Sistemi Economici Comparati Anno accademico 2014

Sistemi Economici Comparati
Anno accademico 2014-2015
Prof.sa Renata Targetti Lenti
Diseguaglianza e crescita
Lezione 6 16/10/2014
Letture
- Commission on Growth and Development (2008), Final Report,
Part 1, Sustained high growth in postwar period
http://siteresources.worldbank.org/EXTPREMNET/Resources/4899601338997241035/Growth_Commission_Final_Report_Pt1_Sustained_High_Gr
owth_Postwar_Period.pdf
Part 2, Policy ingredients of growth strategies.
http://siteresources.worldbank.org/EXTPREMNET/Resources/4899601338997241035/Growth_Commission_Final_Report_Pt2_Policy_Ingredients_
Growth_Strategies.pdf
- Volpi Franco, Lezioni di economia dello sviluppo, Franco Angeli, Milano,
2011, cap.13, , pp. 173-194, 225-236.
Negli ultimi 10 anni si sono intensificati gli studi sulle relazioni
tra diseguaglianza nella distribuzione personale dei redditi e
crescita. Le due principali teorie dello sviluppo e della crescita
(quella keynesiana e quella neoclassica) hanno influenzato
l’analisi delle relazioni tra questo processo e la distribuzione del
reddito. Il principale fattore di sviluppo è individuato
nell'accumulazione di capitale e lo sviluppo economico viene
misurato dall’aumento del reddito pro-capite. Il tipo di
distribuzione che “conta” è quella funzionale.
Anche in passato, del resto, nei modelli della scuola classica
l’accumulazione del capitale resa possibile da profitti positivi
avrebbe favorito la crescita. La formazione di profitti, risparmio
era la condizione per un elevato tasso di investimenti, di
accumulazione del capitale e crescita.
Modelli keynesiani
Negli anni 60, in particolare, il dibattito tra economisti keynesiani e neoclassici
si concentra sui diversi meccanismi per far avvicinare il tasso di crescita
naturale Gn (che deve garantire la piena occupazione) e quello garantito Gw
(che corrisponde all’eguaglianza tra domanda ed offerta ottenuta sfruttando la
capacità produttiva resa possibile dall’accumulazione di capitale). Il tasso di
crescita naturale dipende dalla crescita demografica che è esogena.
Per i keynesiani il meccanismo per assicurare una crescita bilanciata e di piena
occupazione era da ricercarsi in una modifica della distribuzione funzionale dei
redditi. La crescita dipende dalle decisioni di investimento di coloro che
possiedono il capitale (indipendentemente dal fatto che anche i lavoratori
risparmiano) e dunque quanto più elevata è la quota di profitti da investire tanto
più rapida sarà la crescita.
Una modifica della distribuzione a favore dei profitti è in grado di sostenere
l’accumulazione e dunque di stimolare l’occupazione. Una distribuzione a
favore dei salari, quando ci si avvicini alla piena occupazione, consente di
riportare il sentiero di crescita verso quello naturale.
Modelli neoclassici
Per i neoclassici la distribuzione funzionale del reddito non ha
influenza sulla crescita in quanto si pone l’ipotesi che tutti gli
agenti possano risparmiare. La quota di risparmio che deve essere
investita dipende dalla crescita della popolazione e dagli
ammortamenti necessari alla sostituzione del capitale obsoleto.
Il meccanismo per garantire una crescita bilanciata e di piena
occupazione è da individuarsi in un mutamento delle tecniche
indotto da modificazioni dei prezzi dei fattori (lavoro e capitale).
Se si è lontani dalla piena occupazione la riduzione dei salari
induce ad adottare tecniche intensive di lavoro e viceversa.
La variabile che guida il processo di investimento, di sostituzione
del capitale al lavoro (o viceversa) è il costo del capitale che
dipende daltasso di interesse e dall’offerta di risparmio.
Per i keynesiani risulta chiaro il legame tra distribuzione
funzionale e crescita, tra crescita e distribuzione funzionale. Ad
un aumento della quota dei profitti in seguito alla crescita
corrisponde un aumento della diseguaglianza. Ne consegue:
diseguaglianza crescente nelle fasi iniziali del processo di
sviluppo e/o al di sotto della piena occupazione; diseguaglianza
costante (o decrescente) nella fase matura dello sviluppo. In linea
generale, tuttavia, lo stato stazionario è caratterizzato da una
diseguaglianza permanente.
Meno chiaro invece risulta essere la relazione tra distribuzione
personale del reddito e crescita. Il legame, in questo caso, deve
essere individuato negli incentivi al risparmio ed alla
accumulazione che anche i lavoratori potrebbero avere.
Per i neoclassici il legame è tra distribuzione personale e crescita
e tra crescita e distribuzione personale. Lo stato stazionario
finisce con il produrre “la scomparsa della diseguaglianza”. E
questo nell’ipotesi che “tutti gli individui abbiano preferenze ed
abilità identiche” e quindi si giunga ad un livellamento delle
retribuzioni e dei rendimenti dei beni capitali.
Se si parte da una situazione caratterizzata da diseguaglianza
nella distribuzione della ricchezza e dei redditi l’incentivo al
risparmio delle classi più ricche sarà minore, a causa dei
rendimenti marginali del capitale decrescenti, così che
progressivamente il tasso di accumulazione più elevato che
caratterizza le classi più povere provoca un processo di
convergenza
nella
distribuzione
della
ricchezza
(indipendentemente dalle eredità) e dei redditi complessivi
(derivante dalla somma dei redditi da lavoro e da capitale).
Principale conclusione del modello di crescita di
Solow  l’accumulazione capitalistica non
garantisce di per sé, senza cioè l’intervento di un
progresso tecnico esogeno, una crescita persistente
del reddito pro capite  rendimenti marginali
decrescenti del capitaleconvergenza per i paesi
poveri «condizionale » (a parità di ogni altra
condizione).
Entrambi i modelli presuppongono la crescita e non
la spiegano.Comunque non si spiega il legame
inverso e cioè come la crescita condizioni i fattori che
sono all’origine della diseguaglianza.
Modello di Harrod Domar
•
•
•
•
•
•
•
Y = f(K,L) Produzione a coefficienti fissi
s = S(Y)/Y propensione al risparmio
v = K/Y = dK/dY rapporto capitale prodotto
dY = dK /v
dK=I = v dY
Ricordando che S = I la condizione d’equilibrio diventa
s Yt-1 = v dY  dY/Yt-1 = s/v =Gw
Il tasso di crescita del prodotto Gw sarà tanto più elevato quanto più alta la
propensione al risparmio v e quanto più basso il valore capitale-prodotto.
Questo modello è stato utilizzato anche a scopo di pianificazione fissando
come obiettivo da raggiungere Gw
In questo modello l’unico fattore che conta è il capitale ed il progresso
tecnico che facendo aumentare la produttività riduce v.
Modello neoclassico di Solow
Il modello si basa su una funzione di produzione neoclassica standard,
Y/L = F(K/L),
che si può riscrivere come y = f(k), che è la curva arancione sul grafico. Data
la funzione di produzione l’output per lavoratore è una funzione del capitale
per lavoratore.
La funzione di produzione presuppone rendimenti decrescenti del capitale
modello, come indicato dalla pendenza della funzione di produzione.
Indichiamo con:
•
n = tasso di crescita della popolazione
•
d = deprezzamento del capitale
•
k = capitale per lavoratore
•
y = output/reddito per lavoratore
•
L = forza lavoro
•
s = tasso di risparmio.
La variazione del capitale per lavoratore può essere determinata da tre
variabili:
Investimento (risparmio) per lavoratore
Crescita della popolazione, ove la popolazione in aumento farà diminuire il
livello di capitale per lavoratore.
Deprezzamento: lo stock di capitale diminuisce mentre si svaluta.
Quando sy > (n+d)k, cioè quando il tasso di risparmio è
maggiore del tasso di crescita della popolazione più il tasso di
deprezzamento (llinea verde è sopra la linea nera sul grafico)
allora il capitale per lavoratore k sta aumentando, e questo è
noto come approfondimento del capitale. Quando il capitale
sta aumentando ad un tasso appena sufficiente a tenere il
passo dell’aumento della popolazione e del deprezzamento,
allora questo è noto come allargamento del capitale.
Le curve si intersecano nel punto A, lo steady state. Nello
steady state, l’output per lavoratore è costante e l’output totale
cresce al tasso n, il tasso di crescita della popolazione. A
sinistra del punto A, nel punto k1 ad esempio, il risparmio per
lavoratore è maggiore dell’ammontare necessario per
mantenere un livello costante di capitale, e quindi il capitale
per lavoratore aumenta. Si ha approfondimento di capitale da
y1 a y0 e così l’output per lavoratore aumenta. A destra del
punto A, dove sy < (n+d)k, il punto y2 per esempio, il capitale
per lavoratore sta diminuendo, poiché l’investimento non è
sufficiente a contrastare deprezzamento e crescita della
popolazione. Di conseguenza l’output per lavoratore cade y2 a
Data la crescita della popolazione ed il progresso tecnico il tasso di crescita del
reddito è dato dal capitale. Se la tecnologia resta costante il prodotto aumenta solo
in modo proporzionale alla popolazione. La popolazione entra come determinante
del tasso di crescita naturale, ma anche come fattore di crescita del prodotto.
Anche in questo modello il tasso di crescita di y dipende dalla produttività del
capitale e dal tasso di risparmio (come nel modello keynesiano). La differenza
consiste nel fatto che in questo caso il rapporto capitale prodotto non è fisso, ma
variabile in relazione ai prezzi relativi dei fattori di produzione.
Vi sarà un rapporto capitale lavoro k* che assicura una crescita di piena
occupazione. Il meccanismo per riportare l’economia sul sentiero di crescita
bilanciata è da individuarsi in un mutamento delle tecniche indotto da
modificazioni dei prezzi dei fattori (lavoro e capitale). Se si è lontani dalla piena
occupazione la riduzione dei salari induce ad adottare tecniche intensive di lavoro e
dunque abbassa k.
Il progresso tecnico inoltre ha un ruolo importante nel far aumentare il tasso di
crescita del sistema. Il progresso tecnico esogeno è la condizione per far aumentare
il tasso di crescita del prodotto (rendimenti marginali del capitale decrescenti).
Rapporto della “Commission on Growth and Development”
In sintesi il principale fattore di sviluppo considerato nei modelli della scuola
classica e keynesiana (Harrod-Domar), sono il capitale fisico e il progresso
tecnico che determina il rapporto capitale prodotto v. Nel modello neoclassico,
invece, entra esplicitamente la popolazione, e dunque anche il capitale umano.
La recente esperienza di alcuni paesi che hanno sperimentato un processo di
rapido sviluppo consente di evidenziare altri fattori che favoriscono il decollo e
la crescita. Questa esperienza è stata analizzata dal Rapporto della
“Commission on Growth and Development” pubblicato nel 2008. Questo
documento è importante in quanto sintetizza il dibattito più recente
sull’economia dello sviluppo.
Il Growth Report analizza l’esperienza di tredici Paesi che, a partire dal 1950 e
per almeno 25 anni sono cresciuti al ritmo del 7% all'anno, al fine di
evidenziare i fattori che hanno contribuito alla rapida crescita di quei paesi. Le
economie prese in considerazione sono Botswana; Brasile; China; Hong KongCina; Indonesia; Giappone; Corea del Sud; Malaysia; Malta; Oman;
Singapore; Taiwan-Cina; Tailandia. Altri due Paesi che potrebbero appartenere
a questo gruppo in un futuro prossimo sono India e Vietnam.
I fattori che sono stati ritenuti alla base del successo di questi
paesi sono:
1)La globalizzazione e la capacità di sfruttarne le potenzialità
(allargamento dei mercati, della domanda, importazione di valori
sociali e culturali oltre che di innovazioni tecnologiche,
conoscenze). Sviluppo trainato dalle esportazioni.
2) la stabilità macroeconomica, bassa inflazione ed equilibrio
nelle variabili macro. La stabilità è importante per la crescita;
3) elevati tassi di risparmio e investimento che favoriscono
l’accumulazione di capitale e la creazione di infrastrutture;
4) promozione della libertà di mercato come meccanismo di
allocazione delle risorse. Tutti i paesi hanno favorito le
ristrutturazioni produttive ed hanno accettato il cambiamento in
una logica di tipo schumpeteriano e cioè in un processo di
competizione dinamica. Un processo di innovazione per imitare i
paesi industrializzati è considerato fondamentale;
5) l’esistenza di governi stabili, autorevoli e credibili e che hanno
favorito il mutamento con un’azione riformatrice. Richiedere una
compressione dei consumi per favorire il risparmio e
l’accumulazione richiede una leadership forte. Se da una parte lo
Stato non deve interferire eccessivamente con l’attività privata,
dall’altra deve assicurare le condizioni perché un processo di
sviluppo possa essere avviato.
In fast-growing Asia, public investment in infrastructure accounts
for 5–7 percent of GDP or more. In China, Thailand, and
Vietnam, total infrastructure investment exceeds 7 percent of
GDP.
6) Politiche per includere ed assicurare eguaglianza di
opportunità;
L'insufficienza di fondi per l'investimento è stata considerata
da numerosi economisti come il principale limite
all'accumulazione per i paesi che iniziano un processo di
sviluppo.
Essa presenta due aspetti: da un lato, la quota di risparmio sul
reddito nazionale è bassa; dall'altro, le entrate nette delle
esportazioni non sono in grado di fornire la valuta estera
necessaria ad acquistare i mezzi della produzione nei quali
l'investimento si materializza;
Esiste, dunque, un doppio gap che può essere superato solo
con flussi netti di capitale dall'estero.
Progresso tecnico
Il progresso tecnico, insieme al accumulazione di capitale, è
sempre stato considerato un fattore fondamentaleper lo
sviluppo. Tradizionalmente si distingue tra progresso tecnico
neutrale, capital saving (e cioè intensivo di lavoro), labor
saving (e cioè intensivo di capitale).
Gli storici dell'economia hanno discusso i presupposti e le
condizioni che hanno caratterizzato le invenzioni e la loro
applicazione alla produzione nella rivoluzione industriale
inglese e le diverse modalità con le quali una successiva
ondata di innovazioni ha determinato la seconda rivoluzione
industriale nei late comers, rilevando anche i vantaggi e gli
svantaggi che ha rappresentato la relativa arretratezza di questi.
Quale tecnologia adottare in funzione della necessità di
sostenere un processo di sviluppo industriale. Tecnologie ad
elevata intensità di capitale comportano elevata produttività,
elevata formazione di profitti e di risparmio.
Nel caso dei PVS il problema viene affrontato non tanto con
riferimento alla loro capacità di sviluppare nuove tecnologie,
ma invece ai problemi che derivano dal dover importare
tecnologie dai paesi industrializzati.
Le condizioni necessarie perché il trasferimento di tecnologie,
generalmente incorporate in mezzi della produzione, abbia
luogo e produca gli effetti desiderati, sono la capacità di
investire e, quindi, la disponibilità di capacità imprenditoriale,
di risparmio e di valuta estera o la possibilità di attirare
investimenti diretti stranieri, e l'esistenza di tecnici e lavoratori
in grado di utilizzare efficacemente le tecnologie importate
adattandole a un ambiente diverso da quello dal quale
provengono.
Nei PVS il principale inconveniente derivante dall'applicazione di
metodi produttivi importati da paesi sviluppati è quello che va
sotto il nome di “inapropriatezza” delle tecnologie: la
combinazione di fattori prevista dalla nuova tecnica può essere
diversa da quella che verrebbe suggerita dalla loro relativa
scarsità o abbondanza nel paese sottosviluppato;
La tipologia dei prodotti può non corrispondere ai bisogni che
sarebbe opportuno soddisfare prioritariamente; l'applicazione di
quei metodi perpetuerebbe la dipendenza del paese da quelli più
sviluppati per la fornitura dei ricambi e per l'assistenza tecnica.
Problema: quale tecnologia adottare in relazione alla dotazione
fattoriale dei PVS. Le tecnologie ad alta intensità di lavoro
comportano maggior occupazione.
Ostacoli al trasferimento di tecnologie sono costituiti dalla tutela
della proprietà intellettuale e dai brevetti internazionali
(TRIPS)conseguenze gravi nel caso di alcuni farmaci come
quelli per la cura e prevenzione dell’AIDS.
Popolazione e capitale umano
Effetti di una elevata crescita demografica: 1) a livelli bassi di
reddito provoca una riduzione del reddito pro-capitetrappola
“malthusiana”; 2) struttura della popolazione sbilanciata verso le
classi più giovani elevati costi di mantenimento e formazione;
3) flussi migratori sempre più consistenti verso i paesi
industrializzati (UNDP 2009).
Le principali cause di un elevato tasso di crescita demografica
sono: 1) condizione della donna nei PVS; 2) fattori culturali
(poligamia, matrimoni precoci), 3) difficoltà di adottare politiche
di controllo demografico per ragioni religiose (adesione al
cattolicesimo) e per bassi livelli d’istruzione.
Uno dei fattori più importanti per spiegare il processo di sviluppo
è costituito dal livello delle conoscenze e dunque dalle relazioni
tra istruzione e formazione del capitale umano.
Il ruolo dello Stato nel processo di
investimento
Una parte dell'investimento complessivo di un'economia è
costituita da investimenti pubblici:
a) lo Stato in virtù di varie circostanze storiche si sostituisce al
capitalista privato,
b) investimenti in attività indirettamente produttive, ossia
prevalentemente in infrastrutture che offrono beni e servizi,
pubblici o meritori. E’ importante il ruolo delle economie
esterne.
Se da una parte lo Stato non deve interferire eccessivamente
con l’attività privata, dall’altra deve assicurare le condizioni
perché un processo di sviluppo possa essere avviato.
Eguaglianza e sviluppo
A partire dall'inizio degli anni ‘90 la diseguaglianza è tornata ad essere una
delle tematiche centrali del dibattito economico sotto diversi profili:
teorico, applicato e di policy. Il tema della diseguaglianza crescente
all’interno dei paesi, anche di quelli più ricchi come gli Stati Uniti, è
diventato così importante da migrare “from seminar rooms in colleges and
think tanks to Zuccotti Park and main streets across America” (Sawhill,
2012).
A questo tema è stato recentemente dedicato l’ Oxford Handbook su
“Economic Inequality”. E’ cresciuta inoltre l’attenzione non solo per la
diseguaglianza all’interno dei paesi, ma anche di quella globale, e cioè di
quella tra i paesi e tra i cittadini del mondo considerati come appartenenti
ad una unica comunità. L’ “Economist” ha recentemente dedicato uno
Special Report alle relazioni tra diseguaglianza e globalizzazione.
Secondo i modelli fino ad ora considerati un discreto livello di
diseguaglianza nella distribuzione funzionale (elevate profitti) ed in quella
personale (presenza di percettori più ricchi che risparmiano) erano
considerate condizionei positive e favorevoli allo sviluppo.
Teorie più recenti, come quella sviluppata dalla “Commission on Growth
and Development”, considerano una riduzione della diseguaglianza la
condizione necessaria al decollo. Una maggiore eguaglianza infatti
favorisce l’inclusione e la formazione di capitale umano anche per le
categorie più deboli.
“The Commission strongly believes that growth strategies cannot succeed
without a commitment to, giving everyone a fair chance to enjoy the fruits
of growth. But equal opportunities are no guarantee of equal outcomes.
Equity and equality of opportunity are essential ingredients of sustainable
growth strategies.
Dal punto di vista teorico, una linea di ricerca promettente
sembra proprio essere quella che riconduce le differenze nelle
condizioni di vita individuali alle differenze di opportunità
iniziali. Non è, infatti, sufficiente garantire identiche opportunità
ed eguali posizioni di partenza per assicurare un'effettiva
eguaglianza di risultati.
Le dimensioni che caratterizzano eguaglianza di opportunità sono
molto numerose e ampiamente analizzate dalla letteratura. Basti
qui citare l’appartenenza dell’individuo ad una data famiglia,
comunità, etnia o ad un determinato genere.
Dall’interazione con altri soggetti, dentro le cerchie sociali di
diversa natura, i singoli oltre a trovare le risorse che li rendono
capaci di impiegare efficacemente i mezzi a loro disposizione,
assumono progressivamente quelle caratteristiche che
condizionano il conseguimento dei diversi tipi di risultati.
La diseguaglianza nella distribuzione personale dei
redditi
La complessità del fenomeno distributivo ha fatto sì che in letteratura si
sviluppassero numerose “teorie” che possono essere raggruppate in
“tradizionali” e “strutturali”. Le prime si basano su di un’impostazione di
natura essenzialmente microeconomica e riconducono le cause della
disuguaglianza tra i redditi personali solo, o comunque in modo
prevalente, alle caratteristiche individuali (età, sesso, capacità generali,
talenti particolari, caratteristiche fisiche, livello d’istruzione) nonché alla
collocazione socioeconomica (patrimonio ereditato, provenienza sociale,
condizioni ambientali, luogo di residenza).
Le seconde, e cioè le cosiddette teorie di tipo “strutturale” proposte a
partire da anni più recenti, anche se piuttosto eterogenee presentano una
“radice” comune poiché considerano la distribuzione dei redditi personali
disponibili come il risultato dell’influenza congiunta della struttura
economica e socio-istituzionale dei diversi sistemi produttivi.
Dalla distribuzione funzionale a quella personale
Dalla distribuzione funzionale del reddito (distinta nelle tre grandi categorie
dei salari, dei profitti e delle rendite) si perviene a quella personale (primaria e
secondaria) attraverso alcuni passaggi. Il primo è costituito dalla formazione e
distribuzione del valore aggiunto ai diversi fattori di produzione in
connessione alla produzione del prodotto interno e nell’ambito di una specifica
struttura del sistema economico articolato in settori d’attività, imprese di varia
dimensione, categorie professionali. Questo primo momento riflette sia le
caratteristiche di natura macroeconomica sia le scelte tecnologiche delle
imprese, ovvero le variabili che determinano la ripartizione del reddito tra le
quote settoriali e funzionali.
Il secondo passaggio rappresenta il processo di distribuzione primaria del
reddito dai fattori alle famiglie. La direzione e la grandezza dei flussi riflette la
struttura proprietaria dei fattori da parte dei singoli individui, raggruppati in
unità familiari di diversa composizione e ampiezza. Alcuni di questi fattori,
come ad esempio i beni capitali, sono generalmente considerati di proprietà
della famiglia. La capacità d'ottenere un determinato livello di reddito dipende
dalle caratteristiche individuali (le abilità personali, innate od acquisite, l'età),
ma anche dalla posizione relativa di ogni soggetto all'interno di una
determinata struttura sociale ed economica.
Il processo di distribuzione del reddito
E’ con riferimento al processo di generazione e di
distribuzione dei redditi personali che occorre rivolgere
l’attenzione per comprendere i meccanismi all’origine della
diseguaglianza economica.
La distribuzione del reddito ai diversi percettori avviene
attraverso alcuni successivi passaggi che possono essere
sintetizzati in tre momenti.
Il primo è costituito dalla generazione e distribuzione del
valore aggiunto ai diversi fattori di produzione nell’ambito di
una specifica struttura del sistema economico.
Il secondo consiste nella distribuzione primaria del reddito dai
fattori di produzione agli individui, in relazione alla struttura
proprietaria dei fattori da parte dei singoli individui.
Analisi della diseguaglianza in economia politica
L’analisi della diseguaglianza all’interno di un paese,
in economia politica, è stata confinata ad una sola
branca, l’economia del benessere.
Nell'ambito dell'impostazione neoclassica l’analisi è
stata diretta ad esaminare la relazione tra equità ed
efficienza all’interno della determinazione di una
funzione del benessere collettivo.
L’efficienza è considerato l’obiettivo, da raggiungersi
al fine di ottimizzare il processo produttivo in mercati
perfettamente concorrenziali, prioritario rispetto
all’equità.
Per ciascun individuo il peso di ogni categoria di reddito sul
reddito complessivo dipenderà dal livello e dalla composizione
delle dotazioni (capitale umano e capitale fisico) che possono
essere scambiate sul mercato.
I modi attraverso cui le dotazioni di fattori si traducono in
redditi dipendono dai prezzi (del lavoro dipendente, del lavoro
autonomo e del capitale) quali si determinano in relazione alle
condizioni strutturali e congiunturali dei diversi mercati.
La diseguaglianza risulterà tanto più elevata quanto più la
proprietà delle dotazioni, ed in particolare dei beni capitali, è
concentrata; quanto maggiore è la dispersione delle
remunerazioni dei fattori ed in particolare del lavoro; quanto più
l’esclusione dal mercato e l’emarginazione colpiscono
sistematicamente alcune componenti della forza lavoro,
specifici settori produttivi, singole aree territoriali.
La funzione generatrice del reddito
La funzione generatrice del reddito dell'individuo i può essere espressa come:
yi = F (xi)
yi = f (cu, cf , tr)
dove yi indica il reddito individuale disponibile derivante rispettivamente dalla
proprietà del capitale umano, che genera redditi da lavoro dipendente ed
autonomo, dalla proprietà del capitale fisico che genera redditi da capitale,
nonché dalla capacità di ottenere trasferimenti.
Dal reddito individuale si passa a quello familiare yh tenendo conto dei diversi
componenti familiari che guadagnano un reddito nel processo produttivo.
yh =  yi
i… n = componenti nucleo familiare
Le variabili macro sintetizzano le caratteristiche strutturali e congiunturali dei
diversi mercati e consentono di specificare la funzione f.
Definizione della diseguaglianza
La definizione di diseguaglianza può differire in relazione alla
variabile assunta come termine di riferimento (reddito,
ricchezza, tenore di vita, utilità, felicità, opportunità), cosicché
l’eguaglianza o la diseguaglianza in termini di una variabile
può divergere anche in modo significativo da quella valutata
con riferimento ad un’altra.
Nell’ambito dell’economia politica la variabile “focale” è
generalmente individuata nel reddito e/o nella ricchezza, in
quanto variabili più facilmente quantificabili.
La scelta di una variabile quantificabile come il reddito,
inoltre, consente di identificare indici che misurino la
diseguaglianza globale e che possano esseri presi a
riferimento di politiche di riduzione della stessa.
Curva di Lorenz
La curva di Lorenz è una rappresentazione alternativa della
distribuzione. L’asse verticale riporta le quote cumulate di reddito
possedute dai diversi quantili di popolazione. Le percentuali
cumulate di popolazione sono indicate sull’asse orizzontale.
Quanto più la curva di Lorenz è vicina alla retta di
equidistribuzione (collocata con un angolo a 45 gradi), tanto più
significa che la diseguaglianza è bassa.
Dalla curva di Lorenz può essere derivata una misura sintetica
della diseguaglianza e cioè l’indice di Gini.
Dalla diseguaglianza alla crescita
Le relazioni tra crescita e disuguaglianza possono essere
analizzate proprio dalla disuguaglianza alla crescita.
Secondo una recente interpretazione vi è una relazione tra
diseguaglianza e crescita.
Un livello intermedio di diseguaglianza (con un Gini compreso
tra 0,25 e 0,40) può costituire un incentivo al lavoro e dunque
favorire la crescita.
Livelli più bassi della diseguaglianza possono corrispondere a
ventagli retributivi troppo ridotti e così costituire un disincentivo
alla crescita.
Livelli troppo elevati, invece, soprattutto se attribuibili alle
rendite possono costituire un serio ostacolo allo sviluppo. Si
rimanda a Piketty.
Da altri modelli, in qualche modo riconducibili al ruolo del capitale umano
(crescita endogena) sono stati individuati tre possibili canali di trasmissione:
1) canale "mobilitazione". Diseguaglianza  instabilità  riduzione
investimenti. Una elevata diseguaglianza potrebbe corrispondere ad una
elevata polarizzazione tra gruppi (etnici, religiosi)instabilità e conflitti.
2) canale "elettorale". Diseguaglianza  politiche redistributive  riduzione
crescita. In un sistema democratico avanzato la scelta delle politiche
redistributive, ed in particolare il livello della spesa pubblica, nonché quello
della tassazione sono il risultato della delega che i cittadini attuano mediante il
voto (teorema "dell'elettore mediano"). Quanto più basso è il reddito
dell'elettore mediano rispetto a quello medio, quanto più elevata sarà la sua
aliquota preferita e quindi la quota di spesa pubblica sul prodotto nazionale.
3)canale "istruzione" (indivisibilità). Diseguaglianza  investimenti in
capitale umano  aumento della crescita.
Dalla crescita alla diseguaglianza.
L’ipotesi di Kuznets
Si tratta di verificare la presunta esistenza (individuata da Kuznets) di una
curva ad U rovesciata, e cioè di una relazione prima diretta e poi inversa
tra reddito pro-capite (indicatore sintetico di sviluppo) ed un indice di
diseguaglianza (Fig.1).
In particolare occorre: 1) spiegare se la relazione osservata in molti paesi
debba essere considerata come puramente accidentale od invece
sistematica, 2) quali possono essere i fattori esplicativi di tale relazione.
Il contesto teorico nel quale Kuznets aveva sviluppato la sua analisi era
quello dello sviluppo come modernizzazione, in sintonia con
l'impostazione di Rostow (teoria degli stadi).
Figura 1
L'esistenza di una curva ad U rovesciata tra reddito pro-capite e
l'indice di Gini era attribuita, in una 1° fase del processo di
sviluppo,
essenzialmente
ai
mutamenti
intersettoriali
dell'occupazione, nonché all’ aumento del risparmio delle classi
più ricche, che grazie ad un processo di accumulazione si traduce
in investimenti, redditi da capitale e nuovo risparmio.
In una 2° fase, invece, la diseguaglianza diminuisce a causa dei
seguenti fattori: 1) emergere di una classe media (classe operaia
ed impiegatizia). 2) maggiore importanza dei redditi da lavoro
rispetto a quelli da capitale.
Evidenze empiriche contrastanti testimoniano di come in realtà
molti siano i fattori di natura strutturale (economica, politica,
istituzionale) che influenzano la diseguaglianza.
Questa sarà tanto più elevata quanto più alta è: 1) la quota del
settore industriale, 2) la quota di esportazioni di beni primari, 3) il
dualismo regionale e settoriale, 4) il peso dei lavoratori autonomi,
5) una distribuzione concentrata dei fattori di produzione
(capitale e terra), 6) un sistema creditizio inefficiente, 7) una
scarsa presenza dello Stato e delle politiche redistributive. Vi
sono poi sistemi particolarmente egualitari come quelli socialisti
od invece particolarmente diseguali come quelli dell’America
Latina e dell’Africa a sud del Sahara.
Globalizzazione e diseguaglianza
E’ stato recentemente osservato (Amartya Sen)
che una delle principali conseguenze della
globalizzazione è costituita, oggi, dalla crescita della
disuguaglianza, tra le nazioni ed all’interno delle
stesse nazioni.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha
affermato che "the main losers in today's very
unequal world are not those who are too much
exposed to globalization. They are those who have
been left out"
Diseguaglianza globale
Contributi importanti all’analisi della diseguaglianza globale sono
stati forniti dagli studi sugli indici atti alla sua misurazione e sulle
tendenze di questi indici nel breve nel lungo periodo.
I risultati e le interpretazioni che se ne possono trarre sono spesso
contrastanti, e non solo a causa dei metodi di calcolo e degli
indici utilizzati per misurare la diseguaglianza, ma soprattutto per
le differenze nei dati di partenza.
La significatività statistica del campione, il metodo di trattazione
dei dati, la definizione delle variabili (unità di riferimento,
componenti di reddito, periodo temporale di riferimento)
condizionano l’interpretazione dei risultati.
La definizione stessa di reddito non è priva d’ambiguità.
Tre concetti di diseguaglianza globale
Seguendo la classificazione proposta da Milanovic, si può definire la
diseguaglianza globale facendo ricorso a tre concetti distinti cui
corrisponde una diversa misura.
Il primo (Concept 1) fa riferimento alla “diseguaglianza tra paesi”
(Intercountry inequality) e misura i divari nei redditi pro-capite dei diversi
paesi prescindendo dalla diversa numerosità della popolazione.
Il secondo concetto (Concept 2) definito come “diseguaglianza
internazionale” (International inequality) misura la diseguaglianza globale
come divario tra i redditi pro capite dei diversi paesi tenendo conto della
numerosità della popolazione, e dunque ponderando con essa i diversi
valori del reddito medio.
Il terzo concetto (Concept 3) di “diseguaglianza globale” (Global
inequality) misura, infine, la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi
fra i cittadini (individui o famiglie) considerati come appartenenti tutti ad
un unico territorio: il mondo.
Seguendo la classificazione proposta da Milanovic, si può fare riferimento
a tre concetti di diseguaglianza globale tra loro distinti, ai quali
corrispondono tre diverse misure complementari, ciascuna idonea a
misurarne un aspetto.
Il primo concetto (concept 1) fa riferimento alla “diseguaglianza tra paesi”
(intercountry inequality) ed è misurata dai divari nei redditi pro-capite
prescindendo dalla diversa numerosità della popolazione.
Il secondo concetto (concept 2) è quello di “diseguaglianza internazionale”
(international inequality) e misura la diseguaglianza globale come divario
tra i redditi pro capite dei diversi paesi tenendo conto della numerosità
della popolazione, e dunque ponderando con essa i diversi valori del
reddito medio. E’ questa l’accezione del concetto più appropriata quando
si voglia verificare l’ipotesi della convergenza/divergenza tra paesi.
Il terzo concetto (concept 3) di “diseguaglianza globale” (global
inequality) misura infine la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi
fra tutti i cittadini (individui o famiglie) considerati come appartenenti tutti
ad un unico territorio: il mondo.
Le stime fornite da Milanovic consentono di evidenziare le differenze nella
dinamica della diseguaglianza in relazione alla specifica misura adottata ed
a seconda che si tenga o meno conto del peso della popolazione.
L’indice della diseguaglianza “tra paesi” (concept 1) calcolato sulla base di
redditi medi “a parità di potere d’acquisto” e quando questi non siano
pesati per la numerosità della popolazione, evidenzia un aumento della
diseguaglianza nel periodo 1950-2010 con un’accelerazione tra il 1980 ed
il 2000 (Fig. 1).
Questi risultati sono attribuiti da molti autori alle politiche neo-liberiste del
FMI e della World Bank. Anche l’evidenza empirica raccolta dallo UNDP
(1999) mostra che il divario tra paesi ricchi e poveri era di 30 a 1 nel 1960,
era superiore a 60 ad 1 nel 1990 ed ancora di 74 a 1 nel 1997 (divario
misurato in termini di reddito pro-capite a parità di poteri di acquisto).
Se invece ciascun paese viene pesato per la propria
dimensione demografica il risultato si inverte.
La diseguaglianza “internazionale” (concept 2) è andata
infatti diminuendo negli ultimi 60 anni. Questo risultato
è interamente attribuibile alla Cina e all’India, dove il
reddito medio pro capite è aumentato non solo più della
media mondiale, ma anche in misura superiore rispetto
ai paesi ricchi, in particolare agli Stati Uniti.
Sala-I-Martin
• Sala- I- Martin
La scomposizione dell’indice di Theil tra la sua componente within e
quella between mostra in modo molto chiaro che all’origine del forte
incremento della diseguaglianza nel primo secolo considerato ci sono i
diversi tassi di crescita delle varie aree del mondo: all’inizio dell’800, i
redditi medi dei diversi paesi non erano molto diversi, cosicché gran parte
della diseguaglianza tra i cittadini del pianeta consisteva in diseguaglianza
interna ai vari stati, non tra i redditi medi delle diverse nazioni.
Nei 130 anni successivi, l’ampliarsi del divario tra paesi diversi ha
provocato un incremento molto forte del contributo della componente
between alla diseguaglianza complessiva, dal 12% al 60%, e una
simmetrica riduzione del ruolo della componente interna ai paesi. Nel
periodo successivo alla seconda guerra mondiale, tuttavia, i pesi delle due
componenti sembrano essersi stabilizzati”. La povertà assoluta è diminuita
grazie all’aumento del reddito reale.
La cittadinanza spiegherebbe, oggi, circa il 60 per cento della variabilità
dei redditi individuali e/o famigliari. Si tratta di un significativo
mutamento rispetto al passato, quando era la diseguaglianza interna
(within) ai paesi a pesare maggiormente. La diseguaglianza globale si è
modificata passando da una attribuibile prevalentemente alle differenze di
classe, all’interno delle nazioni, ad una attribuibile prevalentemente al
luogo di residenza e dunque ai divari di reddito (between) tra i diversi
paesi.
Se il reddito dipende in larga misura dalla cittadinanza si può affermare
che non esista eguaglianza di opportunità a livello globale e la cittadinanza
è una vera propria rendita che non dipende dallo sforzo individuale. La
figura 1 evidenzia le differenze nella composizione dell’indice di
diseguaglianza di Gini nel 1870 e nel 2000. L’indice è stato scomposto in
due componenti: le quote funzionali di reddito (salari, profitti e rendite) e
l’appartenenza ai diversi paesi (localizzazione).
I fattori esplicativi della dinamica della
diseguaglianza within.
Le tradizionali cause di diseguaglianza (concentrazione della proprietà della
terra, accesso diseguale all’istruzione, divario urbano rurale) non sono da
ritenersi sufficienti a spiegarne la crescita. Occorre, invece, individuare altri
fattori come:
Progresso tecnologico.
Liberalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali (globalizzazione).
Aumento dell’importanza del settore dei servizi.
Cambiamenti nella struttura istituzionale del mercato del lavoro.
Variazioni negli effetti redistributivi delle politiche pubbliche.
Cambiamenti nella struttura demografica e delle famiglie.
Cambiamenti nelle “norme sociali” verso la diseguaglianza.
Secondo molti studiosi, il fattore che maggiormente spiega l’aumento della
diseguaglianza all’interno dei paesi industrializzati, in particolar modo
negli Stati Uniti, è costituito dal fenomeno noto, in inglese, con
l’espressione skill-biased technological change: il progresso tecnologico
ha prodotto, nel mercato del lavoro, un aumento della domanda per
lavoratori ad alta qualificazione professionale e ad elevata istruzione,
mentre ha depresso la domanda per lavoratori poco qualificati.
Le prospettive economiche dei lavoratori poco qualificati dei settori
tradizionali sono state compromesse anche dal trasferimento verso i paesi
in via di sviluppo delle parti più tradizionali e a basso contenuto
tecnologico della filiera produttiva, motivato dal costo del lavoro molto
inferiore. Interi settori, come il tessile, o in parte il metalmeccanico, sono
entrati in crisi perché le imprese dei paesi avanzati non investono più nei
paesi di origine, ma in quelli in via di sviluppo .
La tesi degli effetti del progresso tecnologico sulla diseguaglianza può
essere adattata anche ai PVS quando la si riferisca al dualismo che si
genera tra imprese moderne ed arretrate.
Assieme al progresso tecnologico, la globalizzazione è
l’altro fenomeno frequentemente citato per spiegare
l’incremento della diseguaglianza, soprattutto nei paesi
ricchi. Uno degli aspetti più rilevanti del processo di
globalizzazione concerne la liberalizzazione dei mercati dei
capitali.
L’esperienza degli anni ’90 ha mostrato che l’apertura
indiscriminata dei mercati finanziari ha prodotto soprattutto
crisi valutarie e finanziarie ed alta instabilità, con effetti
spesso negativi anche sulle economie reali ed effetti
redistributivi avversi e difficilmente controllabili.
Con lo sviluppo aumenta anche il peso del settore dei
servizi. Il settore industriale è caratterizzato dalla presenza
di alcune figure tipiche, che rappresentano buona parte
dell’intera forza lavoro impiegata, ad esempio operai,
impiegati, dirigenti; i redditi medi di queste categorie sono
molto diversi, ma all’interno di ciascuna tipologia la
variabilità dei redditi non è tipicamente molto elevata.
Il settore dei servizi, invece, comprende un insieme di figure
professionali dalle caratteristiche estremamente eterogenee.
Tutto ciò favorisce una elevata dispersione delle
retribuzioni. Si pensi al caso dell’India.
Le differenze negli andamenti della diseguaglianza nei vari
paesi sono spiegate anche dalla presenza di forti eterogeneità
nei meccanismi istituzionali che regolano, nei vari paesi, il
funzionamento del mercato del lavoro.
Due aspetti sono a questo riguardo di particolare rilevanza:
il diverso potere contrattuale dei sindacati, e il sistema della
contrattazione salariale. Nel corso degli anni ’80 e ’90
queste istituzioni che regolano il mercato del lavoro hanno
subito importanti cambiamenti, tutti nel segno di un minore
intervento pubblico a difesa delle parti più deboli del
mercato del lavoro.
Il cambiamento nel livello della diseguaglianza del reddito familiare può
essere stato provocato anche da mutamenti nell’impostazione delle
politiche pubbliche di tassazione e trasferimento. Da una parte si sono
ridotte le aliquote marginali sui redditi più elevati. Dall’altra, a causa della
sempre maggiore integrazione dei mercati finanziari, i redditi da capitale,
molto mobili, sono tassati con aliquote più basse rispetto a quelli da
lavoro, per cercare di impedirne la fuga verso paradisi fiscali. Visto che i
redditi da capitale sono percepiti soprattutto dalle classi a reddito
complessivo medio-alto, il permanere di questa tendenza, comune a tutti i
paesi, non può che accrescere la diseguaglianza complessiva.
Molti paesi ricchi, poi, nel corso dell’ultimo ventennio, hanno modificato
in senso restrittivo la struttura dei trasferimenti a favore dei disoccupati.
Tutti i fenomeni descritti vanno nel segno di una minore capacità delle
politiche pubbliche di operare redistribuzione a favore delle classi meno
ricche, e quindi possono spiegare almeno parte dell’incremento della
diseguaglianza.
Negli ultimi decenni sono in costante diffusione mutamenti
strutturali nelle caratteristiche delle famiglie, che possono
provocare un aumento della diseguaglianza dei redditi
familiari equivalenti: ad esempio i tassi di dissoluzione dei
nuclei familiari stanno aumentando così come è in crescita il
fenomeno delle adolescenti madri, prive di lavoro e di
partner.
L’aumento della partecipazione femminile al mercato del
lavoro è un altro dei fenomeni economico-sociali che può
avere provocato un incremento della diseguaglianza, se sono
soprattutto le mogli di individui a reddito medio-alto ad
entrare nella forza lavoro.
I cambiamenti nell’atteggiamento verso la diseguaglianza che la società è
disposta a tollerare o a ritenere giustificabile sono lenti a manifestarsi, ma
possono svolgere un ruolo molto importante nello spiegare l’andamento di
lungo periodo della diseguaglianza effettiva. A sostegno dell’importanza
delle norme sociali sta il fatto che nell’ultimo trentennio i redditi relativi
delle poche persone molto ricche sono aumentati molto in alcuni paesi
(USA, UK) e poco in altri (ad esempio in Francia): è plausibile che solo
nei primi la società sia disponibile a “premiare” con ulteriori aumenti di
reddito chi già percepisce redditi elevati.
Paesi diversi vedono inoltre prevalere norme sociali anche molto diverse:
tipico è, non a caso, il confronto tra Stati Uniti da un lato e paesi
dell’Europa continentale dall’altro. La società americana è percepita,
anche dagli stessi americani, come maggiormente diseguale, ma anche
come maggiormente efficiente e meritocratica.
Considerazioni conclusive
L’evidenza empirica che negli ultimi anni è stata resa disponibile
non fornisce ancora risultati concordi. Le interpretazioni che se
ne possono trarre sono difficilmente generalizzabili, in relazione fra l’altro - alle differenze quanto al metodo utilizzato, agli indici
impiegati per misurare la diseguaglianza, al numero di paesi
inclusi, al periodo considerato.
Alcune misure della diseguaglianza globale mostrano una
sostanziale stabilità, altre un aumento, altre ancora una
diminuzione. La diseguaglianza appare muoversi, nel tempo,
lungo traiettorie non bene definite ed in modo irregolare. Nei
movimenti di lungo periodo della diseguaglianza interna ai
singoli paesi è tuttavia possibile identificare alcune regolarità in
relazione all’intensificarsi dei processi di globalizzazione.