Psicobiologia del comportamento La psicobiologia si occupa di studiare le basi biologiche del comportamento. Perché evidenziare nel nome del corso “Psicobiologia del comportamento”? Perché in questo corso cercheremo di capire le basi delle differenze interindividuali nel comportamento, sia nel suo sviluppo che nelle sue modifiche, ed il ruolo svolto dall’ambiente in cui un soggetto si sviluppa e vive e dal genotipo del soggetto. Cercheremo in primo luogo di capire in che modo il patrimonio genetico e l’esperienza individuale interagiscono nel guidare lo sviluppo del comportamento e dei diversi circuiti neurali che ne sono alla base. Vedremo esempi che illustrano come l’esperienza individuale possa condurre, grazie alla elevata plasticità dei circuiti neurali in sviluppo, allo sviluppo di un cervello individuale: esperienze diverse, cervelli diversi, comportamenti diversi. Vedremo anche le basi biologiche dell’esistenza di periodi critici nello sviluppo e le loro conseguenze. Vedremo poi i risultati di studi recenti sul ruolo delle interazioni geni-ambiente nello sviluppo del comportamento: la ricerca conferma sempre di più il ruolo cruciale dell’ambiente precoce come fattore guida dello sviluppo dei circuiti nervosi e del comportamento ma ne sottolinea anche le interazioni con il genotipo del soggetto nello svolgimento di questo ruolo. Introdurremo poi il concetto di meccanismi epigenetici e del loro ruolo nel consentire all’ambiente di modificare in maniera duratura il comportamento di un soggetto: l’epigenetica è il meccanismo attraverso il quale l’ambiente “parla” ai nostri geni, e quindi al nostro cervello ed al nostro corpo. Come esempio di disturbi del neurosviluppo su base genetica, vedremo la sindrome di Rett. Vedremo anche gli effetti di modifiche dell’ambiente sul fenotipo in modelli animali di sindrome di Rett e le possibili implicazioni per l’uomo. Particolare attenzione sarà dedicata ai fattori che possono contribuire alla resilienza. Cosa si intende per resilienza? Alcune definizioni Il termine "resilienza" in origine proveniva dalla metallurgia: indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. La resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà Trabucchi P: “Etimologicamente “resilienza” viene fatta derivare dal latino "resalio", iterativo di "salio". Qualcuno propone un collegamento suggestivo tra il significato originario di "resalio", che connotava anche il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare, e l’attuale utilizzo in campo psicologico: entrambi i termini indicano l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà.” Analogia con la chiglia di una nave Nestler, E (2012): “Resilience refers to the capacity of an individual to avoid negative social, psychological, and biological consequences of extreme stress that would otherwise compromise their psychological or physical well being.” Il lavoro in cui per la prima volta fa la comparsa il termine resilienza in campo psicologico è Werner, 1993. Questo esempio anticipa un punto che tratteremo a fondo nelle lezioni del corso ed illustra bene il concetto di resilienza. Werner, E. (1993). Risk resilience and recovery: Perspectives from the Kauai longitudinal study. Development and Psychopathology, 5, 503-515. A partire dal 1955 Werner condusse una ricerca longitudinale su circa 700 neonati nelle Hawaii. Circa un terzo di questi neonati avevano tutti i prerequisiti per una prognosi di disagio psichico, in quanto esposti a diversi fattori di rischio ambientale. E questo si rivelò vero come trend di coorte. Tuttavia, un terzo di questi bambini, mostrava in età adulta migliori condizioni di vita rispetto all’ambiente in cui erano nati e si mostravano come adulti in grado di avviare relazioni stabili, con buona o molto buona riuscita nel lavoro e con caratteristiche di altruismo. Quali fattori differenziavano questi individui resilienti rispetto a coloro che avevano invece “ceduto” alla negatività delle condizioni di partenza? C’erano forse dei fattori di protezione che avevano consentito di fronteggiare l’ambiente negativo e avevano promosso uno sviluppo adeguato? Comprendere cosa aveva reso resilienti quei bambini avrebbe potuto facilitare lo sviluppo di interventi per prevenire o favorire il recupero di individui esposti a condizioni ambientali avverse? Queste riflessioni hanno contribuito a spostare lo sguardo e lo studio dall’analisi dei motivi che determinano una fonte di disagio, ovvero studi sugli effetti della mancanza e sulla vulnerabilità, verso l’indagine dei fattori protettivi e che promuovono il recupero. E’ come l’impatto che l’introduzione del paradigma dell’arricchimento ambientale (Rosenzweig) ha avuto, in campo psicobiologico sperimentale, nello spostare il fuoco dagli effetti della deprivazione agli effetti dell’arricchimento. Lo studio di Werner prosegue ancora, come è il caso di altri studi longitudinali che prenderemo in esame. Da un breve “commentary” di Werner, relativamente recente (Werner EE: Journeys from childhood to midlife: risk, resilience, and recovery. Pediatrics. 2004 Aug;114(2):492.) copio l’incipit: “The latest report from the Kauai Longitudinal Study addresses 2 fundamental questions of interest to pediatricians and health care professionals: 1)What are the long-term effects of adverse perinatal and early child-rearing conditions on individuals’ physical, cognitive, and psychosocial development at midlife? 2) Which protective factors allow most individuals who are exposed to multiple childhood risk factors to make a successful adaptation in adulthood?” In effetti, il numero di quarantenni che mostrano un buon recupero dai problemi evidenziati nello studio originale del 1993 è alto: “Most of the high-risk youths who had developed serious coping problems in adolescence (learning disabilities, mental health problems, teenage pregnancies, and/or a record of delinquencies) had staged a recovery by the time they reached the end of their fourth decade of life.” Ci sono quindi fattori protettivi precoci, che agiscono durante lo sviluppo, ma anche fattori protettivi “tardivi”. Dove cercarli? Nell’individuo stesso, magari a livello genetico? Nell’ambiente? E come agiscono questi fattori “protettivi”? Ci sono dei “periodi critici”? Queste sono alcune delle domande cui cercheremo di rispondere con l’approccio psicobiologico. I risultati recenti riportati in letteratura indicano che la resilienza nell’uomo rappresenta un processo attivo, adattivo, e non semplicemente l’assenza di quelle risposte patologiche all’ambiente che hanno luogo negli individui vulnerabili. Per comprendere più a fondo i meccanismi della resilienza, sono di grande aiuto i modelli animali. Modello del “social defeat”, Nestler Resiliente Suscettibile I lavori più recenti (ultimi 10 anni circa) hanno iniziato ad identificare meccanismi che potrebbero essere alla base della resilienza, meccanismi che sono ambientali, genetici, epigenetici e impingono su precisi circuiti neurali. In particolare, come vedremo, l’ambiente, i fattori genetici, le loro interazioni ed i meccanismi epigenetici contribuiscono alla resilienza attraverso cambiamenti plastici adattivi che hanno luogo in diversi circuiti neurali che coinvolgono numerosi neurotrasmettitori e numerose vie molecolari. Questi cambiamenti plastici modellano il funzionamento dei circuiti neurali che regolano la paura, la reattività emotiva, la ricompensa (la soddisfazione) ed il comportamento sociale. E’ l’insieme di questi cambiamenti plastici che si ritiene medi il far fronte con successo alle situazioni avverse. Vedremo che la resilienza non è solo mediata dalla assenza di anormalità molecolari chiave che hanno luogo in animali suscettibili, riducendo le loro capacità di coping, ma anche dalla presenza di adattamenti molecolari nuovi, che hanno luogo solo negli individui resilienti e che potrebbero aiutare a far fronte alle situazioni avverse. Il primo meccanismo (assenza di risposte molecolari “negative”) potrebbe essere visto come un meccanismo di resilienza passiva. Il secondo meccanismo (presenza di risposte molecolari “positive”) potrebbe essere visto come un meccanismo di resilienza attiva. Vedremo che alcuni meccanismi di resilienza attiva agiscono controbilanciando cambiamenti plastici molecolari che possiamo considerare maladattivi e che sono proprio quelli che avvengono negli individui vulnerabili. Un sistema su cui concentreremo una forte attenzione è il sistema dello stress. E’ noto da tempo che eventi avversi possono essere percepiti in modo differente da individui diversi e che possono avere o no effetti negativi duraturi in funzione del livello di resilienza o vulnerabilità individuale allo stress. I processi neurali che regolano le risposte ad eventi ed ambienti avversi non implicano solo l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse Hypothalamus-Pituitary-Adrenal, HPA) ma anche strutture come l’ippocampo, aree corticali prefrontali, il sistema della ricompensa endogena e circuiti neurotramettitoriali con azione neuromodulatrice come il sistema dopaminergico, serotoninergico e noradrenergico. I processi di plasticità neurale alla base della differente resilienza allo stress (sia in termini di “costruzione” della resilienza durante lo sviluppo che in termini del suo mantenimento durante l’età adulta) coinvolgono quindi differenze nella connettività anatomica, funzionale e nei processi molecolari in una vasta parte del cervello. Le parole chiave di quanto detto finora sono: Ruolo dell’esperienza individuale nello sviluppo del comportamento Risposte neuroplastiche (adattive e maladattive) Fattori genetici ed ambientali e loro interazioni Fattori epigenetici Azione su specifici circuiti nervosi La scaletta delle lezioni seguirà queste parole chiave: a)vedremo le diverse fasi dello sviluppo cerebrale, ed il ruolo svolto dall’esperienza nel guidare lo sviluppo neurale e del comportamento. b) vedremo in modo approfondito i meccanismi di plasticità neurale ed i relativi metodi di studio. c) esamineremo poi in maniera critica esempi dell’approccio Geni x Ambiente nello studio dello sviluppo del comportamento e nella resilienza. d) Introdurremo poi cosa sono i meccanismi epigenetici ed esamineremo in maniera critica esempi che illustrano come l’ambiente, attraverso meccanismi epigenetici, ed interagendo con fattori genetici, possa contribuire allo sviluppo del comportamento e alla resilienza o alla vulnerabilità degli individui. e) passeremo in rassegna le attuali conoscenze sulla psicobiologia della Sindrome di Rett. Ovviamente, prima di affrontare i punti c e d introdurremo gli specifici circuiti nervosi a livello dei quali si potrebbero manifestare l’effetto delle interazioni G x A e l’effetto delle modifiche epigenetiche (ad esempio, sistema della ricompensa endogena, sistema del controllo delle emozioni, ippocampo). Introdurremo anche brevemente ed in maniera critica i modelli animali più utilizzati nella psicobiologia del comportamento, in modo da sviluppare anche la capacità di leggere criticamente i lavori scientifici in questo campo. Nelle ultime lezioni esamineremo un altro stadio della vita in cui avvengono notevoli cambiamenti ed in cui si manifestano forti differenze interindividuali, che è l’invecchiamento. Vedremo quali sono i correlati neurali dell’invecchiamento cognitivo fisiologico e quali quelli dell’invecchiamento patologico. Esamineremo in particolare quali fattori “protettivi” potrebbero contribuire a quello che viene chiamato “invecchiamento di successo” e quali invece potrebbero essere i fattori di rischio, che aumentano la probabilità, ad esempio, di avere un forte declino cognitivo con l’età, con particolare attenzione ai fattori “stile di vita”, e agli studi sugli interventi basati su tali evidenze e attualmente in corso. Obiettivi del corso L’obiettivo di questo corso è innanzi tutto di fornire le basi per la comprensione e lo studio dei substrati biologici dello sviluppo del comportamento e delle sue modificazioni (sviluppo dei circuiti nervosi, funzione sinaptica, plasticità sinaptica, …) con la finalità di comprendere meglio anche la patogenesi di disturbi e di intervenire sulla prevenzione e/o sul recupero. Obiettivi del corso Stimolare le capacità di analisi critica della letteratura scientifica nel campo. Sviluppare le competenze necessarie per lavorare nel campo dei modelli preclinici. Sviluppare le competenze utili per l’inserimento in equipes multidisciplinari che lavorano nel campo della ricerca e dell’intervento sullo sviluppo del comportamento e sulla patogenesi, prevenzione e/o recupero di disturbi del medesimo. Materiale didattico: Non ci sono libri di testo su questi argomenti. In aggiunta alle diapositive del corso, che troverete sul sito e-learning, metteremo a disposizione sul medesimo sito alcuni lavori di rassegna bibliografica che fungeranno da dispense. Modalità d’esame: Scritto 10 domande aperte (max 2 punti l’una, max 20 punti totali) e 12 domande chiuse, V o F con giustificazione obbligatoria e penalizzazione (1 punto per risposta corretta, -0.25 per una risposta sbagliata, 0 punti per risposta non data o non giustificata, max 12 punti totali). Voto totale x/32, normalizzato a x/30. Orale, facoltativo sopra il 21/30 allo scritto. Ci saranno due compitini, uno sul primo modulo ed uno sul secondo modulo, ciascuno con 5 domande aperte e 6 chiuse. Le date saranno decise a lezione Possibile scaletta temporale (file excel)