TERREMOTI Il terremoto è una scossa della superficie terrestre causata da onde sismiche propagatesi da un punto interno della litosfera (crosta e parte superiore del mantello), detto ipocentro, in cui viene rilasciata l’energia accumulata da tensioni delle faglie geologiche. Il punto della superficie terrestre sulla verticale dell’ipocentro è l’epicentro. I terremoti sono sempre associati a grandi sistemi di fratture, denominate faglie, che interessano le parti rigide della Terra e che corrispondono alle superfici dove grandi ammassi di corpi rocciosi si muovono gli uni rispetto agli altri. Quando due blocchi di roccia separati da una frattura sono sottoposti a tensioni che tendono a spingerli gli uni contro gli altri, o ad allontanarli gli uni dagli altri o anche semplicemente a farli scorrere in direzioni opposte, per un certo tempo i due blocchi non si muovono, in quanto sono frenati dall’attrito originato dalle asperità presenti sulle due facce della frattura. La tensione aumenta fino al punto in cui la resistenza per attrito che immobilizza a frattura viene vinta nel punto di maggiore debolezza (ipocentro) e i blocchi rocciosi a ridosso della frattura improvvisamente si muovono l’uno rispetto all’altro. Lo spostamento reciproco dei due blocchi di roccia lungo la faglia viene definito rigetto e può arrivare sino a diversi metri. L’energia elastica accumulata viene liberata in brevissimo tempo sotto forma di vibrazioni (onde sismiche), che in superficie producono il terremoto. Le onde sismiche si propagano ad una velocità anche fino a 8.2 km/s per lunghe distanze: in caso di terremoti molto violenti possono essere rilevate anche agli antipodi dell’ipocentro. La propagazione delle onde sismiche è dovuta ad un meccanismo di deformazioni delle masse rocciose e di “forze di richiamo” che si oppongono a tali deformazioni. Le deformazioni si dividono in due tipi principali: 1) la compressione pura, che provoca variazioni di volume ma non di forma e 2) lo sforzo di taglio, che provoca variazioni di forma ma non di volume. Ma a cosa sono dovute queste deformazioni? Le deformazioni, o forti pressioni, a cui è soggetta la litosfera, sono generate dai movimenti delle placche: sotto l’azione di tali forze, la litosfera si deforma in modo elastico; arrivata alla soglia di deformazione, si supera il limite di elasticità del corpo roccioso; a questo punto la roccia si deforma in modo direttamente proporzionale alla sollecitazione, in modo plastico o duttile, adeguandosi in modo direzionale ed irreversibile alle sollecitazioni (con generazione di pieghe), fino al raggiungimento della soglia di rottura (limite massimo di plasticità): la roccia si rompe (deformazione fragile). Il terremoto è l’energia legata alla sollecitazione massima a cui un corpo rigido viene sottoposto e ala quale il corpo risponde mediante il passaggio dalla deformazione plastica alla deformazione fragile. Per quanto riguarda le “forze di richiamo”, durante una compressione o uno sforzo di taglio, si genera sempre una forza che tende a ripristinare, rispettivamente, il volume o la forma iniziale: queste forze derivano dalla coesione tra le molecole e la loro intensità dipende dalla composizione della roccia. I modi di propagazione delle onde sismiche attraverso le rocce sono diversi e generano altrettanti tipi di onde sismiche. Il primo tipo di onde è causato dalle forze di compressione, e si propaga per compressioni e dilatazioni alternate del materiale, cosicché il movimento degli infiniti piani in cui si può idealmente scomporre il corpo roccioso avviene avanti e indietro nella direzione di propagazione dell’onda: queste onde sono dette per questo longitudinali. Esse si propagano ad una velocità compresa tra 5.5 e 14 km/s (a seconda della densità delle rocce che attraversano); sono le più veloci tra le onde sismiche, quindi le prime ad arrivare in superficie e per questo sono dette anche onde primarie o onde P. Tali onde sono usate per determinare le coordinate del terremoto. Il secondo tipo di onda è generato dalle forze di taglio: le particelle di roccia, anziché muoversi avanti e indietro, vibrano dall’alto al basso perpendicolarmente alla direzione di propagazione, perciò sono anche dette onde trasversali. La loro velocità di propagazione, a parità di altre condizioni, è circa la metà di quella delle onde P: quindi arrivano in superficie più tardi e perciò sono anche dette onde secondarie o onde S. Esse non si propagano nei liquidi ma solo nei solidi, a differenza delle onde P, che nei liquidi subiscono solo un rallentamento. Sfruttando questo principio, si è determinata la struttura interna della Terra, la quale presenta numerose discontinuità e una successione di strati fino a un nucleo centrale. La crosta terrestre è delimitata verso il basso dalla discontinuità di Mohorovicic (Moho), situata a profondità variabile (8-10 km sotto le aree oceaniche e circa 35-40 km sotto i continenti); in corrispondenza di tale discontinuità le onde di tipo S subiscono un rallentamento poiché in questa regione vi è la raccolta dei fusi magmatici. Essa rappresenta il limite fra litosfera ed astenosfera. Al di sotto della crosta comincia il mantello, che si estende sino alla discontinuità di Gutenberg, alla profondità di circa 2.900 km (fino al nucleo esterno). Al di sotto di tale discontinuità vi è il nucleo. La caratteristica più significativa del materiale esistente al di sotto della discontinuità di Gutenberg è che in esso le onde sismiche di tipo S non si propagano. Ciò starebbe ad indicare che questa parte della Terra si trova allo stato liquido. All’interno del nucleo, poi, è stata dimostrata l’esistenza di una nuova superficie di discontinuità, la discontinuità di Lehmann, che separa il nucleo esterno, liquido, dal nucleo interno che sappiamo essere solido, perché in esso si trasmettono anche le onde S. Le complesse interazioni delle onde P e delle onde S con la superficie terrestre danno origine al terzo gruppo di onde sismiche, quello delle onde superficiali, le quali si propagano ad una velocità di 3.5 km/s e sono divise in due sottofamiglie: le onde Love e le onde Rayleigh. La branca della geofisica che studia i fenomeni sismici analizzando la propagazione delle onde sismiche è la sismologia. Lo strumento usato per la registrazione dei movimenti della crosta terrestre prodotte dai terremoti è il sismografo. I sismografi trasformano il complesso movimento del suolo durante un terremoto in una registrazione permanente, permettendo di analizzare il groviglio di onde che raggiungono la superficie. I sismografi, basati sul principio fisico del pendolo, sono costituiti da un peso inerte (sospeso in modo da non risentire delle forze che producono le oscillazioni del suolo), al quale viene fissato un pennino scrivente su un rotolo di carta solidale con il terreno: quando il terreno vibra, vibra anche il rotolo di carta e il pennino (fermo) traccia il sismogramma, che registra l’andamento del movimento relativo peso inerte-suolo e permette di stabilire le coordinate di un terremoto (profondità). Una stazione sismologia comprende almeno tre sismografi, ciascuno dei quali registra le oscillazioni del suolo in una delle tre direzioni fondamentali dello spazio. Il sismografo che registra le oscillazioni verticali è ammortizzato per mezzo di una molla o di un ammortizzatore simile a quelli impiegati nelle automobili. Nei sismografi che registrano le oscillazioni orizzontali i pesi inerti sono collegati ad un braccio incernierato a un supporto verticale. I sismografi moderni impiegano pesi inerti molto minori di quelli in uso un tempo e utilizzano sistemi di registrazione del moto relativo peso inerte-suolo di tipo ottico oppure elettrico. Uno dei metodi più usuali impiega al posto del pennino scrivente una piccola calamita (o elettrocalamita) e invece del tamburo di carta un solenoide entro le cui espansioni è sospesa la calamita: le vibrazioni fanno variare la posizione della calamita rispetto al solenoide e di conseguenza il campo elettrico indotto nel solenoide in proporzione allo spostamento del peso inerte rispetto al suolo. Relativamente all’intensità dei terremoti, una scala per descrivere l’intensità locale, osservata in base alle sue conseguenze, suddivise in 10 gradi progressivi di gravità, venne formulata nel 1902 dall’italiano G. Mercalli. Più tardi gli americani H.O. Wood e F. Neumann misero a punto una scala Mercalli modificata, comprendente 12 gradi, adatata alle consuetudini costruttive vigenti in California. Per tener conto delle diverse modalità costruttive, sono state elaborate diverse altre scale Mercalli modificate. In Europa occidentale è abbastanza usata la scala MCS (Mercalli-CancaniSieberg), mentre in Europa orientale è in uso la scala MKS (Medveded-Karnik-Sponheuer). Per confrontare le intensità reali dei terremoti, e sperare le scale puramente descrittive dei loro effetti, è stata introdotta una scala quantitativa, detta scala della magnitudo o scala Richter (dal sismologo statunitense Ch. F. Richter) che misura la magnitudo dei terremoti, cioè la potenza e la durata di un terremoto. La magnitudo è calcolata come il logaritmo del rapporto fra l’ampiezza massima delle onde a 100 km di distanza dalla zona epicentrale e l’ampiezza massima di 0.001 (valore standard, calcolato alla stessa distanza da un sismografo standard): M = lg10 A A0 La scala di Richter non è dunque divisa in gradi e non ha limiti inferiori (se non la capacità di percezione degli strumenti) e superiori. Richter distingue 8 gradi di magnitudo: maggiore è l’ampiezza delle onde registrate da un sismogramma maggiore è la forza di un terremoto. Un terremoto distruttore ha una magnitudo intorno a 7 e i terremoti più violenti del sec. XX hanno fatto registrare magnitudo 8.5-9. I terremoti sono localizzati lungo i margini sia delle placche divergenti sia delle placche convergenti. Le fagli generate da un terremoto sono distinte in: a) dirette: un corpo rigido è sottoposto ad una sollecitazione distensiva, per cui esso prima si assottiglia, poi si rompe generando la faglia; sono localizzate lungo i margini divergenti e hanno un direzione perpendicolare all’asse della dorsale; b) inverse: uno sforzo compressivo spinge le placche l’una contro l’altra, per cui esse prima si deformano generando delle pieghe che poi si rompono; generano un accorciamento crostale (il tetto e il letto della faglia sono unite dalla scarpata di faglia o di rottura; sono localizzate lungo i margini convergenti; c) trascorrenti o trasformi: lo sforzo avviene in direzione parallela al piano della faglia; l’intensità con cui si applica lo sforzo è diverso ai due lati della faglia; sono localizzate lungo i margini divergenti, ma la direzione dello sforzo è trasversale all’asse della dorsale. La direzione dello sforzo influenza la profondità dell’ipocentro: nella crosta oceanica i terremoti lungo i margini divergenti (regime distensivo) hanno ipocentri superficiali; in corrispondenza dei margini convergenti, sottoposti a sforzi compressivi, si hanno terremoti più profondi. Più è profondo l’ipocentro, maggiore è la regione investita dagli effetti del terremoto, che si propaga come un cono in cui vertice è l’ipocentro e la cui base è la regione interessata (tanto più estesa quanto maggiore è la distanza dal vertice). Gli effetti di un terremoto dipendono da vari fattori: 1. da un fattore geologico: in alcune rocce le onde si propagano meglio perché ogni roccia ha un diverso limite di deformazione e di elasticità; 2. fattore sociale: perdita di beni, di manufatti, ecc. 3. effetti secondari: generazione di tsunami o maremoti, frane con innesco di fenomeni gravitativi superficiali, liquefazione delle sabbie con generazione di un alluvione. Il rischio di un’area è calcolato in base al rapporto fra 3 variabili: esposizione: è in funzione del numero degli individui insediati in un’area, degli insediamenti produttivi e della tipologia di tali insediamenti ; vulnerabilità: basata sulla tipologia del patrimonio edilizio; pericolosità: è il dato geologico statistico in base al quale in un’area si possono verificare terremoti di una determinata magnitudo. I dati sulla pericolosità sono limitati e relativi a periodi brevi. Per l’Europa c’è un catalogo dei terremoti aggiornato che si riferisce all’ultimo millennio, con dati quantitativi diretti riferiti solo agli ultimi decenni (per il resto del periodo si hanno solo dati indiretti). Vulnerabilità ed esposizione si riferiscono alle caratteristiche demografiche eproduttive dell’area sismica. A parità di pericolosità, l’esposizione e la vulnerabilità possono essere diverse, per cui la pericolosità è influenzata dagli altri due parametri. L’uomo non può intervenire per cambiare la pericolosità, mentre lo può fare per l’esposizione e la vulnerabilità. La previsione sismica si basa su due fattori: 1) lo studio statistico: numero di terremoti, intensità (dati usati per la costruzione dei cataloghi sismici impiegati per determinare la pericolosità); 2) modelli empiro-matematici: studio deterministico basato sull’analisi di parametri considerati come precursori di un terremoto. Ad esempio, prima della propagazione delle onde sismiche, si pensa che i gas profondi, non intrappolati in nessuna roccia o minerale, si infiltrano in tutte le zone di debolezza generatesi durante la creazione della frattura vera e propria, giungendo in superficie. Per cui si misura la quantità di alcuni di tali gas emessi dal suolo, quali l’anidride carbonica, l’elio (di origine mantellica, indicante quindi l’apertura di fratture molto profonde) o il radon (prodotto dal decadimento radioattivo dell’uranio). Registrare questi gas permette di monitorare l’apertura di fratture . E’ necessario però avere i valori di degassamento di un’area, ossia i valori di riferimento della quantità di gas emessi, in quantità minima, in condizioni normali . Purtroppo questi valori ancora non si hanno perché questa tecnica è stata adottata solo da pochi anni. Inoltre non si conosce ancora lo scarto di tempo fra l’aumento del degassamento e l’evento sismico. Anche il comportamento degli animali è usato come precursore in quanto essi sono in grado di registrare dei segnali acustici che sono più veloci delle onde P ed S. Fra gli altri precursori possono essere usati la variazione della resistività delle rocce o della temperatura delle acque delle sorgenti, poiché durante l’evento sismico si ha trasferimento di calore. Il monitoraggio si effettua, infatti, sulle sorgenti termali. Non sempre però ad un aumento della temperatura segue un terremoto, inoltre ancora non si conosce la soglia superata la quale si scatena un terremoto, così come non si conosce il tempo che intercorre fra l’aumento della temperatura e l’evento sismico.