comunicato stampa - Università di Modena e Reggio Emilia Notizie

COMUNICATO STAMPA
BLOOD JOURNAL PUBBLICA UNO STUDIO DELL’EMATOLOGIA DEL
POLICLINICO SULLA CURA DELLA LEUCEMIA DI PHILADELPHIA CHE
APRE ALL’ATTESA DI SPERANZE DI CURA ANCORA PIU’ EFFICACI
Ancora un importante riconoscimento da parte della comunità scxientifica
internazionale per la Struttura Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero –
Universitaria Policlinico di Modena, diretta dal prof. Giuseppe Torelli.
Ricercatori modenesi, guidati dal prof. Mario Luppi, hanno dimostrato per la
prima volta che nel midollo osseo di pazienti con leucemia linfoblastica acuta
Phildelphia positiva sono presenti linfociti T capaci di riconoscere ed uccidere
le cellule leucemiche. Questa scoperta apre nuovi orizzonti nella cura di questa
patologia perché permette di studiare la possibilità di somministrare farmaci
mirati al difetto cromosomico della leucemia capaci, allo stesso tempo, di
consentire lo sviluppo di linfociti T antileucemici, ponendo la base per nuove
forme più efficaci di trattamento combinato con vaccini o terapie cellulari.
A questo risultato si è giunti attraverso uno studio, effettuato su dieci pazienti,
che è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa BLOOD Journal, prima rivista
di ematologia mondiale.
La formazione del cromosoma Philadelphia, che dà il nome a questo tipo di
leucemia, è l’alterazione cromosomica più frequente nelle leucemia
linfoblastiche acute dell’adulto (20-30% dei casi) e dei pazienti di età superiore a
50 anni (più del 50 % dei casi). Questi tipo di leucemia viene da qualche anno curata
non solo con la chemioterapia ed il trapianto di midollo osseo, ma con farmaci
specifici, mirati al difetto cromosomico responsabile della trasformazione leucemica.
Nei pazienti anziani, in cui la malattia era sostanzialmente incurabile fino a qualche
anno fa, ora è possibile raggiungere e mantenere tempi anche molto lunghi di
sopravvivenza libera da malattia.
“Il nostro studio - spiega il professor Mario Luppi, ematologo e coordinatore
della ricerca - è nato da una osservazione clinica originale di un collega, Leonardo
Potenza, specialista ematologo e dottore di ricerca. Lavorando nel Day Hospital di
Ematologia del Policlinico di Modena, il dottor Potenza aveva notato che i pazienti
con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva che mantenevano una
remissione di malattia da alcuni anni, in corso di trattamento antitumorale con un
farmaco non chemioterapico, l’imatinib, presentavano un singolare aumento del
numero dei linfociti normali nel midollo osseo”.
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Da questa osservazione, l’equipe del Policlinico, è partita per formulare
un’ipotesi sperimentale assolutamente innovativa. “La nostra idea – ha continuato il
prof. Luppi – era che questi linfociti T potessero avere un ruolo attivo nel controllare
e spegnere la malattia leucemica in questi pazienti. Pertanto insieme ai colleghi
Giovanni Riva, specialista ematologo e dottore di ricerca, e Patrizia Barozzi, biologa e
dottore di ricerca, abbiamo messo a punto una serie di metodiche di studio
immunologico per dimostrare che questi linfociti presenti in grande abbondanza sia
nel midollo osseo sia, seppure con minore frequenza, nel sangue periferico, sono in
grado di svolgere una funzione anti-tumorale, mediante la produzione di sostanze o
citochine, come l’interferone gamma, ed esercitare un effetto diretto di lisi, ovvero di
distruzione delle cellule leucemiche stesse”.
I test si sono basati sulla citofluorimetria, ovvero l’identificazione,
caratterizzazione e misurazione mediante anticorpi delle varie popolazioni linfocitarie
presenti nel sangue periferico e midollare e l’Elispot che, tra le metodiche ex-vivo, è
quella capace di quantificare e valutare con notevole sensibilità la risposta immune,
per esempio ai vaccini antitumorali ed antivirali.
“II gruppo di ricerca della Struttura Complessa di Ematologia, diretta dal prof.
Giuseppe Torelli, tradizionalmente impegnato in attività di diagnostica e di studio
basate sulla biologia molecolare, – ha commentato la professoressa Gabriella
Aggazzotti, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia - sta diventando un punto
di riferimento a livello nazionale anche nel campo della immunologia clinica.
Nell’ambito del Progetto Regione Emilia Romagna-Università grazie a loro stiamo
sviluppando e validando nuovi test immunologici di diagnosi delle infezioni virali e,
soprattutto, fungine nei pazienti trapiantati di organo solido e di midollo
osseo/staminali periferiche. Questa attività si coniuga molto bene con questo nuovo
filone di ricerca di immunologia applicata, all’interno del nostro laboratorio, che ha lo
scopo di studiare i meccanismi tramite il quali il sistema immune può contribuire a
controllare un processo di crescita di cellule neoplastiche, come ad esempio quello di
cellule di leucemia linfoblastica acuta Philadelphia o di altri tumori causati da virus,
come il sarcoma di Kaposi classico e post-trapianto”.
Le prove dell’esistenza e dell’efficacia di una immunità anti-leucemica sono
state raccolte e descritte in questi anni pressoché esclusivamente in pazienti
sottoposti a trapianto di midollo osseo e cellule staminali periferiche.
“Solo recentemente la presenza nel midollo osseo di cellule capaci di
riconoscere e colpire cellule tumorali – spiega il professor Luppi - è stata segnalata
in pazienti pediatrici affetti da leucemia mieloide acuta ed in pazienti affetti da
mieloma multiplo e da tumori solidi. I nostri dati suggeriscono che anche nei
pazienti con questo particolare tipo di leucemia linfoblastica acuta si possa
cominciare pensare a nuove esperienze di immunoterapia, ovvero di terapia
basata sulla espansione in vitro e sulla re-infusione di linfociti ad attività antileucemica specifica, in combinazione con le terapie già esistenti”.
Questo tipo di terapia si è già dimostrata efficace nei pazienti affetti da linfomi
causati da infezione da virus di Epstein-Barr, che insorgono nei pazienti
immunocompromessi, trapiantati di midollo osseo ed organo solido. In alcuni Centri
specializzati è possibile anche sviluppare linfociti T specifici anti-virali, diretti contro il
virus di Epstein-Barr ed infonderli nei pazienti trapiantati a rischio, prevenendo, nel
100% dei casi, lo sviluppo dei linfomi correlati all’infezione virale stessa.
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“Nel campo delle leucemie c’è ancora moltissima strada da fare – ha
commentato il prof. Giuseppe Torelli, direttore della Struttura Complessa di
Ematologia del Policlinico - ma il nostro gruppo sta attivamente collaborando con il
gruppo di ricerca della Dott.ssa Patrizia Comoli del Policlinico S. Matteo di Pavia, coautore dello studio e leader indiscusso nel settore della immunoterapia dei linfomi
post-trapianto EBV correlati, per sviluppare un programma di studio volto all’
espansione di linee cellulari T citotossiche anti-leucemiche, come già viene fatto a
Pavia, appunto, per linee cellulari T citotossiche anti-virus di Epstein-Barr. Lo scopo
ultimo del nostro progetto sarà quello di utilizzare queste linee cellulari antileucemiche nei pazienti con recidiva di malattia ed, idealmente, per prevenire la
recidiva stessa nei pazienti in cui si assista ad un incremento della cosiddetta
malattia leucemica minima residua, ovvero di un numero di cellule leucemiche cosi’
basso da non potere essere identificato con l’osservazione al microscopio, ma
viceversa solo mediante l’utilizzo di metodiche molto sensibili come quelle molecolari,
basate sulla PCR”
Un ulteriore elemento di novità dello studio degli ematologi modenesi, è
rappresentato dal fatto che l’attività anti-leucemica dei linfociti T è stata
dimostrata in tutti i dieci pazienti in corso di terapia con imatinib, suggerendo
che possa esistere una relazione ed una sinergia tra l’azione anti-tumorale
diretta, ormai ben nota, da parte di questo farmaco, che appartiene alla classe
di farmaci chiamati inibitori di tirosin-chinasi, e l’effetto anti-tumorale indiretto,
esercitato dal sistema immune.
“Il nostro laboratorio – sottolinea il prof. Luppi – sta producendo dati, ancora
non pubblicati, che mostrano come questo effetto anti-leucemico si possa riscontrare
nel midollo osseo di pazienti con la stessa malattia, ma in corso di trattamento con
altri inibitori di tirosin-chinasi, quali il nilotinib. E’ ipotizzabile che il fenomeno da noi
descritto sia un fenomeno più generale, che possa valere la pena di essere studiato
anche in altri contesti clinici, ed in particolare anche in pazienti con tumori solidi,
attualmente in cura con farmaci appartenenti alla stessa classe di inibitori”.
Questa ricerca dimostra ancora una volta la grande importanza
dell’integrazione tra ricerca e assistenza, punto di forza di un’Azienda Ospedaliero –
Universitaria come il Policlinico. “Questa scoperta è stata possibile grazie al
contributo della dott.ssa Monica Morselli, dirigente medico ospedaliero e del dottor
Fabio Forghieri, specialista in ematologia e dottorando di ricerca; ad essa hanno
collaborato biologi e biotecnologi come le dott.sse Chiara Quadrelli, Daniela Vallerini
ed Eleonora Zanetti, capaci di fornire competenze specifiche al servizio di esperienze
di ricerca clinica - ha commentato il dottor Stefano Cencetti, direttore generale del
Policlinico - “Infine, è stato fondamentale il ruolo di un’associazione come A.I.L.
ONLUS, sede di Modena, che sostiene in modo molto importante l’attività
dell’Ematologia Clinica e di Laboratorio del Policlinico di Modena, testimoniando il
valore di una attività di ricerca di base di tipo traslazionale, rivolta il più possibile alla
soluzione di domande e problemi clinici pratici”.
Modena, 30 aprile 2010
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