25_aprile - Giovanni Maironi da Ponte

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Il 25 aprile, fra Storia e Diritto
Mercoledì 26 aprile 2017 il prof. Cervo, esperto di Storia nonché affermato scrittore e professore di
Diritto in pensione, ha tenuto una conferenza ai suoi ex studenti che frequentano la classe 5^ AA
dell’Istituto Tecnico Economico ‘Maironi da Ponte’, alla presenza anche di alcuni docenti del corso
A e B. La sua relazione aveva come obiettivo di illustrare il fenomeno della Resistenza nel più ampio
contesto della crisi del fascismo e degli anni della seconda guerra mondiale. Oltre ad essere stato
un bel momento di incontro fra amici, l’intervento del prof. Cervo ha costituito una lezione
magistrale per illuminare quegli anni terribili della storia italiana fornendo interessanti letture
interpretative.
Il fascismo salì al potere nel 1922 dopo la marcia su Roma allorché Mussolini ottenne dal re l’incarico
di formare il nuovo governo. Si trattò di un regime non solo dittatoriale, ma totalitario (sebbene
secondo diversi storici il fascismo fu comunque un totalitarismo imperfetto). Si impose nella sua
forma più violenta e repressiva con le cosiddette leggi ‘fascistissime’ dopo l’assassinio di Matteotti
e con l’introduzione della pena di morte a seguito di due attentati alla vita del duce.
La differenza fra regimi autoritari e totalitari sta nella cosiddetta ‘liturgia del consenso’, detto
altrimenti nel controllo totale delle persone tramite un sistema di propaganda e un apparato
poliziesco capillari, nonché una vera e propria fabbrica del consenso, appunto, utilizzando i mezzi di
comunicazione sociale. In questo senso, Mussolini sfruttò tutte le potenzialità offerte dal cinema e
dall’EIAR, l’ente radiofonico antenato della Rai. Il lavoro e il tempo libero, le vacanze e l’attività
sportiva, la famiglia e i figli, tutto era controllato e diretto dal duce. La settimana lavorativa era più
corta e finiva sabato a mezzogiorno, il dopolavoro offriva spazi e momenti di divertimento e di
attività sportiva, i giovani erano inquadrati in organizzazioni ’paramilitari’ secondo la loro età e
indottrinati fin da piccoli. Le vacanze per i più piccoli e i ragazzi erano assicurate nelle ‘colonie’ al
mare o in montagna, la famiglia era sostenuta e la generazione dei figli premiata. A proposito del
numero dei figli, Mussolini era convinto che il numero e la massa quantitativa potessero contare
molto sia nel caso di conflitti militari sia per lo sviluppo del Paese.
Con simili e altri provvedimenti il regime riuscì a ottenere un consenso sempre più ampio da parte
della popolazione. Persino la guerra in Etiopia fu salutata con favore da parte di tutti. Mussolini
intervenne su aspetti importanti con significative riforme migliorative e positive, per esempio
incrementando quantitativamente e qualitativamente le opere pubbliche oppure ancora
approvando una legge per separare le banche di intermediazione dalle banche ‘finanziarie’ al fine
di proteggere e salvaguardare i risparmi della gente comune.
L’approvazione della popolazione si mutò nel suo opposto in poco tempo e a partire da due fatti
fondamentali: l’introduzione delle leggi razziali anche in Italia nel 1938 e la partecipazione al
conflitto mondiale decisa nel 1940. Mussolini era infatti convinto che la guerra stesse per
concludersi con la sconfitta della Francia per cui riteneva di dover sacrificare qualche migliaio di
soldati per ottenere poi grandi vantaggi. Tali decisioni gli costarono il favore dell’opinione pubblica:
la popolazione italiana non era infatti razzista e accolse malvolentieri la decisione di discriminare in
tutte le forme gli Ebrei che, in Italia, appunto, non si distinguevano per nulla dagli altri cittadini. Le
stime parlano di 40 mila Ebrei abitanti nel nostro Paese da lungo tempo e ben integrati nella vita
civile ed economica.
La partecipazione al secondo conflitto mondiale si rivelò un disastro. I primi anni fino al “43 furono
terribili: bombardamenti, distruzioni, fame, morti. Il prof. Cervo ha mostrato alcune immagini che
rendono l’idea di tanta devastazione (Breda, Galleria di Milano, ecc). Per questo la notizia che nella
notte fra il 25 e il 26 luglio il gran Consiglio del Fascismo aveva destituito il Capo del Governo suscitò
entusiasmo e manifestazioni di giubilo in tutto il Paese.
Tuttavia, la situazione a quel punto si fece ancora più tragica: da un lato il regime che aveva voluto
la guerra era caduto, dall’altro però l’Italia era precipitata in una condizione di incertezza e di
confusione dovuta al fatto di non sapere più a quale schieramento appartenere. L’esercito non ebbe
indicazioni e pagò più di altri il disordine istituzionale. I Tedeschi reagirono subito passando da
Alleati a truppe di occupazioni. Infatti, l’8 settembre gli Anglo-americani concessero l’armistizio
chiesto dal generale Badoglio, che era stato nominato capo del governo. Mentre Badoglio si
trasferiva insieme alla corte a Brindisi sotto la protezione degli Alleati, i Tedeschi reagirono in modo
violento abbandonandosi alla più crudele e organizzata ferocia. Già qualche giorno dopo l’8
settembre, le SS (che erano state costituite proprio con il compito di annientare gli Ebrei in Russia)
arrivarono sul lago Maggiore e uccisero tutti gli Ebrei che rastrellarono nella zona. Il prof. Cervo, a
questo proposito, ha proiettato una foto cruenta e terribile in cui si vede un soldato delle SS sparare
a una donna voltata di spalle che cerca di proteggere un bambino tra le braccia. L’orrore della scena
non sta solo nel suo contenuto, ma nel fatto che il nazista si era fatto appositamente fotografare
tutto fiero di quanto aveva appena compiuto, spedendo la foto, ostentata come un trofeo di cui
essere fieri, alla moglie e ai figli. Di qui – ha affermato il prof. Cervo – si comprende l’essenza del
nazismo che è il razzismo come disprezzo dell’altro, anzi come volontà di annientarlo.
Si diceva che dopo l’8 settembre l’Italia era nel caos a causa di mancanza di coordinamento e di un
centro di potere certo. Il governo Badoglio, con il re e la corte, si era rifugiato a Brindisi, gli alleati
avanzavano lungo la penisola e nel Nord si costituì la Repubblica Sociale di Salò. Mussolini, infatti,
liberato dai Tedeschi dalla prigionia a Campo Imperatore, instaurò appunto una repubblica
collaborazionista che si resse solo per la protezione dei nazisti (in Europa tale forma di governo si
modellava sull’esempio di Quisling, l’uomo che per primo governò il suo paese per conto di Hitler).
Per ripristinare il suo potere Mussolini rispolverò elementi socialisti della sua prima propaganda. Del
resto egli non aveva mai amato il capitalismo. In tal modo cercò nuovamente il consenso degli
Italiani senza riuscirci.
Intanto il caos istituzionale gettava nello sconcerto la popolazione civile. Il disorientamento
maggiore fu però quello dei soldati. La maggior parte di loro fu fatta prigioniera e deportata nei
campi di prigionia, altri scapparono sui monti come partigiani, altri cercarono di raggiungere le loro
case, ma sempre con l’incubo di essere catturati dai nazisti e passati per le armi. Qualche migliaio di
giovani esaltati ‘figli’ del ventennio fascista, si arruolarono nella repubblica di Salò e quindi
collaborarono con il nazismo. È degno di nota il fatto che i nazisti provarono ad aumentare le fila
dell’esercito di Salò offrendo ai tanti soldati deportati nei campi di concentramento la possibilità di
arruolarsi e tornare in Italia, ma dei 600 mila solo 45 mila accettarono.
A questo punto con un corredo molto significativo di foto il professor Cervo ha mostrato i volti degli
uni e degli altri ponendo la domanda su chi fossero i partigiani e, sul fronte opposto, le camicie nere
e i Repubblichini della repubblica di Salò. La tesi del prof. Cervo è semplice: si trattò di due, seppur
consistenti, minoranze (gli uni, i partigiani, e gli altri, i fascisti) che si combatterono in modo feroce
e crudele con efferatezze commesse da entrambe le parti mentre la maggior parte degli stati, pur
simpatizzando per i partigiani, aspettava soprattutto gli Alleati perché ponessero fine ai patimenti
imposti dalla guerra. I volti dei partigiani ci parlano di ragazzi di campagna e di operai poco
alfabetizzati che, in quanto ‘povera gente’, aveva mal tollerato il fascismo, sostenuto soprattutto
dalla borghesia e dai ceti medi, oltre a ritenere che i fascisti prolungassero una sofferenza
completamente inutile in quanto gli esiti della guerra erano ormai ben prevedibili. D’altro lato
c’erano i fascisti vestiti con le loro belle divise, c’erano soprattutto i soldati della famigerata X MAS
(reparti da sbarco) con le ausiliare della X. Pur convinti che sarebbero stati sconfitti, essi non si
risparmiarono nel sostegno al regime fascista arrivando anch’essi a sacrificare le loro vite. Che cosa
li spingeva? La volontà di riscattare la vergogna di avere tradito l’alleato tedesco e di essere passati
al ‘nemico’. In sostanza era per loro una questione di onore militare e morale, non compresa dalla
popolazione, pur essendo dalla parte sbagliata del fronte. Soprattutto nessuna delle due coalizioni
era disposta a subire passivamente il conflitto. Questo tipo di guerra portò entrambi gli schieramenti
a fronteggiarsi con crudeltà e violenza inaudite, una violenza e una cattiveria, per altro, estranee al
comportamento degli Italiani.
Il professore ha cercato di far capire da dove scaturisse tanta violenza e disprezzo. Per fare questo
bisogna andare a monte della questione, all’inizio del ventennio fascista. L’odio derivò
principalmente da una serie di soprusi subìti dagli oppositori del fascismo per mano delle camicie
nere e poi dell’esercito squadrista. Le umiliazioni inflitte servendosi dell’olio di ricino, l’impossibilità
di affermarsi socialmente se non si aderiva al Fascismo, non poter esprimere pubblicamente il
proprio dissenso ecc., tutte queste offese contribuirono a far nascere un rancore che era andato
sempre più intensificandosi fino a degenerare nelle violenze che conosciamo.
Durante l’incontro è stato riaffermata più volte l’importanza di non ricordare unicamente gli eccessi
commessi dai fascisti, ma anche quelli compiuti dai partigiani che non erano da meno in termini di
violenze e comportamenti disumani; ne sono un esempio gli abusi sessuali che subivano le ragazze
dell’esercito fascista, le cosiddette Ausiliarie, quando venivano catturate dai partigiani. Come
questo, numerosi altri episodi denotano la spietatezza di alcuni partigiani che sono stati
semplicemente dimenticati e di fatto di cui purtroppo nessuno parla.
In particolare, il professore ha voluto ricordare alcuni episodi drammatici di violenza inaudita,
talvolta poco conosciuti, che si svolsero proprio in quegli anni, tra cui la strage di Rovetta.
I membri della Legione Tagliavento, venuti a conoscenza della resa fascista, decisero di abbondare
il presidio nella località della Presolana per raggiungere Bergamo. Sulla strada, a Rovetta, deposte
le armi, furono alloggiati nelle locali scuole elementari. Il prete del luogo, Don Giuseppe Bravi, era
anche segretario del C.L.N. locale e garantiva il rispetto degli accordi. Ma un gruppo di partigiani,
giunti da Lovere su due camion, impose la consegna dei prigionieri e il 28 aprile, dopo feroci
maltrattamenti vennero condotti presso il cimitero di Rovetta e qui fucilati. Ben 28 di loro avevano
meno di 20 anni. L’ultimo ad essere ucciso, dopo aver assistito alla morte di tutti i camerati, fu il
Vice brigadiere Giuseppe Mancini, figlio di Edvige Mussolini sorella del Duce. Dopo la guerra alcuni
di quei partigiani ritenuti responsabili della strage furono individuati e processati. Ma la sentenza fu
di non luogo a procedere in forza del Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945,
firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di
qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”. Fu, cioè, considerata azione di guerra
legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai
terminata. Questa storia è emblematica perché mostra quanto furono feroci le azioni contro i
fascisti che si arresero.
Il professore ha inoltre citato il triangolo della morte (o triangolo rosso). Si tratta di una locuzione di
origine giornalistica con la quale viene indicato il territorio compreso tra Reggio Emilia, Bologna e
Ferrara dove negli anni tra il 1943 e il 1949 si registrarono molteplici uccisioni a sfondo politico,
attribuite a partigiani e a militanti di formazione di matrice comunista.
Di recente papa Francesco recandosi proprio in tali zone ha commemorato il beato Rolando Maria
Rivi, giovane seminarista di 14 anni, ucciso dai partigiani dopo torture di ogni genere (aggiunto dagli
autori della relazione).
Sul fronte opposto, il prof. Cervo ha spiegato il motivo per cui i cadaveri di Mussolini e altri 15 alti
gerarchi fascisti furono esposti a piazzale Loreto (MI) nonostante furono uccisi in altri luoghi.
Vennero esposti in questa piazza perché, il 10 agosto del 1944, 15 partigiani vennero fucilati dai
nazi-fascisti a causa dell’attentato di viale Abruzzi in cui nessun soldato venne ucciso ma morirono
6 civili.
È stato poi dedicato uno spazio a eventuali domande e riflessioni durante il quale sono emerse
considerazioni sul fatto che la figura del partigiano “liberatore” della nazione è stata fin troppo
enfatizzata al punto che nessun telegiornale nazionale in occasione di questa celebrazione ha
espresso gratitudine verso gli alleati per il considerevole ruolo che hanno giocato nella liberazione
del Paese. Il Prof. Cervo a questo proposito ha voluto puntualizzare che la liberazione italiana non
sia attribuita esclusivamente né ai partigiani né solo alle truppe anglo-americane. Spesso in materia
storica si tende ad oscurare certe parti e a farne risaltare alcune.
Inoltre è emerso come ancora oggi, a distanza di ben 72 anni, vi siano forti rivalità tra i familiari degli
ex fascisti e partigiani, tant’è che le due parti continuarono a commemorare separatamente i loro
morti senza segni di riconciliazione.
Si è poi dibattuto sulla celebrazione del 72° anniversario della Liberazione che si è svolta sotto il
segno della divisione. Nella Capitale, hanno sfilato due cortei distinti, quello dell’Anpi e quello della
Brigata ebraica, contraria alla presenza delle organizzazioni palestinesi alla sfilata dei partigiani.
L’incontro si è concluso ricordando alla classe di andare sempre oltre all’informazione, di servirsene
per formarsi un proprio pensiero essendo questo l’unico modo per non essere manipolati dal
sistema per cui «prima di fidarsi di ogni cosa che ci viene propinata, è bene documentarsi».
La presente relazione è la sintesi delle relazioni di Galantini Stefania, Kassi Lievine e Tesi Andrea che si
ringraziano per la puntuale stesura dell’incontro.
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