παιδεία παιδοτρίβης κιθαριστής in Grecia e a Roma rethor Non scuola ma educazione • Quale scuola fu mai quella che formò un grande statista come Pericle, capace di promuovere una legge che, limitando il diritto di cittadinanza, privò di questo privilegio il suo stesso figlio considerato “bastardo” perché nato da una donna straniera? O che creò Ateniesi di così alto senso civico tanto che ostracizzarono Aristide, il migliore dei cittadini di Atene, pur di garantire equilibrio e stabilità alla città? O, ancora, che produsse il lucido senso critico di Tucidide, inventore del metodo storiografico che è alla base della storia su cui si è formata la civiltà moderna? • • Tucidide Pericle Mancano a tale proposito documenti letterari espliciti, ma da varie testimonianze indirette possiamo dedurre che fino all’età ellenistica non vi fu in Grecia una istruzione scolastica simile alla nostra, cioè obbligatoria, controllata dallo stato e finalizzata all’acquisizione di una cultura letteraria, scientifica e tecnica in funzione di un’attività lavorativa. Più che di scuola, dunque, per la Grecia antica si deve parlare di educazione. La palestra • • • La scuola greca è nata dalla palestra: il γυμνάσιον (gymnásion), infatti, termine con cui veniva indicata la scuola e che fino ad oggi ha definito anche da noi l’indirizzo classico di scuola superiore, aveva il centro di attività nella palestra. Esso viene da γυμνός (gymnós) “nudo”, perché i Greci durante la ginnastica si toglievano tutti gli abiti restando completamente nudi. A comprendere la relazione tra attività ginnica e Ginnasio di Olimpia scuola ci aiutano le parole di Platone: “guerre e spedizioni sono le attività più grandi e più belle, al pari dell’amministrazione delle città e dell’educazione degli uomini”: era quindi necessario educare i futuri cittadini alla guerra e alla politica. Perciò l’educazione, che doveva formare il guerriero e il politico perché fosse capace, oltre che di difendere ed accrescere la città, anche di amministrarla, era rivolta esclusivamente ai figli maschi di condizione libera delle famiglie aristocratiche ed abbienti. Da questi presupposti, almeno per tutta l’epoca antica e l’età classica fino all’Ellenismo, discendono tre idee chiave fondamentali: innanzi tutto la visione di una educazione completa, cioè del corpo come della mente, poi il suo necessario orientamento verso le esigenze della polis e della società, infine l’abitudine a riconoscere la presenza della funzione educativa non solo all’interno di una specifica istituzione (si chiami o meno scuola), ma in ogni aspetto della vita e della società, o, per dirla come Platone, πανταχοῦ cioè “dappertutto”. La μουσικὴ παιδεία • • • • Il fondamento dell’educazione dei futuri cittadini nelle città greche era la musica e la ginnastica; solo più tardi venne introdotta anche un’educazione letteraria rendendo così la formazione scolastica più simile al nostro modello. Storicamente l’insegnamento della musica fu più antico di quello delle lettere. Da sempre, infatti, i Greci hanno dimostrato per la musica e la danza grande passione ed interesse, considerando l’apprendimento del canto e degli strumenti musicali come base di ogni educazione liberale. Aedi e rapsodi, che già in epoca omerica celebravano le gesta degli eroi, erano circondati da grande considerazione e rispetto, e gli stessi eroi, come Achille che incarna il più alto ideale dei Greci, nella musica trovavano piacere, ristoro e distensione. Non è casuale che il nome stesso “musica” abbia la stessa radice di “Muse”, le dee che presiedevano a tutte le attività artistiche e intellettuali, a conferma che essa era considerata la parte essenziale e la più alta manifestazione della loro cultura. Musa citarista Particolare da lekythos attica L’uomo colto e capace, infatti, era il μουσικὸς ἀνήρ, (musikós anér, uomo musico), il politico ed il perfetto cittadino, e la μουσικὴ παιδεία (musiké paidéia), che per secoli ha avuto una continuità, era l’insieme delle tradizioni patrie che il fanciullo libero doveva apprendere. A lezione dal κιθαριστής • • • • Per i giovani parte fondamentale dell’educazione musicale era l’apprendimento a memoria e la recitazione cantilenata o cantata dei poemi di Omero, patrimonio culturale di tutta la Grecia. Si può dire che anticamente quasi non esistesse insegnamento di parole che non fosse anche in musica. Ricordando con nostalgia l’antica παιδεία dice Aristofane, e poi anche Platone, che “tutti i ragazzi di un rione andavano ordinati dal maestro per le strade; nudi, nevicasse fitto come farina”, e lì apprendevano i canti tramandati dai padri “con tanto rigore che chi sbagliava le prendeva di santa ragione”. Coppa del ceramista Duride VI-V a.C. La pittura vascolare ci ha conservato numerose scene di Particolare con rappresentazione di un giovinetti intenti a suonare la cetra o l’oboe dinanzi al maestro che suona l’aulòs (flauto doppio) κιθαριστής (kitharistés), il maestro di musica, che dà dinanzi all’allievo. Berlino. Staatliche Museum. l’esempio di come tenere lo strumento oppure batte il tempo. I giovani davano prova delle loro doti musicali soprattutto durante le grandi feste religiose e in occasioni solenni, quando con cori di canto e danza eseguivano inni tramandati dai padri in onore degli dei e degli eroi. Strumenti musicali e canti • • L’insegnamento della musica era fatto in modo empirico, ad orecchio, senza note scritte: ciò era possibile perché la musica greca era monodica e quindi, non conoscendo né l’armonia, né la polifonia, risultava abbastanza facile da imparare. Gli strumenti con cui i giovani si esercitavano erano la cetra, o lira, e l’aulós, strumento a fiato simile ad un oboe formato da due tubi divergenti. • • L’allievo impara a suonare l’aulòs. V secolo circa a.C. Vienna. Kunsthistorisches Museum, Antikensammlung. Insieme alla musica strumentale i bambini imparavano il canto, L’allievo impara a suonare la lyra. V secolo a.C. Vienna. Kunsthistorisches Museum, esercitandosi nella Antikensammlung. recitazione dei poemi omerici, patrimonio culturale di tutta la Grecia attraverso i quali si perpetuavano le antiche tradizioni degli Elleni. Con la nascita di nuovi generi letterari, come la poesia lirica, la fioritura del teatro, aperto alle grandi masse dell’Atene democratica, e l’affermazione di nuovi circoli a carattere politico e culturale (l’eteria, il tiaso) e le scuole filosofiche, si ampliò anche la diffusione della cultura e l’educazione dei giovani greci si avviò verso una profonda trasformazione. La storia dell’educazione greca in una coppa La κύλιξ di Duride Coppa di Duride. V secolo a.C. Vienna. Kunsthistorisches Museum, Antikensammlung. La coppa del ceramista Duride, che risale agli inizi del V a.C., rappresenta una delle prime immagini vascolari con scene di vita scolastica. Vi è illustrato il tridium delle discipline che, secondo Platone, costituiscono il fondamento della paideia: all’esterno l’insegnamento della lettura e della scrittura, la lettura e memorizzazione di prosa e poesia (grámmata), la lezione di musica e danza (musiké), e all’interno l’attività sportiva (gymnastiké). In alto un maestro di musica suona il doppio flauto (aulós) davanti ad un ragazzo; in basso dinanzi al maestro barbuto con la lyra in mano, siede un ragazzo che pizzica le corde di un uguale strumento. Le due scene sono intervallate dalla rappresentazione dell’insegnamento letterario: nella prima il maestro seduto con tavoletta scrittoria e stilo in mano controlla l’esercizio di scrittura dell’allievo; nella seconda in basso un uomo ha in mano un rotolo aperto sul quale il pittore ha scritto un verso in modo che sia leggibile per chi guarda il vaso; il ragazzo dinanzi a lui probabilmente sta ripetendo la lezione imparata a memoria, sotto lo sguardo attento del pedagogo che lo accompagna. L’interesse di questo documento è notevole: tra il VI e V secolo a.C. nasce, infatti, una nuova forma di istruzione, antenata diretta della scuola moderna, la “scuola dell’alfabeto”, in cui alla tradizionale lezione di musiké e di gymnastiké si associa anche l’insegnamento della lettura e della scrittura, la cui padronanza era ormai sentita come essenziale per il cittadino della giovane democrazia ateniese. Particolare della coppa di Duride - lato alto Particolare della coppa di Duride - lato basso Sparta, modello di educazione militare • • • Tra le tante città greche Sparta rappresenta, anche in età storica, un particolare esempio di pubblica educazione dei cittadini liberi, basato, secondo l’antica tradizione, sulla musica e sulla ginnastica. La minoranza dei Dori conquistatori poté, infatti, perpetuare il proprio dominio sulle popolazioni peloponnesiache solo riservando a sé in esclusiva l’educazione alla guerra; così Plutarco, in tempi molto più recenti, parlando dell’opera di Licurgo il mitico legislatore di Sparta, osservava: “I Lacedemoni sono dottissimi in musica ed insieme bellicosissimi”. È significativo d’altronde che a Sparta la scuola fosse denominata χορός (korós), cioè gruppo di danzatori, il maestro χορηγός (koregós) e l’insegnare χορηγεῖν (koregéin), termini che sottolineano lo stretto rapporto tra l’educazione musicale e la preparazione alla guerra, perché la ben regolata cadenza dei cori preparava oltre che alla danza pirrica o guerresca, alla manovra disciplinata dei battaglioni, mentre l’aulós e i canti ritmavano gli spostamenti dell’esercito. Rappresentazione della danza pyrrica ritmata dal suono dell’aulòs. Il suonatore ha intorno alla testa la phorbeia, una fascia di cuoio che aiutava a mantenere la pressione dell'aria nelle guance. Coppa attica del V secolo a.C. L’educazione aristocratica degli Spartiati • • Curata dalla città e posta sotto l’alta sorveglianza del παιδονόμος (paidonómos), un commissario governativo responsabile della formazione dei giovani, l’educazione spartana, così come le istituzioni politiche della città, rimase cristallizzata nelle forme fissatesi nel VI secolo a.C., all’epoca del colpo di stato aristocratico che sbarrò la strada alle tendenze verso l’evoluzione democratica che si andavano manifestando in altre città greche. “Licurgo – racconta Plutarco - non affidò i figli degli Spartiati a pedagoghi comprati o salariati. Nessuno poteva allevare o educare il figlio come voleva: appena i fanciulli raggiungevano i sette anni, egli li prendeva e li divideva in gruppi e, facendoli vivere e crescere in comune, li abituava ad essere compagni nei giochi e nelle attività serie”. Si esercitavano nel cavalcare, nella corsa, nel nuoto, nel lancio del giavellotto e del disco; certamente imparavano anche a leggere e a scrivere, ma i loro studi letterari “si limitavano allo stretto necessario e a fini pratici, tutta la loro educazione consisteva fin dalla più tenera fanciullezza nell’imparare ad ubbidire, a sopportare pazientemente la fatica e a vincere in battaglia. Col progredire dell’età il loro addestramento diventava sempre più duro, si rasava loro la testa e li si abituava a camminare scalzi e a giocare nudi” Giovane atleta che si appresta al lancio del disco. Coppa attica a figure rosse del la fine del VI secolo a.C. Parigi. Museo del Louvre. Atene, modello della cultura greca • • • Si tende di solito a sottolineare la diversità tra educazione spartana e ateniese, ma i fini e gli ingredienti erano gli stessi, anche se Sparta accentuò gli aspetti guerrieri ed Atene quelli culturali. D’altronde l’educazione della Grecia classica, fondata sul modello ginnico-militare, tendeva semplicemente a perpetuare i valori del modo aristocratico e non prevedeva di dover preparare i giovani ad un mestiere: perciò era soprattutto di tipo morale e non aveva bisogno di strutture scolastiche, ma si realizzava nella dimensione quotidiana della polis, in una pratica di vita sportiva, guerriera, agonistica, cittadina, in ambiente rigorosamente maschile. Ad Atene l’educazione era libera e lasciata all’iniziativa dei singoli: toccava ai genitori pagare le spese per i vari maestri, il παιδοτρίβης (paidotríbes), maestro di ginnastica, e il κιθαριστής (kitharistés), maestro di musica, ai quali più tardi si aggiunse il γραμματιστής (grammatistés), maestro di lettere che insegnava a leggere, scrivere e a fare i conti. Accadeva, però, che solo i figli dei cittadini agiati potessero compiere per intero il percorso di studi fino all’efebia, mentre quelli meno abbienti si dovevano accontentare solo dei primi rudimenti scolastici. Nessun controllo era esercitato dallo Stato sulla competenza degli insegnanti e sulle loro capacità didattiche. Giovane atleta con il paidotribes. Pittore di Kleophràdes , inizi del V secolo a.C. Parigi. Museo del Louvre Lettura e scrittura • • • • Imparare a leggere non era cosa facile come per noi: lo dimostra la parola greca che equivale al nostro “leggere”, ἀναγιγνώσκειν (anaghignóskein), che letteralmente significa “riconoscere”. Vi erano, infatti, solo lettere maiuscole e mancava ogni segno di interpunzione; le parole poi non erano nemmeno divise tra loro da spazi bianchi. Per scrivere gli scolari usavano tavolette di legno spalmate di cera. “I maestri dell’alfabeto” ci informa Platone “ai ragazzi che non sono ancora abituati a scrivere le lettere porgono la tavoletta dopo avervi accennato le lettere con lo stilo e li obbligano a scrivere seguendo quella traccia”. Quando il ragazzo aveva imparato bene a leggere e a scrivere, si esercitava ad imparare a memoria interi brani di poeti e soprattutto di Omero, l’educatore per eccellenza, da cui il grammatistés traeva lezioni non tanto di estetica, quanto di morale, religione e di vita perché Omero insegnava tutto ciò che un uomo degno di questo nome doveva sapere. Tavoletta scolastica in legno ricoperto di cera risalente circa al 200 d.C. Il maestro vi ha scritto due versi come modello, e lo scolaro li ha copiati due volte. Londra. British Museum. L’efebia ateniese • • • • • A 18 anni i giovani ateniesi di condizione libera e di nascita legittima, dotati di valide attitudini fisiche, diventano ἔφηβοι (éfebi) e ricevevano una formazione completa sia dal punto di vista militare sia sotto il profilo intellettuale e sociale preparandosi a diventare cittadini attivi. Sotto la guida di insegnanti di ginnastica e maestri venivano istruiti per due anni nel γυμνάσιον nel combattimento con le armi oplitiche, nel tiro con l’arco, nel lancio del giavellotto e delle catapulte, nell’equitazione. Grande parte aveva anche la loro formazione morale e civile: l’impegno a rispettare e onorare il culto dei padri e l’obbedienza alle leggi e ai magistrati della città. Al termine del secondo anno con una solenne cerimonia i giovani efebi venivano iscritti nei registri della cittadinanza e cominciavano ad esercitare i loro diritti di cittadini. Certamente l’efebia ateniese costituì il primo modello di quella scuola greca che si andò sviluppando poi in età ellenistica e che infine ha prodotto la scuola dei nostri giorni. Efebo di Maratona. 340 ca. a.C. Atene. Museo Archeologico Nazionale. Amore pedagogico e pederastia • • Un uomo adulto bacia un giovinetto. Pittore di Briseis. Parigi. Museo del Louvre. • L’educazione in Grecia fu un fenomeno rivolto quasi esclusivamente all’ambiente, perché finalizzata alla formazione del guerriero e del politico. Per il giovane, dunque, il modello educativo non poteva essere rappresentato se non da un uomo adulto di pari condizione sociale, al quale il ragazzo guardava con stima e fiducia alimentate dalla quotidiana frequentazione, realizzando così il percorso formativo che lo avrebbe portato alla piena maturità. D’altronde presso il maestro di grammatica, di musica o di ginnastica si potevano imparare nozioni, tecniche, movimenti, ma certamente non una educazione morale, e neppure presso il pedagogo, tanto più che spesso erano stranieri o di origine servile. La pederastia in Grecia aveva la sua origine nello spirito di cameratismo della vita militare, della palestra e del simposio, dove vigeva un’etica che voleva il rapporto omosessuale come legame di crescita intellettuale per l’ἐρώμενος (erómenos), il ragazzo amato, e che impegnava l’adulto, ἐραστής (erastés), in un rapporto pedagogico basato sull’affetto e sulla φιλία (philía), che è amore senza passione sensuale. Scena di amore omosessuale su kylix.Tarquinia, Roma. Museo Archeologico Nazionale. Dai sofisti… • • • Nella seconda metà del V secolo a.C. ad Atene apparvero innovazioni molto importanti in materia di educazione in pieno accordo con le trasformazioni politiche: all’obiettivo di formare il soldato si sostituì quello di formare il cittadino di successo. L’istruzione si democratizzò grazie all’apporto dei sofisti, conferenzieri itineranti, che con l’esibizione del loro sapere e del loro talento verbale attiravano in gran numero gli allievi, acquistando polarità, prestigio e ricchezza. La pretesa dei sofisti era quella di insegnare, a pagamento, un sapere universalistico e di formare uomini di prim’ordine abili e, a loro dire, sapienti, ma soprattutto capaci di impressionare le masse e fare presa su di esse. Così si diffuse la convinzione che la τέχνη πολιτιχή (téchne politiché, arte politica) così come l’ἀρετή (areté), cioè l’insieme di qualità che rendono l’uomo eccellente ed illustre, potessero essere insegnate come qualsiasi altra disciplina e divenire possesso di chiunque, indipendentemente dalle qualità morali del singolo. Gorgia Protagora Antifonte Anassagora …alle scuole di retorica • • Con la grave crisi degli inizi del IV secolo a.C., che sottrasse definitivamente ad Atene il primato sull’Ellade, la discussione ed il fermento culturale andarono spegnendosi e subentrò una decisa reazione contro le nuove mode e contro nuove forme di libero pensiero: Socrate ne fu la vittima più famosa. I filosofi si ritirarono nelle scuole, allontanandosi dai problemi di scottante attualità; l’insegnamento si fece più tecnico e dottrinale; l’orientamento intellettualistico degli studi produsse un certo disinteresse verso l’educazione fisica; al ginnasio, che aveva il suo centro nella palestra, subentrò l’Accademia fondata da Platone, il Liceo guidato da Aristotele e le scuole di retorica, prima tra tutte quella di Isocrate. Così a poco a poco la formazione dei giovani, prima completa e radicata nella vita quotidiana, vide prevalere l’elemento intellettuale, gettando le basi per uno studio sistematico e metodico ed avviandosi verso la scuola dei nostri tempi. Socrate Platone Aristotele Isocrate Educazione e istruzione a Roma • • • • Anche a Roma, così come in Grecia, è improprio parlare di scuola nel senso moderno del termine, almeno fino alla fine del I secolo. Più adeguati sono i termini educazione, istruzione, che rivelano, anche nell’etimologia, pur con le dovute differenze, l’intento formativo rivolto alle nuove generazioni. Educare è un derivato intensivo del verbo educere, ma non implica semplicemente l’idea di “tirar fuori da”, quanto quella di “portare da un livello inferiore ad uno superiore”, cioè “far crescere, coltivare, allevare”: è quindi implicita nel verbo l’idea di curare per aiutare il bambino a svilupparsi fisicamente e spiritualmente, perché possa raggiungere la piena espressione di tutte le sue potenzialità. Anche il termine istruire, dal latino instruere “costruire” è collegato al processo educativo da un rapporto di inclusione: l’istruzione è, infatti, parte dell’educazione, o meglio è il modo in cui si realizza l’educazione, in quanto riguarda il trasferimento dei contenuti culturali da chi già li possiede a chi non li possiede. Si tratta di un insieme costituito da stili di comportamento, da valori, da pratiche di uso quotidiano, acquisiti spesso attraverso l’osservazione e l’imitazione del comportamento di persone che rappresentano un modello. Insegnare (da signare “tracciare, indicare”) vuol dire, dunque, indicare il metodo grazie al quale l’allievo può raggiungere l’obiettivo ultimo: la piena consapevolezza di sé e del suo ruolo nella vita. Sapientia ad res • • • Il più antico sapere romano, la sapientia, era certamente rivolto ad res, “al concreto”, ed aveva ben poco in comune con la ricerca del vero, del giusto, del bello propria dei Greci. Sapere era per il Romano apprendimento del vivere pratico, buon senso e saggezza, arte di vita più che scientia in assoluto. In questa prospettiva la società, e soprattutto la famiglia romana, ha educato i ragazzi fino a quando la conquista della Grecia nel II secolo a.C. e l’arrivo a Roma dei maestri greci ha aperto più vasti orizzonti all’istruzione della gioventù. Per lungo tempo, cioè per buona parte dell’età repubblicana, l’ambiente naturale dell’educazione e dell’istruzione dei fanciulli fu la famiglia. I padri delle classi alte guidavano con premura i bambini nell’apprendimento dei primi rudimenti della scrittura, della lettura e del calcolo, completando il lavoro con l’insegnamento di passi letterari famosi, delle leggi e della giustizia. Le fasi della vita di un giovinetto. Sarcofago di M. Cornelius Statius. Parigi. Museo del Louvre L’esempio di Catone • • • “Catone il Censore - ricorda Plutarco – appena il figlio cominciò a capire gli insegnò lui stesso a leggere e a scrivere, benché avesse in casa uno schiavo istruito che insegnava grammatica a molti ragazzi. Pensava, infatti, che non fosse dignitoso per suo figlio essere rimproverato da uno schiavo che gli tirasse le orecchie se era un po’ lento ad apprendere, e soprattutto dover essere riconoscente ad uno schiavo per un beneficio così importante come l’educazione. Perciò si trasformò in maestro di grammatica, di diritto, di ginnastica, e insegnò al figlio la scherma, l’equitazione e persino il pugilato, a resistere al caldo e al freddo, ad attraversare a nuoto le onde vorticose e impetuose del Tevere. Narra egli stesso di aver composto e trascritto di sua mano, a grossi caratteri (per facilitare la lettura al figlio ancora piccolo), la storia di Roma, perché il ragazzo trovasse in casa un aiuto per conoscere il passato della sua patria”. Marco Porcio Catone, soprannominato “il Censore” originario di Tusculum, visse tra il III-II secolo a.C., fu politico, generale, e uomo di lettere. Roma . Museo di Villa Torlonia. L’ellenizzazione della cultura • • Scena di lezione: il maestro fra i suoi scolari ascolta la lettura dell’uno, mentre l’altro segue sul suo rotolo. La presenza della barba, non in uso presso i Romani, fa propendere per l’origine greca del magister. Museo di Treviri L’espansione economico-sociale dei primi decenni del II secolo a.C. contribuì notevolmente ad accrescere la domanda di istruzione e ad ampliare la necessità di padroneggiare le tecniche fondamentali per leggere e scrivere. Accadde allora che i Greci, spesso giunti come schiavi di guerra, portarono nel mondo romano il prezioso contributo della loro civiltà e divennero maestri di cultura nelle famiglie aristocratiche o in rudimentali organizzazioni scolastiche, nate dall’intraprendenza e dall’iniziativa di alcuni di loro. Ludus magistri • • • • Il primo passo verso l’alfabetizzazione del bambino era rappresentato dal ludus magistri, che riuniva gli alunni senza tener conto della loro età e del livello di apprendimento. La scuola era un semplice e povero locale, la pergula, una specie di “bottega dell’istruzione”, per lo più all’aperto o sotto un portico, talvolta improvvisata nella modesta casa del magister stesso. D’altra parte la scarsa retribuzione, ottenuta dal maestro talora con grande difficoltà, finiva col Maestro che frusta un alunno. Disegno da un declassare ancor di più la qualità del suo affresco di Pompei insegnamento, non sottoposto ad alcun controllo statale. La paga, dunque, era misera: Giovenale, ancora nel II secolo, scrive che il vincitore dei giochi del circo poteva guadagnare in un solo giorno una somma pari allo stipendio annuale di un insegnante. Quanto ai metodi di insegnamento le lezioni, che si tenevano tutti i giorni dall’alba a mezzogiorno, erano, a detta di Quintiliano, ripetitive e noiosissime. In queste condizioni mantenere la disciplina e l’attenzione degli studenti non era facile, cosicché per molti docenti “la sferza scita, orlata di orride strisce di cuoio – ci informa Marziale- e le crudeli bacchette erano sceptra paedagogorum “lo scettro degli insegnanti”. Orazio non dimenticò mai il suo maestro manesco Orbilium plagosum che gli aveva insegnato i poemi di Livio Andronico a suon di botte. Educazione …. al femminile • Poche le notizie relative all’educazione delle bambine romane, per lo più le desunte da accenni in testi letterari o dalla iconografia, in particolare epigrafi funerarie e affreschi pompeiani. Certamente la maggiore libertà di cui godeva la donna romana rispetto a quella greca favorì anche una cura più attenta alla sua formazione, ma come sempre questa dipendeva dalle possibilità economiche della famiglia e dal livello sociale. • Almeno fino all’età imperiale, il modello femminile di riferimento, riassunto in casta fuit, domum servavit, lanam fecit “fu casta, custodì la casa, lavorò la lana”, indirizzò l’educazione delle fanciulle romane, alle quali fin dalla più tenera età si insegnava a curare la casa, dirigere i servitori, ricamare e filare; sappiamo però che anche le bambine seguivano un primo ciclo di istruzione sotto la guida di un precettore, se lo Fanciulla con il calamo e tavoletta cerata in mano. status della famiglia lo consentiva, o nella Affresco da Pompei. pubblica, in classi miste, dove imparavano a Napoli. Museo Archeologico Nazionale. leggere, scrivere, far di conto. • L’epigrafe funeraria della piccola Magnilla, morta a soli 7 anni, la descrive come super annos docta, e Iulia Secunda, scomparsa a 11 anni, era doctrinā super legitimam sexus sui aetatem praestantissima. Disegno da un affresco di Pompei raffigurante due ragazze intente a scrivere. Napoli. Museo Archeologico Nazionale. Paquius Proculus (?) e la moglie che regge in mano le tavolette scrittorie. Affresco da Pompei. Napoli. Museo Archeologico Nazionale. Dalle tavolette al libro Per scrivere gli alunni usavano la tabulae ceratae, tavolette di legno con il bordo rilevato entro il quale si stendeva uno strato di cera molle. I caratteri erano incisi con un cannello di avorio o metallo, detto stilus, appiattito all’altra estremità per poter cancellare i segni tracciati. Sul margine erano praticati dei fori attraverso i quali passava una cordicella che legava tra loro due o più tavolette, cos’ da formare una specie di libro. Dal I sec. a.C. si diffuse l’uso della pergamena prodotta con pelli di pecora, di capra o di vitello; i fogli membranacei venivano poi raccolti in copertine di legno, oppure di cuoio o di bronzo. La pergamena (membrana o vellum in latino) prende nome dalla città di Pergamo (nell'Asia minore) dove, secondo la tradizione riferita da Plinio il Vecchio, sarebbe stata inventata attorno al II secolo a.C., come sostituto del papiro, ma dato il suo costo molto più elevato e la complessità della produzione, anticamente non riuscì ad avere grande diffusione. A partire dal III sec. a.C., quando le vicende politiche incrementarono i rapporti con l’Egitto e l’Oriente, i Romani cominciarono ad utilizzare fogli di papiro. E’ interessante ricordare che il nome italiano carta deriva, attraverso il latino charta, dal greco χάρτης, che significa appunto “foglio di papiro”. Per scrivere si usava inchiostro nero (atramentum) un miscuglio di fuliggine, pece, liquido di seppia e feccia di vino, diluito in acqua. Si scriveva su colonne parallele, sulla parte interna del rotolo; poi il rotolo veniva avvolto su se stesso intorno ad un bastoncino, umbelicus, andando così a formare il volumen (dal verbo volvo “avvolgere, arrotolare”). Infine il foglio veniva unto con olio di cedro e i margini levigati con la pomice; i rotoli venivano conservati in appositi cofanetti detti capsae. Lusus grammatici e lusus rethoris • • • • Concluso intorno ai 12 anni il lusus magistri, una sorta di alfabetizzazione elementare, gli scolari intenzionati a proseguire gli studi accedevano al lusus grammatici, dove perfezionavano la loro capacità di leggere e scrivere, e approfondivano la conoscenza della lingua latina nei suoi aspetti lessicali, morfosintattici e stilistici, intervallando gli argomenti con la lettura e il commento di opere di autori greci e latini. L’ultimo stadio del curriculum di studi era il lusus rethoris, ma si trattò almeno per buona parte del periodo repubblicano di un corso elitario, destinato ai figli delle famiglie aristocratiche e dell’alta borghesia, orientati verso mete ambiziose, cioè la carriera politica o l’avvocatura. Il percorso mirava a sviluppare la competenza oratoria, il senso critico e la capacità argomentativa, così da poterle poi sfruttare al meglio nella difesa o nell’accusa durante un processo, o nei discorsi pubblici tenuti in assemblea. Non mancava anche l’acquisizione di una certa competenza giuridica nella conoscenza e interpretazione delle leggi, ed infine una sorta di tirocinio nel foro, dove i futuri avvocati si mettevano alla prova sotto il controllo attento del loro rethor. Grammaticus greco II d.C. Roma. Palazzo Altieri. La crisi dell’oratoria • • Con la fine della res publica, quando a poco a poco si spense il fervore del foro e la formazione dell’oratore fu relegata nelle scuole di retorica lontano dall’attualità della vita, questo tipo di istruzione non solo risultò del tutto inutile ma addirittura dannoso. I giovani istruiti ad un uso vuoto e fittizio della retorica, come dice Seneca il Retore, una volta terminati gli studi ed immersi nel foro per esercitare la loro professione, rischiavano di trovarsi spaesati, come quei corpi che, dopo essere stati abituati a vivere all’ombra e al chiuso, vengano esposti all’improvviso all’aperto, alla pioggia e al sole. Statua di bronzo detta dell’”arringatore”. II a.C. Firenze. Museo Archeologico. Scuola pubblica o scuola privata? • • • Con l’afflusso sempre più consistente di maestri greci giunti a Roma agli inizi del II secolo a.C. e la crescita di disponibilità economiche, i genitori romani ebbero molte più opportunità nella scelta dell’insegnante a cui affidare l’educazione dei propri figli. L’esigenza di istruzione più raffinata, che comprendesse anche la conoscenza della lingua greca, spinse le famiglie dell’aristocrazia a preferire l’insegnamento privato svolto a casa sotto la guida del pedagogus, mentre la classe medio borghese continuava ad avvalersi di quello pubblico. Meglio la scuola pubblica o privata? Ancora all’epoca di Quintiliano, alla fine del I secolo, il problema era ampiamente dibattuto, a giudicare dal suo deciso intervento a favore della scuola pubblica. Nella sua opera Institutio oratoria, composta per “dare consigli a chi si accinge ad insegnare”, egli mette in guardia dalle insidie e dai guasti che può produrre l’insegnamento di un precettore a casa, sia sul piano formativo che psicologico: la difficoltà di socializzazione con altri ragazzi e la tendenza a sviluppare un carattere timido e scontroso; l’incapacità di autovalutazione che nasce, invece, dal confronto con gli altri; l’assenza del senso di emulazione e di agonismo che sono stimolo ad un continuo miglioramento dei risultati, così come il rimprovero e la correzione pubblica, che, in modo misurato, accrescono l’attitudine all’apprendimento. Verso la scuola istituzionalizzata • • • Vespasiano. I sec. Copenhagen, Ny Carslberg Glyptothek Il sistema educativo proposto da Quintiliano è l’espressione del mutare dei tempi e delle esigenze del mondo romano. L’imponente macchina statale dell’impero avvertiva sempre di più il bisogno di un apparato burocratico formato da funzionari e impiegati validi, onesti e competenti, ideologicamente allineati con le direttive del princeps. A questo punto l’intervento dello stato nella formazione delle nuove leve diventò urgente e indispensabile: Vespasiano creò una struttura scolastica finanziata e controllata dallo stato e volle che ad occupare la prima cattedra pubblica di retorica fosse proprio il retore Quintiliano, retribuendolo con lo stipendio più che ragguardevole di 100.000 sesterzi annui. La gestione statale della scuola attraverso l’assunzione diretta degli insegnanti e il controllo dei metodi e dei contenuti dell’insegnamento rispondeva a queste nuove urgenze e contribuiva ad ampliare la base del consenso nei confronti del principato. Vir bonus dicendi peritus • • • Il progetto didattico di Quintiliano prese le mosse dall’osservazione del livello di degrado a cui era ormai giunta l’oratoria, sia per la cattiva qualità dei maestri e la scarsa applicazione degli allievi, sia perché asservita alla logica del potere e del successo. A questo si aggiungeva la dilagante corruzione tra i funzionari statali votati ad interessi particolaristici e personali. Occorreva, quindi, prima di tutto formare un uomo capace di vivere onestamente e dotato di alti pensieri, e poi l’oratore in grado di trasmettere un sistema di valori attraverso le sue parole; per dirla in breve con un’espressione formulata da Catone e poi ripresa da Cicerone il vir bonus dicendi peritus “un uomo integerrimo, esperto nell’arte del parlare in pubblico”. Alla scuola Quintiliano assegna un’alta valenza educativa: è il luogo dove si formano davvero gli uomini e dove il maestro può diventare davvero un educatore; è una piccola società in cui l’alunno impara a vivere socialmente, si abitua a trattare con i suoi simili e a fare esperienza dei rapporti interumani; è il luogo di formazione dove si apprende il valore della cultura, che non è arido sapere nozionistico o mnemonica erudizione, ma il frutto dell’esperienza maturata dall’uomo nel corso della sua storia. Statua di Quintiliano a Calahorra, città natale del retore.