Teologia Morale Fondamentale Filiale

TEOLOGIA MORALE FONDAMENTALE FILIALE
Chiamati a manifestare la cura di Dio








TRATTI SALIENTI DEL CORSO
Necessità di morale evangelica-universale-transculturale, che senta sempre la tensione tra
fede e inculturazione del suo messaggio, tendere alla fedeltà al radicalismo evangelico
evitando il rischio di trasformare questo, che è un giogo leggero, in un giogo troppo pesante,
che schiaccia l’uomo, svilisce l’autonomia. [Molto simile alla tensione che si ha nella
Tradizione tra custodia del depositum fidei e sua trasmissione mediante l’inculturazione]
Capire la necessità del rapporto uomo-Dio, considerati entrambi nella loro consistenza
propria e nel reciproco riferimento.
“Agere sequitur esse” l’agire cioè proviene dall’essere, è morale ciò che è connaturato
all’essere che lo pone.
Ecco perché approfondiamo Calcedonia, perché aiuta ad approfondire l’essere della persona,
l’autonomia (cap. II), quello di Dio (cap. VII) ed il loro rapporto (cap. IX).
L’essere come tale quindi è corroborato e sostenuto da un agire che lo informa e gli rivela chi
è e chi è chiamato ad esistere.
Morale deve quindi prima riflettere sull’agire di Dio e derivatamente su quello dell’uomo.
Colui che verrà alla fine dei tempi, e che è venuto, è colui che preesiste: l’Omega, colto
economicamente, è l’Alfa immanente.
Parole Chiave:
 Cura. L’agire di Dio è dedizione originaria assoluta con cui si propone all’uomo.
 Croce. È l’espressione suprema di questo amore, è “IL sacramento dell’essere
primariamente amore di Dio”.
 Ontologia. Essere vuol dire pro-esistere.
DOCUMENTO BASE DEL CORSO
“³°¹Seguendo i santi padri, all’unanimità, noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il
Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero
uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità e
consostanziale a noi per l’umanità, simile a tutto in noi, fuorché nel peccato [Eb 4,15], generato dal
Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da
Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità,³°²uno e medesimo Cristo Signore unigenito, da
riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta
meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la
proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; egli non è diviso o
separato in due persone, ma è un unico e medesimo figlio, unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù
Cristo, come un tempo hanno insegnato i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo, e infine come ci ha
trasmesso il simbolo dei Padri.” (Concilio di Calcedonia, 451 d.C. DH 301-302)
PRIMO SEMESTRE – Tratti salienti
 Non Confuse  Analisi dei tratti di autonomia (piano dell’uomo) e teonomia (piano di Dio).
 È possibile evangelizzare, inculturare la fede, perché la creazione porta in sé, perché creato,
le tracce della presenza di Dio, l’uomo-creato è “uditore della Parola”.
 Per purificare l’agire morale, bisogna purificare l’immagine di Dio che abbiamo eliminando
quella paura del “castigo di Dio” legata alla visione di un Dio Onnipotente-nominalista
concorrente dell’uomo, che lo vuole privare della sua libertà della sua autonomia.
 Per far ciò è bene investigare la figura del Cristo, Rivelatore del Padre e in particolare
l’evento della croce.
 Perciò la conversione richiesta non è ad una legge, ma è “diventare ciò che si è”.
PRIMO SEMESTRE – Nocciolo teologico
Il Figlio è dedizione totale nella continua permanenza del suo rapporto d’amore (Spirito Santo) con il
Padre. Incarnandosi il Figlio continua ad essere ciò, ad essere se stesso, ma, proprio perché incarnato,
nel suo continuo esistere per l’altro, nella sua dedizione totale, percepisce, sperimenta il
malfunzionamento del rapporto con il Padre, che ogni tanto salta. Ciò che è essenzialmente fa fatica
a sperimentarlo esistenzialmente (é privo di peccato, ma si è fatto peccato per noi) proprio perché
incarnato (Vero Dio e vero uomo). La totale assenza di percepire il suo rapporto con il Padre (dove il
suo ricettore non “prende” il “segnale” del Padre) sarà sulla croce, dove sperimenta totalmente il suo
essere dedizione per l’altro nel suo sentirsi totalmente abbandonato del Padre.
PRIMO SEMESTRE – Itineratium mentis – NON CONFUSE.
 Analisi della situazione culturale (postmodernità) per capire con chi comunicare e quindi
dedurre le prospettive teologiche da attuare [cap. 1]
 Con Ratzinger vediamo che nell’uomo in quanto tale, nel suo essere di fronte a Dio, vi è la
compresenza di dubbio e fede, è la situazione della “possibilità” quella che noi viviamo [cap.
2 par. 1]
 Con Kasper vediamo che l’uomo (e quindi anche la Chiesa) tende a vedere il suo rapporto
con Dio, e quindi il rapporto autonomia-teonomia, o con il modello del recinto-restaurazione
(separate) o con quello del minestrone-progresso (confuse). [cap.2 par.2]. Entrambi sono
caratterizzati da un misto di paura e potere.
 L’unico modo sensato di porsi con Dio sembra quindi quello della analogia-relazione (non
confuso e non separato) [cap. 2 par. 3.1-3.2]. Anche perché questo modo è cristo-centrico
essendo Cristo, come dice Calcedonia, la Persona nella quale coesistono la natura umana e
quella divina. Qualsiasi uomo è chiamato a cristificarsi, ma per farlo deve essere uomo, o
come dice Bianchi il cristiano per essere tale deve essere uomo. Detto teologicamente la
cristologia supera e compie la antropologia, ma la presuppone.
 Bibbia è resoconto della relazione di Dio con l’uomo, e lo dice il fatto stesso che la
chiamiamo Parola di Dio: “Parola” perché intende relazionarsi con noi nella nostra lingua,
così come siamo, “di Dio” perché è un Altro che intende relazionarsi con me. Non solo Dio
stesso al suo interno è relazione (Dio-Trinità), quindi è la relazione la categoria originaria del
reale, è l’amore che sostiene il mondo [cap. 2 par. 3.3].
 Va bene Dio vuole relazionarsi con l’uomo, ma l’uomo può relazionarsi con lui? Ha in sé
qualcosa per “sentirlo”? Ha in sé “la traccia del divino” sia in senso oggettivo che soggettivo?
Nel rapporto uomo-Dio (soprattutto oggi) è quindi utile partire dall’analisi dell’uomo, della
persona, dall’autonomia. La risposta è che l’uomo consiste, ma questa sua consistenza è
orientata all’apertura (autonomia diversa da autarchia). Questa è la traccia dell’essere cristico
di quella persona contemporaneamente uomo e Dio, essa è la traccia della teonomia
nell’autonomia. Già solo l’umano ha qualcosa da dire ad un’impostazione di teologia morale,
perché unica modalità dell’incontro che la Rivelazione ha voluto e pensato. [cap. 3 par. 1]
 Da un lato quindi l’autonomia non è antagonista della teonomia ed essa non può assorbire o
rendere superflua l’autonomia (vs Restaurazione); dall’altro lato l’autonomia non è né il
risultato né la stessa cosa della teonomia, tra di esse esiste un rapporto di somiglianza, ma
ancor più di dissomiglianza (vs Progresso). Sottolineare l’autonomia non può significare
ridurre la teonomia. [cap. 3 par. 2]
 La problematica moderna dell’autonomia presenta indubbie radici cristiane, dice Kasper,
quindi non è né qualcosa di altro, né un frutto maturo[cap. 3 par. 3]. Nel contesto extrabiblico infatti c’è la concezione del mondo come Kosmos (natura) in cui Dio e uomo vivono
insieme, risultano intimamente intrecciati, confusi, uniti. La Bibbia compie una rivoluzione
perché vede il mondo non come Kosmos, ma come Ktísis (creazione) quindi separando,
imponendo la dipendenza da un creatore il creato acquista identità, perché è “altro”! Quindi la
vera autonomia del mondo nei confronti di Dio si fonda su una radicale dipendenza da Lui, e
soprattutto l’uomo perché è fatto “ad immagine e somiglianza di Dio” e quindi:
1. Ogni essere umano gode di una dignità incondizionata, in quanto tale, non disponibile
per nessuno.
2. Essendo la dignità umana fondata direttamente su Dio, il messaggio cristiano di
salvezza non è qualcosa di estraneo, di eteoronomo. Nell’autonomia è presente un
riferimento, per nulla eteronomo alla teonomia.
3. Quindi l’autonomia è presupposto della teonomia, che però la sorpassa e la compie.
4. Nell’autonomia è quindi presente un anelito all’infinito che non può che trovare
soddisfazione, non può essere appagata se non in Dio.
Insomma l’autonomia consiste perché si rapporta e può rapportarsi perché consiste.
 Ma questa rivoluzionaria idea biblica è presente in storia della teologia? Con il canone la
Chiesa decide che “creazione e redenzione sono strettamente connesse. Si può persino dire :
l’unità di creazione e redenzione è la verità canonica (e quindi principio ermeneutica) della
Scrittura.  Ireneo di Lione, combattendo contro la gnosi, quest’unità è ricapitolata nella
persona di Gesù Cristo, che salva l’uomo intero, perché ha assunto l’uomo intero.  Nella
lotta contro la gnosi, difendendo la totale umanità di Gesù, di vuol dire che Dio è un Dio di
uomini e che li incontra umanamente  Dice San Tommaso “La Grazia suppone la natura e
la completa”, per lui la teonomia presuppone l’autonomia dell’uomo, che è il punto di
rotazione e la chiave di volta di tutto questo movimento che parte da Dio ed a Lui ritorna
(ellisse con due fuochi), questo perché Dio vuole essere onorato da una creatura libera e in
libertà responsabile. Kasper fa notare che il concetto “persona” rende la Grazia più libera,
meno necessaria naturalmente, vista più come dono e realizzazione della persona.  Il
nominalismo darà l’inizio al periodo nero della teologia, perché esaspera la teonomia,
misconoscendone la vera natura, facendo vedere un Dio che può fare quello che vuole e
ordinare all’uomo ciò che vuole, magari anche di irrazionale, ingiusto, falso, immorale e
l’uomo deve obbedire [cap. 3 par. 4]  A ciò reagisce il mondo moderno fondando
l’autonomia non più in modo teonomo, ma in modo autonomo ed è curioso notare come le
istanze di emancipazione dal cristianesimo sono radicate in presupposti cristiani quali l’idea
di libertà e dignità di un essere umano  Il primo sarà Cartesio per cui Dio è utile solo per
autofondarsi  Seguirà Kant, per cui ogni religione deve semplicemente promuovere
l’umanità, viene eticizzata e Dio è ridotto a sola bussola della ragion pratica  Infine
Nietzsche eliminerà totalmente il concetto (ormai era solo tale) di Dio e l’autonomia diventa
la misura di tutto il reale, “la morte di Dio” segna il vero compimento della libertà umana.
[cap. 3 par. 5]
 Tutto questo ci aiuta a capire che l’oggetto della autonomia è l’uomo, la persona umana e la
sua libertà. Passiamo così ad analizzare prima la persona umana in quanto tale (grazie a due
opere di Kasper) e poi in termini realistici discorrendo di libertà e male.
 Analizziamo quindi il tema persona prima all’interno di un discorso cristologico (dall’opera
“Gesù il Cristo”), da cui emerge che l’uomo è inserito in una storia che è contrassegnata da
una dialettica tra potenza e impotenza, infatti è più grande della realtà che lo circonda ma di
fronte al reale soccombe continuamente. Inoltre la persona è composta da un io insostituibile
(universale) e si determina nel reale (paricolare), ma si realizza concretamente solo se inserita
in un contesto di relazioni orizzontali (con se stesso, con quelli con cui vive e con il mondo
circostante) e verticali (perché la persona non può che fondarsi a partire da Dio e in cammino
verso di Lui). La persona è quindi essenzialmente mediazione tra queste due direttrici ed è
domanda incapace di risposta (questa è la traccia dell’infinito), l’unica risposta è l’altro.
Guardando la persona all’interno di un discorso teologico (dall’opera “Il Dio di Gesù Cristo”)
guardando Dio come Trinità e applicando il concetto di persona ad ognuno dei tre
“protagonisti”. Un concetto adeguato di persona si ha infatti solo in Dio perché ogni persona
umana non potrà mai realizzarsi definitivamente se non incontrando una persona infinita nella




sua pretesa intenzionale, ma anche nel suo essere reale, una persona assoluta, divina. Questo
perché la personalità implica necessariamente relazionalità, esistenza per l’autoattuazione di
un’altra persona e in vista di altre persone, estrinsecamente nell’amore, per realizzare la
propria infinitudine intenzionale. La Persona umana esiste quindi solo nelle relazioni Io-TuNoi ed è questo l’aggancio con la dottrina trinitaria, perché Dio è l’essere che sussiste come
Io e Tu Noi. Ecco quindi ce né la sostanza, né il soggetto moderno rappresentano la realtà
ultima, perché solo la relazione è la categoria originaria del reale e l’amore è il senso
dell’essere di Dio. L’uomo è così apertura e aspirazione all’infinito, ma indeterminata, senza
la possibilità dell’incontro, per le sole proprie forze, con l’infinito e con l’Altro. [cap. 3 par.
7.1]
Come l’esperienza della libertà e del male possono influire sulla definizione di persona?
L’esperienza del male è un paradosso che dice la sua dignità ed evoca una speranza di
superamento, che storicamente non riesce e non può darsi, in altre parole evoca l’esigenza e
allo stesso tempo la rabbia nei confronti del Dio. Essa è incomprensibile e tutti i tentativi che
cercano di spiegarlo sono solo sadismo. Il male esiste solo dove c’è libertà e responsabilità
perciò l’evocazione di qualsiasi determinismo è antiumana, allo stesso tempo l’uomo si vede
già affetto dal male e quindi è anche responsabile di esso, perché anche fosse libero da vincoli
esterni ed interni non sarebbe ancora libero, questa non-libertà è l’essenza del peccato
(“Liberi da” non vuol dire liberi). Quindi nel migliore dei casi l’uomo può contenere il male,
ma qualsiasi tentativo volto ad eliminarlo si risolve sempre in violenza e totalitarismo, essi
stessi male. Insomma il concreto problema del male ci dice che l’autonomia non resiste ad
una concezione assoluta di se stessa e ciò indica la propria relatività (in tutti e due i sensi!) sia
in senso positivo che negativo. L’esperienza del male evoca apertura all’infinito. La libertà
creaturale invoca una libertà infinita che supera e abbia ragione del male, l’uomo non ha
bisogno di redenzione è bisogno di redenzione. Appaiata a questa tensione esiste però una
tensione contraria che tende a chiudere l’uomo in se stesso. Nell’autonomia così è insita la
tendenza a ripiegarsi su se stessi, ad essere autarchia. [cap. 3 par. 7.2]
L’autonomia è quindi da cogliere sullo sfondo della relazione, e il suo centro di gravità è il
più perfetto equilibrio tra consistenza ed apertura: <<l’apertura è la domanda del compimento
della consistenza la quale è condizione dell’apertura.>> (Kasper) Fino ad adesso abbiamo
ragionato “dal basso” partendo dall’autonomia, ora bisogna completare con la visione
“dall’alto” con quella teonomia, scoprendo che la determinazione cristica è il compimento
indeducibile dell’essere indeterminato aperto che caratterizza l’umano. Ma prima bisogna
riflettere sul luogo in cui avviene l’incontro tra queste due: la coscienza. [cap. 3 par. 9]
Il Concilio Vaticano II, in GS 16 in particolare, vede la coscienza come il sacrario intimo in
cui ognuno conosce se stesso nel confronto con Dio e con il prossimo, essa è in tensione tra
l’essere synderesis (facoltà della coscienza) e coscientia (giudizio di coscienza). Alcuni
teologi contemporanei tendono però a ridurreo la coscienza o a fenomeno psicologico e
quindi synderesis (Bockle e Lorenzetti che riprendono il discorso “progresso-minestrone”), o
a mero esecutore delle norme divine e quindi synderesis (De Haro e Kaczynnski che
riprendono il discorso “restaurazion-recinto”). Quindi la morale rischia di essere concepita o
come etica normativa frutto dell’intelletto (tipicamente kantiana) per essere in grado di
dialogare con il mondo o è semplicemente un insieme di leggi da applicare nella quale la
principale protagonista è la volontà. [cap. 4 par.1]
Haring invece è colui che tratta il tema coscienza “conciliarmente” nella sua opera principale
“Liberi e Fedeli in Cristo”, al capitolo VI. Lui chiama infatti la coscienza “santuario della
fedeltà e della libertà creativa” e dice che essa “è la facoltà morale (synderesis) della
persona, ma non è solo una facoltà. Essa non sta più nella volontà che non nell’intelletto; è
una forza dinamica presente nell’una e nell’altro, perché ambedue si radicano insieme nelle
zone più profonde della nostra vita psichica e spirituale. La dinamica della nostra coscienza
è la reazione di tutta la nostra personalità al funzionamento giusto o sbagliato di questa”. E
la coscienza è così creativa che “insegna alla persona a superare l’attuale stadio di sviluppo
e a integrarlo in uno stadio più alto. In altri termini: l’apertura della conoscenza intuitiva è
anche il processo di autorealizzazione della persona nella sua coscienza”. Dopo una parte
psicologica, in cui si mostrano i limiti di una concezione statica della coscienza, passa alla
quarta parte in cui tratta il tema di “una coscienza specificatamente cristiana” che è tale se
“siamo pronti a unirci a Cristo nel suo amore per tutti gli uomini”, ma “Per lo sviluppo di
una simile coscienza specificamente cristiana è fondamentale l’autentica comunità di fede”.
È fondamentale quindi, nella formazione di una coscienza, la “reciprocità delle coscienze”
nella quale “la nostra coscienza consegue la sua pienezza solo nella reciprocità con la
coscienza degli altri”. Banalmente: si cresce solo non essendo né in confusione, né in
separazione con gli altri, ma in relazione. Solo dove questa reciprocità delle coscienze giunge
alla sua pienezza allora anche degli interventi magisteriali hanno senso perché:“nessuno
possiede il monopolio della verità e nessuno può sperare di essere ispirato dallo Spirito
Santo se non onora lo Spirito stesso che opera in tutto e in tutti”. [cap. 4 par.2.1]
Anticipazioni di ciò saranno riscontrabili nella sua opera pre-conciliare, “La legge di
Cristo”, in cui si percepisce la centralità del Cristo che è “norma e centro della teologia
morale cristiana” e dove la responsabilità è la cornice in cui considerare tutta la morale e i
suoi principi quali l’imitazione di Cristo, l’amore con Dio, col prossimo e con il Regno di
Dio. La coscienza viene definita come “sorgente fondamentale del bene” nella quale “risuona
l’eco interiore dell’appello di Cristo che ci invita a seguirlo”. La coscienza è il luogo in cui
Cristo, come Logos, insegna ai pagani, che ancora non lo conoscono, infatti “Il giudizio di
coscienza è sempre obbligante, anche quando esso non attinge del tutto la sublimità della
luce cristiana” e “quanto più profondamente si sviluppa nella coscienza la dimensione
morale, tanto più necessariamente verrà alla luce la sua base religiosa. Nella sua radice
ontologica, la coscienza, è un fenomeno religioso, perché trova la sua spiegazione nella
rassomiglianza con Dio”. E ogni autorità, compreso il magistero, può essere morale solo se si
volge alla coscienza, perché “l’obbedienza alla propria coscienza, anche quando la coscienza
sia erronea, è sempre la via migliore per arrivare alla luce” [cap. 4 par.2.2] Infine nelle
opere successive, e in particolare in “La legge naturale alla luce della legge in Cristo
scritta nei nostri cuori”, dove la coscienza, sulla scorta di Rm 2,14-16 ma non solo, è vista
come il ponte tra la Thora, la legge di Cristo e la legge iscritta nei cuori dei pagani, perciò
Cristo è annunciabile, perché l’uomo è i grado di riceverlo. Ecco allora che anche qui
inserisce il concetto di “reciprocità delle coscienze” evidenziato in tre campi: Gaudium et
Spes, logoterapia e in Gandhi. Da essi emerge come il dialogo sia un’esigenza della coscienza
e sia sanante. [cap. 4 par.2.3]
 Si passa così a vedere come è evoluto il concetto di coscienza nel Concilio Vaticano II. Il
primo schema, De ordine morali cristiano, era basato su:
o La convinzione che la volontà di Dio sia concretizzata, in maniera assoluta, in un
ordine esprimente relazioni necessariamente intercorrenti tra le creature razionali e il
loro Creatore.
o È solo in rapporto a tale ordine che a concepita la coscienza, essa è semplice
strumento applicativo, mediatrice tra quest’ordine e la persona.
o Si ha coscienza solo quando essa ha conforme all’ordine oggettivo.
La verità morale perciò fa a meno della coscienza, esiste a prescinder da essa. Questo modo
di pensare viene però definitivamente accantonato e comincia il laborioso cammino che
porterà a Gaudium et Spes, e in particolare al numero 16 che tratta il tema coscienza. Emerge
così l’importanza del Cristo, la storia della salvezza, la preminenza dell’interiorità dell’uomo.
Emerge così che:
o La coscienza ha una sua consistenza ontica, è il nucleo più segreto, è il sacrario
dell’uomo, in cui l’uomo s’incontra con quella persona che è Dio e non con una legge.
o Tale interiorità dialogale fa maturare la scoperta e l’esperienza di un’imperatività
morale che non è altro da sé, ma è primariamente ciò cha fa essere più persona.
La verità morale viene quindi vista come verità di fedeltà alla coscienza, di ricerca e
comunione, che aiuta ad allontanarsi dall’arbitrarietà e dal relativismo egoistico; essa va
ricercata nel vivo della storia rispettando le esigenze della coscienza stessa. Al centro del
discorso non c’è più un “ordine” di relazioni necessarie, ma un’economia, un ordine di carità,
la verità morale non è più applicazione di una legge impersonale, ma verità di coscienza. E
questa ampiezza di orizzonti si noterà i altri documenti, ma soprattutto nell’ultimo, Dignitatis
humanae, quello sulla libertà religiosa che è basata su due principi:
o Tutti gli essere umani sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e
a renderle omaggio.
o Questa verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle
menti soavemente e insieme con vigore.
E quindi:<<In materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia
impedito, entro dediti limiti, di agire in conformità ad essa>>. Quindi la ricerca della verità è
importante perché è un dovere di coscienza: è la coscienza il fulcro attorno a cui ruota
l’imperatività etico-religiosa! E ai cristiani spetta fare quanto dice GS 43. [cap. 4 par. 4]
 A questo punto c’è un confronto con i traguardi raggiunti nel piano psicologico [cap. 5] e poi
si passa, come da copione, al piano teologico, alla teonomia, mostrando il volto di Dio che
traspare dalla Rivelazione. Partendo così dal testo di Gn 2,15-3,24 da cui emerge da una parte
che Dio tenta in tutti i modi di prendersi cura dell’uomo, anche quando questo non si fida più
di Lui, e dall’altra che se l’uomo prova a guardare la propria esistenza al di fuori del suo
rapporto con Dio, della comunione con Lui, emerge il senso di desiderio mortificato, della
sua impotenza, la pena di un’esistenza di cui si avvertono tutta la debolezza e il limite. [cap.
5 par. 2] E la Bibbia mostra come l’uomo tenda sempre a cambiare il volto di Dio, a veder
piuttosto un Dio vendicativo che se viene tradito, pesta e quindi come Dio sia il rivale
dell’uomo! L’esempio più eclatante è quello di Giobbe che passa tutta la sua vita a
contrastare questo pregiudizio, il “fantasma” per cui Dio fino a che va tutto bene, ti aiuta,
appena fai qualcosa come non dice Lui, allora ti punisce. [cap. 5 par. 3.1] E la domanda se il
volto di Dio sia solo amore o piuttosto quello del fantasma, va fatta a Gesù. La sua carta
d’identità si ha in Lc 4,14-21 dove è visto come “chi” adempie la Parola di Dio, Dio stesso, il
Figlio, il rivelatore per eccellenza di quell’Abbà intuibile nella creazione e nella liberazione
dall’Egitto: in Gesù Dio si manifesta come colui che libera dal male, in ciò vuole essere
riconosciuto, in questo sta il suo intento rispetto all’umano e al mondo, senza altra
sovrapposizione di alcun tipo di ruolo e di funzione. E questo fare solo il bene senza
“accecare” chi fa il male va contro il fantasma che Giovanni il Battista stesso seguiva, come
mostra il testo di Lc 7,18-23! [cap. 5 par. 3.2] Tra i tanti episodi si vedono Mc 5
(l’indemoniato di Gerasa), Mt 9 (la chiamata di Matteo), Gv 7,53-8,11 (l’adultera) e Lc 19
(Zaccheo). Dai testi emerge questa totale unilateralità di Gesù, che non fa per convertire, ma
fa e basta!! E le domande di richiesta che spesso fa prima, non sono richiesta di atti di fede,
ma sono poste per suscitare il desiderio, per sedurre! Gesù è colui che guarisce, che libera e
basta: questa è la buona novella! [cap. 5 par. 3.3] E questa buona novella non è annunziata
dal Battista che vede il Messia come colui glorificherà scannerà allo stesso tempo! Dio invece
è Colui che libera dal male, non colui che infligge il male, Dio è quello che per annientare il
male si identifica “con il peccatore e l’annientato, in quanto, per mezzo del bene, lo supera
dall’interno” come dice Kasper. In sintesi il volto di Dio è che Dio non ha soltanto cura, Dio
è cura! Tanto che la spaccatura della comunione con Lui che ha operato l’uomo è Lui a
risanarla, grazie ad un suo intervento indeducibile: Gesù. [cap. 5 par. 4]
 Ma fino a che punto Dio-Gesù rimane fermo in questo proposito? La risposta è nella croce:
o Da un lato essa è ulteriore momento di crogiolo dell’immagine di Dio [cap. 6 par. 1].
Gesù questo già ce lo ricorda in Mt 16,13-23 (o Mc 8,27-33) quando da del Satana a
Pietro che vede il suo essere Messia come uno che non morirà mai, e non può andare
a morire, e nel far questo tenta di insegnare a Gesù cosa vuol dire essere Messia,
interpretando il dire di Gesù come un momento di sconforto! [cap. 6 par. 1.1]
Discepoli e avversari di Gesù convergono quindi su una cosa: la legittimazione
messianica comporta una irresistibile conferma della sua verità e cioè che chi resiste a
Dio è destinato all’eliminazione, perché Egli è l’Onnipotente. Proprio per questo la
croce è il crogiolo del volto di Dio, perché spezza anche questa falsa credenza, perchè
Gesù viene crocifisso per motivi prettamente religiosi, perché Egli va contro
l’immagine di Dio che l’uomo ha in testa, gli crea scandalo. Il Dio di Gesù è quello
che vede nel martire il suo più alto testimone, non in quello che ammazza tutti per
esaltare il nome di Dio, ma nel giusto che, proprio perché tale, viene ammazzato,
l’osservanza della legge quindi non garantisce dall’impunità. [cap. 6 par. 1.2] E
questo andare in croce di Cristo è scelto liberamente, anzi nel Getsèmani la debolezza
lo porta a chiedere di far passare da Lui “questo calice”. E ciò fa vedere nella croce
ancor più l’amore di Dio per noi che sceglie la croce, deviando su di sé la violenza
che nasce dall’opposizione all’evangelo, ma anche dalla sua difesa. La croce è
l’estremo gesto di liberazione dell’altro dal male! La croce mostra perciò l’uomo
all’uomo e quindi è un costitutivo ontologico dell’essere persona. [cap. 6 par. 1.3]
o Dall’altro essa ci dà molte notizie soteriologiche (per noi) e teologiche visto che è il
punto in cui si ha la più profonda connessione tra la trinità immanente (l’in sè) e
quella economica, della Rivelazione. [cap. 6 par. 2] Per far ciò prima vediamo che:
 Gesù è totalmente uomo, nella carne, nel suo nascere, vivere, morire, e
risorgere [cap. 6 par. 2.1] perché anche se non ha conosciuto peccato, si è
fatto peccato (2 Cor 5,21) e ciò si vede nel suo Battesimo (che per Giovanni
era di purificazione, quindi …), nelle tentazioni nel deserto (può essere tentato
dal diavolo!), nel Getsèmani e nella morte sul Golgota. [cap. 6 par. 2.2]
 Gesù è veramente il Figlio di Dio. [cap. 6 par. 2.2] Dove l’interpretazione di
Figlio di Dio, del suo essere “divino” ha tre tappe (logiche più che
cronologiche): antico testamentaria (re), keygmatica (regna perché serve, serve
perché regna), sinottica (forse, forse mi sa che è Dio, ma è diventato Dio o lo
è? Sembra più la seconda) e giovanneo-paolina (è da sempre Dio). E questo
veder Gesù Figlio di Dio da sempre non è né una contaminazione greca (come
vuole von Harnack), né una contaminazione gnostica (come vuole Bultmann),
ma si è sviluppata su presupposti giudeo-cristiani. Le affermazioni
cristologiche della figliolanza hanno un carattere funzionale-soteriologico.
[cap. 6 par. 2.2.1] A questo piano funzionale si può associarne uno ontologico
perché in Giovanni Gesù non si può vedere che in connessione al Padre, è pura
unità con Lui, è pura relazione con Lui. [cap. 6 par. 2.2.2]
 Perciò il “per noi” è profondamente collegato con “in sé”. Ma quale volto di Dio rivela il
Crocifisso? Lo si capisce analizzando tre icone del Cristo:
o Il Figlio, da cui si vede che Dio è relazione per eccellenza nel Figlio siamo quindi
chiamati ad entrare in questa relazione tra Lui e l’Abbà. Noi siamo figli ed questo che
realizza la nostra persona umana!
o Il Crocifisso, nel cui vediamo come il Figlio tocchi la totale “non relazione” con il
Padre e proprio per ciò la sua sofferenza non è paragonabile a quella di nessuno.
Questo dato ontologico però ci dice che non esiste più nessuna condizione di non
salvezza, al fondo di qualsiasi esperienza di peccato, lì un po’ più “sotto” è andato
Dio: questa è la salvezza.
o Il Risorto nella carne, che ci dimostra come l’anti-Dio sia in Dio e quindi come nello
spazio tra il Crocifisso e il Padre è accolta la miseria umana.
 Quindi la morale illuminata dalla croce deve aiutare a capire che aderire al proprio essere
vuol dire essere chiamati ad entrare nel sì filiale. Così facendo si manifesta nel mondo
l’immagine del Figlio come apertura al Padre e ai fratelli che si concretizza nel disegno di
amore e dedizione per gli umani. Il fondamento del reale perciò è la relazione: “l’essere per
l’altro e verso l’altro”.
PRIMO SEMESTRE – Documenti
Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve
obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento
opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge
scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà
giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui
voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che
trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si
uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi
morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la
coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di
conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia
erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può
dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi
cieca in seguito all'abitudine del peccato. (Gaudium et spes 16)
Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo
quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che
invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. A
loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività
terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo
loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. La dissociazione, che si costata in
molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del
nostro tempo. Contro questo scandalo già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro
rimproveri i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi
castighi. Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una
parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi
doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna.
Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare
tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e
tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto
viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli
impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia
individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si
sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a
quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza,
escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione. Spetta alla
loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città
terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori
siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi
possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione;
assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e
facendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero. Per lo più sarà la stessa visione cristiana
della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli
altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come
succede abbastanza spesso e legittimamente. Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro,
anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio
evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in
favore della propria opinione l'autorità della Chiesa. Invece cerchino sempre di illuminarsi
vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura
in primo luogo del bene comune. I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della
Chiesa, non solo son tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono
chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità
umana. I vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i
loro preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano
pervase dalla luce del Vangelo. Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la loro quotidiana
condotta e con la loro sollecitudine mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli
uomini si fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la vita e con
la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la sola sua presenza,
con tutti i doni che contiene, è sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il
mondo moderno. Con lo studio assiduo si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel
dialogo col mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione. Soprattutto però abbiano in mente le
parole di questo Concilio: « Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in unità civile,
economica e sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei
vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il genere
umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio ». Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito
Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di
salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici, nel
corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio. E
anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e
l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di
tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno
la diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare
imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo. Guidata dallo
Spirito Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi e a rinnovarsi,
perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul volto della Chiesa». (GS 43)
PRIMO SEMESTRE – Domande
PARTE PRIMA
Cap. I
1. Indicare le linee essenziali del rapporto tra cultura (sociologia) e morale. Vedi primo punto di
“tratti salienti del corso”.
2. In che senso si può parlare di “cultura” cristiana? Ha senso se si intende una certa visione
dell’uomo e della sua storia in riferimento a Cristo, ma se per cultura si intende un sistema di
comportamenti che caratterizza il modo di vivere di una società, allora non esiste nessuna cultura
che può identificarsi con il Regno annunciato dal Vangelo, ma è necessario parlare di un
pluralismo di culture cristiane.
Cap. II
3. Al seguito di J. Ratzinger abbiamo cercato di delineare qual è la condizione reale del credere
nella quale ogni uomo si trova inserito: descrivi i risultati più appariscenti di questo gruppo di
riflessioni. Il primo risultato è che la situazione dell’uomo di fronte a Dio è la compresenza (per
credenti [es. Santa Teresina] e non credenti [“forse è vero?”]) di dubbio e fede, perciò non esiste
nessun “gran credente”, tutti prima o poi subiscono dei momenti di tentazione (del Getsemani) in
cui mettono in discussione tutto l’edificio in cui hanno fede. Il corollario di questo risultato è che
la condizione attraverso cui noi esistiamo è la situazione incerta, ma reale, della “possibilità”,
intrisa di dubbio e di fede, siamo così nell’ambito della libertà; questa visione ci permette di
vedere il Dio di Gesù Cristo come uno che accetta la sfida dell’uomo libero, che non la rinnega
neanche davanti alla possibilità di essere Lui stesso frainteso.
4. Al seguito di W. Kasper abbiamo tracciato l’itinerario di tre diversi modelli di rapporto tra
l’humanum e il divinum. Presentare e criticare i primi due. Il rapporto tra autonomia e teonomia
risulta essere il fulcro di ogni impostazione di teologia morale. Ci sono vari modelli i cui estremi,
molto estremizzati, sono:
a. Il modello della “restaurazione” (o “recinto”). L’unico modo di reagire alle pretese
moderniste di autonomia (vista come una deviazione della teonomia) è la restaurazione di una
forte teonomia. Non è possibile quindi alcun rapporto tra autonomia e teonomia perché esse
sono semplicemente nemiche, rivali, o l’una o l’altra; Dio e il mondo sono antagonisti, più
spazio lascio all’uomo meno ne avrà Dio e viceversa, sono inversamente proporzionali. 
Tra Dio e l’uomo, tra teonomia ed autonomia c’è eccessiva separazione. Come può in questo
caso la Chiesa essere lievito del mondo e strumento di salvezza?
b. Il modello del “progresso” (o “minestrone”). Partendo dall’idea di diretta proporzionalità tra
teonomia e autonomia si teorizza il “cristianesimo anonimo” per cui la grazia è un
esistenziale appartenente all’uomo, tutta la storia dell’uomo è in fondo storia della salvezza.
Da questa teoria si svilupperanno due filoni teologici: quello della “secolarizzazione” (per cui
la mondanità del mondo è originariamente un avvenimento cristiano) e quello della
“liberazione” (dove la redenzione viene vista come lotta per la liberazione e allo stesso tempo
per il regno di Dio).  Tra Dio e l’uomo, tra teonomia ed autonomia c’è confusione. Qual è
la novità di Cristo? Come può la Chiesa essere sale della terra e luce del mondo?
Entrambe i modelli sono presenti nell’attuale contesto ecclesiastico, come anche nella Bibbia che
li registra per “condannarli”; entrambi portano infatti delle istanze che sono positive, se non
assolutizzate, ma tutti e due si fondano su Paura e Potere e vengono a formare una idea di dio da
cui è meglio nascondersi e difendersi (Lc 9, 49-55).
5. Il terzo modello di rapporto tra autonomia e teonomia (analogia o relazione) deve essere
precisato confrontandosi con l’impostazione di Karl Barth e di Karl Rahner: presentale ed
esponi la tua valutazione critica. Nel modello della relazione o della analogia, l’autonomia viene
compresa come immagine della teonomia, ma bisogna fare attenzione ai fraintendimenti elencati
anche nel passo appena citato:
o Per Karl Rahner ciò vuol dire che a partire dall’analisi dell’uomo, dalle sue esigenze,
necessità, mancanze, Cristo è il suo perfetto completamento, è il “pezzo mancante”. Si fa cioè
una cristologia all’interno del rapporto Dio-mondo, essa è una antropologia che si trascende,
mentre l’antropologia è vista come una cristologia incompleta. Rischio: Teologia = Ancilla
della filosofia; Creazione divora Redenzione.
o Per Karl Barth invece ciò vuol dire che a partire dall’analisi di Cristo si può spiegare tutto il
mondo, che ne è una logica conseguenza, all’interno della cristologia si analizza il rapporto
Dio-mondo. Egli sopprime infatti l’analogia entis in favore di una analogia relationis.
Rischio: Filosofia = Ancilla della teologia; Riduzione Cristologia o Cristo-monismo.
Redenzione divora Creazione.
In sostanza tra antropologia e cristologia esiste una buona somiglianza, ma ancor di più una
grande dissomiglianza: la cristologia infatti è la determinazione contenutistica dell’antropologia
che in quanto tale rimane aperta, usando cioè una metafora si potrebbe dire che l’antropologia è
la grammatica di cui Dio si serve per autoesprimersi, ma come grammatica rimane aperta agli
enunciati più diversi e trova la sua determinazione solo nella vita umana di Gesù.
6. Presentare il terzo modello di rapporto tra teonomia e autonomia (modello della analogia e
della relazione), indicando le conseguenze che da esso provengono sul farsi della teologia ed in
particolar a riguardo della teologia morale. Nella vostra risposta evidenziare il dettato del
Concilio di Calcedonia a riguardo dell’unione, nella persona di Gesù il Cristo, della natura
umana e divina, quindi il radicamento cristologico della nostra impostazione di teologia morale
fondamentale. Autonomia e teonomia sono due realtà irriducibili l’una all’altra, ma nel contempo
intimamente legate da una “reciproca” analogia che rapportando i due temi non toglie spazio ed
identità ad entrambe. Il rapporto deve essere così analogo al non confuso e al non separato
dell’umano e del divino nella persona del Figlio. Il dogma cristologico di Calcedonia può così
diventare fondamento della vita cristiana per stabilire un equilibrio tra ordine della creazione e
ordine della redenzione (es. Matrimonio non solo contratto, non solo sacramento, ma come unità
di tensione in sé differenziata). Perciò il modello della relazione o della analogia vede la
Cristologia che presuppone l’antropologia, la trascende, la completa. D’altronde già nel dire
Parola di Dio sottintendiamo un altro che vuole entrare in relazione con noi, ma non una
relazione qualunque, bensì una relazione di tipo salvifico, che salva, perché Dio stesso al suo
interno è rapporto, comunione, autodonazione: amore. La categoria del reale per eccellenza così
non è più la sostanza, ma la relazione e così la persona più che “essere per sé, individuale ed
autonomo” è “l’essere in relazione o l’essere a partire dall’altro e per l’altro. Dio diventa così il
partner affidabile, che crea la libertà della relazione nell’uomo e l’uomo così appare come un
essere libero chiamato ad esprimere una voglia di relazione all’Assoluto che già fin dall’inizio la
cura di Dio ha posto nel suo cuore. Anche da un’analisi filosofica posso dedurre che Dio è
Amore, ma con ciò non posso pretendere che Lui mi ami: la Rivelazione è un dono indeducibile.
PARTE SECONDA
Cap. III
7. Perché il tema dell’autonomia ed il suo rapporto con la teonomia (soprattutto nel mondo
contemporaneo) è così importante per la teologia in generale e per la teologia morale in
particolare? Perché nell’ora attuale una scienza che non ponesse al suo centro la persona umana
risulterebbe non significativa e inudita.
8. Già dall’analisi dei modelli di rapporto tra autonomia e teonomia (restaurazione, progresso,
analogia) abbiamo potuto dedurre una definizione sommaria dell’autonomia. Esponila in 10
minuti. A seconda del modello teologico di autonomia-teonomia si possono individuare diverse e
anche contrapposte modalità di collocazione del cristianesimo nel mondo contemporaneo. Grazie
ad un buon rapporto tra i due l’autonomia ha una propria consistenza , che però è un’apertura ad
un compimento che da sola non può darsi, questa è la traccia della teonomia nell’autonomia.
Sottolineare l’autonomia quindi non vuol dire minare la teonomia.
9. A confronto con il mondo extra-biblico, la Rivelazione propone un concetto di autonomia
decisamente inedito: quali sono le differenze fondamentali tra i due pensieri e qual è il nucleo
della Bibbia a riguardo di questo tema? Per il mondo extra-biblico, divino e mondano
costituivano un’unità, autonomia e teonomia sono confuse,intimamente intrecciate il mondo è
visto come kosmos. La Bibbia invece fa passare da questo concetto di mondo ad uno di creazione
ad opera di Dio, perciò proprio la creaturalità di tutto il creato gli conferisce una identità propria
che la differenzia da tutto ciò che è divino. Perciò a differenza del mondo extra-biblico la Bibbia:
a. Non conosce alcuna teogonia.
b. Esiste una differenza qualitativa tra Dio creatore ed il mondo creatura.
c. Questa differenza implica identità e non confusione, che implica un forte demitizzazione,
perché non esiste niente di sacro sulla Terra a parte l’uomo, immagine e somiglianza di Dio.
Perciò una vera autonomia del mondo nei confronti di Dio si fonda su di una radicale dipendenza
da Lui (perciò Adamo era l’uomo più libero di tutti perché totalmente dipendente da Dio.
10. Nella storia della Chiesa antica l’autonomia e l’humanum vennero difesi, contro ogni tentativo
di sminuirne il valore, da grandi personaggi della fede o in occasione di importanti discussioni
dottrinali: descrivili evidenziando l’apporto specifico dei loro contributi a riguardo del nostro
tema.Vedi tre passaggi di sintesi relativi a [cap. 3 par.4]
11. Tommaso rappresenta il culmine del pensiero teologico medievale sul nostro argomento, come
Guglielmo d’Ockham ne rappresenta la distruzione e l’inizio (per reazione) del pensiero
moderno. Illustra la riflessione di ognuno e le differenze più significative. Vedi quarto e quinto
passaggio di sintesi relativi a [cap. 3 par.4]
12. Kasper osserva criticamente il pensiero di San Tommaso e sposta l’attenzione dal concetto di
natura alla realtà della “persona”. In che senso essa è più in grado di rapportarsi senza
equivoci con la grazia? E quali equivoci può invece suscitare il parlare di rapporto “natura”“grazia”? Perché il concetto di natura oggigiorno è ormai frainteso e si rischia di intendere la
Grazia come necessaria, mettendone in dubbio l’indebitatezza. Il concetto di persona invece è
progettato essenzialmente al riconoscimento e all’accettazione nell’amore, ma proprio perché
amore esso è necessario all’uomo, ma inesigibilmente libero, solo come dono esso è la
realizzazione della persona.
13. Cartesio, Kant e Nietzsche sono i rappresentati di spicco della “svolta antropologica” iniziata in
reazione a Guglielmo d’Ockham: presenta il pensiero di ognuno e la riflessione che li collega.
Vedi ultimi passaggi di sintesi relativi a [cap. 3 par.4]
14. La storia del concetto di autonomia (dall’inizio fino alla concezione odierna) ci porta a
concentrare la nostra attenzione sulla “persona umana”. Illustra in sintesi questo cammino,
offrendo le basi ed i presupposti per la riflessione successiva intorno, appunto, alla persona.
L’autonomia moderna ha così permesso di chiarire l’oggetto della autonomia: l’uomo e la sua
libertà. Il lavoro della teologia morale o di qualsiasi discorso fatto all’uomo dovrà partire da
questo punto e dovrà aiutare questa autonomia a non trasformarsi in autarchia, a non chiudersi su
se stessa. Non è pensabile quindi alcuna salvezza che non parta e non arrivi all’uomo,
rispettandolo nella sua consistenza. Il fulcro della persona, come dice bene Kasper è quindi: una
consistenza che sbocca in un’apertura che permette una consistenza.
15. Affinché Dio si rapporti non estrinsecamente con l’uomo, è necessario che ci sia in quest’ultimo
una “traccia” dell’infinito. Questa traccia si manifesta nel rapporto tra “consistenza” ed
“apertura”. W. Kasper in due suoi lavori cerca di evidenziare questo rapporto: illustra la sua
riflessione. Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 3 par.7.1].
16. Sintetizza i dati raccolti da W. Kasper in una “definizione” di persona umana. Puoi anche, se
preferisci, rispondere analizzando l’uno o l’altro testo presentato in classe (“Gesù il Cristo” e/o
“Il Dio di Gesù Cristo”). Idem
17. Illustra la riflessione sulla libertà, sul male e sul peccato che abbiamo svolto al seguito di W.
Kasper. Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 3 par.7.2]
18. Questa riflessione sulla libertà, sul male e sul peccato quali dati aggiunge o conferma a riguardo
del tema dell’autonomia, o della persona umana? Il problema del male ribadisce quindi che
l’autonomia non resiste, nei confronti della realtà, ad una concezione assoluta di se stessa, ma
esige un superamento che non si può dare, ma che può sperare: l’uomo è relativo (in tutti e due i
sensi). Accanto a questa tensione verso l’infinito, l’uomo è però anche tensione alla chiusura,
l’uomo concreto è “homo incurvatus” che crede di dovere e potere disporre assolutamente di se
stesso e della propria realtà. Esso non capisce che l’unica vera libertà è quella creaturale, che per
riconoscersi come essere umano l’uomo deve relazionarsi con il Creatore, perché l’uomo non ha
bisogno di redenzione è bisogno di redenzione, è nostalgia del soprannaturale.
19. Presenta in sintesi la concezione di autonomia così come è stata sviluppata durante il corso.
Presenta inoltre le tue critiche e le tue riflessioni. L’autonomia è consistenza che sbocca in una
apertura che permette una consistenza. Oppure l’apertura è la domanda della consistenza la quale
è la condizione dell’apertura. L’autonomia si capisce cioè solo in una relazione separata (dove
ognuna ha la sua consistenza propria che però è rimando all’altra) e non confusa con la teonomia.
20. La riflessione sull’autonomia, quali indicazioni può offrire per una teologia morale
fondamentale? Oltre alle dispense sono graditi gli approfondimenti e le considerazioni
personali. Qualsiasi morale non può essere né imposta, né appiccicata come un eventuale
optional per l’uomo, ma partendo dalla sua realtà, dalla consistenza della sua autonomia che è
apertura, deve aiutarlo a capire come solo seguendo Dio, solo relazionandosi con Lui, in un
rapporto tra due libertà, una finita e l’altra infinita, si è veramente uomini, persone. Perché il
Cristo è venuto a salvare l’uomo, ma se l’uomo non è niente, non ha consistenza allora che cosa,
chi è venuto a salvare? E questa relazione “salvifica-redentrice” deve portare all’apertura verso
tutto ciò che è altro dalla singola persona: gli altri e il creato.
Cap. IV
21. In alcuni manuali contemporanei il tema coscienza riceve un trattamento per così dire
“limitato” o “impoverito”. Illustra le loro impostazioni e fornisci le tue riflessioni critiche al
riguardo. Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 4 par.1].
22. Presenta il tema coscienza del manuale di B. Haring “Liberi e fedeli in Cristo”.(Scritto subito
dopo il Concilio). Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 4 par.2.1].
23. Presenta il tema coscienza del manuale di B. Haring “La legge di Cristo”. (Scritto prima del
Concilio). Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 4 par.2.2].
24. Presenta il tema coscienza in B. Haring così come viene svolto nei suoi ultimi lavori, mettendo
particolarmente in luce il concetto di “reciprocità delle coscienze” nella Gaudium et Spes e
nella logoterapia. Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 4 par. 2.3]. Egli lo evidenzia in
Gaudium et Spes e nella logoterapia:
a. Egli dice “Il dialogo … non è solo un problema di progresso … ma è un’esigenza interna
della stessa coscienza” e il rispetto della coscienza altrui è la condizione sine qua non del
rispetto per la propria coscienza, perché “trovo me stesso solo aprendomi all’altro, agli altri,
all’Altro. … Chi pensa di poter trovare la verità esistenziale danzando intorno al proprio io
isolato, cade nel vuoto, nelle tenebre, in una visuale sperduta e miserabile.”. E tutto ciò lo
impariamo da Gesù, perché “In Cristo la coscienza di sé … è prendere coscienza dell’essereper-noi e con noi.” In GS 16 la Chiesa dirà così che è proprio la fedeltà coscienza ad unire i
cristiani con gli altri uomini per cercare la verità. Tenendo poi conto di Gs 44 (intitolato
“L’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo”) dice che “La Chiesa non ha il
monopolio della verità; possiamo dirlo proprio perché non dimentichiamo mai il suo ruolo
privilegiato: a lei è affidato il Vangelo ed è promessa la grazia dello Spirito Santo … Essa
può essere tanto più efficacemente maestra, quanto più si unisce agli uomini nella ricerca
della verità” e “l’uomo che sinceramente, in fedeltà alla propria coscienza attuale e insieme
agli altri, cerca la verità, non perde la dignità della sua coscienza”. In conclusione quindi “Un
tale continuo dialogo e interscambio di esperienze e riflessioni fanno necessariamente parte
della legge scritta nei cuori per tutti gli uomini. Però quelli che riconoscono in tale legge una
dimensione dell’ennomia cristica e cercano di approfondirla nella piena luce della legge di
Cristo rivelata, dovranno eccellere in tale ricerca comune, assieme a tutti gli altri uomini.”
b. Per la logoterapia si confronta invece con il lavoro dello psicoterapeuta Frankl, che con il suo
lavoro Haring sostiene abbia aiutato “la stessa teologia morale con la sua profonda visione
della ricerca esistenziale del significato della vita”. Per Frankl la logoterapia infatti “esclude
ogni imposizione autoritaria di imperativi morali, che per il malato non hanno senso: è una
comunicazione sanante, che presuppone perciò un rapporto sano e sanante da parte del
terapeuta.” Da che Haring dice che ciò dovrebbe valere pure per il magistero ecclesiale; “un
tale rapporto sanante, anche tra persone che non sono ancora arrivate alla fede esplicita in
Cristo, è sempre un cammino verso la luce più chiara, verso la scoperta del Dio inconscio in
noi, … verso la pienezza di quella legge dello Spirito che ci da la vita in cristo Gesù”.
25. Sulla scorta del pensiero di B. Haring, presenta il rapporto tra coscienza e verità morale. C’è tra
le due un rapporto reciproco che per funzionare deve da un lato vedere una coscienza che si
forma, grazie alla ricerca diligente delle leggi e dei valori e lo zelo per la verità, che evitano
l’atrofizzarsi della coscienza; dall’altra se questo cammino di ricerca farà sì che la verità si faccia
strada nel cuore dell’uomo, essa non potrà che passare dalla coscienza stessa, senza sminuirla o
violarla. La ricerca della verità morale è quindi un cammino che si sintonizza con la crescita della
coscienza: somma cura si deve dare quindi alla realtà concreta della persona che “perviene alla
sua integrità e alla sua identità solo nella reciprocità della consapevolezza e della coscienza”. In
questa ricerca la coscienza fondamentale è l’incontro con le altre coscienze, momento questo di
annuncio e testimonianza, ma anche di crescita ulteriore nella reciproca dignità. Il dialogo è visto
come necessario nella formazione di una retta coscienza soprattutto cristiana.
26. Con l'aiuto dell'articolo di S. MAIORANO, presenta il tema "Coscienza e verità morale nel Vaticano
II". Nella vostra risposta sarà necessario citare i testi specifici dei Concilio (G.S. ecc.). Vedi
passaggio di sintesi relativo a [cap. 4 par.4].
Cap. V
27. Il tema coscienza non può che confrontarsi con i risultati delle scienze umane. Presenta, con
l'aiuto del lavoro di G. GATTI, l'una o l'altra impostazione degli psicologi e psicoanalisti
esaminati. Sarà necessario presentare una riflessione personale in vista di un collegamento tra
teologia morale e scienze umane.
PARTE TERZA
Cap. VI
28. I cap. 2-3 della Genesi ci illuminano sulla radice di ogni crisi del rapporto tra Dio e l'uomo,
insinuando il "sospetto" nei confronti di Dio: raccontali in 10 minuti. Analizzando il testo che va
da Gn 2,15 a Gn 3,24, si può sintetizzare nel modo che uno ha di guardare al suo partner dopo
che gli ha fatto le corna. Notiamo infatti che:
o l’uomo è messo in qualcosa di cui non ne è il proprietario e Dio fa di tutto perché l’uomo
sia felice.
o Dio esprime fiducia nell’uomo e ogni sua frase-regola non è un obbligo, un imperativo,
una proibizione, ma un consiglio, una precauzione (infatti non dice “vi farò morire”, ma
“altrimenti morirete”).
o In 2,22 si vede l’estraneità del maschio nel creare la donna e questo sempre perché egli
sia più felice.
o L’essere nudo dell’uomo, senza però porsi problemi, vuol dire essere senza scudo,
vulnerabile, perché non si ha paura degli altri, percependosi protetto da questo Dio.
o In 3,1 questo rapporto inizia a rovinarsi a causa dell’uomo. Il serpente infatti (che
rappresenterebbe le varie idolatrie e proprio per questo l’errore dell’uomo non è tanto
sbagliare, quanto dar ragione a un idolo piuttosto che a Dio) dice il falso quando pone la
prima domanda perché Dio non ha detto di non mangiare di nessun albero, ma solo di
uno!
o E la risposta della donna è un po’ falsa, ma sempre diversa perché aggiunge il fatto che
Dio abbia detto anche di non toccarlo, ma non è vero!
o Ma la risposta del serpente in 3,4 vuole far percepire come la regola di Dio non sia per
proteggerli, ma perché lui è geloso dell’uomo e lo priva di qualcosa a cui lui può invece
attingere. Il serpente fa percepire un Dio nominalista a cui l’unica risposta può essere una
totale autarchia. E allora si percepisce il comandamento non come qualcosa che protegge
l’altro dal male, ma assume la veste di una dissuasione destinata a proteggere se stesso.
o In 3,7 si ha il top della suspence quando “si aprirono gli occhi di tutti e due …”, ma il
risultato è che scoprono di essere nudi, cioè avendo sospettato di Dio ora sospettano
anche l’uno dell’altro. Mettendo in dubbio la bontà di Dio ed il suo amore per lui l’uomo
passa da un clima di amore e di fiducia verso il creato ad uno di sospetto, ad una
sensazione di essere esposti, indifesi, accessibili al di là della propria intenzione. Al di
fuori della comunione con Dio l’uomo percepisce il suo desiderio mortificato, il senso
della sua impotenza, la pena di un’esistenza di cui si avvertono tutta la debolezza ed il
limite.
o E la risposta a ‘sta cavolata non è tuoni e fulmini da parte di Dio, ma Egli “passeggiava
alla brezza del giorno”, e ad un certo punto avverte qualcosa che non funziona tra Lui e
l’uomo e allora chiede “Dove sei?” che vuol dire “Come mai la nostra relazione è
caratterizzata dal tuo nascondimento?” Ma la reazione a questo ennesimo atto di amore è
ancora una volta interpretata come un atto di repressione e quindi lui percepisce il
passeggiare di Dio nell’Eden come una “caccia al ladro”.
o Dopo la scenata di Adamo ed Eva lui con loro due non se la prende, s’arrabbia solo con il
serpente, che non interroga neanche, e cerca di renderlo innocuo all’uomo. E le frasi ai
due non sono sue punizioni, ma conseguenze di questo clima di sospetto, di possesso
(perché la volontà di possedere fa perdere), di falsificazione (del rapporto con Dio, tra di
loro e con il creato) che loro hanno attuato e che Lui non può riparare.
o L’unica cosa che può fare è vestire i due (che carino!) e allontanarli dall’Eden per evitare
che facciano ulteriori danni.
29. La "battaglia" di Giobbe contro il dio della retribuzione quali dati aggiunge a riguardo del
rapporto tra uomo e Dio? Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 6 par.3.1].
30. Dai brani evangelici proposti nel corso, quale immagine di Dio ci viene presentata dal Suo
Figlio Gesù il Cristo? Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 6 par. 3.2 e 3.3].
31. In che modo l'immagine di Dio che ci viene presentata da Gesù Cristo contrasta l'immaginario
religioso collettivo? Servirsi, nella vostra risposta dei testi biblici citati (il Battista ecc.). Vedi
passaggio di sintesi relativo a [cap. 6 par. 3.4].
Cap. VII
32. In che senso la croce diventa il crogiolo nel quale l'immagine di Dio trova la sua purificazione?
Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 7 par.1].
33. Presentare l'essenziale (la sostanza) della testimonianza neotestamentaria riguardante la vera
umanità di Gesù. Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 7 par. 2.1].
34. Il Nuovo Testamento ci parla di Gesù solidale con il peccato del mondo? Illustrare la vostra
risposta alla luce della tradizione sinottica, giovannea e paolina, servendovi dello studio svolto
sugli episodi del battesimo, delle tentazioni, dell'agonia e della morte sul Golgota di Gesù.
a. Battesimo, presente in tutti e quattro i Vangeli. Sottoponendosi al rito penitenziale del
Battista Gesù si dichiara solidale con l’umanità peccatrice, ne entra a far parte. Qui si
vede attuata in lui la figura biblica del Servo. Questo suo essere solidale con il mondo
lo esporrà al complotto politico ordito contro di lui che non è altro che l’incarnazione
dello stato peccaminoso in cui l’uomo si trova, le tenebre che respingono la Luce
b. Le tentazioni di Gesù nel deserto, presenti solo nei sinottici. Da notare il “tentato da
Satana” che incontra qui e in altre occasioni (Getsemani), ma ciò avviene prima del
suo ministero e quindi da un lato può essere sintomo di un suo discernimento sul
modo di svolgerlo (categoria psicologica), dall’altro è sicuramente l’incontro con il
Tentatore (categoria teologica). Gesù incarna qui l’Esodo, il cammino nel deserto, ma
è anche il Nuovo Adamo (d’altronde Battesimo è nuova Creazione!). Diavolo gli
propone, realmente, quindi di aderire ad una concezione temporale di Messia, che è
favorevole al suo dominio sull’universo, ma contraria ai disegni di Dio! Così Gesù è
proprio fuorviato nel peccato, conosce la “carne” nella sua concreta situazione di
separazione da Dio
c. L’agonia nel Getsemani. Nei sinottici Gesù sente paura e angoscia, è choccato,
disorientato, è abbandonato dai discepoli, ma ciò che gli fa più male, dal Padre. Non
vuole sfuggire la sua missione, ma il compito postogli davanti è terribile, è triste in
“sommo grado”, di una tristezza mortale. La causa di questa tristezza è la sua
solidarietà con il mondo, lui è il Figlio (infatti anche qui dice Abbà), è la Volontà del
Padre, ma ora in lui c’è qualcosa che entra in conflitto con questa essenza. Lui non ha
sofferto come un uomo, ha sofferto come Figlio staccato, slegato dal Padre. Lui entra
in questo dinamismo di separazione-rottura-abandono, per rovesciarlo dal di dentro.
Nel Vangelo di Giovanni Gesù è solo turbato interiormente nella prospettiva d viver
l’ora del Padre, di incontrare il “Principe di questo mondo”. Con il Getsemani
Giovani fa quindi da introduzione alla Passione che viene vista come la glorificazione
del “nome” del Padre.
d. La morte di Gesù sul Golgota. Nei sinottici risuona l’urlo di Gesù “Dio mio, Dio mio
perché mi hai abbandonato” riprende il Salmo 22 e l’esperienza dei giusti dell’AT e
del popolo di Israele nel deserto, ma le supera tutte, perché Gesù è “Il Giusto” per
eccellenza, è solidale con il peccato, ma non è un peccatore e perciò la sua solitudine
dall’Abbà sulla croce è di dimensioni per noi insospettabili, è un abbandono totale,
unico, è l’espressione ultima si ciò che vuol dire essere “Servo di Jahvè”. In Giovanni
Croce è il luogo dell’estrema gloria di Gesù, della sua vittoria finale sul male, perché
compie fino in fondo la volontà del Padre (“Ho sete”) bevendo il calice della morte,
opera del Maligno. Gesù è il Padrone di ciò che succede fino alla fine: è lui che affida
la madre a Giovanni, è lui che chiede da bere, è lui che rimette lo Spirito.
35. Quali sono le tappe della riflessione della Chiesa primitiva sull'identità divina di Gesù il Cristo,
attorno al titolo "Figlio di Dio" e quali ne sono i contenuti? Prima delle tappe neotestamentarie
bisogna vedere quelle vetero-testamentarie:
a. Veniva usato nel rituale di incoronazione dell’antico Oriente dove il re era dichiarato
“Figlio di Dio”, generato da lui.
b. Israele lo assume usandolo per l’intronizzazione del re d’Israele, ma sostituendo al senso
mitologico di generazione quello di elezione da parte di Dio. Perciò “Figlio di Dio” è
strettamente legato al re e ai suoi successori.
c. Si fa però presto avanti l’idea di un re futuro di cui dire veramente:<< Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti in dominio i confini della
terra. >> (Sal 2,7-8) cioè il Messia.
A questo punto si può passare alle tappe neo-testamentarie che non sono per forza
cronologicamente una dietro l’altra, hanno anche coabitato e titoli cristologici non se li è dati
Gesù, ma sono confessioni di fede della Chiesa post-pasquale:
o Kerygmatica (Atti). Gli apostoli annunciano che Gesù è morto e risorto e basta, non sanno
cosa ciò voglia dire, ma dicono solo che è successo. Dicendo che Gesù il crocifisso è il
Figlio di Dio, uniscono alla categoria di Re, quella di Servo e così l’elezione del re-figlio
si stabiliscono nel servizio fraterno fino alla morte in croce, che serve mentre regna e
regna mentre serve. Fede nella Risurrezione.
o Sinottica. Visto che è risorto gli apostoli iniziano a pensare se ha lasciato degli indizi di
questa sua capacità di deificarsi e così si vede che siccome guariva di Sabato, rimetteva i
peccati ecc. era veramente Dio. Dal suo chiamare Dio Abbà, termine aramaico mai usato
da nessuno, si capisce che Gesù ha avuto coscienza di essere il Figlio di Dio, ha vissuto
onticamente la sua figliolanza. Dai testi traspare un Gesù la cui identità non può essere
ridotta a semplice adozione, ma sembra adare nel senso dei “dogmi cristologici dei primi
Concili”, cioè nel senso di una filiazione nel senso stretto del termine, di natura  Fede
nella Risurrezione trova agganci nella vita degli apostoli con Gesù, Gesù della fede e
Gesù storico coincidono.
o Giovanneo-paolina. Nel passaggio successivo ci si chiede se Gesù è diventato Dio
(adozionismo), o se lo era da sempre, se preesisteva, se è un superman o se è Dio stesso
“inviato sulla terra”. La risposta giovannea e paolina è che Gesù esisteva già in Dio,
prima della sua manifestazione tra noi, egli preesisteva alla sua nascita nella carne e alla
fondazione del mondo: Egli è il principio, è Creatore, Logos divino incarnato. Così Dio
non invia più dei messaggeri, angeli o profeti che siano, ma discende Lui stesso dalle
sfere celesti, spoglia se stesso e si incarna. A questo punto la Sapienza non poteva più
essere considerata una realtà indipendente dal Risuscitato-Glorificato e la “fusione”
avviene nel prologo di Giovanni, ma al posto di Sapienza si usa il termine meno
mitologico di Logos. Gesù è quindi Il Figlio.  Dalla storia umana si passa alla storia
divina, dall’uomo-Gesù si passa al Dio-Gesù. Colui che post-esiste in Dio, preesiste.
36. Qual è il senso immediato degli enunciati neotestamentari sulla preesistenza di Cristo Gesù? Si
può attribuirgli un nucleo ontologico sicuro? Chiarito che l’essere di Figlio non è né una
contaminazione ellenistica (come voleva Harnack), né gnostica (come voleva Bultmann), il
significato delle affermazioni neotestamentarie sulla preesistenza di Gesù hanno prima di tutto un
valore funzionale-soteriologico (Gesù è morto per noi) per affermare il singolare rapporto filiale
di Gesù con Dio: se Gesù è “Il Salvatore”, non può che essere Dio. E questa preesistenza non è
solo ideale (nella mente di Dio), ma è reale, personale come già nell’AT si può vedere nei libri
sapienziali. E questa presenza reale è il nucleo ontologico sicuro, che in germe presenta la
dottrina delle due nature che sarà poi sviluppata dai Padri. Profonda unità tra aspetto funzionale e
ontologico aiuta a cogliere la stretta connessione tra la trinità economica e quella immanente.
Gesù è il Figlio del Padre. E Gesù ciò lo ha vissuto onticamente, ma la Chiesa lo ha sviluppato e
interpretato lentamente sul piano ontologico.
37. A partire dal vangelo di Giovanni qual è l'identità propria dell'essere Figlio? Nell’analisi del
rapporto tra Padre e Figlio nel vangelo di Giovanni arriviamo a due affermazioni tra loro legate:
1. Il Figlio è uscito (vo her) dal Padre, che lo ha inviato, e ritorna (vo in) al Padre attraverso
la via della morte-risurrezione-glorificazione. Quindi il Figlio non è niente da se stesso e
non può far niente da se stesso. In quanto Figlio non è che a partire dal Padre, viene da
Lui ed è ordinato a lui e agli altri.
2. Gesù è con il Padre un’unità totale, costituiscono un solo essere.
Gesù quindi è pura unità con il Padre perché è pura relazione con Lui.
38. La croce non è per caso occasionata da una specie di sete di vendetta dei Padre che scarica sul
Figlio la sua ira e dalla quale Egli trova soddisfazione, ne è in qualche maniera "placato"?
39. La croce non è forse solo una delle tante manifestazioni della violenza, delle atrocità che spesso
contraddistingue il vivere umano (basta pensare ai lager nazisti, ai roghi ecclesiastici, alla
caccia alle streghe, ai "mostri" che i giornali contemporanei ci fanno così ben conoscere)? Detto
in altre parole, come si giustifica la pretesa di quella sofferenza di essere salvifica per l'umano?
In che cosa si differenza dalle altre croci? Di che "qualità" è la croce di Cristo? Qual è il suo
significato redentivo (cioè il "per noi")? Gesù elevato in croce è totalmente separato dal Padre, a
causa del peccato, e la distanza tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo. Questa distanza
abbraccia tutto il creato, compreso l’inferno e la croce non è che l’esito storico di questa
dinamica che è da sempre (trinità immanente), ma che il Figlio sceglie liberamente incarnandola
nella storia (trinità economica) rivelando così il Padre agli uomini. [Risposta a 39 e 40]
40. Qual é la manifestazione ultima dei volto di Dio che ci offre il mistero dei tre giorni? (Articolare
bene, nella vostra risposta, le tre icone che abbiamo presentato: il Figlio, il Crocifisso, il
Risorto). Cosa ci dice dunque il mistero della Croce a riguardo del peccato e della salvezza?
Vedi passaggio di sintesi relativo a [cap. 7 par. 3].
41. Presenta per sommi capi i risultati più appariscenti della nostra indagine sulla "morale biblica',
illustrando sia il nucleo della Trinità rivelato dal crocifisso, sia le conseguenze per l'essere della
Chiesa, per il sacramento dell'eucaristia, e per la vocazione dell'uomo chiamato a manifestare
l'immagine dei Figlio. Croce è la massima espressione del volto di Dio, è “ciò di cui non si può
pensare il maggiore”, in essa si ha la manifestazione piena dell’agire di Dio. Nel suo Figlio Gesù
appeso in croce, Dio manifesta la sua cura per l’uomo, il suo “pathos”, la sua passione e, grazie
alla risurrezione, ci inserisce nella vita di Dio, nel suo essere Trinità che è l’immagine decisiva
del volto di Dio. Da questo Dio nasce la Chiesa, la comunità di coloro che devono manifestare la
cura di Dio, l’amore gratuito agli altri e invece di dividere il mondo in buoni e cattivi raggiunge
gli uomini nelle loro situazioni di peccato per avvolgerli in un abbraccio d’amore. E l’Eucaristia
letta ai piedi della croce non è solo memoria, ma continua comunione alla filiazione e la
vocazione dell’uomo è essere inseriti nella vita trinitaria.
DOMANDE DEL SECONDO SEMESTRE
Cap. VIIl
1. In che senso la "storia" della morale può dirsi importante per ogni cognizione di teologia
morale?
2. ALBERT PLÈ (“Per dovere o per piacere”, ed. Gribaudi) ci offre un contributo originale e
profondo all'interpretazione della storia della teologia morale: indicane le linee portanti e i
risultati più appariscenti.
3. Con l'aiuto dell'articolo "Storia della teologia morale" dei Dizionario e del contributo di B.
HARING, presenta in sintesi l'itinerario della stessa nelle sue grandi tappe.
4. Il libro di Frigato (“Vita in Cristo e agire morale”, ed. Elle Di ci) ci offre una sintesi di storia
della teologia morale da S. Tommmaso in avanti: qual è il nucleo della prospettiva tomista a
riguardo della impostazione della teologia morale fondamentale?
5. Il libro di Frigato (“Vita in Cristo e agire morale”, ed. Elle Di ci) ci offre una sintesi di storia
della teologia morale da S. Tommaso in avanti: qual è il nucleo del cosiddetto "volontarismo" e
quali le conseguenze sulla teologia morale?
6. Il libro di Frigato (“Vita in Cristo e agire morale”, ed. Elle Di ci) ci offre una sintesi di storia
della teologia morale da S. Tommaso in avanti: indicare le grandi tappe dei pensiero morale dal
Concilio di Trento agli anni antecedenti il Concilio Vaticano lI.
TOMO 2
PARTE QUARTA
Cap. IX
7. Quali sono le quattro grandi eresie che la Chiesa dei Padri ha dovuto affrontare per
salvaguardare l'umanità di Gesù e come la Chiesa le ha rifiutate? Si può dire che alcune di
quelle eresie "rivivono" nella teologia odierna?
8. Definire i tre momenti ritenuti nel corso della recezione dei dato biblico a proposito della
solidarietà di Gesù Cristo con i peccati dei mondo.
9. Quale fu la risposta della Chiesa alla crisi ariana? Dimostrare che questa risposta è rimasta
fedele alla testimonianza biblica riguardante Gesù Cristo.
10. Definire il tentativo di Nestorio nel rendere conto davanti alla ragione dell'unità di Gesù
Cristo. Si può rintracciare nella storia della teologia una presenza più o meno accentuata dei
pensiero dualista di Nestorio?
11. Concilio di Calcedonia: parlane!!!! Quale decisiva importanza riveste per l'impianto della
teologia morale fondamentale?
12. Qual è la punta della definizione dogmatica di Calcedonia e quale ne è il significato e la
portata?
13. Gesù il Cristo esprime una solidarietà con l'uomo che finisce per costituirlo nella sua essenza
sul piano ontologico. Descrivi la qualità di questa solidarietà e le caratteristiche proprie dei
suoi tre livelli attraverso i quali abbiamo cercato di enucleare l'impatto dei Figlio sui figli...
14. Qual è la nozione di persona umana proposta da W. Kasper e dimostrare come la vede
realizzata e compiuta in Gesù il Cristo?
15. Definire con precisione i tre modi di solidarietà che permettono a Gesù, il Cristo, di
raggiungere l'essere umano e così di fondare l'agire morale.
16. Come si può affermare che Gesù il Cristo abbraccia l'essere umano non solo in quanto destinato
ad essere salvato ma anche in quanto creato?
17. Affinché il Cristo nel suo dono della filiazione interessi sul serio l'uomo deve toccare
l'ontologia, cioè l'essere in quanto tale. Possiamo parlare quindi di "ontologia" sia
considerando la natura dell'intervento divino, sia il dove si inserisce l'intervento divino nei
nostri confronti, come anche per quanto riguarda le conseguenze (ontologiche) che ne derivano
per l'uomo? e se sì, come?
Cap. X
18. Il capitolo decimo delle dispense intende fornire i punti nodali di una morale fondata sul
mistero di Cristo articolandoli attorno al rapporto tra autonomia e teonomia. Esponi
sinteticamente ì suddetti punti motivando, dal punto di vista teologico, i vari passaggi da un
punto all'altro.
Cap. XI
19. Qual è il nucleo della critica svolta nei confronti dei fautori della morale autonoma (AUER) e
dell'etica della fede (STOECKLE) a partire dalla nostra impostazione di teologia morale, nel
campo della cristologia, della antropologia, della morale e della realtà?
20. Qual è la natura dei rapporto Ragione-Fede che scaturisce dal nostro approccio della teologia
morale? Possiamo in questo essere tacciati di "riduzione cristologica (KARL BARTH)"? In cosa
ci differenziamo sostanzialmente?
21. Articolare il rapporto Ragione-Fede tenendo conto dei modello sopra esposto, cioè della
domanda.
PARTE QUINTA
Cap. XII
22. Scegliere una esperienza di vita che si riallaccia sia alla fede, sia alla speranza, sia alla carità,
per dimostrare come il cristiano, confrontato a questa esperienza, deve comportarsi per poter
riflettere nel mondo l'immagine dei Figlio.
Cap. XIII
23. Definire il concetto ellenistico di libertà che s. Paolo ha usato per la sua teologia della libertà
cristiana.
24. Che cosa è la libertà di san Paolo? Dimostrare come l'apostolo ha superato la concezione
ellenistica e giudaica della libertà.
Cap. XIV
25. Qual è il rapporto tra il problema della perdita dei senso dei peccato e il problema della
libertà?
26. Illustra la riflessione sul peccato nell'Antico Testamento.
27. Illustra la riflessione sul peccato nel Nuovo Testamento.
28. Illustra il rapporto tra libertà e peccato in Gen 2 e 3 e in Lc 15,11-32 e la loro coincidenza
strutturale.
29. Discutere le affermazioni: "Libertà e determinazione non si escludono", "libertà e legame non
si escludono", "libertà di Dio e libertà dell'uomo non si escludono". Che ne deriva per un
discorso teologico sul peccato?
30. Che cosa intendiamo dire chiamando la libertà umana una libertà paradossale? Qual è il
rapporto tra questa libertà paradossale e il peccato?
31. Come è possibile dire che in ogni peccato c'è quel momento o movimento che S.
AGOSTINO
chiama "aversio a Deo»?
32. AGOSTINO chiama un momento fondamentale del peccato "inordinata conversio ad creaturas".
Che cosa S. Agostino intende segnalare con tale conversio? Come "l'inordinata conversio ad
creaturas" è una espressione dell'essenza dei peccato?
33. Qual è il rapporto tra libertà e peccato come opzione fondamentale?
34. Qual è il rapporto tra peccato personale e sociale?
35. Qual è il nucleo della definizione di peccato propostaci da E. DREWERMANN sulla
scorta sia dei piano filosofico che di quello psicoanalitico?
PARTE SESTA
Cap. XV
36. Presenta in 20 minuti (massimo) le linee fondamentali della teologia morale fondamentale,
personalizzando, a tuo modo (ed eventualmente criticando), tutti i temi più importanti proposti
nel corso (ovviamente in modo sintetico).