Anno C
5ª DOMENICA DI QUARESIMA
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Is 43,16-21 - Ecco, faccio una cosa nuova e darò acqua per
dissetare il mio popolo.
Salmo 125 - Rit.: Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Fil 3,8-14 - Per Cristo, tutto io reputo una perdita, diventando a
lui conforme nella morte.
Canto al Vangelo - Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio! Io non
voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Gloria a
te, o Cristo, Verbo di Dio!
Gv 8,1-11 - Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra
contro di lei.
La giustizia derivante dalla fede in Cristo
L’Apostolo potrebbe con più ragioni dei predicatori del giudaismo
gloriarsi della circoncisione e delle prerogative della nazione giudaica,
ma egli disprezza tutte queste cose per possedere la giustizia di Gesù
Cristo. Non crede tuttavia con questo di essere arrivato alla
perfezione, ma avanza continuamente e a grandi passi verso la mèta
alla quale lo chiama Gesù Cristo.
La sublime conoscenza di Cristo (vv. 8-9)
S. Paolo reputa le credenze giudaiche come spazzatura di fronte alla
conoscenza di Gesù Cristo. Questa conoscenza di Cristo non è solo
intellettuale, ma pratica e unitiva.
L’Apostolo completa e spiega il suo pensiero con le parole: “al fine di
guadagnare Cristo”. Per lui quindi conoscere Cristo equivale a
possederlo; essere in mistica unione con la vita di lui ed essere ornati
di una giustizia che non è quella farisaica, frutto dello sforzo
personale nell’osservanza della legge, ma che deriva dalla fede in
Cristo: giustizia donata da Dio all’uomo e che ha la fede come
fondamento.
Il richiamo al passato giudaico dell’Apostolo gli offre l’occasione per
una definizione delle due giustizie: una che deriva dalla legge, l’altra
che è dono di Dio per la fede in Cristo.
Questa prospettiva è ampiamente sviluppata nelle lettere ai Galati e
ai Romani.
La giustizia che deriva da Dio ci viene comunicata dallo Spirito Santo
mediante i meriti di Gesù Cristo. La giustizia legale invece non è se
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non esteriore e umana, fondata solo sopra le opere dell’uomo; essa
giustifica solo dinanzi agli uomini.
La speranza nella risurrezione (vv. 10-11)
Conoscere e guadagnare Cristo significa essere introdotti in eventi
passati la cui presenza rimane attiva. La potenza della sua
risurrezione è probabilmente la potenza divina che ha risuscitato
Cristo da morte e continua a manifestarsi nel condurre i credenti alla
salvezza e alla risurrezione finale.
La risurrezione di Cristo rimane attuale, e il cristiano vi partecipa
realmente così come partecipa alle sue sofferenze e alla sua morte
con la spoliazione, la lotta ed eventualmente il martirio.
Quando noi patiamo per Cristo e nello spirito di Cristo siamo fatti
partecipi dei patimenti di Cristo, diventiamo simili a lui e con lui veri
crocifissi. C’è cosa più onorevole? Di più, egli ci applica i meriti della
sua passione e della sua morte. C’è cosa più vantaggiosa?
La configurazione alla morte di Cristo, che è il punto finale dell’assimilazione terrena col Signore, condurrà il cristiano, come già Cristo
stesso, alla risurrezione dai morti; l’esistenza del cristiano dunque
inizia e termina con la risurrezione, prima sacramentale e poi
integrale, ma al centro sta ineluttabile la croce. “Per mezzo dei
patimenti Cristo è entrato nella sua gloria; per mezzo dei patimenti
un cristiano entrerà nella gloria di Cristo”.
Corsa verso la mèta per arrivare al premio (vv. 12-14)
S. Paolo è cosciente di essere stato oggetto di grazia, ma sa che
questo non deve costituire un pretesto per evitare ogni sforzo. Con
un’immagine presa dai giochi dello stadio, confessando umilmente di
non aver ancora raggiunta la perfezione, egli dice che continua la
corsa, proteso con tutte le sue energie verso la mèta, per
conquistarla come egli è stato conquistato sulla via di Damasco
dall’onnipotente grazia di Dio.
Si rivolge poi ai Filippesi chiamandoli con l’appellativo di “fratelli” per
rendere più diretta e confidenziale la dichiarazione del suo proposito
di tendere al premio.
Questo è il suo atteggiamento spirituale: non tener conto del
cammino compiuto e impegnare tutte le proprie forze, come l’atleta
che contempla ormai vicino il traguardo, correndo al premio della
chiamata celeste; il cielo è il termine a cui Dio lo chiama per mezzo di
Cristo Gesù.
S. Paolo era tutto acceso dal desiderio della sua perfezione; questo è
l’unico affare che aveva nella mente; da esso non allontanava mai gli
occhi, ad esso indirizzava ogni suo sforzo.
Riflessioni pratiche
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Sull’esempio di s. Paolo non limitiamoci all’osservanza esterna della
legge ma curiamo soprattutto il vero bene, che è la fede in Cristo.
Accogliamo con pazienza le sofferenze perché esse ci rendano
partecipi della croce e della gloria di Cristo. Corriamo come gli atleti
verso la perfezione, tenendo fissi gli occhi unicamente alla corona di
gloria che ci è preparata.
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