Università degli studi del Piemonte Orientale Facoltà di Scienze Politiche Prof. Joerg Luther Anno accademico 2007/2008 Diritto pubblico per le scienze politiche Schede introduttive Parte prima: Diritto, Politica, Diritto pubblico I. Studiare il diritto pubblico nelle Facoltà di Scienze Politiche 1. L’Università ha il compito di promuovere strumenti culturali per la comprensione del mondo intero, compito non ammaestrabile da un docente solo, spesso in preda alle sfide meramente tecniche dell’economia della formazione professionale. L’università si distingue dalla scuola sia per la particolare condizione di libertà dello studente (liberato dall’obbligo di frequenza di una classe ma gravato dalle condizioni sociali particolari della moderna società di massa), sia per la particolare autonomia dei professori che si giustifica con il loro compito di coniugare liberamente ricerca scientifica ed insegnamento (art. 33 co. 1). La ricerca scientifica parte da domande (ipotesi), poste dalla comunità degli studiosi, per arrivare a risposte (tesi) che pretendono verità e devono essere argomentate, cercando di confutare anche eventuali tesi divergenti. L’insegnamento universitario deve rendere lo studente partecipe alla ricerca, offrendo ogni materia allo stato attuale del progresso delle scienze. A differenza della comunità scolastica, la società universitaria offre (e pretende maggiore libertà di studio individuale e di scambio culturale pontaneo tra studenti e tra studenti ed insegnanti, ma pretende anche maggiore responsabilità nella verifica dei risultati dello studio. 2. La Facoltà di Scienze Politiche rappresenta un insieme misto di scienze culturali o umanistiche che si fonda essenzialmente su tre componenti. Le discipline sociologiche studiano i fatti sociali, quelle economiche i beni e quelle politiche in senso lato i discorsi, includendo oltre alla politologia in senso stretto (scienza della politica) le discipline storiche, filosofiche, linguistiche e giuridiche. Questa pluralità ha il vantaggio di dare allo studente una pluralità di competenze chiave su un mercato del lavoro molto variegato, ma comporta anche la necessità di un dialogo interdisciplinare tra i docenti. 3. Nella storia delle scienze umanistiche, l’economia (‘700), la sociologia (‘800) e la politologia o scienza della politica (‘900) si sono peraltro emancipate solo gradualmente dalle facoltà di giurisprudenza e dalle scienze generali dello “Stato”. Le facoltà di scienze politiche in Italia nacquero come una gemmazione dalle facoltà di giurisprudenza alla fine dell’ottocento. Gaetano Mosca, uno dei “padri” della scienza politica in Italia passò dagli “studi ausiliari del diritto costituzionale” (1887) a quello degli “elementi di scienza politica (1896). Il giurista Georg Jellinek, maestro del sociologo Max Weber, divise le “dottrine generali” dello Stato in “dottrina giuridica” e “dottrina sociale” (1900). 1 4. Nella Facoltà di Scienze Politiche, il giurista deve dare particolare attenzione ai fattori sociali, economici e politici che condizionano il diritto. Occorre dialogare. con le scienze sociologiche che studiano ad es. le condotte illecite (criminologia) o le organizzazioni sociali (relazioni etniche e familiari) e con le scienze economiche che studiano ad es. l’impatto delle regole del diritto civile e commerciale sul mercato (Law and Economics). Molti collegamenti esistono tra le discipline delle scienze giuridiche e quelle delle scienze politiche: la storia del diritto è una storia speciale delle istituzioni e la filosofia del diritto una specialità della filosofia generale, il diritto comparato impensabile senza la antropologia giuridica e l’analisi economica del diritto, il diritto privato senza la sociologia della famiglia, il diritto del lavoro senza la sociologia del lavoro, il diritto costituzionale senza la storia costituzionale e la scienza della politica, il diritto amministrativo senza le scienze dell’amministrazione, quello tributario senza le scienze delle finanze, quello internazionale senza le relazioni internazionali, quello ecclesiastico senza la teologia ecc. 5. Il sapere giuridico non può essere dominio esclusivo dei giuristi. I cittadini dovrebbero poter osservare le norme giuridiche, evitare sanzioni e saper difendere i propri diritti anche senza la mediazione di un avvocato. Chiunque si ponga al servizio di amministrazioni private o pubbliche ed intenda assumere posizioni di responsabilità deve essere in grado di conoscere ed applicare le norme giuridiche che disciplinano le sue attività e di formulare questioni di interpretazione da sottoporre a un giurista. L’obiettivo formativo dell’insegnamento delle materie giuridiche nelle “altre” facoltà è il cittadino capace di contribuire attivamente alla cultura del diritto, utente critico e responsabile dei servizi dei giuristi. 6. Questo presuppone le seguenti capacità: a) saper “leggere le leggi”, procurandosi accesso alle fonti del diritto, traducendo la terminologia del legislatore e ricostruendo i contesti normativi, anche il sistema delle fonti e il sistema dei concetti giuridici utilizzati; b) saper istruire fatti ed interessi rilevanti per l’interpretazione delle norme, c) saper argomentare anche con argomenti giuridici in procedure di negoziazione (in politica, foro, commercio, azienda ecc.), d) saper interrogare e giudicare anche i giuristi, chiedere consulenze legali (pareri) e valutarne la qualità. 7. Sono strumenti di formazione di tali capacità: a) lo studio diretto delle fonti del diritto (le “scritture”), b) la lettura critica del manuale e l’ascolto critico della lezione che offrono interpretazioni scientifiche dell’insieme delle fonti (e non del libro), c) lo studio dei casi, storici o di attualità, ai quali si applicano le fonti, istituzioni dell’informazione, d) l’esame scritto (intermedio) ed orale che consente di verificare anche l’apprendimento della terminologia giuridica di base (“giuridichese”). La lezione universitaria non è la lettura di un libro, ma la presentazione dello stato attuale della ricerca scientifica in una determinata materia. Lo studio universitario consiste non nella semplice memorizzazione di questi saperi (appunti), ma nelle domande di comprensione, nella valutazione delle alternative di risposta date a tali domande e nella critica delle risposte che l’università accredita come vere. La lezione ha un rendimento culturale solo se accresce l’autonomia dello studio individuale. II. Farsi un concetto del diritto 9. Farsi un’idea del diritto significa anche farsi un concetto. I giuristi colgono i concetti tradizionalmente in definizioni che individuano sia il genere prossimo (genus proximus) sia le caratteristiche che distinguono una cosa dalle altre del suo genere (differentia specifica). I concetti 2 nascono da convenzioni linguistiche storiche e sono variamente interpretabili a seconda del linguaggio di riferimento e delle concezioni che condizionano l’interpretazione. 10. Nel linguaggio comune e in quello tecnico dei giuristi, i significati del termine “diritto” oscillano. Nel linguaggio comune si usa parlare del diritto che un soggetto “ha” o pretende di avere perché si percepisce e sente come giusta una pretesa avanzata nei confronti di altri su qualcosa cui corrisponde un proprio interesse. Nel linguaggio tecnico dei giuristi, si parla per lo più del diritto come qualcosa che “è” oggetto e sostanza di discorsi accademici (scienza giuridica) e pratici, soprattutto forensi (giurisprudenza). In comune hanno entrambi di concepire il diritto nel suo genere come un discorso, ma almeno il giurista deve sempre distinguere tra il diritto in senso oggettivo e il diritto in senso soggettivo come due aspetti che si integrano reciprocamente. Il diritto in senso oggettivo può essere definito come l’insieme delle norme che disciplinano le pretese soggettive di giustizia, guidando l’agire degli uomini per dare un giusto ordine ad una organizzazione sociale e politica (c.d. “ordinamento giuridico”, cfr. art. 10 cost.). Il diritto in senso soggettivo invece può essere definito come la pretesa legittima, riconosciuta da una norma del diritto oggettivo, di una condotta che può consistere in un fare, dare o dire (positiva) o nell’astenersi dallo stesso (negativa) e che può essere fatta valere davanti al giudice (art. 24) che deve giudicarla in base al diritto oggettivo. 11. Il diritto è un discorso “normativo”, cioè consiste in un insieme di “norme” giuridiche. Norma è una proposizione prescrittiva che si rivolge alla coscienza degli uomini per ottenere o impedire un determinato comportamento. A differenza delle proposizioni descrittive, che intendono fare conoscere un dato vero o falso, e a differenza delle proposizioni espressive, che intendono fare sentire una cosa bella o brutta, le proposizioni prescrittive implicano anche un giudizio sull’essere giusto o ingiusto di un comportamento. Le prescrizioni attengono al mondo del “dover essere”, le descrizioni dei fatti invece al mondo del ”essere” delle cose, le esclamazioni al semplice “essere” delle persone. 12. Analiticamente il mondo delle norme deve essere distinto da quello dei fatti. I comportamenti non sono sempre come devono essere. Quello che normalmente (nella normalità dei casi) si fa può essere lecito o doveroso dal punto delle norme, ma anche l’illecito e le violazioni del dovere possono essere diffusi. Quello che normativamente (secondo le norme) si è tenuti a fare può, ma non deve sempre essere anche la normalità. Le “leggi” delle scienze naturali (ad es. relative alla gravitazione) attengono ai fatti naturali osservati, le leggi delle altre scienze sociali (ad es. legge economica della tendenziale crescita dei compiti pubblici, legge ferrea dell’oligarchia, ecc.) ai fatti sociali osservati, solo quelle giuridiche contengono norme che sono da osservare, sono fatte per essere osservate e sono fatte osservare. 13. Ius viene da iubere = comandare. Le proposizioni normative seguono una propria logica (deontica), utilizzando sempre uno di tre operatori deontici: il comando (si devono a = pagare le tasse), il divieto (si deve non b = fumare) e il permesso (ad alcuni è permesso non a = pagare le tasse o in alcuni luoghi è permesso b = fumare). Un comportamento non prescritto, né vietato può essere anche considerato libero. 14. Le proposizioni normative sono generali e astratte, cioè prescrizioni riferite a soggetti non ancora individuati e a situazioni non ancora determinate nel tempo. La generalità e l’astrattezza è graduale. La generalità può essere ridotta in presenza di norme speciali. L’astrattezza può essere ridotta in presenza di norme eccezionali. A differenza degli atti normativi generali ed astratti, il provvedimento amministrativo e la sentenza del giudice contengono invece sempre proposizioni giuridiche individuali e concrete. 3 15. Le norme del massimo grado di generalità ed astrattezza sono norme di principio. Le norme di principio, frequenti in costituzioni e leggi di delega, hanno una struttura incondizionata e finalistica (è doveroso realizzare al meglio l’obiettivo X). Sono da attuare gradualmente (è lecito realizzarlo di più o di meno), ma è fatto divieto non sacrificarle del tutto. Le norme che hanno una struttura condizionale (se esiste la fattispecie a, allora la conseguenza giuridica deve essere b)), esprimono invece una regola con una struttura condizionale. 16. Il diritto moderno è in gran parte scritto in leggi (art. 70 cost.) ed in altri fonti scritte. I testi giuridici sono articolati in “disposizioni”, dalle quali i giuristi ricavano mediante l’interpretazione delle “norme” per decidere le questioni dei singoli casi di controversia. La componente logica del ragionamento dei giuristi consiste nel cd. sillogismo giuridico che si basa su una norma (se a allora b) come premessa maggiore, un caso come premessa minore (Tizio è uno che realizza la fattispecie a) e una conclusione che consiste in una proposizione giuridica concreta, cioè nell’applicazione della prescrizione al caso concreto (a Tizio va applicato b, ad es. una sanzione). La componente creativa del lavoro (o l’arte) delle professioni giuridiche consiste a) nella formulazione della norma attraverso l’interpretazione delle disposizioni, b) nella ricostruzione del caso attraverso l’istruttoria dei fatti. 17. Le norme giuridiche sono prescrizioni che intendono motivare o influenzare le scelte di comportamento, ma a differenza di quelle solo morali sono create da scelte collettive vincolanti e sanzionate dall’esterno (non solo “auto-vincolanti”). Devono stabilizzare (aspettative di) aspettative sociali anche quando sono frustrate da comportamenti non conformi alla norma (N. Luhmann). La giuridicità delle norme esige sanzioni previste da apposite norme sanzionatorie. L’osservanza delle norme giuridiche può essere motivata dal timore di misure di coercizione, ma anche dall’interesse di ottenere una premiazione. A differenza delle regole e sanzioni meramente sociali e culturali, che non implicano l’uso della forza e sono erogabili da chiunque o da determinate organizzazione sociali (ad es. religiose), quelle giuridiche sono organizzate e presuppongono il divieto di farsi giustizia di sé, divieto garantito dal monopolio pubblico della forza legittima riservata allo stato. 18. Le norme giuridiche possono essere studiate e giudicate sotto vari profili: a) Sono valide se sono create secondo le norme sulla produzione e sull’interpretazione del diritto “positivo” (posto). b) Sono giuste se non contraddicono le idee comuni di ingiustizia, derivate ad es. da quelle aristoteliche della giustizia distributiva (suum cuique tribuere: a ciascuno il suo bene e il suo male) e della giustizia commutativa (equivalenza tra prestazione e prezzo, danno e risarcimento ecc ). c) Sono efficaci se sono effettivamente osservate o applicate, cioè se sono sanzionate le violazioni. Il giudizio sulla validità delle norme spetta alla giurisprudenza, sia quella pratica (nel foro: forense) sia quella teorica (nell’accademia: dottrinale). Il giudizio sulla giustizia è curato dalla filosofia del diritto, il giudizio sull’efficacia dalla sociologia del diritto. 19. I rapporti tra i tre giudizi sono controversi. Per la scuola del giuspositivismo, il giurista verifica la validità delle norme sulla base di altre norme giuridiche, in particolare quelle che disciplinano gli organi competenti e le procedure idonee alla produrre delle “fonti” del diritto. L’inosservanza non è motivo sufficiente per l’invalidità. Le interpretazioni vanno cercate nell’ottica della volontà del legislatore, perché è impossibile trovare dei criteri di giustizia fuori dal diritto “positivo”. Per il giusnaturalismo invece sono invalide le leggi manifestamente ingiuste. L’interpretazione di quelle valide deve tenere conto delle idee di giustizia sulle quali si fondono, non piegarsi alla nuda forza dei fatti. Per il giusrealismo infine sono invalide le norme prive di effettività sociale, essendo “lettera morta” perché derogate dalla prassi (desuetudine). L’interpretazione deve tenere conto dei 4 “fatti legislativi” sui quali la legge interviene, ad es. non pretendere comportamenti impossibili (impossibilium nemo tenetur). 20. Le tre ideologie si mescolano nel diritto odierno. Dato che i principi fondamentali e i diritti fondamentali del giusnaturalismo classico sono stati iscritti nella costituzione, le leggi ingiuste possono oggi essere dichiarate incostituzionali (art. 137 cost.). Il giudice costituzionale, in sede di controllo di costituzionalità delle leggi, può addirittura verificare la ragionevolezza delle scelte del legislatore, eliminando norme manifestamente ingiuste o inefficaci. Interpretando le leggi, ogni giudice deve inoltre badare all’efficacia delle norme, cioè tenere conto delle circostanze di fatto del caso e delle conseguenze sociali dell’applicazione delle norme. Se una legge impone obblighi sentiti incompatibili con i dettami della coscienza, il legislatore può risparmiare all’individuo un conflitto di coscienza predisponendo delle alternative meno gravose per la stessa (cd. obiezioni di coscienza). 21. Il diritto è sempre un “insieme” di norme giuridiche. Un insieme di norme giuridiche può configurare un singolo istituto giuridico (la disciplina di un’istituzione sociale oggettiva, ad es. il possesso o la supplenza), un insieme di istituti un ordinamento giuridico (la disciplina di un’organizzazione sociale plurisoggettiva, come ad es. l’università (art. 33, co. 5) o le Forze armate (art. 52 co. 3). Un ordinamento giuridico può includere una pluralità di altri ordinamenti (derivati o costitutivi di quello complessivo) (art. 115). 22. Ogni ordinamento giuridico pretende idealmente coerenza e completezza delle norme che lo compongono. Per essere coerente, deve costituire un sistema in grado di risolvere contraddizioni tra le proprie norme. Per essere completo, deve dotarsi di strumenti che consentono di colmare le lacune di norme in situazioni nuove non ancora prevedibili per il legislatore. Coerenza e completezza dipendono dalla produzione sistematica (codici, testi unici) delle disposizioni e dall’interpretazione sistematica delle norme, inclusa quella estensiva di regole o principi in casi di lacune (cd. analogia).. 23. Il numero delle norme di un ordinamento giuridico è tendenzialmente indefinibile, ma non infinito. Non solo le disposizioni sono innumerevoli, anche le interpretazioni sono variabili. Quante norme giuridiche servono per dare un ordine alla società ? Sul punto variano le ideologie della politica del diritto. Per il liberalismo ottimista, l’ordine sociale può essere il prodotto dell’agire spontaneo razionale dell’individuo nella società, sia in ambito economico sia in ambito culturale. Pertanto servono poche leggi sintetiche e occorre la massima deregulation. Per il comunitarismo pessimista, l’ordine sociale non può essere il prodotto dell’agire spontaneo perché è corrompibile e non in grado di compiere scelte razionali. Pertanto servono discipline con regole anche dettagliate. In una società complessa non è possibile né auspicabile ridurre le norme ad una sola. Se tutto fosse permesso, si avrebbe l’anarchia. Se tutto fosse vietato o comandato, si avrebbe la tirannide. Non è nemmeno auspicabile l’inflazione delle leggi, perché al cittadino deve essere possibile conoscere quelle che lo interessano (senza dover abbonarsi a un servizio di consulenza legale). La moltiplicazione delle regole rischia spesso di rendere le leggi oscure o di esigere maggiori energie di lettura. Il numero giusto può essere trovato solo in una democrazia, perché consente una competizione e scelte politiche comuni tra entrambi le ideologie. 5 III. Il diritto pubblico come diritto politico 24. Il diritto pubblico è una parte del diritto oggettivo che è separata dal diritto privato. Tale dicotomia può essere letta alla luce di alcune distinzioni filosofiche, ad es. quella hegeliana tra “Stato” e “società” (civile). La sua origine è nel diritto romano (Ulpiano): Publicum jus est quod ad statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem. (Digesto I 1, 1, § 2). 25. Nella storia europea, il diritto pubblico e il diritto privato si sono sempre contesi il primato, con tendenze ora più di “privatizzazione”, ora più di “pubblicizzazione” (v. art. 43). I patti dei privati non possono derogare a norme di diritto pubblico, ma anche le norme di diritto pubblico devono rispettare i diritti acquisiti sulla base di contratti tra privati. Nel novecento sono emerse una serie di nuove discipline giuridiche trasversali (diritto del lavoro e delle corporazioni, diritto dell’economia, diritto dell’ambiente, diritto della cultura ecc.), un nuovo “diritto sociale” intermedio tra quello pubblico e privato. 26. Per distinguere il privato dal pubblico, occorre guardare ai soggetti e agli interessi coinvolti immaginando un triangolo nel quale i soggetti privati (p1 e p2) sono disegnati in una posizione inferiore a un soggetto pubblico (P). Essere “privati” significa potere stare a sé e perseguire interessi individuali, essere “pubblico” significa guardare insieme agli interessi comuni. Il diritto privato disciplina i rapporti tra le persone che si trovano in condizioni di eguaglianza e di pari libertà ed autonomia, pertanto è in genere derogabile dai contratti dei privati. Il diritto pubblico disciplina l’azione dei soggetti pubblici che fanno prevalere gli interessi pubblici su quelli privati. Attraverso la P.A. (pubblica amministrazione) ed i P.M. (pubblico ministero), i soggetti pubblici (P) distribuiscono e garantiscono beni e servizi (diritto amministrativo) ed erogano sanzioni penali (diritto penale) ai cittadini. Di fronte a queste scelte, il privato di trova in un rapporto di soggezione generale fondato sul dovere di obbedienza (art. 54). 27. Il diritto pubblico ha per oggetto una pluralità di organizzazioni politiche (art. 115), i rapporti che intercorrono tra tali organizzazioni (se stati: diritto internazionale pubblico) e con i cittadini. Pertanto è anche (non solo) “diritto politico”, nel duplice senso di un insieme di norme “per” un’organizzazione politica e un insieme di norme originato “da”un’organizzazione politica. 28. Il diritto pubblico non può essere studiato sulla base di un solo concetto di politica. La politica oggetto delle norme di diritto pubblico non è soltanto quella machiavellica della “lotta per il potere”, ma anche quella aristotelica dell’azione pubblica e dell’esercizio del potere per il bene comune. La lotta per il potere si realizza esercitando i diritti politici garantiti dalla costituzione. L’azione per il bene comune si realizza nell’assetto dei poteri, in particolare nelle funzioni di governo, in senso ampio inteso come determinazione dell’indirizzo politico o gubernaculum (= dirigere la nave nel porto della felicità, in quelle di amministrazione intesa come gestione delle risorse per l’attuazione degli indirizzi politici) e in quelle di giurisdizione, intesa come amministrazione della giustizia per la pace e il bene di tutti). 29. Storicamente la principale tra le organizzazioni politiche è lo Stato. Pertanto il diritto pubblico è soprattutto “diritto dello Stato”. La formazione storica dello Stato moderno passa attraverso le tappe a) della spersonalizzazione e della secolarizzazione del potere, dalla rinuncia all’investitura divina e nascita delle burocrazie in seno alle corti (1100) fino al trionfo della cd. “ragion di Stato (1500), b) dell’accentramento politico e dell’allargamento territoriale del potere, dalla nascita di governi e parlamenti (1200) fino alla trasformazione di signorie locali, corporazioni, nobiltà e clero in poteri 6 intermediari (1600), c) della “giuridificazione” del potere, dallo Stato di polizia, dove il buon governo del principe garantisce sicurezza e felicità ai cittadini (700), fino allo Stato di diritto, dove si deve governare sulla base e nel rispetto di costituzioni e leggi (800). 30. Quel che distingue il potere dello Stato da quello delle altre organizzazioni pubbliche solo autonome e derivate, è la pretesa di sovranità del titolare del potere (in passato del monarca, oggi del popolo, art. 1). Il titolare della sovranità non può riconoscere poteri e soggetti superiori né all’interno (art. 7), né all’esterno dello Stato (art. 11). 31. I poteri che caratterizzano la sovranità possono essere riassunti nei seguenti simboli: a) spada: il monopolio della forza legittima verso l’interno (forze delle autorità di pubblica sicurezza) e verso l’esterno (forze armate), b) bandiera: il potere di fare pace, di concludere patti con altri stati e di partecipare ad organizzazioni internazionali (potere estero), c) toga: il potere di risolvere liti e garantire i diritti in modo pacifico (potere giudiziario), d) moneta: il potere di battere moneta e garantire la fiducia nel suo valore (potere economico-finanziario), (v. le competenze esclusive dello Stato in art. 117).. 32. La sovranità odierna, da regola (si o no) è diventata un principio (più o meno), perché nessuno Stato (salvo forse uno) può difendersi da solo, crescono le giurisdizioni internazionali, e con la globalizzazione sembrano diminuire i poteri della politica sull’economia. La sovranità non invoca più una forza esclusiva (rispetto alle forze della società) e chiusa (rispetto alle altre nazioni), bensì inclusiva ed aperta alla governance. 31. Tradizionalmente si definisce lo Stato attraverso i suoi elementi base popolo, territorio e sovranità dell’organizzazione politica. In base ai rapporti che si stabiliscono tra i vari elementi si possono distinguere varie forme di Stato (tipi ideali e indicatori di tendenze politiche): (1) Stato unitario (sovranità territorialmente indivisa) vs Stato federale (sovranità divisa, cioè non monopolizzata né da un soggetto centrale (= stato unitario), né dai soggetti periferici regionali o locali (= confederazione di stati)) (art. 5) (2) Stato democratico (legittimazione del potere dal basso: il potere conferito è “dal popolo”, esercitato “per il popolo” e “con” la partecipazione del popolo) vs Stato autocratico (legittimazione del potere dall’alto, ad es. dal cielo (monarca), dalla forza militare (dittatore), dalla nobiltà (aristocrate) e dal sapere tecnico (tecnocrate)), (art. 1) (3) Stato liberale (compito del potere è la garanzia delle libertà dei cittadini in un ordine sociale da conservare: “garantismo”) vs Stato sociale (compito è la garanzia dell’eguaglianza sociale dei cittadini in un ordine sociale da trasformare: “interventismo”) (art. 3). 32. Nello Stato di diritto moderno, ogni potere è costruito e limitato da norme giuridiche di diritto pubblico in modo da passare dal “governo degli uomini” al “governo delle leggi”. Nello Stato costituzionale contemporaneo, la sovranità è attribuita ad un insieme di poteri “addomesticati”, una costruzione del diritto della Costituzione. Stati costituzionali devono, confederazioni di Stati come l’Unione europea possono avere costituzioni. 32. Le costituzioni contemporanee sono norme che organizzano ed integrano il diritto e la politica di un’organizzazione politica. Da un lato la costituzione integra il diritto, organizzando le basi del sistema delle fonti del diritto, separando i poteri politici da quelli tecnici responsabili per l’interpretazione e l’applicazione delle norme e fornendo i principi fondamentali che garantiscono la coesione dell’ordinamento giuridico. Dall’altro lato integra la politica, organizzando le forme della lotta politica, le procedure di determinazione dell’indirizzo politico e i principi fondamentali che stimolano o limitano le scelte politiche. Attraverso la costituzione, le organizzazioni politiche si auto-disciplinano (diritto della politica) e si legittimano (politica del diritto). 7 33. Lo stesso potere costituente sul quale si fondano i fatti (consuetudini), gli atti o i patti della costituzione non può più considerarsi libero, perché vincolato dalla natura delle costituzioni e dall’indisponibilità dei diritti umani. Le costituzioni sono diventate per lo più scritte in un testo unico (eccezione: United Kingdom), più rigide delle leggi (più difficilmente modificabili) nonché più lunghe (includendo oltre alle norme di organizzazione dello stato anche norme per la trasformazione della società). Queste caratteristiche distinguono anche la Costituzione repubblicana italiana dallo Statuto Albertino, e dalle leggi “costituzionali” del regime fascista. 34. Il diritto costituzionale, parte prima del diritto pubblico, è oggetto di una particolare “politica del diritto”, la “politica costituzionale”. Quest’ultima “non si fa scrivendo leggi e costituzioni in un modo o nell’altro, ma creando le condizioni materiali che rendono possibile – nel senso di storicamente auspicabile e sopportabile - il prevalere di determinati caratteri dell’organizzazione della vita sociale.” Per la politica costituzionale liberale, la costituzione deve limitarsi a disciplinare con poche norme lo stato, per quella sociale anche le linee guida della trasformazione della società. Le scelte della politica costituzionale possono farsi ispirare da criteri razionali di ”economia costituzionale”, ma devono anche tenere conto delle esperienze della “cultura costituzionale”, cioè non solo delle esigenze della politica ma anche di quelle del diritto. Letture integrative di approfondimento: I. N. Bobbio, La scienza politica e la tradizione di studi politici in Italia (1985), in: Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1996 II. N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Torino 1958 N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino 1960 M. Ainis, La legge oscura, Bari 1997 III. G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino 1991 G. Zagrebelsky, Stato - Società - Costituzione, Torino 1988 G. Zagrebelsky – P. Portinaro – J. Luther, Il futuro della costituzione, Torino 1991 P. Häberle, per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma 2001 8