Celebrazione Eucaristica - Solennità del Corpus Domini

Diocesi di Piacenza-Bobbio
Celebrazione Eucaristica – Solennità del Corpus Domini
Presiede il Vescovo mons. Luciano Monari
Domenica 25 giugno 2000
Liturgia anno B: Esodo (24, 3-8); Salmo (115); Ebrei (9, 11-15); Marco (14, 12-16. 22-26).
- Introduzione
Nella Cena eucaristica Cristo diventa nostro nutrimento, facciamo memoria della sua passione, il
nostro cuore viene riempito di grazia e ci viene dato un pegno della gloria futura. Per tutto questo
siamo chiamati a rendere grazia nella solennità del Corpo e del sangue del Signore. Lo facciamo
con tutta la gioia del nostro cuore, con tutta la riconoscenza per quanto nell’Eucaristia ci viene
donato, e con tutto il desiderio che l’Eucaristia che accogliamo dal Signore porti frutto nella nostra
vita e trasformi la nostra comunità intera in una comunità Eucaristica.
Per questo chiediamo innanzitutto al Signore, il perdono dei nostri peccati e delle infedeltà.
- Omelia
Tutti i Sacramenti della Chiesa hanno nell’Eucaristia la loro sorgente e il compimento. Voglio dire:
la forza di salvezza, presente in tutti i gesti sacramentali, nasce e tende all’Eucaristia. E ci possiamo
chiedere: perché l’Eucaristia ha un valore così grande e decisivo nella vita della Chiesa? Cerchiamo
la risposta nel brano che abbiamo ascoltato. In fondo “il segno” dell’Eucaristia è semplicissimo e
minimo. L’Eucaristia si fa con un pezzo di pane che viene spezzato e dato da mangiare; si fa
versando una coppa di vino che viene fatta girare e distribuire tra tutti i commensali. Il segno è
semplicemente lì: un pane spezzato, una coppa di vino. Perché questo segno ha valore così grande?
Nell’Eucaristia Gesù dona la sua vita per gli uomini
Il Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato dice che questo segno il Signore l’ha offerto ai suoi
discepoli nel contesto di una cena, anzi nel contesto dell’ultima cena. Sottolineate questo aggettivo:
“l’ultima”. Gesù dice ai discepoli: “In verità vi dico: Io non berrò più del frutto della vite fino al
giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” (Mc 14, 25). È realmente l’ultima cena, il giorno
prima di morire. Con quella cena e con quel gesto il significato diventa chiaro: Gesù vuole
significare quello che avverrà il giorno dopo, vuole manifestare il significato degli avvenimenti
della passione, che sono un cammino di sofferenza e di morte, perché c’è un processo e una
condanna di Gesù. Se uno guarda dall’esterno si trova di fronte essenzialmente ad una tragedia. Ma
se uno colloca la croce del Signore nel contesto dell’ultima cena, allora capisce qualche cosa di
diverso: che la passione è un corpo spezzato e donato, è una vita versata e comunicata agli altri. La
passione di Gesù entra nella categoria del dono di amore.
Questo lo si potrebbe ritrovare in tutto il ministero del Signore. Quando Gesù dice ai suoi discepoli:
“Il Figlio dell’uomo, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come riscatto
per la moltitudine” (Mt 20, 28). Cioè dice essenzialmente che Gesù ha fatto la scelta, ha preso la
decisione, di trasformare la sua vita in offerta, di “dare la sua vita come liberazione, riscatto per la
moltitudine degli uomini”. Quando, sempre nella grande preghiera dell’ultima cena, Gesù dice,
rivolgendosi al Padre: “Per voi io consacro me stesso, perché anch'essi siano consacrati nella
verità” (Gv 17, 19). Quella consacrazione, che Cristo assume sopra di sé, è esattamente il dono
della sua vita. Si può dire: nella croce di Gesù, nella sua Pasqua, c’è la sintesi di tutta la sua vita. In
fondo in tutto quello che Gesù ha detto e fatto non ha cercato altro se non quello che sulla croce si
realizza, se non la vita del mondo, la vita degli uomini. Le parole che Gesù ha pronunciato sono
parole di vita, di perdono e di grazia; cioè parole che hanno come scopo di fare vivere l’uomo. I
gesti che Gesù ha compiuto sono di misericordia, di guarigione, di liberazione e di risurrezione;
cioè gesti che hanno come scopo di fare vivere l’uomo. Se Gesù nella sua vita ha speso il tempo e le
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energie per fare vivere l’uomo, significa che i suoi progetti e i programmi li ha orientati nella
passione, che Gesù per fare vivere l’uomo ha messo in gioco tutto se stesso.
Ebbene, quello che nella passione è in gioco, cioè tutta la vita di Gesù donata è presente
nell’Eucaristia sotto il segno del pane spezzato e del vino versato: “Prendete, questo è il mio
corpo… Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti” (Mc 14, 22b-24). Ma non
solo: il segno dell’ultima cena non è solo un pane spezzato o un calice di vino versato; è un pane
spezzato da mangiare, un calice versato da bere. Anche il mangiare e il bere sono un elemento
essenziale di quel segno, perché il dono che Cristo fa di se stesso nella passione deve essere accolto
dall’uomo con un atteggiamento di disponibilità e di fede; e il mangiare e il bere dicono esattamente
questo.
Ricordate quando nell’ultima cena Gesù si mette a lavare i piedi ai discepoli e Pietro dice: “Tu non
mi laverai mai i piedi! Gesù gli rispose: Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13, 8). E
vuole dire: se Pietro non accetta il dono – il servizio del Signore, che consiste esattamente nel dare
la vita per lui; di lasciarsi servire dal Signore, che si offra in sacrificio per lui – quel sacrificio di
Cristo non riesce entrare nella sua vita, a trasformarla, a salvarla e a liberarla. Bisogna che il dono
sia accolto, perché produca gli effetti della grazia. Bisogna che il pane sia mangiato, che il calice sia
bevuto. Bisogna che la vita donata dal Signore sia accolta in un atto di fede, di disponibilità della
propria esistenza.
L’Eucaristia trasforma il credente in corpo di Cristo
Ma c’è un ultimo aspetto che è altrettanto importante da sottolineare. Come dicevamo: il mangiare e
il bere entrano nel “segno”, sono un elemento essenziale del segno. Il mangiare e il bere indicano
l’assimilazione. “Assimilazione” vuole dire: il cibo che io mangio diventa la mia carne e il mio
sangue; il nutrimento diventa una mia realtà. E se Gesù ha dato la sua vita – nel segno del pane che
ha chiesto ai discepoli di mangiare, di assimilare –, lo scopo è che i discepoli devono assumere, fare
propria la vita di Cristo. Oppure, in altri termini: la vita donata del Signore, il servizio che Gesù ha
fatto donando la sua vita, deve diventare la vita del discepolo; deve diventare la trasformazione dei
pensieri, dei sentimenti e dei comportamenti dei discepoli.
Voglio dire: lo scopo dell’Eucaristia, non è del cambiare il pane e il vino nella presenza di Cristo;
ma di cambiare voi nella presenza di Cristo. Siete voi, i credenti, che dovete diventare il corpo di
Cristo. È in voi, in tutti i battezzati, che i lineamenti di Cristo si devono imprimere, che i suoi
sentimenti si devono manifestare. È la vita della Chiesa che deve diventare il prolungamento della
vita di Cristo. L’Eucaristia è data alla Chiesa per questo: non semplicemente per mettere davanti
alla Chiesa lo spettacolo di un prodigio straordinario; ma per dare alla Chiesa una forza di
trasformazione, di trasfigurazione e di rinnovamento; perché la Chiesa possa diventare corpo di
Cristo. Siamo corpo di Cristo per il Battesimo che ci ha innestato in Cristo; siamo corpo di Cristo
per l’Eucaristia che ci nutre continuamente dell’amore di Cristo e ci fare entrare nella sua logica di
esistenza e di amore. In questo senso l’Eucaristia è il tutto della vita della Chiesa, com’è sintetizzato
e condensato nel gesto fondamentale dell’amore del Signore.
L’Eucaristia trasforma l’esistenza cristiana in amore
Ed è per lo stesso motivo che dentro l’Eucaristia c’è il senso stesso del mondo, del cosmo. Il mondo
è chiamato nel progetto di Dio ad avere Cristo come capo. La Lettera agli Efesini parla “di
ricapitolare tutte le cose in Cristo” (Ef 1, 10). Vuole dire: il mondo raggiunge il suo scopo per cui è
stato creato quando dentro a questo mondo vengono a ritrovarsi i lineamenti dell’amore di Dio che
Gesù Cristo ha tradotto in realtà umane (storiche del mondo). Quando il mondo, il cosmo, assume i
lineamenti dell’amore di Dio, il cosmo ha raggiunto il suo scopo; e questo avviene nell’Eucaristia.
L’Eucaristia è fatta con del pane e del vino, ma quel pane e vino assumano la ricchezza dell’amore
di Dio; è fatta per noi, ma noi nell’Eucaristia assumiamo la ricchezza dell’amore di Dio. In qualche
modo nella nostra povera vita, pur con tutti i nostri difetti, si compie però il progetto di Dio sul
mondo. Chiaramente si compie se l’Eucaristia la celebriamo davvero, se non è solo un rito esterno,
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ma se è vissuta nella fede e quindi è accolta nella libertà del nostro sì all’amore di Dio, e quindi si
trasforma in comportamento cristiano, in esistenza cristiana. “Esistenza cristiana” vuole dire chissà
quante cose, ma fondamentalmente significa una cosa sola: “Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, affinché voi vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13, 34).
Tutte le altre cose sono la spiegazione di questo, ma l’essenziale è lì.
Allora, viviamo questa Eucaristia innanzitutto nel rendimento di grazia, nello stupore grande. Che
Dio ci abbia così tanto in nota da preoccuparsi della nostra vita, da volere imprimere in noi il
riflesso della sua gloria, da volerci donare il suo Spirito come sorgente di santità e di amore. Che
Dio ci abbia così tanto in nota, ci consideri così preziosi e importanti, è motivo di stupore infinito.
Lo stupore lo possiamo esprimere solo con il ringraziamento. Per questo facciamo l’Eucaristia, il
ringraziamento.
Ma poi mettiamo davanti al Signore la disponibilità a lasciare che questo dono ci cambi dentro,
metta dentro di noi il dinamismo del dono, dell’amore e del servizio. Perché la vita di Cristo
continui e si prolunghi nella vita della comunità cristiana, e ciascuno di noi diventi uno strumento
del Signore per questa dilatazione della ricchezza del suo amore.
* Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore.
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