Sant’Agostino e la scoperta della libertà Etica e libertà in Platone L’importanza del problema etico in Platone • Platone è ricordato come il primo grande metafisico della storia. Tuttavia la sua riflessione sui principi primi della realtà fu sempre accompagnata da una fortissima passione politica. Scopo del suo filosofare, anzi della filosofia in generale doveva essere una modificazione dell’organizzazione della polis, cioè della convivenza civile nella città, l’organismo politico di riferimento per un greco del V-IV secolo. Non un’ingegneria istituzionale ma un cambio del modo di condurre la vita da parte delle persone • Platone si interessava di politica certo per modificare le strutture istituzionali (il potere, la sua organizzazione, le istituzioni e gli uomini che governavano), ma tale cambiamento doveva essere il risultato e al tempo stesso la molla per un nuovo modo di vivere, per un nuovo stile di vita del singolo e della comunità. Tale stile doveva essere improntato alla visione e alla capacità di trasformare in vita vissuta la VERITÀ Etica a partire dalla verità • Per modificare in meglio la vita concreta dei cittadini bisognava anzitutto individuare i principi primi di tutta la realtà. Bisognava insomma SAPERE che cosa era l’essere in generale, l’essere, appunto, nella sua verità e come conoscere questa verità. In seguito bisognava stabilire, data la verità delle cose, come era GIUSTO comportarsi per conformare la propria vita alla verità, poi si sarebbe potuto stabilire quella forma di governo che meglio avrebbe garantito una vita secondo giustizia per tutti gli uomini. Etica tra metafisica e politica • Dunque l’etica, cioè il sapere circa i comportamenti umani e la loro giustizia diveniva l’elemento necessario a raccordare e a rendere comunicanti la metafisica (che indagava l’essere nella sua assoluta verità) e la politica (che si occupava del metodo migliore per gestire la vita della polis). La domanda etica di partenza • Trattando del problema etico, Platone anzitutto si domanda che cosa sia la virtù. La parola italiana virtù è traduzione dal greco “areté”, che nel linguaggio comune significava “eccellenza”. Dunque virtù di qualcosa è “la sua proprietà caratteristica, l’eccellenza dell’azione di cui l’agente è capace, sia per natura, sia per istruzione, sia a motivo di un disegno premeditato” L’areté delle cose • Dunque è possibile stabilire quale sia l’eccellenza di tutto ciò che ci circonda e anche di singole parti di noi: la virtù di un martello (potremmo dire: la sua solidità e pesantezza) o la virtù del sole (il suo splendore e gli effetti benefici che ha sulla vita), oppure la virtù di occhi e orecchi (vedere e sentire bene) o dell’architetto (il sapere costruire abitazioni belle e funzionali) o del giudice (dice Platone: capire se ciò che dice l’oratore-avvocato è giusto) o ancora dell’oratore-avvocato (dire la verità). Prima domanda: qual è l’essenza della virtù? • Data la pluralità delle virtù, visto che ogni cosa ha la sua virtù, alla fine la parola avrebbe una serie di significati diversi e talora contraddittori se non se ne trovasse l’essenza, e in particolare l’essenza per quell’essere che a Platone interessa indagare, cioè l’uomo. Infatti se si vuole costruire una società giusta, come Platone vuole fare, si deve individuare l’eccellenza umana e sapere come tale eccellenza possa essere dimostrata vera cioè conforme con la verità assoluta. Dunque a fronte di una pluralità di virtù ci si domanda anzitutto quale sia l’ESSENZA della virtù per l’UOMO. La risposta del Fedone (dialogo della maturità) • Chi è l’uomo? E’ colui che a differenza di tutti gli altri esseri ha un pensiero e una ragione. Questa è dunque la sua eccellenza. Il pensiero è l’anima dell’uomo e l’anima è ciò che gli consente di sapere quale sia la verità assoluta, il bene sommo, l’essere nel suo significato ultimo e totale. Può allora l’uomo vivere secondo i desideri e le inclinazioni del corpo? NO; al contrario deve vivere secondo le indicazioni della RAGIONE. Tutto ciò che orienta le nostre azioni ed è fondato su qualcos’altro rispetto al pensiero è illogico, contraddittorio, falso. Bisogna dunque avere cura della propria anima (anche esercitandosi a morire al proprio corpo): questa è l’essenza della virtù umana. La conferma del Teeteto (dialogo che si situa alla soglia della vecchiaia) • La virtù è essenzialmente nel pensiero e nel sapere che il pensiero consente di possedere. Mediante il pensiero si sa che cosa è giusto e santo e buono, dunque il pensiero è condizione per ottenere tutto ciò che è virtuoso. Quindi la virtù ha per Platone, in accordo totale con il suo maestro Socrate, un carattere intellettualistico. La seconda domanda: la virtù è acquisibile? • Rispondendo a tale interrogativo che, potremmo dire, riguarda il buon uso del pensiero, Platone distingue anzitutto due tipi di virtù (Fedone, Teeteto), • quella intesa dai più, l’essere buoni e virtuosi secondo la mentalità comune • e quella stabilita per mezzo della filosofia. • La prima è conformismo sociale che si ottiene tramite il semplice esercizio e l’addestramento meccanico a seguire le abitudini della comunità in cui si è inseriti • La seconda si ottiene tramite la dialettica e la filosofia ed è fondata sulla verità dell’uomo e del mondo. Si acquisisce la virtù in senso filosofico? • La virtù in senso filosofico richiede, secondo quanto sostenuto nella Repubblica una certa predisposizione naturale che comporta negli uomini e nei giovani soprattutto: • Amore per la verità e avversione per la falsità • Disprezzo delle soddisfazioni solo sensibili e dei beni materiali che giunge fino al disprezzo della vita • Orrore per l’ingiustizia • Una certa facilità nell’apprendimento • Una certa capacità di ritenzione mnemonica Queste sono doti che vanno valorizzate attraverso la pratica della filosofia L’educazione • L’educazione alla filosofia attraverso l’insegnamento della dialettica come arte della distinzione e della sintesi è l’elemento fondamentale che trasforma una persona ben disposta in colui che sa contemplare la verità di quel mondo perfetto dell’Essere e delle idee che è oggetto privilegiato del pensiero. Affinché ciò si realizzi è necessario insistere sull’amore che è la passione dell’educatore filosofo per il Bene, passione che trasmettendosi, genera nell’educato un effetto diremmo di trascinamento verso la filosofia e verso la virtù che ne discende. Terza domanda: la virtù è unica o molteplice? “Da un lato, definendo, come ha fatto, l’essenza della virtù, Platone sembra indicare che questa è unica, dall’altro il suo linguaggio ci forza ad ammettere una pluralità di virtù” (L. Robin, Platone, Cisalpino, Milano, 19882, p. 183), cui peraltro egli stesso ha dedicato diversi dialoghi, per es. il coraggio nel Lachete, la veracità nell’Ippia minore, la saggezza pratica nel Carmide, la pietà nell’Eutifrone. La virtù unica e le virtù • Negli stessi dialoghi sopra citati Platone sostiene però che ci deve essere una unità delle virtù, altrimenti lo stesso concetto di virtù sarebbe dissolto come accade nella sofistica, dove virtù viene a significare ciò che di volta in volta è assunto, apoditticamente o a causa di diversi interessi in gioco, come vero, ma che è reciprocamente contraddittorio. Se virtù adesso significa pazienza e dopo, perché è cambiata la situazione, vuol dire impeto; se è virtuoso colui che è coraggioso, ma lo può essere, a seconda delle circostanze anche colui che è prudente; se lo è chi è prodigo, ma lo può essere anche l’avaro risparmiatore; se è così allora virtù significa tutto e il suo contrario. La Repubblica, libro IV • Allora, certo, sarà necessario individuare un’unica essenza della virtù, ma un’essenza COMPLESSA, cioè una gerarchia che comprenda la pluralità delle virtù unite sotto il medesimo concetto generale, e ordinate secondo una precisa scala gerarchica. A ciò provvede il libro IV della Repubblica. Le virtù nello Stato • Le virtù vengono dedotte nella Repubblica avendo come scopo la costruzione di uno Stato giusto. Uno Stato giusto è quello in cui tutti le persone, con le loro differenti prerogative, possono vivere secondo l’unica verità delle cose e della vita. Temperanza, coraggio,saggezza • Le persone possono essere distinte in tre categorie, a seconda del tipo di temperamento che hanno, cioè a seconda della prevalenza in loro di una delle tre parti fondamentali dell’animo umano, quella concupiscibile, quella irascibile e quella razionale. La virtù di coloro in cui prevale l’anima razionale è la saggezza. La virtù di coloro in cui prevale l’anima irascibile è quella del coraggio. La virtù della temperanza, secondo cui la ragione prevale sui sensi e il superiore va subordinato all’inferiore è di tutto il corpo sociale ed appartiene quindi anche a coloro in cui prevale l’anima concupiscibile. Essa permette loro di attendere alle attività produttive che comportano fatica e dispendio di energie. La giustizia • Ma la giustizia è ciò che comprende tutte e tre queste virtù, e fa che ciascuno attenda al compito che gli spetta, cioè che rispetti il sistema stesso della verità delle cose e delle nostre anime. Essa lega assieme tutte le virtù e fa sì che ad ogni virtù corrisponda un’adesione in funzione del valore intrinseco di quella virtù (per es. il coraggio non può essere al di sopra della saggezza, altrimenti si trasformerebbe in temerarietà cieca e distruttiva, dunque gli irascibili devono seguire le indicazioni dei razionali). Il pensiero • Ma la giustizia è tale in virtù del pensiero che comprende la verità: essa è riconoscimento della verità così come è presentata all’uomo e alla società dal pensiero e dalla ragione. Dunque, come si afferma nel Fedone, tutte le virtù assumono il loro senso pieno alla luce del pensiero che scopre le relazioni fra loro e le determina a partire dalle loro qualità intrinseche. Lo Stato • Lo Stato è quell’unione di uomini fondata sulla giustizia individuata dal pensiero, quella giustizia che restituisce agli uomini la loro vocazione più intima e li fa convivere assieme NELLA VERITÀ, a prescindere dalle maggiori o minori disposizioni individuali di ciascuno. Infatti in uno Stato giusto i filosofi che lo governano sapranno ricondurre tutto il corpo sociale, formato anche da coloro presso i quali non c’è alcuna predisposizione alla sapienza, a quel bene universale cui solo la sapienza può avvicinare. • A ciò provvederanno 1) Le direttive di governo che hanno la loro origine nella conoscenza filosofica della verità 2) L’educazione promossa da coloro che conoscono la verità Il problema degli uomini e della loro condotta è un problema di conoscenza e di intelligenza Se i filosofi con la loro anima razionale devono governare perché tutti gli uomini siano sotto la sovranità della giustizia, il problema etico, come problema del comportamento umano, si risolve, ancora una volta, in un problema di capacità e possibilità di conoscere la verità e quindi in un problema di intelligenza. Infatti se negli Stati, così come sono comunemente ordinati, non c’è filosofia, non vi potrà nemmeno essere giustizia e se manca la giustizia mancheranno tutte le altre virtù, e gli uomini saranno allo sbando. Intellettualismo etico • Se con l’intelligenza è risolto il problema etico, e se senza giustizia esso esplode in tutta la sua drammaticità, ciò significa che ancora una volta è confermata l’idea socratica che nessuno fa il male conoscendo il bene. Se si fa il male è solo per ignoranza del bene, quell’ignoranza che appunto i filosofi hanno il compito di espungere da sé e dal mondo politicosociale. Dov’è la libertà? • “dobbiamo pensare che ciascuno di noi, esseri viventi, è come una macchina prodigiosa realizzata dagli dei, vuoi per loro divertimento, vuoi per uno scopo serio, questo non lo sappiamo. Ciò che invece sappiamo è che queste passioni, che sono in noi come corde o funicelle, ci tirano, ed essendo opposte fra loro, ci tirano in senso contrario, trascinandoci verso azioni opposte, ed è così che si stabilisce la differenza tra virtù e vizio. La ragione ci consiglia di seguire sempre uno solo di questi stimoli, di non abbandonare affatto, e di resistere a tutti gli altri fili: questa è la regola d’oro della ragione, quella sacra condotta che viene chiamata la pubblica legge dello Stato, e se le altre sono dure come se fossero di ferro e assumono le forme più svariate, questa è duttile, perché è d’oro. Bisogna sempre collaborare con la splendida guida della legge: poiché la ragione è bella, mite e priva di violenza, la sua guida ha bisogno di collaboratori affinché in noi la stirpe d’oro vinca sulle altre stirpi” (Platone, Leggi, 644d-645°) Libertà di seguire la ragione • Gli uomini sono esseri che hanno in sé la forza distruttiva delle passioni, che sono tutto ciò che ha origine nella sensibilità fallace e ingannevole. Hanno anche in sé la possibile guida della ragione per compiere il bene e seguire le leggi della virtù. A questo sono chiamati e a questo provvede lo Stato, fornendo alla ragione un surplus di coattività che ad essa, in quanto mite e scevra di violenza, manca. Non c’è, in fondo, libertà • Libertà è potere valutare delle alternative, quando invece è a priori necessario adeguarsi ad una di esse, fatalmente non vi è libertà. La libertà, stando al percorso che abbiamo fatto seguendo Platone, sarebbe dunque solo nell’errore, nel rifiutare l’alternativa giusta della legge e della virtù per accondiscendere al vizio. Viceversa noi tutti abbiamo l’obbligo di farci vincere dalla verità per realizzare appieno noi stessi secondo gli imperativi della ragione e, politicamente, dei loro rappresentanti, i filosofi. L’alternativa è l’abisso dell’ignoranza, della falsità e del vizio. La sete di libertà fino alla licenza • Ecco allora per Platone a che cosa possa condurre la libertà quando porti a vedere come indifferenti le scelte per la virtù o per il vizio: “Ora, a distruggere anche la democrazia non è pure l’insaziabilità di ciò che essa definisce un bene? – Secondo te, che cosa definisce così? – La libertà, risposi. In uno stato democratico sentirai dire che la libertà è il [c] bene migliore e che soltanto colà dovrebbe perciò abitare ogni spirito naturalmente libero. – Sì, ammise, è una frase molto comune. – Ebbene, feci, come or ora stavo per dire, l’insaziabilità di libertà e la noncuranza del resto non mutano anche questa costituzione e non la preparano a ricorrere fatalmente alla tirannide? – Come?, chiese. – Quando, credo, uno stato democratico, [d] assetato di libertà, è alla mercè di cattivi coppieri e troppo s’inebria di schietta libertà, allora, a meno che i suoi governanti non siano assai miti e non concedano grande libertà, li pone in stato d’accusa e li castiga come scellerati e oligarchici. – Sì, si comporta così, disse. – E coloro, continuai, che obbediscono ai governanti, li copre d’improperi trattandoli da gente contenta di essere schiava e buona a nulla, mentre loda e onora privatamente e pubblicamente i governanti che sono simili ai governati e i governati che sono simili ai governanti. Non è inevitabile [c] che in uno stato siffatto il principio di libertà si allarghi a tutto? – Come no? – E così, mio caro, dissi, vi nasce l’anarchia e si insinua nelle dimore private e si estende fino alle bestie” (Repubblica VIII,562b-e). Libertà = anarchia • La libertà lasciata a se stessa, cioè come valore in sé conduce direttamente all’anarchia, cioè letteralmente alla “mancanza di un principio”. Si tratta propriamente di quel principio ordinatore delle cose che è collocato nel sommo bene e da cui proviene la giustizia. Senza questo principio il mondo va alla rovescia, non c’è più rispetto per la gerarchia delle virtù e per le differenze tra virtù e vizio, tutto è indifferente. In questo contesto si genera violenza, la violenza di una legge che è imposta solo da chi ha più forza e sa sbaragliare gli avversari. Questa è la tirannia, cui conduce, secondo Platone, l’amore per la libertà in sé proprio dei regimi democratici (che, a causa di questo amore distruggono loro stessi, aprendo la strada a governi autocratici e tirannici). La libertà negata come valore politico Per Platone è meglio non perseguire la libertà come qualcosa di buono in sé, perché buona in sé è la virtù e la virtù comporta l’obbedienza ad un pensiero che coglie la verità ultima delle cose. Ma ciò significa che gli uomini non sono liberi? In realtà per Platone essi o sono sapienti e necessariamente fanno il bene o sono ignoranti e necessariamente fanno il male. … ma salvata come condizione ontologica • Ma da che cosa deriva la possibilità che essi divengano sapienti o rimangano ignoranti? Dalla prevalenza in loro di una specifica qualità dell’anima (concupiscibile, irascibile o razionale). Gli uomini sembra che si trovino ad essere in un dato modo e quindi l’educazione possa far valere le proprie “tecniche” solo sulla base del “materiale umano” con cui ha a che fare. L’educazione alla virtù non può trasformare il piombo in oro, anche se l’oro, non adeguatamente “curato” ed “educato” può finire per assomigliare al piombo. • Tuttavia a che cosa si deve la speciale conformazione dell’anima di ciascuno di noi? Perché, cioè, alcuni sono più dotati di altri, perché alcuni hanno particolari disposizioni che altri non possiedono? Libertà metafisica di scelta: il mito di Er (Repubblica, X) • Er è un soldato morto in battaglia che, già pronto per la sepoltura, risuscita e racconta quello che ha visto nell’aldilà. Egli racconta di un giudizio che costringe le anima dei reprobi a scendere per una via che porta ad un regno terrestre e oscuro, e quelle dei meritevoli a salire per una via celeste. Questo duplice sentiero, verso l’alto e verso il basso, è, diremmo oggi, a due corsie, in una le anime vanno verso il luogo dove sperimenteranno per mille anni ricompense o pene decuplicate rispetto al male o al bene commesso in vita, nell’altra le anime tornano dai luoghi dove hanno già ricevuto la loro retribuzione per giungere in un prato dove si incontrano. Il mito di Er: Ananke • Qui le anime sono al cospetto di Ananke (dea che simboleggia il destino) che tiene sulle proprie ginocchia tutto l’universo, rappresentato da otto fusi, ciascuno incastrato nell’altro (come i cieli dell’universo concepito secondo l’astronomia antica). Il mito di Er: Lachesi, Cloto, Atropo • Ananke ha intorno a sé le tre figlie o moire (esseri divini cui è affidata l’esecuzione del destino di ciascuna persona): Lachesi: moira del passato Cloto: moira del presente Atropo: moira del futuro Dalle ginocchia di Lachesi, un araldo divino prende un fascio di sorti e, gettandole ai piedi delle anime, le invita a sceglierne una gridando: “Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke. Anime dall’effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a nuova [e] morte. Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la onori o a spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile” (Repubblica X, 617d-e) Compiuta la scelta, le anime vengono portate da Cloto per la conferma della decisione e da Atropo perché la renda irrevocabile per il futuro. Le libertà di scelta metafisica • In questo racconto Platone sottolinea che il destino, legato alla qualità della vita che noi conduciamo, è il prodotto di una scelta di cui noi siamo assolutamente responsabili, anche se 1) la scelta, viene detto nel seguito del racconto, può essere fatta “aneu philosophias” cioè senza riflettere o riflettendo, e dipenderà pertanto dalle capacità riflessive dell’anima. 2) i destini a disposizione sono in numero limitato, anche se di molto superiore al numero delle anime, quindi le anime che scelgono per prime hanno più possibilità di quelle che scelgono per ultime, pur mantenendo queste un’ ampia gamma di opzioni. Perché è così! • Se pertanto la scelta dipende, lo abbiamo visto, dalla capacità di riflettere, ritorna la domanda: “Perché alcuni hanno la capacità di riflettere e altri no?”. A tale domanda probabilmente Platone risponderebbe: “Perché è così”. Ma questo non toglie che la vita che uno conduce se l’è scelta, avendone piena facoltà. E ciò rimane vero, benché sia accaduto su un piano puramente metafisico, dal quale si passa in questo mondo solo bevendo l’acqua del fiume Lethe, il fiume della dimenticanza, che ci fa scordare tutto quanto è avvenuto prima. Noi siamo quello che siamo, ma siamo anche liberi di scegliere • Per Platone noi siamo quello che siamo, ma la nostra vita è a priori determinata anche da una nostra scelta, della quale solo noi siamo responsabili e per la quale otterremo un premio o un castigo. Di conseguenza è del tutto plausibile che • la scelta riguardi anche l’obbedienza che colui che non ha l’anima di un sapiente deve a colui che la possiede, al fine di raggiungere ugualmente la virtù; • le qualità della nostra anima non possano nel corso dei cicli di nascita-morte-rinascita essere migliorate, grazie a scelte oculate, altrimenti il premio o il castigo non avrebbe metafisicamente senso. La libertà salvata • La libertà, quindi, negata come valore politico, viene reintrodotta come condizione metafisica, come status ontologico dell’uomo più autentico, cioè della sua anima che è così in grado di determinare autonomamente il proprio destino. Si conferma qui l’idea antica della libertà come pre-requisito dell’etica, su cui si fonda la responsabilità delle nostre azioni, anche se poi la scienza etica abbandona questo tema, per cercare, tramite la riflessione filosofica, di determinare le caratteristiche fondamentali dell’azione virtuosa, giacché solo un sapere consente di praticarla e solo l’ignoranza ne determina l’abbandono.