Virginio Bettini (°), Leonardo Marotta (°), Chiara Rosnati (*), Marco Stevanin (+) (°)Università IUAV di Venezia (*)Università di Sassari (+) Terra Srl. Redazione della VIA in base IAIA e Frontier. “Ecology, in its original sense, is the study of the relation of animals to their habitat. It deals with “chaine reactions” of influences caused by the character and workings of environmental factors and the way in which they affect a particular species and vice versa.These are the same problems which face human civilization. The main lesson we can learn fron animal ecology is the need for studying human communities as a whole and in the total relationship to their physical and social environment” Gutkind E. A., 1955, Our World from the Air: Conflict and Adaptation, Man’s Role in Changing the Face of the Earth, Edited by William L. Thomas, Jr., Chicago, The University of Chicago Press, 7. La VIA si dovrebbe configurare quale strumento ideale in grado di consentirci l’analisi dei sistemi ecologici ad ogni scala di percezione, in un contesto di ambienti naturali o di forte antropizzazione. Non è stato e non è così per la semplice ragione che i motivi originali che hanno dato corpo all’applicazione della valutazione di impatto ambientale sono venuti meno in 1 funzione di un’interpretazione del tutto burocratica e funzionale agli iter di approvazione delle opere. La valutazione d’impatto ambientale potrebbe/dovrebbe ritrovare la propria funzione innovativa sulla base di un’effettiva applicazione dei principali fondamenti dell’analisi ambientale. L’analisi ambientale resta così compressa tra i parametri suggeriti dal quadro progettuale e dal quadro pianificatorio in un terrificante accumulo di dati inutili, non correlabili alla realtà ambientale specifica oggetto di indagine. Si deve quindi fare chiarezza in merito ad alcuni concetti che dovrebbero essere una sorta di traccia di base dell’analisi ambientale nella metodologia di VIA. 1-Le interazioni. Le relazioni tra specie si caratterizzano sulla base dei seguenti parametri: 1.1-la competizione per uno stesso spazio, che porta all’esclusione di uno dei due processi o all’esclusione competitiva secondo Gause, 1.2-l’antagonismo, che porta alla trasformazione dell’ambiente, 1.3-l’amensalismo, come coesistenza impossibile 1.4-il mutualismo, ruoli complementari e reciprocamente favorevoli 1.5-il commensalismo, associazione a vantaggio unilaterale. La classificazione dovrebbe riflettere il carattere favorevole o sfavorevole del rapporto tra progetto, piano ed ambiente. 2 Utilizzando quest’impostazione si da comunque spazio ad una visione meccanica dell’ecosistema, basata sul paradigma della semplificazione, tipico della scienza tradizionale. L’ecosistema è considerato un insieme di meccanismi la cui comprensione dipenderebbe dallo smontaggio e dal rimontaggio dello stesso, esattamente come avviene per le componenti del motore di una macchina. Basta osservare le linee guida per le valutazioni preliminari nella VIA, quelle che dovevano tradursi nello screening, ovvero la ricerca dei modelli della complessità del sistema e la banalità delle valutazioni di incidenza, per comprendere come si sia, opportunisticamente ed in maniera non corretta, rinunciato alla ricerca ed alla definizione della complessità del sistema in cui un’opera dovrebbe essere inserita. La VIA ha rinunciato all’uso del paradigma sistemico, il quale consentirebbe di evidenziare il carattere complesso della maggior parte delle interazioni, erroneamente definite elementari. A questo proposito, Serge Frontier, la cui opera “Les Ecosystèmes” (Paris, Presse Universitaire de France, 1999) rappresenta una base ed una guida insostituibile, ci rammenta l’esistenza di tre parametri fondamentali cui dobbiamo fare riferimento: a) le numerose relazioni indirette ed a lungo termine; alcune di queste comportano un’azione ritardata, altre una modificazione del mezzo che influisce sulla biologia delle specie; le interazioni indirette, per l’ecosistema globale, sono più importanti delle relazioni dirette: effetti di 3 feedback si manifestano quando le azioni indirette, diffferite, ma presenti nel tempo, influenzano durevolmente il sistema, b)le interazioni che fanno intervenire simultaneamente più specie o elementi del mezzo: l’insieme delle interrelazioni modifica il comportamento di ogni specie in maniera tale che l’azione specifica di una specie sull’altra dipende dal contesto biologico e fisico; come in ogni sistema nessuna interazione può essere isolata, neppure concettualmente la ste(la classica legge dell’esclusione competitiva di Gause del 1932, sostiene che “due specie non possono occupare simultaneamente ssa nicchia ecologica”), c) le relazioni multiformi (più caratteri, complementarietà, concorrenza ed antagonismo) : il complesso gioco delle interazioni spiega in gran parte la stabilità dell’ecosistema e le diverse forme evolutive. 2-Le strategie. Si deve ricordare che la strategia di un sistema complesso ed autoorganizzato risponde ad una necessità di decisione nell’incertezza dovuta a due fattori: -al carattere aleatorio delle condizioni che si riscontrano -al carattere parzialmente imprevedibile dell’evoluzione del sistema stesso. I sistemi naturali, i sistemi viventi, a seguito della selezione, si sono adattati alle condizioni d’incertezza attraverso la flessibilità delle risposte possibili ed attraverso una ben definita diversità di strategie, quali: 4 2.1-le strategie demografiche r e K, che fanno riferimento alla legge logistica che governa, in generale, la crescita della popolazione e degli individui; la scelta della strategia demografica ha luogo in un quadro di competizione interspecifica (r, massimizzando il tasso di crescita, K stabilizzando una densità adattata alle risorse del mezzo); r e K definiscono le due estremità di un gradiente: alcune specie sono in grado di adattarsi attraverso un cambiamento di strategia e quando un nuovo spazio ed una nuova risorsa diventano disponibili, la colonizzazione rapida viene assicurata da specie r (specie pioniere, robuste, poco specializzate, a crescita rapida); se poi il mezzo resta stabile, queste specie vengono progressivamente rimpiazzate da strategie K; quando interviene un nuovo elemento turbativo, le strategie K scompaiono nell’ordine in cui si sono presentate, con il ritorno al dominio da parte delle strategie r. La VIA non ha mai preso seriamente in considerazione questi parametri e non certo per colpa della mancanza di metodologie o di basi scientifiche. 2.2-Le strategie cenotiche si riferiscono alla composizione della comunità in termini di strategie demografiche e di diversità genetica delle popolazioni costituenti, con strategie: i, come individuo, relativamente poco numerose, ma che traggono beneficio da una diversità genetica importante, in grado di selezionare i genotipi più favorevoli; 5 s come specie, ovvero la coesistenza di numerose specie interattive, ciascuna a diversità genetica più debole. Esistono ovviamente, anche in quest’ambito, strategie intermedie ed alternate. 2.3-Le strategie alimentari, parte dell’energia assimilata è utilizzata per la ricerca di ulteriori risorse alimentari: una specie non può utilizzare, nella ricerca del cibo, più energia di quella che ottiene assimilando il cibo stesso. La ricerca comporta il consumo di energia ausiliaria secondaria. 2.4-Le strategie di occupazione dello spazio/tempo le esamineremo più avanti. 2.5-Le strategie di crescita contro le strategie di sviluppo, adottate nel corso dell’evoluzione dell’ecosistema in risposta alla presenza o all’assenza di perturbazioni, si riflettono particolarmente nelle fluttuazioni della diversità tassonomica. 3-I flussi di materia e di energia. La materia vivente si autosintetizza assimilando, per fotosintesi o chemiosintesi, elementi chimici ed energia. Chemiosintesi e fotosintesi si muovono lungo le catene e le reti trofiche, ritornando poi nel mezzo-ambiente: gli elementi minerali sotto forma riciclabile e l’energia sotto forma di calore non riciclabile. 6 3.1-Reti e flussi trofici Dobbiamo ricordare che i produttori primari (piante clorofilliane e batteri) assimilano direttamente elementi minerali che si trovano nell’ambiente. A partire da questi si costituirono le prime molecole organiche, gli enzimi e l’energia sotto forma di energia di legame delle molecole organiche, la cui sintesi è endotermica. La biomassa è, al tempo stesso, uno stock di energia potenziale ed uno stock di materia organica. Un concetto mai considerato nell’ambito della valutazione di impatto ambientale: il valore della biomassa non viene mai ponderato come stock di energia potenziale e le mitigazioni proposte, nel caso di forti alterazioni al sistema ambientale in termini di biomassa, non considerano mai la biomassa come stock di energia. Raramente come stock di materia organica. Circa il 50% dell’energia e della materia assimilate dai produttori primari sono immediatamente restituite al mezzo attraverso la respirazione e le escrezioni. Energia e materia non restituita transitano attraverso le reti trofiche: consumatori primari, animali erbivori, assimilano la biomassa dei produttori primari ed essi stessi sono assimilati dai consumatori secondari o carnivori primari ed avanti così…… 7 Si succedono in questo modo diversi livelli trofici: 3/ 4 negli ecosistemi terrestri, fino a 6 negli ecosistemi acquatici. La valutazione delle alterazioni ai diversi livelli trofici dovrebbe caratterizzare uno dei passaggi fondamentali della VIA, con una particolare considerazione per gli ecosistemi acquatici. Alcuni organismi consumano materia organica morta sotto forma sia disciolta che solida in diversi stati di decomposizione: sono i detritivori e, tra essi, i geofagi. I decompositori, a loro volta, danno origine a nuove catene alimentari, i microeterotrofi, protozoi consumatori di batteri. Ad ogni livello trofico una debole proporzione, dell’ordine del 10% della biomassa consumata, è effettivamente assimilata, il resto viene trasformato in molecole organiche molto semplici o minerali, disponibili per un nuovo ciclo ed in energia degradata, sotto forma di calore, non riutilizzabile. Al termine di ogni percorso la totalità degli elementi minerali e dell’energia temporaneamente stoccata nella biomassa viene restituita, ad eccezione di quanto è stato fossilizzato, che non può essere riossidato se non molto tempo dopo. 8 Bruciando carbone o petrolio noi completiamo (in senso negativo o positivo?) il ciclo della materia e dell’energia iniziatosi nel corso di antiche ere geologiche. 3.2-Analisi delle reti trofiche per classi di taglia degli organismi. Le prede di un consumatore sono generalmente comprese in un intervallo di taglia abbastanza ristretto, a diversi livelli trofici. La taglia degli organismi tende a crescere lungo la catena alimentare, con eccezione per gli elementi substrato, come l’humus consumato dai vermi. L’ecologia della taglia trova una giustificazione energetica nella relazione allometrica, che lega la taglia al metabolismo (Bak P., 1996, How Nature Works. The Science of self-organized criticality, Springer Verlag) 3.3-Flussi aperti di energia, cicli di materia: termodinamica dei sistemi dissipativi, la legge di Morowitz Le leggi della termodinamica fanno riferimento agli stati fisici dell’equilibrio o vicini all’equilibrio. In natura ci troviamo nell’ambito della termodinamica dissipativa, in sistemi atttraversati da flussi di energia che li tengono lontani dall’equilibrio. (vedi le teorie di Prigogine e dei suoi collaboratori). Dobbiamo fare riferimento al quasi teorema di H. J. Morowitz, che così possiamo sintetizzare: (Morowittz H.G., 1968, Energy flow in biology, London, Academic Press) 9 “ad ogni flusso di energia è almeno associato un flusso di materia” Sostenere che ogni flusso di energia sia almeno associato ad un flusso di materia significa che, in effetti, se ne producono simultaneamente moltissimi in ogni circostanza concreta che interessa: -i diversi elementi costitutivi della biomassa (C, N, P, S e tutti gli oligoelementi) -le diverse scale spazio-temporali: per il carbonio e l’azoto esiste un ciclo nella pianta nel corso delle stagioni, un altro tra la pianta ed il suo sottosuolo, cicli a scala di foresta, di regione o del pianeta, con tempi che vanno dalla frazione di secondo per processi intracellulari, alla giornata o alla stagione per una singola pianta o un popolamento vegetale, a decine d’anni per la lenta decomposizione di un albero morto, a centinaia di milioni di anni se si considerano le masse di carbonio immobilizzate dall’Era Primaria, che noi oggi bruciamo. 4-Le dinamiche. Le reti trofiche sono modellizzabili sotto forma di organigrammi che comprendono comparti di biomasse legati da flussi di materia ed energia. 10 Si tratta di tenerne presente le dinamiche nel momento in cui si valutano progetti che, in qualche misura, interferiscono con l’ambiente naturale. 4.1-Recenti progressi nel campo dei modelli usuali. Una dinamica ha come obbiettivo di spiegare o di prevedere le fluttuazioni delle variabili di stato (biomasse o effettivi di popolazione) a partire da un certo numero di ipotesi semplici dei processi in gioco. La dinamica delle popolazioni ci rende conto dell’evoluzione e dei meccanismi di controllo delle popolazioni monospecifiche: -natalità, crascita, mortalità, immigrazione-emigrazione nelle dinamiche monospecifiche, -relazioni prede/predatori, competizione quando è valutato un ridotto numero di specie (non più di due o tre) (Yodzis P., 1989, Introduction to the theoretical ecology, New York, Harper & Row Jeffries C., 1989, Mathematical Modelling in Ecology, Bâle, Birkhaüser Verlag Pavé A., 1994, Modélisation en biologie et écologie, Lyon, Aleas) Da ricordare l’emergere di modelli non lineari che introducono singolarità, lasciando spazio all’imprevedibilità anche quando i modelli sono deterministici nel caso delle dinamiche a catastrofe, a biforcazione e nel caos determinista. La teoria delle catastrofi, definita da R. Thom, analizza l’imprevedibilità delle dinamiche quando si trovano in prossimità di alcuni punti critici, luogo di biforcazioni. Applicata in ecologia in un certo numero di casi, spiega i 11 bilanciamenti dinamici, ma senza essere in grado di prevederli. Basti pensare all’esplosione di insetti fitofagi che in alcuni anni, esplodono in maniera inattesa, distruggono localmente la vegetazione, ritornando poi alla densità di partenza. (Loehle C., 1989, Catastrophe theory in ecology: a critical review, Ecol. Modell., 49, 125-152) La teoria del caos determinista, avviatasi con le ricerche di E. N. Lorenz in meteorologia (1963), si è notevolmente sviluppata, ma ha poco influenzato i modelli di valutazione. Il caos si crea partendo da modelli rigorosamente deterministi: alcuna variabile aleatoria è introdotta a priori, pertanto le traettorie di un fenomeno si possono rivelare perfettamente imprevedibili al di là di un certo spazio temporale, con: -sensibilità alle condizioni iniziali, l’imprevedibilità della traettoria nei pressi di un punto critico (evocata nel caso delle catastrofi) si estende ad ogni processo, per cui vi è ovunque biforcazione, -esistenza di attrattori esterni, il sistema può passare in maniera catastrofica ed imprevedibile da un attrattore all’altro. La presenza di dinamiche caotiche in ecologia è fortemente sospettata, ma non ancora provata con certezza. (difficile è infatti distinguere, in una suite temporale non molto lunga, una traettoria caotica da una traettoria semplicemente interessata da un rumore aleatorio). 12 In ecologia cronache molto lunghe sono rare sia per il costo delle osservazioni che per la variabilità delle condizioni ambientali alla scala di qualche anno per cui risulta difficile osservare la stessa dinamica in un periodo di tempo lungo. Per ora si dispone solo di dati epidemiologici…… L’imprevedibilità, per il sistema, ha lo stesso significato, sia essa determinista o aleatoria. Le strategie di utilizzazione del caso, da parte dei sistemi complessi, si possono manifestare attraverso il caos dinamico. 4.2-Stabilità, resilienza e nozioni connesse. La nozione quantitativa di stabilità è cruciale nella teoria matematica dei sistemi dinamici. Un sistema si dice stabile quando, allontanatosi moderatamente dalla sua posizione di equilibrio, tende a ritornarvi. La VIA dovrebbe considerare questo parametro, in quanto ogni progetto o opera che sia inserita in ambiente naturale, tende ad alterare la posizione di equilibrio dell’ambiente stesso. Alle volte si parte dal preconcetto che ogni sistema si autoorganizzi per restare stabile. La realtà non è così semplice o, comunque, semplificabile. La nozione stessa di stabilità è ambigua anche perché mal definita per quanto sicuramente esistano meccanismi omeostatici. Instabilità a breve termine possono presentarsi come coerenza nel tempo lungo. 13 Il problema sta nell’introdurre il concetto dell’invarianza qualitativa o resilienza, come costanza della composizione del sistema ecologico, considerato resiliente, indipendentemente dalle sue fluttuazioni quantitative, se sono osservate le stesse specie e lo stesso insieme di interrelazioni. In effetti un ecosistema non è mai stabile. Non si trova mai in equilibrio Non tende a raggiungerlo La sopravvivenza di un sistema ambientale sta proprio nella sua possibilità di continua trasformazione, evoluzione, fluttuazione qualitativa e quantitativa, alle volte imprevedibile Cambia di stato bilanciandosi tra un attrattore e l’altro. 4.3-Energetica dell’ecosistema globale:goal functions. La variazione di entropia non è sufficiente a prevedere l’evoluzione di un sistema complesso. Si debbono definire anche le funzioni di: emergia, come quantità di energia solare necessaria allo stoccaggio di un’unità di energia nella biomassa di un comparto energetico dato, exergia, energia libera della biomassa incorporata nella struttura, ascendenza, funzione composita, espressa come il prodotto del flusso di energia totale che attraversa il sistema per la quantità di in formazione contenuta nella rete, importanza relativa degli effetti indiretti in rapporto agli effetti diretti, 14 capacità tampone (potere globale di regolazione del sistema) Tutte queste funzioni aumentano quando si passa a livelli sempre più organizzati, che orientano quindi l’autoorganizzazione del sistema. (Ulanowicz R. E., 1986, Growth and develoment: ecosystem phenomenology, New York, Springer Verlag 1997, Ecology, the Ascendence perspective, New York, Columbia Ujnivresity Press Atlan H., 1972, L’organisation biologique et la théorie de l’information, Paris, Hermann Frontier S., Pichof-Viale D., 1998, Ecosystèmes. Structure, fonctionnement, évolution, Paris, Dunod) 5-L’informazione interna, la diversità. 5.1-Diversità funzionale Un sistema di interazioni funziona sulla base di una diversità di funzioni e di ruoli, così come una società non potrebbe funzionare senza una diversità di mestieri interattivi ed un organismo senza una diversità di funzioni fisiologiche. La VIA dovrebbe valutare le ragioni per cui parametri tanto attivamente considerati nella società e nella fisiologia del corpo sono considerati non significativi per quanto riguarda gli aspetti ambientali. 15 In particolare si dovrebbe insistere molto sul rispetto del concetto di “nicchia ecologica”, come habitat di una specie, ambiente biologico incluso. Sulla base dell’insegnamento di E.P. Odum (Odum E.P., 1953, 1971, Fundamentals of ecology, Philadelphia, Saunders) si concepisce la nicchia come la posizione di una specie in una rete di interazioni, insomma come il suo ruolo nell’ecosistema: l’habitat di una specie è il suo indirizzo, la nicchia la sua professione La diversità delle nicche appare come un carattere fondamentale del funzionamento di un ecosistema. La questione della corretta applicazione delle metodologie di VIA si pone, in questo contesto, in maniera cruciale: si deve infatti fare riferimento alla diversità funzionale di un sistema attraverso la quantità di informazione contenuta nella struttura. Si dovrà calcolare e valutare la quantità di informazioni necessaria alla descrizione della struttura interessata dall’opera o dal progetto. Tutto dipende dalla scala di osservazione e dalla consistenza dei dati disponibili per la descrizione (diversità completa del popolamento di un lago, oppure solo i pesci o l’indicatore di una famiglia di pesci, o un comparto trofico…?) L’informazione quantifica la descrizione che è stata scelta. 16 Una struttura non è percepita che attraverso il suo ambiente o ad una certa scala, ad un certo livello di risoluzione dato dall’insieme degli stati individuabili. 5.2-Diversità tassonomica, sua quantificazione La diversità tassonomica fa riferimento alla diversità dei taxa presenti nell’ecosistema (specie, generi, famiglie): i ruoli distinti e complementari che si sviluppano in un sistema ecologico sono assunti da specie distinte. Diversità di specie in un lago; erbe, coleotteri e funghi in una foresta; plancton di una certa classe e taglia….. Le diverse diversità sono fortemente correlate: quando la diversità specifica di alberi diminuisce, lo stesso succede per gli uccelli, i funghi, gli insetti dello stesso ambiente. I descrittori di diversità sono i seguenti: -numero di specie inventariate o ricchezza specifica -indici di diversità matematica, come l’indice di Gleason o di Shannon (un’entropia nel senso della teoria dell’informazione). -diagramma diversità/dominanza o diagramma rango/frequenza 5.3-Diversità tassonomica, sua importanza funzionale La diversità tassonomica non riflette esattamente la diversità funzionale. 17 Alcune specie, dette specie chiave, sono insostituibili: la loro scomparsa comporta una riorganizzazione del sistema o una sua regressione verso una forma meno organizzata. Altre specie sono più o meno intercambiabili, la dominanza dell’una o dell’altra essendo legata alle circostanze o alla storia del sistema stesso, sono le specie ridondanti, egualmente importanti per il sistema, così chiamate perché se una di esse diminuisce di numero, un’altra è pronta a riprodursi/proliferare per assumerne il ruolo. Per quanto imperfetto sia, il parametro della diversità specifica è un indicatore del livello di complessità del sistema, come lo è la diversità delle funzioni umane e dei mestieri nella nostra società. (Schultze E. D., Mooney H. A., 1994, Biodiversity and the Ecosystem Function, New York, Springer Verlag) La funzione ecologica della diversità tassonomica non è univoca e la prova è data dall’indice di Shannon: aumenta quando si è di fronte ad un’evoluzione non perturbata dell’ecosistema e diminuisce dopo una perturbazione. Non può assumere un valore qualsiasi nell’intervallo matematico di definizione: -una diversità troppo debole non può essere mantenuta senza un intervento esterno, sia esso dovuto all’uomo (campo di grano abbandonato) o ad un fattore esterno (come nel caso delle aree estuariali, dove le variazioni di salinità selezionano un piccolo numero di specie tolleranti, che proliferano grazie all’assenza di specie antagoniste o concorrenti), 18 -una diversità non è mai troppo elevata nel tempo: quando si osservano valori di H di 4,8 o più, questi stessi valori sono seguiti da una diminuzione che riflette una riorganizzazione del popolamento. Insomma, troppa diversità non fa bene: se supera il suo valore ottimale, il sistema non ritrova una dinamica ben tamponata che a seguito di un’organizzazione che implica una diminuzione della diversità. Per questo si osservano, anche in comunità a diversità elevata, specie rare a fianco di specie abbondanti. 6-L’occupazione dello spazio-tempo. 6.1-Eterogeneità spaziale, variabilità temporale, interfacce. Il concetto di ecosistema viene troppo spesso definito, indipendentemente da ogni quadro spazio-temporale, come: un sistema di flusso tra organismi e tra essi ed il loro ambiente al quale è difficile assegnare un contorno spaziotemporale (Auger P., Baudry J., Fournier F., 1992, Hiérarchies et échelles en écologie, Paris, Naturalia) Un sistema ecologico è fondamentalmente strutturato nello spazio-tempo ed ogni riferimento di analisi e valutazione deve essere ricondotto a questo contesto. 19 Il valutatore non può e non deve delimitare geometricamente un ecosistema attraverso una frontiera che lo isoli, non definendo che flussi ed interazioni interne a questi confini arbitrari. La pratica della VIA, negli ultimi 35 anni, ha dimenticato che, in natura, una frontiera è un’interfaccia. Dovrebbe così essere anche nelle società umana. Una frontiera è, al tempo stesso, una separazione ed una struttura di scambio con l’ambiente. Lo spazio divide l’ecosistema sulla base di un mosaico gerarchico di parti interattive. Il tempo fa da quadro ai flussi ed alle dinamiche, ma agisce anche con alternanze periodiche o intermittenti ed attraverso transizioni che hanno valore funzionale. Spazio e tempo sono ovviamente da collegarsi anche agli spostamenti di organismi o di materia inerte. Gli ecosistemi sono organizzati sulla base di una vera strategia di occupazione dello spazio-tempo, il che permette loro di utilizzare al meglio l’ambiente. Da qui la ripartizione frequente delle popolazioni in patches e mosaici, non sempre determinata dall’eterogeneità del substrato (si pensi al mosaico foresta-savana). Si tratta di parametri pochissimo valutati nella VIA. Le patches sono interattive grazie al trasferimento di materia (vivente ed inerte) attraverso quelle che potremmo definire le loro frontiere. 20 Eterogeneità spaziale, variabilità temporale ed alternanze sono tutt’altro che un rumore di fondo, il quale disturba il fenomeno principale. 6.2-Delimitazione e taglia di un ecosistema. La delimitazione di un ecosistema non è arbitraria. La ricerca di interfacce e di alternanze naturali è decisiva per identificare il sistema di interazioni che c’interessa. La dimensione, la taglia di un ecosistema diventa un fattore decisivo per il suo funzionamento: n piccolo ecosistema non è mai il modello ridotto di un grande ecosistema Concetto poco o mai valutato nella VIA che ha esaminato le grandi infrastrutture lineari. Eventi catastrofici (nei due significati di oscillazioni di una dinamica e di disastri che ne possono conseguire) si possono verificare in ecosistemi di piccola dimensione spaziale, mentre gli stessi eventi possono essere tamponati se lo spazio è sufficiente. Nell’analisi ecologica si devono eliminare le delimitazioni arbitrarie, come quelle catastali. Qui sta uno dei nodi fondamentali del corretto screening in funzione della VIA: sono da smantellare tutte le procedure di carattere burocratico-amministrativo che vanificano l’analisi ambientali, come i diversi quadri legislativi, giuridici e pianificatori. 21 La VIA è uno strumento, un grimaldello che scompone involucri politicamente opportunistici in funzione della chiarezza ambientale. La VIA deve saper dimostrare come l’azione umana non possa continuare sempre a modificare, alla propria scala, il sistema sul quale interviene: la parte modificata del paesaggio si trasforma in un nuovo sistema, con una propria dinamica specifica, non certo isolato. La gestione della VIA esige una visione multiscalare e la questione dell’interazione tra scale successive o trasferimento di scala resta uno dei passaggi più difficili nella moderna anlisi dei sistemi. 6.3-Occupazione frattale dello spazio-tempo. L’occupazione dello spazio-tempo da parte della materia vivente è sostanzialmente a dominanza frattale. L’uomo vi contrappone una dominanza lineare. Tutto è frattale, dalla scala dei mitocondri ai margini delle foreste, alle rive del mare, passando attraverso tutte le morfologie di organi ed architetture di organi ed organismi, polmoni, licheni, felci, colonie coralline. Le traettorie degli organismi alla ricerca di nutrimento sono caotiche e frattali, così come lo è la ripartizione gerarchica del tempo nei diversi processi biologici ed ecologici. Questa geometria ha un ruolo funzionale perché il volume della materia deve essere gestito da superfici attraverso le 22 quali si organizzano gli scambi necessari di materia ed energia. La crescita delle superficie in funzione del volume è favorita dalle granulometrie, dalle rugosità, dall’arborescenza, ovvero crescita della superficie a vantaggio del volume. La traettoria degli organismi animali è in genere frattale perché aumenta considerevolmente, in rapporto ad un tragitto lineare, la frequenza degli incontri con elementi del proprio ambiente, come le prede. La biomassa a sua volta utilizza la geometria frattale, la rugosità frattale del mezzo e gli organismi ristrutturano, alle volte essi stessi, il loro ambiente di vita in maniera frattale. 7-La struttura gerarchica. Il principio gerarchico interessa i sistemi in genere ed in particolare i sistemi viventi. In biologia ed in ecologia un emboîtement funzionale coincide spesso con un emboîtement spazio-temporale (tanto è determinante l’inserimento delle strutture nello spazio-tempo) in un’organizzazione frattale: -nello spazio, essendo l’ambiente eterogeneo, regioni distinte ospitano processi distinti che reagiscono ai livelli di punti di contatto o grazie allo spostamento di organismi; da queste interazioni nasce un sistema di ordine superiore e via di seguito per emboîtements successivi, 23 -nel tempo, in quanto in una stessa regione alcuni sottoinsiemi presentano dinamiche rapide, integrandosi in dinamiche globali un po’ più lente e così via, -nello spazio-tempo, infine, sonno legati: a poca distanza le interazioni si producono e s’incatenano rapidamente; a distanza maggiore necessitano di migrazioni di materia ed energia e provocano risposte diverse. La gerarchia di una rete sta nella sua connettività, che misura il suo grado di interconnessione. E’ la connettività e non la diversità che, se eccessiva, porta alla destabilizzazione del sistema ed alla sua regressione verso una struttura più semplice. 8-Le relazioni fisico-biologiche. 8.1-L’energia ausiliaria Qualifica un’energia, indubbiamente necessaria, che non passa attraverso le catene alimentari e che fa parte dell’ecosistema perché quest’ultimo comprende le interazioni biomassa/mezzo fisico. In particolare si tratta dell’energia che serve a mettere in movimento i fluidi, atmosfera o masse d’acqua, nei quali si sviluppano le bioimasse, movimenti che agiscono sulla biosfera come un’immensa circolazione sanguigna planetaria che ha quale effetto di riunire gli elementi 24 dell’ecosistema che sono destinati ad interagire, di farlo coinciderecovariare nello spazio tempo da cui il termine di energia di covarianza introdotto da Margalef (Margalef R., 1980, Ecología, Barcellona, Omega) Come l’energia trofica, l’energia ausiliaria è di origine essenzialmente solare: venti e correnti sono messi in movimento a causa di riscaldamenti differenziali). Gli spostamenti di acqua e di aria mobilitano considerevoli quantità di energia, sproporzionate in rapporto a quella dei fenomeni biologici che dirigono. L’energia ausiliaria agisce in maniera non quantitativa, ma qualitativa, mettendo in gioco elementi che debbono interagire, elementi minerali, irraggiamento luminoso, cellule viventi clorofilliane. Alcun rapporto quantitativo specifico lega l’energia cinetica dei fluidi all’energia stoccata nella biomassa. Al massimo si stabiliscono relazioni a livello locale. 8.2-Risonanza o tuning tra fenomeni fisici e fenomeni biologici Quello che conta non è tanto la quantità dell’energia ausiliaria, ma la precisione di aggiustamento dei meccanismi fisici e biologici in interazione. Si sostiene che la risonanza o tuning abbia luogo tra due tipi di processi. Queste rosonanze si verificano spesso a favore dei cambiamenti di scala spaziale e/o temporale dei processi 25 fisici, producendosi in ambiti localizzati di spazio-tempo, chiamati ergoclini, variazioni locali rapide delle caratteristiche dell’energia ausiliaria. Nel passaggio continuo da una scala all’altra, la scala di risonanza fisico-biologica presenta notevoli chances di essere raggiunta, con il conseguente effetto d’interazione. Questi ergoclini (ergon, energia, cliné, discesa) coincidono spesso con interfacce fisiche di tutte le taglie (contatto acqua calda, acqua fredda in un mare o in un lago; contatti acqua-sedimento, acqua-ghiaccio, oceano-atmosfera, oceano continente). L’insieme delle zone costiere costituisce un ergoclino a scala planetaria. Per questa ragione dovremmo tutelarle da eccessi di invasione umana, salvandoci da imprevedibili fenomeni, quali gli tsunami. Altri elementi ergoclini sono, in ambito temporale, i passaggi di stagione, la transizione tra periodi ventosi e periodi di calma di vento…. 8.3-L’azione della turbolenza La turbolenza è la degradazione progressiva dell’energia cinetica di un fluido in movimento fino alla scala molecolare, quando quest’energia viene integralmente trasformata in calore. Si tratta di un fenomeno caotico, osservabile a tutte le scale e la sua geometria è frattale. 26 Esistono numerosi effetti macroscopici: -un’accelerazione considerevole della diffusione dei gas nell’atmosfera, delle sostanze disciolte nell’acqua e delle particelle in sospensione nell’una e nell’altra; la diffusione turbolenta è fino a 3000 volte più rapida della diffusione molecolare e provoca, per l’approvvigionamento in sali nutritivi che suscita, una notevole accelerazione nella produttività primaria, -una strutturazione del mezzo fisico secondo un continuum di scale. Un organismo, immerso in un fluido turbolento, avverte la turbolenza sulla base di tre modalità: i turbini di taglia superiore alla sua lo mandano passivamente alla deriva, i turbini di taglia inferiore alla sua omogeneizzano il mezzo a suo immediato contatto, quando la taglia è dello stesso ordine della sua grandezza entra in una dimensione caotica che lo porta a conoscere condizioni ambientali alternate ed incontrare partner biologici. A sua volta la rugosità frattale degli organismi, come i vegetali terrestri o colonie d’organismi, come i banchi di ostriche e le barriere coralline, suscita una turbolenza del fluido che la bagna. 8.4-Energia ausiliaria “secondaria” 27 Alle volte, quando un ambiente fisico non è interessato dall’energia ausiliaria, o le è in misura scarsa, la covarianza necessaria degli elementi interattivi è presa in carico dagli stessi organismi. Quest’azione richiede energia, che non viene dall’energia fisica del mezzo, ma da quella assimilata da questi stessi organismi a partire dalla loro alimentazione. La si chiama energia ausiliaria secondaria. Tutta l’energia immessa dall’uomo nei sistemi ambientali che sfrutta e colonizza è energia ausiliaria. L’energia idroelettrica e nucleare possono essere assimilate ad un’energia ausiliaria primaria, pilotata dall’uomo completamente a proprio beneficio. Si trattta di energia ausiliaria secondaria quando l’uomo utilizza la trazione muscolare degli animali o quando brucia legna o carbone fossile, derivato da un’antica produzione vegetale. 9-Evoluzione degli ecosistemi, effetto delle perturbazioni. L’evoluzione degli ecosistemi è uno degli aspetti più documentati della “teoria degli ecosistemi”, così come gli effetti delle perturbazioni, che le sono strettamente legati. 9.1-Successione ecologica tipica: ecosistema giovanile, maturazione. 28 Le prime descrizioni delle successioni ecologiche vegetali corrispondono al progressivo ripopolamento di spazi aggrediti e spopolati, che raggiungono un nuovo stato durevole detto “climax” (un concetto molto ambiguo). Lo spazio ecologico libero (formazione di un nuovo substrato come rocce o dune, distruzione di parte della biomassa da parte del fuoco, arrivo in massa di risorse nutritive…) è rapidamente investito da un nuovo popolamento, detto pioniere o opportunista, costituito da specie a moltiplicazione rapida, robuste a fronte delle condizioni aggressive del mezzo. Si tratta di specie poco numerose, ma la competizione tra di esse è forte e selezionata dalla strategia r. Questo sistema, chiamato giovanile subisce un’evoluzione detta maturazione che comprende una modificazione dell’ambiente fisico ed un aumento della complessità biologica, nella quale interviene la strategia K. Aumentano la diversità specifica, la diversità delle nicchie e la complessità della rete di interazioni, si presentano relazioni di antagonismo e di mutualismo, diminuisce il rapporto produzione/biomassa, come il flusso di materia, sostituito dal riciclo: l’ecosistema diventa economo, si installano delle omeostasi ed il sistema si controlla dall’interno. Sono tappe segnate da un’evoluzione caratteristica della diversità specifica. 29 L’indice di Shannon, inferiore a 1 all’inizio della colonizzazione, aumenta progressivamente fino a valori di 4,5 o 5. Questo valore elevato resta instabile ed il sistema si riorganizza per raggiungere una diversità abitualmente compresa tra 4 e 4,5, indubbiamente più duratura. Questo aumento e questa stabilizzazione della diversità possono essere visti come un accumulo di informazione interna che riflette l’acquisizione di un’organizzazione ottimale: SI PARLERA’ QUINDI DI SVILUPPO IN OPPOSIZIONE ALLA CRESCITA CHE SEGNA L A FASE GIOVANILE. Produzione (crescita in biomassa nel corso delle fasi iniziali) e diversificazione (organizzazione e sviluppo che segna la maturità) sono quindi ANTINOMICI NELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA. 9.2-Invecchiamento di un ecosistema. Succede che in un ecosistema maturo una specie o un piccolo numero di specie, particolarmente favorite, sfuggano al controllo demografico esercitato dalle altre specie ed occupino lo spazio ecologico (si veda la formazione di fustaie nei boschi, quando una vegetazione inibisce le altre specie, che sono ridotte allo stato di sottobosco. L’ecosistema semplifica così la propria struttura, la diversità si riduce sia nelle vegetazione che nella fauna associata. 30 Vedi il caso Is Arenas (costa sarda del Sinis-Oristanese), a rimboschimento avvenuto. Questa facies, a causa della longevità e della robustezza delle specie dominanti, può durare fornendo l’impressione che sia stato raggiunto lo stadio climax, cioè una sorta di equilibrio finale raggiunto dall’ecosistema. In effetti si tratta di una facies di invecchiamento a struttura impoverita, che non si rigenera. La scomparsa dei grandi alberi, dovuta a morte per ragioni più o meno naturali, provoca un ritorno diversificato della vegetazione presente in precedenza, rimasta in riserva nel sottobosco o in prossimità. Si restaura anche la diversità animale. Più tardi può sopraggiungere un nuovo invecchiamento. 9.3-Effetto delle perturbazioni: stress e ringiovanimento degli ecosistemi. Per stress si intende la reazione di un’ecosistema ad una perturbazione che superi le sue possibilità di omeostasi, rimettendo in questione la sua organizzazione. La perturbazione può essere una distruzione diretta di biomassa (incendio, profonde trasformazioni fisiche), una modificazione del mezzo, un supersfruttamento da parte dell’uomo o l’arrivo di sostanze nutritive in quantità massive: 31 -dapprima scompaiono le specie più specializzate, le più vulnerabile nell’ordine inverso della loro comparsa nella successione iniziale, -si ha distruzione della biomassa preesistente e della disponibilità di uno spazio o di risorse nuove, investite da popolamenti pionieri. Uno stress, qualsiasi sia la sua origine, ringiovanisce l’ecosistema: -se interviene su di un ecosistema maturo provoca una diminuzione della diversità specifica, una semplificazione dell’organizzazione, un ritorno a strategie di crescita e moltiplicazione, -se interviene su un ecosistema senescente, ad esempio a seguito di incendi in foreste paucispecifiche, il suo effetto è, a prima vista, inverso: le specie dominanti possono scomparire e lasciare spazio all’ecosistema precedente, più diversificato, -se la perturbazione si verifica con una certa frequenza, il processo di invecchiamento è permanentemente interrotto e le specie che hanno tendenza a monopolizzare la spazio ne sono impedite. Da qui la teoria anglosassone della “intermediate disturbance hypothesis”, secondo la quale un’elevata diversità non dura se non in regime di perturbazioni moderate, ma frequenti. Se una perturbazione cessa si stabilisce una nuova successione tipica. Se perdura l’ecosistema è mantenuto in stato giovanile e non evolve: ciò che si osserva allora è una facies di perturbazione, qualificata come climax (da non 32 confondere con la facies di invecchiamento), produttiva, ma poco diversificata, la cui permanenza è legata a quella della perturbazione: un’area spesso incendiata acqua che riceve in permanenza o frequentemente minerali nutritivi, una laguna sottoposta a condizione instabili. Il criterio chiave dello stato giovanile è un flusso aperto di materia attraverso il sistema. Gli ecosistemi maturi, al contrario, sviluppano un tasso importante di riciclo della materia. 9.4-Caso particolare di perturbazione: sfruttamento di un ecosistema. Per sfruttamento di un ecosistema s’intende l’asportazione della sua biomassa, il che può essere dovuto all’attività umana (raccolta di prodotti), ma anche ad un fenomeno fisico o all’azione di un ecosistema adiacente che consuma la produzione del primo. Tutti questi elementi possono essere associati. Lo sfruttamento eccessivo di un ecosistema può portare alla desertificazione, ma, prima ancora di questo stadio, l’asportazione della biomassa agisce come un qualsiasi genere di perturbazione, provocando una selezione di specie a strategia r in grado, in qualche modo, di cicatrizzare l’ecosistema. Lo stress del sistema è della stessa natura, portando ad una diminuzione dell’organizzazione e della diversità, ad un 33 aumento della produttività, ad un ringiovanimento del sistema, coerente con il flusso aperto di materia. Insomma, lo stesso fenomeno che si verifica quando si taglia un prato: i tessuti vecchi, poco produttivi, sono eliminati, velocemente rimpiazzati da tessuti giovani che si rigenerano rapidamente. 9.5-Strategie di crescita contro strategie di sviluppo. Ecco una sintesi: -l’evoluzione ecosistema giovane/ecosistema maturo avviene in assenza di stress e definisce una strategia di sviluppo indirizzata alla costruzione ed al mantenimento di un’organizzazione complessa, che può essere seguito da un invecchiamento e da un degradarsi dell’ecosistema, -l’evoluzione ecosistema maturo/ecosistema giovane è uno stress in risposta ad una perturbazione o da uno sfruttamento: viene definita strategia di crescita, indirizzata alla rigenerazione della biomassa perduta, -una perturbazione può far scomparire una facies di invecchiamento o impedire che si sviluppo; la diversità viene allora accresciuta o conservata purché l’aggressione non sia eccessiva, -un eccesso di perturbazione o di sfruttamento può portare alla regressione del sistema o alla sua scomparsa (desertificazione). Un ecosistema non è mai stabile anche in assenza di aggressioni esterne: la sua esistenza può esigere fluttuazioni importanti e cicliche dell’abbondanza di specie, imputabili alle dinamiche proprie delle popolazioni interattive, cui 34 sono da aggiungere adattamenti periodici o caotici del mezzo (come quelli dovuti ai cambiamenti climatici). 10-Le interazioni tra ceosistemi. 10.1-Interfaccia, interpenetrazione, ecotoni. La nozione di interazione tra ecosistemi è iscritta in quella di struttura gerarchica. L’interazione necessita di: -spostamenti di vasto raggio; un predatore visita in maniera intermittente le popolazioni di prede che controlla, appartenendo, sia ad un territorio prossimo di estensione comparabile dove esercita le proprie attività, con diluizione dell’effetto di predazionz ed interazione diretta tra popolazioni di prede spazialmente separate, sia un sistema più vasto che ingloba più ecosistemi del primo tipo, nel qual caso si realizza un’interazione tra livelli gerarchici successivi, con trasferimento di scala. -contatti alle interfacce, legate ad un’eterogeneità del mezzo e del suo popolamento, funzionali solo se associate a flussi di materia vivente o inerte, paragonate a membrane semipermeabili. In prossimità del contatto l’intensificazione delle dinamiche porta all’emergere di un nuovo sistema di ecotono popolato non solo da una mescola di specie dei due ecosistemi, ma anche da taxon propri alla zona di interpenetrazione. Alle volte questi taxa dominano o occupano in maniera 35 esclusiva lo spazio ecologico, come le cinture vegetali che si sviluppano ai margini di uno stagno. In questi ecotoni, in termini del tutto generali, un aumento della produzione organica come un aumento della diversità specifica. L’occupazione frattale dello spazio tempo interviene con un aumento considerevole delle superfici di contatto. 10.2-Flusso di materia ed energia attraverso un’interfaccia. Conseguenze sull’evoluzione dei sistemi partner. Emergenza di un ecosistema globale o ecocomplesso. Quando due ecosistemi in contatto mostrano livelli di organizzazione o di maturità diversi, un flusso di materia organica e di energia si stabilisce dal meno organizzato, nello stadio giovanile, verso il più organizzato, l’ecosistema maturo. Il primo è meno diversificato e più produttivo, il secondo, più diversificato e meno produttivo, contiene specie consumatrici che utilizzano la produzione del primo, inserendovisi in maniera intermittente: -il sistema più organizzato beneficia, nei suoi termini trofici superiori, di una sorgente alimentare supplementare, cresce e si sviluppa più che se non disponesse delle proprie risorse, alcuni organismi utilizzano la produttività del sistema più produttivo, ritornando quindi nel secondo, che arricchiscono con i propri rifiuti e con la loro biomassa, dando origine a nuove catene alimentari, -l’ecosistema meno organizzato e più produttivo vede la propria produzione sfruttata intensamente dal proprio 36 potenziale di consumatori e vi reagisce con uno stress caratteristico dei sistemi sfruttati, arrivando ad una sempre maggiore produzione e ad una sepmlificazione strutturale. Il mosaico foresta-savana nelle regioni tropicali ne è l’esempio. La coppia si comporta come un nuovo sistema nel quale i due partner mostrano performances modificate. Lo sfruttatore, più organizzato all’inizio, cresce ancora in organizzazione, lo sfruttato regredisce ulteriormente nella struttura, diventando più produttivo. La differenza cresce in luogo di equilibrarsi. Ci troviamo nell’ambito dei sistemi dissipativi che, attraversati da un flusso permanenente, mantengono se non accentuano la loro dissimmetria. L’occupazione dello spazio ecologico si attua non in maniera omogenea ma sulla base di un’associazione tra Ecosistemi a strategia di crescita ed Ecosistemi a strategia di sviluppo I secondi sfruttano i primi, questi ultimi mantenuti nel loro stato destrutturato e produttivo. Il sistema globale, chiamato ecocomplesso o paesaggio, funziona con una differenza di parti complementari resa permanente del suo stesso modo di funzionare. Un bell’esempio di autoorganizzazione. 37