Aggressività - Università del Salento

Psicologia Sociale e Devianza
11° Lezione: Aggressività
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.177-201
dal testo Patrizi – De Gregorio: pag 156-180
8 maggio 2012 – 9,00-11,00
Aggressività: Definizione
Storr (1968) definisce l’aggressività una parola-valigia, “entro
la quale si può mettere di tutto”
L’aggressività è un fenomeno poli-dimensionale, è
caratterizzata da diversi processi emotivi e cognitivi che
inducono a differenti tipi di condotta aggressiva.
Aggessivity o aggressiviness ≠ aggression
Aggressività ≠ comportamento aggressivo
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Aggressività: Definizione
Aggressività =
tendenza costante ad un’azione o reazione aggressiva
Aggressioni =
 Azioni dirette a danneggiare direttamente o indirettamente un
individuo della propria specie;
 Meccanismi interni o esterni che finalizzati a produrre un
danno fantasticato, progettato o realizzato.
Comportamento che il bersaglio vorrebbe evitare
Queste definizioni comportano la necessità di appurare
l’intenzionalità di un atto, prima di definirlo aggressivo. Infatti,
un comportamento apparentemente aggressivo può in realtà
avere motivazioni diverse dal desiderio di danneggiare altri.
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Aggressività: Definizione
Occorre distinguere i comportamenti aggressivi nel seguente modo:
 attivi vs. passivi: sebbene i primi siano più eclatanti, anche i secondi
(ad esempio, non aiutare un compagno in difficoltà) possono produrre
danni rilevanti. Non a caso, le più recenti ed innovative proposte
educative (apprendimento cooperativo e pro-socialità) sottolineano
l’importanza d’insegnare a bambini e ragazzi ad aiutare i propri
compagni;
 diretti vs. indiretti: nel primo caso, c’è un contatto non mediato (di
tipo corporeo o visivo) tra le persone. Nel secondo caso, invece, non si
verifica un contatto diretto, come avviene, ad esempio, nelle
maldicenze;
 autodiretti vs. eterodiretti: è opportuno mantenere distinti i
comportamenti aggressivi diretti contro terzi da quelli rivolti a se stessi,
in quanto le cause ed i fattori di mantenimento possono essere
radicalmente diversi.
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Aggressività: modelli teorici
La pervasività dei comportamenti aggressivi ha portato ad una
proliferazione di teorie interpretative, che tuttavia mancano spesso di
solide basi scientifiche.
 Approcci biologici: teorie etologiche, genetiche, ormonali
 Approcci psicologici individuali:
 Teorie psicoanalitiche
 Teorie della frustrazione
 Teoria neoassociazionista
 Teoria apprendimento sociale: Il modeling
 Il modello del condizionamento operante
 Il modello cognitivo-comportamentale
 Approcci situazionali:
 Teoria dell’obbedienza all’autorità
 Teoria della deindividuazione (dal testo Patrizi-DeGregorio)
 Teoria della norma emergente (dal testo Patrizi-DeGregorio)
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Aggressività: Approccio biologico
Teoria etologica di Lorenz (1969)
Studiando il comportamento aggressivo in molte specie animali,
attribuisce l’origine all’istinto.
L’aggressività è una pulsione che si carica per forza endogena e
che, raggiunto un certo livello d’intensità, spingerebbe
l’organismo in circostanze nelle quali può essere soddisfatta.
Logica del modello idraulico: l’aggressività non si può eliminare
ma si può incanalare e dirigere verso forme di scarica non
pericolose come attività sportive, artistiche, ecc…
Catarsi: “Il manifestarsi di un qualsiasi atto aggressivo riduce
l’istigazione all’aggressività stessa”. Questo meccanismo scarica
l’energia aggressiva e provoca una diminuzione della tendenza
ad altre risposte aggressive
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Aggressività: Approccio biologico
Può essere intraspecifica (quando si attua tra membri della
stessa specie) ed interspecifica (tra membri di diversa specie).
Ha la funzione di aiutare la specie nella sopravvivenza.
Si distinguono 3 specifiche funzioni:
-Finalità evoluzionistiche
-Lotta per il territorio
-Principio organizzativo, ordinatorio
Critiche:
- Unilateralità e rigidità
- Non scientificità
- Mera registrazione dell’evidenza
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Aggressività: Approcci biologici
Genetica del comportamento:
Studi di meta-analisi su studi concernenti gemelli e figli adottivi
Aggressività è un tratto ascritto sul patrimonio genetico
Teorie ormonali:
Ricerche psico-fisiologiche
Aggressività è indotta da variazioni repentine e rilevanti di
ormoni.
Incremento drastico di testosterone (ormone sessuale maschile)
Cortisolo: effetti ambigui
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Aggressività: Approcci psicologici individuali
Nel corso del XX secolo, si sono sviluppate teorie che vedono il
comportamento aggressivo come il risultato di istinti innati.
Il primo riferimento fondamentali è la
Teoria psicanalitica di Freud (1969)
In modo simile a Lorenz, Freud riconduce l’aggressività a innate
pulsioni, responsabili delle più diverse forme di etero ed autoaggressività, dai piccoli atti autolesionistici fino alle guerre mondiali.
Il concetto di aggressività in Freud si è sviluppato in 3 periodi:
1°: è un aspetto della pulsione sessuale (libido)
2°: è uno strumento all’autoconservazione e all’ampliamento dell’Io
3°: l’uomo si caratterizza per la presenza di 2 istinti, uno teso verso il
piacere (Eros), l’altro verso la distruzione (Thanatos)
Per evitare l’autodistruzione, l’energia distruttiva che deriva dal secondo
istinto va allontanata dall’individuo, indirizzandola verso l’esterno.
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Aggressività: teorie psicoanalitiche
E. Fromm, altro psicanalista, si distingue da Freud distinguendo:
- Aggressività benigna, ha base biologica, serve all’uomo per
difendere i propri interessi, ed è una reazione innata;
- Aggressività maligna, ha la sua radice nella struttura caratteriale
dell’uomo, ha dunque origine sociale e può trasformarsi in distruttività.
Critiche alle teorie psico-analitiche:
• Inconsistenza scientifica: manca completamente di prove empiriche
o sperimentali in grado di avallare l’idea di un uomo naturalmente
aggressivo (ipotesi che, d’altro canto, viene ampiamente smentita dai
più recenti studi sulla pro-socialità).
• Inutilità operativa: l’assunzione di un’aggressività come tratto
immutabile della costituzione umana implica rinunciare, fin dall’inizio,
a qualsiasi intervento di tipo educativo o riabilitativo.
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Aggressività: teoria della frustrazione
Teoria della frustrazione di Dollard e Miller (1939)
Quella di Dollard e Miller è una delle prime teorie sull’aggressività
supportata da rilevanti dati empirici e sperimentali.
I due autori in questione hanno ipotizzato che l’aggressività è una
risposta indotta da una situazione di frustrazione.
2 diverse situazioni frustranti:
1. la persona non riesce a raggiungere obiettivi importanti, a
causa di una serie di ostacoli di diversa natura;
2. vengono fatte delle promesse alla persona, senza che poi
vengano mantenute.
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Aggressività: teoria della frustrazione
2 precisazioni:
1. La frustrazione non induce ad una ritorsione aggressiva
verso la fonte originaria della frustrazione, ma l’aggressività è
spesso deviata verso bersagli meno potenti o più accessibili
2. La frustrazione induce all’aggressività solo se sin da
bambini è stata appresa come risposta tipica e dominante ad
un aumento di tensione
Implicazioni: apprendimento alla gestione delle frustrazioni,
attenzione alle situazioni di competizione, gestione dei
successi e delle sconfitte, attivazione di strategie di coping e di
resilienza
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Aggressività: teoria neoassociazionista
Teoria neoassociazionista di Berkowitz (1967)
Adesione di massima all’ipotesi originaria “Frustrazione-Aggressività”,
tuttavia non accetta l’universalità del rapporto.
Propone una versione riveduta dell’ipotesi frustrazione aggressività
Tra i concetti di frustrazione e aggressività introduce Variabili
intervenienti: Condizioni o Stimoli ambientali appropriate per
l’aggressività.
La reazione emotiva che segue la frustrazione non provoca
direttamente aggressività ma solo una disposizione favorevole
(Arausal). Questa disposizione all’aggressività si traduce in veri e
propri atti aggressivi solo se si associa con:
 l’apprendimento all’aggressione;
 presenza di stimoli aggressivi
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Aggressività: teoria neoassociazionista
Gli stimoli aggressivi sono quegli aspetti della situazione che
conducono l’attenzione dell’attore verso la possibilità di una risposta
aggressiva, come per esempio vedere delle fotografie di persone che
lottano o aver letto i nomi di famosi campioni di box, vedere armi o
oggetti che rimandano a situazioni aggressive.
In un secondo momento, Berkowitz estende l’ipotesi frustrazioneaggressività a una teoria più generale del legame tra “stato affettivo
negativo” e comportamento aggressivo.
Stimoli avversivi (spiacevoli) danno luogo a sentimenti negativi
aspecifici che evocano 2 reazioni:
a) Attacco  aggressività
b) Fuga  evitamento
Evento Arousal Inferenza f(esperienza+stimoli) Comportamento
Implicazioni: Attenzione al potere evocativo dell’ambiente.
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Aggressività: modello condizionamento
operante
Modello condizionamento-operante (l’approccio comportamentista).
Una risposta aggressiva emessa dal soggetto può essere mantenuta come
stile abituale d’interazione, nel momento in cui permette di raggiungere un
obiettivo desiderato.
In questo senso, allora, molti comportamenti aggressivi vengono rinforzati
(più o meno consapevolmente) dall’ambiente di vita del soggetto:
- in primo luogo, è possibile che l’atto aggressivo del soggetto procuri
direttamente una conseguenza premiante. Ad esempio, un bambino,
mostrandosi aggressivo verso un compagno, ottiene da quest’ultimo un
giocattolo gradito;
- in secondo luogo, il comportamento aggressivo può essere rinforzato, nella
misura in cui permette di evitare una conseguenza sgradita. Così, ad
esempio, l’aggressività verbale del bambino potrebbe indurre l’insegnante a
rinunciare ad assegnargli un particolare compito. Chiaramente, il bambino
avrà appreso in tal modo un’ottima strategia per evitare incarichi indesiderati.
Implicazioni: ruolo dell’educazione
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Aggressività: modello cognitivocomportamentale
Modello cognitivo-comportamentale di Ferguson e Rule (1983)
In quest’ottica la condotta aggressiva si configura propriamente come
una condotta interpersonale e sociale: fa parte di una strategia di
adattamento e di una rete di significati e di norme sociali che ne
regolano l’innesco, le espressioni e le risonanze interne.
L’aggressività è frutto di un processo di categorizzazione, di
attribuzione, di gestione dell’immagine di sé.
A prescindere dalla situazione da cui si innesca l’azione aggressiva
(frustrante, avversiva o non avversiva) l’individuo fa ricorso a
rappresentazioni cognitive (script) che ha sviluppato come
appropriate in diversi contesti e situazioni.
L’aggressività è indotta dall’attivazione della propria conoscenza
procedurale.
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Aggressività: modello cognitivocomportamentale
Implicazioni: una serie di fattori intrinseci al soggetto possono
mediare tra situazione potenzialmente elicitante ed atto aggressivo.
Questo permette di spiegare perché persone diverse reagiscono in
modo differente alla stessa situazione:
- livello di auto-controllo sulle risposte emozionali e
comportamentali. Di fronte ad una situazione potenzialmente
avversiva, la persona può riuscire a controllare e mitigare il proprio
stato di tensione;
- Resilienza: strategie di gestione di situazioni difficili, alternative a
quella aggressiva. Ad esempio, di fronte ad una situazione
frustrante, invece di essere travolto dalla collera, il soggetto
potrebbe ricorrere a strategie razionali di problem-solving.
Ovviamente, più la persona presenta una serie di abilità in questi
due ambiti, minori sono le possibilità di scatenare risposte
aggressive.
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Aggressività: Apprendimento sociale
Teoria dell’apprendimento sociale di Bandura (1961, 1963)
L’apprendimento di condotte aggressive avviene soprattutto
attraverso l’osservazione di modelli.
Ad esempio, nel corso dell’infanzia, la presenza di genitori o di
insegnanti incapaci a controllare la propria collera può costituire
una condizione rilevante per lo sviluppo di condotte aggressive
nel bambino.
Inoltre, la possibilità d’imitare il modello è potenziata nel
momento in cui osserviamo che il comportamento aggressivo
permette di ottenere dei vantaggi (rinforzo vicario).
Implicazioni: Attenzione all’emulazione di modelli mediatici
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Aggressività: Obbedienza
Teoria dell’obbedienza di Milgram (1963)
ll comportamento aggressivo può essere indotto per
mera obbedienza.
L’Obbedienza è una particolare forma di conformità
che si esplicita quando tra la fonte di influenza e il
bersaglio vi è una differenza di tipo qualitativo
(differenza di status)
Sulla base dell’autorità che gli è riconosciuta un
individuo esercita in modo esplicito e diretto una
pressione su altri individui.
Comportamenti di obbedienza: esito delle pressioni
esercitate dal contesto e dalle situazioni in cui le
persone agiscono
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Aggressività: Obbedienza
Teoria dell’obbedienza di Milgram (1963)
Stato eteronomico: stato mentale che dispone un individuo a orientare il
proprio comportamento secondo le disposizioni date da qualcuno di status
superiore  Non responsabile di ciò che fa, ma percezione di essere uno
strumento che esegue ordini impartiti da altri.
Variabili intervenienti:
 vicinanza fra soggetto sperimentale e vittima
 vicinanza fra soggetto sperimentale e ricercatore (autorità)
Condizioni che favoriscono l’obbedienza:
 Legittimità dell’autorità
 Adesione al sistema di autorità
 Pressione sociale
Implicazione: Attenzione alle implicazione di sistemi educati coercitivi che
non sviluppano capacità di gestire in modo critico l’esercizio di potere
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Aggressività: Effetto lucifero
Teoria della deindividuazione di Zimbardo (1971-2007)
Il ricercatore attraverso una serie di esperimenti, studia l’innesco di
modelli comportamentali aggressivi indotti da:
- Dinamiche di gruppo (senso di appartenenza, distinzione ingroupoutgroup, norme di gruppo, diffusione di responsabilità)
- Elementi situazionali: anonimato, ridotta prospettiva temporale,
contesto elicitante violenza.
La teoria della deindividuazione spiega l’aggressività in termini di
riduzione del controllo sul comportamento individuale indotto dai
fattori sopraindicati. Un soggetto per il solo fatto di essere inserito
all’interno di un gruppo, la cui norma condivisa è quella
dell’aggressività, riduce fino ad annullare l’autopresentazione e la
responsabilità delle proprie azioni dando vita all’effetto lucifero.
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Aggressività: Teoria della norma emergente
La teoria della norma emergente di Turner e Killiman (1972)
riprende il modello di Zimbardo.
Quando un soggetto entra a far parte di un gruppo, ne
acquisisce le norme caratterizzanti.
Quando tali norme emergenti e condivise definiscono l’outgroup non solo come «diverso» ma come «nemico», è in nome
di tali norme che i membri del gruppo attivano comportamenti
aggressivi verso l’out-group.
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