Giovedì 11 marzo 2010 COME E’ NATA LA CRISI GLOBALE • La crisi globale nasce dalla più grande bolla immobiliarefinanziaria degli ultimi decenni, che è stata alimentata da una autentica esplosione dei debiti privati. • Secondo uno studio recentemente pubblicato da McKinsey Global Institute, tra il 2000 e il 2008 la crescita del debito aggregato pubblico e privato nelle principali economie avanzate è stata di oltre 40.000 miliardi di dollari. Il 75% circa di tale aumento è stato generato non dagli Stati con il debito pubblico ma dal settore privato, attraverso i debiti di famiglie, banche e imprese. • L’Italia non ha partecipato alla bolla, se non indirettamente attraverso un notevole boom del proprio export nel 2006-2008. I debiti delle famiglie italiane sono rimasti i più bassi al mondo. LA “BOLLA” ANGLOSASSONE E SPAGNOLA • Lo studio di McKinsey Global Institute evidenzia quali sono stati gli attori/Paese che in termini assoluti hanno fatto più crescere l’indebitamento aggregato del mondo tra il 2000 e il 2008. In questa speciale graduatoria figurano: le famiglie americane, inglesi e spagnole; le imprese americane, spagnole e inglesi; le banche americane, inglesi e francesi; e i debiti pubblici di Stati Uniti, Giappone e Francia. • Anche la Banca di Francia ha ricostruito una comparazione internazionale della dinamica dell’indebitamento aggregato pubblico e privato. In particolare, alla fine del 3° trimestre 2009 il più alto rapporto tra debito privato (famiglie+imprese) e PIL si aveva in Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone. I valori più bassi erano in Germania, Italia e Francia. Il più basso debito delle famiglie era in Italia. La crescita del debito “aggregato” del mondo avanzato secondo McKinsey: 2000-2008 L’ITALIA HA UNO DEI PIÙ BASSI INDEBITAMENTI DEL SETTORE PRIVATO DEBITO DEL SETTORE PRIVATO (FAMIGLIE+IMPRESE) IN % DEL PIL 3° TRIMESTRE 2009 Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Banque de France 225 200 175 150 125 100 75 50 25 0 SPAGNA GRAN BRETAGNA STATI UNITI Famiglie GIAPPONE GERMANIA Imprese non finanziarie ITALIA FRANCIA L’IMPATTO DELLA CRISI SULLE FINANZE E SULL’ECONOMIA REALE • La crisi mondiale avrebbe potuto avere sviluppi catastrofici, ma essi sono stati evitati grazie ai salvataggi delle banche e ai piani di “stimolo”. Tutto ciò ha avuto per molti Paesi un costo altissimo in termini di peggioramento delle finanze pubbliche. • Inoltre, gli sforzi dei Governi non hanno potuto comunque impedire che la crisi finanziaria trasferisse rapidamente all’economia reale i suoi effetti negativi. • Un chiaro indicatore dell’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale è dato dalla dinamica dell’export mondiale, il cui valore in dollari secondo la WTO è crollato del 31% nel 1° trimestre 2009, del 32% nel 2° trimestre e del 26% nel 3° trimestre rispetto all’anno prima. LA CRISI FINANZIARIA SI E’ RAPIDAMENTE TRASFERITA ALL’ECONOMIA REALE Si è verificato un vero crollo del commercio mondiale (dati trimestrali non destagionalizzati; indice 1° trimestre 2005=100; fonte: WTO) DAL DEBITO PRIVATO AL DEBITO PUBBLICO • Per contrastare gli effetti dirompenti dell’esplosione della bolla in molti Paesi si è assistito ad uno spostamento epocale degli squilibri finanziari dal debito privato al debito pubblico. • Negli Stati Uniti, ad esempio, il debito pubblico federale (senza contare quello degli Stati, alcuni dei quali, come la California, sono in gravi difficoltà) è salito dagli 8,7 trilioni di dollari di fine 2007 a 11,5 trilioni nel primo semestre 2009 (+32%), mentre per un confronto il debito pubblico italiano aumentava nello stesso periodo da 1.600 a 1.752 miliardi di euro (solo +9,4%). • Secondo il FMI, nel 2014 il rapporto tra debito lordo ed entrate fiscali potrebbe raggiungere il 364% negli USA, il 301% nei Paesi avanzati del G20 contro il 273% in Italia. COME LA CRISI GLOBALE HA COLPITO L’ITALIA • L’Italia è un Paese manifatturiero orientato all’export. La crisi globale ha colpito il nostro Paese non tanto attraverso un calo dei consumi delle famiglie quanto attraverso una forte riduzione dell’export, che, a sua volta, ha determinato una sensibile contrazione degli investimenti ed una massiccia riduzione delle scorte da parte delle imprese, soprattutto di quelle esportatrici. • Secondo l’Istat, nel 2009 il PIL italiano è diminuito del 5%. A questo calo hanno contribuito principalmente la domanda estera netta (-1,2 punti), le scorte (-0,3 punti) e gli investimenti (-2,5 punti), mentre il contributo negativo della spesa delle famiglie residenti ha pesato soltanto per 1/5 della variazione del PIL (-1 punto). La spesa pubblica e del non-profit è stata quasi invariata (+0,1%). UNA VALUTAZIONE COMPARATA DELL’IMPATTO DELLA CRISI MONDIALE • Quando si afferma che l’Italia ha sopportato la pur gravissima crisi globale meglio di molti altri Paesi si dice una cosa oggettiva. Per mesi si è discusso, spesso con toni accesi, sulle previsioni. Ma ora finalmente disponiamo dei dati definitivi sul PIL. • Peraltro, misurare l’impatto che la crisi globale ha avuto sulle diverse economie soltanto attraverso il PIL è fuorviante, perché bisogna tenere in considerazione anche il fortissimo peggioramento dei conti pubblici sperimentato dai Paesi che hanno effettuato i maggiori interventi di salvataggio e di “stimolo” dell’economia: interventi che comunque non sono riusciti a frenare una crescita della disoccupazione che è risultata molto più elevata che in Italia. Analizziamo i dati. IL PIL ITALIANO È CALATO ESATTAMENTE COME IN UK, GERMANIA E GIAPPONE • Se consideriamo i Paesi del G-6 e la Spagna, nel 2009 il calo del PIL italiano in termini reali rispetto al 2008 è stato del 5%, esattamente uguale a quello registrato in Germania, Gran Bretagna e Giappone, ma tutti questi Paesi hanno “speso” molto più dell’Italia per contenere gli effetti della crisi. • La diminuzione del PIL è stata invece minore in Francia (2,2%), negli Stati Uniti (-2,4%) e in Spagna (-3,6%), ma il prezzo di queste “performance” apparentemente migliori è stato altissimo in termini di peggioramento dei deficit pubblici saliti nel 2009 a livelli record: -8,3% del PIL in Francia, -11,2% in Spagna e -12,5% negli Stati Uniti, contro un deficit del 5,3% in Italia. DOVE I PIL SONO DIMINUITI DI MENO SONO ESPLOSI I DEFICIT PUBBLICI Variazioni % del PIL e dei rapporti deficit/PIL tra il 2008 e il 2009 Fonti: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat, Eurostat, FMI FRANCIA STATI UNITI SPAGNA GRAN BRETAGNA GERMANIA ITALIA GIAPPONE -8 -7 -6 -5 variazione % del PIL in termini reali -4 -3 -2 -1 punti di variazione del rapporto deficit/PIL 0 UNA MISURAZIONE PIÙ REALISTICA DELLA PERFORMANCE ECONOMICA COMPLESSIVA • Per avere un’idea più realistica della performance economica complessiva dei vari Paesi nel 2009, si può rozzamente sommare la variazione percentuale in termini reali del PIL ai punti di variazione del rapporto deficit/PIL rispetto al 2008. Si tratta di un esercizio teoricamente e metodologicamente un po’ fuori dagli schemi, ma utile per capire il reale senso di direzione degli eventi economici. • Così facendo, si potrà osservare che l’impatto complessivo della crisi mondiale è stato meno forte in Giappone, Francia ed Italia rispetto a Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna. LA DINAMICA CONGIUNTA DEI PIL E DEI DEFICIT PUBBLICI NEL 2009 Variazioni del PIL e del rapporto deficit/PIL tra il 2008 e il 2009 punti di variazione variazione Indice di % del PIL del performance in termini rapporto complessiva reali (a) deficit/PIL (c=a+b) (b) GIAPPONE -5 -1,9 -6,9 FRANCIA -2,2 -4,9 -7,1 ITALIA -5 -2,6 -7,6 GERMANIA -5 -3,4 -8,4 STATI UNITI -2,4 -6,6 -9 SPAGNA -3,6 -7,1 -10,7 GRAN BRETAGNA -5 -7,4 -12,4 Fonti: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat, Eurostat, FMI. LA PERFORMANCE ECONOMICA “INTERNA” • Se poi si vuole “depurare” dall’effetto del crollo del commercio mondiale e delle esportazioni la dinamica economica dei diversi Paesi, ottenendo un indice di performance “interna”, si può sommare la variazione percentuale della domanda interna in termini reali registrata nel 2009 ai punti di variazione del rapporto deficit/PIL rispetto al 2008. • Così, si potrà osservare che l’impatto complessivo “interno” della crisi mondiale è stato meno forte in Germania, Giappone, Italia e Francia rispetto a Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna, cioè i Paesi effettivamente più coinvolti nella “bolla” immobiliare e finanziaria, che oggi sono anche quelli più sotto pressione sotto i profili dei conti pubblici, del calo dei consumi, della crisi edilizia e della disoccupazione. L’ITALIA NEL 2009 È TRA I PAESI CHE HANNO MEGLIO SOPPORTATO LA CRISI Variazioni della domanda interna e del rapporto deficit/PIL tra il 2008 e il 2009 punti di Indice di variazione variazione performance % della del complessiva domanda rapporto "interna" interna (a) deficit/PIL (c=a+b) (b) GERMANIA -2,2 -3,4 -5,6 GIAPPONE -3,8 -1,9 -5,7 ITALIA -3,5 -2,6 -6,1 FRANCIA -2 -4,9 -6,9 STATI UNITI -3,4 -6,6 -10 GRAN BRETAGNA -5,5 -7,4 -12,9 SPAGNA -6,1 -7,1 -13,2 Fonti: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat, Eurostat, FMI. ALTRE NITIDE EVIDENZE DI “RESILIENZA” DELL’ECONOMIA ITALIANA L’economia italiana nel corso della crisi ha evidenziato chiaramente altri elementi di “resilienza”, tra cui: • una minore caduta della ricchezza delle famiglie, che in Italia non soltanto è meglio distribuita che in altri Paesi (come è stato dimostrato dagli studi dell’Università delle Nazioni Unite e dal Luxembourg Wealth Study), ma è anche basata su asset reali e finanziari più “solidi”; • una minore esposizione estera del sistema bancario; • un debito aggregato inferiore a quelli di Giappone, Spagna, Gran Bretagna ed in linea con quello USA; • una tenuta della competitività internazionale del proprio export. LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE È RIMASTA QUASI INTATTA DURANTE LA CRISI Ricchezza delle famiglie a valori correnti: stock di ricchezza finanziaria netta e immobili Indici 2000=100 Fonti: elaborazione Fondazione Edison su dati Banca d'Italia, FED, UK Office for National Statistics 160 150 140 130 120 110 100 90 2000 2001 2002 2003 2004 Gran Bretagna 2005 Italia 2006 Stati Uniti 2007 2008 primo semestre 2009 E LA RICCHEZZA FINANZIARIA DEGLI ITALIANI RESTA TRA LE PIÚ ALTE NELL’UE Ricchezza finanziaria netta per abitante: anno 2008 (euro) Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Eurostat 70.000 60.000 50.000 40.000 30.000 20.000 10.000 Ita lia A G us ra n tr ia B re ta gn Fr a an c G er ia m a D an nia im ar ca Sv Po ezi a rt og al lo Irl an d Fi nl a an di Sp a ag Sl na ov en ia G re ci U ng a he ri Po a lo ni a Li tu an ia B ul ga Sl ov ria ac ch i R om a an Le ia tto ni a O B el gi o la nd a 0 LE BANCHE ITALIANE HANNO UNA BASSA ESPOSIZIONE NEI PAESI DELLA “BOLLA” Crediti consolidati dei sistemi bancari di Italia, Francia e Germania sull'estero Stock a fine giugno 2009 (miliardi di dollari) Paesi delle banche prestatrici Paesi prenditori Spagna Irlanda Portogallo Grecia TOTALE 4 PAESI CRITICI GRAN BRETAGNA STATI UNITI TOTALE USA+UK+4 PAESI CRITICI Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionali ITALIA 31,9 22,1 6,7 8,1 68,8 51,1 48,8 168,7 FRANCIA 180,1 63,2 34,5 76,5 354,3 348,9 690,4 1.393,6 GERMANIA 237,7 183,8 44,6 38,6 504,7 515,2 597,8 1.617,7 NEGLI ULTIMI 10 ANNI LA POSIZIONE RELATIVA DELL’ITALIA NEL DEBITO “AGGREGATO” È NOTEVOLMENTE MIGLIORATA Debito aggregato (di famiglie, imprese e pubblica amministrazione) dei principali Paesi avanzati: raffronto terzo trimestre 1999 - terzo trimestre 2009 (in % sul PIL) III trim 1999 1 2 3 4 5 6 7 GIAPPONE ITALIA GERMANIA GRAN BRETAGNA SPAGNA FRANCIA STATI UNITI (*) 313,2 191,3 178,7 166,6 157,3 148,2 181,8 III trim 2009 1 2 3 4 5 6 7 GIAPPONE SPAGNA GRAN BRETAGNA ITALIA STATI UNITI (*) FRANCIA GERMANIA 352,0 257,3 253,2 240,6 236,8 195,9 192,5 (*) Il dato non considera il debito pubblico federale detenuto da enti governativi e il debito dei singoli Stati Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati Banque de France E SE RAPPORTIAMO IL DEBITO PUBBLICO NON AL PIL MA ALLO STOCK DI RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE, ESSO È OGGI PIÚ BASSO IN ITALIA CHE NEGLI USA Debito pubblico in % dello stock di ricchezza netta delle famiglie: Italia e Stati Uniti Fonte: elaborazione di Marco Fortis su dati Banca d'Italia e FED; © Fondazione Edison 28% 26% 24% 22% 20% 18% 16% 14% 12% 10% 1995 1996 Italia 1997 1998 1999 2000 2001 Stati Uniti 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Stati Uniti senza beni durevoli 2009 1° sem. L’ITALIA NELL’EXPORT NON ERA UN PAESE IN DECLINO E NON LO DIVENTERÀ • Nell’ultimo decennio solo Germania e Italia hanno ben difeso le loro quote nell’export mondiale di manufatti a fronte della crescita impetuosa della Cina. Tutti gli altri maggiori Paesi industrializzati sono regrediti fortemente. • Prima dello scoppio della crisi mondiale, nonostante il “supereuro”, il contributo dell’Italia all’export totale di manufatti dei Paesi del G-6 aveva toccato i suoi massimi storici in oltre un secolo. • Nel 2007 su un totale di circa 5.500 prodotti in cui è suddivisibile statisticamente il commercio internazionale, l’Italia risultava primo, secondo o terzo Paese esportatore a livello mondiale di oltre 1.000 prodotti. • Nella crisi il nostro export è calato né più né meno di quello del Paese più competitivo al mondo: la Germania. PRIMA DELLA CRISI SOLO GERMANIA E ITALIA AVEVANO SAPUTO CONTRASTARE LO STRAPOTERE COMMERCIALE DELLA CINA Quote di mercato nell'export mondiale di manufatti 2000 2008 Cina 4,7% 12,7% Germania 10,3% 12,0% Italia 4,5% 4,3% Francia 5,8% 4,5% Canada 3,7% 2,0% Gran Bretagna 5,0% 3,1% Giappone 9,6% 6,6% Stati Uniti 13,8% 9,2% Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati WTO. variazioni 8,0% 1,8% -0,2% -1,3% -1,7% -1,8% -2,9% -4,6% IL PESO DELL’ITALIA NELL’EXPORT DEI PAESI AVANZATI È OGGI AI MASSIMI STORICI Contributo dell'Italia all'export totale di manufatti del G-6 (quote annue calcolate su dati in dollari correnti) Fonte: ONU 12% 10% 1996: anno di massimo vantaggio competitivo dato dalla svalutazione della lira 8% 6% 2006-2008: periodo di massimo svantaggio competitivo a causa del “supereuro” 4% 2% © Fondazione Edison 2008 2006 2004 2002 2000 1998 1996 1994 1992 1990 1988 1986 1984 1982 1980 1960 1958 1956 1954 1952 1950 1937 1935 1933 1931 1929 1927 1925 1923 1921 1912 1910 1908 1906 1904 1902 1900 0% NELLA CRISI IL NOSTRO EXPORT È CALATO COME QUELLO DEI NOSTRI CONCORRENTI Italia, Germania e Giappone: dinamica trimestrale comparata delle esportazioni in dollari: variazioni % rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati WTO 30 20 10 0 2006Q1 2006Q2 2006Q3 2006Q4 2007Q1 2007Q2 2007Q3 2007Q4 2008Q1 2008Q2 2008Q3 2008Q4 2009Q1 2009Q2 2009Q3 2009Q4 -10 -20 -30 -40 -50 Italia Giappone Germania NEL 2009 LA PRODUZIONE INDUSTRIALE ITALIANA È CALATA COME NEL PAESE PIÚ COMPETITIVO AL MONDO, LA GERMANIA, E MENO CHE NEI 3 PAESI OCSE CHE SPENDONO DI PIÚ IN RICERCA E SVILUPPO Produzione industriale nel 2009 in Italia, Germania e nei 3 Paesi OCSE con la più alta spesa in ricerca e sviluppo sul PIL (var. % rispetto al 2008) Fonte: OCSE 0% ITALIA SVEZIA GERMANIA -17,6% -17,8% -17,9% FINLANDIA GIAPPONE -5% -10% -15% -20% -20,9% -25% -21,8% STA PERCIÒ CAMBIANDO L’IMMAGINE INTERNAZIONALE DELL’ITALIA • La “resilienza” dell’Italia, che dipende dalla forza della nostra economia reale (basata su manifattura, turismo, agricoltura oltre che sul risparmio delle famiglie), combinata con un rigido controllo sui conti pubblici operato dal Governo, sta dando i suoi frutti e cambiando radicalmente l’immagine internazionale del nostro Paese. • L’agenzia di rating Moody’s ha elaborato un “indice di costrizione”, che misura la capacità di sopportazione della crisi da parte dei vari Paesi, stretti tra l’obiettivo di contenere la disoccupazione e quello di non compromettere i conti pubblici. Secondo questo indice, Italia e Germania sono oggi tra i grandi Paesi del mondo le economie in minore difficoltà. L’INDICE DI “COSTRIZIONE” DI MOODY’S Nella crisi odierna Italia e Germania sono i Paesi meno vulnerabili CRISI, DEBITO, CREDIBILITÀ DELL’ITALIA • Bisogna essere consapevoli del fatto che l’Italia sinora ha sofferto la crisi più a livello di imprese (in primo luogo quelle esportatrici) che non a livello di famiglie. E che la crisi delle imprese, se durasse troppo a lungo, potrebbe trasformarsi in una crisi delle famiglie, attraverso un eccessivo aumento della disoccupazione. • Tuttavia, nell’attuale scenario mondiale di tensione sui debiti sovrani (un problema che va ben oltre la crisi greca), un Paese come l’Italia che ha uno storico altissimo debito pubblico deve seguire una politica economica di assoluto rigore sui conti che ci permetta di essere credibili internazionalmente e di poter finanziare il nostro debito. Date le nostre limitate risorse dobbiamo perciò continuare a contenere il deficit primario e gli effetti della recessione sulle fasce più vulnerabili della popolazione. LA SOSTENIBILITA’ DEI DEBITI SOVRANI • La rivista “The Economist” ha presentato una classifica di sostenibilità 2010 dei debiti sovrani basata su tre indicatori: 1) deficit primario in % del PIL aggiustato per il ciclo; 2) stock di debito netto in % del PIL; 3) differenza tra i tassi sui bond governativi e la crescita nominale prevista del PIL nel 2010-2011. • L’Italia, grazie alla sua rigorosa politica sul deficit, è ritenuta meno rischiosa non solo di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, ma anche di Gran Bretagna, Giappone, Francia e Stati Uniti. IN ITALIA LE MANOVRE ESPANSIVE SAREBBERO INEFFICACI, NÉ POTREMMO PERMETTERCELE • Stante la natura essenzialmente estero-indotta della caduta del PIL italiano, legata al collasso del circuito export-scorteinvestimenti delle imprese esportatrici, e la buona tenuta dei consumi delle famiglie, una politica espansiva della domanda interna in Italia oggi non avrebbe efficacia. Sarebbe anzi azzardata, considerando l’elevato livello del nostro debito pubblico e l’attuale pressione sui debiti sovrani. • Il Governo ha preferito concentrare le poche risorse disponibili su alcuni fronti: difesa del lavoro e delle categorie più disagiate; incentivi mirati. • I risultati raggiunti non sono trascurabili: il peggioramento del saldo primario è stato inferiore rispetto agli altri Paesi; è stata contenuta la disoccupazione; il mercato dell’auto ha tenuto; sono ripartiti gli ordini interni di macchinari industriali. L’ITALIA E’ OGGI IL PAESE DELL’EURO AREA CON IL PIÙ BASSO DEFICIT PRIMARIO Deficit di bilancio esclusi interessi in % del PIL nei Paesi dell'Euro e in Gran Bretagna: anno 2010 Fonte: elaborazione Fondazione Edison su dati della Commissione Europea -4 -6 -8 -10 -12 Sl A IT A LI ta M al nc ia a Fr a re ci ov en Po ia rt og al lo O la n Eu da ro ar ea C Lu ip ss ro em bu rg D o an im ar ca Fi nl an di a A us tr ia G er m an ia B el gi o G ra n -2 G Irl an da B re ta gn a Sp ag na 0 LA DISOCCUPAZIONE IN ITALIA È CRESCIUTA MENO CHE ALTROVE • Se consideriamo i Paesi del G-7 e la Spagna, secondo i dati armonizzati dell’OCSE, le nazioni in cui il tasso di disoccupazione nel 2009 è cresciuto di meno sono state la Germania e l’Italia. • A gennaio 2010, secondo l’Eurostat, il tasso di disoccupazione era dell’8,6% in Italia e del 9,9% nell’Euro area, con punte del 10,1% in Francia, del 13,8% in Irlanda e del 18,8% in Spagna. Negli USA il tasso di disoccupazione era al 9,7%. • Pur non essendo la soluzione ottimale, è evidente che gli “ammortizzatori sociali” in Italia hanno permesso di attutire l’impatto della crisi sull’occupazione. LA CRESCITA DELLA DISOCCUPAZIONE NEL 2009 NEI PAESI DEL G-7 E IN SPAGNA Punti di variazione del tasso di disoccupazione tra il 2008 e il 2009 Fonte: OCSE, Harmonized Unemployment Rates, 8 febbraio 2010 8% 6,7% 7% 6% 5% 4% 3,5% 3% 2,1% 2,0% 2% 1,6% 1,1% 1,0% 1% 0,2% IA N A G ER M E LI A IT A C AN G IA PP O N B N A G R FR AG RE T A C IA NA A D NA N U TI ST A SP A G N IT I A 0% RISPETTO ALLA UE E AGLI USA, IN GERMANIA E IN ITALIA LA DISOCCUPAZIONE È MENO FORTE Tassi di disoccupazione a gennaio 2010 Fonte: Eurostat 20% 18,8% 18% 16% 13,8% 14% 12% 10,1% 10% 9,9% 9,7% 8,6% 7,5% 8% 6% 4% 2% 0% SPAGNA IRLANDA FRANCIA EURO AREA STATI UNITI ITALIA GERMANIA LA DISOCCUPAZIONE A LIVELLO TERRITORIALE: UN CONFRONTO ITALIA-USA • Nel secondo trimestre 2009 il tasso di disoccupazione nel Nord-Centro Italia era pari al 5,5% secondo l’Istat e, includendo anche i cassintegrati, al 6,9% secondo la Banca d’Italia: valori comunque nettamente più bassi di quelli di tutti i principali Stati industriali-manifatturieri degli USA a giugno 2009: Illinois (10,5%), Indiana (10,6%), Michigan (15,4%), New York (8,6%), North Carolina (11,2%), Ohio (11,2%),Pennsylvania (8,5%), Texas (8%) e Wisconsin (9,2%). • Alla stessa data il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno d’Italia era del 12% e, includendo i cassintegrati, del 12,7%, contro un tasso di disoccupazione della California (più che raddoppiato negli ultimi 2 anni) solo di poco inferiore, pari all’11,6%. Tassi di disoccupazione nelle Regioni italiane e negli Stati americani: 2° trimestre 2009 Fonti: elaborazione Fondazione Edison su dati Istat, Banca d'Italia e U.S. Bureau of Labor Statistics 18% 15,4% 16% 14% 12% 10,5% 10,6% 10% 8,0% 11,2% 11,2% 12,7% 9,2% 8,6% 8,5% 11,6% 12,0% 6,9% 8% 5,5% 6% 4% 2% ca co n o rn io zo g ra ti eg ss i no or gi ez zo ez M nt d' lif Ca ic M -C rd No Ita lia a or ni ga n o hi a O hi M No rt h C In ar o di lin an a s oi Ill in co n is W w Yo si n rk ia Ne sy lv an xa s Te Pe nn i eg ra t in t ca ss en t ro No co n rd -C en t ro Ita li a 0% PUR CON INCENTIVI ASSAI INFERIORI A QUELLI DI ALTRI PAESI, IL MERCATO ITALIANO DELL’AUTO HA “TENUTO” LA TREMONTI TER STA SOSTENENDO LA RIPRESA DELLA DOMANDA INTERNA DI MACCHINE PER L’INDUSTRIA Ordini dell'industria italiana di macchine utensili (var. % sullo stesso trimestre dell'anno precedente) Fonte: UCIMU 20% EFFETTO DELLA TREMONTI TER 10% 0% -10% 4tr07 1tr08 2tr08 3tr08 4tr08 1tr09 -20% -30% -40% -50% -60% -70% -80% ordini interni ordini esteri 2tr09 3tr09 4tr09 INTANTO L’EXPORT ITALIANO STA MANIFESTANDO I PRIMI SEGNALI DI RIPRESA Paesi verso cui l'export italiano è in ripresa: dicembre 2009 Paesi Variazioni % rispetto a dicembre 2008 Fonte: Istat Francia Spagna 8,6 3,0 Gran Bretagna Brasile India Cina 2,4 23,3 21,6 17,5 Ma non vanno sottovalutati i rischi per l’Italia di una ripresa mondiale troppo fiacca e lenta, su cui pesano ancora le incognite di un sistema finanziario internazionale non risanato • Pressioni internazionali sul debito pubblico • Divario competitivo nell’ottenimento del credito da parte delle PMI rispetto ad altri Paesi • Mortalità di un gran numero di PMI dell’indotto manifatturiero se la crisi durerà troppo • Aumento della disoccupazione, specie tra i lavoratori precari • Aumento delle tensioni sociali LE INCOGNITE DELLA RIPRESA MONDIALE • Rischia di essere molto lenta, c’è chi dice addirittura a W • Rischiano di scoppiare nuove “bolle”: ad es. quella degli immobili commerciali negli USA • La crescita della disoccupazione frena la ripresa dei consumi in molti Paesi • La crescita del PIL cinese è tutta ripiegata su se stessa e non basta a trascinare l’economia mondiale • Pesano come macigni le situazioni critiche di molti debiti sovrani: il rischio “default” della Grecia • Stati Uniti ed Inghilterra hanno conti pubblici disastrosi • Il dopo crisi potrebbe essere caratterizzato da un radicale cambiamento dei modelli di consumo IL LUNGO INVERNO DEL DEBITO • “Il motivo per il quale le agenzie di rating non hanno declassato il Regno Unito è che se l'avessero fatto, avrebbero dovuto - per logica conseguenza - declassare anche gli Stati Uniti. (…) In nessun caso, però, possiamo sottrarci a una scomoda verità: né il Regno Unito né gli Stati Uniti sono ricchi quanto si credeva un tempo. Si dovranno condividere le perdite, buona parte delle quali ricadranno sulla spesa pubblica, sulle tasse o su entrambe. Una volta che sarà palese che nessuno di questi paesi potrà rivelarsi all'altezza della sfida, le crisi fiscali saranno inevitabili”. Martin Wolf, “Financial Times”, 24 novembre 2009