I SEI PERSONAGGI AL PARIOLI
di Enrico Bernard
All’ingresso del teatro troneggia la gigantografia che immortala Pirandello
in affettuoso atteggiamento coi fratelli De Filippo, Eduardo-Titina-Peppino. E
proprio a Peppino De Filippo è dedicato il teatro Parioli, segno di un
collegamento con la grande tradizione teatrale italiana del Novecento.
Se dovessimo abbozzare una storia della nostra drammaturgia sulla base
di quella foto, avremmo a disposizione gli elementi principali della formula del
teatro italiano di scrittura. Basti pensare che proprio Eduardo debuttò con una
parodia, cui prese parte anche il fratello Peppino, dei Sei personaggi. Correva
l’anno 1922 e pare che il non ancora ventenne Peppino si prese un mezzo
accidente quando scorse seduto su una poltrona del Mercadante di Napoli
Pirandello stesso che aveva debuttato con strascichi polemici e con una
semirissa all’Eliseo di Roma: qualcuno (Adriano Tilgher) aveva definito
Pirandello addirittura “pazzo”, non solo per la sua drammaturgia, ma anche per il
carattere un po’ fumantino. Peppino corse in camerino ad avvertire il
giovanissimo Eduardo: “chill’ te vatte!” (quello – Pirandello – ti riempie di botte).
Eduardo non si fece intimorire e andò lo stesso in scena con una delle sue prime
farsette che prendeva in giro l’opera, fresca di palcoscenico, dell’Agrigentino.
Si racconta che Pirandello, anziché risentirsi, andò a congratularsi coi
fratelli De Filippo per quell’arguta parodia dei Sei personaggi: ne nacque una
profonda amicizia che in qualche modo segnò la storia del teatro italiano.
Eduardo infatti divenne uno dei più attenti lettori di Pirandello (Ditegli sempre di
sì è, come si sa, scritto sulla falsariga dell’Enrico IV), insomma un punto di
riferimento costante – e lo stesso può dirsi per Peppino – di una strategia
drammatica che, sul versante Eduardo, sfociò nella traduzione e interpretazione
eduardiana in napoletano (insieme al figlio Luca) de Il berretto a sonagli.
Ma il Teatro Parioli “Peppino De Filippo” - sotto l’attenta e competente
direzione artistica dell’attore e regista del figlio dello stesso Peppino, Luigi, -è
luogo ideale per i Sei personaggi non solo per questioni di storia teatrale. Vi sono
indubbiamente altri motivi intrinseci all’opera che rapportano il testo di
Pirandello alla sede di questa recita. Come tutti sanno, il Teatro Parioli è allocato
nel quartiere alto-borghese della Roma-bene: la questione è che l’opera
pirandelliana verte proprio sullo smascheramento della falsità e delle ipocrisie
borghesi. Pirandello denuncia insomma la maschera sociale (il Ciampa del
Berretto usa la definizione di “corda socievole”) con cui la classe borghese
nasconde anche a se stessa le proprie ignominie, le proprie zona d’ombra, le
proprie malefatte, il marcio interiore: quel marcio che si nasconde innanzitutto
nei rapporti familiari - apparentemente limpidi, finché non si apre la spioncino
della porta per guardare con l’occhio di Edipo all’interno.
Ecco dunque che Pirandello, nello smontare e rimontare il dramma
borghese con la formula tipica del teatro-nel-teatro di origine romantica (vedi
Enrico Bernard Pirandello lettore e plagiatore di Ludwig Tieck,
http://www.amnesiavivace.it/sommario/rivista/brani/pezzo.asp?id=297
pubblicato anche dalla Nuova Rivista di Studi Germanici diretta da Paolo
Chiarini) prende a pretesto un drammone borghese, neppure tanto originale ma
paradossalmente ancora attuale, in cui una baby-squillo, costretta a prostituirsi
dalla <situazione> prodotta dai comportamenti immorali dei genitori, si ritrova
nuda nel bordello con un cliente speciale: il patrigno.
Come non pensare allora immediatamente al recentissimo scandalo dei
Parioli, i tanti casi delle baby squillo di alcune famiglie benestanti che, stando ai
resoconti, sono state in qualche modo gestite o tollerate dai genitori? Ecco allora
che l’opera di Pirandello, che tratta proprio il tema della maschera sociale sotto
il cui perbenismo si nascondono comportamenti ignobili come l’induzione o il
favoreggiamento della prostituzione minorile, assume un significato di fortissima
attualità e dimostra come il teatro, anche quello classico, oltre ad essere un fatto
culturale, è anche uno strumento di denuncia in cui il “grido” e lo “sparo” sono
segnali di rivolta. E nei Sei personaggi proprio il grido della madre che scopre l’ex
marito in compagnia della figlia nel bordello, e lo sparo con cui si suicida il
bambino che non vuole più vedere gli orrori morali della famiglia-società (come
in tante storie, purtroppo vere, il bimbo ha trovato un’arma in casa): ecco gli
strumenti chiave della denuncia di Pirandello che usa teatro e attori per portare
alla luce il dramma degli istinti peggiori celati dalla morale borghese.
Antonio Salines umanizza in questo contesto il personaggio del padre: ce
lo mostra simile allo stimato brav’uomo della porta accanto, che vediamo uscire
di casa ogni mattina ben vestito e ripulito, ma del quale ignoriamo gli istinti
pedofili e l’ossessiva ricerca di rapporti sessuali con minori. E’ veramente con
pezzi di bravura che Salines riesce a compiere il miracolo della
universalizzazione del personaggio, la cui vicenda non è più personale, ma
diventa “colpa” di tutti. Per questo Pirandello imponeva la maschera ai Sei
personaggi, proprio per staccarli dalla dimensione del “particolare” ovvero della
“singola storia” per trasformarla in una drammatica “comune” e coinvolgente per
ogni spettatore: ognuno si porta dentro il fardello individuale, la parte buia,
ancestrale, e il teatro serve proprio a generare la “catarsi”, cioè la conoscenza di
sé.
Abolita la maschera, ma pochi hanno accolto per intero la didascalia
pirandelliana che la imporrebbe, anche gli altri personaggi devono lottare
arduamente per raggiungere quel livello, appunto di universalità, che il ruolo
assegnato da Pirandello richiede. Bravissima Valentina Bardi (La Figliastra) a
scardinare il gioco delle illusioni, i rispecchiamenti tra realtà vera e realtà
rappresentata, tra verità e fiction insomma, inseguendo la caratteristica tipica
del dettato pirandelliano: quella di assumere le sembianze della Vendetta che
scatena, sia pur involontariamente, come una Furia arcaica la serie eventi
drammatici che avvolgono i Sei personaggi fino a farli sparire in un vortice
infernale.
E una menzione particolare va alla Madre di Paola Rinaldi il cui volto si
trasforma in una vera e propria maschera di dolore, una maschera di carne che si
sostituisce propriamente all’idea pirandelliana.
Dall’altra parte, dal versante degli attori della compagnia, risulta
trascinante il Direttore-Capocomico di Edoardo Siravo, gigione al punto giusto
quando serve, divertito e divertente, stupefatto e poi annichilito dalla verità che
gli si presenta sotto gli occhi, la realtà che chiede solo di essere rappresentata e
alla quale lui, di buon grado e con un pizzico di bramosia autoriale, cerca di
adattarsi bofonchiando: il teatro è il luogo della verità, d’accordo, ma fino ad un
certo punto.
Due parole conclusive sulla regia del compianto Giulio Bosetti, col quale
però non ero molto d’accordo allora e resto della mia opinione ora. Bosetti
riprende la storica versione di Giuseppe Patroni Griffi apportando però una
modifica essenziale: nella didascalia pirandelliana, è noto che i Sei personaggi
giungono dalla platea. Pirandello ha scritto testualmente che gli attori si voltano
quando si accorgono degli intrusi che stanno attraversando il pubblico per salire
sul palcoscenico. Questo spostamento dell’attenzione provoca anche un
movimento dello sguardo degli spettatori che sono costretti a guardarsi dietro le
spalle: i Sei personaggi si muovono insomma dalla realtà verso il palcoscenico, e
non vengono direttamente, come nella versione di Bosetti, dal palcoscenico.
Tantomeno accompagnati da un tuono, dalla pioggia scrosciante e da un corto
circuito. Il tuono c’è nelle opere di Pirandello, ma in Questa sera si recita a
soggetto che riprende – con altri intenti - l’elemento della natura da Il mondo
alla rovescia di Ludwig Tieck.
Questo modo di far entrare i Sei personaggi provoca un effetto horror del
genere <apparizione dei fantasmi>. Proprio quello che Pirandello non voleva
annotando a chiare lettere:
I personaggi non dovranno infatti apparire come FANTASMI ma come
REALTA’ CREATE (il maiuscolo è di Pirandello, ndr.), costruzioni della fantasia
immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori.
Al di là della questione filologica che interessa meno lo spettatore,
bisogna chiarire che – seguendo il filo logico di Bosetti – il suo modo
antipirandelliano di far comparire i Personaggi annulla l’effetto che Pirandello
vuol dare col Teatro-nel-teatro: la creazione di una trasposizione di contenuti
dalla realtà (la sala) sul palcoscenico (la finzione) che nella rappresentazione
trovano l’attimo della catarsi (e della purificazione, cioè della Verità). Non basta
più dunque che il Capocomico saltelli allegramente in sala mischiandosi al
pubblico, poiché si è falsato il dato di partenza originario: i Personaggi non siamo
più noi, essi non provengono più dal nostro mondo, ma semmai siamo tutti
spettatori e artefici di una colossale comica drammatica e non di un dramma che
assume, tramite gli Attori della Compagnia, aspetti umoristici (in senso
pirandelliano): questo è quello che alla fine diventano i Sei personaggi nella
lettura di Bosetti. Il quale ha giustificato la sua scelta con una rivelazione che non
posso né confermare né smentire: un discendente di Pirandello gli avrebbe fatto
leggere alcune note originali dell’Autore in cui si prospetta una simile soluzione.
Ne dubito - e comunque nelle “Maschere Nude”, l’edizione definitiva delle
opere curate dall’Autore stesso, non mi risulta traccia di simili, devianti e
formalmente incomprensibili modifiche che magari rendono lo spettacolo più
commerciale con l’effettaccio horror alla The others, ma che allontana il testo
dalle intenzioni di Pirandello che pensava - col teatro nel teatro – di trasformare
gli spettatori in personaggi- “portatori” del dramma.