L`universo si espanderà all`infinito oppure inizierà una sua

L’astrofisica ad altissime energie
Alessandro De Angelis e Massimo Persic
Grazie a nuovi strumenti, da pochi anni è possibile disegnare l’immagine
dell’Universo ad altissime energie. Questa possibilità ha aperto un nuovo
settore dell’astronomia: è ora possibile osservare l’universo violento nel
quale la gravità al lavoro genera processi elettromagnetici ”duri” e
processi nucleari e subnucleari.
La fisica delle alte energie è nata come fisica dei raggi cosmici [1]: nei primi
decenni del secolo scorso, non appena si scoprì in particolare grazie agli studi di Robert
Millikan, Victor Hess, e Domenico Pacini che particelle di altissima energia arrivano dal
cosmo, gli studiosi di fisica fondamentale avviarono campagne di studi in atmosfera e
costruirono centri di rivelazione sulle montagne, in particolare nelle Alpi. Alle origini la
fisica delle particelle si poteva dunque definire, con un termine moderno,
“astroparticellare”.
Fig. 1.a
Fig. 1.b
Fig. 1.c
Fig. 1.a. Il fisico austriaco Victor Hess alla partenza dell’ascensione in aerostato in cui
dimostrò l’esistenza dei raggi cosmici (1912).
Fig 1.b. Il fisico statunitense Robert Milllikan mentre prepara un rivelatore prima del
lancio in alta atmosfera (1938).
Fig 1.c. L’osservatorio della Marmolada al Passo Fedaja, in provincia di Belluno.
Solo in seguito i fisici impararono a produrre in laboratorio particelle di altissima
energia mediante gli acceleratori. Dal 1950 alla fine degli anni 1990 le potenzialità di
scoperta della fisica agli acceleratori superarono quelle della fisica basata sui raggi
cosmici, in quanto la fisica agli acceleratori consentiva la realizzazione di esperimenti in
condizioni controllate. Per una cinquantina d’anni l’energia raggiunta dagli acceleratori
crebbe esponenzialmente con il tempo, e con essa il potenziale di scoperta di tale
tecnologia; in questo periodo la fisica delle particelle agli acceleratori garantì un
progresso spettacolare alla conoscenza fondamentale.
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Negli ultimi dieci anni si è assistito però a un rallentamento nei progressi,
evidenziato nel cosiddetto plot di Livingstone in Fig. 2.a, in cui si nota la saturazione
delle energie raggiunte, in corrispondenza ad un’esplosione dei costi di costruzione. In
parallelo strumenti di rivelazione sempre più sofisticati consentono di rivelare particelle,
e in particolare fotoni, provenienti da acceleratori cosmici. Ciò ha una doppia valenza,
consentendo il progresso nell’indagine astronomica e in quella legata alla fisica
fondamentale.
L’indagine astrofisica fornisce una possibilità di studiare fenomeni a scale di
energia superiori anche di diversi ordini di grandezza rispetto a quelli raggiungibili con la
produzione di particelle nei laboratori terrestri. La ragione per cui gli acceleratori
costruiti dall’uomo non possono competere con gli ancora misteriosi acceleratori cosmici
è dovuta al fatto che il metodo più efficiente per l’accelerazione di particelle richiede il
loro confinamento entro un raggio R tramite un campo magnetico B, e l’energia è
proporzionale al prodotto di R per B. Sulla Terra è difficile ipotizzare raggi di
confinamento più grandi di un centinaio di km e campi magnetici più forti di una decina
di tesla (centomila volte il campo magnetico terrestre), senza contare l’impatto
ambientale di questa tecnologia, il consumo energetico e la radioattività indotta nella
natura. Una tale combinazione può fornire per il ventunesimo secolo energie dell’ordine
della decina di TeV (un TeV equivale a 1000 GeV, laddove 1 GeV è all’incirca l’energia
necessaria per creare un atomo d’idrogeno in base alla nota relazione di Einstein E=mc2;
1 TeV, grosso modo un decimilionesimo di joule, corrisponde all’incirca all’energia
cinetica di una zanzara, ed è un’enorme quantità di energia da concentrare in un’unica
particella). Energie di circa 10 TeV verranno raggiunte nell’acceleratore LHC del CERN.
In natura esistono tuttavia acceleratori con raggi molto maggiori, come i relitti di
supernove (centinaia di anni luce) e i nuclei galattici attivi delle galassie (decine di
migliaia di anni luce); da essi arrivano sulla Terra particelle di energie di decine di
milioni di TeV. Oggi finalmente sappiamo sfruttare questi acceleratori cosmici i quali, a
differenza di quelli costruiti dall’uomo che costano ormai svariati miliardi di euro, sono
gratis.
Fig. 2.a
Fig. 2.b
Fig. 2.c
Fig. 2.a. Il “plot di Livingstone” per gli acceleratori.
Fig. 2.b. Il Large Hadron Collider, LHC, che entrerà in funzione nel 2008 al CERN.
Fig. 2.c. Un’immagine della SNR (SuperNova Remnant) di Tycho.
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I raggi cosmici arrivano sulla Terra a energie fino a un miliardo di TeV circa. Lo
spettro (numero di raggi incidenti per unità di energia, per unità di tempo, per unità di
superficie) dei raggi cosmici primari è ben descritto da una legge a potenza di tipo E-α
con α circa uguale a 2.7 per valori dell'energia inferiori a circa 1000 TeV. Per valori
superiori dell'energia si ha un irripidimento, con α che diviene pari a circa 3. Il punto in
cui tale cambio di pendenza ha luogo viene denominato ginocchio. Per energie ancora più
alte, dell’ordine della decina di milioni di TeV, lo spettro dei raggi cosmici torna ad
essere meno ripido, dando luogo ad un ulteriore cambio di pendenza che viene chiamato
caviglia.
Fig. 3. Lo spettro di energia dei raggi cosmici.
Per quanto riguarda i fotoni cosmici, invece, l’energia più alta finora rivelata è
circa 100 TeV, che cade nella banda gamma di altissima energia. Come evidenziato in
Fig. 4, i fotoni in banda gamma (detti anche storicamente “raggi gamma”) sono quanti di
luce di alta energia [2], più precisamente di energia maggiore di quella relativa
all’annichilazione della coppia elettrone/positrone, 511 keV. Così come l’emissione in
banda ottica è caratteristica di sorgenti come le stelle, a temperature superficiali
dell’ordine di qualche migliaio di gradi, ed è spiegabile con fenomeni termici, la
radiazione X, che ha energie migliaia di volte più alte di quelle della luce visibile, è
caratteristica di interazioni elettromagnetiche all’interno delle sorgenti; lo spettro dei
raggi gamma parte da energie centinaia di migliaia di volte superiori a quelle dei fotoni
visibili all’occhio umano, e l’emissione gamma può essere spiegata da particolari
processi elettromagnetici, e da processi ancora più duri come quelli tipici delle interazioni
forti.
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Fig. 4. Lo spettro elettromagnetico. Sono mostrate anche le altitudini fino a cui le varie
frequenze emesse da sorgenti celesti riescono a penetrare nell’atmosfera terrestre (es., il
radio e la luce visibile riescono a raggiungere il suolo), mentre raggi X e gamma, e larga
parte dell’infrarosso sono fermati nell’alta atmosfera. I raggi gamma VHE cosmici
possono venire rivelati a terra in modo indiretto mediate la luce Cerenkov emessa dalla
loro interazione con l’atmosfera terrestre.
Alla base dell’emissione di alte energie c’è il motore dell’universo, l’energia
gravitazionale. Parte di questa energia è convertita in radiazione elettromagnetica,
attraverso processi come la radiazione di sincrotrone, che può generare fotoni X in
seguito all’accelerazione di elettroni in campi magnetici sufficientemente forti, presenti
ad esempio in acceleratori relativamente rari ma potenti come i residui stellari compatti e
i nuclei galattici attivi. Questi fotoni di sincrotrone possono a loro volta interagire con gli
stessi elettroni genitori, e “rimbalzare” con energie ancora più alte, fino all’ordine del
migliaio di GeV, ossia del TeV, e oltre. Tale meccanismo (detto meccanismo SSC, SelfSynchrotron Compton) è stato visto al lavoro sia in sorgenti galattiche sia in sorgenti
extragalattiche. Una sorgente importante di radiazione a energie ancora più alte, oltre le
decine di TeV, sembra poter essere legata all'esplosione di supernove in un ambiente
ricco di gas interstellare (soprattutto idrogeno). L'onda d'urto generata dall'esplosione
comprime violentemente il gas e accelera i nuclei d’idrogeno, protoni, che potrebbero
ricollidere con il gas diffuso nell'ambiente circostante la stella. Questa reazione porta
presumibilmente alla produzione di mesoni  neutri, che decadono in fotoni gamma in
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tempi dell’ordine di 10-16 secondi. In generale la radiazione delle sorgenti gamma in
funzione dell’energia E ha uno spettro di intensità decrescente come E-, con l’indice
spettrale  tipicamente compreso tra 2 e 3. È importante sottolineare il “salto di qualità”
dal meccanismo SSC, che spiega l’emissione di fotoni gamma in base a soli processi
elettromagnetici, al meccanismo adronico, che apre una finestra che arriva ad energie fino
al centinaio di milioni di TeV.
Fig. 5. Schema del meccanismo SSC.
I raggi gamma di altissime energie (VHE) si fanno partire convenzionalmente da
un’energia fra i 10 e i 100 GeV. Nei collassi gravitazionali che avvengono nei centri delle
galassie, dove grandi quantità di materia sono divorate, vengono prodotti raggi gamma
con energie anche mille miliardi di volte più grandi della luce visibile. Un fenomeno
spettacolare (e relativamente frequente: si ritiene che avvenga nell’universo con cadenza
almeno giornaliera, e i satelliti ne rivelano l’occorrenza un centinaio di volte all’anno) è
quello dei “lampi gamma” o GRB (Gamma Ray Bursts): per pochi secondi una sorgente
emette un’energia gamma confrontabile con quella dell’Universo intero. Fortunatamente
per la nostra salute, l’atmosfera assorbe molto bene questo tipo di radiazione,
consentendo l’esistenza degli esseri viventi sulla superficie terrestre; allo stesso tempo,
però, questo schermo rende molto difficile l’osservazione dei raggi gamma. La tecnologia
necessaria per la loro rivelazione è stata sviluppata solo negli ultimi anni, seguendo due
distinte metodologie di osservazione: da terra, con l’impiego di grandi rivelatori
Čerenkov (specchi focalizzati), e dall’esterno dell’atmosfera, mediante appositi strumenti
montati su satelliti [3].
Si ritiene che gli acceleratori cosmici accelerino soprattutto le particelle cariche,
quali gli elettroni e gli ioni. L'accelerazione può essere un processo “one shot”, in cui le
particelle sono accelerate nei campi elettrici enormi generati, per esempio, nelle stelle di
neutroni, o condotta attraverso un aumento lento ma continuo dell'energia della particella.
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Nelle esplosioni di supernova, per esempio, le particelle possono rimbalzare fra i campi
magnetici, guadagnare ogni volta una piccola quantità di energia e dopo 10000 anni o più
fuoriuscire dalla zona di accelerazione con altissima energia.
In ogni caso i modelli di accelerazione prevedono la produzione copiosa di fotoni,
in particolare raggi gamma. Raggi gamma sono prodotti, per esempio, quando un protone
è accelerato nell'onda d’urto di una SNR; tali protoni possono generare cascate adroniche
nelle quali vengono prodotti mesoni  neutri che decadono in coppie di fotoni gamma. Se
il meccanismo primario di accelerazione coinvolge elettroni di alta energia, questi
elettroni possono generare fotoni mediante il meccanismo cosiddetto della radiazione di
frenamento (bremsstrahlung), o emettere radiazione di sincrotrone nei campi magnetici
locali; questi elettroni possono a loro volte accelerare mediante il cosiddetto effetto
Compton inverso (IC) che nell’ulteriore interazione con un elettrone li fa emergere come
raggi gamma ad alta energia.
Confrontati alle particelle cariche, che sono i prodotti principali degli acceleratori
cosmici, i raggi gamma presentano il vantaggio notevole di propagarsi lungo geodetiche
(linee rette) attraverso l'universo. Le particelle cariche sono invece deviate dai campi
magnetici galattici e intergalattici, e le deviazioni sono così grandi che le informazioni
indicanti la loro provenienza sono perdute. A conferma di ciò basti pensare che finora
non è mai stata localizzata la provenienza di un raggio cosmico carico. Anche un debole
campo come quello della nostra galassia (circa 10-10 T) basta a far sì che l’informazione
sulla provenienza di un protone di 300 milioni di GeV dal centro della nostra galassia
venga perduta. I raggi gamma rilevati su terra invece puntano verso le loro fonti e
vengono usati per localizzarle e studiarle. L’energia dei raggi gamma è collegata
all’energia dei genitori, e la morfologia dell’emissione gamma alla dinamica della
generazione.
Come rivelare i raggi gamma?
Contrariamente alla luce visibile i fotoni gamma non si possono riflettere su superfici o
venire concentrati con sistemi ottici su rivelatori. Si comportano più verosimilmente
come proiettili energetici e la loro rivelazione deve essere effettuata con gli strumenti e le
metodologie tipiche della fisica subnucleare. Inoltre, poiché i raggi gamma non riescono
ad attraversare immutati l’atmosfera terrestre, per evidenziarli si devono collocare i
rivelatori fuori dall’atmosfera stessa, e dunque porli su satellite, o costruire rivelatori in
grado di rivelare le particelle secondarie prodotte dal gamma quando viene assorbito
dall’atmosfera.
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Fig. 6. Rivelatori di fotoni e assorbimento da parte dell’atmosfera.
Un raggio gamma proveniente dallo spazio interagisce con le molecole
dell’atmosfera e si trasforma in una coppia elettrone-positrone. Queste particelle cariche
nel loro cammino in aria emettono fotoni attraverso un meccanismo detto di
bremsstrahlung (radiazione di frenamento). I gamma secondari si trasformano a loro volta
in coppie elettrone-positrone e si viene così a formare un cascata di elettroni, positroni e
gamma; tale cascata è detta sciame elettromagnetico. Le particelle che si formano nello
sciame viaggiano nell’atmosfera a velocità confrontabili con la velocità della luce, e si
sparpagliano lateralmente fino a distanze di qualche centinaio di metri.
Fig. 7. Schematizzazione di uno sciame elettromagnetico.
Dallo spazio non arrivano solo fotoni gamma, ma anche, dal centinaio al migliaio
di volte più numerosi, particelle sensibili all’interazione forte (adroni), come i protoni e
altri nuclei atomici carichi. Interagendo con i nuclei atomici nell’atmosfera gli adroni
possono produrre particelle cariche e neutre, come pioni e mesoni K, che a loro volta
interagiscono. Si viene a formare pertanto uno sciame adronico non molto diverso dallo
sciame elettromagnetico prima descritto, a parte la maggior presenza di leptoni 
(analoghi agli elettroni, ma di massa circa duecento volte maggiore) nonché la diversa
distribuzione laterale e la densità delle particelle presenti.
Il numero di particelle cariche prodotte da un tipico sciame elettromagnetico di
altissima energia ha un massimo ad altezze di 5-10 km sul livello del mare, ed è
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trascurabile al livello del mare. Per questo se vogliamo osservare i raggi gamma con
rivelatori di particelle sensibili agli elettroni e ai positroni dello sciame (tecnica degli
Extensive Air Shower detectors, EAS) dobbiamo posizionare i nostri strumenti a quote
molto elevate, con notevoli problemi logistici. Anche in questo caso, le soglie minime di
energia rivelabile sono piuttosto alte e con sensibilità bassa, sicché gli esperimenti EAS
non promettono di rivelare nuove sorgenti con le tecnologie attuali (la rivelazione di una
sorgente forte come la nebulosa del Granchio con questa tecnica richiede tipicamente
tempi di osservazione di una decina di giorni), a meno che non esistano transienti
d’intensità molto più grande di quelle finora misurate. Due grandi esperimenti EAS per la
rivelazione di raggi gamma sono attualmente operativi: l’italo-cinese Argo nel Tibet e
l’americano Milagro (in fase di chiusura) nel New Mexico.
Fig. 8. Tecnica IACT e tecnica EAS.
La tecnica che negli ultimi due-tre anni si è dimostrata vincente per l’astrofisica
gamma è la tecnica IACT (Imaging Air Čerenkov Telescopes), che sfrutta l’emissione
di luce da parte delle particelle cariche in uno sciame. Negli sciami, sia elettromagnetici
sia adronici, le particelle cariche possono viaggiare a velocità superiori a quella della luce
in atmosfera (ricordiamo che questo non viola la teoria della relatività, in quanto la
velocità della luce nell’atmosfera è c/n, dove n è l’indice di rifrazione ed è maggiore
dell’unità). In questi casi emettono un lampo di luce, detta luce Čerenkov dal nome dello
scopritore del fenomeno, premio Nobel per la Fisica nel 1958 per questa scoperta. Il
lampo Čerenkov è l’analogo ottico del “bang” supersonico per le onde sonore. È emesso
in un cono di ampiezza di circa un grado rispetto alla direzione della particella che lo
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genera, e viaggia verso il suolo insieme alle altre particelle dello sciame; questa luce è in
gran parte visibile, e nella banda del visibile l’emissione è più intensa nella regione del
blu.
I rivelatori IACT riflettono con la loro grande superficie ottica il debole lampo di
luce Čerenkov su un sensore a matrice di fotomoltiplicatori posto nel piano focale del
telescopio; quindi le informazioni sui pixel che hanno ricevuto segnale vengono
digitalizzate. In questo modo il raggio gamma viene fotografato come se fosse una specie
di stella cadente il cui lampo dura solo 2-3 nanosecondi (miliardesimi di secondo); la
fotografia è registrata su un sistema di computer e immagazzinata per l’analisi dei dati.
La diversa geometria degli sciami elettromagnetici e adronici consente una
classificazione su base statistica della natura della particella che ha generato il lampo di
luce.
Fig. 9. Il cono di luce Čerenkov e la sua immagine nella camera focale di un telescopio
IACT.
Le tecniche di analisi dei dati ancora oggi usate nei telescopi Čerenkov furono
introdotte dai fisici del telescopio Whipple in Arizona, un telescopio di 10 metri di
diametro che nel 1989 scoprì la prima sorgente gamma, la nebulosa del Granchio, una
sorgente che viene ancor oggi usata come “candela” standard per l’astrofisica gamma.
Tale sorgente, resto di una supernova la cui esplosione nel 1054 fu registrata da
astronomi dell’epoca, è la sorgente gamma stabile più luminosa nella Galassia. Whipple
scoprì in seguito due sorgenti gamma extragalattiche, le galassie Markarian 421 e
Markarian 501.
Quattro grandi telescopi Čerenkov sono attualmente operativi, due nell’emisfero
settentrionale e due nell’emisfero meridionale: H.E.S.S. in Namibia (operativo dal 2003),
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MAGIC nell’isola canaria di La Palma (operativo dal 2004), CANGAROO III in
Australia (operativo dal 2004), e VERITAS in Arizona (operativo dal 2006) .
Fig.10. Il telescopio MAGIC, un rivelatore per raggi gamma di tipo IACT.
Fig. 11. “The Big Four”, i maggiori telescopi IACT attualmente in funzione: H.E.S.S.,
MAGIC, CANGAROO III e VERITAS.
Fig. 12. Il telescopio Veritas.
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Il rivelatore MAGIC (Major Atmospheric Gamma Imaging Čerenkov telescope
[4,5]), frutto di una collaborazione internazionale con partner principali in Italia,
Germania e Spagna, si trova sull’isola di La Palma (Canarie) ed è attivo dal 2004. Per
l’Italia collaborano a MAGIC l’INFN, l’INAF e le università di Padova, Siena e Udine.
Con i suoi 17 metri di diametro è attualmente il telescopio gamma dotato del più grande
specchio al mondo. Tale superficie riflettente è costituita da quasi 1000 specchi quadrati
di alluminio a curvatura variabile per ottenere un profilo parabolico (la tecnologia è stata
sviluppata appositamente in Italia) e serve per raccogliere la luce Čerenkov prodotta dallo
sciame e focalizzarla su una matrice di fotomoltiplicatori (camera) posta nel piano focale
dello specchio. Il segnale così ottenuto, della durata di qualche nanosecondo appena,
viene registrato ed analizzato, permettendo di ricostruire una “fotografia” che identifica il
raggio gamma (o di altro tipo) all’origine dello sciame.
Fig. 13.a
Fig. 13.b
Fig.13.a. Un particolare dello specchio parabolico composto di MAGIC.
Fig.13.b. L’immagine del segnale di un raggio gamma ricostruita dal rivelatore MAGIC.
MAGIC ha anche un’altra notevole proprietà, legata alla leggerezza della struttura
in fibra di carbonio e al sistema di controllo attivo degli specchi: è la sua velocità di
posizionamento, che permette di puntare il telescopio verso un punto preciso del cielo in
poche decine di secondi, osservando così anche fenomeni altamente variabili nel tempo e
di breve durata. Per sfruttare al meglio tale caratteristica, MAGIC è in costante contatto
con la rete di satelliti GCN, che comunica a terra in tempo reale l’arrivo di un GRB. Ciò
ha permesso nel 2005, per la prima volta al mondo, di osservare un GRB per circa 30
secondi simultaneamente al satellite con sufficiente sensibilità ad alta energia.
11
Fig. 14. La rete GCN della NASA, che funge da sistema di allerta per l’arrivo dei GRB.
Se lo studio dei raggi gamma da terra sfrutta in vari modi gli sciami secondari
prodotti nell’atmosfera, i rivelatori montati su satellite si basano su una diversa
tecnologia, sviluppata negli scorsi decenni per gli esperimenti agli acceleratori: la
conversione dei fotoni gamma di alta energia in coppie di elettroni e positroni viene
indotta in sottili fogli di materiale assorbente (tungsteno o piombo) alternati a strati di
materiale sensibile al passaggio delle cariche (scintillatore o silicio).
Fig. 15.a
Fig. 15.b
Fig. 15.a. Uno schema di AGILE, un innovativo rivelatore per raggi gamma.
Fig. 15.b. L’integrazione di AGILE sul satellite che lo ha portato in orbita.
Il piccolo sciame (generalmente una coppia elettrone-antielettrone con qualche
particella elettromagnetica terziaria) così prodotto viene tracciato all’interno di un
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rivelatore compatto, che consente di ricostruire la direzione del raggio gamma incidente,
quindi raccolto da un “calorimetro elettromagnetico” che permette di misurarne l’energia.
AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero [6]) è primo rivelatore al
silicio per raggi gamma: una missione scientifica dell’ASI tutta italiana in collaborazione
tra i gruppi IASF-INAF di Bologna, Milano e Roma e le sezioni INFN di Roma e Trieste.
Il lancio di questo piccolo satellite è avvenuto il 23 aprile 2007 dal Satish Dhawan Space
Centre in India. I primi risultati di AGILE sono andati al di là di ogni aspettativa: in un
paio di mesi AGILE ha già realizzato l’imaging di sorgenti come Vela.
Le prestazioni e osservazioni di AGILE servono anche come importante banco di
prova per le missioni successive, tra le quali GLAST [7,8] occupa un posto di prima
importanza. L’osservatorio spaziale GLAST (Gamma ray Large Area Space Telescope)
nasce da una collaborazione tra Stati Uniti, Italia, Francia, Svezia e Giappone. Il satellite
verrà messo in orbita dalla NASA all’inizio del 2008; a bordo vi saranno due strumenti, il
Large Area Telescope (LAT) ed il Gamma-ray Burst Monitor (GBM), che permetteranno
di studiare i raggi gamma da un'energia di circa 10 KeV fino a oltre i 300GeV, un valore
mai raggiunto da altri rivelatori: per le sue caratteristiche innovative, la missione è
destinata a fornire contributi fondamentali allo sviluppo dell’astronomia gamma. Per
l’Italia partecipano i gruppi di Bari, Perugia, Padova, Pisa, Trieste e Udine, responsabili
dello sviluppo e nella costruzione del LAT e di parte del software (simulazione ed event
display).
Fig. 16. Il satellite GLAST.
Il cuore dello strumento GLAST è il rivelatore LAT (Large Area Telescope),
formato da 16 torri di strip di silicio alternate a fogli di tungsteno per il tracciamento dei
raggi gamma, seguite da un calorimetro in cristalli di ioduro di cesio per la misura
dell’energia depositata dagli elettroni. L’intero rivelatore, schermato da una copertura di
scintillatore per identificare e ridurre il fondo nel segnale dovuto a raggi cosmici di altro
tipo, ha un peso di circa 3 tonnellate.
In ogni caso i rivelatori su satellite sono limitati nella banda delle alte energie dal fatto
che non è pensabile realizzare superfici attive di più di uno o due metri quadrati; poiché
tipicamente il flusso decade esponenzialmente, risulta difficile con strumenti su satelliti
ottenere flussi apprezzabili oltre il centinaio di GeV (anche se una piccola coda di
sensibilità di GLAST fra i 100 e i 300 GeV sarà utilissima per effettuare misure
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simultanee con i rivelatori a terra). L’astrofisica gamma ad altissima energia è quindi
principalmente riservata ai rivelatori Čerenkov.
I risultati
L’astrofisica ad altissime energie è una scienza in esplosione. Il lavoro pionieristico
svolto dal telescopio Whipple (1996-2003) ha iniziato l’astrofisica gamma ad altissime
energie portando alle prime scoperte di sorgenti che emettono in tale banda: la nebulosa
del Granchio (Weekes et al. 1989) e il nucleo galattico attivo (AGN) Markarian 421
(Punch et al. 1992). A seguire, la prima generazione di grandi telescopi Čerenkov, che
comprendeva CAT (1996-2003) nei Pirenei, CANGAROO (1992-2001) e HEGRA
(1993-2002) a La Palma, dimostrò e ampliò il potenziale di scoperta del nuovo campo
scoprendo alcune nuove sorgenti galattiche ed extragalattiche (come i blazar, un tipo di
AGN). Successivamente, grazie all’abbassamento delle energie di soglia, al
miglioramento delle sensitività strumentali, alla costruzione di rivelatori ad ampio campo,
e a strutture meccaniche più leggere, i ‘Quattro Grandi’ esperimenti descritti nella
sezione precedente hanno portato l’astrofisica VHE a maturità.
Negli ultimi cinque anni il numero di sorgenti di altissima energia è più che
decuplicato, essendo ormai arrivato a superare la cinquantina, con una frequenza di nuove
scoperte di una-due sorgenti al mese; in una mappa celeste cominciano a disegnarsi il
piano galattico e gli emettitori extragalattici. Recentemente sono state scoperte anche
nuove classi di emettitori gamma. Da Fig.16 si vede che il cielo gamma VHE è popolato
soprattutto in corrispondenza del piano galattico. Ciò non dovrebbe stupire. La vicinanza
gioca un ruolo fondamentale nel definire l’abbondanza delle sorgenti osservate: quindi ci
si aspetta di riuscire a vedere tutte le sorgenti VHE –perlomeno fino a una certa
luminosità minima – che appartengono alla nostra Galassia, e di vederle ammassate
proprio nel piano galattico, dove si trovano la stragrande maggioranza delle sue stelle.
Esternamente alla Galassia si osservano
14
Fig. 17. Mappa (in coordinate galattiche) delle sorgenti gamma di altissima energia.
essenzialmente galassie brillanti nella banda gamma VHE, perlopiù AGN. Oltre che
dell’effetto geometrico di diluizione del flusso con la distanza, gli oggetti lontani
soffrono di un altro effetto di attenuazione del flusso, dovuto alla bassa trasparenza
dell’universo ai raggi gamma VHE a causa dell’interazione di questi con la “nebbia” di
fotoni infrarossi dovuti all’emissione delle popolazioni stellari delle galassie, che porta
alla formazione di coppie elettrone/positrone e che risulta, per l’osservatore, in una
riduzione netta del flusso. Quindi la distribuzione nel cielo delle sorgenti gamma VHE è
necessariamente anistropica.
Che tipo di sorgenti emettono ad altissime energie? Cominciamo a guardare
all’interno della nostra Galassia. In una fondamentale esplorazione sistematica del piano
Galattico in banda VHE, il telescopio H.E.S.S. (situato nell’emisfero sud) ha scoperto 14
sorgenti precedentemente sconosciute ad altre frequenze. Altre sorgenti galattiche,
accessibili dall’emisfero settentrionale, sono state successivamente osservate con il
telescopio MAGIC. Come controparti di tali sorgenti galattiche VHE- sono stati proposti
resti di supernova (supernova remnants, SNR), pulsar e associate nubi di vento
relativistico (pulsar wind nebulae, PWN), e stelle binarie con accrescimento di materia.
Qualunque sia in dettaglio la loro natura, è praticamente certo che le sorgenti galattiche
VHE siano riconducibili alle tappe finali dell’evoluzione di stelle di grande massa e
luminosità e di breve vita. Quindi, queste sorgenti sono traccianti dell’attività attuale di
formazione stellare.
Lo studio dei SNR riveste particolare interesse in quanto da molto tempo si pensa
che i raggi cosmici galattici siano prodotti ai fronti d’urto di associati alle esplosioni di
supernova attraverso il meccanismo dell’accelerazione diffusiva. Se i raggi VHE-γ
osservati nei SNR risultassero generati attraverso il canale adronico, allora sarebbe
dimostrato che le SN possono accelerare protoni e nuclei fino a energie dell’ordine del
ginocchio dello spettro dei raggi cosmici (la fisica dei processi adronici ci dice che le
particelle primarie hanno energie uno-due ordini di grandezza superiori a quelle dei
fotoni rivelati alla fine delle cascate). Tuttavia, partendo da una porzione di spettro VHE misurato nella relativamente ristretta banda di energia disponibile attualmente (una
decade circa), è difficile separare la componente adronica da quella leptonica prevista dal
modello Ssc. I dati di RX J1713.7-3946 possono venire interpretati in entrambi i modi,
secondo il modo leptonico o quello adronico a seconda che il campo magnetico in
questione sia basso o alto (B~10 o 100G: Aharonian et al. 2006b, e Berezhko & Völk
2006). I dati nella banda ~0.1-100 GeV, che saranno forniti dai telescopi orbitanti AGILE
e GLAST, saranno importanti per discriminare fra i due modi.
15
B=100G
Fig. 18. Esempio di modellizzazione leptonica (IC, sopra) e adronica (pp, sotto) dei dati
VHE gamma del resto di supernova SNR RX J1713.7-3946. Il parametro discriminante
fra un modello e l’altro è l’intensità del campo magnetico, basso nel primo caso e alto
nel secondo.
Tralasciando i dettagli, la rivelazione di fotoni con energia 100 TeV da RXJ1713.7-3946 è prova dell’accelerazione di particelle primarie da parte di fronti d’urto
associati all’esplosione di SN a energie ben >1014 eV. Lo spettro differenziale ha una
forma di legge di potenza con indice spettrale circa pari a 2.1 ovunque, suggerendo che le
particelle emittenti sono ovunque accelerate in regime di shock forte fino a energie ~200
16
(100) TeV per protoni (elettroni) primari se il modo adronico (leptonico) è all’opera.
Queste energie ci portano vicino al ginocchio dello spettro dei raggi cosmici ~1015.5 eV,
che è interpretato come il limite superiore della distribuzione dei raggi cosmici galattici.
Pur in assenza di singola prova inconfutabile, la presenza di una componente adronica
dominante nell’emissione gamma VHE è quasi universalmente accettata, in quanto la
spiegazione mediante puro meccanismo SSC richiederebbe valori di campi magnetici
molto inferiori a quelli accettati nei modelli correnti, che sono capaci di spiegare i dati
multibanda (es.: nei SNR il profilo di brillanza X alle spalle del fronte d’urto avanzante è
spiegato perfettamente come emissione di sincrotrone da elettroni energetici in campi
magnetici elevati, B~102G, i.e. valori tipicamente ~100 volte maggiori che nel mezzo
interstellare).
Fig. 19. L’immagine, combinando assieme raggi X (dal satellite ASCA: 1-3 keV) e
gamma (da H.E.S.S.: 0.3-100 TeV), del resto di supernova SNR RX J1713.7-3946. I
contorni scuri indicano le linee di uguale brillanza superficiale X, la scala colorata
indica la brillanza gamma (più elevata in corrispondenza di colori più chiari).
17
Un’altra classe di emettitori galattici per i quali si ritiene che lo studio della banda
VHE sia particolarmente importante sono le pulsar. I dati potrebbero consentire di
distinguere fra i due principali scenari di emissione magnetosferica, denominati di polar
cap e outer gap). I modelli di polar cap e di outer gap differiscono essenzialmente per la
posizione dell’apertura delle linee del campo magnetico nella magnetosfera del pulsar.
Nel primo caso essa è prossima alla superficie della stella di neutroni, mentre nel secondo
caso essa è più lontana. Pertanto l’influenza del campo magnetico (B~1011-13 G) è molto
diversa nei due scenari. In quello polar cap, esso produce assorbimento (dovuto
all’interazione +B  e) che porta a un taglio super-esponenziale dell’emissione
(costituita perlopiù da radiazione di curvatura). Nei modelli outer gap, c’è solo un più
modesto taglio esponenziale, e le energie massime dei fotoni dipendono dalle energie
massime degli elettroni: in questi modelli una componente IC nella banda VHE- può
venire prodotta dall’interazione degli elettroni energetici con i fotoni sincrotrone da loro
stessi generati o con i fotoni X generati dal riscaldamento della stella di neutroni. I pulsar
con periodi del millisecondo, che hanno campi magnetici più bassi (B~108-10 G), nei
modelli polar cap possono avere energie di taglio Ec 100 GeV (infatti, Ec B-1), quindi
la loro emissione VHE- (pulsata) potrebbe essere importante. Rivelarla costituirebbe un
test della teoria polar cap – tuttavia, finora non ci sono state casi positivi di scoperta. La
nebulosa del Granchio, un emettitore stabile che viene usato come candela standard di
calibrazione, è stata osservata estensivamente dal radio al VHE- (~70 TeV). Nei dati
MAGIC non è stata osservata emissione pulsata (magnetosferica) VHE.
Le PWN –cioè pulsars che mostrano una prominente emissione nebulare–
attualmente sono la classe più popolata di sorgenti galattiche VHE- identificate.
L’emissione VHE- delle PWN è probabilmente di origine leptonica. Consideriamo il
caso di H.E.S.S. J1825-137, il cui spettro è stato misurato in regioni spazialmente
separate. In queste regioni, gli spettri VHE- si irripidiscono al crescere della distanza dal
pulsar, e la morfologia osservata in VHE- assomiglia a quella X. Inoltre il basso campo
magnetico (alcuni G) implica che l’emissione X di sincrotrone è dovuta a elettroni di
energia maggiore di quella dei raggi gamma. Ciò suggerisce che le osservazioni possono
essere interpretate in termini di elettroni molto energetici che perdono energia per
meccanismo di sincrotrone, invecchiando progressivamente più in fretta tanto più sono
lontani dal sito dell’accelerazione, e producono emissione VHE- per processo IC.
Un’altra classe interessantissima di sorgenti galattiche è costituita dai sistemi
binari che emettono a energie dell’ordine del TeV. Sia nelle SNR sia nelle PWN
l’accelerazione delle particelle avviene sulla scala del parsec negli urti che avvengono
nelle interazioni del materiale espulso dall’esplosione di SN o dal vento della pulsar con
il mezzo interstellare. Le cosiddette binarie TeV (TVB), rivelate dalla presente
generazione di IACT, sono un tipo di acceleratori molto più compatti. Questi sistemi
contengono un oggetto massiccio – una stella di neutroni o un buco nero – che cattura (o
interagisce con) materia fuoriuscente da una compagna stellare: questi oggetti si possono
quindi classificare come binarie X emittenti (anche) nella banda VHE-. Quattro sono le
TVB scoperte finora: PSR B1259-63, LS 5039, LS I +61~303, e Cyg X-1.
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PSR B1259-63 ha come sorgente d’energia la rotazione della sua giovane pulsar
con periodo di 48 ms pulsar, ed emette intensamente in banda VHE nelle fasi di pre- and
post-periastro quando il vento relativistico della pulsar collide con il denso vento
equatoriale proveniente dalla stella compagna di tipo Be. LS I +61 303 e LS 5039 hanno
una struttura simile. Il primo oggetto è composto da un oggetto compatto e una da una
stella Be in orbita molto eccentrica. La sua emissione VHE-, il cui tempo scala di
variabilità permette di stimare che la regione d’emissione di LS I +61 303 è maggiore
della dimensione del sistema binario, appare correlata con l’emissione radio e non mostra
un massimo al periastro, dove il tasso di cattura di massa è probabilmente massimo.
Questo scenario favorisce l’origine IC dell’emissione VHE- in quanto probabilmente la
più efficiente alle relativamente grandi scale del sistema al massimo dell’emissione.
L’emissione da Cyg X-1 è puntiforme ed esclude la vicina emissione radio diffusa tenuta
accesa dal getto relativistico. Cyg X-1 è il primo buco nero di massa stellare, e quindi il
primo esempio accertato di binaria in accrescimento, scoperto a energie VHE-.
Infine, parlando di sorgenti galattiche va descritto lo sforzo sperimentale fatto per
misurare l’emissione dal centro della galassia e per catturarne l’immagine. Recentemente
le H.E.S.S. e MAGIC hanno rivelato una spettacolare emissione di fotoni gamma di
altissima energia dalle vicinanze del buco nero nel centro galattico.
Fig. 20: A sinistra l’immagine gamma del Centro della Galassia (GC) ripresa da
MAGIC; è visibile la regione del buco nero. A destra lo spettro di energia dei fotoni
rivelati da MAGIC e H.E.S.S., confrontato con un’ipotesi di WIMP supersimmetrica di
massa 14 TeV.
Fra le sorgenti extragalattiche, la maggior parte delle rivelazioni da strumenti
IACT riguardano un particolare sottoinsieme di AGN chiamati blazar. La caduta di
materia nei buchi neri supermassicci che risiedono nei nuclei della maggior parte delle
galassie produce l'attività spettacolare osservata negli AGN. Il paradigma corrente degli
AGN include un motore centrale, molto probabilmente un buco nero supermassiccio,
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circondato da un disco di accrescimento e da nubi in moto rapido, che emettono linee
Doppler estese. In circa il 10% degli AGN la materia che cade nel buco nero accende
potenti getti collimati che fuoriescono in versi opposti, probabilmente
perpendicolarmente al disco, a velocità relativistiche. Se un getto relativistico è osservato
a un angolo piccolo rispetto alla linea di vista, l'emissione del getto osservata è
amplificata di un fattore relativistico, con amplificazione della luminosità di due-tre
ordini di grandezza, e domina l'emissione osservata. Tali sorgenti, dotate di getto e di un
orientamento peculiare, sono denominate blazar. Data la compattezza dei blazar
(suggerita dalle loro brevi scale temporali di variabilità: la loro luminosità VHE aumenta
anche in uno-due minuti), tutti i fotoni GeV/TeV sarebbero assorbiti a causa delle
interazioni con i fotoni-bersaglio X/IR - che porterebbero alla creazione di coppie. Perché
i primi possano sopravvivere e lasciare la sorgente, la densità intrinseca dei secondi deve
essere molto inferiore a quella osservata, di modo che i gamma incontrino un'opacità
molto più bassa e riescano quindi a lasciare la fonte. Le distribuzioni spettrali di energia
(SED) dei blazar sono caratterizzate generalmente da due larghi picchi nelle bande,
rispettivamente, IR/X e GeV-TeV. Analisi di SED di blazar hanno suggerito che: (i)
oggetti di alta/bassa luminosità hanno entrambi i picchi a frequenze più basse/alte (e sono
denominati, rispettivamente, LBLs e HBLs); (ii) il rapporto di luminosità fra il picco ad
alta e quello a bassa frequenza aumenta con la luminosità; (iii) alle più alte luminosità
l'emissione gamma domina la luminosità totale. Esiste quindi una popolazione di blazar
che dovrebbe essere “predisposta” per essere rivelata dai telescopi IACT, in quanto
avente spettro piatto nella banda di riferimento.
20
Fig. 21. La sequenza dei blazar, ordinata secondo la luminosità radio. Le sorgenti più
luminose tendono ad avere i due picchi spostati verso frequenze inferiori (cioè, verso
sinistra), mentre quelle meno luminose tendono ad averli spostati verso frequenze
superiori (cioè, verso destra).
L'interpretazione tradizionale degli spettri dei blazar è basata sul modello SSC. La
componente con picco nella banda IR/X è interpretata come radiazione di sincrotrone,
quella con picco nella banda 100 MeV — 100 GeV come IC. I dati di VHE sono di
importanza cruciale per confermare il modello di SSC. Anche nel modello SSC più
semplice è richiesta la conoscenza dell’intero spettro, fino al regime VHE, per una
descrizione completa della distribuzione degli elettroni emittenti e dell'ambiente. Nel
modello di base SSC, i parametri che specificano le proprietà del plasma emittente sono:
le quantità che descrivono la distribuzione degli elettroni con l’energia (normalizzazione,
pendenza spettrale ad alta e bassa energia, energia minima, di spalla e massima) le
regioni di plasma ionizzato (campo magnetico, dimensione e fattore di Lorentz del
plasma). Conoscere solo il picco IR/X, per esempio, non risolverebbe la degenerazione,
esistente nel meccanismo di sincrotrone, fra campo magnetico e densità degli elettroni
emittenti: occorre la conoscenza del picco IC, che pone un’ulteriore condizione sulla
densità degli elettroni e dei fotoni di sincrotrone, per risolvere la degenerazione. La
conoscenza dettagliata dei meccanismi dell'emissione dei blazar richiede dati simultanei
21
gamma a banda larga e dati X (in pratica, la conoscenza simultanea ed estesa dei picchi di
sincrotrone e IC). Infatti, un SED simultaneo può fungere da fotografia istantanea della
popolazione delle particelle emittenti in un dato momento.
Fig. 22. Schema di spettro SSC, che interpreta la distribuzione spettrale osservata per la
gran parte dei blazar.
Le osservazioni dei blazar sono state una delle prime priorità per l’astrofisica
VHE-, fino dalla scoperta di emissione TeV da Mrk421. A tutt’oggi, le rivelazioni certe
di blazar in banda TeV includono 17 HBLs e 1 LBL. (Un ulteriore AGN non-blazar,
M87, è stato pure rivelato.) All’incirca un nuovo blazar viene scoperto ogni mese.
I blazar conosciuti in banda TeV sono variabili nel flusso a tutte le frequenze. Il
modello SSC predice variabilità strettamente correlata fra le emissioni sincrotrone e IC,
essendo queste collegate alla stessa popolazione di elettroni: l’evidenza osservativa,
anche se ancora limitata statisticamente, conferma questa previsione. La forte variabilità
dei blazar, nel flusso e nello spettro, è stata osservata alle frequenze VHE addirittura fino
a tempi scala del minuto. Per Markarian 501, osservato con il telescopio MAGIC a >100
GeV durante 24 notti fra maggio e luglio 2005, si è potuto misurare il flusso integrato e
gli spettri differenziali notte per notte. Durante tali osservazioni, è stato notato che le
variazioni in flusso (da circa 0.4 a circa 4 unità crab – tale unità denota il flusso della
nebulosa del Granchio in una data banda spettrale) erano correlate con le variazioni
spettrali (cioè, spettri più duri per flussi più alti), e un picco spettrale è apparso durante le
fasi più attive. Un brillamento improvviso (flare) è apparso la notte del 10 luglio 2005,
22
con un tempo di raddoppio del flusso di circa 2 minuti e un ritardo di circa 3 minuti fra la
rivelazione dei fotoni di 10 TeV e quelli di 1 TeV.
Un aspetto ulteriore dell’emissione TeV da blazars è che essa può essere usata
come sonda della radiazione intergalattica di fondo (IBL), cioè la luce integrata delle
popolazioni stellari delle galassie. I fotoni di TeV emessi da un blazar interagiscono con i
fotoni di IBL e hanno un’alta probabilità di essere assorbiti via produzione di coppie.
Qualunque sia il profilo intrinseco all’emissione, dopo avere attraversato lo spazio
riempito dall’IBL, uno spettro blazar raggiungerà l'osservatore distorto
dall’assorbimento. Questo effetto, che è più forte per gli oggetti più distanti, è l'origine
più probabile della zona “proibita” nel diagramma della pendenza spettrale osservata
contro redshift (in pratica, non si osservano spettri piatti ad alto z). La probabilità
dell'assorbimento è misurata da (E), la profondità ottica per attenuazione incontrata da
un fotone, di energia osservata E, in viaggio fra un blazar situato ad una distanza D(z) e la
terra.
Fig. 23. L’orizzonte cosmologico in funzione dell’energia del fotone. Tutte le quantità
sono espresse in logaritmi decimali. L’orizzonte si avvicina molto velocemente al
crescere dell’energia del fotone, approssimativamente da z=4 per 10 GeV a z=0.01 per
20 TeV.
Infine, si spera di poter misurare l’emissione VHE dei lampi gamma. L’idea
prevalente è che alla base dell'emissione GRB ci sia una fireball in espansione
relativistica, con la radiazione dovuta agli urti interni ed esterni (fase immediata e di postlampo, rispettivamente) collimata relativisticamente (~O(102)). In questo scenario, le
particelle emittenti (elettroni e/o protoni) sono accelerate a energie molto alte. In tale
contesto, parecchi modelli predicono emissione VHE durante sia la fase immediata sia
quella di post-lampo dei GRB. Ciò può accadere per emissione IC da elettroni a seguito
23
di urto interno al getto o esterno a esso (diretto o inverso). I fotoni seme per il processo
IC possono essere prodotti localmente (tramite meccanismo di sincrotrone, o essere i resti
del contenuto iniziale di radiazione responsabile dell'accelerazione della fireball) o
possono essere prodotti all’interno, per esempio, il guscio di una SN esplosa
precedentemente. Nell’ultimo caso, i fotoni di SN potrebbero anche fungere da bersaglio
per l'assorbimento fotone-fotone: in tal caso, l'emissione VHE potrebbe essere oscurata.
Se i processi d'emissione sono effettivamente sincrotrone ed IC, allora è previsto uno
spettro globale simile a quello dei blazar, a forma di doppio picco che si estende fino alla
banda VHE. In tale confusione del quadro teorico, le osservazioni VHE dei GRB possono
fornire vincoli ai modelli di GRB.
Il telescopio MAGIC ha osservato parte della fase immediata dell’emissione di
GRB~050713a, in risposta ad un allarme dal satellite Swift (Albert et al 2006d). Tuttavia,
nessun eccesso a >175 GeV è stato rilevato durante la fase immediata dell'emissione né
dopo - ma i limiti superiori al flusso posti da MAGIC sono compatibili con semplici
estrapolazioni del flusso misurato da Swift. Generalmente, tuttavia, le distanze
cosmologiche di queste sorgenti rendono difficile la rivelazione in banda VHE: il redshift
medio dei GRB per cui MAGIC è stato allertato che (e con z noto) è <z>=3.22, mentre a
70 GeV l'orizzonte cosmologico gamma è z~1.
Vogliamo infine spendere qualche parola sui risultati che potrebbero avere
impatto sulla fisica fondamentale: l’astrofisica VHE consente di testare la fisica in
condizioni estreme, spesso oltre quanto possibile con gli acceleratori.
Uno degli argomenti più “caldi” a questo proposito è la ricerca di materia oscura.
La maggior parte delle teorie sulla materia oscura, tenuto anche conto dei dati
sperimentali, predilige come candidato idoneo a spiegare le osservazioni astrofisiche una
nuova particella pesante neutra (di massa dell’ordine del centinaio di GeV) che
interagisce debolmente con la materia ordinaria; tale particella viene chiamata WIMP,
Weak Interacting Massive Particle. Le teorie supersimmetriche offrono “gratis” un
candidato naturale per la WIMP, il cosiddetto neutralino. Due WIMP incontrandosi
possono annichilarsi generando energia –caratteristica delle particelle cosiddette di
Majorana, ipotizzate dal famoso fisico siciliano misteriosamente scomparso nel 1938.
L’annichilazione di WIMP è osservabile dai rivelatori di raggi gamma, in quanto gran
parte dell’energia prodotta si presenta sotto forma di fotoni gamma con energie
confrontabili a quelle della WIMP, e caratteristiche che consentirebbero di distinguerli
dal fondo astrofisico. Non si può escludere che il segnale rivelato in provenienza dal
centro galattico sia la prima evidenza di annichilazione di materia oscura, anche se questa
regione è ricca di emettitori gamma di natura astrofisica, che potrebbero generare fotoni
gamma con le stesse caratteristiche di quelli osservati. La massa della particella che
potrebbe spiegare un segnale come quello osservato è dell’ordine della decina di TeV,
quindi più alto di quello preferito dai modelli attuali.
Un altro settore d’importanza fondamentale è la verifica dell’indipendenza della
velocità della luce dall’energia. La teoria della relatività postula che la velocità della luce
sia costante, e in particolare indipendente dall’energia dei fotoni; in scenari di teorie di
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gravità quantistica tale postulato potrebbe non essere ammissibile, e ad altissime energie
e grandi distanze si potrebbero rivelare effetti con esso incompatibili. Anche in questo
caso l’astrofisica VHE è in prima linea.
Il futuro
I prossimi saranno ricchissimi di risultati per l’astrofisica gamma, che promette di essere
la chiave per le scoperte fondamentali del prossimo decennio. Un secondo telescopio
MAGIC è in costruzione a circa 80 metri di distanza dal primo per consentire una visione
stereoscopica; l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e le università italiane
consorziate sono responsabili dell’ottica (per la quale verrà usata una tecnologia ancora
più avanzata rispetto a quella del primo telescopio, sempre legata all’industria italiana, e
che si giova di un importante contributo da parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica,
INAF) e di parte dell’elettronica e del sistema di acquisizione e trattamento in linea dei
dati. L’ottica innovativa userà specchi più grandi (1m2) e più leggeri di quelli attualmente
usati. Il secondo telescopio, chiamato MAGIC 2, raddoppierà la sensibilità e migliorerà la
precisione di imaging fino a consentire di risolvere particolari all’interno degli emettitori
gamma galattici. L’inaugurazione dello strumento è stata fissata per il 21 Settembre 2008,
e il lavoro ferve; con questa scadenza MAGIC potrà giovarsi della sinergia con GLAST e
AGILE.
Fig. 24. Il telescopio MAGIC è sullo sfondo, e in primo piano il suo gemello in
costruzione.
25
Da parte sua H.E.S.S. ha iniziato la costruzione di quello che, con i suoi 28 metri
di diametro, sarà il più grande telescopio gamma al mondo, scalzando il primato di
MAGIC. Questo nuovo telescopio sarà inaugurato nel 2009 e sarà l’elemento principale
del sistema multitelescopio H.E.S.S. 2.
Fig. 25. L’array di telescopi H.E.S.S. con un fotomontaggio del nuovo grande telescopio
che darà origine a H.E.S.S. 2.
In seguito le collaborazioni MAGIC e H.E.S.S. si uniranno per costruire due
gigantesche matrici di telescopi, chiamate Čerenkov Telescope Array (CTA), la cui
sensibilità dovrebbe superare di oltre un ordine di grandezza quella di MAGIC e di
H.E.S.S.. Per questa nuova impresa la tecnologia scelta è simile a quella utilizzata
attualmente, che verrà replicata su decine di strumenti in due siti, uno per emisfero.
L’Italia ha già avuto, con le componenti legate all’INFN e all’INAF, la responsabilità
dell’ottica per questo progetto.
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Fig. 26. Sensibilità dei principali rivelatori gamma, definita come minima intensità
rivelabile in 50 ore per gli IACT e in un anno per Glast.
Nel quadro del progetto CTA si spera anche di introdurre nuove tecnologie che
potrebbero cambiare il concetto stesso di telescopio utilizzando ottiche di Fresnel in
trasmissione per concentrare la luce: ancora una volta l’Italia, in particolare con il gruppo
INAF di Palermo, è all’avanguardia nelle ricerche in questo campo.
Negli anni successivi al 20102015 le informazioni raccolte dai telescopi gamma
potrebbero aprire la strada ai grandi rivelatori di neutrini cosmici (ICECUBE al polo sud
e un rivelatore marino in costruzione nel mediterraneo) e di onde gravitazionali (il
sistema di satelliti NASA chiamato LISA).
Bibliografia:
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[5]
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[9]
B. Rossi, “I raggi cosmici”, Einaudi 1971
NASA, sito web “Imagine the Universe: Gamma Rays”
F. Aharonian, “The Very-High-Energy Gamma-Ray Sky”, Science 315 (2006) 70
A. De Angelis e L. Peruzzo, “Le magie del telescopio MAGIC”, Le Scienze,
Aprile 2007
Sito MAGIC http://magic.fisica.uniud.it
Sito AGILE http://agile.rm.iasf.cnr.it/
Sito GLAST http://glast.gsfc.nasa.gov/ (con una bella brochure scientifica)
Sito GLAST Italia http://glast.pi.infn.it/ (con una buona sezione di outreach)
J. Albert et al. (The MAGIC Collaboration), Science 312 (2006) 1771
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