Umanesimo e Rinascimento
L’unificazione dello spazio
I luoghi teatrali
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Tra Quattro e Cinquecento assistiamo ad una contaminazione di luoghi e spazi
popolari (spettacoli di piazza e rappresentazioni sacre) con la cultura erudita (mitologia,
commedia e tragedia greco-latina).
Ferrara, Roma, Milano, Mantova, Urbino, Firenze, Venezia – si mettono in scena
commedie latine, tornei, spettacoli di mimo nei «luoghi teatrali» delle corti: saloni,
cortili, chiese, giardini, logge. Gli spettacoli vengono allestiti nell’ambito della festa,
luogo e momento unificante degli eventi che vi accadono – nelle sue forme ideali, la
città e la sua storia.
A Ferrara, fin dagli anni Trenta, Guarino Veronese (1370-1460) lavora a Plauto e
Terenzio, il figlio Battista Guarini volgarizza Plauto dal 1479 e Matteo M. Boiardo dal
1476 volgarizza Senofonte, Cornelio Nepote, Apuleio. A corte circolano Vitruvio e il De
re aedificatoria di Leon Battita Alberti (Cesare Cesariano comincerà a tradurre e
commentare Vitruvio nel 1499).
Dal 1486, il duca Ercole I fa mettere in scena i Menechini, volgarizzamento dei
Menaechmi di Plauto, nel cortile del palazzo ducale, facendo erigere dei palchi per gli
spettatori e uno di fronte per la scena, che rappresentava una città con cinque case
merlate dotate di porta e finestra. Gli attori erano in maschera e recitarono «in rima
vulgariter in canto». La festa fu conclusa da fuochi d’artificio e un fantoccio del
Carnevale, che venne bruciato. Vi assistettero migliaia di persone.
Testimonianze 1
• Il Duca Ercole da Este fece fare una festa in lo suo Cortile, & fu una facezia
di Plauto, che si chiamava il Menechmio . Erano dui fratelli, che si
assomigliavano, che si acconosceano uno de l'altro; e fu fatta suso uno
Tribunale di legname con case V. merlade con una finestra, & uscio per
ciascuna ; poi venne una frusta [una nace, in realtà un carro camuffato] di
verso le caneve, & enfine, & traversò il Cortile con dieci Persone dentro con
remi & vela del naturale, & qui si attrovonno li fratelli l'uno con l'altro; li quali
erano siati gran tempo, che non si aveano visti, e la spesa di ditta Festa
venne più di Ducati 1000 (Bernardino Zambotti, Diario ferrarese, 25 gennaio
1486)
• Il Duca Hercole fece fare una festa in lo Cortile con uno Tribunale , che
pareva uno Castello, che tenea da uno muro all'altro, & fu una facezia di
Plauto, chiamata Cefalo [in realtà di Niccolò da Correggio], la quale fu bella, e
di grande spesa (id., 21 gennaio 1487)
Testimonianze 2
•
Il Duca Hercole fece fare in dicto Cortile a tempo di notte la festa di Amphitrione &
di Sosia con uno Paradiso con stelle, & altre rode, che fu una bella cosa; ma non
si potè finire perche cominciò a piovere, et bisognò lasciare stare ha hore V. di
notte, & dovea durare fino a le IX. & ghe era il Marchese di Mantua , & messer
Anibale de' Bentivogli fiolo di Messer Zoanne de'Bentivogli di Bologna con una
grande compagnia, li quali erano venuti a tuorre la Sposa Fiola del Duca Hercole
per dicto Messer Anibale (id., nozze di Annibale Bentivogli con Lucrezia, figlia
naturale di Ercole I, 26 gennaio 1487)
• Dopoi feceno una bella festa, nella quale ghe era assai Gentildonne & in
maneggio della Sala ghe era uno Paradiso, e dopoi dicta Festa feceno la
Commedia di Amphitrione. A di XIII. & era di Domenica, feceno una
bellissima Festa suso la predicta Sala, & dopoi un'altra bella Commedia (id.,
nozze di Alfonso I, figlio di Ercole I, con Anna Maria Sforza, 12 febbraio 1491)
• Il Duca di Ferrara fece fare in la sua Sala grande la Festa seu Commedia di
Sosia di Terenzio [in realtà, di Plauto] in dimostrazione (id., 10 febbraio 1499)
• Il Duca Hercole fece ballare, & la sera fare una Commedia di Plauto, che
durò fino a hore tre di notte (id., 11 febbraio 1499)
Testimonianze 3
•
Illustriss. & Excellentiss. Domino Genero & Fratri nostro dilectissimo Domino Francisco
Marchioni Mantua Illustrissimi Dom. Venetor. Armor. Capit. generali. Illu. & Ex. Domine
Gener. & fr. nost. dilect. Havemo ricevuta la lettera de la S. V. per la quale la ne
addimanda, che vogliamo mandarle quelle Commedie Vulgari, che Nui già facessimo
recitare. Et in risposta gli dicemo chel ne rincresce non poter satisfare al desìderio suo,
che volemo che la sappia che quando Nui facessimo recitare dicte Commedie, il fu
dato la parte sua a cadauno di quelli, che li havevano ad intervenire,
acciocch'imparassino li versi a mente, & da poi che furon recitate, Nui non havessimo
cura di farle ridurre altramente insieme, né tenerne copia alcuna, & il volergele ridurre
al presente seria quasi impossibile per ritrovarsi parte di quelle persone,
ch'intervennero in dicte Commedie, in Franza, parte a Napoli, & alcuni a Modena & a
Reggio, che sono uno Zacchagnino, & m. Scarlattino. Sì che la S. V. ne haverà
excufati, se non ge le mandemo. Lo è ben vero, che volendole Nui fare recitare a la
Illu. m. Marchesama se la non se partiva havevamo dato principio a volere fare rifare la
parte de li predicti che li manchano cavandole dal teslo delle Commedie di Plauto, che
se ritrovamo aver traducte in prosa. Ma dopo la partita sua non vi havemo facto altro.
Se la S. V. desiderarà mo de havere alcuna de dicte Commedie in prosa, & ne advisi
quale, Nui subito la faremo cavare dal libro nostro volentieri, & la manderemo a la V. S.
a li beneplacite de la quale ne offerimo paratissimi. Ferraris quinto Februarii 1496.
Hercules Dux Ferraris (lettera di Ercole I a Francesco Gonzaga)
«in forma de una
citade»
L’immagine che ci avvicina alla
scena ferrarese potrebbe essere
quella del Codice Marciano della
Betìa di Ruzzante: «Betìa di
Ruzzante, con l‘ostaria e la casa de
bethia affacciate sulla via publicha»
«in forma de una
citade» 2
Un altro modello di scena è quello
cosiddetto «a cabine balneari»: si
tratta dell’edizione di Lione delle
Commedie di Terenzio del 1493,
relativa all’Andria. Qui si mostra il
passaggio da una scena plurima
(polittico medievale) ad uno spazio
accentrato.
«in forma de una
citade» 3
Nell’edizione delle commedie di
Plauto del 1518 di Melchiorre Sessa
e di Pietro de‘ Ravani, troviamo
questa illustrazione, dove coesistono
cabine con porte e finestre insieme
al portico (forse memoria di origine
latina?).
«in forma de una
citade» 4
Dalla fine del Quattrocento si
diffonde il cortile a due piani di
porticato sul modello dell’anfiteatro
romano, nonché a logge di tre o
cinque archi. Baldassarre Peruzzi
erige, fra il1505 e il 1511, la facciata
nord della Farnesina come una
scenafronte adatta alle
rappresentazioni teatrali, dove una
piattaforma è racchiusa tra due ali
aggettanti.
«in forma de una
citade» 5
«rappresentavano il
paradiso veramente»
Verso il 1430, a Firenze, Filippo
Brunelleschi, aveva organizzato,
all’interno di una festa religiosa come
il Mistero dell’Annunciazione, una
macchina scenica ricca e complessa
(ripresa forse da Sandro Botticelli,
nell’Annunciazione alla National
Gallery di Londra). Racconta Vasari,
nelle sue Vite, che alle capriate della
parte alta della chiesa era assicurata
con un anello una semisfera di assi
di legno su un telaio di ferro, che
ospitava fanciulli, vestiti da angeli.
Anche se Brunelleschi non ha già in
mente la scena rinascimentale, è
però vero che aspira alla costituzione
di uno spazio unitario.
«rappresentavano il
paradiso veramente»
Sandro Botticelli, Annunciazione,
National Gallery di Washington
Beato Angelico (13951455)
Annunciazione
Fino all’avvento della riforma del
calendario voluta dal papa Gregorio
XIII nel 1582, che fissò il capodanno
al I° di gennaio, il 25 marzo fu per
Firenze una data particolarmente
importante perché segnava, come in
altre città italiane ed europee, l’inizio
dell’anno civile secondo il computo,
cosiddetto ab Incarnatione, cioè
calcolato dalla ricorrenza liturgica
dell’Annunciazione. L’affezione dei
fiorentini per il ‘loro’ capodanno era,
tuttavia, tale che aspettarono fino al
I° gennaio 1750 per adottare il
calendario gregoriano, la cui
applicazione fu stabilita per decreto
dal Granduca Francesco Stefano di
Lorena.
• All’episodio dell’Annunciazione si riconduce anche una tradizione festiva che
risale, secondo l’attestazione delle fonti, agli anni ’20-’30 del XV secolo:
quello della rappresentazione che veniva annualmente allestita, di solito il
lunedì in albis e non il 25 marzo per non interferire con le funzioni
quaresimali, nella chiesa camaldolese di San Felice in Piazza dalla
confraternita di S. Maria Annunziata e laudesi della Nostra Donna detta in
seguito dell’Orciuolo. La caratteristica di questa ‘festa’, come viene anche
definita dalle testimonianze coeve, era l’impiego di un allestimento scenico
complesso, arricchito da soluzioni illuminotecniche e musicali di grande
effetto, che visualizzava l’immagine del Paradiso, collocato sulle capriate del
tetto della chiesa, e il collegamento fra questo e la dimora della Vergine,
posta su un palco di legno innalzato al centro della navata, tramite un
dispositivo ascensionale a forma di mandorla.
• La più completa descrizione di questo apparato è quella di Giorgio Vasari,
nella Vita del Brunelleschi al quale attribuisce la paternità dell’ingegno e si
riferisce con ogni probabilità all’allestimento, forse dello stesso Vasari,
realizzato nel 1565 in occasione delle nozze fra Francesco de’ Medici (figlio
del duca Cosimo I) e la regina Giovanna d’Austria.
«rappresentavano il paradiso veramente» 01
• Questi putti che in tutto erano dodici, essendo accomodati come si è detto
sopra le base, e vestiti da angeli con ali dorate e capelli di matasse d’oro, si
pigliavano, quando era tempo, per mano l’un l’altro, e dimenando le braccia
pareva che ballassino, e massimamente girando sempre e movendosi la
mezza palla; dentro la quale, sopra il capo degli angeli, erano tre giri ovver
ghirlande di lumi, accomodati con certe piccole lucernine che non potevano
versare, i quali lumi da terra parevano stelle, e le mensole, essendo coperte
da bambagia, parevano nuvole. Del sopraddetto anello usciva un ferro
grossissimo, il quale aveva accanto un altro anello, dove stava appiccato un
canapetto sottile che, come si dirà, veniva in terra. E perché il detto ferro
grosso aveva otto rami che giravano in arco quanto bastava a riempire il
vano della mezza palla vota, e il fine di ciascun ramo un piano grande quanto
un tagliere, posava sopra ogni piano un putto di nove anni in circa, ben legato
con un ferro saldato nell’altezza del ramo, ma però in modo lento, che poteva
voltarsi per ogni verso.
«rappresentavano il paradiso veramente» 01
• Questi otto angeli, […], calavano dal vano della mezza palla fino sotto al
piano de’ legni piani che reggono il tetto, otto braccia; di maniera ch’erano
essi veduti, e non toglievano la veduta degli angeli ch’erano intorno al di
dentro della mezza palla. Dentro a questo mazzo degli otto angeli, che così
era propriamente chiamato, era una mandorla di rame vota dentro, nella
quale erano in molti buchi certe lucernine messe in sur un ferro a guisa di
cannoni, le quali, quando una molla che si abbassava era tocca, tutte si
nascondevano nel voto della mandorla di rame, e, come non si aggravava la
detta molla, tutti i lumi per alcuni buchi di quella si vedevano accesi. Questa
mandorla, la quale era appiccata a quel canapetto, come il mazzo era
arrivato al luogo suo, allentato il picciol canapo da un altro arganetto, si
moveva pian piano, e veniva sul palco ove si recitava la festa; sopra il quale
palco, dove la mandorla aveva da posarsi appunto, era un luogo alto a uso di
residenza con quattro gradi, nel mezzo del quale era una buca, dove il ferro
appuntato di quella mandorla veniva a diritto; ed essendo sotto la detta
residenza un uomo, arrivata la mandorla al luogo suo, metteva in quella,
senza essere veduto, una chiavarda, ed ella restava in piedi e ferma.
«rappresentavano il paradiso veramente» 03
• Dentro la mandorla era, a uso d’angelo, un giovinetto di quindici anni circa,
cinto nel mezzo da un ferro, e nella mandorla da piè chiavardato in modo che
non poteva cascare; e perché potesse inginocchiarsi era il detto ferro di tre
pezzi, onde inginocchiandosi entrava l’un nell’altro agevolmente. E così,
quando era il mazzo venuto giù e la mandorla posata in sulla residenza, chi
metteva la chiavarda alla mandorla schiavava anco il ferro che reggeva
l’angelo, onde egli uscito camminava per lo palco e, giunto dove era la
Vergine, la salutava e annunziava. Poi tornato nella mandorla, e raccesi i
lumi che al suo uscirne s’erano spenti, era di nuovo chiavardato il ferro che lo
reggeva da colui che sotto non era veduto; e poi, allentato quello che la
teneva, ell’era ritirata su, mentre cantando, gli angeli del mazzo e quelli del
cielo che giravano, facevano che quello pareva propriamente un paradiso. E
massimamente che, oltre al detto coro d’angeli ed al mazzo, era accanto al
guscio della palla un Dio Padre, circondato d’angeli simili a quelli detti di
sopra, e con ferri accomodati di maniera che il cielo, il mazzo, il Dio Padre, la
mandorla, con infiniti lumi e dolcissime musiche, rappresentavano il paradiso
veramente.
Ricostruzione di Cesare
Lisi e Ludovico Zorzi per
la mostra Il luogo teatrale
a Firenze (1975)
Ricostruzione di Cesare
Lisi e Ludovico Zorzi per
la mostra Il luogo teatrale
a Firenze (1975)