Università degli studi del Piemonte Orientale

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Università degli studi del Piemonte Orientale
Facoltà di Scienze Politiche
Prof. Joerg Luther
Anno accademico 2010/2011
Diritto pubblico per le scienze politiche
Schede introduttive
Parte prima: Diritto, Politica, Diritto pubblico
I. Lo studio del diritto pubblico nelle Facoltà di Scienze Politiche
1. L’Università ha il compito di promuovere strumenti culturali per la comprensione del mondo
intero, compito non ammaestrabile da un docente solo. Si distingue dalla scuola sia per la
particolare condizione di libertà dello studente che è liberato dall’obbligo di frequenza della scuola
e si trova più in una società di “massa” che non in una comunità di “classe”, sia per quella dei
docenti che svolgono una funzione pubblica, quella di produrre e perfezionare la stessa “scienza” di
tutti che è oggetto dell’insegnamento (art. 33 co. 1 cost.).
2. La ricerca scientifica parte da domande (o ipotesi) che possono essere liberamente sollevate dai
professori e ricercatori (accademia) e dagli stessi studenti, per arrivare a risposte (tesi) che
pretendono di essere delle “verità” e devono pertanto essere argomentate in un procedimento che
obbliga ad accetare il dialogo, cercando di confutare eventuali tesi divergenti. L’insegnamento
universitario deve rendere lo studente partecipe al progresso attuale delle scienze, cioè allo “stato
dell’arte” delle ricerche nelle rispettive discipline. Lo studente è maggiorenne ed artefice del
proprio futuro, potendo avvalersi di questo servizio per formare le proprie capacità di lavoro nel
modo più “professionalizzante” possibile.
3. A differenza della comunità scolastica, la società universitaria offre e pretende pertanto una
maggiore libertà culturale di studio individuale e di scambio culturale spontaneo tra studenti ed
insegnanti, ma anche una maggiore responsabilità e una puntuale verifica e valutazione dei risultati
dello studio. L’autonomia dell’università implica dei doveri culturali per tutte le sue componenti, in
particolare i cd. doveri accademici dei docenti che sono attualmente in attesa di essere trascitti un
un apposito “codice etico”.
4. Le facoltà di Scienze Politiche sono nate come una gemmazione dalle facoltà di giurisprudenza
alla fine dell’ottocento (Firenze 1875). Nella storia delle scienze umanistiche, l’economia (‘700), la
sociologia (‘800) e la scienza della politica o politologia (‘900) si erano emancipate solo
gradualmente dalle facoltà di giurisprudenza e dalle scienze generali dello “Stato”. Gaetano Mosca,
uno dei “padri” della scienza politica in Italia, passava dagli “studi ausiliari del diritto
costituzionale” (1887) a quello degli “elementi di scienza politica (1896). Il giurista Georg Jellinek,
maestro del sociologo Max Weber, divideva le “dottrine generali” dello Stato in “dottrina giuridica”
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e “dottrina sociale” (1900). In alcuni paesi, esistono ancora o nuovamente facoltà di scienze dello
Stato che riaccorpano le scienze politiche con quelle giuridiche.
5. La Facoltà di Scienze Politiche rappresenta un insieme misto di scienze culturali o umanistiche
che si fonda essenzialmente su tre componenti. Le discipline sociologiche studiano i fatti sociali,
quelle economiche i beni e quelle politiche in senso lato i “discorsi”. Ne fanno parte non solo la
scienza della politica intesa come analisi politologica di politics (relazioni), policies (indirizzi) e
polities (organizzazioni), ma anche alcune discipline storiche, filosofiche, linguistiche e giuridiche.
Questa composizione ha il vantaggio di dare allo studente una pluralità di competenze chiave su un
mercato del lavoro molto variegato, ma comporta anche la necessità di un dialogo interdisciplinare
tra studenti e docenti.
6. Il diritto continua ad essere una disciplina obbligatoria delle scienze politiche, perché la capacità
di agire sui mercati e nelle istituzioni pubbliche presuppone delle conoscenze giuridiche che
superano quelle attese dai cittadini, ragione per cui non in tutte le scuole si studia diritto. Questi
saperi giuridici servono anche alle altre discipline. Il dialogo sui fattori sociali, economici e
politici del diritto avviene pertanto in diverse discipline speciali delle scienze culturali: La storia
del diritto è una storia speciale delle istituzioni e delle idee politiche. La filosofia del diritto e la
sociologia del diritto sono discipline speciali sia del diritto, sia della filosofia e della sociologia
generale. Il diritto comparato è impensabile senza l’antropologia giuridica e l’analisi economica
del diritto (“law and economics”), ma ha anche antiche radici nella statistica. Il diritto privato
comunica con la sociologia della famiglia, il diritto del lavoro con la sociologia ed economia del
lavoro. Tra le discipline del diritto pubblico, il diritto costituzionale è collegato alla storia
costituzionale, alla scienza della politica, a sociologia ed economia politica, il diritto
amministrativo affiancato dalle scienze dell’amministrazione, quello quello tributario alle scienze
delle finanze, quello internazionale alle relazioni internazionali, quello ecclesiastico alla teologia
ecc.
7. Il sapere giuridico non può essere dominio esclusivo dei giuristi, ma deve essere al servizio degli
operatori del mercato e dello Stato che devono poter osservare norme giuridiche conoscibili e
criticabili, saper evitare sanzioni, saper difendere i propri diritti ed interessi anche senza dipendere
sempre da un avvocato. Chiunque si pone al servizio di amministrazioni private o pubbliche ed
intende assumere posizioni di responsabilità deve essere in grado di interpretare testi giuridici ed
applicare le norme che disciplinano le proprie attività. L’obiettivo formativo dell’insegnamento
delle materie giuridiche nelle facoltà diverse da quella di giurisprudenza è quindi il cittadino capace
di contribuire attivamente alla cultura del diritto, utente critico e responsabile dei servizi dei
giuristi nel proprio lavoro.
8. Questo obbiettivo implica le seguenti capacità attese dallo studente del diritto fuori dalle facoltà
di giurisprudenza:
a) saper procurarsi accesso alle fonti del diritto e “leggere le leggi”, decodificando il linguaggio dei
giuristi e ricostruendo i contesti normativi che incidono sull’interpretazione dei testi;
b) saper interrogare ed istruire fatti ed interessi rilevanti per l’interpretazione dei testi giuridici,
c) saper argomentare con norme giuridiche per rappresentare e difendere interessi privati e
pubblici,
d) saper commissionare e valutare anche l’operato dei giuristi, la necessità e la qualità di
consulenze su atti, contratti, sentenze, leggi ecc..
e) saper procedere e decidere, dare forma ad atti giuridici e negoziare contratti utili ai propri
interessi (allo sportello, nel foro, nel commercio, nell’azienda ecc.),
f) relazionarsi con istituzioni private e pubbliche.
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9. Sono strumenti di formazione di tali capacità:
a) lo studio diretto delle fonti del diritto, la lettura del manuale, l’ascolto critico della lezione,
b) analizzare casi, storici o di attualità, come esperienze o ipotesi di applicazione delle fonti
(strumenti d’informazione mediatica),
c) partecipare a discussioni con e/o tra giuristi di professione,
d) formulare domande giuridiche rivolte al collega di studio, al docente o a giuristi di professione,
l’espressione di valutazioni
e) fare proposte motivate di giudizio (parere) e decisione,
f) confrontarsi in un gruppo di lavoro e affrontare l’esame (intermedio) che consente di verificare
anche l’apprendimento della terminologia giuridica di base (“giuridichese”).
II. Il “diritto” come insieme di norme e come pretesa di giustizia
10. I discorsi dei giuristi usano dei concetti sia per scrivere una legge, sia per interpretarla con le
parole del loro linguaggio. Per comprendere i concetti, propongono in genere definizioni che
individuano sia il genere prossimo (genus proximus) sia le caratteristiche che distinguono la cosa da
definire da altre cose del suo genere (differentia specifica). Le definizioni sono talvolta rinvenibili
nei testi legislativi, per lo più il frutto di convenzioni linguistiche e proposte degli scienziati.
Essendo le parole spesso ambigue e sempre solo in parte comprensibili, sono variamente
interpretabili e la loro interpretazione sovente condizionata da contesti e concezioni variabili.
11. Nel linguaggio comune dei cittadini e in quello tecnico dei giuristi, i significati del termine
“diritto” variano. Nel linguaggio comune si usa parlare del diritto che un soggetto “ha” o pretende
di avere perché si percepisce e sente come giusta una pretesa avanzata nei confronti di altri su
qualcosa cui corrisponde un proprio interesse. Nel linguaggio tecnico dei giuristi, si parla per lo più
del diritto come qualcosa che “è” oggetto e sostanza di discorsi accademici (scienza giuridica) e
pratici, soprattutto forensi (giurisprudenza). In comune hanno entrambi di concepire il diritto nel
suo genere come un discorso, ma almeno il giurista deve sempre distinguere tra il diritto in senso
oggettivo e il diritto in senso soggettivo come due aspetti che si integrano reciprocamente. Il diritto
in senso oggettivo può essere definito come l’insieme delle norme che disciplinano le pretese
soggettive di giustizia per dare un giusto ordine ad una organizzazione sociale e politica (c.d.
“ordinamento giuridico”, cfr. art. 10 cost.). Il diritto in senso soggettivo invece può essere definito
come la pretesa legittima, riconosciuta da una norma del diritto oggettivo, di una condotta altrui,
che può consistere in un fare, dare o dire (positiva) o nell’astenersi dallo stesso (negativa) e che
può essere fatta valere davanti a un giudice (art. 24).
12. Il diritto in senso oggettivo è in un insieme ordinato di “norme” giuridiche. Norma è una
proposizione prescrittiva che si rivolge alla coscienza degli uomini per ottenere o impedire un
determinato comportamento. A differenza delle proposizioni descrittive che intendono fare
conoscere un dato vero o falso, e a differenza delle proposizioni espressive (o esortative), che
intendono fare sentire una cosa bella o brutta, le proposizioni prescrittive implicano anche un
giudizio sull’essere giusto o ingiusto di un comportamento. Le prescrizioni attengono al mondo del
“dover essere”, le descrizioni dei fatti invece al mondo del ”essere” delle cose, le esclamazioni al
semplice “essere” delle persone.
13. Analiticamente il mondo delle norme deve essere distinto da quello dei fatti. I comportamenti
non sono sempre come devono essere. Quello che normalmente (nel maggior numero dei casi) si fa
può essere lecito o doveroso dal punto delle norme giuridico, ma anche l’illecito e le violazioni del
dovere possono essere una “normalità” diffusa. Quello che normativamente (secondo le norme) si
è tenuti a fare può, ma non deve sempre essere anche la normalità. Le “leggi” delle scienze naturali
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(ad es. relative alla gravitazione) attengono ai fatti naturali osservati, le leggi delle altre scienze
culturali (ad es. legge economica della tendenziale crescita dei compiti pubblici, legge ferrea
dell’oligarchia, ecc.) ai fatti sociali osservati, solo quelle giuridiche contengono norme che sono da
osservare, sono fatte per essere osservate e sono fatte osservare.
14. Le proposizioni normative seguono una propria logica (deontica), utilizzando sempre uno di tre
operatori deontici: il comando (si devono a = pagare le tasse), il divieto (si deve non b = fumare)
e il permesso (ad alcuni è permesso non a = pagare le tasse o in alcuni luoghi è permesso b =
fumare). Un comportamento non prescritto, né vietato può essere anche considerato libero.
15. Le proposizioni normative sono generali e astratte, cioè prescrizioni riferite a soggetti non
ancora individuati e a situazioni non ancora determinate nel tempo. La generalità e l’astrattezza è
graduale. La generalità può essere ridotta in presenza di norme speciali. L’astrattezza può essere
ridotta in presenza di norme eccezionali. A differenza degli atti normativi generali ed astratti, il
provvedimento amministrativo e la sentenza del giudice contengono invece sempre proposizioni
giuridiche individuali e concrete. Una legge che contiene un “provvedimento” o corregge una
“sentenza” abusa del potere di dettare norme per aggiustare singole pratiche amministrative o
giurisdizionali e può contraddire le caratteristiche necessarie del diritto in uno “stato di diritto”.
16. Le norme del massimo grado di generalità ed astrattezza sono norme di principio. Le norme di
principio, frequenti in costituzioni e in leggi di delega, hanno una struttura incondizionata e
finalistica (è doveroso realizzare al meglio l’obiettivo X). I principi sono da attuare gradualmente (è
lecito realizzare X di più o di meno), ma è fatto divieto sacrificare del tutto un principio,
rendendone impossibile l’attuazione. Le norme che hanno una struttura condizionale (se esiste la
fattispecie a, allora la conseguenza giuridica deve essere b)), esprimono invece una regola con una
struttura condizionale.
17. Il diritto moderno è in gran parte scritto in leggi (art. 70 cost.) ed in altri fonti scritte. I testi
giuridici sono articolati in “disposizioni”, dalle quali i giuristi ricavano mediante l’interpretazione
le “norme” che servono a decidere le questioni di ogni singolo caso di controversia. La componente
logica del ragionamento dei giuristi consiste nel cd. sillogismo giuridico che si basa su una norma
in forma di regola (se a allora b) come premessa maggiore, un caso (fatto) come premessa minore
(Tizio ha realizzato la fattispecie a) e una conclusione che consiste in una proposizione giuridica
concreta, cioè nell’applicazione della prescrizione e norma al caso concreto (a Tizio va applicato b,
ad es. una sanzione). La componente creativa del lavoro (o l’arte) delle professioni giuridiche
consiste a) nella formulazione della norma attraverso l’interpretazione delle disposizioni, b) nella
ricostruzione del caso attraverso l’istruttoria dei fatti.
18. Le norme giuridiche sono prescrizioni che intendono motivare o influenzare le scelte di
comportamento, ma a differenza di quelle solo morali sono create da scelte collettive vincolanti e
sanzionate da altri (non solo “auto-vincolanti”). Servono a stabilizzare (aspettative di) aspettative
sociali anche quando sono frustrate da comportamenti non conformi alla norma (N. Luhmann). Le
norme giuridiche hanno sanzioni previste da apposite norme sanzionatorie. L’osservanza delle
norme giuridiche può essere motivata dal timore di misure di coercizione, ma anche dall’interesse
di ottenere una premiazione. A differenza delle regole e delle sanzioni meramente sociali e
culturali, che non implicano l’uso della forza e sono erogabili da ogni singolo e ogni formazione
sociale (anche di tipo religioso), quelle giuridiche sono organizzate e presuppongono il divieto di
farsi giustizia da sé, divieto garantito dal monopolio pubblico della forza legittima riservata allo
Stato (M. Weber).
19. Le norme giuridiche sono oggetto di discorsi e giudizi sotto vari profili:
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a) Sono valide se sono create secondo le norme sulla produzione e sull’interpretazione del diritto
“positivo” (posto da un’autorità legittima).
b) Sono giuste se non contraddicono il senso comune dell’ingiustizia, traducibile ad es. nelle
categorie aristoteliche della giustizia distributiva (suum cuique tribuere: dare a ciascuno il suo
bene e il suo male) e della giustizia commutativa (fare equivalere prestazione e prezzo, danno e
risarcimento, colpa e pena ecc ).
c) Sono efficaci se sono effettivamente osservate o applicate, cioè se ne sono sanzionate le
violazioni.
Il giudizio sulla “validità” delle norme è mestiere della giurisprudenza, sia di quella pratica del
foro (forense) sia da quella teorica dell’accademia (dottrinale). Il giudizio sulla “giustizia” è
oggetto della filosofia del diritto, il giudizio sull’efficacia oggetto della sociologia del diritto.
20. I rapporti tra i tre giudizi sono controversi tra le diverse culture giuridiche. Per quella del
giuspositivismo, il giurista verifica la validità delle norme solo sulla base di altre norme giuridiche,
quelle che definiscono le competenze degli organi e le procedure idonee a produrre le “fonti” del
diritto. Un sentimento di “ingiustizia” o una percezione di “inefficacia” non sono motivo sufficiente
per l’invalidità. L’interpretazione deve risalire alla volontà del legislatore, perché è impossibile
trovare dei criteri di giustizia fuori dal diritto “positivo”. Per il giusnaturalismo invece sono
invalide le leggi manifestamente ingiuste. L’interpretazione di quelle valide deve tenere conto delle
idee di giustizia condivise dalla società, non piegarsi alla nuda forza dei fatti. Per il giusrealismo
infine sono valide solo le norme dotate di effettività sociale, non quelle resa “lettera morta” dalla
prassi (desuetudine). L’interpretazione deve tenere conto dei “fatti legislativi” sui quali la legge
interviene e non può pretendere comportamenti impossibili (impossibilium nemo tenetur).
21. Le tre culture sono ideologie che si mescolano nella prassi. Essendo i principi fondamentali e i
diritti fondamentali del giusnaturalismo classico oramai iscritti nelle costituzioni, le leggi ingiuste
possono essere dichiarate incostituzionali (art. 137 cost.). Il giudice costituzionale, in sede di
controllo di costituzionalità delle leggi, può controllarne la ragionevolezza, censurando norme
manifestamente ingiuste. L’interprete della legge deve rispettare la volontà del legislatore, ma può
presumere che il legislatore abbia voluto rispettare ed attuare la Costituzione ed assicurare
l’efficacia delle norme. La prudenza del giurista esige di non sostenere interpretazioni che risultano
insostenibili alla luce delle circostanze di fatto del caso. Se una legge impone obblighi sentiti
incompatibili con i dettami della coscienza, il legislatore può risparmiare all’individuo un conflitto
di coscienza predisponendo delle alternative meno gravose per la stessa (cd. obiezioni di
coscienza).
22. Il diritto è sempre un “insieme” ordinato di norme giuridiche. Una pluralità di norme può
configurare un singolo istituto giuridico (la disciplina di un’istituzione sociale oggettiva, ad es. il
possesso o la supplenza), un insieme di istituti un ordinamento giuridico (la disciplina di
un’organizzazione sociale plurisoggettiva, come ad es. l’università (art. 33, co. 5) o le Forze armate
(art. 52 co. 3). Un ordinamento giuridico può includere una pluralità di altri ordinamenti parziali
(che sono derivati da o costitutivi di quello complessivo) (art. 115).
23. Ogni ordinamento giuridico pretende idealmente coerenza e completezza delle norme che lo
compongono. Per essere coerente, deve costituire un sistema in grado di risolvere le antinomie tra
le proprie norme. Per essere completo, deve dotarsi di strumenti che consentono di colmare le
lacune di norme in situazioni nuove non ancora prevedibili per il legislatore. Coerenza e
completezza dipendono dalla produzione sistematica (codici, testi unici) delle disposizioni e
dall’interpretazione sistematica delle norme da parte degli operatori. L’interpretazione può anche
estendere regole o principi in casi di lacune (cd. analogia).
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24. Il numero delle norme di un ordinamento giuridico è tendenzialmente indefinibile, ma non
infinito. Non solo le disposizioni ma anche gli interpreti sono innumerevoli, e le interpretazioni
sono quindi variabili. Quante norme giuridiche servono per dare un ordine alla società ? Sul punto
variano le ideologie della politica del diritto. Per il liberalismo ottimista, l’ordine sociale può
essere il prodotto dell’agire spontaneo razionale dell’individuo nella società, sia in ambito
economico sia in ambito culturale. Pertanto servono poche leggi sintetiche chiare e coerenti e tali da
gravare di meno obblighi il cittadino, cioè la massima deregulation e semplificazione. Per il
comunitarismo pessimista, l’ordine sociale non può essere il prodotto dell’agire spontaneo perché
l’uomo è corrompibile e non sempre in grado di compiere scelte razionali. Pertanto serve disciplina
con regole anche dettagliate e differenziate. In una società complessa non è possibile né auspicabile
ridurre le norme ad una sola. Se tutto fosse permesso, si avrebbe l’anarchia. Se tutto fosse vietato o
comandato, si avrebbe una tirannide. Bisogna evitare un’inflazione eccessiva delle leggi, tale da
rendere al cittadino impossibile conoscere quelle che lo interessano senza abbonarsi a un servizio di
consulenza legale. Tagliare troppe leggi rischia di rendere le leggi più oscure e di ampliare troppo il
potere degli interpreti. Il numero giusto può essere trovato solo in una democrazia, perché
quest’ultima consente una competizione e scelte politiche comuni tra entrambi le ideologie.
III. Il diritto pubblico come diritto della politica
25. Il diritto pubblico è una parte del diritto oggettivo che si separa dal diritto privato o civile.
Tale dicotomia può essere letta alla luce di alcune distinzioni filosofiche, ad es. quella hegeliana tra
“Stato” e “società” (civile). La sua origine è nel diritto romano (Ulpiano): Publicum jus est quod ad
statum rei Romanae spectat, privatum quod ad singulorum utilitatem. (Digesto I 1, 1, § 2). Se si
considera la Repubblica oggi un insieme di soggetti (art. 115 cost), criterio sono anche i rapporti:
civili se tra cittadini, pubblici se tra i cittadini e i soggetti pubblici.
26. Per distinguere il privato dal pubblico, occorre guardare ai soggetti e agli interessi coinvolti,
immaginando un triangolo nel quale i soggetti privati (p1 e p2) sono disegnati in una posizione
inferiore a un soggetto pubblico (P). Essere “privati” significa potere stare senza essere retto dalla
comunità e perseguire interessi individuali, essere “pubblico” significa guardare agli interessi
comuni e generali. Il diritto privato disciplina i rapporti tra le persone che si trovano in condizioni di
eguaglianza e di pari libertà ed autonomia, pertanto è in genere derogabile dai contratti dei privati.
Il diritto pubblico disciplina l’azione dei soggetti pubblici che fanno prevalere gli interessi pubblici
su quelli privati. Attraverso la P.A. (pubblica amministrazione) ed i P.M. (pubblico ministero), i
soggetti pubblici (P) distribuiscono e garantiscono beni e servizi (diritto amministrativo) ed
erogano sanzioni penali (diritto penale) o provvedimenti giudiziri (procedura civile e penale) ai
cittadini. Di fronte a queste scelte, il privato si trova in un rapporto di soggezione generale fondato
sul dovere di obbedienza (art. 54).
27. Il diritto pubblico ha per oggetto una pluralità di organizzazioni politiche (art. 115) e i rapporti
che intercorrono tra tali organizzazioni (se stati: diritto internazionale pubblico) e i cittadini.
Pertanto è anche (non solo) “diritto politico”, nel duplice senso di un insieme di norme “per”
un’organizzazione politica e un insieme di norme originato “da”un’organizzazione politica.
28. Il diritto pubblico non può essere studiato sulla base di un solo concetto di politica. La politica
oggetto delle norme di diritto pubblico non è soltanto quella machiavellica della “lotta per il
potere”, ma anche quella aristotelica dell’azione pubblica e dell’esercizio del potere per il bene
comune. La lotta per il potere si realizza esercitando i diritti politici garantiti dalla costituzione.
L’azione per il bene comune si realizza nell’assetto dei poteri, in particolare nelle funzioni di
governo, in senso ampio inteso come determinazione dell’indirizzo politico o gubernaculum (=
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dirigere la nave nel porto della felicità, in quelle di amministrazione intesa come gestione delle
risorse per l’attuazione degli indirizzi politici) e in quelle di giurisdizione, intesa come
amministrazione della giustizia per la pace e il bene di tutti).
29. Storicamente la principale tra le organizzazioni politiche è lo Stato. Pertanto il diritto pubblico è
soprattutto “diritto dello Stato”. La formazione storica dello Stato moderno passa attraverso le tappe
a) della spersonalizzazione e della secolarizzazione del potere, dalla rinuncia all’investitura divina
e nascita delle burocrazie in seno alle corti (1100) fino al trionfo della cd. “ragion di Stato (1500),
b) dell’accentramento politico e dell’allargamento territoriale del potere, dalla nascita di governi
e parlamenti (1200) fino alla trasformazione di signorie locali, corporazioni, nobiltà e clero in poteri
intermediari (1600), c) della “giuridificazione” del potere, dallo Stato di polizia, dove il buon
governo del principe garantisce sicurezza e felicità ai cittadini (700), fino allo Stato di diritto, dove
si deve governare sulla base e nel rispetto di costituzioni e leggi (800).
30. Quel che distingue il potere dello Stato da quello di altre organizzazioni pubbliche, solo
autonome e derivate, è la pretesa di sovranità del titolare del potere, cioè in passato del monarca,
oggi del popolo, art. 1. Il titolare della sovranità non può riconoscere poteri e soggetti superiori né
all’interno (art. 7), né all’esterno dello Stato (art. 11).
31. I poteri che caratterizzano la sovranità possono essere riassunti nei seguenti simboli: a) spada: il
monopolio della forza legittima verso l’interno (forze delle autorità di pubblica sicurezza) e verso
l’esterno (forze armate), b) bandiera: il potere di fare pace, di concludere patti con altri stati e di
partecipare ad organizzazioni internazionali (potere estero), c) toga: il potere di risolvere liti e
garantire i diritti in modo pacifico (potere giudiziario), d) moneta: il potere di battere moneta e
garantire la fiducia nel suo valore (potere economico-finanziario), (v. le competenze esclusive dello
Stato in art. 117)..
32. La sovranità odierna si è trasformata da una regola (si o no) in un principio (più o meno). Nel
diritto internazionale nessun Stato, forse nemmeno quelli che hanno un seggio permanente nel
Consiglio di sicurezza dell’ONU, può difendersi sempre da solo. Con la globalizzazione sono
cresciuti i poteri delle organizzazioni sopranazionali e le giurisdizioni internazionali, ma sembrano
anche diminuire i poteri della politica sull’economia. La sovranità non simbolizza più una forza
esclusiva (rispetto alle forze della società) e chiusa (rispetto alle altre nazioni), ma assume forme
più inclusive ed aperte ad esperienze di governance.
33. Tradizionalmente si definisce lo Stato attraverso i suoi elementi base: popolo, territorio e
sovranità dell’organizzazione politica. In base ai rapporti che si stabiliscono tra i vari elementi si
possono distinguere varie forme di Stato, intesi come tipi ideali, indicatori di tendenze politiche e
principi fondamentali impliciti della costituzione:
(1) Stato unitario (sovranità territorialmente indivisa) vs Stato federale (sovranità divisa, cioè non
monopolizzata né da un soggetto centrale (= stato unitario), né dai soggetti periferici regionali o
locali (= confederazione di stati)) (art. 5)
(2) Stato democratico (legittimazione del potere dal basso: il potere conferito è “dal popolo”,
esercitato “per il popolo” e “con” la partecipazione del popolo) vs Stato autocratico (legittimazione
del potere dall’alto, ad es. dal cielo (monarca), dalla forza militare (dittatore), dalla nobiltà
(aristocrate) e dal sapere tecnico (tecnocrate)), (art. 1)
(3) Stato liberale (compito del potere è la garanzia delle libertà dei cittadini in un ordine sociale da
conservare: “garantismo”, art. 2) vs Stato sociale (compito è la garanzia dell’eguaglianza sociale dei
cittadini in un ordine sociale da trasformare: “interventismo”) (art. 3).
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34. Nello Stato di diritto moderno, ogni potere è costruito e limitato da norme giuridiche di diritto
pubblico che vincolano il “governo degli uomini” al “governo delle leggi”. Nello Stato
costituzionale contemporaneo, la sovranità è attribuita ad un insieme di poteri “addomesticati”, una
costruzione del diritto della Costituzione che legittima e limita ogni governo. Le costituzioni
contemporanee sono norme che organizzano ed integrano il diritto e la politica di
un’organizzazione politica. Da un lato, la Costituzione integra il diritto, organizzando le basi del
sistema delle fonti del diritto, separando i poteri politici da quelli tecnici responsabili per
l’interpretazione e l’applicazione delle norme e fornendo i principi fondamentali che garantiscono la
coesione dell’ordinamento giuridico. Dall’altro lato, la Costituzione integra la politica,
organizzando le forme della lotta politica, le procedure di determinazione dell’indirizzo politico e i
principi fondamentali che stimolano o limitano le scelte politiche. Attraverso la Costituzione, le
organizzazioni politiche si auto-disciplinano (diritto della politica) e si legittimano (politica del
diritto), definendo i rapporti tra governanti e governati, il cittadino singolo e l’insieme della
cittadinanza..
35. Lo stesso potere costituente sul quale si fondano i fatti (consuetudini), gli atti o i patti della
costituzione non può più considerarsi libero, perché è vincolato al rispetto dei diritti umani ed è
legittimato forse addirittura da un “diritto alla costituzione”. Le costituzioni sono diventate scritte
in un testo unico (con l’eccezione di Regno Unito e Israele), più rigide delle leggi (più difficilmente
modificabili) nonché più lunghe (includendo anche norme per la trasformazione della società).
Queste caratteristiche distinguono la Costituzione repubblicana italiana sia dallo Statuto Albertino,
sia dalle cd. leggi “costituzionali” del regime fascista. Gli stati costituzionali nazionali
contemporanei devono, le confederazioni di Stati come l’Unione europea possono avere
costituzioni interamente o parzialmente scritte in uno o più testi. Forse perfino la comunità
internazionale ha nei diritti umani, nello statuto dell’ONU, nelle consuetudini e nel diritto comune
delle costituzioni degli Stati già elementi di una Costituzione.
36. Il diritto costituzionale, parte prima del diritto pubblico, è oggetto di una particolare “politica
del diritto”, la “politica costituzionale”. Quest’ultima “non si fa scrivendo leggi e costituzioni in un
modo o nell’altro, ma creando le condizioni materiali che rendono possibile – nel senso di
storicamente auspicabile e sopportabile - il prevalere di determinati caratteri dell’organizzazione
della vita sociale.” Per la politica costituzionale liberale, la costituzione deve limitarsi a disciplinare
con poche norme lo stato, per quella sociale anche le linee guida della trasformazione della società.
Le scelte della politica costituzionale possono farsi ispirare da criteri razionali di ”economia
costituzionale”, ma devono anche tenere conto delle esperienze della “cultura costituzionale”,
cioè non solo delle esigenze della politica ma anche di quelle del diritto.
Letture integrative di approfondimento:
ad I. N. Bobbio, La scienza politica e la tradizione di studi politici in Italia (1985),
in: Saggi sulla scienza politica in Italia, Bari 1996
ad II. N. Bobbio, Teoria della norma giuridica, Torino 1958
N. Bobbio, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino 1960
L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma 2007
F. Modugno, Interpretazione giuridica, Padova 2009
ad III. G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino 1991
G. Zagrebelsky, Stato - Società - Costituzione, Torino 1988
G. Zagrebelsky – P. Portinaro – J. Luther, Il futuro della costituzione, Torino 1991
P. Häberle, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma 2001
G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, Bologna 2008
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