Economia Politica 2 Testi di riferimento: Bradford DeLong, Macroeconomia McGraw Hill, 2004 Capolupo et al. Eserciziario di macroeconomia, Esculapio, 2004 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 1 Lezione 1 • I parte: Semplificazioni, definizioni, e variabili chiave della macroeconomia • II Parte: Uno sguardo alle principali economie mondiali R.Capolupo- Economia 2 (200607) 2 Cosa studia la micro La microeconomia studia come il sistema determina: (i) che cosa e quanto produrre; (ii) come produrre; (iii) per chi produrre.Il problema centrale è quello di rendere compatibili bisogni degli individui e scarsità delle risorse disponibili. Nelle economie di mercato, tale problema viene risolto attraverso processi di interazioni tra imprese (produzione, offerta), consumatori (consumo, domanda) e governo (regole); le risorse sono allocate sulla base del meccanismo dei prezzi. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 3 Cosa studia la macro? La macroeconomia studia i problemi che riguardano il sistema economico nel suo complesso. Risponde a domande quali: Perché il reddito è più alto in alcuni paesi e più basso in altri? Perché i prezzi aumentano molto in alcuni periodi anziché in altri? Perché la produzione e l’occupazione si espandono in alcuni anni e si contraggono in altri? R.Capolupo- Economia 2 (200607) 4 Si avvale di modelli • Per studiare il comportamento degli agenti sul mercato ci avvaliamo di modelli economici • sono rappresentazioni stilizzate dell’economia e dei mercati • trascurano i dettagli • sono composti di grafici e equazioni • semplificano la realtà al fine di migliorare la nostra capacità di comprenderla R.Capolupo- Economia 2 (200607) 5 Due tipi di variabili • ENDOGENE: quelle che il modello vuole spiegare e determinare (nel mercato prezzi e quantità sono variabili endogene) • ESOGENE: sono grandezze considerate date e costanti • Nei modelli macro le variabili esogene sono rappresentate per esempio dalle politiche di governo, mentre variabili endogene sono il reddito, il tasso di interesse, i consumi etc.. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 6 Le semplificazioni della macro • Il livello di aggregazione è molto più spinto che in microeconomia • Si utilizza il livello medio o indice dei prezzi che è una media di tutti i prezzi esistenti nei vari mercati • Non si considerano le variazioni nei prezzi relativi (rapporto tra i prezzi dei beni) • Non si considerano variazioni nella struttura (qualità) delle variabili ma solo variazioni quantitative delle stesse variabili nel tempo • . R.Capolupo- Economia 2 (200607) 7 Le semplificazioni La descrizione della macro è dunque una descrizione approssimata della realtà (studia la foresta ma non i singoli alberi che la compongono) Più che fornire indicazioni ai singoli agenti su come comportarsi su un singolo mercato mira a fornire indicazioni operative ai governi, alle istituzioni internazionali (es. Fondo Monetario Internazionale, FMI) e al settore privato (es. grandi imprese, banche) Dalla macro ci attendiamo indicazioni per analizzare e risolvere problemi di politica economica R.Capolupo- Economia 2 (200607) 8 Un esempio di modello Redditi (= PIL) Mercato di beni Beni e servizi venduti Spesa (= PIL) Beni e servizi acquistati FAMIGLIE IMPRESE Inputs per la produzione MERCATO DEI FATTORI Salari, rendite, e profitti (= PIL) Flusso di moneta Lavoro,terra, capitale reddito (=PIL) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 9 Un esempio di temi di cui si occupa la macroeconomia • Il flusso giornaliero di notizie economiche. • Le notizie economiche fluiscono verso di noi continuamente durante tutto il giorno. • Il volume totale di informazioni è così elevato che uno dei principali problemi della macroeconomia è quello di escogitare come elaborare tutte queste informazioni: come trovarvi un senso senza affogare nel sovraccarico di informazioni e senza perdere informazioni utili. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 10 Linee evolutive del pensiero economico Negli ultimi 200 anni vi sono state varie fasi di evoluzione (e consolidamento) del pensiero economico in risposta a: • • • • • Sorgere di nuovi problemi cui fornire risposta Necessità generalizzare/rendere più rigorosi principi già formulati Ricerca di fondamenti empiricamente più solidi Evoluzione dei sistemi economici Cambiamenti nell’ideologia del tempo Si contano 4 fasi principali: 1. Scuola classica (1750-1870; principali esponenti: Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx, Robert Marthus. John Stuart Mill) Il fondamento della scuola classica è l’ideologia liberale. L’ottica è quella di ricercare le determinanti della crescita economica. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 11 Linee evolutive Scuola neoclassica o marginalista (1870-90; principali esponenti: Karl Menger, Stanley Jevons, Irving Fisher, Alfred Marshall, Leon Walras, Vilfredo Pareto, Knut Wicksell) Resta come fondamento l’ideologia liberale e si assume che l’economa sia in equilibrio di pieno impiego. L’ottica si sposta sull’uso efficiente di risorse date, lasciando la crescita economica dipendere da fattori esterni (es. crescita popolazione, progresso tecnico). Scuola keynesiana (1920-60; John M. Keynes e seguenti) Impostazione liberale ma si apre un ruolo cruciale per lo Stato. Si sostiene che, lasciata a se stessa, l’economia possa collocarsi in equilibri di sottoimpiego: politiche economiche interventiste possono riportare verso la piena occupazione. L’approccio è macro-economico (di sistema) e non più centrato sul comportamento individuale. Sintesi neoclassica-keynesiana (anni 1950-60) Sviluppi contemporanei (1970-; sia in micro che in macroeconomia) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 12 Sviluppi recenti Scuola monetarista (Milton Friedman) Scuola macroeconomica neoclassica o delle aspettative razionali Nuova macroeconomia keynesiana Mentre tutte le 3 scuole indicate si interessano in particolare delle teorie di breve periodo e della stabilizzazione del reddito durante il ciclo si è verificato negli ultimi due decenni maggiore attenzione ai temi macroeconomici di lungo periodo: Uno Spostamento a partire dal 1986 verso i temi della crescita e dello sviluppo : Nuova teoria della crescita endogena R.Capolupo- Economia 2 (200607) 13 IN SINTESI La descrizione della macro è dunque una descrizione approssimata della realtà (studia la foresta ma non i singoli alberi che la compongono) Più che fornire indicazioni ai singoli agenti su come comportarsi su un singolo mercato mira a fornire indicazioni operative ai governi, alle istituzioni internazionali (es. Fondo Monetario Internazionale, FMI) e al settore privato (es. grandi imprese, banche) Dalla macro ci attendiamo indicazioni per analizzare e risolvere problemi di politica economica R.Capolupo- Economia 2 (200607) 14 Cosa impareremo in questo primo capitolo ? • Passeremo in rassegna le 6 variabili chiave che descrivono l’andamento dell’economia • Daremo uno sguardo alla situazione attuale nelle seguenti economie: • USA • EUROPA • GIAPPONE • ECONOMIE EMERGENTI R.Capolupo- Economia 2 (200607) 15 PRELIMINARI: Le 6 variabili chiave • • • • • • Per comprendere la recente dinamica dell’attività economica occorre considerare l’andamento delle 6 variabili chiave che riassumono lo stato del sistema. Esse sono: PIL Tasso di disoccupazione Tasso di inflazione Tasso di interesse Livello del mercato azionario Tasso di cambio R.Capolupo- Economia 2 (200607) 16 IL PIL • Il prodotto interno lordo (PIL) è una misura del reddito e della spesa in una economia • È dato dal valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un determinato periodo di tempo. • L’uguaglianza tra reddito e spesa è stato illustrato con lo schema del flusso circolare del reddito R.Capolupo- Economia 2 (200607) 17 PIL dell’Italia (pro-capite reale) 25000 PIL procapite 20000 15000 10000 5000 1950 1960 1970 1980 ANNO 1990 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 2000 18 Caratteristiche del PIL Include beni e servizi prodotti nel periodo corrente ed esclude transazioni di beni prodotti nel passato Misura il valore della produzione entro i confini geografici del paese. Più precisamente include: il valore dei beni prodotti da lavoratori e imprese straniere che operano nel territorio nazionale esclude: il valore della produzione di lavoratori e imprese italiane che svolgono la loro attività all’estero R.Capolupo- Economia 2 (200607) 19 PNL • Il prodotto nazionale lordo (PNL) è il valore finale di tutti i beni e servizi prodotti in un determinato periodo di tempo (anno o trimestre) da connazionali (lavoratori o imprese) indipendentemente dal luogo in cui sono prodotti • NB: (i) esclusi i non nazionali all’interno; (ii) inclusi i connazionali all’estero. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 20 Altre misure di reddito • Prodotto nazionale netto (PNN) • Reddito personale • Reddito personale disponibile Il PNN è il reddito dei residenti di una nazione dopo aver sottratto il deprezzamento del capitale (PNL ammortamento). Il reddito personale è il reddito che le famiglie e le società di persona percepiscono Il reddito personale disponibile è dato dal reddito personale meno le imposte R.Capolupo- Economia 2 (200607) 21 Pil nominale e reale • PIL Nominale: è il valore della produzione di beni e servizi a prezzi correnti • PIL Reale: è il valore della produzione di beni e servizi a prezzi costanti • Deflatore del PIL: serve a trasformare il PIL nominale in PIL reale R.Capolupo- Economia 2 (200607) 22 Il pil reale per lavoratore • È il più usato indice sintetico del comportamento del sistema economico ed è dato dal rapporto tra pil reale e numero degli occupati • Rappresenta il valore a prezzi costanti della produzione di beni e servizi finali p 0 qt N • Pur essendo un indice imperfetto perché non dice nulla sulla distribuzione del reddito è il miglior indice che conosciamo per misurare il benessere materiale dei componenti di una nazione • Comprende: beni di consumo, beni di investimento, acquisti pubblici • Attualmente (2004) negli USA il reddito reale per lavoratore è pari a 67800$ e in Italia (2004) è pari a 52000. Rispettivamente i redditi procapite sono: 36000 vs 23000. L’Italia ha un reddito procapite che è il 65% di quello USA (processo di convergenza) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 23 Deflatore del PIL • Il deflatore del PIL è calcolato come: deflatore del PIL = • Il PIL nominale si converte in PIL reale utilizzando seguente: PIL Reale 2000 = R.Capolupo- Economia 2 (200607) PIL Nominale 100 PIL Reale (PIL Nominale 2000 ) X 100 ( deflatore del PIL 2000) 24 Tasso di disoccupazione • Il tasso di disoccupazione viene rilevato dagli istituti di statistica dei vari paesi attraverso un rilevamento casuale tra le famiglie su base trimestrale. Sono considerati disoccupati gli individui che hanno cercato attivamente un lavoro negli ultimi 3 mesi (1 mese negli USA). Il numero stimato di lavoratori disoccupati viene diviso per la forza lavoro totale (anch’essa stimata poiché è data dal numero degli occupati (dato noto) e il numero dei disoccupati (stimati con il rilevamento). • Il risultato è il tasso di disoccupazione: u disoccupat i FL R.Capolupo- Economia 2 (200607) 25 • Per definire il Tasso di disoccupazione dobbiamo prima definire le seguenti variabili: Popolazione =Popolazione attiva +Popolazione non attiva Popolazione attiva =Forza Lavoro +Lavoratori scoraggiati Tasso di partecipazione =Forza Lavoro/Popolazione attiva Forza Lavoro =Lavoratori occupati +Disoccupati Tasso di disoccupazione (u)=Disoccupati/Forza Lavoro R.Capolupo- Economia 2 (200607) 26 Perché preoccuparsi della disoccupazione? • Se più elevata del livello fisiologico, riduce la ricchezza di un’economia; • Pone problemi di disuguaglianza e, oltre certi livelli, anche di ordine sociale; • Può causare significativi oneri (es. sussidi di disoccupazione) e squilibrare la spesa pubblica • Se è di lunga durata e/o si concentra sui giovani, indebolisce la formazione di capitale umano nell’economia, con effetti negativi sulla crescita. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 27 Relazione tra crescita del reddito e disoccupazione: la legge di OKUN • Studiata dall’economista Arthur Okun negli anni ‘60 esprime la relazione negativa tra tasso di crescita del PIL e variazione del tasso di disoccupazione. • Una crescita elevata del Pil è associata a un aumento della produzione e quindi della occupazione. Ne consegue una riduzione del tasso di disoccupazione R.Capolupo- Economia 2 (200607) 28 Implicazioni: se la disoccupazione corrente è troppo alta, per ridurla occorre un tasso di crescita del PIL elevato. Se la disoccupazione è troppo bassa l’economia dovrebbe crescere ad un ritmo minore • Bassa crescita del PIL % PIL ad alta • Variazione associata • disoccupazione Bassa crescita del PIL associata ad alta disoccupazione Variazioni % di u R.Capolupo- Economia 2 (200607) 29 Tipi di disoccupazione • Frizionale • Ciclica • Strutturale Disoccupazione frizionale :funzionale al buon funzionamento del sistema economico assimilata alle scorte di materie prime per un’impresa. Scorte di posti di lavoro (posti vacanti delle imprese) e scorte di lavoratori in cerca di occupazione (i disoccupati) Disoccupazione ciclica: determinata dalle fasi di recessione e di depressione dell’attività produttiva. E’ un male per l’economia e occorrono politiche macroeconomiche sia dal lato della domanda che dell’offerta per ridurla (di breve periodo) Disoccupazione strutturale: determinata da cambiamenti strutturali che intervengono nel sistema economico: cambiamento tecnologico. Si tratta di una disoccupazione di lunga durata. R.Capolupo- Economia 2 (200630 07) Tasso di disoccupazione USA • FIGURA 1.5 FIGURA 1.5 Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, dalla Seconda guerra mondiale in poi, il più alto tasso di disoccupazione, pari a quasi il 10%, fu raggiunto nel 1982. Prima della Seconda guerra mondiale, i picchi di disoccupazione furono molto più alti, in particolare durante la Grande Depressione negli anni Trenta del secolo scorso. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 31 Definizione di Inflazione: aumento continuo e apprezzabile nel livello dei prezzi • È il terzo indicatore economico chiave e rappresenta una misura della rapidità con cui sale il livello generale dei prezzi. • Livello generale dei prezzi, il prezzo medio del “bene composito” in un anno: – Pt nell’anno in corso, – Pt-1 nell’anno precedente • Tasso di inflazione, aumento (in percentuale) nell’anno del livello generale dei prezzi di beni e servizi: t = (Pt – Pt-1) / Pt-1 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 32 Quale indice dei prezzi usare? • Il deflatore del Pil oppure l’IPC. • Nel caso in cui si usi il deflatore: deflatore pilt deflatore pilt 1 deflatore pilt 1 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 33 Altri concetti • Una riduzione del tasso di crescita dei prezzi è detta disinflazione • Una riduzione del livello generale dei prezzi è detta deflazione • Un tasso di inflazione molto alto è considerato un male per l’economia perché è causa di consistenti effetti negativi . In particolare: - il meccanismo dei prezzi cessa di funzionare e si ingenerano aspettative di ulteriore inflazione che non permettono di effettuare calcoli precisi per prendere decisioni razionali. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 34 ESEMPIO Deflatore del PIL: rapporto tra PIL a prezzi correnti e PIL a prezzi costanti per lo stesso anno dà la variazione dei prezzi tra l’anno corrente e l’anno base. Esempio: PILcorrente(2001) = P2001 Y2001 = 1510; PILcostante (2001,2000)= P2000 Y2001 = 1410; Deflatore PIL= {[PILcor(2001)/PILcost(2001,2000)]-1}×100=7 , 09% = [(P2001 Y2001)/ (P2000 Y2001) – 1] ×100 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 35 Esempio di calcolo con l’IPC Indice dei Prezzi al Consumo (IPC): valore di un paniere di beni di consumo di una famiglia tipo costante nel tempo Differenze tra deflatore e IPC: l’IPC comprende beni importati, il deflatore solo beni nazionali; l’IPC ha pesi fissi (quelli dei beni compresi nel paniere), i pesi del deflatore (quantità beni prodotti) cambiano R.Capolupo- Economia 2 (200607) 36 Perché preoccuparsi dell’inflazione? • Perché l’inflazione non colpisce tutti i prezzi allo stesso modo e altera in modo arbitrario (distorce) i prezzi relativi; • L’inflazione altera anche la distribuzione dei redditi poiché colpisce di meno i redditi indicizzati e di più quelli non indicizzati; • L’inflazione favorisce i debitori e svantaggia i creditori; • L’inflazione aumenta il carico fiscale in un sistema di tassazione progressivo (fiscal drag) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 37 Tasso di interesse • Il tasso di interesse è il quarto indicatore chiave e indica il prezzo al quale il potere di acquisto può essere trasferito dal presente al futuro (nel tempo) • Esiste un’intera struttura dei tassi di interesse e non 1 solo tasso di interesse. • Il tasso di interesse reale a lungo termine è la principale determinante del livello degli investimenti e della crescita della produzione futura • La struttura dei tassi di interesse è descritta dalla curva dei rendimenti che mostra il divario tra tassi di interesse a lungo e a breve termine. Un’alta rigidità della curva dei rendimenti indica che il divario tra le diverse strutture dei tassi di interesse è molto ampio (basta una piccola variazione nella scadenza per aumentare di molto il rendimento) • I tassi di interesse a lungo termine sono più alti di quelli a breve termine. Quando i tassi di interesse a lungo termine sono più bassi di quelli a breve la curva dei rendimenti è negativa e segnala la possibilità che l’economia stia per cadere in recessione R.Capolupo- Economia 2 (200607) 38 Curva dei rendimenti I tassi di interesse crescono al crescere della scadenza Rendimento i(%) 1 10 Scadenza : anno R.Capolupo- Economia 2 (200607) 39 Tassi di interesse reali negli Stati Uniti, 1960-1999 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 40 Cosa mostra il grafico? • Negli Stati Uniti, a partire dalla disinflazione di Volcker all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, i tassi di interesse reali risultarono notevolmente più alti di quanto fossero negli anni Settanta e persino negli anni Sessanta. Anche la curva dei rendimenti fu relativamente ripida. Questo significa che il divario tra i tassi di interesse a lungo termine (come il tasso di interesse sui Buoni del Tesoro a 10 anni) e i tassi di interesse a breve termine (come il tasso di interesse sui Buoni del Tesoro a 3 mesi) R.Capolupo- Economia 2 (200641 07) aumentò. Ipotesi della curva dei rendimenti • La curva mostra in che modo i tassi di interesse sulle obbligazioni, a parità di altre condizioni, variano al variare della scadenza del titolo • La curva è inclinata positivamente a indicare che i tassi di interesse a breve sono inferiori a quelli a lungo termine • Quando la curva assume pendenza negativa significa che i tassi di interesse a breve divengono più elevati di quelli a lungo termine (curva dei rendimenti invertita) • Perché il tasso di interesse a lungo termine, deve essere superiore a quello a breve termine? In generale perché il tasso di interesse su un’obbligazione a più lungo termine (es due anni) deve essere approssimativamente pari alla media aritmetica dei tassi di interesse delle varie obbligazioni emesse nel periodo corrente e nei periodi successivi. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 42 Il mercato azionario • Il livello del mercato azionario è l’indicatore di cui si sente parlare più spesso. Rappresenta un indice delle aspettative riguardo al futuro andamento dell’economia. • L’indice del mercato azionario riassume un grande numero di fattori che influenzano gli investimenti (ottimismo, profitti attesi, tassi di interesse reali) • Il livello del mercato azionario è alto quando gli agenti economici prevedono che l’opinione media si aspetta che la crescita economica nel futuro sarà alta, i profitti saranno alti e la disoccupazione sarà bassa • Un indice che rispecchia le performance dell’intero mercato azionario USA è l’indice S&P 500 (principale società di rating dei titoli obbligazionari). Un indice ampio come lo S&P è migliore di un indice più ristretto come il Dow-Jones (30 imprese) • Negli USA negli ultimi 100 anni un’azione è stata scambiata in media a circa 15 volte l’utile per azione degli ultimi 12 mesi (trailing earnings per share). • La regola del valore pari a 15 volte l’utile rappresenta soltanto una media. R.Capolupo- Economia 2 (200643 07) Prezzo reale degli indici azionari R.Capolupo- Economia 2 (200607) 44 Prezzi reali degli indici azionari • Dal 1977, i prezzi reali degli indici azionari hanno superato ampiamente la loro valutazione convenzionale standard di 15 volte l’utile. Gli economisti si chiedono se questo fenomeno sia dovuto: (a) a una mania speculativa irrazionale, (b) a un aumento della tolleranza verso il rischio, (c) oppure alle aspettative di una crescita economica rapida nel futuro da parte degli investitori R.Capolupo- Economia 2 (200645 07) Tasso di cambio La sesta e ultima grandezza è il tasso di cambio. • Il tasso di cambio nominale è semplicemente il prezzo al quale le valute di differenti paesi possono essere scambiate l’una con l’altra.. • Il tasso di cambio reale è invece il prezzo al quale i beni e i servizi prodotti in differenti paesi vengono scambiati l’uno con l’altro • Ad eccezione dei paesi europei che hanno deciso di adottare una moneta comune, ogni paese ha una propria valuta. Gli scambi tra l’Europa e il resto del mondo coinvolgono problemi che riguardano il mercato delle valute • Il mercato delle valute è il mercato internazionale nel quale ogni valuta si scambia con un’altra. Il prezzo che si forma in questo mercato è il tasso di cambio nominale o semplicemente cambio R.Capolupo- Economia 2 (200607) 46 Tasso di cambio (2) • E’ molto importante definire con precisione il tasso di cambio. Quando bisognava stabilire il tasso di cambio della lira rispetto alle altre monete occorreva indicare le unità ( incerte) di valuta nazionale necessarie per ottenere una unità di valuta estera. • Gli unici paesi a quotare il certo per l’incerto erano USA e GB. • Con l’introduzione dell’EURO si utilizza il metodo USA e quindi indichiamo le unità di valuta estera necessarie per acquistare 1 euro R.Capolupo- Economia 2 (200607) 47 Tasso di cambio: • Per un cittadino europeo un tasso di cambio dell’EURO (dollaro euro) pari a 0,90 dollari indica l’ammontare di dollari necessari per acquistare 1 euro. Esiste un tasso di cambio sterlina/ euro; yen / euro etc. • Apprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando la valuta nazionale aumenta di valore rispetto alla valuta estera (occorrono più dollari per acquistare un euro, quindi il tasso di cambio nominale aumenta). • Deprezzamento nominale della valuta nazionale si verifica quando la valuta nazionale diminuisce di valore rispetto a quella estera (occorrono meno dollari per acquistare un euro, il tasso di cambio nominale diminuisce). R.Capolupo- Economia 2 (200648 07) esempio • Se il cambio dollaro /euro che leggiamo sui giornali è 1.20, significa che occorrono 1.20 $ per 1 Euro. Definendo in questo modo il tasso di cambio dell’euro risulta che qualsiasi aumento della quantità di valuta estera necessaria ad acquistare 1€ si traduce in un apprezzamento dell’euro e in un deprezzamento del dollaro. Si ricordi però che il ragionamento deve valere anche se vogliamo determinare il tasso di cambio dell’euro nei confronti del dollaro. Il tasso di cambio euro/$= 1/1.20=0.83 si legge in modo diverso • Infatti in questo caso se il tasso di cambio euro / dollaro aumenta da 0.83 a 0.90 significa che occorrono più euro per acquistare 1$ e ciò corrisponde a un deprezzamento R.Capolupo- Economia 2 (200649 dell’euro e un apprezzamento del dollaro 07) Regola semplice • se il tasso di cambio è definito come dollaro/euro allora un aumento del cambio nominale corrisponde a: • un apprezzamento nominale dell’euro • un deprezzamento nominale del dollaro • Nel caso opposto in cui il tasso di cambio è euro/dollaro vale la regola secondo la quale un aumento del tasso di cambio equivale a • Un deprezzamento nominale dell’euro • Un apprezzamento nominale del dollaro • I due metodi sono equivalenti R.Capolupo- Economia 2 (200607) 50 Tasso di cambio reale • Il tasso di cambio reale, che indichiamo con è un valore relativo che indica il prezzo dei beni esteri in termini di beni nazionali valutati in una stessa moneta. eP P* • Dove e è il cambio nominale $/euro, P* l’indice dei prezzi di beni e servizi finali esteri e P è l’indice dei prezzi nazionali. • Il numeratore esprime il prezzo in $ dei beni europei e il denominatore il prezzo in $ dei beni statunitensi R.Capolupo- Economia 2 (200607) 51 E se esprimiamo tutto in euro? • Il tasso di cambio reale, che indichiamo con se vogliamo esprimerlo in una stessa moneta, in questo caso in valuta nazionale (euro) sarà pari a: eP * P • Dove e è il cambio nominale euro/dollaro, P* l’indice dei prezzi di beni e servizi finali esteri e P è l’indice dei prezzi nazionali. • Il numeratore esprime il prezzo in euro dei beni statunitensi e il denominatore il prezzo in euro dei beni europei. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 52 In generale: • Apprezzamento reale si verifica quando i beni esteri diminuiscono di prezzo rispetto ai beni nazionali ( aumenta). I beni esteri sono relativamente meno costosi e le merci europee sono meno competitive • Deprezzamento reale si verifica quando i beni esteri aumentano di prezzo rispetto ai beni nazionali ( diminuisce). I beni esteri sono relativamente più costosi . • Le determinanti del tasso di cambio reale sono dunque: il tasso di cambio nominale, il prezzo dei beni esteri,R.Capolupoil prezzo dei beni nazionali 53 Economia 2 (200607) Ipotesi di prezzi costanti interni e internazionali • Assumiamo che P e P* restino costanti , l’apprezzamento e il deprezzamento reali dipenderanno esclusivamente dal tasso di cambio nominale e • Un apprezzamento del tasso di cambio nominale, e (aumento se definito come dollari/euro o riduzione in caso di euro/dollari) provoca un aumento di e quindi un apprezzamento reale. I beni esteri sono relativamente meno costosi e vengono favorite le importazioni • Un deprezzamento di e (riduzione o aumento a seconda della definizione) invece provoca un deprezzamento reale che favorisce le esportazioni R.Capolupo- Economia 2 (200607) 54 Tassi di cambio fissi • In un regime di tassi di cambio fissi, le autorità monetarie stabiliscono il tasso con il quale la valuta nazionale si scambia con tutte le altre valute internazionali. Per mantenere il tasso di cambio fisso il governo tramite le autorità monetarie interviene nel mercato delle valute con operazioni di acquisto e vendita di valute. • Supponiamo che, per una qualche ragione, il tasso di cambio euro/dollaro aumenti (o il che è lo stesso il cambio dollaro/euro diminuisca) Ciò equivale a un deprezzamento nominale dell’euro. Sono necessari più euro per acquistare 1 dollaro. C’è un eccesso di domanda di dollari sul mercato (e un eccesso di offerta di euro). Poiché il tasso di cambio euro-dollaro deve rimanere fisso, le autorità monetarie sono costrette a intervenire, attingendo alle loro riserve valutarie, vendendo i dollari che sono richiesti. • Il processo di vendita di dollari deve continuare fino a quando il tasso di cambio euro/ dollaro non abbia raggiunto il valore prefissato (es di di 1). R.Capolupo- Economia 2 (200607) 55 Come si mantiene fisso il tasso di cambio? • Se la domanda di euro dovesse subire continui spostamenti verso il basso ( il che vorrebbe dire che nessuno richiede merci europee) la BCE esaurirebbe ben presto le proprie riserve di valuta estera. In queste circostanze non potrebbe mantenere il tasso di cambio fisso E0 ma l’euro dovrebbe essere svalutato. A meno che la domanda di euro non aumenti l’euro avrebbe un valore troppo alto rispetto al livello di equilibrio di lungo periodo e richiederebbe la svalutazione. • La svalutazione (rivalutazione) consiste in una R.Capolupo- Economia 2 (200656 riduzione (aumento) del tasso di cambio che il 07) Tassi di cambio flessibili • In un regime di tassi di cambio flessibili il tasso di cambio è determinato dal mercato senza alcun intervento delle autorità monetarie. • Quando si riduce la domanda di una valuta o aumenta l’offerta di una valuta si hanno variazioni del tasso di cambio. Il cambio si modifica a seconda degli eccessi di domanda o di offerta sul mercato delle valute • Esistono regimi di cambio che non sono né perfettamente fissi né perfettamente flessibili (regimi misti) • In tali casi le banche centrali possono intervenire per guidare il tasso di cambio verso certi livelli soprattutto quando ci sono ampie variazioni nella domanda e nell’offerta di una valuta (cambio amministrato) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 57 Apprezzamento del $ negli anni ‘80 • Le più rilevanti fluttuazioni del tasso di cambio statunitense si verificarono durante il grande deprezzamento delle valute estere all’inizio e alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso. Negli Stati Uniti, nel 1985, i beni di produzione estera, rispetto ai beni di produzione statunitense, costavano i 2/3 di quanto costavano all’inizio del decennio. R.Capolupo- Economia 2 (200607) 58 La situazione macroeconomica attuale: gli USA • Economia in crescita durante gli anni ’90. I motivi vanno ricercati: - le politiche di rientro del deficit di bilancio dell’amm.zione Clinton, - la riduzione delle barriere al commercio internazionale - l’intensificazione nell’utilizzo delle tecnologie informatiche (ICT) che hanno determinato forti incrementi della produttività • Recessione con l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. • l’attacco terroristico impresse un grande shock negativo alla fiducia dei consumatori e delle imprese che rinviarono i loro piani di investimento • La Federal Reserve era preoccupata di non essere in grado di poter ridurre i tassi di interesse a livelli tali da stimolare i piani di investimento delle imprese. • Il declino dell’attività economica fu qualificato come recessione R.Capolupo- Economia 2 (200607) 59 Gli USA • Dal 2001 l’economia USA continua ad espandersi anche se a un tasso più basso rispetto agli anni ’90. • Il profilo macroeconomico è sisntetizzato dalle cifre del tasso di crescita , disoccupazione e inflazione • I dati sono tratti dall’Economist dic.2006 19602000 19922000 2000 2001 2006 g 3.5 3.7 4.1 1.1 3.5 u 6.1 5.4 4.0 4.8 5.1 π 5.1 1.7 2.3 2.1 3.8 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 60 Gli eventi dell’11settembre, 2001 • Quando divenne chiaro che l’economia US A sarebbe caduta in recessione sia la politica monetaria sia quella fiscale sono state utilizzate per evitare la recessione • Politica monetaria: Alan Greenspan chairman della FED diminuì il tasso di interesse sui fondi federali ( il tasso di interesse che controlla più facilmente ) dal 6.5 % a meno del 2% nel dicembre 2001 • Politica fiscale : Il surplus di bilancio uguale al 2.5% del PILera stato il più alto dell’ultimo decennio. Che cosa avrebbe duvuto fare il governo? Continuare a perseguire surplus di bilancio o a ridurre le tasse (politica espansiva)? Quando l’amministrazione Bush andò al potere nel 2001 per evitare il rischio di recessione ridusse le tasse in modo consistente • Con queste due politiche la recessione fu evitata • La questione oggi è durerà questa fase di crescita? R.Capolupo- Economia 2 (200607) 61 Altri US indicatori (2006) Money supply - 0.6 Interest rate 3.mt ( mercato monetario) 5.31 (3.85 in 2005) Interest rate 2yr government bonds 4.86 10 yr gov. bonds 4.78 R.Capolupo- Economia 2 (200610 yr corporate bonds 5.71 07) 62 Altri US indicatori recenti (2006) • Bilancia commerciale Other US -850 $bn • Deficit bilancio-3.6% GDP • S&P500 -10.5 (+9.6 nel2005) • Nasdaq -53.8 (+5.9 nel dic. 2005) • Tasso di cambio$ per £ 1.91; per € 1.28 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 63 politiche per superare la recessione • • • • • • - Riduzioni ampie e prolungate dei tassi di interesse produssero i loro effetti : il tasso di interesse nominale (del mercato azionario) che era stato pari al 6.74% all’anno, nel 2000 fu portato all’1.73% all’anno Riduzione delle imposte (amm.zione Bush) che aumentarono il reddito disponibile e fecero aumentare i consumi Introduzione di dazi sull’importazione di acciaio che faceva temere un arresto nel processo di integrazione economica mondiale Incremento della spesa pubblica G per la difesa e la sicurezza che impresse un ulteriore impulso alla domanda (ma vista con timore dopo il rientro del deficit dell’amministrazione precedente) Le aspettative del pubblico che la politica di riduzione dei tassi di interesse da parte della FR sarebbe stata durevole e prolungata impresse ulteriore fiducia e non innescò aspettative di inflazione. Gli effetti di queste politiche sono state: Aumento della fiducia dei consumatori Aumento della fiducia delle imprrese Deprezzamento del dollaro che ha stimolato le esportazioni di merci R.Capolupo- Economia 2 (200664 americane 07) L’UE • Nel 1957 i sei paesi (Belgio , Francia, Germania , Italia, Lussemburgo, Olanda ) formarono il Mercato Comune Europeo • Da allora 9 paesi nei vari processi di allargamento sono entrati a far parte dell’UE (Austria, Danimarca, Finlandia , Grecia, Portogallo Spagna Svezia e UK) formando l’UE 15 • Nel maggio 2004 altri 10 Central and Eastern European countries (Czech rep, Estonia, Hungary, Latvia, Lithuania, Polonia Slovakia, Slovenia, Cipro e Malta hanno aderito all’UE che è diventata (EU25) • Il primo gennaio 2007 Romania e Bulgaria sono entrati nell’UE27 • Fino a qualche anno fa il nome ufficiale era Comunità Europea ora il nome ufficiale è Unione Europea. • Da non confondere con il gruppo di paesi (attualmente 13 dopo l’entrata della Slovenia) che adottano l’EURO e seguono una politica monetaria comune (attule Eurozona o Eurolandia) R.Capolupo- Economia 2 (200607) 65 Indicatori area Euro : 19602000 19922000 2000 2002 2003 2004 2005 2006 3.1 2.1 3.7 0.9 0.6 1.8 1.2 2.5 U rate 6.5 9.9 8.4 8.4 8.9 8.9 9.0 7.9 GDP growth Inflation rate 5.6 1.7 2.8 2.6 2.2 2.0 1.9 2.2 Labor 3.0 2.2 1.4 0.5 0.5 1.1 0.6 0.8 productiv ity growth R.Capolupo- Economia 2 (200607) 66 Profilo macroeconomico dell’Europa • Nella primavera del 2002, immediatamente dopo l’introduzione dell’euro nella circolazione monetaria l’economia europea era in recessione • Bassa crescita del PIl reale a un tasso dello 0.6% annuo • Alto tasso di disoccupazione (dell’8.5% ) • Crescita dei prezzi al consumo a un tasso del 2.3% all’anno • Difficoltà di interpretare le azioni che sarebbero state intraprese dalla BCE • Grande ritardo rispetto agli USA (di circa un quinquennio) nell’introduzione e nell’intensificazione dell’uso delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (ICT) • Unica nota positiva degli osservatori economici internazionali: le riforme tendenti a rendere più flessibile il mercato del lavoro che dovrebbe condurre a una riduzione della disoccupazione R.Capolupo- Economia 2 (200607) 67 Quali le cause? • Consumi e grado di fiducia molto basso (probabilmente per le incertezze sul mercato del lavoro, precarizzazione) • Mercati azionari in rialzo , alti tassi di profitto ma deboli investimenti produttivi da parte delle imprese • Alti prezzi del petrolio • La perdita di ciascun paese dello strumento della politica monetaria per combattere shock esogeni • Impossibilità di usare la politica fiscale in senso espansivo dati i vincoli del Maastricht Treaty e dello Stability and Growth Pact (SGP) • Impossibilità di usare lo strumento del tasso di cambio per stimolare le domanda di esportazioni • Bassa competitività per l’alto costo del lavoro R.Capolupo- Economia 2 (200607) 68 Perché le imprese non investono di più? • La distribuzione è stata a favore dei profitti ma le imprese non investono • Nella tavola l’investimento /PIL per alcuni paesi 1981 1991 2003 2005 -90 -00 Euro area 21.7 21.0 19.8 20.3 France 21.7 19.4 19.2 19.9 Germ any 20.9 22.4 17.8 17.8 Italy 22.2 19.0 19.2 19.6 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 69 Investimenti esteri (IDE) • Nel periodo 1999-2004 gli investimenti diretti esteri ( IDE O FDI) dall’area EURO verso gli altri paesi sono stati pari al 17% degli investimenti fissi • Ma : • gli IDE dall’estero verso l’Europa dell’EURO nello stesso periodo sono stati soltanto il 12.5% R.Capolupo- Economia 2 (200607) 70 L’Italia e la crisi • GDP growth 2000 2001 2003 2005 2006 Italy 3.2 1.7 0.4 -0.6 1.5 Euro area 3.7 1.7 0.6 1.2 2.7 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 71 Perchè? • Perdita di competitività. La produttività in Italia è inferiore a quella dell’area EURO (1.1 contro 0.2) • La crescita dei salari maggiore dell’area euro (3.2 contro 1.7) • Problemi di specializzazione della struttura produttivia italiana in cui le esportazioni sono concentrate in settori in cui la domanda diminuisce (settore tradizionale) • Molti prodotti sono similari a quelli cinesi (tessile e abbigliamento) • Bassa produttività nel settore dei servizi R.Capolupo- Economia 2 (200607) 72 GIAPPONE • Dopo il crollo della bubble economy che ha visto una profonda caduta del mercato azionario e del mercato immobiliare , il Giappone è entrato in una profonda fase recessiva che dura ormai da circa 10 anni, caratterizzata da : • una fase di deflazione. Il livello generale dei prezzi si riduce di circa l’1% all’anno • Riduzione del Pil ( nel 2002 il Pil reale è diminuito di circa il 2%) • Tasso di disoccupazione molto elevato rispetto ai valori standard giapponesi (superiore al 5.3%) • I commentatori economici ritengono che il Giappone sia di fronte a una crisi strutturale che richiede cambiamenti profondi nel campo delle politiche atte a ripristinare la crescita : ristrutturazione del sistema finanziario e deregolamentare gran parte dell’economia • La politica economica della Banca centrale è considerata inefficace e si ricorda che la riduzione del tasso di interesse nominale a valori prossimi allo zero non aiutò gli USA a uscire dalla Grande depressione né fece aumentare gli investimenti • Ciò che conta nello stimolare l’economia non è il tasso a breve sui titoli sicuri ma il tasso di interesse a lungo termine che deve restare basso soprattutto quando: - Gli obbligazionisti si aspettano che la politica dei bassi tassi di interesse non durerà a lungo (trappola della liquidità) R.Capolupo- Economia 2 (200673 - Molte imprese possono fallire e non rimborsare il denaro che hanno preso a prestito 07) Variabili chiave Giappone 19602000 19922000 2000 2001 2002 2006 Growth rate 5.5 1.2 1.5 -0.7 -1.2 +2.5 U rate 2.0 3.0 4.7 5.0 5.5 4.3 Inflation rate 4.5 -0.1 -1.6 -1.6 -1.4 +0.9 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 74 Economie emergenti • • • • • Per economie emergenti si devono intendere le economie in fase di forte sviluppo che stanno sperimentando alti tassi di crescita del reddito reale pro-capite Una battuta d’arresto nella loro crescita queste economie (quelle del Sud Est Asiatico) la sperimentarono nel 1997 con la grave crisi finanziaria che le colpì. Sebbene oggi la crisi sia ormai superata, impose costi molto alti provocando un rallentamento della crescita, alti tassi di interesse, diffusi fallimenti, alta disoccupazione la causa che provocò la crisi è da attribuire al venir meno della fiducia da parte degli investitori finanziari internazionali e la fuga di capitali che ne conseguì. Oggi pare che gli investitori abbiano riacquistato fiducia e hanno ripreso gli investimenti in quei paesi. Si prevede che la Cina e l’ India continueranno a crescere a tassi molto elevati (8 e 6% rispettivamente). Si ricordi che in questi due paesi vive il 40% della popolazione mondiale. In realtà i fattori destabilizzanti dell’economia mondiale sono ancora presenti come dimostra la recente crisi dell’economia argentina. In questo paese ( e nel Sud Est asiatico e prima ancora in Messico) pare che la causa principale della fuga di capitali sia da ricercare nella possibilità che hanno i governi di svalutare il tasso di cambio, nonostante che le autorità argentine avessero affidato a un’autorità indipendente (currency board) la gestione R.Capolupo- Economia 2 (200675 valutaria 07) Asian economies (data from The Economist november 2006) %change GDP inflation Trade balance Foreign reserve($bn) CHINA +11.3 +1.3 +143.6 954.5 Hong Kong +5.2 +2.5 -14.9 130.3 India +8.9 +6.3 -41.8 158.3 Malaysia +5.9 +3.3 +28.0 79.0 Pakistan +6.6 +8.9 -12.6 11.3 Singapore +7.1 +0.7 +32.6 129.4 Philippines +5.5 +5.7 -4.1 18.8 South Korea +5.3 +2.4 +15.7 227.0 Taiwan +4.6 -1.2 +20.3 261.6 Indonesia +5.2 R.Capolupo- Economia 2 (2006+14.507) +36.4 40.8 76 commenti • Nel 2001 la crisi finanziaria in East Asia era sulla via della ripresa • Il panico iniziò nel 1997 da parte degli investitori finanziari esteri nei mercati di New York, Francoforte Londra e Tokio che provocò il ritiro dei capitali dai mercati emergenti. Ciò impose altissimi costi: massive fallimenti, alti tassi di interesse , disoccupazione, e caduta della produzione industriale. • Tuttavia gli investitori finanziari riguadagnarono fiducia ben presto in quelle economie come dimostrano le variabili aggregate chiave che abbiamo R.Capolupo- Economia 2 (200607) 77 Other emerging countries (Latin America) GDP growth Inflation rate Trade balance $bn Foreign reserves $bn Argentina +7.9 +10.4 +11.3 25.1 Brazil +1.2 +3.7 +46.3 68.8 Chile +4.5 +2.8 +20.0 17.6 Venezuela +9.2 +15.3 +37.2 27.6 Mexico +4.7 +4.1 -4.2 83.6 Peru +9.0 +2.0 +6.9 14.3 R.Capolupo- Economia 2 (200607) 78 commenti • Tra i paesi Latino- Americani riscontriamo paesi in profonda recessione durante il primo periodo di questo secolo come l’ Argentina che tuttavia è riuscita ad uscire dalla crisi molto presto e altri paesi come Peru e Venezuela che esibiscono tassi di crescita del PIL simili a quelli di China and India. • E’ altresì interessante notare il processo di convergenza of Eastern and Central European countries. Il maggiore problema per questi paesi resta la disoccupazione e l’inflazione R.Capolupo- Economia 2 (200607) 79 conclusioni • • • • • • 4 aree commerciali internazionali: USA EU Giappone e i paesi dell’Est Asiatico Le economie emergenti CINA e INDIA Come cambierà lo scenario mondiale? R.Capolupo- Economia 2 (200607) 80