2. Il sostegno psicologico - Unione Italiana dei Ciechi e degli

SOSTEGNO PSICOLOGICO
Il sostegno psicologico si rivolge a coloro che vivono situazioni di disagio e che devono affrontare
una sofferenza psicologica. Ha come finalità la gestione della difficoltà ed è teso a definire e
inquadrare la problematica, individuare e sviluppare le capacità di soluzione e le strategie che la
persona ha già in sé (risorse personali), ma che non riesce a mettere in campo da solo perché
bloccato dalla preoccupazione.
Il percorso è quindi teso a:
 uscire dalla crisi;
 migliorare l'autostima e il senso di possibilità;
 attivare soluzioni per modificare la situazione;
 nel caso di eventi esterni immodificabili (ad esempio una malattia cronica): trasformare il
dolore e la rabbia, accettare il cambiamento per poter trovare un nuovo modo di vivere al
meglio la propria vita.
Il sostegno psicologico può essere: individuale, di coppia, di famiglia e di gruppo.
La durata è variabile: in genere l'intervento si conclude nel momento in cui sono stati trovati nuovi
modi per risolvere la situazione e la problematica è risolta, oppure si è trovata la modalità migliore
per accettare il problema e adattarsi a una nuova situazione.
Nell’ambito della consulenza psicologica all’individuo, alla coppia e alla famiglia sono
generalmente affrontati temi legati a difficoltà temporanee, a disturbi di lieve entità o a disagio nelle
relazioni ed i colloqui sono volti ad identificare, spiegare e ridimensionare le problematiche e il
disagio attraverso l’individuazione e la condivisione di obiettivi concreti e realistici, a partire dalla
storia e dalle aspettative individuali.
Il fine è, dunque, quello di fornire alla persona un aiuto concreto affinché risolva o impari a gestire
le proprie difficoltà autonomamente, grazie alle proprie risorse personali.
La consulenza ed il sostegno psicologico sono indicati nei casi in cui l’individuo si trovi ad
affrontare:
 conflitti personali, familiari o lavorativi;
 situazioni di crisi associate ad elevata sofferenza emotiva (separazioni, lutti, malattie
croniche o invalidanti);
 periodi di forte cambiamento o difficoltà decisionali su tematiche emotivamente importanti
(famiglia, lavoro, ecc.);
 problematiche legate alla sfera della sessualità;
 problematiche legate alla gestione dei figli nei periodi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Nelle situazioni più complesse e non trattabili con una semplice consulenza, l’utente può essere
indirizzato ad un percorso di psicoterapia.
Una persona decide di andare in terapia quando vi è un blocco che le impedisce di svolgere una vita
completa ed appagante o quando il suo comportamento, le sue sensazioni, i suoi pensieri, le sue
emozioni e le sue percezioni siano diventate, per sé o per gli altri, inappropriate.
Desideri, bisogni, motivazioni, sensazioni, pensieri, emozioni e percezioni risultano disfunzionali e
influiscono pesantemente sulla quotidianità.
La psicoterapia è un percorso, la cui durata è variabile (da diversi mesi ad alcuni anni), che ha due
grandi obiettivi: conoscersi e produrre un cambiamento attraverso la relazione tra terapeuta e
paziente.
Esistono oggigiorno differenti tipi di psicoterapia che si diversificano a seconda della teoria di
riferimento, della metodologia e degli strumenti utilizzati durante il lavoro psicoterapico.
Pur con differenze teoriche e metodologiche, tutti i tipi di psicoterapia puntano alla salute della
persona, al miglioramento della sua qualità di vita attuale e ad un incremento del benessere
soggettivo sulla base del perseguimento di obiettivi concordati tra psicoterapeuta e cliente/paziente.
Le differenze sostanziali dei numerosi approcci psicoterapeutici esistenti riguardano il focus a cui si
vuole maggiormente prestare attenzione per arrivare alla rilettura della problematica che ha spinto il
paziente a rivolgersi ad un professionista della salute mentale e all’aumento di consapevolezza
personale che è, di per sé, cura.
Nell’approccio psicodinamico, ad esempio, che comprende numerosissimi modelli teorico tra cui
quello psicoanalitico di Sigmund Freud, non si pone immediatamente l’attenzione sul sintomo da
“eliminare”, perché esso è considerato come il risultato di conflitti tra pulsioni inconsce, ma il focus
è spostato su una profonda esplorazione delle istanze del sé, dei meccanismi di difesa che la persona
usa inconsciamente per stare al mondo, e della creazione di un Sé stabile, coerente ed integro. Tutta
questa approfondita analisi delle dinamiche interiori inconsce porta, secondo l’approccio
psicodinamico, all’eliminazione del sintomo cosciente.
Un altro approccio largamente utilizzato in psicoterapia è l’approccio sistemico – relazionale il cui
focus primario è l’individuo visto come parte di un sistema (il sistema famiglia inizialmente) e non
come entità singola. Il sistema famiglia, se sano e funzionale è dinamico e ha confini equilibrati tra i
membri; confini, cioè, né troppo rigidi e soffocanti e né troppo lassi e aperti. Il sistema, è più della
somma delle parti e diventa un organo a sé stante con le proprie regole, le proprie dinamiche interne
e il proprio equilibrio. Il sintomo, infatti, viene considerato come un chiaro segnale di un disagio
che interessa tutta la famiglia. Durante la terapia lo psicoterapeuta cerca di indagare, insieme al
“paziente designato” (la persona che porta il sintomo in terapia) il significato di esso partendo
dall’analisi delle dinamiche presenti nella famiglia. Solitamente il sintomo ha la funzione di
mantenere l’equilibrio, in questo caso, disfunzionale e patogeno della famiglia. In terapia viene
trattata tutta famiglia in quanto si ritiene che cambiando le regole del sistema si estinguerà il
sintomo perché la famiglia non avrà più bisogno di un “capro espiatorio” per mantenere l’equilibrio,
ma sarà in grado di riorganizzarsi e di trovare un nuovo equilibrio, più funzionale che consenta
l’individuazione dei singoli membri del sistema.
Un altro orientamento largamente usato e in costante evoluzione che, a sua volta, comprende
molteplici modelli (come quello cognitivo- costruttivista post -razionalista che viene spiegato in
seguito) che prendono spunto anche dall’approccio appena descritto, (sistemico relazionale) è l’
approccio cognitivo comportamentale che considera l'individuo come un sistema complesso che ha
come obiettivo la ricerca e il mantenimento di una coerenza interna e la creazione di un sé stabile e
coeso nonostante le numerose e variegate esperienze che un individuo può vivere quotidianamente.
Questo approccio considera il sintomo come l’espressione ultima di una complessa relazione tra
pensieri, emozioni e comportamenti. Gli eventi, infatti, influenzano le nostre emozioni ma pensieri
e comportamenti determinano la loro intensità e la loro durata. ll focus dell’attenzione, in questo
approccio, sono i pensieri e i comportamenti disfunzionali che portano al malessere emotivo. Una
delle caratteristiche peculiari di questo approccio, è il fatto che paziente e terapeuta collaborano fin
da subito per la definizione chiara e condivisa degli scopi della terapia. Gli obiettivi vengono
definiti in modo condiviso perché il terapeuta non viene considerato il depositario della verità, ma è
il paziente ad essere il maggiore esperto di sé stesso. Paziente e terapeuta, solo dopo aver creato una
salda relazione, incominciano l’esplorazione attiva dei pensieri, emozioni e dei comportamenti che
entrano in gioco nelle situazioni di malessere e cercano di modificare abitudini di pensiero e di
comportamenti disfunzionali per poter, così, regolare in maniera più efficace le proprie emozioni.
L’approccio cognitivo- comportamentale è un approccio che si avvale anche di “compiti a casa” e
della compilazione di diari per monitorare il comportamento, le emozioni e i pensieri che sono
emersi prima, durante e dopo la situazione di disagio o il sintomo del paziente.
La psicoterapia cognitivo comportamentale lavora quindi sul presente, sul “qui ed ora”; tuttavia,
diversi modelli e teorie all’interno del gruppo delle psicoterapie cognitivo comportamentali,
considerano importante anche l’indagine del cosiddetto “passato” per comprendere in che modo il
paziente ha co-costruito e “appreso” nelle proprie relazioni primarie con le figure di attaccamento
(di solito sono i genitori) determinati schemi, credenze su di sé, sugli altri e sul mondo. E’ il caso
dell’approccio cognitivo- comportamentale post- razionalista che è influenzato dalla teoria
dell’attaccamento di J.Bowlby.
Questo approccio considera fondamentale, per il benessere psicofisico della persona, l’aver goduto,
nell’infanzia di un buon “attaccamento” con i genitori e spiega la comparsa di psicopatologia in età
adulta come il risultato di stili di attaccamento insicuro durante l’infanzia, non trascurando le
influenze ambientali, genetiche e sociali che sono altrettanto determinanti nello sviluppo di
psicopatologie nell’individuo.
Dopo aver fatto una breve carrellata dei maggiori approcci utilizzati è ora doveroso e utile spiegare
in modo chiaro la distinzione che intercorre tra i due professionisti della salute mentale oggi
riconosciuti in Italia. Lo psicologo e lo psicoterapeuta. Qual è la reale differenza tra i due? Come si
fa a diventare psicologo o/e psicoterapeuta?
Sia lo Psicologo sia lo Psicoterapeuta sono figure professionali orientate alla cura del disagio
psicologico. Le due professioni presentano differenze per quanto riguarda il percorso formativo e la
natura della loro attività professionale.
Lo Psicologo è laureato in Psicologia, ha svolto un tirocinio professionale, ha superato l’Esame di
Stato per l'abilitazione professionale e si è iscritto all’Albo professionale (Sezione A) dell’Ordine
degli Psicologi.
Senza l'iscrizione all'Albo (Sezione A) non si ha diritto ad utilizzare il titolo di “Psicologo”, ma
soltanto quello di “Dottore in Psicologia”.
Nel 2001 è nata la figura del “Dottore in Tecniche Psicologiche” che, a differenza dello Psicologo
che ha una laurea quinquennale, ha conseguito una laurea di soli tre anni, ha effettuato un tirocinio
di 6 mesi, ha superato l’Esame di Stato per l’abilitazione professionale e l’iscrizione all’Albo –
Sezione B.
Poiché il panorama formativo si sta facendo sempre più complesso, queste precisazioni sono
doverose al fine di definire la figura dello Psicologo e distinguerla da figure professionali limitrofe.
In ogni caso è possibile controllare l’iscrizione all’Albo di uno Psicologo consultando la
sezione Albo Nazionale del sito del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.
Per diventare Psicoterapeuta, invece, occorre essere o Psicologo o Medico chirurgo, regolarmente
iscritto al proprio Albo professionale. In secondo luogo occorre frequentare una scuola di
specializzazione in psicoterapia della durata di almeno quattro anni riconosciuta dal Ministero
dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca di cui sono stati elencati sopra alcuni tra i maggiori
approcci.
Lo Psicologo svolge la propria attività professionale in settori molto diversi: nel settore clinico,
occupandosi di disagio mentale, nel settore scolastico, promuovendo il benessere psicologico
all’interno degli istituti scolastici, nel settore organizzativo, operando per migliorare il
funzionamento di aziende e industrie, e nel settore accademico, svolgendo ricerca e insegnamento.
Lo Psicologo esegue una diagnosi utilizzando il colloquio e gli strumenti diagnostici, come ad
esempio i questionari e i test di personalità. Fa azione di prevenzione e di intervento sul disagio
psichico dei propri clienti promuovendo la consapevolezza dei propri modi di pensare, di sentire e
di agire, rinforzando le capacità dei propri clienti di vivere in autonomia e benessere.
Le differenze nello svolgimento dell’attività professionale dello Psicologo clinico e dello
Psicoterapeuta si basano sul fatto che lo Psicoterapeuta è l’unico abilitato a fare psicoterapia, ossia
il trattamento finalizzato alla cura dei disturbi psicopatologici basato sull’interazione tra lo
Psicoterapeuta e un paziente, una coppia, una famiglio o un gruppo.
Dopo aver chiarito la differenza tra le due figure professionali e gli scopi dei due interventi sulla
persona, è importante portare all’attenzione dei lettori un dato di realtà che ad oggi è preoccupante
per queste professioni; nonostante le numerose ricerche nel campo delle neuroscienze che hanno
dimostrato l’utilità della psicoterapia o del sostegno psicologico per il benessere psicofisico
dell’individuo. Permangono ancora oggi molti stereotipi, pregiudizi e veri e propri “taboo” che
interessano la figura dello psicologo e dello psicoterapeuta; vediamone alcuni:
-
lo psicologo è per i “deboli”, io non sono “debole”:
Per sfatare questo “mito” è importante far comprendere alle persone che, al contrario, chi decide di
intraprendere un lavoro di conoscenza di sé e del proprio modo di funzionare, è una persona molto
coraggiosa perché si mette in gioco nel riconoscere i propri limiti personali (e non li attribuisce agli
altri), e lavora dentro di sé per accettarli, e questo è un grande atto di forza.
Entrare in relazione con l’altro è la condizione fondamentale per potersi conoscere e “raccontare” in
un modo diverso e nuovo. Da qui ecco che potrebbe crearsi un altro pregiudizio tipico;
-
perché rivolgersi ad uno sconosciuto, quando posso parlare con un amico:
la natura della relazione di amicizia è completamente diversa dalla natura della relazione con
uno psicoterapeuta o uno psicologo per molte ragioni; prima di tutto, lo psicologo è un
professionista che entra in una relazione paritaria ed empatica con il paziente sospendendo il
giudizio verso di lui e questo aiuterà il paziente ad essere maggiormente libero di esprimersi,
nonostante il professionista continui ad essere un estraneo. Inoltre lo psicoterapeuta o psicologo,
a differenza di un amico non è e non può essere coinvolto in dinamiche affettive con il paziente
e questo è un vantaggio enorme per il paziente perché il terapeuta sarà molto obiettivo con lui e
non gli dirà cosa fare o non fare, ma anzi lo aiuterà a trovare la soluzione da sé, e questo, col
passare del tempo, aumenterà la sensazione di fiducia del paziente nelle proprie capacità
personali.
Il terapeuta o lo psicologo è una guida, più equipaggiata, a livello di competenze e strumenti
specifici, che starà sempre un passo indietro al paziente e lo avviserà se e quando ci saranno dei
pericoli e non gli dirà come poterli superare, ma farà arrivare autonomamente, il paziente alla
soluzione.
Un’altra fondamentale differenza tra uno psicologo/psicoterapeuta e un amico è che il
professionista è concentrato sul paziente e il paziente è concentrato su di sé. Vale a dire che i
vantaggi della terapia sono tutti a favore del paziente.
Il fatto che i professionisti della salute mentale, siano essi psicologi o psicoterapeuti non
giudicano il paziente in alcun modo, è garanzia del fatto che essi
- non manipolano la mente del paziente, anche questo pregiudizio è comune. Questo non può
capitare perché gli psicologi, come gli altri professionisti devono attenersi al codice
deontologico.
Nell’articolo 4 si legge, infatti, che lo psicologo rispetta l’autonomia e le credenze dei suoi
pazienti, si astiene dall’imporre il suo sistema di valori e non usa in modo inappropriato la
sua influenza.
In ultimo ecco il pregiudizio per eccellenza:
-
è impossibile risolvere i problemi solo parlandone;
apparentemente potrebbe essere vera questa affermazione, ma il linguaggio non serve solo a
descrivere la realtà, è il mezzo attraverso il quale questa viene costruita e co- costruita durante la
psicoterapia o il sostegno psicologico. Parlare aiuta, infatti, ad attribuire un nuovo senso e
significato al mondo, modificando di conseguenza i nostri pensieri, atteggiamenti e
comportamenti.
In conclusione si può dire che la psicoterapia e il sostegno psicologico sono viaggi in cui si
rivedono mondi conosciuti con occhi diversi e nuovi, come sosteneva Marcel Proust.
Dottoressa Elisa Ercolino
Dottoressa Elisabetta Torchio