambasciatori e gli araldi stranieri; convocava in caso di urgenza il Consiglio,
l’Assemblea, gli strateghi e aveva a disposizione le forze di polizia. Nell’esercitare le sue molteplici
funzioni la Bulè nominava poi diverse commissioni speciali: per controllare le entrate
all’Assemblea, per sorvegliare l’amministrazione marittima o per la consacrazione e le celebrazioni
dei misteri (commissioni di ieropi).
Poteri della Bulè
A un tempo organo preparatorio-esecutivo e magistratura suprema, aveva tre mezzi per esercitare i
suoi diversi poteri:
1. presentava all’Assemblea i probuleumata che servivano di base ai decreti del popolo;
2. promulgava decreti per far eseguire le decisioni prese dall'Assemblea;
3. collaborava direttamente, col consiglio o con l’opera, con le altre magistrature.
La Bulè aveva attribuzioni importanti anche in campo finanziario, poiché sorvegliava l’impiego del
denaro pubblico e si occupava degli appalti delle imposte, delle concessioni minerarie, delle
locazioni dei terreni sacri, della costruzione e conservazione delle opere pubbliche (come si deduce
dai conti sui lavori dell’Acropoli nell’età di Pericle). Infine, fra le sue molte funzioni giudiziarie, si
occupava della procedura rapida per punire i reati contro la sicurezza dello Stato: l’eisangelìa. Un
tempo chi giudicava i reati per eisanghelìa contro la costituzione era l’Areopago: una legge di
Solone gli riconosceva questo diritto. Ma, dopo la riforma di Efialte (462 a. C.), la competenza in
materia di questi crimini passò al Consiglio, che divenne così un organo centrale della democrazia
ateniese.
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