PSICONCOLOGIA Curarsi in compagnia In questo articolo: psiconcologia terapia di gruppo autoaiuto La seduta collettiva che dà forza e sostegno Quasi tutti i centri di oncologia offrono la possibilità di affrontare in gruppo la malattia, ma non tutti i pazienti si sentono adatti a condividere i propri pensieri. Eppure il gruppo può dare molta forza ed essere davvero efficace a cura di EMANUELA ZERBINATTI è chi ama stare in compagnia e chi preferisce la solitudine. E c’è chi accetta di condividere i propri momenti di difficoltà e chi, invece, di fronte a una malattia preferisce l’intimità ed eventualmente il sostegno di un singolo operatore. Lo sanno bene gli psiconcologi che si trovano a offrire aiuto a pazienti in difficoltà con caratteristiche individuali molto diverse tra loro. “In quasi tutti gli ospedali oggi esistono gruppi di sostegno per i malati e anche per i loro familiari” spiega Gabriella Morasso, psiconcologa dell’Istituto tumori di Genova. “Questi possono essere gestiti direttamente dai pazienti, con la formula dell’autoaiuto, oppure guidati da uno psicologo. In ambedue i casi è possibile che i malati manifestino delle resistenze a partecipare, per pudore o per timidezza, oppure anche per ansia. Non è facile trovarsi faccia a faccia con altre persone che attraversano le stesse prove che stiamo attraversando noi, ma con reazioni e atteggiamenti a volte completamente diversi dai nostri”. C ’ 36 | FONDAMENTALE | GENNAIO 2012 Approcci diversificati Le tecniche di autoaiuto presuppongono che vi sia una sorta di membro senior del gruppo, qualcuno con una certa esperienza nell’ambito delle tematiche che si andranno a trattare: può essere un ex paziente o un familiare. Il sostegno fornito da questo tipo di intervento non può che essere, per sua stessa natura, molto generico. Qualsiasi situazione di tensione o di vera difficoltà psicologica individuale deve ricevere anche l’aiuto di un medico o di uno psicologo. Nonostante ciò molti pazienti apprezzano la possibilità di trovarsi tra pari e di fruire delle esperienze altrui: in alcuni casi si creano veri e propri legami di amicizia che aiutano sia sul piano psicologico sia su quello pratico. La psicoterapia di gruppo, invece è una vera e propria forma di terapia collettiva, non diversa dalle sedute che il singolo può svolgere con lo psicoterapeuta. “Tradizionalmente i gruppi possono avere una natura di supporto psicologico oppure favorire i processi di espressione e di elaborazione di ciò che si sta vivendo” spiega Morasso. “Ciò può avvenire attraverso la parola ma anche con altre attività come la danza, la pittura o il teatro”. Funzione educativa Di che cosa ci si occupa in un gruppo? Gli obiettivi possono essere molto diversi: una parte delle sedute può essere dedicata all’educazione del paziente. Si forniscono informazioni e suggerimenti sugli stili di vita o su come combattere gli effetti collaterali delle terapie. Si elaborano insieme le cosiddette strategie di problem solving: in sostanza, il gruppo è in grado con più efficacia del singolo psicoterapeuta di aiutare l’individuo in crisi a elaborare da solo strategie utili a risolvere i suoi problemi. Questo meccanismo è virtuoso, perché rafforza la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità di far fronte alle avversità. “La forza del gruppo sta anche nell’osservare gli altri” spiega Morasso. “Si vedono i progressi altrui e ci si dice: se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io”. Il gruppo può vivere anche momenti di tensione o di dramma, e in questo caso conta molto la bravura dello psicoterapeuta che deve guidare i suoi assistiti verso una elaborazione di quanto sta accadendo: “Può capitare che uno dei membri di un gruppo peggiori all’improvviso o che due partecipanti diventino protagonisti di una battaglia personale, per antipatia o perché vedono l’uno nell’altro una parte di sé con cui non vorrebbero avere a che fare. Si tratta però di situazioni alle quali uno psicoterapeuta capace sa dare una soluzione”. membri esprimono infatti opinioni e punti di vista che possono essere molto diversi da quelli dello psicologo, ma che vengono presi ugualmente in considerazione. Il gruppo consente anche di osservare e analizzare il nostro comportamento in società: nessuno di noi vive e si relaziona esclusivamente con un’altra persona. La maggior parte delle nostre relazioni presuppone un gruppo: il lavoro, la scuola, la famiglia mettono in gioco una pluralità di dinamiche che la terapia di gruppo è in grado di mimare con maggiore precisone. Sarà quindi più facile, per un malato oncologico, affrontare la propria malattia sul luogo di lavoro dopo aver osservato come diverse persone reagiscono al suo modo di raccontarsi. Gli svantaggi, invece, risiedono soprattutto nella necessità di operatori ben formati e nella difficoltà di trattare situazioni molto critiche con la dovuta rapidità, specie se la persona non ha facilità a esprimersi. Un gruppo è infatti anche un luogo dove bisogna imparare a ritagliarsi i propri spazi di espressione. La terapia di gruppo offre numerosi vantaggi economici e di efficacia Ciò che va e ciò che non va Le terapie di gruppo hanno dei vantaggi rispetto a quelle a due, in cui il malato è faccia a faccia con lo psicologo. La prima, non indifferente di questi tempi, è la possibilità di aiutare più persone col lavoro di un singolo specialista e quindi di rendere accessibile al maggior numero di pazienti il sostegno psiconcologico. Quando si deve affrontare la spesa privatamente, come accade purtroppo in molte Regioni, il costo è decisamente ridotto rispetto a quello delle sedute individuali. Infine, il gruppo ha una sua funzione precisa nel processo di elaborazione dei vissuti, perché costituisce una sorta di “terzo elemento”, tra il paziente e lo psicoterapeuta. Gli altri Questioni di personalità Esistono persone più adatte di altre a stare nei gruppi? “Certamente esistono tratti personologici che facilitano l’entrata in un gruppo: è una questione di estroversione, ma non solo. A volte malattie come il cancro possono cambiare le persone e proprio chi è apparentemente più aperto può sentire il bisogno di una maggiore intimità” spiega Morasso. C’è anche un limite legato all’età: gli anziani sono meno abituati dei giovani a condividere emozioni e sentimenti, anche se spesso la ritrosia è solo passeggera. “Si consiglia sempre ai pazienti di provare e poi si vede come va” spiega l’esperta. Perché a volte, dopo settimane di silenzio, si scopre che dare voce alle proprie paure e ai propri dubbi davanti a orecchie sensibili e menti empatiche è di grande sollievo e utilità. “ QUANDO NASCE LA PSICOTERAPIA DI GRUPPO ” I primi gruppi di terapia psicologica nascono proprio nell’ambito del sostegno ai malati cronici. Fu un medico internista del Massachussetts General Hospital di Boston, Joseph Pratt, a proporre per primo, nel 1905, un gruppo di discussione tra i suoi pazienti colpiti da tubercolosi. Questa malattia aveva, all’epoca, una ricaduta importante sulla vita dei singoli e imponeva anche drastici cambiamenti negli stili di vita. Pratt intuì che il gruppo poteva dare forza e facilitare non solo l’accettazione della patologia (spesso senza possibilità di cura) ma anche comportamenti più salubri. Il gruppo si basava essenzialmente su letture di tipo educativo ma poneva anche l’accento sull’impegno personale reciproco dei membri. La vera e propria terapia di gruppo nasce invece in ambito psicoanalitico, intorno agli anni ’20 del XX secolo, ma si sviluppa appieno solo negli anni ’30 grazie al lavoro di Jacob Levi Moreno, che stabilì i principi del cosiddetto psicodramma: una psicoterapia in cui si chiedeva alle persone coinvolte di “recitare” la propria sofferenza perché fosse più comprensibile a sé stessi e ai membri del gruppo. È interessante notare che fu però la seconda guerra mondiale a decretare il successo della terapia di gruppo: il gran numero di soldati traumatizzati dagli eventi a cui avevano assistito non poteva essere seguito su base individuale dagli psicologi, per cui si stabilirono, con notevole successo, le regole della terapia di supporto, proprio quella che oggi si usa per aiutare i malati a superare lo shock della diagnosi e il peso delle cure.