Anno A
21ª DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
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Is 22,19-23 - Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide.
Dal Salmo 137 - Rit.: Nella tua bontà, Signore, non abbandonarmi.
Rm 11,33-36 - Da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Alleluia.
 Mt 16,13-20 - Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli.
«Tu sei il Cristo... Tu sei Pietro...»
Facendo eco al profeta Isaia (40,13.14): «Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?», l’apostolo, commenta il Crisostomo, risale fino ai tempi più remoti e contempla
il disegno divino dalla creazione del mondo fino al presente, e riflettendo con quale
varietà ha disposto ogni cosa, è preso da stupore ed erompe in questa esclamazione.
Potremmo riferire tale pensiero anche alla Chiesa, ricordando particolarmente le lettere
agli Efesini e ai Colossesi. Così questa lettera ci prepara al racconto del Vangelo. Ma la
domanda che si pone Paolo non può non essere motivo di trepidazione per chi ha la
missione di annunziare la parola di Dio. «Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del
Signore?». Nessuno, certamente, fra gli uomini. Eppure, predicare vuol dire esporre ai
fratelli «il pensiero del Signore». Poveri noi se pretendessimo che si ascolti e si accetti
quello che pensiamo noi, piccole e deboli creature, soggette all’ignoranza e all’errore! Ma
se cerchiamo, con l’aiuto di Dio – quante volte s. Agostino ripete questa espressione:
«adiuvante Deo», all’inizio delle sue prediche – di attenerci fedelmente alla parola della
Bibbia, proposta via via nel ciclo liturgico, dobbiamo avere fiducia e chiedere attenzione
e fede in chi ci ascolta. Oggi siamo invitati a rispondere a due domande. Sono su un piano
diverso, ma esigono entrambe una risposta.
Chi è Gesù?
Nel racconto del Vangelo, è lui, il Maestro, che pone ai discepoli questa domanda, formulata successivamente in due modi, nell’attesa dell’unica vera risposta. Prima vuol
sapere cosa dice di lui la gente; ma non si ferma alle risposte diverse che sente dai dodici,
e incalza: «Voi chi dite che io sia?». C’era un motivo occasionale per porre questa
domanda. Gesù stava per annunciare la sua prossima passione e morte e voleva
preparare i discepoli alla rivelazione di questo grande mistero, che, com’era prevedibile,
li avrebbe sconcertati. Perciò voleva confermarli nella fede in lui, necessaria per non
soccombere, come dirà più tardi, alle tentazioni.
Ma la domanda partiva anche da una necessità di fondo. Quella che sarà indicata da Gesù
stesso nella preghiera che rivolgerà al Padre nel Cenacolo: «Questa è la vita eterna: che
conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Perciò s.
Paolo dichiarerà ai Corinzi: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù
Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2,2). In questo senso s. Massimo spiegherà la domanda
posta da Gesù: «Il Signore non interroga per sapere cosa pensassero di lui i discepoli e la
gente, ma, ben conoscendo i pensieri di tutti, volle che ciascuno manifestasse la propria
fede esprimendo con la bocca ciò che credeva nel cuore». La risposta di Pietro, a nome di
tutto il gruppo dei discepoli, è pronta e decisa: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
Risposta giusta, come mostrano le parole di Gesù, il quale dichiara che essa non è frutto
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di intelligenza umana, non è stata suggerita da uomini, ma dal Padre suo «che sta nei cieli». Più che fermarci su ciò che intendesse dire precisamente Pietro in quel momento,
c’interessa vedere nella parola dell’apostolo, come certo la vide l’evangelista Matteo, la
professione di fede della Chiesa. Fede che, chiarendosi a poco a poco nell’animo dei discepoli, prima e dopo la Pasqua, si maturerà e si approfondirà nella Chiesa sotto l’azione
dello Spirito Santo. Gesù è il Cristo, il Messia, figlio di Davide, annunziato dai profeti e atteso da Israele. Gesù è il Figlio del Dio vivente. Dalle parole di Gesù: «Né la carne né il
sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli», a cui accosta quelle altre:
«Nessuno sa chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Lc
10,22), s. Giovanni Crisostomo deduce che il Figlio è uguale e consustanziale al Padre.
Noi siamo invitati a ripetere la risposta di Pietro caricandola della pienezza di significato
che il simbolo della Messa cerca di esprimere, pur sapendo di non poter mai comprendere
ed esprimere adeguatamente il mistero: «Credo in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito
Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da
Dio vero», che «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo». Com’è facile ripetere in coro, tutte le domeniche, queste parole! Ma ci
rendiamo conto di che cosa significano e a che cosa c’impegnano? Non dovrebbero ogni
volta far sorgere in noi un sentimento di adorazione, un impeto di riconoscenza? È il
sentimento che prova s. Massimo quando, dopo aver citato l’esclamazione di Paolo: «O
profondità della ricchezza, della sapienza e della profondità di Dio!», si domanda: «Che
c’è di tanto profondo quanto la parola detta da Pietro al Signore: “Tu sei il Cristo, il Figlio
del Dio vivente”?». Non dovrebbero le parole con cui professiamo la nostra fede in Cristo
inchiodarci alla nostra responsabilità di cristiani, cioè di seguaci di Cristo fatto piccolo e
povero per noi; coprirci di vergogna per l’egoismo da cui ci lasciamo dominare,
indifferenti alle necessità e alle sofferenze dei fratelli?
Chi è Pietro?
Gesù non risponde a una domanda, che nessuno gli ha fatto, ma prende l’iniziativa, dopo
che Pietro gli ha risposto chi è lui, Gesù, di dichiarargli a sua volta chi è Pietro. Egli è la
pietra sulla quale «Cristo, il Figlio del Dio vivente», edificherà la sua Chiesa, che saranno
tutti coloro che crederanno in lui, la Chiesa che oggi siamo noi. Noi, riuniti in assemblea
per ascoltare la parola di Dio e rivolgere a Dio la nostra parola nella preghiera, noi Chiesa
locale che ha per fondamento e centro visibile il vescovo, «Chiesa universale», per
esprimerci con le parole del Concilio, «che il Signore ha fondato sugli apostoli e ha
edificato sul beato Pietro, loro capo, mentre Gesù Cristo stesso ne è la pietra angolare (cf
Ap 21,14; Ef 2,20)» (Lumen gentium, 9). Fondamento ultimo dell’edificio che è la Chiesa
è dunque Cristo stesso (cf anche 1 Cor 3,11; 1 Pt 2,4-5).
Ma Gesù dice: «Edificherò la mia Chiesa». Non è dunque la Chiesa di Pietro, né questi ne
è il costruttore. Una Chiesa che pretendesse di prescindere da Cristo per fondarsi sugli
uomini non sarebbe Chiesa, «sacramento, cioè segno e strumento all’intima unione con
Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1), poiché nella Chiesa «tutti
gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo; da lui veniamo, per lui viviamo, a lui siamo diretti» (Lumen gentium, 3). Perciò dobbiamo stare in
guardia, anche nella Chiesa, dal «culto della persona», che rischierebbe di farci mettere
in ombra Cristo. Uno dei più illustri fra i successori di Pietro, s. Leone Magno, riconosce la
sua debolezza e fragilità di fronte alle esigenze del servizio che gli incombe, ma confida
nell’intercessione dell’«onnipotente ed eterno Sacerdote», rallegrandosi di quanto egli ha
disposto. Sa che, «pur avendo affidato a molti pastori la cura delle sue pecorelle, non cessa di custodire lui stesso il suo gregge diletto».
S. Agostino richiama con forza la visione di fede con cui dobbiamo guardare all’autorità
della Chiesa: anche quando le pecore imitano le azioni buone dei pastori, tuttavia non
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debbono «porre la loro speranza in coloro per il cui ministero sono state riunite nel
gregge, ma piuttosto nel Signore, dal cui sangue sono state riscattate». E altrove:
«Chiunque sia ciascuno di noi, la vostra speranza non sia posta in noi... la vostra speranza non sia in noi, la vostra speranza non sia negli uomini. Siamo buoni? Siamo ministri. Siamo cattivi? Siamo ministri». Ancora: «Noi non vi aduliamo. Non ponete in noi la
vostra speranza... A noi il dovere di parlare, per non essere giudicati e condannati; a voi
il dovere di ascoltare, e ascoltare col cuore». Tenendo fermo questo principio,
riaffermiamo con altrettanta chiarezza che per essere veramente Chiesa di Cristo, fondata sulla roccia, è necessario essere con Pietro, che è la roccia, riconoscere l’autorità
delle chiavi affidate da Dio a Pietro, l’autorità di legare e sciogliere, cioè dare leggi, a nome di Cristo e in conformità al suo Vangelo. Tale missione fu conferita a Pietro, spiega s.
Leone Magno, in ordine al bene della Chiesa: «Perché destinata al governo di tutta la
Chiesa, doveva prima imparare quel che avrebbe poi insegnato, e per dare una base
solida alla fede che avrebbe predicato, doveva sentirsi dire: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”». E
poiché la Chiesa non poteva scomparire con lui, dobbiamo riconoscere tale autorità ai
suoi successori, i vescovi di Roma, al papa pastore, a nome di Cristo, di tutta la Chiesa.
«La saldezza di quella fede – leggiamo ancora in s. Leone – che fu lodata nel principe degli apostoli, dura perenne; e come rimane quello che in Cristo Pietro ha creduto, così
rimane quello che Cristo su Pietro ha stabilito».
Sempre ricordando che tali poteri mai un uomo potrebbe arrogarseli per un suo diritto
personale: «Quanto appartiene a me per potestà propria», così s. Leone parafrasa la
parola di Gesù, «è comune a me e a te per partecipazione». Come, secondo il racconto
della 1a lettura, fu per sua libera iniziativa che il Signore spodestò l’usurpatore Sebna
dalla carica di governatore per investirne un discendente di Davide, così solo per volontà
di Cristo, che in tal modo volle provvedere al bene della Chiesa, Pietro e i suoi successori
furono chiamati a un servizio carico di così tremenda responsabilità. Aggiungiamo,
richiamando ciò che abbiamo già ascoltato dal Concilio che si appella alla parola di Dio,
che l’autorità della Chiesa non è conferita a Pietro in modo esclusivo, poiché anche gli
apostoli sono chiamati «fondamento» della Chiesa, e anche gli apostoli, per volontà di
Cristo, hanno avuto dei successori, i vescovi. I Padri, poi, insistono nel rilevare che la
promessa di Cristo a Pietro fa seguito alla professione di fede dell’apostolo. Dio, che
unisce «in un solo volere le menti dei fedeli» (colletta), conceda al suo popolo, «costituito
da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità» (Lumen gentium, 9), di sentire e
operare sempre in autentica comunione tra i fratelli e con i pastori a cui lo volle affidare,
come garanzia di vera, feconda e gioiosa comunione con lui, il buon pastore.
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