Come disintossicarsi dall’inquinamento di migliaia di spot, che spesso ci dicono ben poco del prodotto? Una soluzione, un po’ drastica, è staccare la spina del televisore. L’altra, più furba, è conoscere i meccanismi della pubblicità, smontarli pezzo a pezzo, saper riconoscere le strategie e le tattiche dei persuasori. Insomma, conoscere tutte le armi in campo per potersi difendere meglio. Perciò, in questo capitolo, vi proponiamo un mini-corso di pubblicità, a cura di un esperto del settore: Bruno Ballardini, un personaggio “contro” della pubblicità italiana, autore di saggi come La morte della pubblicità e Manuale di Disinformazione (editi entrambi da Castelvecchi). Tralasciando di entrare, per ragioni di spazio e di semplicità, nei dettagli del funzionamento di un’agenzia abbiamo sottolineato i punti di maggior interesse per i consumatori. Anche non volendo fare per forza i pubblicitari, queste conoscenze vi aiuteranno terapeuticamente a rendervi immuni Le quattro P La pubblicità è l’ultimo elemento di un complesso meccanismo che si chiama marketing. L’arte di promuovere e vendere un prodotto si basa tradizionalmente su 4 ingranaggi che agiscono insieme, in un rapporto diverso a seconda dei casi, creando quindi un “mix” variabile. La tabella che segue indica i quattro pilastri delle strategie di vendita, detti anche “le 4 P del marketing mix”. Il prodotto in sé, con le sue caratteristiche specifiche _ (ad esempio: vecchio, Prodotto innovativo, poco competitivo, d’avanguardia Prezzo La politica di prezzo con cui deve essere_ venduto (alto, basso, medio eccetera). Posto )Il luogo in cui venderlo e come, ovvero la distribuzione_ (male distribuito, ben distribuito, in omaggio eccetera) Pubblicità La promozione in tutte le sue modalità (mirata a un piccolo gruppo, alla massa, alla persona). Queste componenti sono tutte indispensabili, pena il fallimento delle strategie di vendita. Qualcuno ha cominciato a intuire che al posto di un prodotto poteva esserci benissimo un “servizio” e che la sua “vendita” al pubblico avrebbe potuto sfruttare la stessa metodologia. Teoricamente il marketing si può applicare a qualsiasi cosa. A che cosa serve?La pubblicità svolge essenzialmente due funzioni: 1) quella di informare il pubblico interessato sull’esistenza di un prodotto; 2) quella di informare anche riguardo alle caratteristiche specifiche di questo prodotto. Il prodotto si posiziona In tempi recenti, tra gli anni 70 e gli anni 80, l’aumento smisurato della produzione ha fatto nascere centinaia di prodotti simili. Dalla guerra frontale tra aziende e marche si è passati alla guerra di posizione. Si è cioè determinata un’evoluzione del marketing detta “positioning” (posizionamento): vale a dire sia l’arte di trovare una posizione (nicchia) di mercato, sia l’arte di “occupare una posizione nella mente del consumatore”. A ciascuno il suo benefit È qui , comunque, che la pubblicità svolge una funzione fondamentale, cercando di comunicare la “differenza significativa” tra un prodotto e un altro apparentemente uguale. La differenza significativa dev’essere prima di tutto un benefit, ovvero un beneficio che il prodotto offre all’utente. Secondo i padri della pubblicità, la buona pubblicità consisterebbe dunque nel comunicare fondamentalmente un benefit. Attenzione: il benefit non è qualcosa che il prodotto fa credere di poter offrire all’utente, ma si parla dei benefici reali. La gente che spende dei soldi per acquistare un prodotto (o un servizio) vuole sapere con certezza che cosa gliene viene in cambio. La bravura di un copywriter, come si chiamano gli autori degli slogan pubblicitari, consiste nel dire cose utili in modo interessante. Questa è la buona pubblicità. Il fatto che una pubblicità sia “informativa” non significa che non possa essere anche molto “creativa”. Il dentifricio che fa sorridere Se tecnicamente il prodotto che si deve pubblicizzare è di fatto uguale a quello concorrente, occorre spremersi le meningi per cavar fuori qualcosa di più, magari un beneficio immateriale. Prendiamo il caso di due dentifrici: A e B hanno lo stesso benefit e cioè rimuovono la placca e prevengono le infiammazioni delle gengive. Che si fa? La stessa campagna? Impossibile. I consumatori non saprebbero quale scegliere. Allora, occorre inventare un beneficio che va oltre il beneficio finale. Qualcosa che ne sia conseguente. Ad esempio, sorridere senza più preoccupazioni. Se la marca A riesce a dirlo per prima, occuperà nella mente del consumatore un posto preciso, e cioè quello del dentifricio che “ti fa sorridere”. A questo punto, il dentifricio B, che è altrettanto buono ma apparentemente “non fa sorridere”, dovrà inventarsi un posizionamento diverso per conquistarsi un’altra fetta di pubblico. Oppure, sudare sette camicie per controbattere la marca A sulle stesse caratteristiche. Dalla parte dei consumatori vige il seguente principio (liberamente interpretato dai pubblicitari): “Compro perché mi serve, scelgo perché mi piace”. Ma non si può tirare troppo la corda con i consumatori, spacciando ciò che non si ha. Si rischia di venire cancellati per sempre. Il marketing tende alla “fidelizzazione” del consumatore. E raccontare bugie non paga. Il problema e la soluzione Da una parte c’è un’azienda che ha un problema di marketing, cioè vuol vendere un prodotto o un servizio a un certo segmento di pubblico. Dall’altra, l’agenzia di pubblicità, che si occuperà di trasformare il problema di marketing dell’azienda in un problema di comunicazione. Dopo uno scambio di informazioni con l’azienda, l’agenzia elabora una “strategia di comunicazione”. L’ultimo passo è la “strategia creativa”, cioè le soluzioni che l’agenzia ha deciso di sviluppare dopo aver analizzato il problema. Fondamentalmente, però, le strategie di comunicazione costruite dalle agenzie di pubblicità non sono altro che la traduzione in obiettivi di comunicazione delle strategie di marketing inventate dagli uomini d’azienda. Quindi la responsabilità di ciò che si vede in tivù e si legge sui giornali, più che dei pubblicitari, è delle aziende produttrici. La strategia di comunicazione Dipende strettamente dalle variabili del “marketing mix”. Per fare un esempio, se il problema, suddiviso schematicamente nelle 4 “P”, è il seguente: 1) Prodotto: sufficientemente competitivo; 2) Posto: distribuzione scarsa; 3) Prezzo: alto; la quarta “P”, 4) ovvero la Pubblicità, potrà ad esempio rovesciare i “minus” (gli svantaggi) trasformandoli in “plus” (elementi di richiamo). In questo caso, si giustificherà il prezzo alto e la scarsa distribuzione dicendo nella pubblicità che le cose stanno così perché il prodotto “vale di più” o “non è per tutti”, facendo scattare ad esempio la molla “aspirazionale” dello status symbol. Il messaggio e la promessa Se lo scopo principale della comunicazione pubblicitaria è quello di informare sull’esistenza di un prodotto e sui suoi benefici, il messaggio deve essere strutturato in funzione di questi due obiettivi. Per questo, uno dei padri della pubblicità moderna, Rosser Reeves, negli anni 40 ha inventato un sistema efficace, che da allora non ha subito fondamentali cambiamenti. Innanzitutto ha definito quale deve essere il cuore della comunicazione e cioè la “proposta unica di vendita”, ovvero la promessa. Secondo Rosser Reeves la promessa, nel messaggio pubblicitario, deve rispondere a tre caratteristiche: 1) comunicare il beneficio principale; 2) comunicarne l’esclusività rispetto alla concorrenza; 3) basarsi su un beneficio rilevante per il consumatore. Perché “unica”? Perché l’esperienza ha dimostrato che se in un messaggio pubblicitario vengono fatte due o più promesse contemporaneamente, il messaggio perde di efficacia, risulta meno chiaro e meno credibile. In tempi più recenti, la promessa non sempre ha coinciso con il benefit principale del prodotto: a volte, è stato esaltato un benefit secondario, dirottando l’attenzione del pubblico su caratteristiche di minor rilevanza. Poiché tuttavia le promesse da sole non bastano mai, e anzi spesso si assomigliano fra di loro, si è pensato di sostenere la proposta unica di vendita con un altro pilastro fondamentale per la strutturazione del messaggio, “giustificazione della promessa” (la “reason why”) ovvero il “perché”, si possono promettere certi benefici. Il binomio promessa/reason why è diventato così un caposaldo di tutte le strategie di comunicazione: “Protegge le tue mani perché contiene lanolina”, “Lava più a fondo perché penetra nelle fibre con le sue microparticelle”, e così via. La promessa o la reason why non devono essere confuse con gli slogan pubblicitari. Si tratta, infatti, dei concetti che devono essere comunicati nella campagna, che sono a monte di essa e che andranno poi elaborati possibilmente nel modo più interessante. Attenzione: sempre più ci si avvia verso una pubblicità di marchio. Ovvero, il marchio elevato a reason why. Dopo aver costruito per anni una solida immagine di marca, si utilizza la stessa come “garante” di qualsiasi prodotto. Però, questo metodo vale fino a un certo punto. Quando c’è da sapere cosa c’è dentro un nuovo shampoo, i consumatori Il consumatore azzittito Lo schema promessa+reason why su cui si basa una strategia di comunicazione è congegnato in modo da impedire che il destinatario del messaggio possa formulare delle contro argomentazioni. Esaurisce l’informazione richiesta dal pubblico e la giustifica, chiudendogli in anticipo la bocca. Questo non lo dice nessun testo di pubblicità, ma lo confermano le ricerche di psicologia sperimentale condotte dagli anni 70 in poi in alcune università americane. Perché i testi di pubblicità non ne parlano? Perché sarebbe come rivelare con quali armi si “aggredisce” il pubblico, dandogli così i mezzi per difendersi... Spesso il criterio di verità è sacrificato in funzione di quello di credibilità. I cattivi pubblicitari concatenano fra loro, a mo’ di giustificazione reciproca, una serie di affermazioni gratuite che non motivano un bel nulla. Il testimone Si usa dire che quando i creativi non hanno più idee ricorrono all’uso del “testimonial”. Il testimonial, ovvero “testimone”, è una specie di “garante” del prodotto. Nelle pubblicità di questo genere raramente troverete una reason why, perché la promessa è detta e “garantita” dal personaggio stesso, dalla sua autorevolezza. È ovvio che si tratta della forma più bassa di pubblicità, spesso senza messaggi, senza contenuti. Non c’è nessuno sforzo di elaborazione creativa né strategica. La pubblicità prodotto e la pubblicità consumatore Dal dopoguerra agli anni 60, i pubblicitari si concentrarono essenzialmente sul messaggio quasi fosse l’unico elemento a loro disposizione. Parliamo di un’epoca primitiva in cui qualcuno scriveva i testi (spesso ex-giornalisti) che qualcun altro realizzava graficamente (i grafici). È ovvio che, in questo modo, le parti del messaggio venivano elaborate separatamente e chi le elaborava dava più importanza alla propria funzione con un risultato finale assai povero e scarsamente equilibrato. In tempi più recenti, le tecniche della comunicazione pubblicitaria si sono affinate. Ad esempio, si è cominciato a capire che l’elaborazione del messaggio poteva cambiare molto a seconda che ci si ponesse dal punto di vista del prodotto o dal punto di vista del consumatore. Da qui è nata una fondamentale distinzione. La pubblicità orientata al prodotto: tende a trasmettere in modo diretto le caratteristiche dell’articolo che reclamizza. La pubblicità orientata al consumatore mette in luce i problemi, i gusti, le aspirazioni, le motivazioni, i tic, le manie, del pubblico a cui si rivolge. In tempi ancora più recenti si è sviluppato un terzo genere, ovvero la “pubblicità al marchio”, che vende fondamentalmente la marca. Proviamo a esercitarci a riconoscerle. Esercitazione n. 1 Identificare a quale categoria appartengono le pubblicità più note sulla falsariga dei due esempi che seguono. Esempio A: Campagna Averna Slogan: Il gusto pieno della vita Descrizione: Un giovane manager si trova in panne con la macchina. Scende, cerca aiuto e trova un telefono in una serra lì vicino. Gli sembra di entrare in un altro mondo, un mondo molto lontano dal suo, fatto di ritmi naturali, senza lo stress di tutti i giorni. Un mondo di valori a cui tutti vorremmo ritornare. Il proprietario della serra lo invita a sedersi e a rilassarsi. In sostanza, a ritrovare “il gusto pieno della vita”. Tipo di pubblicità: orientata al consumatore. Esempio B: Campagna Spazzolino elettrico Philips Dental Logic Messaggio: 70 oscillazioni, 2 rotazioni al secondo. Dai canini ai molari nessuno resterà “impulito”.Tipo di pubblicità: orientata al prodotto Il "tono" di comunicazione Un’altra delle variabili in gioco nella comunicazione pubblicitaria è il “tono” di voce adottato. Non utilizzare il tono giusto al momento giusto può far fallire anche una campagna ben strutturata dal punto di vista della promessa e della reason why. Per questo è molto importante per un pubblicitario impadronirsi della tecnica necessaria per esprimere lo stesso messaggio in tanti “toni” diversi. Da un punto di vista grafico, il “tono” equivale allo “stile visivo” di una campagna pubblicitaria. Per quanto riguarda la stesura dei testi, invece, la bravura di un copywriter consiste nel saper adottare gli stili di scrittura più diversi e all’interno di questi saper ancora fare variazioni di tono. Esercitazione n. 2 Scrivere nei toni indicati la stessa promessa. Ecco un esempio ideato dalla pubblicitaria Annamaria Testa per un detersivo immaginario. Brix lava a fondo rispettando i colori. Ed ecco le variazioni: Romantico: Brix dà vita ai colori che amate. Aggressivo: Brix distrugge lo sporco ma salva i colori. Ironico: Brix: la sottile differenza che c’è tra grigio-sporco e grigio-pulito. Concreto: Brix è forte contro lo sporco, delicato con i colori. Anche a 30 gradi. Evocativo: Tolto lo sporco, brilla il colore. Provocatorio: Tutti possono lavare i capi colorati, ma quanti possono mantenerli colorati? Rassicurante: Con Brix, anche in lavatrice i vostri capi colorati sono in buone mani. Coinvolgente: “La prima volta che ho usato Brix non credevo ai miei occhi”. Tenero: Nuovo Brix fa felice il bucato. Disinvolto: Nuovo Brix: niente calore, tutto colore. Snob: Nuovo Brix. Il maestro del colore. Provate anche voi a formulare tutte le variazioni sul tema, a partire dal seguente slogan: “Cerealix” è la colazione che ti mantiene in forma perché è più legge