A ogni mancanza nell'uomo è contrapposta una pienezza in Dio: Dio è e ha precisamente ciò che l'uomo non è né ha. Quanto è attribuito a Dio è tolto all'uomo e, viceversa, quanto è dato all'uomo è sottratto a Dio. [...] Tanto meno è Dio, tanto più è l'uomo; tanto meno l'uomo, tanto più Dio. Se vuoi avere Dio, devi perciò rinunciare all'uomo; e se vuoi avere l'uomo devi rinunciare a Dio; altrimenti tu non hai né l'uno né l'altro. La nullità dell'uomo è il presupposto dell'aver Dio un'essenza. Affermare Dio significa negare l'uomo; onorare Dio, disprezzare l’uomo; lodare Dio, denigrare l'uomo. La gloria di Dio si fonda esclusivamente sull'abbassamento dell'uomo, la beatitudine divina solo sulla miseria umana, la divina sapienza solo sull'umana follia, la potenza divina solo sulla debolezza umana. La religione cristiana ha collegato il nome dell'uomo col nome di Dio in un unico nome, quello del Dio-uomo ed ha innalzato così il nome dell'uomo ad attributo dell'essenza suprema. La nuova filosofia, secondo verità, ha trasformato questo attributo in sostanza, il predicato in soggetto; la nuova filosofia è l'idea realizzata, la verità del cristianesimo. Ma essa, proprio perché ha in sé l'essenza del cristianesimo, rinunzia al nome di cristianesimo. Il cristianesimo ha manifestato la verità solo in contraddizione con la verità. La verità senza contraddizione, quella pura e autentica, è una verità nuova - un nuovo, autonomo atto dell'umanità. Il fatto che la religione, la coscienza di Dio, venga definita l'autocoscienza dell'uomo non vuol dire affatto che l'uomo religioso sia consapevole, direttamente, che la sua coscienza di Dio è l'autocoscienza della propria essenza: perché è proprio l'assenza di questa coscienza che costituisce la differenza specifica della religione. E per eliminare questa possibilità di equivoco è meglio dire: la religione è la prima - e indiretta conoscenza che l'uomo abbia di se stesso. La religione precede quindi dovunque la filosofia, sia nella storia dell'umanità sia nella storia del singolo individuo. L'uomo, prima ancora di trovare la sua essenza in sé, la traspone fuori di sé. In un primo tempo la sua propria essenza gli è oggetto come se fosse l'essenza di un altro. Nelle religioni il progresso storico consiste quindi in questo, che ciò che per la religione precedente era considerato qualche cosa di oggettivo è adesso qualche cosa di soggettivo; in altri termini, ciò che era contemplato e pregato come Dio viene ora conosciuto come qualche cosa di umano. Per i posteri la religione precedente è idolatria: l'uomo ha pregato la propria essenza. L'uomo si è oggettivato, ma non si è reso conto che l'oggetto era la sua essenza; la religione successiva fa questo passo. Ogni progresso nella religione è quindi una più approfondita conoscenza di sé. Ma ogni religione determinata, che qualifica di idolatriche le sue sorelle più anziane, eccettua se stessa da quella che è la sorte, la generale natura della religione - e questo atteggiamento è necessario, se no essa non sarebbe più religione -; essa riversa sulle altre religioni ciò che è la colpa - ammesso che si possa parlare di colpa - della religione in generale. Dato che ha un altro oggetto e un altro contenuto, dato che si è innalzata su un piano superiore al contenuto della religione precedente, essa si illude di essersi sottratta alle leggi necessarie ed eterne che costituiscono l'essenza della religione: si illude che il suo oggetto, che il suo contenuto sia sovrumano. Ma, in cambio, a penetrare in quella essenza della religione che a lei stessa è nascosta è il pensatore; per lui la religione è oggetto, come essa non può essere a se stessa. E il nostro compito sarà appunto di dimostrare che l'opposizione di divino e di umano è del tutto illusoria, e che, per conseguenza, anche l'oggetto e il contenuto della religione cristiana è interamente umano. La religione, quella cristiana almeno, è l'atteggiamento che l'uomo ha nei confronti di se stesso, o, più esattamente, nei confronti della propria essenza (soggettiva); atteggiamento, però, che tratta la sua essenza come se fosse diversa da lui. L'essenza divina non è altro che l'essenza umana, o, più esattamente, l'essenza dell'uomo purificata e liberata dai termini dell'uomo individuale, oggettivata, cioè mirata e venerata come se fosse un'altra essenza, una essenza diversa da lui, con propri caratteri - tutte le determinazioni dell'essenza divina sono quindi determinazioni umane. La religione è la scissione dell’uomo con se stesso: egli si pone di fronte Dio come un essere contrapposto. Dio non è ciò che è l’uomo, l’uomo non è ciò che è Dio. Dio è l’essere infinito, l’uomo è l’essere finito; Dio è perfetto, l’uomo è imperfetto; Dio è eterno, l’uomo temporale; Dio è onnipotente, l’uomo impotente; Dio è santo, l’uomo peccatore. Dio e l’uomo sono estremi: Dio è il polo positivo, la somma di tutte le realtà, l’uomo il polo negativo, la somma di tutte le nullità. Ma l’uomo ha, nella religione, come oggetto, il suo essere ignoto. Si deve, quindi, dimostrare che questa antitesi, questa disarmonia tra Dio e l’uomo, onde trae origine la religione, è una disarmonia dell’uomo con il suo proprio essere. L’intima necessità di questa dimostrazione scaturisce già dal fatto che, se realmente l’essere divino, che è l’oggetto della religione, fosse qualcosa di diverso dall’essere dell’uomo, non potrebbe verificarsi una scissione, una disarmonia. Se realmente Dio è un altro essere, che cosa mi importa della sua perfezione? Scissione c’è solo tra esseri che sono in discordia l’uno con l’altro, ma devono essere un solo essere, possono esserlo e, di conseguenza, essenzialmente, veramente, sono un solo essere. Deve, quindi, già da questo principio generale, risultare che l’essere, dal quale l’uomo si sente scisso, è un essere a lui innato, ma contemporaneamente un essere di natura diversa, come l’essere o il potere che gli dà il sentimento, la coscienza della conciliazione, dell’unità con Dio o, ciò che fa tutt’uno, con se stesso. Questo essere non è nient’altro che l’intelligenza, la ragione o l’intelletto. Dio, concepito come l’estremo opposto dell’uomo, non come un essere umano, cioè personalmente umano, è l’essere oggettivato dell’intelletto. L’essere divino, puro, perfetto, privo di difetti è l’autocoscienza dell’intelletto, la coscienza, dell’intelletto, della propria perfezione. L’intelletto non conosce le sofferenze del cuore: non ha desideri, passioni, bisogni e, proprio per questo, nessuna deficienza o debolezza, come il cuore. Se l’essere umano è per l’uomo l’essere sommo, anche nella pratica la legge prima e suprema sarà l’amore dell’uomo per l’uomo. Homo homini deus est: questo è il nuovo punto di vista, il supremo principio pratico che segnerà una svolta decisiva nella storia del mondo. [...] Al di sopra della morale sta Dio, riguardato come un essere distinto dall’uomo a cui appartiene tutto il meglio, mentre all’uomo spettano soltanto i rimasugli. Tutti i sentimenti che dovrebbero essere rivolti alla vita e all’uomo, tutte le migliori energie, l’uomo le spreca per l’Essere che di nulla ha bisogno. La causa reale diviene un mezzo indifferente; la causa puramente immaginaria diviene la causa vera e reale. L’uomo ringrazia Dio per i benefizi che l’altro uomo gli apporta anche a prezzo di mille sacrifici. La gratitudine che egli esprime al suo benefattore non è che apparente, non è rivolta a lui, bensí a Dio. È riconoscente verso Dio, sconoscente invece verso l’uomo. Cosí il sentimento morale soccombe nella religione. Cosí l’uomo sacrifica l’uomo a Dio! I sacrifici umani cruenti non sono in realtà che una espressione brutale e sensibile della piú intima essenza della religione. [...] Quando la morale viene fondata sulla teologia e il diritto su un’autorità divina, le cose piú immorali, piú ingiuste e piú vergognose possono avere il loro fondamento in Dio e venir giustificate. Il reale nella sua realtà o in quanto reale è il reale come oggetto del senso: il sensibile. Verità, realtà, sensibilità sono identici. Solo un ente sensibile è un ente vero, reale. Solo attraverso i sensi un oggetto viene dato in senso autentico – non attraverso il pensare per se stesso. l’oggetto dato col pensare o identico al pensare è soltanto pensiero. [...] La nuova filosofia considera e tiene conto dell’essere quale è per noi, non soltanto cioè come un’essenza pensante, ma anche come un’essenza realmente esistente. L’essere come oggetto dell’essere è l’essere del senso, dell’intuizione sensibile, della sensazione, dell’amore. [...] La vecchia filosofia diceva: ciò che non è pensato non esiste; la nuova filosofia dice invece: ciò che non è amato e che non può essere amato non esiste