L’incontro e la crisi
Romano Luperini, L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e
destino dell’uomo occidentale (2007):
“L’incontro mantiene insomma un rilievo strategico come
accadeva nel romanzo primo-ottocentesco, struttura l’intreccio,
contribuisce a determinare la forma del contenuto. Nelle scene
in cui viene rappresentato si assiste inoltre a uno scontro di
personalità e di mondi ideologici”.
“Come in certi faccia a faccia messi in scena da Balzac o da
Manzoni, l’incontro è scontro drammatico fra due logiche, due
ambienti, due visioni della vita”
L’incontro e la crisi
Romano Luperini, L’incontro e il caso: Dopo l’incontro con
Rita si profila una contrapposizione frontale tra generazioni, tra
l’ordine incarnato dal padre e il caos incarnato da Rita e Merry:
“Da un lato l’epica del lavoro, dell’arrampicata sociale
dell’emigrato, dell’abilità artigianale e dell’audacia
imprenditoriale che si tramanda da una generazione alla
successiva, dall’altro il caos che la insidia, ne minaccia la
ragione e la medesima sensatezza, rendendola in qualche
misura improbabile, svuotandola di valore, sino a straniarla agli
occhi stessi di chi la sta celebrando. […]”
L’incontro e la crisi
Romano Luperini, L’incontro e il caso:
“Al mondo ben congegnato delle macchine che producono,
dei gesti funzionali degli operai che ancora mantengono una
memoria artigiana, della ragione concreta e strumentale che
sembra imporre un ordine tranquillo alla fabbrica e alla società,
di una mentalità che coerentemente vi edifica un costume di
pulizia, di quieta normalità, di perfezionismo applicato al
lavoro come allo sport o alla famiglia […] si oppone l’azione
terroristica della figlia, la sua clandestinità, il disordine, la
sporcizia, l’impudicizia, il turpiloquio, il velleitarismo suo e dei
suoi amici, e soprattutto il delirio di una logica astratta, da loro
impiegata implacabilmente sino alle estreme conclusioni”.
Crisi del soggetto, della storia, del sogno americano
Antonio Tricomi, Philip Roth, “Pastorale americana”
(“Allegoria”, n.58, 2008):
Nelle società occidentali del dopoguerra, “a incepparsi è
soprattutto il ‘meccanismo’ generazionale. […] Ciascuno si scopre
molecola di un insensato e ingovernabile eterno presente;
l’anarchia rischia di diventare l’autentico principio costitutivo di
società in perenne crisi perché strutturalmente percorse da
fenomeni disgregativi che minacciano di causarne l’implosione.
Pastorale americana è il romanzo di questa catastrofe della
civiltà originata dal collasso delle mitologie culturali, delle
pratiche sociali, dei valori identitari a lungo condivisi da una
comunità. Un collasso che in primo luogo si manifesta come
esaurimento della dialettica […] tra le generazioni. In tal senso,
Pastorale americana è anzi la cartina di tornasole dell’opera tutta
di Roth”.
Crisi del soggetto, della storia, del sogno americano
Franco Petroni, Philip Roth, “Pastorale americana”
(“Allegoria”, n.58, 2008):
Levov “è costretto a riconoscere la verità che c’è nelle parole
e nelle azioni di Merry: la società americana è orrenda, il
capitalismo e l’imperialismo sono orrendi, l’America intera,
con i suoi ideali e il suo stile di vita, è orrenda. È possibile che
il modo tollerante di lui, democratico e progressista, di
rapportarsi agli altri, sia il più sbagliato, perché è il più adatto a
nascondere la mostruosità di un sistema di vita; è possibile che
l’intolleranza e l’unilateralità della figlia siano giuste, sia
quando è una terrorista e uccide gli altri, sia quando è una
giaina e uccide se stessa. Il dubbio, anche se non formulato
razionalmente, è presente nel modo di sentire e di agire dello
Svedese”.
Crisi del soggetto, della storia, del sogno americano
Daniele Giglioli, All’ordine del giorno è il terrore (2007):
“Anche Seymour ha firmato una petizione contro la guerra,
ma non gli si può chiedere di sentirsi responsabile dei rapporti
tra la politica del suo paese e una way of life che ha creduto di
poter depurare da ogni forma di violenza […]. Mettendo una
bomba all’ufficio postale, Merry ha introiettato quella
responsabilità: meglio un delitto deliberato che una colpa
consapevole, meglio il dolore aperto della rimozione, meglio la
tragedia della pastorale […]. Identificandosi con le vittime,
Merry ha rivendicato la sua quota di violenza, di ingiustizia e di
sovranità. Attraverso il suo rancore infantile per un padre
troppo amato, attraverso la sua stupidità distruttiva pronta a
rovesciarsi quattro anni dopo nel suo estremo opposto, […] si
fa strada la consapevolezza che in una società ingiusta
l’innocenza è soltanto violenza degradata”.