Il sentiero erodoteo verso Maratona (di Beatrice Rigatti) Premessa: vorrei proporre una lettura del sesto libro delle Storie di Erodoto parzialmente filtrata attraverso un testo che mi ha dato utili indicazioni metodologiche: mi riferisco alle Sei passeggiate nei boschi narrativi di Umberto Eco, forse un titolo ormai datato, è del 1995, ma ricco di spunti per un'insegnante il cui compito principale è condurre gli allievi attraverso testi che non sempre sono “passeggiate”. Mi servirò dunque di alcune categorie interpretative che Eco applica per lo più al genere del romanzo, ma che secondo me aiutano a chiarire anche una narrazione come quella erodotea, che del romanzo ha il fascino e la complessità. Glossario Autore empirico: è la persona realmente vissuta, di cui conosciamo con più o meno dettagli la biografia, che ha effettivamente prodotto il testo di cui ci occupiamo; dell'autore empirico a Eco “importa assai poco”. E noi brevemente lo liquideremo. Lettore empirico: destinati dell'opera Eco parla di lettore solamente alla lettura, erodotea sono stati ma empirico, noi sappiamo inizialmente degli pensando che i a testi fruitori ascoltatori che assistevano a letture pubbliche fino a diventare ai nostri giorni anche ragazzi che si confrontano con Erodoto nei compiti in classe. E anche di questa categoria non ci occuperemo granché.. Invece gli elementi più interessanti, “le tre persone della trinità narrativa”, come dice Eco, sono l'Autore modello, il Narratore e il Lettore modello. “Autore e lettore modello sono due immagini che si definiscono reciprocamente solo nel corso e alla fine della lettura”. Il lettore modello è un “lettore-tipo che il testo non solo prevede come collaboratore, ma anche cerca di creare”. Nel nostro caso parleremo di ascoltatore o di pubblico modello, pensando al contesto originale della fruizione dell'opera erodotea. 1 Per quanto riguarda l'autore modello, esso è, dice Eco, la “voce che parla affettuosamente (o imperiosamente, o subdolamente) con noi, che ci vuole al proprio fianco, e questa voce si manifesta come una strategia narrativa, come insieme di istruzioni che ci vengono impartite... e a cui dobbiamo ubbidire quando decidiamo di comportarci come lettore modello”. Io direi che l'autore modello è l'immagine che chi è entrato nel bosco narrativo ha, alla fine del percorso, di chi gli ha fatto da guida. Per quanto riguarda la nostra lettura tenteremo di ricavare la visione del mondo, lo spirito religioso, le idee politiche, le fissazioni della nostra guida e le metteremo a confronto con quante egli sa, o presume siano, quelle del suo pubblico, che di volta in volta viene assecondato o ammaestrato. Narratore: è la Voce Narrante a cui sono affidate tutte le competenze linguistiche, retoriche, all'architettura stilistiche dell'intreccio, per nonché quelle interessare e connesse incantare il pubblico. Nel nostro caso lo identificherei con la voce in terza persona che ha immortalato situazioni e personaggi, distinguendolo dalla voce in prima persona, che io interpreto come autore modello, che per sé ricava degli spazi limitati nei quali si espone esprimendo valutazioni o dubbi su quanto viene raccontato e raccordi con episodi precedenti o successivi. L'autore empirico Di Erodoto non sappiamo molto: dalla sua opera ricaviamo che era originario di Alicarnasso, che viaggiò molto, in Egitto, a Tiro, in Arabia; che ebbe contatti con un agente di un re scitico; che la sua famiglia aveva una genealogia; in base al riferimento a fatti del 431/30 assumiamo questa data come terminus post quem della morte. La tradizione poi dà per certa la sua presenza ad Atene verso il 445/4, quando gli furono attribuiti onori per le letture pubbliche delle Storie. Dalla tradizione indiretta secondo cui l'autore si definisce non di Alicarnasso, nell'edizione ma delle di Turi, Belles (accolta Lettres) senza forse esitazione deriva la da notizia Legrand della partecipazione di Erodoto alla fondazione di questa colonia nella Magna Grecia, voluta da Pericle nel 444: questo anno fu interpretato come 2 l' di Erodoto, che quindi doveva essere nato verso il 484. Le Storie e l'autore modello; l'ascoltatore modello. Non si può non partire dal proemio delle Storie per indagare sull'identità dell'autore modello: Ἡροδότου Θουρίου ἱστορίης ἀπόδεξις ἥδε, ὡς μήτε τὰ γενόμενα ἐξ ἀνθρώπων τῷ χρόνῳ ἐξίτηλα γένηται, μήτε ἔργα μεγάλα τε καὶ θωμαστά, τὰ μὲν Ἕλλησι, τὰ δὲ βαρβάροισι ἀποδεχθέντα, ἀκλέα γένηται, τά τε ἄλλα καὶ δι' ἣν αἰτίην ἐπολέμησαν ἀλλήλοισι. “Questa è l'esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, affinchè né ciò che è nato dagli uomini con il tempo si disperda, né le opere grandi e mirabili, mostrate sia dai Greci che dai barbari, restino senza gloria, e inoltre anche per quale motivo scoppiò tra loro il conflitto”. Così inizia il testo delle Storie, le , le ricerche, le indagini di Erodoto: così l'autore modello inizia a presentarsi, ma in terza persona: si fa presentare dal narratore. Erodoto vuole farsi ricordare con il suo nome e quello della da cui proviene: si percepisce l'orgoglio dell'individuo che sa di offrire un prodotto di valore e vuole metterci il marchio e di una persona appartenente a un microcosmo particolare che rivendica una dignità pari a tutte le altre della grecità. L'autore modello espone le sue indagini: c'è un che di poliziesco in questa espressione, che dichiara bene lo spirito curioso di sapere, che si era aggirato per l'ecumene, come un tenente Colombo, a caccia di indizi, testimonianze, prove. Segue l'obiettivo, il fine per il quale è stata scritta l'opera: non dimenticare le imprese degli uomini; non parlerà dunque di dei ed eroi, ma il centro del discorso sarà l'uomo, nei suoi momenti di grandezza e debolezza. In più del genere umano due stirpi hanno suscitato il suo interesse: i Greci, naturalmente, e i barbari; non dice i Persiani, non qualifica subito l'altro con un nome proprio, ma con una caratteristica che lo oppone al Greco nel profondo della sua identità. Infine svela compiutamente il piano dell'opera facendo riferimento al conflitto tra questi due popoli. L'autore esporrà la ricerca delle cause della guerra. 3 Quello che l'autore modello non poteva prevedere è che proprio da questo incipit la Storia, quella con la “S” maiuscola, prende il suo nome per sempre: pater historiae sì, ma del tutto ignarus/inconsapevole. Ma a chi era destinata l'opera? Precisiamo nuovamente che si trattava di un pubblico non di lettori, ma di ascoltatori, come voi qui ora a questa conferenza. Possiamo cercare dell'ascoltatore di individuare modello. È sin indubbiamente dall'inizio un greco, l'identità di una delle centinaia di della grecità: del continente, delle isole, dell'Asia Minore o della Magna Grecia e della Sicilia; forse, però, più spesso un greco di Atene; un greco al corrente dei passati conflitti con i Persiani, non così lontani nel tempo da non far parte delle memorie di famiglia; un greco a cui l'autore modello vuole aprire la mente per insegnargli a superare i pregiudizi nei confronti delle altre etnie e a non considerare troppo se stesso, ma solamente come uomo tra gli uomini, come prescrive l'oracolo di Apollo: (“conosci te stesso”, “nulla di troppo”) sono i dettati delfici, dell'oracolo così caro ad Erodoto, autore insieme razionale e pio. La cronologia del contenuto delle Storie. Nelle Storie l'autore approfondisce l'indagine sulla storia che dal suo punto di vista potremmo definire “moderna e contemporanea” del mondo greco e persiano, sul passato più vicino, che precede il presente e lo spiega: sono gli anni dal 560/559, quando iniziarono a regnare Creso sui Lidi e Ciro sui Persiani, fino al 479, anno della presa di Sesto, conclusione della seconda guerra contro i Persiani: su questo albero si innestano infiniti rami, excursus, digressioni, , che si protendono anche in epoche più remote della storia umana, e anche nella storia mitica, fino circa al 1500, l'epoca in cui visse Eracle. Le Storie sono un testo incompiuto: non c'è un epilogo, manca l'ultima mano del unitario, passaggio manca dai nel piano singoli, generale indipendenti, dell'opera un più al testo preciso orientamento tematico: il testo inizia come e finisce come , nella prima parte prevale l'etnografia nella seconda 4 la storiografia. I filologi alessandrini suddivisero il testo in nove libri, nove come le Muse ad ognuna delle quali è dedicato un libro. Il libro sesto Ho scelto di concentrare l'analisi sul sesto dei nove libri: la copertina dell'edizione Lorenzo Valla promette la battaglia di Maratona e presenta il Corridore di Maratona in una stele conservata al Museo Archeologico di Atene. Il libro è dedicato ad Eratò, la musa della poesia d'amore. Si compone di 140 capitoli, che si possono suddividere in sette parti: nei primi trentatré capitoli assistiamo all'epilogo della rivolta ionica trattata nel 5° libro; di seguito compare una digressione su Milziade (capp. 34 – 41); nei capitoli dal 42 al 50 viene descritta la prima spedizione persiana contro la Grecia, comandata da Mardonio, e la richiesta di terra e acqua alle da parte del Gran Re; dal 51 al 93 c'è una lunga digressione su Sparta con le genealogie dei re spartani, considerazioni sulla diarchia, conflitti con Egina ed Argo, le figure esemplari e tragiche di Cleomene e Demarato; dal capitolo 94 al 120 si racconta quella che chiamiamo prima guerra persiana, che ha come episodio più illustre la battaglia di Maratona; dal capitolo 121 al 131 assistiamo alla riabilitazione degli Alcmeonidi; gli ultimi capitoli fino al 140 sono dedicati alla fine di Milziade. Ma prendiamo dunque il sentiero che ci porterà a Maratona, insieme ai nostri compagni di viaggio, la “trinità narrativa”. L'incipit del libro che presentiamo risulta lapidario ed efficace: Ἀρισταγόρης μέν νυν Ἰωνίην ἀποστήσας οὕτω τελευτᾷ. Ἱστιαῖος δὲ ὁ Μιλήτου τύραννος μεμετειμένος ὑπὸ Δαρείου παρῆν ἐς Σάρδις. “Aristagora, che aveva fatto ribellare la Ionia, muore così. Istieo, il tiranno di Mileto, congedato da Dario, giungeva a Sardi.” 5 (Herodotus, Historiae, VI, 1, 1) Il narratore con un presente storico indica la morte di Aristagora, tiranno di Mileto, che aveva condotto la prima fase della rivolta ionica contro la Persia, e segnala con il cambio di tempo verbale il proseguire degli avvenimenti legati ora alla figura di Istieo, l'ambiguo personaggio, il levantino inviso a Erodoto, già tiranno di Mileto, che aveva soggiornato a Susa invitato dal re Dario. La Voce narrante delle Storie si serve anche altrove del presente storico per isolare momenti che devono rimanere ben impressi nella mente del pubblico impegnato nel percorso narrativo. Il Narratore anche in questo episodio asseconda il gusto del pubblico, per esempio popolare: “o servendosi di Istieo, queste su battute proverbiali vicende le cose argute e di stanno così: gusto questo calzare lo cucisti tu, ma lo calzò Aristagora”, dice il satrapo di Sardi Artaferne smascherando il levantino sull'organizzazione della rivolta. Il narratore sa riecheggiare moduli omerici, perché sa che il suo pubblico modello conosce e apprezza e si nutre dell'epica; quando parla della battaglia navale di Lade del 494, la più importante prima di Salamina, tra la flotta di Ioni ed Eoli e quella persiana, l'elenco dei greci è ben scandito e ordinato e ricorda il ben più esteso Catalogo delle navi del secondo libro dell'Iliade: Μετὰ δὲ ταῦτα πεπληρωμένῃσι τῇσι νηυσὶ παρῆσαν οἱ Ἴωνες, σὺν δέ σφι καὶ Αἰολέων οἳ Λέσβον νέμονται. Ἐτάσσοντο δὲ ὧδε. Τὸ μὲν πρὸς τὴν ἠῶ εἶχον κέρας αὐτοὶ Μιλήσιοι, νέας παρεχόμενοι ὀγδώκοντα· εἴχοντο δὲ τούτων Πριηνέες δυώδεκα νηυσὶ καὶ Μυήσιοι τρισὶ νηυσί. Μυησίων δὲ Τήιοι εἴχοντο ἑπτακαίδεκα νηυσί, Τηίων δὲ εἴχοντο Χῖοι ἑκατὸν νηυσί, πρὸς δὲ τούτοισι Ἐρυθραῖοί τε ἐτάσσοντο παρεχόμενοι, Φωκαιέες ἑβδομήκοντα· τελευταῖοι καὶ δὲ Φωκαιέες, τρεῖς. δὲ Φωκαιέων ἐτάσσοντο Ἐρυθραῖοι δὲ ἔχοντες μὲν εἴχοντο τὸ πρὸς ὀκτὼ νέας Λέσβιοι νηυσὶ ἑσπέρην κέρας Σάμιοι ἑξήκοντα νηυσί. Πασέων δὲ τουτέων ὁ σύμπας ἀριθμὸς ἐγένετο τρεῖς καὶ πεντήκοντα καὶ τριηκόσιαι τριήρεες. (Herodotus, Historiae, 6, 8) “E dopo questi avvenimenti si avvicinarono con le navi equipaggiate gli Ioni, e con loro anche degli Eoli quelli che abitano Lesbo. Erano schierati così. L'ala verso oriente l'avevano gli stessi Milesii, con 80 navi; vicini a questi i Prienei con 12 navi e i Miuntei con 3 navi. Vicino ai Miuntei erano i Tei con 17 navi, dopo i Tei i Chioti con 100 6 navi, e dopo questi erano schierati gli Eritrei e i Focesi, gli Eritrei con 8 navi, mentre i Focesi con 3. Ai Focesi poi seguivano i Lesbi con 70 navi; ultimi poi erano schierati nell'ala verso occidente i Sami con 60 navi. Di tutte queste il numero totale fu di 353 triremi”: non si dimentica nessuno e ogni greco di quelle città sarà stato ben contento di essere citato. L'autore modello, inoltre, porta le prove della , l'aver visto con i propri occhi, quando dice che c'è ancora nell' di Samo la stele con i nomi dei Sami che non defezionarono a Lade, nonostante le minacce di schiavitù, evirazione e deportazione da parte degli emissari dei persiani. A Lade vincono i Persiani, che poi procedono alla distruzione di Mileto, come era stato predetto da un oracolo. Ecco come si presenta in questo passo l'alternanza tra la voce narrante in terza persona e quella dell'autore modello in prima persona: l'autore modello rimanda ad altri passi dell'opera, dimostrando di conoscerne bene il piano generale e di voler rinfrescare la memoria degli ascoltatori. Χρεωμένοισι γὰρ Ἀργείοισι ἐν Δελφοῖσι περὶ σωτηρίης τῆς πόλιος τῆς σφετέρης ἐχρήσθη ἐπίκοινον χρηστήριον, τὸ μὲν ἐς αὐτοὺς τοὺς Ἀργείους φέρον, τὴν δὲ παρενθήκην ἔχρησε ἐς Μιλησίους. Τὸ μέν νυν ἐς τοὺς Ἀργείους ἔχον, ἐπεὰν κατὰ τοῦτο γένωμαι τοῦ λόγου, τότε μνησθήσομαι, τὰ δὲ τοῖσι Μιλησίοισι οὐ παρεοῦσι ἔχρησε ἔχει ὧδε. "Καὶ τότε δή, Μίλητε, κακῶν ἐπιμήχανε ἔργων, πολλοῖσιν δεῖπνόν τε καὶ ἀγλαὰ δῶρα γενήσῃ, σαὶ δ' ἄλοχοι πολλοῖσι πόδας νίψουσι κομήταις, νηοῦ δ' ἡμετέρου Διδύμοις ἄλλοισι μελήσει." Τότε δὴ ταῦτα τοὺς Μιλησίους κατελάμβανε, ὅτε γε ἄνδρες μὲν οἱ πλέονες ἐκτείνοντο ὑπὸ τῶν Περσέων ἐόντων κομητέων, γυναῖκες δὲ καὶ τέκνα ἐν ἀνδραπόδων λόγῳ ἐγίνοντο, ἱρὸν δὲ τὸ ἐν Διδύμοισι, ὁ νηός τε καὶ τὸ χρηστήριον, συληθέντα ἐνεπίμπρατο. Τῶν δ' ἐν τῷ ἱρῷ τούτῳ χρημάτων πολλάκις μνήμην ἑτέρωθι τοῦ λόγου ἐποιησάμην. (Herodotus, Historiae, 6, 19) (lettura del cap.19 a due voci) “Infatti agli Argivi che a Delfi chiedevano un responso sulla salvezza della loro città fu dato un oracolo in comune, una parte si riferiva agli stessi Argivi, ma con una aggiunta per i Milesi. Ricorderò la parte 7 che si riferisce agli Argivi quando sarò in quel punto del testo, invece è così quella che fu vaticinata per i Milesi non presenti: Allora, Mileto, macchinatrice di opere malvagie per molti sarai cibo e splendidi doni le tue donne laveranno i piedi a molti dalle lunghe chiome, altri si prenderanno cura del mio tempio a Didime. Allora dunque queste cose toccavano ai Milesi, quando la maggior parte degli uomini venivano uccisi dai Persiani lunghe chiome, e le donne e i bambini diventavano schiavi, e il santuario a Didime, il tempio e l'oracolo venivano saccheggiati e bruciati. Delle ricchezze di questo tempio ho fatto menzione spesso altrove nel testo.“ Nel frattempo Istieo continua quella che ormai sembra una guerra privata con aspetti pirateschi: assale Chio, travolta dalle sventure militari, che si potevano prevedere grazie ai segni inviati dagli dei (un centinaio di giovani coreuti inviati a Delfi muoiono di malattia e un centinaio di scolaretti sono travolti dalla caduta del tetto della scuola); passa a Taso e poi a Lesbo, dove viene catturato dai Persiani, ai quali rivela di essere Istieo di Mileto. Εἰ μέν νυν, ὡς ἐζωγρήθη, ἀνήχθη ἀγόμενος παρὰ βασιλέα Δαρεῖον, ὁ δὲ οὔτ' ἂν ἔπαθε κακὸν οὐδέν, δοκέειν ἐμοί, ἀπῆκέ τ' ἂν αὐτῷ τὴν αἰτίην. Νῦν δέ μιν αὐτῶν τε τούτων εἵνεκα καὶ ἵνα μὴ διαφυγὼν αὖτις μέγας παρὰ βασιλέϊ γένηται, Ἀρταφρένης τε ὁ Σαρδίων ὕπαρχος καὶ ὁ λαβὼν Ἅρπαγος, ὡς ἀπίκετο ἀγόμενος ἐς Σάρδις, τὸ μὲν αὐτοῦ σῶμα αὐτοῦ ταύτῃ ἀνεσταύρωσαν, τὴν δὲ κεφαλὴν ταριχεύσαντες ἀνήνεικαν παρὰ βασιλέα Δαρεῖον ἐς Σοῦσα. Δαρεῖος δὲ πυθόμενος ταῦτα καὶ ἐπαιτιησάμενος τοὺς ταῦτα ποιήσαντας ὅτι μιν οὐ ζώοντα ἀνήγαγον ἐς ὄψιν τὴν ἑωυτοῦ, τὴν κεφαλὴν τὴν Ἱστιαίου λούσαντάς τε καὶ περιστείλαντας εὖ ἐνετείλατο θάψαι ὡς ἀνδρὸς μεγάλως ἑωυτῷ τε καὶ Πέρσῃσι εὐεργέτεω. Τὰ μὲν περὶ Ἱστιαῖον οὕτω ἔσχε. “Se dunque, quando fu catturato, (Istieo) fosse stato portato dal re Dario, non avrebbe patito alcun male, credo, e Dario lo avrebbe discolpato. Ma ora a causa di queste stesse cose e perché non diventasse nuovamente importante presso il re, il satrapo di Sardi Artaferne e Arpago, che lo aveva catturato, quando giunse in catene a Sardi, lì impalarono il suo corpo e, dopo averla imbalsamata, inviarono la testa al re Dario a Susa. E Dario, sapute queste cose e rimproverati quelli 8 che le avevano compiute perchè non glielo avevano portato vivo, fatta lavare la testa di Istieo e preparata per la sepoltura, ordinò di seppellirla come quella di un grande benefattore di lui e dei Persiani.” (Herodotus, Historiae, 6, 30) (lettura a due voci di 30,1). L'autore modello sa riconoscere anche nel Gran Re Persiano saggezza e virtù, come del resto anche Eschilo nel Dario della tragedia “I Persiani”; dimostra, quindi, ampiezza di vedute e offre una prospettiva di interpretazione a cui indirizza l'ascoltatore modello. Un riferimento alla conquista persiana del Chersoneso dove fino ad allora era tiranno Milziade, figlio di Cimone, figlio di Stesagora, fa aprire la lunga deviazione dal percorso principale sulla storia del noto ateniese e della sua famiglia, i Filaidi. Vista la dignità del personaggio, se ne fa l'albero genealogico fino al capostipite Aiace (quanto piaceva al pubblico greco farsi glorificare!). Gli interessi che questa famiglia ebbe nel Chersoneso risalivano all'epoca di Pisistrato, quando un omonimo Milziade figlio di Cipselo olimpionico con la quadriga (e gli avuto ascoltatori l'occasione, modello erano degli appassionati grazie all'ospitalità offerta sportivi) a un aveva gruppo di stranieri armati che passavano per Atene, di diventare il loro ecista nella terra da cui rischiavano di essere cacciati. Morto questo Stesagora, pritaneo. il Milziade quale Allora da il potere morirà Atene colpito i del Chersoneso dalla Pisitratidi scure inviano passa di un Milziade al nipote nemico figlio nel di Cimone (il futuro stratega di Maratona) a rilevare la tirannia: Milziade si impone con la forza e sposa Egesipile, figlia del re dei Traci. Ma anche questo Milziade non ha vita facile nel Chersoneso, anzi preferisce fuggire di fronte ad un'invasione degli Sciti, ma poi vi ritorna e la digressione ad anello si chiude e si ritorna al percorso cronologico. In quell'anno, il 493, i Persiani non procedono con le operazioni militari, ma preferiscono dare un assetto più stabile alla Ionia, sia dal punto di vista politico che tributario. Erodoto autore modello ha l'occasione di sfoderare la sua conoscenza del sistema metrico persiano e di confrontarlo con quello greco. Sembra una materia piuttosto arida, ma il pubblico ateniese era assai interessato al sistema dei tributi, 9 negli anni della lega delio – attica, che succhiava il sangue degli alleati per finanziare la democrazia ateniese. Ma proseguiamo. I Persiani non dimenticano l'onta subita da Atene ed Eretria e già a primavera (siamo nel 492) un esercito e una flotta barbara ripartono dall'Asia Minore, al comando di Mardonio, il giovane genero di Dario, pieno di belle speranze e di . Mardonio nella Ionia depone i tiranni e istituisce democrazie ed Erodoto polemizza contro i Greci che non gli avevano creduto a proposito del discorso del persiano Otane sulla necessità della democrazia in Persia. Forse qui si fa un riferimento a dibattiti tra autore e pubblico dopo le letture, sugli argomenti più scottanti, che avevano suscitato interesse e posizioni diverse. La spedizione non è destinata ad avere successo e, giunta presso il monte Athos, la flotta viene distrutta dal vento di borea che soffia violento; ventimila uomini muoiono dilaniati dagli squali, scaraventati sulle rocce, annegati o di freddo: il pubblico modello, che aveva pratica del mare e ben sapeva nuotare, si sarà compiaciuto di questo disastro e poi c'è sempre una componente psicologica di sollievo a sentire raccontare disgrazie altrui. L'anno successivo sembra che i Persiani vogliano valutare bene l'atteggiamento nei loro confronti delle singole e inviano ambascerie a chiedere “terra e acqua per il re”; altre ne mandano dai loro tributari per la fornitura di navi da guerra. Anche gli abitanti di Egina, isola da sempre nelle mire degli Ateniesi, accolgono le richieste dei Persiani e gli Ateniesi subito si recano a Sparta per denunciare il tradimento. Così siamo giunti anche a Sparta e qui si innesta un'altra storia.. Si mette subito in evidenza il personaggio di Cleomene col suo imponente patronimico, figlio di Anassandrida, uno dei due re della città lacedemone, che di propria iniziativa, forse convinto dal denaro degli Ateniesi, parte per una spedizione punitiva contro i colpevoli egineti. Ma ad Egina il suo intervento è ostacolato da un certo Kriòs/ Montone, che si merita la seguente risposta da parte di Cleomene, risposta che 10 mette in luce la passione diffusa per i giochi di parole e le false etimologie: Ὁ δὲ Κλεομένης πρὸς αὐτὸν ἔφη· "Ἤδη νῦν καταχαλκοῦ, ὦ κριέ, τὰ κέρεα, ὡς συνοισόμενος μεγάλῳ κακῷ." (Herodotus, Historiae, 6, 50) ”Montone, fodera fin d'ora di bronzo le corna, perché dovrai cozzare contro un grande malanno”. Ora dovremo allungare il nostro cammino con una digressione sulla diarchia spartana. Risalendo nelle genealogie si giunge ai figli gemelli di Aristodemo, che ebbero entrambi il titolo di re, anche su suggerimento della Pizia, purché il più anziano avesse più onori: con Euristene le dinastie spartane degli Agiadi e degli e Procle iniziano Euripontidi, sempre in discordia tra loro. Questo dicono i Lacedemoni. Ma nei capitoli 53, 54, 55 la voce dell'autore si fa nuovamente sentire per rendere note versioni alternative dei Greci e dei Persiani sulle genealogie spartane. Erodoto fa un'affermazione di grande interesse per noi, che dimostra la composizione per iscritto dell'opera, l'autore modello è uno scrittore: “io scrivo queste cose secondo quanto detto dai Greci”. Chi volesse spingersi più in là di quanto riportano i Lacedemoni e seguire un'altra tradizione troverebbe come antenato Perseo figlio di un dio e di Danae, discendente dagli Egizi: i greci Dori discendenti degli Egizi? Per non dire anche quanto sostengono i Persiani, che gli antenati di Perseo, e dunque egli stesso, fossero assiri. Immaginiamo che il pubblico greco abbia cominciato ad agitarsi, gli Ateniesi a sogghignare: si stanno insinuando dei dubbi sulla grecità degli Spartani? che non siano proprio greci doc come gli Ateniesi? non sembra che Erodoto abbia simpatia per gli Spartani; come si può notare più volte in questo libro il punto di vista ateniese prevale. Ma Erodoto conclude così questa parte: Καὶ ταῦτα μέν νυν περὶ τούτων εἰρήσθω· ὅ τι δέ, ἐόντες Αἰγύπτιοι, καὶ ὅ τι ἀποδεξάμενοι 11 ἔλαβον τὰς Δωριέων βασιληίας, ἄλλοισι γὰρ περὶ αὐτῶν εἴρηται, ἐάσομεν αὐτά· τὰ δὲ ἄλλοι οὐ κατελάβοντο, τούτων μνήμην ποιήσομαι. (Herodotus, Historiae, 6, 55)(lettura del 55)“e questo sia detto riguardo ciò; perchè o cosa mai avendo compiuto, essi che erano Egizi, presero il potere regale tra i Dori lo tralasceremo, infatti riguardo a quelle cose Si tratta altri hanno detto; ricorderò ciò che altri non raccolsero”. di un'indicazione metodologica di Erodoto: è interessante notare che il rapporto con la storiografia precedente e contemporanea prevede per Erodoto un'integrazione di ciò che manca, un'aggiunta di voci enciclopediche ad altre, non una riscrittura che interpreti testi di altri. Si riprende il cammino con le vicende di Cleomene e Demarato Demarato dunque calunniò Cleomene per invidia e gelosia: la calunnia espressa nel 51° capitolo prima della digressione all'imperfetto è durata quanto la digressione, fino al 61° capitolo; con il passaggio all'aoristo il narratore si riprende il racconto. Cleomene tornato in patria da Egina vorrebbe liberarsi del rivale, facendo appello ai dubbi che circolavano sulle sue origini: ricordiamo che il l'individuazione fondamentale per la di madre concessione e padre della nell'Atene cittadinanza, di Pericle dunque era era un argomento di attualità, che coinvolgeva gli ascoltatori. Il narratore ha ora l'occasione di esibirsi nel piacevole racconto una bella fiaba (capp.61, 62, 63), arte di cui è maestro, che ha per protagonista una donna divenuta da bruttissima bellissima per intervento divino, sposa di un amico del re Aristone, il quale, non avendo avuto figli dalle precedenti mogli, si innamora della bella donna e con un inganno riesce a strapparla all'amico. Dopo dieci mesi nasce un figlio, Demarato appunto, sulla cui paternità Aristone esprime dei dubbi davanti agli efori. Ciò nonostante alla morte di Aristone Demarato diviene re. Cleomene dunque si accorda con Leotichida, un parente di Demarato, per farlo diventare re al suo posto. Leotichida divenuto re di Sparta non rinuncia ad offendere e deridere Demarato, che, per avere l'ultima parola sulle sue origini, si rivolge alla madre. Egli le chiede la verità sulle voci che circolavano, se si 12 fosse sposata con Aristone già incinta o se avesse avuto rapporti con l'asinaio. La madre sostiene di aver avuto un rapporto con un fantasma dall'aspetto di Aristone, rivelatosi essere una divinità: o lui era figlio del dio oppure di Aristone. La voce narrante riconosciuto sa bene chiaramente una quali tasti variante toccare: del mito il di pubblico Alcmena, avrà Zeus e Anfitrione, adattata alla maldicenza greca secondo cui le donne spartane avevano fama di donne dai facili costumi. Demarato dice di voler interrogare l'oracolo di Delfi e si allontana da Sparta: i Lacedemoni sospettano la fuga e infatti Demarato si reca in Persia, lui, unico tra i re di Sparta ad aver fatto ciò, dopo essersi impegnato per la sua città e aver addirittura vinto un'Olimpiade con la quadriga. Talvolta sembra che vincere una gara olimpica sia la cosa più importante per questi greci! (del resto lo conferma anche la priamel con cui inizia la prima olimpica di Pindaro: “ottima l'acqua, l'oro fuoco acceso sfolgora.., ma se, mio cuore, aneli a cantare i premi, non cercare astro più caldo del sole.., né celebriamo un agone migliore di Olimpia..”). Anche Leotichida non fu a lungo re: scoperto mentre veniva corrotto durante una campagna contro i Tessali, se ne andò in esilio, dove morì, nel 469, come sappiamo. Ma questo accadde dopo. Abbiamo avuto dunque un caso di prolessi, tanta è la riluttanza del narratore ad abbandonare sentieri che gli sembrano interessanti. Anche il racconto della morte di Cleomene, che avvenne nel 488, dopo Maratona, è anticipata. A Sparta avviene la sua tragica fine. Cleomene impazzisce e viene legato a un ceppo: con minacce convince il suo custode, un ilota, a consegnargli il coltello, con il quale procede a sezionarsi il corpo dalle gambe fino al ventre: così muore per i suoi atti empi, a seconda delle tradizioni nei confronti della Pizia, o delle due dee di Eleusi, o del bosco sacro di Argo. Dopo il racconto del suicidio di Cleomene si torna indietro nel tempo per raccontare nei dettagli la sua impresa contro Argo e poi si ritorna ai casi di Egina. Le vicende di Egina comprendono anche un episodio di guerra civile, tra 13 benestanti e popolo, durante il quale viene compiuto un atto empio e atroce: a un popolano che voleva rifugiarsi nel tempio di Demetra Tesmofora e che si teneva stretto alle maniglie della porta vengono tagliate le mani, che rimangono attaccate sulle maniglie. Ma con il capitolo 94 inizia la parte più attesa dal pubblico e anche da noi e con un sincronismo narrativo si ritorna ai Persiani: [94] Ἀθηναίοισι μὲν δὴ πόλεμος συνῆπτο πρὸς Αἰγινήτας, ὁ δὲ Πέρσης τὸ ἑωυτοῦ ἐποίεε, ὥστε ἀναμιμνήσκοντός τε αἰεὶ τοῦ θεράποντος μεμνῆσθαί μιν τῶν Ἀθηναίων καὶ Πεισιστρατιδέων προσκατημένων καὶ διαβαλλόντων Ἀθηναίους, ἅμα δὲ βουλόμενος ὁ Δαρεῖος ταύτης ἐχόμενος τῆς προφάσιος καταστρέφεσθαι τῆς Ἑλλάδος τοὺς μὴ δόντας αὐτῷ γῆν τε καὶ ὕδωρ. “gli Ateniesi erano in guerra con gli Egineti e intanto il Persiano metteva in atto il suo progetto, poiché il servo non cessava di ricordargli di ricordarsi degli Ateniesi e i Pisistratidi gli stavano vicino e accusavano gli Ateniesi, mentre allo stesso tempo Dario, cogliendo questo pretesto, voleva sottomettere quei Greci che non gli avevano concesso terra e acqua”. Esonerato Mardonio, Dario ordina a Dati e ad Artaferne di portargli schiave le popolazioni di Atene ed Eretria. L'esercito persiano viene imbarcato sulla flotta dei tributari dei Persiani in Cilicia e da là di isola in isola attraversa l'Egeo. La prima tappa è Nasso, che viene saccheggiata e bruciata, mentre gli abitanti che non si erano rifugiati sui monti sono resi schiavi. Invece l'isola di Delo i cui abitanti erano fuggiti, viene risparmiata e anzi Dati offre trecento talenti di incenso da bruciare sugli altari. Quindi la flotta persiana veleggia verso Eretria. Nel capitolo 98 si fa riferimento a un terribile terremoto che sconvolse Delo, a monito delle disgrazie successive; ed Erodoto autore modello si sofferma sulle sciagure che la Grecia dovette in seguito patire, sia a causa dei re persiani che portarono guerra contro la Grecia, sia a causa dei capi che combattevano per il potere. L'autore individua nel tempo in cui vissero Dario, Serse e Artaserse, morto nel 424, gli anni peggiori per la Grecia a causa dei conflitti delle guerre persiane e della guerra del Peloponneso. 14 Gli ascoltatori delle Storie, pubblicate integralmente dopo il 414, non potevano che confermare, attoniti. Giunti nell'Eubea i Persiani dapprima sottomettono la città di Caristo e poi si rivolgono ad Eretria. Dopo sette giorni di assedio la città cade: i Persiani saccheggiano e incendiano i santuari per vendicare le stesse azioni commesse a Sardi; rendono schiavi gli uomini. Poco combattivi gli Eretriesi secondo il Temistocle di Plutarco: “facevano come il calamaro, simbolo delle loro monete, che pur avendo all'interno un'armatura cartilaginea detta ,(spada) non la estrae mai”. Da lì Ippia li conduce verso l'Attica, a Maratona (letteralmente “la piana dei finocchi”, in ricordo della quale secondo Ateneo gli Ateniesi aggiungevano finocchio alle olive in salamoia), luogo adatto alle manovre della cavalleria. Da Atene parte l'esercito guidato dai dieci strateghi, decimo Milziade, figlio di Cimone. La figura di Cimone permette al narratore di costruire un indugio narrativo sulle sue vittorie olimpiche e sulla sua sepoltura assieme alle tre cavalle che vinsero con lui le Olimpiadi. Siamo finalmente arrivati a Maratona e il narratore ancora ci trattiene: cresce la suspance, e ancora non basta. Si riprende il filo narrativo legato a Milziade, interrotto al capitolo 41, con le sue vicende nel Chersoneso, da dove era fuggito per giungere ad Atene dove viene eletto stratega. Ma l'attesa legata alla battaglia di Maratona è ancora prolungata da un racconto il cui protagonista è l'emerodromo Fidippide, inviato a Sparta a chiedere aiuto: nella sua corsa incontra anche Pan, che si lamenta del fatto che gli Ateniesi non si curavano di lui. Il discorso di Fidippide ai Lacedemoni è un piccolo capolavoro retorico: l'ateniese collega la necessità di aiutare la sua città all'importanza che le deriva dall'antichità tra le città greche e si conclude con un appello alla grecità, all'Ellade tutta contrapposta ai barbari. I Lacedemoni, però, non possono partire subito con l'esercito perché una legge impediva loro di iniziare una campagna militare prima del plenilunio. 15 Ancora si sottolinea l'incertezza dei Greci di fronte alla prontezza persiana, passando poi omericamente ad occuparsi del fronte opposto. Mentre costoro attendevano il plenilunio Ippia figlio di Pisistrato guidava i barbari verso Maratona. Ancora sogni e fatti strani: Ippia sogna di unirsi alla madre e interpreta a suo favore questo presagio; ma subito dopo, sbarcato a Maratona, la caduta di un dente che non riesce più a trovare gli fa capire che l'Attica non è destinata né a lui né ai Persiani. Il narratore passa da un campo all'altro e assistiamo all'arrivo dei Plateesi, dei quali si racconta in un flashback come si erano consegnati agli Ateniesi, con tutti i crismi di una importante cerimonia religiosa. E finalmente ecco la battaglia: non tutti gli strateghi sono per attaccare e Milziade, per conquistare il voto del polemarco Callimaco di Afidna, sorteggiato con la fava, gli rivolge un discorso esemplare, nel quale la scelta tra libertà e schiavitù è presentata come urgente, prima che nasca qualcosa di marcio e che qualcuno medizzi: in cambio si promette una gloria maggiore di Armodio e Aristogitone. [109] ... "Ἐν σοὶ νῦν, Καλλίμαχέ, ἐστι ἢ καταδουλῶσαι Ἀθήνας ἢ ἐλευθέρας ποιήσαντα μνημόσυνον λιπέσθαι ἐς τὸν ἅπαντα ἀνθρώπων βίον οἷον οὐδὲ Ἁρμόδιός τε καὶ Ἀριστογείτων [λείπουσι]... “Callimaco, rendendola uomini, tu hai libera, quale ora di neppure la possibilità lasciare un Armodio e di rendere ricordo, Atene finchè Aristogitone hanno schiava o, esisteranno gli lasciato. Ora infatti gli Ateniesi corrono il pericolo più grande da quando ebbero origine e, se si sottomettono ai Medi, è già stato deciso quello che dovranno soffrire una volta consegnati a Ippia; se invece questa città ha la meglio, può diventare la prima della città greche. E come questo è possibile che si realizzi e che a te tocchi la decisione sovrana di queste scelte, ora te lo vado a spiegare. Le opinioni di noi strateghi, che siamo dieci, sono divise, poiché gli uni invitano a combattere, gli altri no. Ora, se non combattiamo, mi aspetto che una grande discordia si abbatta sui pensieri degli Ateniesi e li sconvolga, così da spingerli dalla parte dei Medi. Se invece attacchiamo prima che qualcosa di marcio nasca fra gli Ateniesi, se gli dei restano imparziali, possiamo vincere 16 il combattimento. Ora dunque tutto questo sta a te e da te dipende: se ti unisci al mio parere, hai la patria libera e la città prima tra quelle della Grecia; se invece scegli l'opinione di coloro che sconsigliano la battaglia, ti toccherà il contrario dei beni che ho elencato”. Questo discorso è un esempio di drammatizzazione della storia che poteva piacere a un pubblico abituato al teatro; si ripropone il momento culminante della scelta tragica su “che fare?” che Milziade abilmente fa cadere tutta sul polemarco, che finisce per dargli il voto che permette la battaglia. Quando arriva il turno di comando a Milziade, ormai leader indiscusso, l'esercito viene schierato secondo le tribù, ultimi i Plateesi: come i nemici anche i Greci hanno un corpo centrale piuttosto esiguo e le ali numericamente forti. La battaglia avvenne nel mese di Boedromione (tra settembre e ottobre), nel primo giorno dopo il plenilunio: la deduzione deriva dal fatto che da un lato si dice che gli Spartani arrivarono a Maratona due o tre giorni dopo la battaglia in tempo per vedere i nemici insepolti; dall'altro la falce di luna calante presente nel tetradramma ateniese sopra la civetta dovrebbe ricordare proprio la data della battaglia. Dopo i sacrifici di rito, gli opliti si lanciano in una corsa di otto stadi, circa un miglio, per scontrarsi con il barbaro (l'università della Pennsylvania ha dimostrato che è impossibile che un uomo con armatura pesante proceda di corsa per più di un minuto, ma questi erano i maratonomachi!), Ateniesi; non ma hanno né cavalieri combatterono fa loro paura. Dapprima i arcieri, in “”. non né Persiani pazzi modo memorabile L'abbigliamento prevalgono questi al dei centro Medi dello schieramento, ma poi le ali riunitesi dei Greci si riversano sul nemico, che soccombe o tenta la fuga verso le navi. Segue l'elenco dei morti illustri: il polemarco, lo stratega Stesileo e Cinegiro (fratello di Eschilo), al quale era stata mozzata una mano mentre si attaccava agli aplustri di una nave persiana (è da notare il maggior rilievo dato alla morte del polemarco e di Cinegiro grazie 17 all'uso del presente storico). I nemici che riescono salvarsi sulle navi veleggiano alla volta del capo Sunio, per raggiungere Atene dal mare, qualche mala lingua dice su suggerimento degli Alcmeonidi. Ma gli opliti velocemente tornano verso la città e si fanno vedere schierati, dissuadendo i nemici dal proseguire l'azione. È l'ora della conta dei morti: seimilaquattrocento barbari e 192 ateniesi: già, queste sembrano cifre sproporzionate, ma tutto sommato potrebbero essere armamento; certo verosimile che con il tenendo passare conto del della tempo il differenza numero dei di morti barbari aumenta fino ai cinquecentomila di Platone e alle incalcolabili miriadi di Ateneo. Un prodigio conclude l'episodio: un soldato rimasto privo della vista pur senza essere rimasto colpito ricorderà sempre l'apparizione di un fantasma di un gigantesco oplita che lo trascurò per uccidere il suo compagno vicino. Il narratore rivolge quindi lo sguardo ai Persiani di ritorno in Asia. Dati ha un sogno ammonitore e fa restituire ai Deli una statua rubata dai marinai velocemente fenici fino a in Susa, un santuario. dove Dario Il visti trasferimento gli ci Eretriesi porta divenuti schiavi, li fa stanziare in un suo dominio nella regione mineraria della Cissia, dove continueranno a parlare il greco fino ai tempi dell'autore (i Greci non rinunciano alla loro identità nemmeno in terre così lontane). Di nuovo in Grecia: assistiamo all'arrivo degli Spartani nell'Attica, tre giorni dopo il plenilunio: a Maratona contemplano i cadaveri dei nemici, lodano gli Ateniesi e se ne tornano in Laconia. Ancora una volta gli Spartani non fanno una bella figura, e vengono liquidati in poche parole, laconicamente. Terminata la tensione della battaglia, ora l'autore Erodoto sente l'esigenza di difendere a spada tratta gli Alcmeonidi dall'accusa di aver fatto segnali, sollevando uno scudo, ai Persiani per facilitare la presa della città. C'è una certa ansia nello scagionare gli Alcmeonidi dal tradimento della patria: certo non furono loro, eppure uno scudo fu 18 sollevato... Per riabilitare questa famiglia definitivamente il narratore torna indietro nel tempo, quando era re della Lidia Creso, che per ricambiare l'ospitalità ricevuta ad Atene invitò a Sardi Alcmeone e gli regala tanto oro quanto ne poteva portare con il corpo in una sola volta: Alcmeone indossa un chitone e coturni oversize che riempie di oro dal tesoro di Creso, ma non solo, anche bocca, capelli e tutto quanto; quando Creso lo vede ride a crepapelle (l'ultima risata delle Storie, sic) e gliene dona altrettanto. Così la famiglia di Alcmeone cominciò ad arricchirsi, acquistò cavalli e vinse Olimpiadi. Ma la consacrazione definitiva le venne da un matrimonio tra Megacle figlio di Alcmeone e Agariste figlia di Clistene, il tiranno di Sicione. Clistene, anche lui olimpionico, vuole avere il migliore di tutti i Greci come genero e indice una gara per scegliere il marito della figlia: per un anno trattiene a Sicione tutti i pretendenti che si erano presentati, tra i quali due ateniesi, Megacle appunto e un certo Ippoclide, bello e ricco. Si arriva così al giorno stabilito per le nozze e sembra che Ippoclide abbia più chances. Ma durante il banchetto scorre il vino e Ippoclide si mette a danzare al suono del flauto, prima danze laconiche, poi attiche, poi addirittura su un tavolo a testa in giù gesticola con le gambe; Clistene non si trattiene “O figlio di Tisandro, con la danza ti sei giocato il matrimonio” “Per Ippoclide proverbiale di Ippoclide. Così Agariste non è toccò la a è un risposta Megacle. problema” divenuta Da questa unione nacque quel Clistene che riformò le istituzioni ateniesi in senso democratico; nacque anche un'altra Agariste che, sposatasi con Santippo, rimasta incinta, sognò di partorire un leone.. e nacque Pericle. Gli Alcmeonidi sono salvi. Si ritorna, quindi, a Milziade, esponente della famiglia non altrettanto fortunata dei Filaidi. Dopo Maratona la sua fama è alle stelle e può chiedere ciò che vuole alla polis: chiede di avere settanta navi con le quali si dirige a Paro con il pretesto che i Parii avevano aiutato i Persiani. Ma a Paro, mentre tenta empiamente di entrare in un tempio di Demetra e Persefone, si ferisce ad una gamba. Rientrato ad Atene viene accusato di aver ingannato gli Ateniesi e subisce un processo nel quale 19 non può difendersi di persona a causa della gamba ormai in cancrena. Lo difendono gli amici ricordando la vittoria di Maratona e la presa di Lemno; il popolo è dalla sua parte, si salva dalla condanna a morte, ma finisce i suoi giorni in seguito al peggioramento della cancrena fino alla decomposizione della gamba. Ora si apre l'ultimo anello del sesto libro, con vicende anteriori che risalgono alla preistoria. L'autore fa un interessante confronto tra la versione di Ecateo e quella degli Ateniesi a proposito della cacciata giusta o ingiusta dei Pelasgi dall'Attica (ingiusta secondo Ecateo figlio di Egesandro, nei suoi Logoi: un omaggio di Erodoto al suo più illustre predecessore). Ritornando alla Storia, Erodoto alla fine del sesto libro racconta come Milziade aveva conquistato Lemno, lasciando di sé un ricordo onorevole. E noi possiamo uscire dal bosco erodoteo dove, in vostra compagnia,è stato anche bello perdersi. Bibliografia: Erodoto, Le Storie (libro I, La Lidia e la Persia, a cura di David Asheri), Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondadori Editore; Erodoto, Le Storie (libro VI, La battaglia di Maratona, a cura di Giuseppe Nenci), Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore; Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 1995. Beatrice Rigatti 20