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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Monocratico del Tribunale di Bari, seconda sezione
civile, d.ssa Raffaella Simone, ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2528/2002 R.G. Aff.
Cont, riservata all'udienza del giorno 24 settembre 2008 e vertente
TRA
I.M.,
ATTRICE
CONTRO
S.C.,
CONVENUTO E TERZO CHIAMATO
E
A. s.r.l.,
CONVENUTA
NONCHE'
Società (…),
TERZA CHIAMATA
E
(…).,
TERZA CHIAMATA
OGGETTO: Risarcimento danni - responsabilità contrattuale del
medico e della casa di cura.
CONCLUSIONI
I procuratori delle parti chiedono e concludono: come da foglio di
precisazione delle conclusioni.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 15-17 maggio 2002 I.M. - premesso che nell'ottobre 1997 si era sottoposta ad
intervento chirurgico di cataratta sull'occhio sinistro, eseguito con successo presso la casa di cura
(…) dal prof. C.S.; che il 14 novembre 1997, presso la stessa clinica, era stata sottoposta ad analogo
intervento, eseguito sempre dal prof. S. sull'occhio destro; che nella notte successiva all'intervento
aveva avvertito un forte dolore all'occhio destro ed altri malesseri, disagi manifestati da altri due
pazienti sottoposti alla medesima operazione; che il giorno dopo aveva subito ulteriore intervento di
pulizia dell'occhio da parte del sanitario e, non conseguendone miglioramento, era stata ricoverata
presso l'Istituto di clinica oculistica del Policlinico Consorziale di Bari e sottoposta a terapia
antibiotica; che il 18 novembre i medici dell'equipe del prof. S. le avevano suggerito di procedere
allo svuotamento totale dell'occhio destro, completamente atrofizzato, al fine di non compromettere
la funzionalità dell'occhio sinistro; che, dimessasi dall'ospedale barese, era stata visitata a Milano
dal prof. V.D.M., che le aveva prescritto una più efficace terapia antibiotica, effettuata presso la
divisione oculistica dell'ospedale di Matera; che il visus dell'occhio destro era risultato pari a zero e
per attenuare il danno estetico del bulbo, rimpicciolito ed atrofizzato, si era recata in diversi centri
per la realizzazione di una protesi definitiva e per la correzione chirurgica della relativa palpebra;
che aveva subito gravi danni biologici, estetici ed alla vita di relazione, nonché morali, riportando
peraltro stato depressivo sia per il mutato aspetto estetico e sia per ulteriori conseguenze, quali
vertigini, scarsa visibilità ed ansia; che, per tale sua condizione, aveva smesso di svolgere attività
lavorativa nell'avviato esercizio commerciale di abbigliamento sito nel centro di Matera, gestito con
il marito P.U., ove era stato conseguentemente soppresso il reparto donna, con crollo dei profitti
dell'impresa familiare; che l'evento dannoso era stato cagionato dall'inosservanza di basilari norme
igieniche dell'attrezzatura chirurgica e della sala operatoria, mentre al medico erano imputabili la
violazione dell'obbligo di informare la paziente sui rischi dell'intervento, l'omessa vigilanza nella
fase post-operatoria e la mancata ed intempestiva prescrizione delle cure del caso; - conveniva in
giudizio, innanzi a questo Tribunale, il Prof. C.S. e la Anthea s.r.l., per sentirli dichiarare
responsabili dell'evento dannoso innanzi descritto e condannarli, anche in solido, al risarcimento dei
danni, quantificati in lire 1.065.621.681, come da analitico conteggio, oltre rivalutazione monetaria
ed interessi legali, con vittoria di spese.
Costituitasi con comparsa del 2/7/2002, l'(…) s.r.l. deduceva di aver esattamente adempiuto le
prestazioni a suo carico ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo il prof. S.
eseguito l'intervento per incarico diretto della sig.ra I.
Contestava in ogni caso la convenuta l'asserita inosservanza dell'obbligo di acquisizione di
consenso informato e l'addebito di colposo ritardo nella diagnosi della endoftalmite, nonché il
quantum della domanda, invocandone il rigetto e spiegando azione di garanzia nei confronti della
società (…), che chiedeva chiamare in causa, quale assicuratrice della responsabilità civile verso
terzi, e del medico.
Con comparsa del 19/7/2002 si costituiva altresì in giudizio il prof. S., deducendo di aver eseguito
correttamente l'intervento chirurgico e di non essere in ogni caso responsabile dei danni
eventualmente riconducibili alle imperfette sterilizzazione degli strumenti chirurgici od asetticità
della sala operatoria.
Pertanto il professionista, previa autorizzazione alla chiamata in causa della società (…) s.p.a.,
garante della responsabilità civile presso terzi, chiedeva rigettarsi la domanda spiegata nei suoi
confronti.
All'esito della rituale citazione, si costituiva nel procedimento la (…), con comparsa del
16/12/2002, assumendo l'estraneità della casa di cura agli addebiti mossi dall'attrice, contestando il
quantum della domanda e chiedendo la condanna di chi di ragione al pagamento delle spese, non
avendo contestato l'operatività della polizza assicurativa.
Da ultimo si costituiva nel giudizio la società (…), richiamando le argomentazioni difensive del
prof. S., invocando il rigetto della domanda principale e precisando che il massimale assicurativo
ammontava a lire 1.000.000.000.
In fase istruttoria sono stati acquisiti documenti, nonché espletate prove testimoniali e ctu.
All'esito la causa è stata riservata per la decisione sulle conclusioni formulate dai procuratori delle
parti all'udienza del 24 settembre 2008, con concessione dei termini previsti dall'art.190 c.p.c.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai fini della compiuta valutazione del caso vanno richiamati i principi di legittimità che
disciplinano la responsabilità della struttura sanitaria e del medico nei confronti del paziente.
L'oggetto dell'obbligazione assunta dalla prima non è costituito semplicemente dalla prestazione
medica dei propri dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come "assistenza
sanitaria", oggetto di un contratto atipico, inquadrabile nella categoria della locatio operis.
A carico della struttura sanitaria gravano infatti, prestazioni non solo di diagnosi e cura, ma anche di
tipo organizzativo, connesse all'assistenza post-operatorie, alla sicurezza delle attrezzature, dei
macchinari, alla vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre prestazioni più propriamente
riconducibili al contratto d'albergo (cfr. Cass S.U. n. 577/2008).
L'attività del medico costituisce quindi solo un momento di una più complessa prestazione ed il
danno non sempre è conseguenza dell'errore del singolo operatore, ma talvolta anche del
comportamento di più soggetti.
Tanto comporta, oltre la responsabilità vicaria per il fatto del dipendente, altra diretta per la carente
organizzazione, che può riguardare numerosi aspetti, quali la disponibilità di personale qualificato
ed in numero sufficiente, la sorveglianza sul coordinamento dei servizi, la garanzia sulla salubrità
degli ambienti, la disponibilità di attrezzature di adeguato livello tecnologico, la cui disponibilità sia
esigibile per la natura delle prestazioni ivi offerte.
Il rapporto fra paziente e struttura trova quindi fondamento in un contratto autonomo ed atipico,
definito come contratto di spedalità o contratto di assistenza sanitaria, per il cui inadempimento si
applicano le regole fissate dall'art. 1218 c.c. (si vedano Cass. s.u. n. 9556/2002; Cass. n. 571/2005,
Cass. sez. III, n. 1698/2006; Cass. sez. III, n. 8826/2007).
Conseguentemente la responsabilità dell'ente per il fatto dei propri medici ausiliari si fonda sulla
previsione dell'art. 1228 c.c., in forza del quale il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si
avvale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Al riguardo la Cassazione ha peraltro precisato che è irrilevante che si tratti di una casa di cura
privata o di un ospedale pubblico, in quanto sono sostanzialmente equivalenti a livello normativo
gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi.
In entrambi i casi le violazioni incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale
della costituzione, senza possibilità di limitazione di responsabilità o differenze risarcitorie a
seconda della diversa natura, pubblica o privata della struttura sanitaria (cfr. Cass. S.U. n. 577/2008;
Cass. n. 4058/2005)
Ed ancora la natura della responsabilità della struttura non muta se il paziente si sia rivolto
direttamente ad una struttura sanitaria del servizio sanitario nazionale o convenzionata o se si sia
rivolto ad un medico di fiducia che ha effettuato l'intervento presso una struttura privata, sempre
che il professionista sia inserito nella stessa, in rapporto di dipendenza o di mera convenzione,
supponendo anche la seconda forma di collaborazione una scelta del medico da parte della struttura,
con assunzione del relativo rischio (cfr. Cass. N. 1698/2006).
Quanto alla responsabilità del medico, da circa un decennio la Suprema Corte qualifica la
responsabilità professionale del medico di natura contrattuale, pur fondandola, ove manchi il
rapporto contrattuale diretto, sul solo contatto sociale (cfr. Cass. sez. III, n. 589/'99; id. n.
11488/2004; id. 12362/2006; Cass. sez. III, n. 8826/2007; Cass. S.U. n. 577/2008).
Il contatto sociale è infatti la fonte di un rapporto che non ha ad oggetto la protezione del paziente,
bensì una prestazione che si modella su quella propria del contratto d'opera professionale, in base al
quale il medico è tenuto all'esercizio della propria attività nell'ambito dell'ente con il quale il
paziente ha stipulato il contratto, ad essa ricollegando obblighi di comportamento di varia natura,
diretti a garantire che siano tutelati gli interessi emersi o esposti a pericolo in occasione del detto
contatto e in ragione della prestazione medica da eseguirsi.
In sostanza, in assenza di vincolo, il paziente non può pretendere la prestazione sanitaria dal
medico, ma se il medico in ogni caso interviene, perché tenuto nei confronti dell'ente ospedaliero,
l'esercizio della sua attività sanitaria non può essere differente nel contenuto da quello che ha come
fonte un contratto fra paziente e medico.
Il contatto sociale è fonte quindi di responsabilità contrattuale per non avere il soggetto fatto ciò cui
era tenuto.
Tale inquadramento ha conseguenze importanti sul piano della ripartizione e del contenuto
dell'onere probatorio, nonché sulla disciplina applicabile in tema di prescrizione.
Nell'ambito della responsabilità professionale del medico la giurisprudenza delle sezioni semplici
ha infatti ritenuto che gravi sull'attore, paziente danneggiato che agisce in giudizio deducendo
l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, oltre alla prova del contratto, anche quella
dell'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, nonché la prova del
nesso di causalità fra l'azione o l'omissione del debitore e tale evento dannoso, allegando il solo
inadempimento del sanitario, restando di contro a carico del debitore l'onere della prova di aver
tenuto un comportamento diligente e che l'esito negativo sia stato determinato da un evento
imprevisto ed imprevedibile (cfr. Cass. n. 12362/2006; n. 9085/2006; n. 22894/2005; n.
10297/2004).
In particolare in una recente pronuncia a sezioni unite, relativa ad azione risarcitoria per epatite
contratta a seguito di trasfusione di sangue infetto, l'attore aveva provato il contratto relativo alla
prestazione sanitaria ed il danno, ovvero la patologia epatica, ed aveva allegato, quale inadempienza
dei convenuti, la trasfusione con sangue infetto.
La Suprema Corte ha quindi affermato che competeva ai convenuti provare l'inesistenza
dell'inadempimento o quanto meno l'insussistenza del rapporto di causalità fra l'inadempienza ed il
danno, ad esempio per la preesistenza dell'affezione ed ha ritenuto che violava tali principi la
sentenza di merito, che aveva posto a carico del danneggiato l'onere della prova della preesistente
inesistenza della patologia, evidenziando peraltro come gli accertamenti ematici che avrebbero
dovuto precedere l'intervento e che andavano diligentemente inseriti nella cartella clinica, non
potevano non evidenziare tali dati (Cass. S.U. n. 577/2008).
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da
contatto sociale viene quindi delineato il seguente principio: ai fini del riparto dell'onere probatorio
l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto o contatto sociale e
l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed allegare l'inadempimento del
debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o
che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente
rilevante.
Quanto al nesso di causalità, agli inizi del 2000 prevaleva l'orientamento della certezza, che riteneva
accertato il rapporto di causalità solo in presenza di una legge scientifica che statisticamente
prevedesse che nella totalità o quasi totalità dei casi a quell'antecedente conseguisse quell'esito
(Cass. pen., sez. IV, 1/10/1998 n. 1957).
Più di recente le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno statuito, in tema di reato omissivo, che
non è sufficiente la probabilità statistica per attribuire la causa di un evento ad una determinata
condotta, essendo necessario tenere conto di tutte le caratteristiche del caso singolo che possono
influenzarne l'esito (cfr. S.U. n. 30328/2002).
Tale indirizzo, basato sulla probabilità logica e su soglie elevate di accertamento controfattuale, è
stato inizialmente condiviso dalla III Sezione Civile del Supremo Collegio, che ha affermato il
principio secondo il quale il giudice deve fare una valutazione globale che possa consentire di
arrivare ad un giudizio di elevata credibilità razionale, al di là di ogni ragionevole dubbio, ovvero
compiere un giudizio controfattuale per verificare se, da quell'antecedente, in specie la prestazione
sanitaria colposa, sia derivato quell'esito, sicché nella causalità omissiva, se l'evento non era
comunque evitabile, non si può ricollegare la condotta all'esito negativo che ne è sopravvenuto (cfr.
Cass. n.4400/2004).
Negli ultimi tempi invece la Suprema Corte è ritornata a valutazioni più probabilistiche del nesso
causale in campo civile, ravvisandone la ricorrenza in presenza di "soglie meno elevate di
accertamento controfattuale".
In particolare, nella pronuncia n.7997 del 18/4/2005, la III Sezione Civile della Suprema Corte ha
statuito che la valutazione del nesso causale "va compiuta secondo criteri a) di probabilità
scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se non appare praticabile (o
insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura".
In sostanza l'accertamento del nesso causale, che indica la relazione oggettiva fra comportamento
ed evento, indipendentemente da qualunque giudizio di prevedibilità soggettiva, rilevante ai fini
della diversa valutazione della colpa, va compiuto secondo giudizi probabilistici fondati su leggi
scientifiche ed, in difetto, sulla logica aristotelica secondo cui è probabile quello che avviene nella
maggior parte dei casi.
La sufficienza di soglie meno elevate di accertamento controfattuale è stata poi ribadita anche dalla
pronuncia n. 11755 del 19/5/2006 della III Sezione Civile.
Sull'argomento va richiamata altresì Cass. sez. III, n. 21619/2007, che, con decisa presa di
posizione, fondata su articolate e complesse riflessioni, non solo giuridiche, distingue nettamente il
nesso causale in ambito civile, ispirato alla regola della normalità causale, ovvero al "più probabile
che non", da quello in ambito penale, ove vale il criterio dell'elevato grado di credibilità razionale
che è prossimo alla certezza.
La tematica del nesso causale in tema di responsabilità civile, segnatamente da condotta omissiva, è
stata poi affrontata dalle S.U. con la sentenza n. 576/2008 e le successive n. 581 e 584/2008, nelle
quali è stato ribadito che nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del
più probabile che non".
Si può quindi concludere che l'accertamento del nesso causale in ambito civile va compiuto secondo
criteri di probabilità scientifica e dunque, in caso di divergenze, secondo le ipotesi aventi maggiore
validità scientifica, ed, ove le stesse non siano esaustive, secondo criteri di probabilità logica, tesa a
chiarire se, probabilmente, ovvero secondo quello che accade nella gran parte dei casi, l'evento si
sarebbe avverato anche se il comportamento omesso fosse stato posto in essere.
Nel caso in esame, dalla documentazione prodotta e dall'accertamento tecnico è emerso che l'attrice,
operatasi di cataratta all'occhio sinistro nell'ottobre '97 con buon recupero visivo, il 13 novembre
1997 si ricoverò presso la casa di cura (…), ove fu sottoposta, il giorno successivo, ad analogo
intervento all'occhio destro, eseguito sempre dal prof. S.
Nella notte, accusando forte dolore, fu eseguito controllo che evidenziò una compromissione del
visus.
Sottoposta ad intervento chirurgico di paracentesi, ovvero di pulizia della camera anteriore
dell'occhio, con iniezione di soluzione di Gentamicina, il 16 novembre fu trasferita presso l'(…) di
Bari.
L'esame obiettivo eseguito presso la detta unità evidenziò infiltrazioni della cornea e la non
esplorabilità dell'iride, della pupilla e del cristallino, con il visus ridotto alla percezione della luce.
Il 17 novembre la paziente fu quindi sottoposta ad intervento per la rimozione di materiale mucopurulento, ad iridectomia superiore, vitrectomia anteriore ed immissione di soluzioni antibiotiche.
All'atto delle dimissioni volontarie la cornea mostrava una sutura nel settore temporale superiore,
mentre le restanti strutture risultavano non esplorabili.
Gli esami colturali di umore acqueo e tampone oculare dell'occhio destro eseguiti il 15 novembre
1997 e due giorni dopo evidenziavano la presenza del batterio Pseudomonas aeruginosa, con carica
batterica 1.000.000.
Dopo aver seguito terapia medica ospedaliera e domiciliare, all'attrice, constatata la progressiva
riduzione dell'occhio destro, è stata applicata una protesi oculare presso altra struttura.
Dall'esame obiettivo del ctu è risultato che la protesi oculare, impiantata nella cavità dell'occhio
destro, di tipo fisso, è sufficientemente tollerata, pur con secrezione catarrale.
Quanto alla causa dell'infelice esito dell'intervento, va condiviso il giudizio del consulente d'ufficio
in ordine in ordine alla correttezza scientifica ed alla perizia dell'intervento di rimozione chirurgica
della cataratta, eseguito dal prof. S., perché ampiamente e logicamente motivato nelle pagine da 12
a 14 della relazione del 4 agosto 2007, confermato dagli accertamenti tecnici svolti nel
procedimento penale avviato per i medesimi fatti e non oggetto di specifiche censure delle parti.
Ha di contro osservato il ctu che l'evento lesivo fu cagionato da un'infezione ospedaliera, nella
specie dal batterio Pseudomonas aeruginosa, il più comune batterio gram negativo, particolarmente
resistente agli antibiotici, la cui azione, repentina e devastante, causa di formazioni emorragiche e
necrosi del tessuto in 24 ore, può provocare la distruzione della cornea nel giro di poche ore.
Il giudizio va condiviso perché, incontestata la valutazione degli effetti dell'infezione, la presenza
del batterio è confermata dagli esami colturali effettuati il 15 novembre 1997 e ripetuti il successivo
17 novembre 1997.
Al fine dell'accertamento del nesso causale e della responsabilità dei convenuti deve pertanto
accertarsi se i convenuti abbiano omesso condotte, cui erano tenuti contrattualmente o per contatto
sociale, la cui puntuale attuazione avrebbe potuto evitare l'evento dannoso, ovvero l'infezione da
batterio Pseudomonas aeruginosa, causa in ultima analisi della perdita dell'occhio destro.
Va osservato al riguardo che la diligente sterilizzazione dell'ambiente ospedaliero, della sala
operatoria, dei luoghi di degenza e delle attrezzature costituisce obbligo precipuo della casa di cura,
obbligata, in virtù del riferito contratto di spedalità, ad offrire ambienti salubri ed attrezzature
conformi ai parametri della scienza e tecnica medica.
Tale obbligo nel caso di specie trova fondamento nel contratto intercorso fra la I. e la casa di cura
(…), comprovato dall'accettazione e dal ricovero della paziente nella struttura, di cui vi è in atti
ampia prova documentale (cfr. doc. 2 dell'attrice con le condizioni generali di accettazione e fattura
quietanzata prodotta dall'attrice e dall' (…).
Va peraltro osservato che, derivando l'evento dannoso, non già da negligente esecuzione della
prestazione professionale principale del medico, quale l'intervento chirurgico, bensì da obbligo
gravante in linea principale sulla struttura sanitaria, l'eventuale rapporto fiduciario dell'attrice con il
professionista non è invocabile al fine di escludere la legittimazione passiva dell' (…).
Orbene, il prof. S. eseguì l'intervento avvalendosi sia di strumenti chirurgici monouso e sia di
ulteriore strumentazione custodita presso la casa di cura (…), cui era demandata la manutenzione e
la sterilizzazione, dettagliatamente indicata nel capitolo 5 della memoria istruttoria del 16/2/2004.
Tale circostanza è stata infatti confermata dall'infermiera O.O. e dal dott. D., presenti all'intervento,
nonché dai testi F. e L.B., il primo responsabile del reparto di chirurgia all'epoca di esecuzione
dell'intervento, il secondo Direttore Sanitario della Clinica sino all'1/11/1997, i quali riferendo delle
procedure di sterilizzazione adottate dalla casa di cura hanno confermato l'impiego di kit monouso e
di strumenti riutilizzabili e sterilizzati.
Da ultimo il dott. G.A., aiuto del medico convenuto, presente all'intervento, ha confermato, non solo
l'impiego di strumenti del tipo monouso e non, questi ultimi sterilizzati dalla casa di cura, ma anche
la profilassi di prevenzione delle endoftalmiti con sterilizzazione del campo operatorio e la
copertura antibiotica dalla fase preparatoria dell'intervento sino al momento delle dimissioni,
cautela questa non sufficiente tuttavia per scongiurare il rischio di infezione per la particolare
resistenza del batterio agli antibiotici.
Nulla di nuovo ha aggiunto infine la teste D.L., strumentista del prof. S. nella sala operatoria, che
pur non riferendo nulla di specifico sulle modalità dell'intervento della I., ha confermato la
predisposizione di kit, costituiti da bisturi monouso e da strumenti riutilizzati previa sterilizzazione,
nonché l'impiego di colliri e di Iodio P. quale disinfettante nel sacco congiuntiva.
In ordine invece alle procedure di sterilizzazione degli ambienti e delle attrezzature seguite dalla
casa di cura, dalla prova testimoniale è emerso che la clinica seguiva di consueto le seguenti
cautele: 1) disinfestazione e sterilizzazione delle sale operatorie nel giorno precedente ed in quello
successivo ad ogni seduta operatoria; 2) esecuzione in sale operatorie separate degli interventi a
rischio di inquinamento batterico; 3) campionamento dell'aria delle sale operatorie; 4)
sterilizzazione delle attrezzature chirurgiche mediante autoclavi; 5) sostituzione delle parti
intercambiabili delle attrezzature; 6) sterilizzazione dei sets di intervento.
Tale metodica è stata confermata, quale prassi della clinica, dai testi F., responsabile della sala
operatoria dal 1998 e che ha dichiarato di avere "continuato" ad osservarla allorché assunse il
relativo incarico, dal teste L.B., Direttore Sanitario sino al novembre 1997, e dal teste T.,
responsabile del raggruppamento chirurgico dell'(…) e, dal dicembre '97, direttore sanitario della
stessa.
Deve di contro escludersi che la bontà delle operazioni di disinfestazione e di sterilizzazione fosse
garantita da piastre e posizionamenti di idonei terreni di coltura e che solo in caso negativo si desse
corso all'intervento, poiché, come esposto nella memoria istruttoria, la sterilizzazione e la
disinfestazione venivano eseguite il giorno prima dell'intervento, mentre la crescita dei germi nei
terreni di coltura, come riferito dal teste F., necessitava di tre giorni, sicché il sistema non si
prestava ad un controllo quotidiano, in caso di impiego intensivo della sala, ma forniva solo
conferme dei risultati desunti da altri metodi di controllo della sterilizzazione.
In ordine quindi ai controlli della qualità delle operazioni di disinfestazione e sterilizzazione, la casa
di cura ha prodotto certificati di campionamenti di aria eseguiti presso le sale operatorie, nei giorni
13/11/'97, 12/2/1998 e nei successivi mesi di giugno, ottobre, novembre e dicembre 1998, da
incaricati dell'Istituto di Igiene presso l'Università degli Studi di Bari.
In particolare il documento distinto come allegato 1 della memoria istruttoria del 20/2/2004 indica i
risultati dei campionamenti delle sale eseguiti il 13/11/'97, segnalando la carica microbica totale ed
escludendo espressamente la presenza di Staphylococcus aureus e di Pseudomonas aeruginosa.
Il certificato del 12/2/'98 conferma invece l'idoneità del processo di sterilizzazione e funzionalità
dell'autoclave del reparto operatorio.
Gli ulteriori allegati attestano l'esito negativo dei campionamenti dell'aria delle sale operatorie,
eseguito a campione nei mesi successivi.
Secondo i principi di legittimità innanzi richiamati incombeva alla casa di cura la prova
dell'inesistenza dell'inadempimento, ovvero di aver disinfettato e sterilizzato con successo la sala e
le apparecchiature, od in alternativa la prova dell'inesistenza del rapporto di causalità fra
l'inadempimento ed il danno, per la preesistenza dell'infezione (cfr. Cass. S.U. n. 577/2008).
Tale onere probatorio non è stato adeguatamente assolto, posto che la comprovata prassi di
disinfestazione e sterilizzazione non dimostra di per sé l'efficace conseguimento del risultato, di cui
la casa di cura ha offerto verifiche a campione.
L'esclusione del batterio incriminato nel campionamento dell'aria del 13/11/1997, documento
peraltro meramente assertivo, non implica del resto l'inesistenza di diverse fonti di contaminazioni,
atteso che il batterio pseudomonas aeruginosa, prediligendo substrati umidi può essere veicolato da
acqua, lavandini, zone umide della cute, saliva o da strumenti ed apparecchiature ospedaliere e
l'effettiva bontà delle sterilizzazioni delle attrezzature non è stata in alcun modo documentata.
In sostanza la mancata dimostrazione della preesistenza dell'infezione nella persona dell'attrice,
l'accertata causazione del danno ad opera dell'agente patogeno, particolarmente diffuso in ambito
ospedaliero, nonché la mancata dimostrazione della, non già effettiva, bensì efficace sterilizzazione
delle attrezzature, induce ad affermare che la convenuta Anthea non abbia provato d'aver
esattamente adempiuto all'obbligo di porre a disposizione dell'attrice attrezzature idonee a non
provocare l'evento dannoso, nella specie la complicanza infettiva conseguita all'intervento cui fu
sottoposta il 14 novembre 1997.
Tale conclusione è di per sé esaustiva ai fini dell'affermazione di responsabilità della clinica.
Va peraltro osservato che la responsabilità della casa di cura non potrebbe escludersi neppure
nell'eventualità, comunque non provata ed escludente il rapporto causale fra inesatta sterilizzazione
della sala o delle attrezzature ed evento dannoso, della veicolazione del batterio tramite il personale
dell'equipe operatoria, in conseguenza di negligenze igieniche o del mancato uso di mascherine e
guanti, atteso che tali inadempienze, in quanto riconducibile al personale che nella struttura operava
quanto meno in forza di convenzione e dunque di scelta della struttura sanitaria per l'esecuzione
della prestazione offerta alla paziente, ricadrebbero anche sulla clinica per il disposto dell'art. 1228
c.c.
Non è infatti sostenibile che l' (…) fosse obbligata alla sola messa a disposizione della sala
operatoria e della stanza di degenza, poiché il modulo contrattuale sottoscritto dalla I. all'atto del
ricovero, redatto su carta intestata della convenuta, indica tra le voci del corrispettivo oneri forfettari
di intervento di lire 1.500.000, pur escludendo gli onorari dell'equipe operatoria, circostanza dalla
quale si evince che la clinica privata non si limitava ad offrire il mero godimento di ambienti
sanitari attrezzati, ma offriva una prestazione complessa, pur con la corresponsione di compensi
aggiuntivi al personale medico.
Non può infine dubitarsi che il prof. S. eseguisse interventi nella clinica in virtù di convenzione con
la stessa, sicché egli non ha operato come cooperatore della paziente, che avrebbe fornito alla casa
di cura il mezzo per l'adempimento della prestazione operatoria, in quanto la quotidiana
collaborazione è emersa quanto meno dalla deposizione del teste T., il quale ha riferito che tutte le
mattine un collaboratore medico del prof. S. controllava nella struttura l'accurata sterilizzazione dei
ferri.
Da ultimo la più che probabile certezza dell'insorgenza dell'infezione nell'ambiente ospedaliero
trova ulteriore logico riscontro nel fatto, emerso dalla relazione dei consulenti del P.M. e
confermato dai testi M.G. e M.E., che anche nel paziente F.A., operato di cataratta nel medesimo
giorno, si manifestò una endoftalmite, cagionata dal medesimo agente batterico.
Quanto alla responsabilità del chirurgo, nell'atto introduttivo del giudizio l'attrice ha allegato i
seguenti inadempimenti del medico: la violazione dell'obbligo di informazione circa i rischi
dell'operazione di cataratta, in relazione alla contrazione di infezioni, al fine di consentirle di
valutare la necessità dell'intervento o l'opportunità di un differimento dello stesso; il ritardo colposo
nell'individuazione della forma patogena causa del danno e nella diagnosi dell'endoftalmite; il
conseguente ritardo nell'attuazione di cure necessarie per attenuare gli effetti pregiudizievoli
dell'infezione.
In ordine al secondo ed al terzo profilo va osservato che il batterio che ha colpito la sig.ra I.,
secondo i rilievi del ctu, particolarmente resistente agli antibiotici, ha un'azione repentina e
devastante, in quanto attacca e distrugge la cornea anche in poche ore.
Tanto induce a credere che, avendo la paziente avvertito i sintomi dolorosi dell'infezione nella notte
successiva all'intervento, dopo 4 o 5 cinque ore di distanza dallo stesso, l'esecuzione dell'intervento
di pulizia dell'occhio non sia stato effettuato in ritardo e non avrebbe potuto scongiurare il processo
infettivo, né l'evento dannoso ormai in corso.
Al riguardo va peraltro osservato che anche i consulenti tecnici nominati dal P.M. nel corso delle
indagini preliminari confermano nella loro relazione che l'evoluzione dell'infezione varia in base
alla virulenza dei germi e può verificarsi anche in poche ore e che, avvenuta la perforazione,
l'occhio va in atrofia.
Non potendosi dunque affermare con ragionevole certezza scientifica o probabilità logica che il
fenomeno degenerativo irreversibile non fosse iniziato allorché la sig.ra I. nella notte segnalò la
sintomatologia dolorosa, non può addebitarsi al chirurgo alcun ritardo nell'attuazione delle ulteriori
prestazioni terapeutiche e chirurgiche.
Quanto invece all'assunta violazione dell'obbligo del consenso informato, il medico ha il dovere di
informare il paziente sulla natura dell'intervento, sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle
possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, perché tale informazione è condizione
indispensabile per la validità del consenso al trattamento chirurgico, diversamente inficiato dalla
previsione degli artt. 32, comma II, e 13 Cost., che rispettivamente vietano trattamenti sanitari
obbligatori, se non nei casi previsti dalla legge, e sanciscono l'inviolabilità della libertà personale.
Secondo la Corte Suprema inoltre ricorre la violazione dell'obbligo del consenso informato, non
soltanto quando il medico ometta le dovute informazione, bensì anche quando sottoponga al
paziente un modulo generico, dal quale non possa desumersi con certezza che il paziente abbia
ottenuto informazioni esaustive (cfr. Cass. Sez. III n.24791/2008).
Quanto alle modalità, rileva ai fini dell'adempimento dell'obbligo, non già la mera sottoscrizione del
relativo modulo, quanto l'effettiva segnalazione al paziente e comprensione da parte di questi della
natura, dei rischi e delle controindicazioni della prestazione sanitaria, adeguata al grado di cultura e
più in generale alla condizione del destinatario della comunicazione, con l'ulteriore conseguenza
che anche il documento contenente dettagliata descrizione dell'intervento e delle complicanze può
non risultare esaustivo qualora all'interessato, di modeste competenze, non siano state fornite anche
semplici e comprensibili spiegazioni.
Nel caso di specie il documento prodotto dalla casa di cura, denominato "modulo di informazione e
consenso all'atto medico" risulta formulato in maniera generica, atteso che in esso la I. da atto di
aver ricevuto informazioni sulle procedure diagnostiche, mediche e chirurgiche per la patologia
riscontrata, sulle variazioni necessarie, sul tipo di anestesia e sulle tecniche anestesiologiche
necessarie, sul grado di rischio, sugli obiettivi, gli eventuali rischi e le prevedibili conseguenze
menomanti, nessuna delle quali specificamente segnalata.
Il modulo è dunque astrattamente utilizzabile per qualsivoglia atto medico-chirurgico.
In ordine quindi alla natura dell'operazione eseguita, ai suoi rischi e complicanze, secondo la
documentazione tecnica prodotta la cataratta costituisce un'affezione del parenchima lenticolare del
cristallino e si caratterizza per una riduzione dell'acutezza visiva centrale.
Il trattamento chirurgico consiste nell'asportazione integrale o quasi del cristallino pacato ed è
indifferibile quando l'evoluzione della cataratta minaccia di complicarsi in glaucoma o uveite
secondari.
Al di fuori di queste ipotesi l'intervento impone un'attenta valutazione del grado di riduzione
dell'acutezza visiva e della visione periferica.
Le complicanze dell'operazione di cataratta dipendono dal metodo d'intervento e consistono in
perdita di vitreo, edema corneale, infezioni endobulbari.
L'endoftalmite insorta nella I. costituisce un evenienza dell'intervento sul bulbo oculare ed in
particolare dell'estrazione della cataratta, durante la quale i batteri possono essere veicolati nella
cavità attraverso la ferita dai molteplici elementi di trasmissione innanzi richiamati.
L'inserzione del cristallino artificiale nell'intervento di cataratta consente quindi, ove l'intervento
venga eseguito con successo, un notevole miglioramento della capacità visiva e tuttavia non è
scevro dal pericolo di penetrazione di germi nell'occhio attraverso la ferita chirurgica, di modeste
dimensioni e tuttavia necessaria anche nella tecnica impiegata dal prof. S., con conseguenti gravi
rischi, nonostante la diligente esecuzione dell'intervento e la puntuale profilassi antibiotica.
Va tuttavia rilevato che la violazione del consenso informato è fonte di obblighi risarcitori nella sola
eventualità che il paziente danneggiato deduca e dimostri che, se correttamente informato dei rischi
dell'atto medico, avrebbe opposto rifiuto allo stesso.
Nel caso di specie l'attrice non ha provato tale evenienza e le circostanze del caso inducono ad
escluderla.
Va infatti considerato al riguardo che la sig.ra I. solo un mese prima si era sottoposta con successo
ad intervento di cataratta sull'occhio sinistro, eseguito sempre dal prof. S.
Dall'anamnesi del ctu risulta altresì che la paziente, affetta da miopia elevata, a seguito di un
progressivo calo visivo, interessante entrambi gli occhi, si era rivolta al professionista, che le aveva
diagnosticato una cataratta bilaterale.
Il felice esito del primo intervento e la prospettiva della perdita quasi totale del visus inducono
pertanto a ritenere fondatamente che la I., pur se informata dei rischi infettivi, non avrebbe rifiutato
l'intervento.
Al riguardo va infine considerato che la violazione del diritto all'autodeterminazione del paziente è
priva nel caso di specie di valenza risarcitoria, atteso che il danno non patrimoniale, biologico e
morale, e quello patrimoniale riconoscibili per il peggioramento della salute dell'attrice, esauriscono
le poste risarcitorie, assorbendo anche il minor danno del peggioramento dello stato di salute
conseguente all'omessa adeguata informazione.
Per tali ragioni va affermata la responsabilità dell'Anthea s.r.l. in relazione ai danni subiti dall'attrice
in occasione dell'intervento del 14 novembre 1997 ed esclusa quella del medico, con conseguente
rigetto della domanda proposta dall'attrice nei confronti dello S. e dell'azione di rivalsa della casa di
cura nei confronti del professionista.
In ordine quindi alla natura ed entità dei danni al cui risarcimento è tenuta l'Anthea, le SS.UU. delle
Suprema Corte hanno affermato recentemente che l'inadempimento delle obbligazioni contrattuali
se cagiona, oltre la violazione di obblighi di rilevanza economica, la lesione di diritti inviolabili
della persona del creditore, comporta il risarcimento del danno non patrimoniale, senza necessità di
ricorrere all'espediente del cumulo delle azioni, contrattuale ed extracontrattuale, la seconda esperita
per la previsione normativa di rinvio dell'art.2059 c.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 26972/2008).
Secondo tale pronuncia, l'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si evince dalle norme
che prevedono la relativa tutela, nella specie l'art. 185 c.p., che stabilisce la risarcibilità del danno
patrimoniale e non patrimoniale conseguente al reato, dalle leggi ordinarie che prevedono il
risarcimento dei danni non patrimoniali e dalle norme costituzionali che contemplano diritti
inviolabili della persona.
Nell'ambito dell'art. 2059 c.c. è compreso il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute,
denominato danno biologico, definito dagli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209/2005 quale lesione
temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento
medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico
relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente dalle eventuali ripercussioni sulla sua
capacità di produrre reddito, comprensivo pertanto del c.d. danno estetico e del danno alla vita di
relazione.
Ed ancora rientra nel danno non patrimoniale, ove l'illecito configuri reato, la sofferenza morale,
intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata, ovvero il turbamento dell'animo senza
conseguenze patologiche, diversamente rientranti nella categoria del biologico.
Quanto ai diritti inviolabili della persona, salvaguardati dalla costituzione, rilevano in ambito
sanitario quale ulteriore danno non patrimoniale la lesione del diritto inviolabile
all'autodeterminazione, da cui discende il divieto di sottoposizione a trattamenti sanitari obbligatori
e l'obbligo di acquisizione del consenso informato, beni salvaguardati dal secondo comma dell'art.
32.
Nel caso di specie ed in relazione ai danni conseguenza dell'inadempienza della casa di cura,
l'attrice ha provato d'aver patito in primo luogo rilevante danno biologico.
Al riguardo infatti il ctu ha accertato che l'infezione ospedaliera ha cagionato un indebolimento
della funzionalità visiva dell'attrice, in soggetto già portatore di deficit visivo ed una riduzione
dell'efficienza estetica, con implicazioni sulla sua vita di relazione.
Il danno biologico è stato quindi congruamente stimato in 20 giorni di inabilità temporanea assoluta
e 30 giorni di inabilità temporanea parziale.
Il danno permanente è invece pari al 50%.
Quanto alla patologia psico-afflittiva di tipo depressivo, ai sensi dell'art. 1223 c.c. il risarcimento
del danno per l'inadempimento deve comprendere la perdita subita ed il mancato guadagno che
siano conseguenza immediata e diretta.
Nel caso di specie, se la lesione dell'integrità fisica costituisce conseguenza immediata e diretta
dell'infezione ospedaliera, non può pervenirsi alla medesima conclusione per la patologia psichica,
atteso che, salva l'intensa e duratura sofferenza soggettiva e la maggiore gravità del danno
biologico, nelle sue componenti dinamico-relazionali, la patologia psicologica costituisce
eventualità ulteriore, che risente della condizione del danneggiato, non compresa nel novero dei
danni risarcibili secondo la teoria della regolarità causale.
Quanto ai criteri di liquidazione, questo Tribunale, al fine di assicurare uniformità di orientamenti
nel risarcimento del danno non patrimoniale, segue il sistema delle cc.dd. "Tabelle Milanesi", che
prevedono la liquidazione del danno biologico, nei suoi aspetti statici e dinamici, secondo il metodo
a punti, per valori rapportati all'età del danneggiato ed alla percentuale d'invalidità, e del danno non
patrimoniale, diverso dal biologico, in misura variabile da 1/4 ad 1/2 del medesimo, aumentabile
sino ai 2/3 in presenza di significative compromissioni di interessi costituzionalmente protetti,
diversi dal diritto alla salute.
Per tali ragioni il danno biologico temporaneo, riconosciuto nelle tabelle nell'importo giornaliero di
euro 67,36 se totale, va determinato in euro 1.347,20 (euro 67,36 x 20 gg.) per l'inabilità
temporanea totale ed in euro 1.010,40 (euro 33,68 x 30 gg) per l'inabilità temporanea parziale.
Il danno biologico permanente, in relazione all'età dell'attrice, all'epoca di 57 anni, ed al grado di
invalidità, va quindi liquidato, secondo le richiamate tabelle in euro 195.113,00.
L'importo totale liquidato a titolo di danno biologico, temporaneo e permanente, pari ad euro
197.470,60 e devalutato alla data dell'illecito del novembre 1997 in euro 163.658,21, va quindi
aumentato di 1/3 per il risarcimento del danno morale soggettivo, così riconosciuto in via equitativa
in considerazione del lungo periodo di accertamenti, visite ed interventi cui l'attrice si è dovuta
sottoporre, oltre ai controlli futuri ai quali non potrà sottrarsi, nonché in ragione dell'intensa
sofferenza cagionata dal mutato aspetto estetico, ancor più avvertita dalla I. per la sua attività
lavorativa, implicante continui contatti con il pubblico.
Tale danno non può del resto escludersi in virtù dell'esito del procedimento penale, poiché suppone
in sede civile esclusivamente l'accertamento degli elementi oggettivi del reato, nella specie la
fattispecie delle lesioni colpose, il cui positivo accertamento consegue al diverso regime probatorio
dell'esatto adempimento e del nesso causale nel giudizio civile instaurato dal danneggiato (cfr. Cass.
S.U. n. 576/2008).
Il danno non patrimoniale, biologico e morale, va quindi riconosciuto in complessivi euro
218.210,95, oltre al danno da svalutazione monetaria, determinato secondo gli indici istat, ed agli
interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dal 14/11/1997 al soddisfo.
Quanto al danno patrimoniale, l'attrice ha documentato spese per le prestazioni sanitarie della
clinica e dell'equipe, per prestazioni terapeutiche e chirurgiche, per medicine, viaggi e soggiorni,
per il richiesto importo di euro 8.067,92.
Va altresì riconosciuto il diritto al rimborso delle spese per la futura sostituzione della protesi,
ritenuta necessaria dal ctu, congruamente quantificabile in base alle ricevute di spesa della prima ed
ai prevedibili oneri di viaggio in euro 2.500,00.
Di contro, per le ragioni innanzi espresse l'abbandono dell'attività nell'impresa familiare,
riconducibile a scelte personali ovvero alle sofferenze psicologiche, non costituisce conseguenza
diretta dell'evento dannoso, non avendo i postumi permanenti influenza diretta sulla capacità
lavorativa specifica dell'attrice, sicché va negato il diritto al risarcimento di tale voce.
Il danno patrimoniale ammonta pertanto ad euro 10.567,92, oltre alla rivalutazione monetaria,
secondo gli indici istat, ed agli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dalla domanda al
soddisfo.
Affermata pertanto la responsabilità dell' (…) s.r.l. in ordine ai danni riportati dall'attrice a seguito
dell'intervento chirurgico del 14/11/1997, la detta convenuta va condannata al pagamento delle
somme di cui innanzi in favore della I.
In accoglimento della domanda di rivalsa la (…) va quindi condannata al rimborso, in favore dell'
(…) s.r.l., delle somme che l'assicurata verserà all'attrice in virtù della presente pronuncia.
Le spese sostenute dall'attrice, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della convenuta
soccombente.
Le spese di difesa dei convenuti vanno egualmente poste a carico delle rispettive società
assicuratrici, come da dispositivo, fondandosi la chiamata su incontestata copertura assicurativa.
L'esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese fra la (…) s.r.l. ed lo S. in relazione alla
chiamata in garanzia della prima, e fra l'attrice ed il convenuto S.
P.Q.M.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da I.M., con citazione del 1517/5/2002, nei confronti dell'Anthea s.r.l. e di S.C., nonché sulle domande di rivalsa proposte
dall'Anthea s.r.l. nei confronti della Società Reale Mutua di Assicurazioni s.p.a. e di S.C., con
citazione del 15-16/7/2002 e da S.C. nei confronti della società Generali Assicurazioni s.p.a., con
citazione del 17/9/2002, così provvede:
1) in accoglimento della domanda dell'attrice, dichiara l'(…) s.r.l responsabile dei danni subiti in
occasione dell'intervento eseguito il 14/11/1997;
2) condanna l' (…) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al risarcimento dei danni
in favore dell'attrice, liquidati come segue: a) euro 218.210,95, per danno non patrimoniale,
biologico e morale, oltre al danno da svalutazione monetaria, determinato secondo gli indici istat,
ed agli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata dal 14/11/1997 al soddisfo; b)
euro.10.567,92 per danno patrimoniale, oltre alla rivalutazione monetaria, secondo gli indici istat,
ed agli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, dalla domanda al soddisfo;
3) rigetta la domanda avanzata dall'attrice nei confronti di S.C.;
4) condanna l'(…) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al rimborso delle spese
processuali in favore dell'attrice, liquidate complessivamente in euro 16.099,06, di cui euro
1.099,06 per esborsi, oltre spese generali, nonché cap ed iva se e come per legge;
5) condanna la (…) s.p.a. al rimborso in favore dell' (…) s.r.l. delle somme che la stessa pagherà
all'attrice in forza dei punti 2) e 4) del presente dispositivo, nonché al rimborso delle spese di difesa,
liquidate in euro 15.931,49, di cui euro 31,49 per esborsi, oltre spese generali, nonché cap ed iva se
e come per legge;
6) condanna la società (…)s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al rimborso, in
favore di S. C., delle spese di difesa, liquidate in euro 15.984,47, di cui euro 84,47 per esborsi, oltre
spese generali, nonché cap ed iva se e come per legge;
7) compensa le spese fra l' (…) s.r.l. e S.C. in relazione alla domanda di garanzia;
8) compensa le spese processuali fra l'attrice e S.C.
Bari, 9/3/2009
Giudice Raffaella Simone
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