Il sentiero erodoteo verso Maratona

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Il sentiero erodoteo verso Maratona
(di Beatrice Rigatti)
Premessa: vorrei proporre una lettura del sesto libro delle Storie di
Erodoto parzialmente filtrata attraverso un testo che mi ha dato utili
indicazioni metodologiche: mi riferisco alle Sei passeggiate nei boschi
narrativi di Umberto Eco, forse un titolo ormai datato, è del 1995, ma
ricco di spunti per un'insegnante il cui compito principale è condurre
gli allievi attraverso testi che non sempre sono “passeggiate”.
Mi servirò dunque di alcune categorie interpretative che Eco applica per
lo più al genere del romanzo, ma che secondo me aiutano a chiarire anche
una narrazione come quella erodotea, che del romanzo ha il fascino e la
complessità.
Glossario
Autore empirico: è la persona realmente vissuta, di cui conosciamo con
più o meno dettagli la biografia, che ha effettivamente prodotto il
testo di cui ci occupiamo; dell'autore empirico a Eco “importa assai
poco”. E noi brevemente lo liquideremo.
Lettore
empirico:
destinati
dell'opera
Eco
parla
di
lettore
solamente
alla
lettura,
erodotea
sono
stati
ma
empirico,
noi
sappiamo
inizialmente
degli
pensando
che
i
a
testi
fruitori
ascoltatori
che
assistevano a letture pubbliche fino a diventare ai nostri giorni anche
ragazzi che si confrontano con Erodoto nei compiti in classe. E anche di
questa categoria non ci occuperemo granché..
Invece gli elementi più interessanti, “le tre persone della trinità
narrativa”, come dice Eco, sono l'Autore modello, il Narratore e il
Lettore modello. “Autore e lettore modello sono due immagini che si
definiscono reciprocamente solo nel corso e alla fine della lettura”. Il
lettore modello è un “lettore-tipo che il testo non solo prevede come
collaboratore, ma anche cerca di creare”. Nel nostro caso parleremo di
ascoltatore o di pubblico modello, pensando al contesto originale della
fruizione dell'opera erodotea.
1
Per quanto riguarda l'autore modello, esso è, dice Eco, la “voce che
parla affettuosamente (o imperiosamente, o subdolamente) con noi, che ci
vuole al proprio fianco, e questa voce si manifesta come una strategia
narrativa, come insieme di istruzioni che ci vengono impartite... e a
cui
dobbiamo
ubbidire
quando
decidiamo
di
comportarci
come
lettore
modello”. Io direi che l'autore modello è l'immagine che chi è entrato
nel bosco narrativo ha, alla fine del percorso, di chi gli ha fatto da
guida.
Per quanto riguarda la nostra lettura tenteremo di ricavare la visione
del mondo, lo spirito religioso, le idee politiche, le fissazioni della
nostra guida e le metteremo a confronto con quante egli sa, o presume
siano, quelle del suo pubblico, che di volta in volta viene assecondato
o ammaestrato.
Narratore: è la Voce Narrante a cui sono affidate tutte le competenze
linguistiche,
retoriche,
all'architettura
stilistiche
dell'intreccio,
per
nonché
quelle
interessare
e
connesse
incantare
il
pubblico. Nel nostro caso lo identificherei con la voce in terza persona
che ha immortalato situazioni e personaggi, distinguendolo dalla voce in
prima persona, che io interpreto come autore modello, che per sé ricava
degli spazi limitati nei quali si espone esprimendo valutazioni o dubbi
su
quanto
viene
raccontato
e
raccordi
con
episodi
precedenti
o
successivi.
L'autore empirico
Di
Erodoto
non
sappiamo
molto:
dalla
sua
opera
ricaviamo
che
era
originario di Alicarnasso, che viaggiò molto, in Egitto, a Tiro, in
Arabia; che ebbe contatti con un agente di un re scitico; che la sua
famiglia aveva una genealogia; in base al riferimento a fatti del 431/30
assumiamo questa data come terminus post quem della morte.
La tradizione poi dà per certa la sua presenza ad Atene verso il 445/4,
quando
gli
furono
attribuiti
onori
per
le
letture
pubbliche
delle
Storie. Dalla tradizione indiretta secondo cui l'autore si definisce non
di
Alicarnasso,
nell'edizione
ma
delle
di
Turi,
Belles
(accolta
Lettres)
senza
forse
esitazione
deriva
la
da
notizia
Legrand
della
partecipazione di Erodoto alla fondazione di questa colonia nella Magna
Grecia, voluta da Pericle nel 444: questo anno fu interpretato come
2
l' di Erodoto, che quindi doveva essere nato verso il 484.
Le Storie e l'autore modello; l'ascoltatore modello.
Non
si
può
non
partire
dal
proemio
delle
Storie
per
indagare
sull'identità dell'autore modello:
Ἡροδότου Θουρίου ἱστορίης ἀπόδεξις ἥδε, ὡς μήτε τὰ γενόμενα ἐξ ἀνθρώπων
τῷ
χρόνῳ
ἐξίτηλα
γένηται,
μήτε
ἔργα
μεγάλα
τε
καὶ
θωμαστά,
τὰ
μὲν
Ἕλλησι, τὰ δὲ βαρβάροισι ἀποδεχθέντα, ἀκλέα γένηται, τά τε ἄλλα καὶ δι'
ἣν αἰτίην ἐπολέμησαν ἀλλήλοισι.
“Questa
è
l'esposizione
della
ricerca
di
Erodoto
di
Alicarnasso,
affinchè né ciò che è nato dagli uomini con il tempo si disperda, né le
opere grandi e mirabili, mostrate sia dai Greci che dai barbari, restino
senza gloria, e inoltre anche per quale motivo scoppiò tra loro il
conflitto”.
Così inizia il testo delle Storie, le , le ricerche, le
indagini di Erodoto: così l'autore modello inizia a presentarsi, ma in
terza persona: si fa presentare dal narratore.
Erodoto vuole farsi ricordare con il suo nome e quello della 
da
cui
proviene:
si
percepisce
l'orgoglio
dell'individuo
che
sa
di
offrire un prodotto di valore e vuole metterci il marchio e di una
persona
appartenente
a
un
microcosmo
particolare
che
rivendica
una
dignità pari a tutte le altre  della grecità.
L'autore modello espone le sue indagini: c'è un che di poliziesco in
questa espressione, che dichiara bene lo spirito curioso di sapere, che
si era aggirato per l'ecumene, come un tenente Colombo, a caccia di
indizi, testimonianze, prove.
Segue l'obiettivo, il fine per il quale è stata scritta l'opera: non
dimenticare le imprese degli uomini; non parlerà dunque di dei ed eroi,
ma il centro del discorso sarà l'uomo, nei suoi momenti di grandezza e
debolezza. In più del genere umano due stirpi hanno suscitato il suo
interesse: i Greci, naturalmente, e i barbari; non dice i Persiani, non
qualifica subito l'altro con un nome proprio, ma con una caratteristica
che lo oppone al Greco nel profondo della sua identità.
Infine svela compiutamente il piano dell'opera facendo riferimento al
conflitto tra questi due popoli. L'autore esporrà la ricerca delle cause
della guerra.
3
Quello che l'autore modello non poteva prevedere è che proprio da questo
incipit la Storia, quella con la “S” maiuscola, prende il suo nome per
sempre: pater historiae sì, ma del tutto ignarus/inconsapevole.
Ma a chi era destinata l'opera? Precisiamo nuovamente che si trattava di
un pubblico non di lettori, ma di ascoltatori, come voi qui ora a questa
conferenza.
Possiamo
cercare
dell'ascoltatore
di
individuare
modello.
È
sin
indubbiamente
dall'inizio
un
greco,
l'identità
di
una
delle
centinaia di  della grecità: del continente, delle isole,
dell'Asia Minore o della Magna Grecia e della Sicilia; forse, però, più
spesso un greco di Atene; un greco al corrente dei passati conflitti con
i Persiani, non così lontani nel tempo
da non far parte delle memorie
di famiglia; un greco a cui l'autore modello vuole aprire la mente per
insegnargli a superare i pregiudizi nei confronti delle altre etnie e a
non considerare troppo se stesso, ma solamente come uomo tra gli uomini,
come
prescrive
l'oracolo
di
Apollo:
(“conosci
te
stesso”,
“nulla di troppo”) sono i dettati delfici, dell'oracolo così caro ad
Erodoto, autore insieme razionale e pio.
La cronologia del contenuto delle Storie.
Nelle Storie l'autore approfondisce l'indagine sulla storia che dal suo
punto di vista potremmo definire “moderna e contemporanea” del mondo
greco e persiano, sul passato più vicino, che precede il presente e lo
spiega: sono gli anni dal 560/559, quando iniziarono a regnare Creso sui
Lidi e Ciro sui Persiani, fino al 479, anno della presa di Sesto,
conclusione della seconda guerra contro i Persiani: su questo albero si
innestano
infiniti
rami,
excursus,
digressioni,
, che si protendono anche in epoche
più remote della storia umana, e anche nella storia mitica, fino circa
al 1500, l'epoca in cui visse Eracle.
Le Storie sono un testo incompiuto: non c'è un epilogo, manca l'ultima
mano
del
unitario,
passaggio
manca
dai
nel

piano
singoli,
generale
indipendenti,
dell'opera
un
più
al
testo
preciso
orientamento tematico: il testo inizia come  e finisce come
, nella prima parte prevale l'etnografia nella seconda
4
la storiografia.
I filologi alessandrini suddivisero il testo in nove libri, nove come le
Muse ad ognuna delle quali è dedicato un libro.
Il libro sesto
Ho
scelto
di
concentrare
l'analisi
sul
sesto
dei
nove
libri:
la
copertina dell'edizione Lorenzo Valla promette la battaglia di Maratona
e presenta il Corridore di Maratona in una stele conservata al Museo
Archeologico di Atene.
Il libro è dedicato ad Eratò, la musa della poesia d'amore. Si compone
di 140 capitoli, che si possono suddividere in sette parti:

nei primi trentatré capitoli assistiamo all'epilogo della rivolta
ionica trattata nel 5° libro;

di seguito compare una digressione su Milziade (capp. 34 – 41);

nei capitoli dal 42 al 50 viene descritta la prima spedizione
persiana contro la Grecia, comandata da Mardonio, e la richiesta di
terra e acqua alle  da parte del Gran Re;

dal 51 al 93 c'è una lunga digressione su Sparta con le genealogie
dei re spartani, considerazioni sulla diarchia, conflitti con Egina ed
Argo, le figure esemplari e tragiche di Cleomene e Demarato;

dal capitolo 94 al 120 si racconta quella che chiamiamo prima
guerra
persiana,
che
ha
come
episodio
più
illustre
la
battaglia
di
Maratona;

dal
capitolo
121
al
131
assistiamo
alla
riabilitazione
degli
Alcmeonidi;

gli
ultimi
capitoli
fino
al
140
sono
dedicati
alla
fine
di
Milziade.
Ma prendiamo dunque il sentiero che ci porterà a Maratona, insieme ai
nostri compagni di viaggio, la “trinità narrativa”.
L'incipit del libro che presentiamo risulta lapidario ed efficace:
Ἀρισταγόρης
μέν
νυν
Ἰωνίην
ἀποστήσας
οὕτω
τελευτᾷ.
Ἱστιαῖος
δὲ
ὁ
Μιλήτου τύραννος μεμετειμένος ὑπὸ Δαρείου παρῆν ἐς Σάρδις.
“Aristagora, che aveva fatto ribellare la Ionia, muore così. Istieo, il
tiranno di Mileto, congedato da Dario, giungeva a Sardi.”
5
(Herodotus, Historiae, VI, 1, 1)
Il narratore con un presente storico indica la morte di Aristagora,
tiranno di Mileto, che aveva condotto la prima fase della rivolta ionica
contro la Persia, e segnala con il cambio di tempo verbale il proseguire
degli
avvenimenti
legati
ora
alla
figura
di
Istieo,
l'ambiguo
personaggio, il levantino inviso a Erodoto, già tiranno di Mileto, che
aveva soggiornato a Susa invitato dal re Dario.
La
Voce
narrante
delle
Storie
si
serve
anche
altrove
del
presente
storico per isolare momenti che devono rimanere ben impressi nella mente
del pubblico impegnato nel percorso narrativo.
Il Narratore anche in questo episodio asseconda il gusto del pubblico,
per
esempio
popolare:
“o
servendosi
di
Istieo,
queste
su
battute
proverbiali
vicende
le
cose
argute
e
di
stanno
così:
gusto
questo
calzare lo cucisti tu, ma lo calzò Aristagora”, dice il satrapo di Sardi
Artaferne smascherando il levantino sull'organizzazione della rivolta.
Il
narratore
sa
riecheggiare
moduli
omerici,
perché
sa
che
il
suo
pubblico modello conosce e apprezza e si nutre dell'epica; quando parla
della battaglia navale di Lade del 494, la più importante prima di
Salamina, tra la flotta di Ioni ed Eoli e quella persiana, l'elenco dei
greci è ben scandito e ordinato e ricorda il ben più esteso Catalogo
delle navi del secondo libro dell'Iliade:
Μετὰ δὲ ταῦτα πεπληρωμένῃσι τῇσι νηυσὶ παρῆσαν οἱ Ἴωνες, σὺν δέ σφι καὶ
Αἰολέων οἳ Λέσβον νέμονται. Ἐτάσσοντο δὲ ὧδε. Τὸ μὲν πρὸς τὴν ἠῶ εἶχον
κέρας
αὐτοὶ
Μιλήσιοι,
νέας
παρεχόμενοι
ὀγδώκοντα·
εἴχοντο
δὲ
τούτων
Πριηνέες δυώδεκα νηυσὶ καὶ Μυήσιοι τρισὶ νηυσί. Μυησίων δὲ Τήιοι εἴχοντο
ἑπτακαίδεκα νηυσί, Τηίων δὲ εἴχοντο Χῖοι ἑκατὸν νηυσί, πρὸς δὲ τούτοισι
Ἐρυθραῖοί
τε
ἐτάσσοντο
παρεχόμενοι,
Φωκαιέες
ἑβδομήκοντα·
τελευταῖοι
καὶ
δὲ
Φωκαιέες,
τρεῖς.
δὲ
Φωκαιέων
ἐτάσσοντο
Ἐρυθραῖοι
δὲ
ἔχοντες
μὲν
εἴχοντο
τὸ
πρὸς
ὀκτὼ
νέας
Λέσβιοι
νηυσὶ
ἑσπέρην
κέρας
Σάμιοι ἑξήκοντα νηυσί. Πασέων δὲ τουτέων ὁ σύμπας ἀριθμὸς ἐγένετο τρεῖς
καὶ πεντήκοντα καὶ τριηκόσιαι τριήρεες.
(Herodotus, Historiae, 6, 8)
“E dopo questi avvenimenti si avvicinarono con le navi equipaggiate gli
Ioni,
e
con
loro
anche
degli
Eoli
quelli
che
abitano
Lesbo.
Erano
schierati così. L'ala verso oriente l'avevano gli stessi Milesii, con 80
navi; vicini a questi i Prienei con 12 navi e i Miuntei con 3 navi.
Vicino ai Miuntei erano i Tei con 17 navi, dopo i Tei i Chioti con 100
6
navi, e dopo questi erano schierati gli Eritrei e i Focesi, gli Eritrei
con 8 navi, mentre i Focesi con 3. Ai Focesi poi seguivano i Lesbi con
70 navi; ultimi poi erano schierati nell'ala verso occidente i Sami con
60 navi. Di tutte queste il numero totale fu di 353 triremi”: non si
dimentica nessuno e ogni greco di quelle città sarà stato ben contento
di essere citato.
L'autore modello, inoltre, porta le prove della , l'aver visto
con i propri occhi, quando dice che c'è ancora nell'  di
Samo
la
stele
con
i
nomi
dei
Sami
che
non
defezionarono
a
Lade,
nonostante le minacce di schiavitù, evirazione e deportazione da parte
degli emissari dei persiani.
A Lade vincono i Persiani, che poi procedono alla distruzione di Mileto,
come era stato predetto da un oracolo. Ecco come si presenta in questo
passo
l'alternanza
tra
la
voce
narrante
in
terza
persona
e
quella
dell'autore modello in prima persona: l'autore modello rimanda ad altri
passi dell'opera, dimostrando di conoscerne bene il piano generale e di
voler rinfrescare la memoria degli ascoltatori.
Χρεωμένοισι
γὰρ
Ἀργείοισι
ἐν
Δελφοῖσι
περὶ
σωτηρίης
τῆς
πόλιος
τῆς
σφετέρης ἐχρήσθη ἐπίκοινον χρηστήριον, τὸ μὲν ἐς αὐτοὺς τοὺς Ἀργείους
φέρον,
τὴν
δὲ
παρενθήκην
ἔχρησε
ἐς
Μιλησίους.
Τὸ
μέν
νυν
ἐς
τοὺς
Ἀργείους ἔχον, ἐπεὰν κατὰ τοῦτο γένωμαι τοῦ λόγου, τότε μνησθήσομαι, τὰ
δὲ τοῖσι Μιλησίοισι οὐ παρεοῦσι ἔχρησε ἔχει ὧδε.
  
  
  
  
"Καὶ τότε δή, Μίλητε, κακῶν ἐπιμήχανε ἔργων,
πολλοῖσιν δεῖπνόν τε καὶ ἀγλαὰ δῶρα γενήσῃ,
σαὶ δ' ἄλοχοι πολλοῖσι πόδας νίψουσι κομήταις,
νηοῦ δ' ἡμετέρου Διδύμοις ἄλλοισι μελήσει."
Τότε δὴ ταῦτα τοὺς Μιλησίους κατελάμβανε, ὅτε γε ἄνδρες μὲν οἱ πλέονες
ἐκτείνοντο ὑπὸ τῶν Περσέων ἐόντων κομητέων, γυναῖκες δὲ καὶ τέκνα ἐν
ἀνδραπόδων λόγῳ ἐγίνοντο, ἱρὸν δὲ τὸ ἐν Διδύμοισι, ὁ νηός τε καὶ τὸ
χρηστήριον,
συληθέντα
ἐνεπίμπρατο.
Τῶν
δ'
ἐν
τῷ
ἱρῷ
τούτῳ
χρημάτων
πολλάκις μνήμην ἑτέρωθι τοῦ λόγου ἐποιησάμην.
(Herodotus, Historiae, 6, 19)
(lettura del cap.19 a due voci)
“Infatti agli Argivi che a Delfi chiedevano un responso sulla salvezza
della loro città fu dato un oracolo in comune, una parte si riferiva
agli stessi Argivi, ma con una aggiunta per i Milesi. Ricorderò la parte
7
che si riferisce agli Argivi quando sarò in quel punto del testo, invece
è così quella che fu vaticinata per i Milesi non presenti:
Allora, Mileto, macchinatrice di opere malvagie
per molti sarai cibo e splendidi doni
le tue donne laveranno i piedi a molti dalle lunghe chiome,
altri si prenderanno cura del mio tempio a Didime.
Allora dunque queste cose toccavano ai Milesi, quando la maggior parte
degli uomini venivano uccisi dai Persiani lunghe chiome, e le donne e i
bambini
diventavano
schiavi,
e
il
santuario
a
Didime,
il
tempio
e
l'oracolo venivano saccheggiati e bruciati. Delle ricchezze di questo
tempio ho fatto menzione spesso altrove nel testo.“
Nel frattempo Istieo continua quella che ormai sembra una guerra privata
con aspetti pirateschi: assale Chio, travolta dalle sventure militari,
che
si
potevano
prevedere
grazie
ai
segni
inviati
dagli
dei
(un
centinaio di giovani coreuti inviati a Delfi muoiono di malattia e un
centinaio
di
scolaretti
sono
travolti
dalla
caduta
del
tetto
della
scuola); passa a Taso e poi a Lesbo, dove viene catturato dai Persiani,
ai quali rivela di essere Istieo di Mileto.
Εἰ μέν νυν, ὡς ἐζωγρήθη, ἀνήχθη ἀγόμενος παρὰ βασιλέα Δαρεῖον, ὁ δὲ οὔτ'
ἂν ἔπαθε κακὸν οὐδέν, δοκέειν ἐμοί, ἀπῆκέ τ' ἂν αὐτῷ τὴν αἰτίην. Νῦν δέ
μιν αὐτῶν τε τούτων εἵνεκα καὶ ἵνα μὴ διαφυγὼν αὖτις μέγας παρὰ βασιλέϊ
γένηται, Ἀρταφρένης τε ὁ Σαρδίων ὕπαρχος καὶ ὁ λαβὼν Ἅρπαγος, ὡς ἀπίκετο
ἀγόμενος ἐς Σάρδις, τὸ μὲν αὐτοῦ σῶμα αὐτοῦ ταύτῃ ἀνεσταύρωσαν, τὴν δὲ
κεφαλὴν ταριχεύσαντες ἀνήνεικαν παρὰ βασιλέα Δαρεῖον ἐς Σοῦσα. Δαρεῖος
δὲ πυθόμενος ταῦτα καὶ ἐπαιτιησάμενος τοὺς ταῦτα ποιήσαντας ὅτι μιν οὐ
ζώοντα ἀνήγαγον ἐς ὄψιν τὴν ἑωυτοῦ, τὴν κεφαλὴν τὴν Ἱστιαίου λούσαντάς
τε καὶ περιστείλαντας εὖ ἐνετείλατο θάψαι ὡς ἀνδρὸς μεγάλως ἑωυτῷ τε καὶ
Πέρσῃσι εὐεργέτεω. Τὰ μὲν περὶ Ἱστιαῖον οὕτω ἔσχε.
“Se dunque, quando fu catturato, (Istieo) fosse stato portato dal re
Dario,
non
avrebbe
patito
alcun
male,
credo,
e
Dario
lo
avrebbe
discolpato. Ma ora a causa di queste stesse cose e perché non diventasse
nuovamente importante presso il re, il satrapo di Sardi Artaferne e
Arpago, che lo aveva catturato, quando giunse in catene a Sardi, lì
impalarono il suo corpo e, dopo averla imbalsamata, inviarono la testa
al re Dario a Susa. E Dario, sapute queste cose e rimproverati quelli
8
che le avevano compiute perchè non glielo avevano portato vivo, fatta
lavare
la
testa
di
Istieo
e
preparata
per
la
sepoltura,
ordinò
di
seppellirla come quella di un grande benefattore di lui e dei Persiani.”
(Herodotus, Historiae, 6, 30) (lettura a due voci di 30,1).
L'autore modello sa riconoscere anche nel Gran Re Persiano saggezza e
virtù,
come
del
resto
anche
Eschilo
nel
Dario
della
tragedia
“I
Persiani”; dimostra, quindi, ampiezza di vedute e offre una prospettiva
di interpretazione a cui indirizza l'ascoltatore modello.
Un
riferimento
alla
conquista
persiana
del
Chersoneso
dove
fino
ad
allora era tiranno Milziade, figlio di Cimone, figlio di Stesagora, fa
aprire la lunga deviazione dal percorso principale sulla storia del noto
ateniese
e
della
sua
famiglia,
i
Filaidi.
Vista
la
dignità
del
personaggio, se ne fa l'albero genealogico fino al capostipite Aiace
(quanto piaceva al pubblico greco farsi glorificare!). Gli interessi che
questa famiglia ebbe nel Chersoneso risalivano all'epoca di Pisistrato,
quando un omonimo Milziade figlio di Cipselo olimpionico con la quadriga
(e
gli
avuto
ascoltatori
l'occasione,
modello
erano
degli
appassionati
grazie
all'ospitalità
offerta
sportivi)
a
un
aveva
gruppo
di
stranieri armati che passavano per Atene, di diventare il loro ecista
nella terra da cui rischiavano di essere cacciati.
Morto
questo
Stesagora,
pritaneo.
il
Milziade
quale
Allora
da
il
potere
morirà
Atene
colpito
i
del
Chersoneso
dalla
Pisitratidi
scure
inviano
passa
di
un
Milziade
al
nipote
nemico
figlio
nel
di
Cimone (il futuro stratega di Maratona) a rilevare la tirannia: Milziade
si impone con la forza e sposa Egesipile, figlia del re dei Traci. Ma
anche questo Milziade non ha vita facile nel Chersoneso, anzi preferisce
fuggire di fronte ad un'invasione degli Sciti, ma poi vi ritorna e la
digressione ad anello si chiude e si ritorna al percorso cronologico.
In
quell'anno,
il
493,
i
Persiani
non
procedono
con
le
operazioni
militari, ma preferiscono dare un assetto più stabile alla Ionia, sia
dal punto di vista politico che tributario. Erodoto autore modello ha
l'occasione di sfoderare la sua conoscenza del sistema metrico persiano
e di confrontarlo con quello greco. Sembra una materia piuttosto arida,
ma il pubblico ateniese era assai interessato al sistema dei tributi,
9
negli anni della lega delio – attica, che succhiava il sangue degli
alleati per finanziare la democrazia ateniese.
Ma proseguiamo. I Persiani non dimenticano l'onta subita da Atene ed
Eretria e già a primavera (siamo nel 492) un esercito e una flotta
barbara ripartono dall'Asia Minore, al comando di Mardonio, il giovane
genero di Dario, pieno di belle speranze e di . Mardonio
nella
Ionia
depone
i
tiranni
e
istituisce
democrazie
ed
Erodoto
polemizza contro i Greci che non gli avevano creduto a proposito del
discorso del persiano Otane sulla necessità della democrazia in Persia.
Forse qui si fa un riferimento a dibattiti tra autore e pubblico dopo le
letture, sugli argomenti più scottanti, che avevano suscitato interesse
e posizioni diverse.
La spedizione non è destinata ad avere successo e, giunta presso il
monte Athos, la flotta viene distrutta dal vento di borea che soffia
violento; ventimila uomini muoiono dilaniati dagli squali, scaraventati
sulle
rocce,
annegati
o
di
freddo:
il
pubblico
modello,
che
aveva
pratica del mare e ben sapeva nuotare, si sarà compiaciuto di questo
disastro
e
poi
c'è
sempre
una
componente
psicologica
di
sollievo
a
sentire raccontare disgrazie altrui.
L'anno
successivo
sembra
che
i
Persiani
vogliano
valutare
bene
l'atteggiamento nei loro confronti delle singole  e inviano
ambascerie a chiedere “terra e acqua per il re”; altre ne mandano dai
loro tributari per la fornitura di navi da guerra.
Anche gli abitanti di Egina, isola da sempre nelle mire degli Ateniesi,
accolgono le richieste dei Persiani e gli Ateniesi subito si recano a
Sparta per denunciare il tradimento.
Così siamo giunti anche a Sparta e qui si innesta un'altra storia.. Si
mette subito in evidenza il personaggio di Cleomene col suo imponente
patronimico,
figlio
di
Anassandrida,
uno
dei
due
re
della
città
lacedemone, che di propria iniziativa, forse convinto dal denaro degli
Ateniesi, parte per una spedizione punitiva contro i colpevoli egineti.
Ma ad Egina il suo intervento è ostacolato da un certo Kriòs/ Montone,
che si merita la seguente risposta da parte di Cleomene, risposta che
10
mette in luce la passione diffusa per i giochi di parole e le false
etimologie:
Ὁ δὲ Κλεομένης πρὸς αὐτὸν ἔφη· "Ἤδη νῦν καταχαλκοῦ, ὦ κριέ, τὰ κέρεα, ὡς
συνοισόμενος μεγάλῳ κακῷ."
(Herodotus, Historiae, 6, 50)
”Montone, fodera fin d'ora di bronzo le corna, perché dovrai cozzare
contro un grande malanno”.
Ora
dovremo
allungare
il
nostro
cammino
con
una
digressione
sulla
diarchia spartana.
Risalendo nelle genealogie si giunge ai figli gemelli di Aristodemo, che
ebbero entrambi il titolo di re, anche su suggerimento della Pizia,
purché il più anziano avesse più onori: con Euristene
le
dinastie
spartane
degli
Agiadi
e
degli
e Procle iniziano
Euripontidi,
sempre
in
discordia tra loro. Questo dicono i Lacedemoni.
Ma nei capitoli 53, 54, 55 la voce dell'autore si fa nuovamente sentire
per rendere note versioni alternative dei Greci e dei Persiani sulle
genealogie spartane. Erodoto fa un'affermazione di grande interesse per
noi,
che
dimostra
la
composizione
per
iscritto
dell'opera,
l'autore
modello è uno scrittore: “io scrivo queste cose secondo quanto detto dai
Greci”. Chi volesse spingersi più in là di quanto riportano i Lacedemoni
e seguire un'altra tradizione troverebbe come antenato Perseo figlio di
un dio e di Danae, discendente dagli Egizi: i greci Dori discendenti
degli Egizi?
Per non dire anche quanto sostengono i Persiani, che gli antenati di
Perseo, e dunque egli stesso, fossero assiri.
Immaginiamo che il pubblico greco abbia cominciato ad agitarsi, gli
Ateniesi a sogghignare: si stanno insinuando dei dubbi sulla grecità
degli Spartani? che non siano proprio greci doc come gli Ateniesi? non
sembra che Erodoto abbia simpatia per gli Spartani; come si può notare
più volte in questo libro il punto di vista ateniese prevale.
Ma Erodoto conclude così questa parte:
Καὶ ταῦτα μέν νυν περὶ τούτων εἰρήσθω· ὅ τι δέ, ἐόντες Αἰγύπτιοι, καὶ ὅ τι ἀποδεξάμενοι
11
ἔλαβον τὰς Δωριέων βασιληίας, ἄλλοισι γὰρ περὶ αὐτῶν εἴρηται, ἐάσομεν αὐτά· τὰ δὲ ἄλλοι
οὐ κατελάβοντο, τούτων μνήμην ποιήσομαι.
(Herodotus,
Historiae,
6,
55)(lettura
del
55)“e
questo
sia
detto
riguardo ciò; perchè o cosa mai avendo compiuto, essi che erano Egizi,
presero il potere regale tra i Dori lo tralasceremo, infatti riguardo a
quelle cose
Si
tratta
altri hanno detto; ricorderò ciò che altri non raccolsero”.
di
un'indicazione
metodologica
di
Erodoto:
è
interessante
notare che il rapporto con la storiografia precedente e contemporanea
prevede per Erodoto un'integrazione di ciò che manca, un'aggiunta di
voci enciclopediche ad altre, non una riscrittura che interpreti testi
di altri.
Si riprende il cammino con le vicende di Cleomene e Demarato
Demarato dunque calunniò Cleomene per invidia e gelosia: la calunnia
espressa
nel
51°
capitolo
prima
della
digressione
all'imperfetto
è
durata quanto la digressione, fino al 61° capitolo; con il passaggio
all'aoristo il narratore si riprende il racconto.
Cleomene
tornato
in
patria
da
Egina
vorrebbe
liberarsi
del
rivale,
facendo appello ai dubbi che circolavano sulle sue origini: ricordiamo
che
il
l'individuazione
fondamentale
per
la
di
madre
concessione
e
padre
della
nell'Atene
cittadinanza,
di
Pericle
dunque
era
era
un
argomento di attualità, che coinvolgeva gli ascoltatori.
Il narratore ha ora l'occasione di esibirsi nel piacevole racconto una
bella
fiaba
(capp.61,
62,
63),
arte
di
cui
è
maestro,
che
ha
per
protagonista una donna divenuta da bruttissima bellissima per intervento
divino, sposa di un amico del re Aristone, il quale, non avendo avuto
figli dalle precedenti mogli, si innamora della bella donna e con un
inganno riesce a strapparla all'amico. Dopo dieci mesi nasce un figlio,
Demarato appunto, sulla cui paternità Aristone esprime dei dubbi davanti
agli efori. Ciò nonostante alla morte di Aristone Demarato diviene re.
Cleomene dunque si accorda con Leotichida, un parente di Demarato, per
farlo diventare re al suo posto.
Leotichida divenuto re di Sparta non rinuncia ad offendere e deridere
Demarato, che, per avere l'ultima parola sulle sue origini, si rivolge
alla madre. Egli le chiede la verità sulle voci che circolavano, se si
12
fosse sposata con Aristone già incinta o se avesse avuto rapporti con
l'asinaio. La madre sostiene di aver avuto un rapporto con un fantasma
dall'aspetto di Aristone, rivelatosi essere una divinità: o lui era
figlio del dio oppure di Aristone.
La
voce
narrante
riconosciuto
sa
bene
chiaramente
una
quali
tasti
variante
toccare:
del
mito
il
di
pubblico
Alcmena,
avrà
Zeus
e
Anfitrione, adattata alla maldicenza greca secondo cui le donne spartane
avevano fama di donne dai facili costumi.
Demarato dice di voler interrogare l'oracolo di Delfi e si allontana da
Sparta: i Lacedemoni sospettano la fuga e infatti Demarato si reca in
Persia, lui, unico tra i re di Sparta ad aver fatto ciò, dopo essersi
impegnato per la sua città e aver addirittura vinto un'Olimpiade con la
quadriga.
Talvolta sembra che vincere una gara olimpica sia la cosa più importante
per questi greci! (del resto lo conferma anche la priamel con cui inizia
la
prima
olimpica
di
Pindaro:
“ottima
l'acqua,
l'oro
fuoco
acceso
sfolgora.., ma se, mio cuore, aneli a cantare i premi, non cercare astro
più caldo del sole.., né celebriamo un agone migliore di Olimpia..”).
Anche Leotichida non fu a lungo re: scoperto mentre veniva corrotto
durante una campagna contro i Tessali, se ne andò in esilio, dove morì,
nel 469, come sappiamo.
Ma questo accadde dopo.
Abbiamo avuto dunque un caso di prolessi, tanta è la riluttanza del
narratore ad abbandonare sentieri che gli sembrano interessanti.
Anche il racconto della morte di Cleomene, che avvenne nel 488, dopo
Maratona, è anticipata.
A Sparta avviene la sua tragica fine. Cleomene impazzisce e viene legato
a
un
ceppo:
con
minacce
convince
il
suo
custode,
un
ilota,
a
consegnargli il coltello, con il quale procede a sezionarsi il corpo
dalle gambe fino al ventre: così muore per i suoi atti empi, a seconda
delle tradizioni nei confronti della Pizia, o delle due dee di
Eleusi,
o del bosco sacro di Argo.
Dopo il racconto del suicidio di Cleomene si torna indietro nel tempo
per raccontare nei dettagli la sua impresa contro Argo e poi si ritorna
ai casi di Egina.
Le vicende di Egina comprendono anche un episodio di guerra civile, tra
13
benestanti e popolo, durante il quale viene compiuto un atto empio e
atroce:
a
un
popolano
che
voleva
rifugiarsi
nel
tempio
di
Demetra
Tesmofora e che si teneva stretto alle maniglie della porta vengono
tagliate le mani, che rimangono attaccate
sulle maniglie.
Ma con il capitolo 94 inizia la parte più attesa dal pubblico e anche da
noi e con un sincronismo narrativo si ritorna ai Persiani:
[94]    Ἀθηναίοισι μὲν δὴ πόλεμος συνῆπτο πρὸς Αἰγινήτας, ὁ δὲ Πέρσης τὸ
ἑωυτοῦ ἐποίεε, ὥστε ἀναμιμνήσκοντός τε αἰεὶ τοῦ θεράποντος μεμνῆσθαί μιν
τῶν
Ἀθηναίων
καὶ
Πεισιστρατιδέων
προσκατημένων
καὶ
διαβαλλόντων
Ἀθηναίους, ἅμα δὲ βουλόμενος ὁ Δαρεῖος ταύτης ἐχόμενος τῆς προφάσιος
καταστρέφεσθαι τῆς Ἑλλάδος τοὺς μὴ δόντας αὐτῷ γῆν τε καὶ ὕδωρ.
“gli Ateniesi erano in guerra con gli Egineti e intanto il Persiano
metteva
in
atto
il
suo
progetto,
poiché
il
servo
non
cessava
di
ricordargli di ricordarsi degli Ateniesi e i Pisistratidi gli stavano
vicino
e
accusavano
gli
Ateniesi,
mentre
allo
stesso
tempo
Dario,
cogliendo questo pretesto, voleva sottomettere quei Greci che non gli
avevano concesso terra e acqua”.
Esonerato Mardonio, Dario ordina a Dati e ad Artaferne di portargli
schiave le popolazioni di Atene ed Eretria.
L'esercito
persiano
viene
imbarcato
sulla
flotta
dei
tributari
dei
Persiani in Cilicia e da là di isola in isola attraversa l'Egeo. La
prima
tappa
è
Nasso,
che
viene
saccheggiata
e
bruciata,
mentre
gli
abitanti che non si erano rifugiati sui monti sono resi schiavi. Invece
l'isola di Delo i cui abitanti erano fuggiti, viene risparmiata e anzi
Dati offre trecento talenti di incenso da bruciare sugli altari. Quindi
la flotta persiana veleggia verso Eretria.
Nel capitolo 98 si fa riferimento a un terribile terremoto che sconvolse
Delo, a monito delle disgrazie successive; ed Erodoto autore modello si
sofferma sulle sciagure che la Grecia dovette in seguito patire, sia a
causa dei re persiani che portarono guerra contro la Grecia, sia a causa
dei capi che combattevano per il potere. L'autore individua nel tempo in
cui vissero Dario, Serse e Artaserse, morto nel 424, gli anni peggiori
per la Grecia a causa dei conflitti delle guerre persiane e della guerra
del Peloponneso.
14
Gli ascoltatori delle Storie, pubblicate integralmente dopo il 414, non
potevano che confermare, attoniti.
Giunti nell'Eubea i Persiani dapprima sottomettono la città di Caristo e
poi si rivolgono ad Eretria. Dopo sette giorni di assedio la città cade:
i Persiani saccheggiano e incendiano i santuari per vendicare le stesse
azioni commesse a Sardi; rendono schiavi gli uomini.
Poco
combattivi
gli
Eretriesi
secondo
il
Temistocle
di
Plutarco:
“facevano come il calamaro, simbolo delle loro monete, che pur avendo
all'interno
un'armatura
cartilaginea
detta
,(spada)
non
la
estrae mai”.
Da lì Ippia li conduce verso l'Attica, a Maratona (letteralmente “la
piana dei finocchi”, in ricordo della quale secondo Ateneo gli Ateniesi
aggiungevano
finocchio
alle
olive
in
salamoia),
luogo
adatto
alle
manovre della cavalleria.
Da Atene parte l'esercito guidato dai dieci strateghi, decimo Milziade,
figlio di Cimone. La figura di Cimone permette al narratore di costruire
un indugio narrativo sulle sue vittorie olimpiche e sulla sua sepoltura
assieme alle tre cavalle che vinsero con lui le Olimpiadi.
Siamo finalmente arrivati a Maratona e il narratore ancora ci trattiene:
cresce la suspance, e ancora non basta.
Si riprende il filo narrativo legato a Milziade, interrotto al capitolo
41, con le sue vicende nel Chersoneso, da dove era fuggito per giungere
ad Atene dove viene eletto stratega.
Ma l'attesa legata alla battaglia di Maratona è ancora prolungata da un
racconto il cui protagonista è l'emerodromo Fidippide, inviato a Sparta
a chiedere aiuto: nella sua corsa incontra anche Pan, che si lamenta del
fatto che gli Ateniesi non si curavano di lui. Il
discorso di Fidippide
ai Lacedemoni è un piccolo capolavoro retorico: l'ateniese collega la
necessità
di
aiutare
la
sua
città
all'importanza
che
le
deriva
dall'antichità tra le città greche e si conclude con un appello alla
grecità, all'Ellade tutta contrapposta ai barbari. I Lacedemoni, però,
non possono partire subito con l'esercito perché una legge impediva loro
di iniziare una campagna militare prima del plenilunio.
15
Ancora si sottolinea l'incertezza dei Greci di fronte alla prontezza
persiana, passando poi omericamente ad occuparsi del fronte opposto.
Mentre
costoro
attendevano
il
plenilunio
Ippia
figlio
di
Pisistrato
guidava i barbari verso Maratona. Ancora sogni e fatti strani: Ippia
sogna di unirsi alla madre e interpreta a suo favore questo presagio; ma
subito dopo, sbarcato a Maratona, la caduta di un dente che non riesce
più a trovare gli fa capire che l'Attica non è destinata né a lui né ai
Persiani.
Il narratore passa da un campo all'altro e assistiamo all'arrivo dei
Plateesi, dei quali si racconta in un flashback come si erano consegnati
agli Ateniesi, con tutti i crismi di una importante cerimonia religiosa.
E
finalmente
ecco
la
battaglia:
non
tutti
gli
strateghi
sono
per
attaccare e Milziade, per conquistare il voto del polemarco Callimaco di
Afidna, sorteggiato con la fava, gli rivolge un discorso esemplare, nel
quale la scelta tra libertà e schiavitù è presentata come urgente, prima
che
nasca
qualcosa
di
marcio
e
che
qualcuno
medizzi:
in
cambio
si
promette una gloria maggiore di Armodio e Aristogitone.
[109]  
...
"Ἐν
σοὶ
νῦν,
Καλλίμαχέ,
ἐστι
ἢ
καταδουλῶσαι
Ἀθήνας
ἢ
ἐλευθέρας ποιήσαντα μνημόσυνον λιπέσθαι ἐς τὸν ἅπαντα ἀνθρώπων βίον οἷον
οὐδὲ Ἁρμόδιός τε καὶ Ἀριστογείτων [λείπουσι]...
“Callimaco,
rendendola
uomini,
tu
hai
libera,
quale
ora
di
neppure
la
possibilità
lasciare
un
Armodio
e
di
rendere
ricordo,
Atene
finchè
Aristogitone
hanno
schiava
o,
esisteranno
gli
lasciato.
Ora
infatti gli Ateniesi corrono il pericolo più grande da quando ebbero
origine e, se si sottomettono ai Medi, è già stato deciso quello che
dovranno soffrire una volta consegnati a Ippia; se invece questa città
ha la meglio, può diventare la prima della città greche. E come questo è
possibile che si realizzi e che a te tocchi la decisione sovrana di
queste scelte, ora te lo vado a spiegare. Le opinioni di noi strateghi,
che siamo dieci, sono divise, poiché gli uni invitano a combattere, gli
altri no. Ora, se non combattiamo, mi aspetto che una grande discordia
si abbatta sui pensieri degli Ateniesi e li sconvolga, così da spingerli
dalla parte dei Medi. Se invece attacchiamo prima che qualcosa di marcio
nasca fra gli Ateniesi, se gli dei restano imparziali, possiamo vincere
16
il combattimento. Ora dunque tutto questo sta a te e da te dipende: se
ti unisci al mio parere, hai la patria libera e la città prima tra
quelle
della
Grecia;
se
invece
scegli
l'opinione
di
coloro
che
sconsigliano la battaglia, ti toccherà il contrario dei beni che ho
elencato”.
Questo discorso è un esempio di drammatizzazione della storia che poteva
piacere
a
un
pubblico
abituato
al
teatro;
si
ripropone
il
momento
culminante della scelta tragica su “che fare?”  che
Milziade abilmente fa cadere tutta sul polemarco, che finisce per dargli
il voto che permette la battaglia.
Quando arriva il turno di comando a Milziade, ormai leader indiscusso,
l'esercito viene schierato secondo le tribù, ultimi i Plateesi: come i
nemici anche i Greci hanno un corpo centrale piuttosto esiguo e le ali
numericamente forti.
La battaglia avvenne nel mese di Boedromione (tra settembre e ottobre),
nel primo giorno dopo il plenilunio: la deduzione deriva dal fatto che
da un lato si dice che gli Spartani arrivarono a Maratona due o tre
giorni
dopo
la
battaglia
in
tempo
per
vedere
i
nemici
insepolti;
dall'altro la falce di luna calante presente nel tetradramma ateniese
sopra la civetta dovrebbe ricordare proprio la data della battaglia.
Dopo i sacrifici di rito, gli opliti si lanciano in una corsa di otto
stadi, circa un miglio, per scontrarsi con il barbaro (l'università
della
Pennsylvania
ha
dimostrato
che
è
impossibile
che
un
uomo
con
armatura pesante proceda di corsa per più di un minuto, ma questi erano
i
maratonomachi!),
Ateniesi;
non
ma
hanno
né
cavalieri
combatterono
fa
loro
paura.
Dapprima
i
arcieri,
in
“”.
non
né
Persiani
pazzi
modo
memorabile
L'abbigliamento
prevalgono
questi
al
dei
centro
Medi
dello
schieramento, ma poi le ali riunitesi dei Greci si riversano sul nemico,
che soccombe o tenta la fuga verso le navi.
Segue l'elenco dei morti illustri: il polemarco, lo stratega Stesileo e
Cinegiro (fratello di Eschilo), al quale era stata mozzata una mano
mentre si attaccava agli aplustri di una nave persiana (è da notare il
maggior
rilievo
dato
alla
morte
del
polemarco
e
di
Cinegiro
grazie
17
all'uso del presente storico).
I nemici che riescono salvarsi sulle navi veleggiano alla volta del capo
Sunio,
per
raggiungere
Atene
dal
mare,
qualche
mala
lingua
dice
su
suggerimento degli Alcmeonidi. Ma gli opliti velocemente tornano verso
la
città
e
si
fanno
vedere
schierati,
dissuadendo
i
nemici
dal
proseguire l'azione.
È
l'ora
della
conta
dei
morti:
seimilaquattrocento
barbari
e
192
ateniesi: già, queste sembrano cifre sproporzionate, ma tutto sommato
potrebbero
essere
armamento;
certo
verosimile
che
con
il
tenendo
passare
conto
del
della
tempo
il
differenza
numero
dei
di
morti
barbari aumenta fino ai cinquecentomila di Platone e alle incalcolabili
miriadi di Ateneo.
Un prodigio conclude l'episodio: un soldato rimasto privo della vista
pur senza essere rimasto colpito ricorderà sempre l'apparizione di un
fantasma di un gigantesco oplita che lo trascurò per uccidere il suo
compagno vicino.
Il narratore rivolge quindi lo sguardo ai Persiani di ritorno in Asia.
Dati ha un sogno ammonitore e fa restituire ai Deli una statua rubata
dai
marinai
velocemente
fenici
fino
a
in
Susa,
un
santuario.
dove
Dario
Il
visti
trasferimento
gli
ci
Eretriesi
porta
divenuti
schiavi, li fa stanziare in un suo dominio nella regione mineraria della
Cissia, dove continueranno a parlare il greco fino ai tempi dell'autore
(i
Greci
non
rinunciano
alla
loro
identità
nemmeno
in
terre
così
lontane).
Di nuovo in Grecia: assistiamo all'arrivo degli Spartani nell'Attica,
tre giorni dopo il plenilunio: a Maratona contemplano i cadaveri dei
nemici, lodano gli Ateniesi e se ne tornano in Laconia. Ancora una volta
gli Spartani non fanno una bella figura, e vengono liquidati in poche
parole, laconicamente.
Terminata
la
tensione
della
battaglia,
ora
l'autore
Erodoto
sente
l'esigenza di difendere a spada tratta gli Alcmeonidi dall'accusa di
aver fatto segnali, sollevando uno scudo, ai Persiani per facilitare la
presa della città.
C'è una certa ansia nello scagionare gli Alcmeonidi
dal tradimento della patria: certo non furono loro, eppure uno scudo fu
18
sollevato...
Per
riabilitare
questa
famiglia
definitivamente
il
narratore
torna
indietro nel tempo, quando era re della Lidia Creso, che per ricambiare
l'ospitalità ricevuta ad Atene invitò a Sardi Alcmeone e gli regala
tanto oro quanto ne poteva portare con il corpo in una sola volta:
Alcmeone indossa un chitone e coturni oversize che riempie di oro dal
tesoro di Creso, ma non solo, anche bocca, capelli e tutto quanto;
quando Creso lo vede ride a crepapelle (l'ultima risata delle Storie,
sic) e gliene dona altrettanto. Così la famiglia di Alcmeone cominciò ad
arricchirsi, acquistò cavalli e vinse Olimpiadi. Ma la consacrazione
definitiva le venne da un matrimonio tra Megacle figlio di Alcmeone e
Agariste figlia di Clistene, il tiranno di Sicione. Clistene, anche lui
olimpionico, vuole avere il migliore di tutti i Greci come genero e
indice
una
gara
per
scegliere
il
marito
della
figlia:
per
un
anno
trattiene a Sicione tutti i pretendenti che si erano presentati, tra i
quali due ateniesi, Megacle appunto e un certo Ippoclide, bello e ricco.
Si arriva così al giorno stabilito per le nozze e sembra che Ippoclide
abbia più chances. Ma durante il banchetto scorre il vino e Ippoclide si
mette a danzare al suono del flauto, prima danze laconiche, poi attiche,
poi addirittura su un tavolo a testa in giù gesticola con le gambe;
Clistene non si trattiene “O figlio di Tisandro, con la danza ti sei
giocato
il
matrimonio”
“Per
Ippoclide

proverbiale
di
Ippoclide.
Così
Agariste
non
è
toccò
la
a
è
un
risposta
Megacle.
problema”
divenuta
Da
questa
unione nacque quel Clistene che riformò le istituzioni ateniesi in senso
democratico; nacque anche un'altra Agariste che, sposatasi con Santippo,
rimasta incinta, sognò di partorire un leone.. e nacque Pericle. Gli
Alcmeonidi sono salvi.
Si ritorna, quindi, a Milziade, esponente della famiglia non altrettanto
fortunata dei Filaidi. Dopo Maratona la sua fama è alle stelle e può
chiedere ciò che vuole alla polis: chiede di avere settanta navi con le
quali si dirige a Paro con il pretesto che i Parii avevano aiutato i
Persiani. Ma a Paro, mentre tenta empiamente di entrare in un tempio di
Demetra e Persefone, si ferisce ad una gamba. Rientrato ad Atene viene
accusato di aver ingannato gli Ateniesi e subisce un processo nel quale
19
non può difendersi di persona a causa della gamba ormai in cancrena. Lo
difendono gli amici ricordando la vittoria di Maratona e la presa di
Lemno; il popolo è dalla sua parte, si salva dalla condanna a morte, ma
finisce i suoi giorni in seguito al peggioramento della cancrena fino
alla decomposizione della gamba.
Ora si apre l'ultimo anello del sesto libro, con vicende anteriori che
risalgono alla preistoria. L'autore fa un interessante confronto tra la
versione di Ecateo e quella degli Ateniesi a proposito della cacciata
giusta
o
ingiusta
dei
Pelasgi
dall'Attica
(ingiusta
secondo
Ecateo
figlio di Egesandro, nei suoi Logoi: un omaggio di Erodoto al suo più
illustre predecessore).
Ritornando alla Storia, Erodoto alla fine del sesto libro racconta come
Milziade aveva conquistato Lemno, lasciando di sé un ricordo onorevole.
E noi possiamo uscire dal bosco erodoteo dove, in vostra compagnia,è
stato anche bello perdersi.
Bibliografia:

Erodoto, Le Storie (libro I, La Lidia e la Persia, a cura di David
Asheri), Fondazione Lorenzo Valla/ Arnoldo Mondadori Editore;

Erodoto, Le Storie (libro VI, La battaglia di Maratona, a cura di
Giuseppe Nenci), Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore;

Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, 1995.
Beatrice Rigatti
20
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