18° DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno C
Colore liturgico: Verde
ANTIFONA D'INGRESSO
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto, in mio aiuto.
Sei tu il mio soccorso, la mia salvezza:
Signore, non tardare.
GLORIA
Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore
Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Signore, figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati dal mondo
abbi pietà di noi; tu che togli i peccati dal mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi
pietà di noi.
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio
Padre. Amen.
COLLETTA
Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova
l'opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...
PRIMA LETTURA
Qo 1, 2; 2, 21-23
Dal libro del Qoelet.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità.
Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi
ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura.
Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il
sole?
Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche
questo è vanità!
C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.
SALMO RESPONSORIALE
Sal 94
RIT: Fa che ascoltiamo, Signore, la tua voce.
Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Venite, prostrati adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio,
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Ascoltate oggi la sua voce:
«Non indurite il cuore, come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova,
pur avendo visto le mie opere».
SECONDA LETTURA
Col 3, 1-5. 9-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi.
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle
cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!
Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e
quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche
voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.
Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra
bocca.
Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo,
che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.
Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto
in tutti.
C: Parola di Dio.
A: Rendiamo grazie a Dio.
CANTO AL VANGELO
Alleluia, Alleluia.
Il regno dei cieli è vicino:
convertitevi e credete al vangelo.
Alleluia.
VANGELO
Lc 12, 13-21
 Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità».
Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita
non dipende dai suoi beni».
Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che
farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più
grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per
molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la
tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
PROFESSIONE DI FEDE
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato, della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,
è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà. Amen.
PREGHIERA DEI FEDELI
Lo Spirito di Gesù è il principale artefice
della preghiera della Chiesa;
affidandoci alla sua ispirazione interiore
innalziamo al Padre la nostra preghiera.
R. Esaudisci il tuo popolo, signore.
Per la santa Chiesa,
perché in ogni sua parola e in ogni suo gesto
faccia trasparire sempre più chiaramente il signore Gesù
in cui crede e in cui spera, preghiamo. R.
Per la città in cui viviamo,
perchè il signore dia a tutti noi forza e immaginazione,
per creare rapporti veramente umani
in un mondo dominato dalla fretta e dall'ansia, preghiamo. R.
Per le nostre famiglie,
perché accrescano il senso di ospitalità e di comunione nell'amore
e diventino luogo privilegiato di crescita nella speranza, preghiamo. R.
Per le suore di clausura,
che nella preghiera e nel lavoro edificano silenziosamente
l'unità della Chiesa e la pace nel mondo,
perché siano liete e perseveranti nell'offerta della loro vita, preghiamo. R.
Per noi qui presenti,
perché sappiamo interrogarci davanti a Dio e ai fratelli
sui nostri limiti e le nostre contraddizioni,
per fare della comunità eucaristica una vera famiglia, preghiamo. R.
Concedi, a noi il dono della tua sapienza, o Padre,
e fa che la tua Chiesa
diventi segno concreto dell'umanità nuova,
fondata nella libertà e nella comunione fraterna.
Per Cristo nostro Signore.
R. Amen.
SULLE OFFERTE
Santifica, o Dio, i doni che ti presentiamo e trasforma in offerta perenne tutta la nostra vita in unione alla vittima
spirituale, il tuo servo Gesù, unico sacrificio a te gradito. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
ANTIFONA ALLA COMUNIONE
Ci hai mandato, Signore,
un pane dal cielo,
un pane che porta in sé ogni dolcezza
e soddisfa ogni desiderio.
DOPO LA COMUNIONE
Accompagna con la tua continua protezione, Signore, il popolo che hai nutrito con il pane del cielo e rendilo degno
dell'eredità eterna. Per Cristo nostro Signore.
COMMENTI
DON CLAUDIO DOGLIO
1° Lettura (Qo 1, 2; 2, 21-23)
Quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica?
E' l'unica volta, oggi, che troviamo, nella liturgia domenicale, un brano dal libro del Qohelet.
In questo libro l'autore espone la sua visione della vita che non ha alcuno scopo.
Non è lieta, non ha durata, tutto è vanità; nel testo incombono il senso irrequieto e doloroso della caducità della
vita e della sue incolmabili delusioni.
Il libro fa riflettere sulla condizione dell'uomo. Il suo richiamo non è però alienazione perché, ricordando la
transitorietà delle cose terrene, ne fa percepire il limite e, invitando al distacco da esse, prepara la ricerca della
felicità in una direzione più spirituale. Di fronte alla morte tutti i progetti svaniscono ed è insensato di riporre in
essi la speranza della felicità. Sembra anche una grossa ingiustizia che tocchi ad altri godere i frutti del lavoro
intelligente, costante ed assiduo del predecessore.
Tutto è quindi vanità. La fatica, lo sforzo ed il dolore non sono proporzionati al risultato che si ottiene perché non
arrivano mai a soddisfare le aspirazione dell'uomo che non arriva mai alla meta finale.
Quindi anche la ricchezza e il lavoro sono vacuità e assurdo, come è assurdo che di tutto ciò goda chi non ha fatto
nulla. L'uomo non potrà mai raggiungere la pienezza della felicità dalle cose terrene perché lui non è fatto a misura
terrena, le sue aspirazioni e la sua realtà vanno oltre le transitorie cose del mondo.
Qoèlet è un Sapiente, ma critica la sapienza umana.
È un uomo che non affida il suo cuore a ciò che passa. È certamente un uomo disincantato sul mondo perché
libero: non attaccare il cuore non significa condannare, Qohelet apprezza dei beni in quanto beni, non però come
fine ultimo (cf. Qo 8, 15-17).
È lo sguardo dell'uomo che si trova muto di fronte al mistero dell'esistenza umana e chiede il senso a Dio di tutto
questo: un senso che però resta sempre oltre la sua capacità di comprendere.
*
Qohelet : non è un nome proprio, ma un nome comune usato talvolta con l'articolo; designa colui che parla
nell'assemblea, cioè il "predicatore".
2. "Vanità delle vanità" o, più esattamente, completa assurdità.
Questo versetto è con buona probabilità il titolo originale del libro.
Il termine che tradizionalmente traduciamo con "vanità"( in ebraico "hebel") significa in primo luogo "vapore
umido", "soffio", "alito" "fiato", e fa parte del repertorio di immagini che descrivono, nella poesia ebraica, la
fragilità umana.
È il soffio, il fumo, la nebbia che svanisce; in senso figurato indica l'inconsistenza, la vanità, il vuoto, la nullità, la
caducità: tutto è un soffio, niente ha senso.
Vanità delle vanità: riproduce la costruzione sintattica ebraica che esprime il superlativo assoluto.
Ma il termine ha perduto il suo significato concreto ed evoca in Qohelet l'essere illusorio delle cose, e, per
conseguenza, la delusione che queste riservano all'uomo.
Il vero problema non è l'eredità, né per chi lascia, né per chi riceve, stolto o saggio che sia; il dramma è dover
morire e l'eredità ne è solo un corollario.
Il motivo del lascito e dell'erede non è il tema della pericope, ma soltanto un modo di esprimere il non-senso della
fatica umana davanti alla morte.
Nella tradizione cristiana l'affermazione di Qohelet sulla vanità è stata letta come un invito pressante al distacco
dai beni terreni.
2° Lettura (Col 3, 1-5.9-11)
Cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo
Il cristiano, per il fatto di avere ormai assicurata la sua risurrezione, non può adattarsi ai valori puramente terreni,
ma deve essere costantemente proiettato verso i valori superiori, per i quali Cristo è assiso alla destra del Padre.
Chi è risorto con Cristo è ormai teso al possesso totale della vita ricevuta nel battesimo che è piena partecipazione
al suo mistero. Chi crede è così legato al Cristo e la fede porta in sé tanta certezza che si può ben dire che il
cristiano sia già risorto in Cristo; questa certezza trasforma infatti la concezione della propria esistenza.
In questo rinnovamento l'uomo deve rinunciare al suo mondo per accedere ad una dimensione nuova orientata
verso Dio che rappresenta il suo punto di arrivo e distruggere alla radice tutti i motivi di divisione realizzando la
fraternità universale. Perché Cristo è tutto in tutti. Il battesimo ci fa partecipi della Pasqua, come ci ha fatto
partecipi della morte di Cristo. Perciò anche noi dobbiamo trascendere l'orizzonte della cose di "quaggiù", delle
realtà dell'"uomo vecchio" e limitato, e pensare a quelle di "lassù dove è il Cristo".
Ci viene proposta una duplice enumerazione di vizi che devono essere eliminati.
La prima serie comprende peccati che si commettono nell'ambito individuale e suppongono la soddisfazione di un
torbido piacere. A questi peccati di tipo sessuale egli aggiunge l' "avarizia insaziabile", vizio che, insieme a quelli
sessuali, era largamente comune fra i pagani. Questa "avarizia insaziabile" è detta da Paolo "idolatria", poiché
suppone una totale consacrazione al dio-denaro; appunto in questa esagerazione sta la sua immoralità.
Meta dell'etica cristiana è il superamento di ogni discriminazione fra gli uomini: greco, giudeo, schiavo, libero, ricco
e povero. "Lassù" e "terra" anche per noi si contrappongono. Il senso dell'antitesi non è però un invito al
disprezzo delle realtà terrestri creando una religione da evasione e da alienazione. Il mondo di quaggiù è l'"uomo
vecchio", è la "carne", il "peccato" che il cristiano deve lasciare alle spalle perché li ha sepolti nel fonte battesimale
(Rm 6, 2.7). Il mondo di quaggiù è l'atteggiamento concreto del ricco della parabola di Luca di oggi, è incarnato dal
catalogo dei vizi elencati nel v.
5. Il mondo di lassù è, invece, l'"uomo nuovo", lo "spirito", la "grazia" che costituiscono la realtà presente nel
battezzato. Questa nuova vita che irrompe in noi e che è Cristo stesso (v.4) è però "nascosta" in Dio, è quindi un
mistero. Chi la vuole sperimentare deve crederla ed amarla perché non è intelligibile con gli occhi fisici, ma con
l'illuminazione della fede. E' quel "tesoro nascosto nel campo" per il quale "si vendono tutti gli averi" (Mt 13,44).
Ciò che ora è "nascosto", alla fine della storia, nella venuta del Cristo, risplenderà per tutti.
Vangelo (Lc 12, 13-21)
Anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni
Il brano evangelico di Luca di oggi si ricollega alla 1° lettura sulla vanità e la caducità delle ricchezze terrene.
Gesù è sollecitato ad entrare come giudice in un conflitto di interesse a motivo della sua giustizia.
Il rifiuto a giudicare che egli oppone indica come l'universo da lui instaurato trascenda i problemi economici: la
ricchezza materiale non può essere sorgente della vera vita; potremmo dire che non è argomento di sua
competenza o, meglio, non riveste per lui alcuna importanza.
Cristo rifiuta di farsi giudice tra i due fratelli perché non è la sua missione fare giustizia mediante la via del potere;
se facesse da giudice avallerebbe l'importanza di una spartizione, di un possesso di beni.
Il potere si giustifica moralmente quando si mette a servizio della giustizia, della carità e della pace.
Il potere non è la via che Gesù ha scelto per "fare giustizia".
La ricerca deve essere tesa a ciò che è durevole, che vale maggiormente, evitando la cupidigia e l'inutile accumulo
di beni terreni che, oltre a non seguirci nell'eternità, non ci assicurano la vita davanti a Dio, anzi ci distolgono da lui.
Mentre da una parte vi è una ricchezza che si chiude sull'uomo e lo trasforma in un punto del complesso
ingranaggio terreno, dall'altra parte vi è una ricchezza davanti a Dio che è la pienezza di una esistenza aperta al
vangelo, interamente piena dell'amore del regno e della sua speranza.
Ogni vera ricchezza è un dono per gli altri.
Perciò è ricco colui che è distaccato o colui che, amando, mette al servizio degli altri l'abbondanza o la scarsità di
quello che possiede.
È ricco chi è libero: Gesù non chiede la povertà, ma la libertà dai beni: "là dove sarà il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo
cuore!" (Lc 12,34) (vedi domenica prossima).
Accumulare per il domani al fine di essere il più possibile al sicuro è avvedutezza secondo la logica comune ed è
giustificabile e giustificata anche da parte di Gesù che ammette l'esistenza della proprietà privata e il giusto
preoccuparsi per il domani, ché altrimenti risulterebbe essere incoscienza.
Sempre però nella giusta misura.
Qui si tratta invece di grande ricchezza, tale da costituire una riserva per tutto il resto della vita.
Per Gesù l'accumulo di ricchezza esagerato è stupidità, perché significa affidare la propria vita ai beni terreni che si
dimostrano effimeri. Questi concetti si collegano perfettamente alla prima lettura di oggi del Qoèlet.
All'origine della parabola di oggi non sta l'emergenza di fronte alla fine, ma la necessità di vedere il mondo con
occhi rinnovati. In questione non sono i beni né il loro godimento, ma l'illusione di cercare nel loro accumulo la
sicurezza, l'essenziale, lo scopo e il senso della vita.
Questo atteggiamento è idolatria. Ciò che viene rimproverato all'uomo ricco non è la sua cupidigia, dato che non
ha cercato affannosamente di arricchirsi, ma è stato favorito dalla buona sorte.
Come tutte le cose del mondo la ricchezza non è un male in se stesso, lo diventa solo, per chi la possiede, in base
all'uso che di essa ne fa. Il ricco è folle quando non pensa alla "vanità" del possedere e dimentica l'unica realtà
autenticamente consistente che è il giudizio incombente di Dio.
Il lezionario di questa domenica ci ricorda la relatività del presente e delle cose, la loro limitatezza nel tempo, la
loro temporaneità e precarietà, il loro limite.
E' un invito anche al ridimensionamento dell'affezione alle cose, del possesso, dell' "avere".
Gesù indica la via da percorrere per sfuggire alla vanità in genere: "così è chi accumula tesori per sé, e non
arricchisce davanti a Dio". "per sé … davanti a Dio". Il testo greco dice: "chi si arricchisce per se stesso e non verso
Dio". Dunque, è il "per se stesso" che è stoltezza; va sostituito con un altro orientamento: "per Dio".
L'espressione "per Dio" è in greco un moto a luogo: quindi non a vantaggio di Dio, ma in direzione di Dio.
Con discrezione viene così suggerita un'idea importante: non si tratta di offrire i beni a Dio, ma di usarli nella sua
direzione, secondo la sua logica. Il ricco in sé è neutro, né buono né cattivo, non è da condannare. È il cattivo uso
della sua ricchezza che lo condanna, o lo assolve…e può anche assolverlo con grandi meriti.
Colui che crede in se stesso vive con i piedi fortemente poggiati su una nuvola.
Non è l'abbondanza delle cose materiali che dà la felicità, la troppa abbondanza rende meno uomini allo stesso
modo della troppa miseria. La divisione dell'eredità diventa spesso la divisione delle famiglie, ed è probabilmente
l'esito del caso presentato oggi al giudizio di Gesù. Il denaro diventa una prigione; l'uomo del denaro è l'uomo
vecchio. Dio ha destinato la terra, e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni
creati debbono, secondo un equo criterio, essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la
carità. A proposito della parabola del ricco del vangelo di oggi è in tema una breve "storiella" che può illuminare e
fare riflettere non poco.
Alla notizia della morte di un comune amico, piuttosto benestante, un uomo chiese ad un altro: "Quanto ha
lasciato?". L'altro rispose: "Tutto" (…ottima e saggia risposta).
AMBROGIO
In Luc., 7, 122
Ricchezza e Provvidenza
Tra fratelli non deve intromettersi un giudice, ma deve l`affetto reciproco decidere sulla ripartizione del loro
patrimonio. D`altra parte, non è il patrimonio del denaro, ma quello dell`immortalità che si deve cercare; è vano
infatti ammassare ricchezze senza sapere di poterne usare, come colui che, poiché i suoi granai ricolmi crollavano
sotto il peso delle nuove messi, preparava magazzini per questa sovrabbondanza di raccolti, senza sapere per chi
accumulava (cf. Lc 12,16-21). Resta nel mondo tutto quanto è del mondo, e ci vediamo sfuggire tutto quanto
accumuliamo per i nostri eredi: infatti non è nostro ciò che non possiamo portare con noi. Solo la virtù
accompagna i morti, ci segue solo la misericordia che, conducendoci e precedendoci nelle dimore del cielo,
acquista per i morti, a prezzo di vil denaro, la dimora eterna, come testimoniano i precetti del Signore che ci dice:
"Fatevi degli amici con le ricchezze d`iniquità, affinché essi vi accolgano nei loro padiglioni eterni " (Lc 16,9). Ecco
dunque un precetto buono, salutare, capace di spingere anche gli avari a scambiare le ricchezze effimere con
quelle eterne, ciò che è terrestre con ciò che è divino.
GIOVANNI CRISOSTOMO
In epst. ad Titum 5,2
Sobrietà non è solo freno della lussuria
Capisci ciò che sto ripetendo ogni momento, che la sobrietà non è limitata solo all`astinenza dalla fornicazione, ma
vuole il controllo e la fuga anche di tutti gli altri vizi? Dunque chi ama il denaro, non è sobrio. Come, infatti, quello
va in cerca di corpi, questo va in cerca di denaro. Anzi questo è piú intemperante, perché non è trascinato con
altrettanta violenza. Verrebbe, infatti, chiamato inesperto non il cocchiere, che non riuscisse a domar con le redini
un cavallo focoso e senza freni, ma quello che non riuscisse a tenerne a bada uno piuttosto mansueto.
MONSIGNOR ANTONIO RIBOLDI
Guardatevi da ogni cupidigia
Sento come atto di amicizia di iniziare questo commento alla Parola di Dio, parlando dell'Abate Antonio Rosmini,
che il 18 novembre, a Novara, sarà dichiarato 'beato'. Ha fondato una Congregazione, che si chiama 'Istituto della
carità' e tanti, credo, la conoscono.
Apparteneva ad una famiglia nobile di Rovereto: una di quelle famiglie che 'contano' per la loro ricchezza. Come
insigne studioso e filosofo, si parava davanti a lui una vita da 'primo della classe'. Ma un giorno Dio lo chiamò. Non
ebbe esitazioni nel cercare a tutti i costi qual era la volontà di Dio, che per lui valeva più di ogni cosa. Lasciò il
nobile palazzo di Rovereto, dove abitava con i suoi e che ancora oggi conserva meravigliosamente tutta la sua
bellezza e ricchezza, e scelse di vivere in un luogo solitario, 'il Calvario', che è sopra Domodossola.
Lì maturò la sua vocazione e, ispirato dallo Spirito, fondò la Congregazione. Ancora oggi, se qualcuno dei miei
lettori ha avuto l'occasione di visitare il Calvario, quello che colpisce subito è la sua abitazione, chiamata 'la cella'.
Una piccola stanza, che ha lo splendore, secondo S. Francesco, di 'sorella povertà': uno scomodo letto, un
inginocchiatoio, un catino per lavarsi ed un tavolo da studio.
Ogni volta ho l'occasione di tornare al Calvario, dove mossi i miei primi passi da rosminiano, vengo attratto da
quella 'cella' e la confronto con la ricchezza che aveva lasciato a Rovereto. Là, a Rovereto, c'è davvero il lusso di
chi 'aveva e poteva', qui, al Calvario, c'era la nudità dell'uomo tutto di Dio.
Noi oggi difficilmente capiamo queste scelte di distacco dalle cose senza vita, che ci fanno a volte molto male. Ci
sembra pura follia, ma così non conosciamo la gioia del 'povero in spirito'.
Di fronte a Dio, alla vita, all'eternità, al vero valore dell'anima, chi è davvero 'il folle'? Il ricco epulone o questi santi,
a cominciare da Francesco? Chi davvero conosce la serenità interiore, che non ha prezzo?
I nostri fedeli vecchi che un tempo avevano a stento un pezzo di pane o 'l'arrampicatore sociale', insaziabile
ricercatore di ricchezza e beni terreni, che poi per ritrovare un minimo di equilibrio ha bisogno di stordirsi
continuamente?
Ci avverte, oggi, la Sacra Scrittura: "Vanità delle vanità - dice Qoèlet - vanità delle vanità, tutto è vanità. Perché chi
ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla
faticato. Anche questo è vanità e sventura. Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto
l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni
penose: il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questa è vanità" (Qoèlet 2, 21-23).
Dio ci vuol forse dire di nascondere sotto terra i talenti che ci ha dato? Anzi, vuole che questi producano il
massimo, ma per la sua gloria e per il bene degli altri. Non è quindi male 'possedere', se ne si ha la fortuna, ma solo
se non si resta 'schiavi' delle cose. Servirsi dei beni, ma non esserne servi.
E per capire tutto questo basterebbe, per un momento, rileggere la vita di Gesù, Figlio di Dio.
"Egli era al principio con Dio. Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. Senza di lui non ha creato nulla. Per mezzo
del quale tutto è stato creato e nulla sussiste senza di Lui" (Gv 1, 2-3).
...ma non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto; scelse di essere
come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro" (Fil 2, 6-7).
Lui, Signore di tutto, sceglie di nascere in una grotta ed è deposto in una mangiatoia. Vive a Nazareth, nella povera
casa di Maria e Giuseppe, e aiuta la sua famiglia con il lavoro, accanto al padre putativo. Quando inizia la vita
pubblica, con Sé non porta nulla, ma si affida alla carità degli amici che incontra, fino a morire su una croce nella
più assoluta nudità. Ed era padrone di tutto! È forse, il Suo, disprezzo per quello che aveva creato? No, 'e vide che
era cosa buona', ma è distacco da vero Signore di tutto.
Diceva Paolo VI in una riflessione dell'ottobre 1968:
"Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e
pienezza umana, è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano, e con quali
prove tragiche ed oscure! E dimostrano che l'educazione alla povertà sa distinguere anzitutto l'uso del possesso
delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo
spirito umano nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio, e del suo ottimo fine prossimo che è il
fratello da amare e servire, liberandolo dalla carenza di quei bene che sono indispensabili alla virtù presente, come
sono la miseria, la fame, a cui è dovere, è carità, provvedere".
La frenesia verso il benessere, che pare sia diventato la grave malattia del nostro tempo, diventa poi causa di una
sempre maggiore creazione di poveri, anche tra di noi, e basterebbe leggere i dati dell'ISTAT, che impietosamente
mostrano come la forbice tra chi sta bene e chi sempre più deve lottare per la sopravvivenza si fa larga. Davvero è
la paralisi dell'amore, di cui parla la Chiesa e che fa davvero male.
Dovremmo riflettere su quello che Gesù, oggi, dice a ciascuno di noi, per non diventare vittime di questa 'paralisi':
"Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende
dai suoi beni".
Afferma l'evangelista Luca: "Disse poi una parabola: La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.
Egli ragionava tra sé: che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei
magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia,
hai a disposizione molti beni, per molti anni. Riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa
notte stessa ti sarà chiesa la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e
non arricchisce davanti a Dio" (Lc 12, 13-21).
Fa davvero meditare tutti...ma è la sola medicina per guarire dalla paralisi dell'amore, che nasce dall'egoismo del
benessere, per far posto alla carità, che è condivisione dei beni, nel nome dell'Amore!
Per me è stata una vera grazia aver condiviso per dieci anni la mia vita di parroco, dopo il terremoto nel Belice,
prima nelle tende, poi in quelle fatiscenti baracche che davvero erano l'immagine della povertà. Baracche dove
non c'era posto per l'idolatria del benessere, ma solo per il grande respiro della carità. E fu lì che Dio mi prese per
mano e mi fece conoscere la gioia della povertà, che si fa carità.
E fu da quella stupenda cattedra, che il Vangelo diventava Buona Notizia del Regno di Dio, così che tanti
conobbero il bello della solidarietà.
Quante mani generose, ancora oggi, devo ringraziare, per aver riempito le mie, perché a loro volta riempissero
quelle dei poveri. Dio non lascia mai a mani vuote quanti si fanno 'Sue mani' per i fratelli!
Ricorderò un solo esempio, tra i tanti di ogni giorno. Quello di una vedova, che venne per consegnarmi tutti i suoi
risparmi, raccolti in previsione della sua vecchiaia. Volle darmeli per non essere trovata da Dio 'colpevole' di non
avere usato quei soldi per chi aveva bisogno. "Ora davvero - mi disse - posso dire che il mio solo bene è Dio e a Lui
ho dato quello che avevo, per avere solo Lui!".
Credo sia bello leggere la pagina di un libro, scritto da un missionario, don Giovanni Piumatti, che da 37 anni vive in
Africa e ogni tanto torna in Italia. Dopo essere stato invitato in una scuola a parlare dei tanti problemi dell'Africa,
tornando in Africa, scrive agli studenti: "Ragazzi, non dobbiamo tagliare i ponti. Venuto in Italia, a maggio, sono
stato nelle vostre classi, conservo piacevolmente alcune impressioni. Anzitutto ho fatto un paragone. Anni fa
un'insegnante (non era delle vostre scuole) mi introdusse in una splendida aula e mi buttò in pasto ad una
cinquantina di allievi, due classi riunite per l'occasione; mi disse frettolosamente 'racconta loro qualcosa...', e se ne
andò. Lei aveva altro da fare. L'Africa per lei era 'qualcosa' che può servire a far passare un'oretta a ragazzi
irrequieti, in cerca di diversivi. In una vostra classe ho raccontato di Leona che una sera mi disse: Oggi a casa non
mangiamo! e sorrise, per non mettermi in imbarazzo. E raccontai che i nostri ragazzi vanno a scuola, scalzi, per
chilometri, con una penna e due quaderni dentro un sacchetto di plastica...
Uno di voi, stizzito, scattò in piedi e gridò: Perché queste cose non ce le dicono...? Io aggiunsi solo questo: Grida,
fai bene! Dimmi solo: con chi te la prendi? Coi genitori, con gli insegnanti che sono qua con noi, con la scuola, con la
TV...? E parlammo a lungo: di geografia, di storia, di vita.
Un altro giorno, anche lì con due classi riunite, stavo entrando in un'aula. Lungo il corridoio passò un insegnante e
disse: C'è la partita di calcetto... Alcuni dei vostri compagni, un bel gruppo, si è staccato e ha seguito
quell'insegnante: euforici. In aula non posso dimenticare gli occhi di due di voi, ragazzine, nel primo banco: mi
guardavano tristi, deluse... Occhi che gridavano. Non solo eravate 'altre', ma volevate farlo sentire a me, all'Africa,
che ci siete e volete sapere...: a voi interessa altro!.
Quell'aula mezza vuota vi pesava: era una pugnalata per voi, più che per me. E fu un'ora meravigliosa. Ragazzi,
sappiate scegliere! Non lasciate che altri scelgano per voi. Staccatevi...dal branco". (da Fiori selvaggi...profumo
d'Africa di don G. Piumatti).
Non ci resta che farci convertire.
DON CORRADO SANGUINETI
Quello che hai preparato, di chi sarà?
Nel vangelo proposto alla nostra riflessione, Gesù appare come colui che riconduce l'uomo alla radice ultima delle
questioni che possono sorgere nella sua esperienza; un anonimo nella folla chiede a Gesù una parola autorevole
che induca suo fratello a dividere l'eredità, e il Maestro, come spesso accade, risponde in modo strano, inatteso:
"O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?". Cristo rifiuta di svolgere un ruolo giuridico o
sociale, e invece, invita i suoi uditori ad una posizione di distacco dai beni materiali, a tenersi lontani da ogni
cupidigia, da ogni possesso smodato e disordinato dei beni: in questo modo va al cuore della domanda del suo
interlocutore, non accetta di sistemare il problema, ma lo richiama a vegliare per non cadere in un atteggiamento
irragionevole e meschino, che potrebbe animare anche la sua pur giusta richiesta.
Questo tema, dell'uso sobrio e giusto delle ricchezze, è particolarmente caro a Luca, e come appare dalla parabola
qui inserita, attestata solo nel terzo vangelo, si colloca in un orizzonte non tanto sociale o politico, ma molto più
radicale: è in gioco la concezione che l'uomo ha della propria esistenza e di ciò che veramente vale e lo fa ricco
davanti a Dio, "anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni". La parabola ha una tonalità
chiaramente sapienziale e, nel suo svolgimento narrativo, ha un'immediata trasparenza: Gesù disegna la figura di
un uomo, ricco, benestante, che, grazie al buon raccolto, progetta di costruire magazzini più grandi per
raccogliervi tutto il grano, e soprattutto prospetta per sé anni in cui poter godere le sue ricchezze, in una vita di
riposo e di piacere. Il culmine del progetto di quest'uomo sta proprio in questo futuro, da lui stesso ben disposto e
immaginato: "Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia".
Dove sta l'errore di quest'uomo, che è qualificato da Dio come "stolto", come insipiente? Non tanto nel fare
progetti, alla luce dei beni accumulati, ma in uno sguardo meschino, per cui non vede che i suoi beni, il suo piacere,
e, in fondo, restringe lo sguardo, non tiene conto di tutti i fattori della realtà: non si preoccupa minimamente di
poter usare almeno parte delle sue ricchezze per condividere i bisogni dei più poveri, pensa di avere davanti a sé
molti anni, dimenticando che ogni giorno è dono di Dio, vero e ultimo Signore della vita e del tempo, non si
accorge che tutto il suo affanno è rivolto per dei beni che passano, che dovrà lasciare, magari a persone che
s'impadroniranno della sua eredità.
Con questi tratti drammatici, Cristo rappresenta la follia, l'irragionevolezza e l'ingiustizia di un'esistenza tutta
centrata su di sé, un modo d'impostare le scelte e i progetti dove c'è solo il proprio "io", dove il cuore è incapace di
vedere l'altro nella sua povertà, e, soprattutto, ha cancellato Dio dal suo orizzonte: ha accumulato tesori per sé,
ma non è diventato ricco agli occhi di Dio, non ha coltivato e custodito quella posizione del cuore, che dona una
forma giusta all'esistenza, che impedisce un attaccamento assoluto e disordinato ai beni materiali, e non perde di
vista la prima ed elementare evidenza, che non siamo noi i padroni della nostra vita, dei nostri giorni, non siamo
noi la sorgente del nostro essere.
Certo questa pagina di vangelo assume una particolare risonanza e forza nel nostro oggi, perché è facile
riconoscere nell'uomo ricco della parabola un'immagine molto attuale di un certo modo di vivere, di progettare, di
pensare e di sentire la vita: quante volte, i progetti dell'uomo sono guidati da questi criteri parziali ed angusti,
quante volte sono travolti da avvenimenti imprevisti e dolorosi.
Non è che Dio si diverta a far fallire i disegni dell'uomo, ma è l'uomo che rischia di perdere di vista l'essenziale, di
non valutare più ciò che davvero è ricchezza e bene, al sicuro da ogni rovescio della fortuna: in questa prospettiva,
la parabola racchiude l'invito implicito a saper riconoscere i veri tesori, e a preoccuparci di diventare grandi e ricchi
agli occhi di Dio, nella via del bene condiviso e del docile affidamento alla sua volontà e al suo disegno.