Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 1 FRAZIONAMENTO CELLULARE – TECNICHE CENTRIFUGATIVE La centrifugazione è una tecnica separativa basata sulle differenze di densità e dimensioni tra le particelle componenti una miscela. L’equazione fondamentale che descrive la velocità di sedimentazione di una particella in sospensione, sottoposta ad una accelerazione centrifuga è la seguente: v 2 rP2 (P M ) 2r 9 ( f / f0 ) dove v = velocità terminale della particella rP = raggio della particella (P -M)= differenza tra la densità della particella (P) e quella del mezzo in cui è sospesa = velocità angolare della centrifuga (in radianti/secondo) r = distanza tra la particella e l’asse di rotazione = coefficiente di viscosità del mezzo (f / f0) = rapporto di attrito, cioè il rapporto tra il coefficiente di attrito f della particella ‘reale’ ed il coefficiente di attrito per una particella perfettamente sferica e non idratata, f 0. (In pratica, si tratta di un fattore di correzione che tiene conto della diversa forma e delle diverse caratteristiche superficiali delle particelle). Dall’equazione risulta evidente che la velocità della particella dipende essenzialmente dalle dimensioni (raggio al quadrato…) e dalla densità della particella stessa. Quindi, generalmente, particelle più grandi e più dense si muoveranno più rapidamente e raggiungeranno prima il fondo di un tubo da centrifuga. Poiché gli organelli in un omogenato cellulare hanno dimensioni, densità e forme diverse, sarà possibile separarli in base alla loro diversa velocità di sedimentazione. Questo tipo di separazione è routinario negli studi sugli organelli isolati – è mediante questo tipo di separazione che si stabilì che i mitocondri sono responsabili dell’intero ciclo di Krebs e che i ribosomi sono responsabili della sintesi proteica… Organello Nucleo Diametro (M) Densità (g/cm3) 5-10 1.40 1-2 1.18 1-2 1.13 0.02 1.61 Mitocondrio Lisosoma Ribosoma Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 2 CENTRIFUGHE: CARATTERISTICHE E TIPI In una centrifuga, la miscela da separare (l’omogenato) contenuto in appositi tubi o provette, è posto entro un rotore e fatto ruotare ad alta velocità. A causa della rotazione, le particelle nella miscela sono sottoposte ad un intensa accelerazione centrifuga, che può equivalere anche a molte migliaia di volte la accelerazione di gravità (indicata con g; quando l’accelerazione è espressa in g si parla anche di accelerazione centrifuga relativa o campo centrifugo relativo). Convenzionalmente le centrifughe si suddividono in Rotore Camera d’acciaio centrifughe da banco (come le microcentrifughe) e centrifughe da pavimento, più grandi e veloci. Queste ultime sono quelle che ci interessano maggiormente, perché possiedono l’elevata capacità di carico e raggiungono le alte accelerazioni richieste per un frazionamento cellulare. Un altro importante criterio di classificazione delle centrifughe si basa appunto sul campo centrifugo generato, cioè sulla velocità: esistono centrifughe a bassa, media, alta velocità ed ultracentrifughe. Le centrifughe tradizionali ad alta velocità possono raggiungere le 18,000-25,000 rpm (rotazioni per minuto), corrispondenti ad una accelerazione centrifuga massima di 40,000 - 60,000 g. Le ultracentrifughe più moderne raggiungere velocità Pompa Refrigeraancora superiori, fino a 100,000 rpm, sfiorando i a zione Motore 600,000 g. Date queste velocità, la camera entro cui vuoto il rotore si muove deve essere svuotata dall’aria e refrigerata per evitare che l’attrito dovuto alla rotazione riscaldi eccessivamente l’omogenato. La camera di centrifugazione è anche pesantemente corazzata, con lastre d’acciaio spesse 5 cm ed oltre, perché un rotore non perfettamente bilanciato potrebbe spezzarsi, con conseguenze disastrose. Microcentrifuga da tavolo (Beckman Instruments) Centrifuga (Beckman) Ultracentrifuga (Sorvall Products) Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 3 ROTORI PER LA CENTRIFUGAZIONE Rotori ad angolo fisso - hanno gli alloggiamenti per i tubi disposti circolarmente attorno all’asse di rotazione ad un certo angolo prefissato che varia in genere tra 20° e 40°. [I rotori verticali sono una variante della disposizione ad angolo fisso, con gli alloggiamenti disposti in verticale, parallelamente all’asse di rotazione (angolo 0°)]. Questi rotori sono i più adatti per la separazione frazionata (vedi oltre) perché, essendo la forza centrifuga applicata obliquamente, quando le particelle sono proiettate contro le pareti, scivolano verso il fondo con la formazione del pellet. Notate che la distanza delle particelle dall’asse di rotazione (e quindi l’accelerazione centrifuga a cui sono sottoposte) varia a seconda della posizione all’interno del tubo, tra rmin ed rmax. L’accelerazione centrifuga effettiva può variare di un fattore due tra cima e fondo del tubo, e quindi, ad es., la velocità di sedimentazione di un mitocondrio che si trovi in fondo al tubo sarà doppia rispetto alla velocità di sedimentazione di un mitocondrio che si trovi nella parte alta della provetta. Per convenzione, il campo centrifugo relativo viene calcolato usando il raggio di rotazione medio (rav) di un dato rotore. Coperchio del rotore (a tenuta d’aria) Coperchio del tubo da centrifuga Asse di rotazione Angolo: 20-40° Accelerazione centrifuga rmin rav rmax Rotori oscillanti o ad angolo mobile - i tubi sono alloggiati entro speciali porta-tubi in metallo, agganciati al corpo del rotore tramite due perni. A riposo, i porta-tubi rimangono in posizione orizzontale, ma quando il rotore inizia a girare, per effetto della accelerazione centrifuga, i porta-tubi ruotano sui perni verso l’esterno, disponendosi orizzontalmente. I rotori oscillanti consentono una formazione di bande di sedimento ben differenziate e di pellets più uniformi (perché le particelle non finiscono per ‘strisciare’ lungo la parete), ma hanno una inferiore capacità di carico ed una maggiore delicatezza rispetto ai rotori ad angolo fisso. Sono utilizzati per lo più per centrifugazione zonale in gradiente (vedi oltre). Accelerazione centrifuga Centrifugazione Porta-tubo di metallo Perno Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 4 CENTRIFUGAZIONE DIFFERENZIALE È detta anche sedimentazione frazionata. Dall’equazione vista in precedenza, si capisce che la velocità di sedimentazione delle particelle in sospensione dipende dalla loro dimensione e densità. In altre parole, se le particelle in una sospensione sono di forma simile, ma di dimensioni e/o di densità sensibilmente differenti, si muoveranno con velocità diverse ed impiegheranno quindi tempi diversi per raggiungere il fondo di un tubo da centrifuga e per formare il sedimento o pellet. Applicando l’accelerazione centrifuga per un tempo predeterminato, quindi, è in teoria possibile ottenere un pellet contenente solo le particelle più grosse e dense, ma non le altre, che invece rimarranno in sospensione formando il sovranatante. La centrifugazione differenziale è la tecnica più usata per il frazionamento cellulare, cioè per l’ottenimento di preparazioni quasi pure di organelli da sottoporre poi a studio. Ad esempio, centrifugando un omogenato cellulare per tempi relativamente brevi ed a velocità modeste sarà possibile ottenere la sedimentazione dei nuclei ma non degli altri organelli, che hanno densità e/o dimensioni minori e che rimarranno nel sovranatante. Il sovranatante può essere ulteriormente processato per ottenere altri tipi di particelle. Mediante l’applicazione ripetuta di questo procedimento, con l’aumento della velocità e del tempo di centrifugazione, si può ottenere la successiva sedimentazione di particelle sempre più piccole. SOVRANATANTE SOVRANATANTE SOVRANATANTE 1 2 3 25,000 g 10 min 100,000 g 60 min 300,000 g 120 min CITOSOL 600 g 10 min OMOGENATO (filtrato per rimuovere le cellule non lisate) PELLET 1 Nuclei PELLET 2 Mitocondri Cloroplasti Lisosomi Perossisomi PELLET 3 Microsomi Poliribosomi Frammenti di membrane Con questo tipo di sedimentazione é comunque difficile ottenere frazioni perfettamente omogenee. Infatti, poiché all’inizio tutte le particelle presenti nell’omogenato sono distribuite uniformemente nel tubo da centrifuga (compresa la zona vicina al fondo) il pellet finirà per contenere tutti i componenti dell’omogenato, anche se le particelle più dense saranno presenti in quantità maggiore. Di solito bisogna effettuare centrifugazioni ripetute del materiale così frazionato: risospendendo il pellet con solvente fresco e ricentrifugandola, si otterrà una purificazione ulteriore del materiale per lavaggio. In genere, i protocolli di purificazione degli organelli prevedono due o tre di queste tappe di ricentrifugazione del pellet. PELLET 3 Ribosomi Virus Grandi Macromolecole Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 5 CENTRIFUGAZIONE IN GRADIENTE DI DENSITÀ Densità È basata sul principio di separare le particelle senza depositarle sul fondo del tubo, così da eliminare i fenomeni di cosedimentazione. Il campione é depositato sopra un gradiente di densità, cioè su una soluzione (di solito contenente saccarosio, oppure CsCl) che aumenta in densità dall’alto verso il fondo del tubo. Campione Bassa Alta In pratica, si può creare un gradiente riempiendo il tubo con ‘strati’ successivi di soluzioni di glucosio a diverse concentrazioni. Il primo strato, depositato sul fondo della provetta, conterrà il glucosio a concentrazione (e densità) più alta. Gli strati successivi, aggiunti con cautela (per evitare rimescolamenti) con una pipetta (A), siringa (B) o pipetta pasteur (C), conterranno concentrazioni via via decrescenti. Un altro modo di formare il gradiente è quello di usare un apposito ‘gradientatore’, munito di due camere che sono riempite con soluzioni a densità diverse. Le due camere comunicano alla base tramite una valvola ( T nello schema) ma solo una delle due, detta camera di mescolamento, è provvista di un rubinetto e di un tubino per l’uscita del liquido. Nella tecnica detta di caricamento dal basso, la camera di mescolamento contiene la soluzione a bassa densità (B), l’altra contiene la soluzione a densità più alta (A). Le due camere vengono inizialmente riempite con quantità eguali (in peso, per garantire identiche pressioni idrostatiche) delle due soluzioni, si apre la valvola di collegamento e poi il rubinetto di uscita. Dal tubino, che tocca il fondo del tubo da centrifuga, uscirà inizialmente la soluzione meno densa. Pian piano, però, la soluzione ad alta densità, A, passerà nella camera di mescolamento per rimpiazzare il liquido uscito e si miscelerà con la soluzione B (la camera di mescolamento contiene un agitatore).Quindi, dal tubino di uscita fluirà una soluzione gradualmente sempre più densa, spostando verso l’alto del tubo da centrifuga la soluzione meno densa uscita in precedenza. Esiste anche una tecnica detta di caricamento dall’alto, in cui il liquido viene fatto uscire all’imboccatura del tubo da centrifuga (non sul fondo) e in cui la camera di mescolamento contiene la soluzione ad alta densità (A), mentre l’altra camera Gradientatore contiene la soluzione a densità più bassa. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 6 l gradiente di densità del mezzo di sospensione permette di separare le particelle principalmente secondo dimensione (centrifugazione zonale ) o secondo densità (centrifugazione isopicnica), disponendole lungo il tubo, in forma di bande, recuperabili singolarmente. Centrifugazione zonale di velocità Si utilizza un modesto gradiente di densità (ad es., un gradiente dal 5 al 20% di saccarosio) che serve principalmente a prevenire il rimescolamento delle particelle per movimenti convettivi della soluzione. Quando vengono fatte sedimentare attraverso questo gradiente diluito di saccarosio, i diversi componenti cellulari si separano in bande distinte, che poi possono essere raccolte separatamente – ad es., forando il fondo del tubo e raccogliendo, goccia a goccia diverse frazioni corrispondenti a diversi strati del tubo stesso. Campione CENTRIFUGAZIONE Gradiente diluito FRAZIONAMENTO Particelle piccole (lente) Particelle grandi (più veloci) Tubo forato alla base Raccoglitore automatico di frazioni Attenzione! La densità massima del gradiente (a livello del fondo) non supera quella delle particelle più dense che si intendono separare. Quindi, la durata della centrifugazione è cruciale: deve essere sufficiente per permettere la separazione degli organelli in bande, ma non deve essere troppo lunga per evitare che più bande sedimentino in un unico pellet! Centrifugazione isopicnica Separa, come detto, sulla base della densità, CENTRIFUGAZIONE Campion indipendentemente da forma e dimensioni. Si e utilizza un gradiente piuttosto ampio, che deve Particelle meno dense coprire l’intero intervallo di densità delle Gradiente particelle da separare (ad es., un gradiente dal Particelle più dense 20 al 70% di saccarosio). In altre parole, la densità maggiore del gradiente deve essere superiore a quella delle particelle più dense. Sottoposte all’accelerazione centrifuga, le particelle si muoveranno entro il gradiente fino a raggiungere lo ‘strato’ in cui la densità del mezzo corrisponderà esattamente a quella della particella. A quel punto, nella equazione data in precedenza, il fattore (P-M) sarà uguale a zero e la velocità della particella sarà nulla: la particella avrà raggiunto una posizione isopicnica (o di quasi-equilibrio) e in pratica non si muoverà più. Se centrifughiamo per un tempo sufficientemente lungo da consentire a tutte le particelle di raggiungere la loro posizione isopicnica, otterremo una serie di bande di cui quelle più vicine al fondo corrisponderanno alle specie più dense. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 7 Ad es., se sottoponessimo a centrifugazione isopicnica il pellet 2 ricavato per centrifugazione differenziale (vedi pag. 4) e contenente vari tipi di organelli, potremmo ottenere: Organelli 1.09 D e n s I t à 1.11 Lisosomi (1.13) 1.15 1.19 1.22 Mitocondri (1.18) 100,000 g 4 ore (all’equilibrio) Perossisomi (1.23) 1.25 (g/cm3) Al contrario di quanto visto per la tecnica zonale di velocità, qui il tempo di centrifugata non è un parametro critico, a patto che sia sufficientemente lungo da consentire di raggiungere il quasi-equilibrio (in questo senso, il tempo minimo di centrifugata dipenderà dalle dimensioni delle particelle da separare). Risorse Internet sulle tecniche centrifugative Per quelli di voi che volessero approfondire l’argomento delle tecniche centrifugative e che hanno accesso al World Wide Web: Sito Web Commento http://wilkes.edu/~terzaghi/BIO-226/lectures/18.html Un sito che descrive l’uso della centrifugazione nella separazione degli organelli. Dalla Wilkes University, Pennsylvania, USA. http://faculty.plattsburgh.edu/donald.slish/DiffCent.html Un sito didattico che descrive un esperimento centrifugazione differenziale. Curato dal prof. Donald Slish, della Plattsburgh State University (NY, USA) Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 8 FRAZIONAMENTO CELLULARE – USO DI MARKERS È possibile verificare l’identità e la purezza degli organelli isolati mediante le tecniche centrifugative descritte ricercando nelle diverse frazioni ottenute la presenza di composti od enzimi presenti selettivamente in determinati compartimenti cellulari: Organelli Sostanze marker Nuclei DNA/RNA Mitocondri Enzimi del ciclo di Krebs (succinato deidrogenasi); citocromo ossidasi Lisosomi Fosfatasi acida; altre idrolasi (proteasi, nucleasi, esterasi) attive a basso pH (4.8) Perossisomi Catalasi Microsomi Glucoso 6-fosfatasi Citosol Piruvato deidrogenasi Naturalmente, l’assunzione è che la localizzazione subcellulare di questi enzimi sia rigidamente predeterminata (cioè: la fosfatasi acida è solo nei lisosomi, il DNA è solo nel nucleo etc…). Siccome questo è solo approssimativamente vero, è generalmente utile seguire la purificazione degli organelli utilizzando più di un marker. In genere, per valutare l’andamento di una purificazione (di un organello, o anche solo di un enzima) è utile valutare il rapporto tra l’attività enzimatica di una data frazione ed il contenuto di proteina totale. 4 100 % attività glucoso 6-fosfatasi % proteina totale Pellet 3: L’attività specifica è aumentata di 3 volte rispetto all’ omogenato iniziale 50 Nel pellet 3, che è ricco di microsomi, il rapporto attività/proteina totale (attività specifica) è aumentato di tre volte rispetto al materiale di partenza, indice di una significativa purificazione dell’enzima stesso. 3 2 1 0 Om e og na t1 to pe lle pe t2 lle pe t3 lle t4 pe lle cit os ol 0 Rapporto attività/proteina A lato, in un esempio ipotetico, valutiamo l’attività della glucoso 6fosfatasi nelle diverse frazioni ottenute mediante sedimentazione frazionata (vedi pag. 4). Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 9 DETERMINAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE PROTEICA TOTALE Per la determinazione della concentrazione totale di proteina in una miscela sono disponibili molte tecniche, di cui qui vengono descritte solo le più comuni. Parecchi di questi metodi non forniscono un concentrazione assoluta ma relativa rispetto ad uno stock di proteina standard che viene usata per la preparazione di una retta di taratura (spesso, per il basso costo, la facile reperibilità etc. si utilizza come standard l’albumina da siero bovino, o BSA). Metodo del biureto – Il reagente chiave è una soluzione O fortemente alcalina di tartrato contenente solfato di rame(II) N H H N diluito. Quando la soluzione è aggiunta alla proteina, il rame O si può legare alle proteine, formando un complesso colorato R Cu 2+ R (si ritiene che tale complesso includa la coordinazione O contemporanea di 4 gruppi peptidici con un unico ione rame). N H H N Compare un colore viola-bruno (max=540 nm) che O ovviamente sarà proporzionale alla concentrazione totale dei legami peptidici e dunque di proteina. Il metodo è generale (anche se i residui di prolina non reagiscono…) e molto riproducibile. Purtroppo, la sensibilità è bassa: non consente in genere di misurare concentrazioni proteiche <1 mg/ml. Metodo di Lowry – Molto usato, soprattutto nel passato. La miscela da saggiare viene dapprima portata in ambiente alcalino (pH 10-10.5) e fatta reagire con citrato o tartrato di rame(II).Dopo un certo tempo (necessario probabilmente per consentire la complessazione del rame da parte delle proteine) si aggiunge la miscela di Folin-Ciocalteau, il cui componente attivo è rappresentato da una miscela di sodio molibdato, fosfato e tungstato. Con l’andare del tempo si sviluppa un colore scuro, che tende al blu in presenza di proteina (in assenza, il colore tende al marrone). L’intensità della colorazione blu (max prossima o superiore a 700 nm), sarà proporzionale alla concentrazione di proteina. Non è chiaro perché il colore blu si sviluppi, è possibile che gli acidi fosfomolibdotungstici formino dei complessi misti con rame e proteina. Poiché la presenza e quantità dei residui aromatici (in particolare, tirosinici) influenzano fortemente per lo sviluppo del colore, sembra più probabile che il meccanismo coinvolga una riduzione dello ione Cu 2+ a Cu+ da parte di questi residui, seguita da una reazione dello ione rameoso con gli acidi fosfomolibdotungstici. Svantaggi: richiede tempi di incubazione precisi; inoltre alcuni tamponi (come il MES) ed altre sostanze possono interferire; infine, poiché il contenuto in tirosine può influenzare la colorazione, le risposte al saggio possono variare abbastanza a seconda del tipo di proteine presenti. Metodo dell’acido bicinconico – È un saggio molto simile a quello di Lowry, con la differenza che il rame(II) anziché in associazione con il reagente di Folin-Ciocalteau si usa in associazione con l’acido bicinconico. Si ritiene che la riduzione dello ione Cu2+ a Cu+ sia qui seguita dall’associazione dello ione rameoso con l’acido, con formazione di un complesso che assorbe fortemente a 562 nm (colore viola-blu). Il saggio presenta la stessa variabilità da proteina a proteina già vista per il Lowry, ma è più riproducibile e un po’ più sensibile. ON O ON O Acido bicinconico Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 10 Determinazione della concentrazione proteica (continuazione) Metodo di Bradford – Si basa sull’interazione noncovalente di un colorante (il Coomassie Brilliant Blue R250) con le proteine. Il saggio viene N SO3effettuato a pH acido. Il colorante si lega primariamente ai residui basici ed aromatici, e la formazione di questi complessi determina uno spostamento del massimo di assorbimento del colorante da 465 a 595 nm, che può essere misurato spettrofotometricamente. Anche se diverse proteine possono dare risposte alquanto diverse in questo saggio, la sua semplicità ed elevata sensibilità (<0.1 mg/ml) fa sì che sia largamente usato. Il Coomassie Blue si usa anche per evidenziare le bande proteiche nella gel elettroforesi. N SO3- NH Coomassie Brilliant Blue R250 O Silver staining – Questa tecnica è usata normalmente per colorare proteine nella gel elettroforesi, nel caso sia richiesta una elevata sensibilità. Ne riparleremo più avanti. Assorbimento nel vicino UV – La presenza degli anelli aromatici di tirosina e triptofano fa sì che le proteine presentino un assorbimento di luce nel vicino ultravioletto, con massimo a circa 280 nm. Il coefficiente di estinzione molare varia ovviamente da proteina a proteina (dipende dal numero e dalla posizione degli amminoacidi aromatici), ma in genere può essere calcolato con buona approssimazione partendo dalla sequenza amminoacidica. Tenete presente che molte altre sostanze possono assorbire nel vicino ultravioletto, e quindi condizionare i risultati della misura; fra queste gli acidi nucleici, che però hanno un massimo di assorbimento a 260 nm. A volte, nelle prime fasi di purificazione di una proteina, può essere utile verificare il rapporto tra gli assorbimenti a 280 e 260 nm, per verificare se e quanto una data frazione di proteina sia contaminata da acidi nucleici. Peso secco. Mentre la maggior parte dei metodi visti sopra vanno benissimo per misure relative (ad es., per seguire l’aumento di attività specifica di un enzima durante la purificazione) quando si vogliano effettuare esperimenti chimici accurati con una proteina pura è necessario misurare direttamente il peso secco di un campione desalinizzato della proteina. La proteina viene dializzata estensivamente contro acqua distillata o contro un tampone volatile (ad es, carbonato d’ammonio) e poi disseccata sotto vuoto, a 50-100 °C in presenza di un agente disseccante (ad es., solfato di Ca) finché il peso non si stabilizza (=tutta l’acqua è stata rimossa). Analisi di Kjeldahl per l’azoto totale – In questo metodo ‘storico’ (ma tuttora usato in molti campi, ad es. nelle analisi degli alimenti) il campione viene digerito bollendolo in una soluzione di acido solforico concentrato e solfato di sodio. La digestione provoca una conversione completa dell’azoto organico in ammonio. Terminata la digestione, si aggiunge un eccesso di NaOH per consentire la liberazione di ammoniaca, che viene rimossa per distillazione, raccolta in acido borico e finalmente titolata con HCl. Il metodo è preciso e riproducibile ma molto indaginoso (anche se oggi può essere automatizzato). Soprattutto, il metodo non distingue tra azoto proteico ed azoto proveniente da altre molecole biologiche (ad es. le basi del DNA). Infine, anche se in genere si assume che gli atomi di azoto contribuiscano per circa il 16% alla massa totale delle proteine, è chiaro che in proteine diverse questa proporzione potrà cambiare anche sensibilmente. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 2 11 Ultracentrifugazione analitica. È appunto una tecnica analitica, non preparativa. Le ultracentrifughe analitiche, rispetto alle ultracentrifughe normali, contengono un rotore speciale e sono dotate di un sistema ottico che permette di osservare il materiale biologico mentre sedimenta. Nel rotore prendono posto due celle, la cella analitica e la cella di bilanciamento, che serve a controbilanciare quella analitica. Nella cella di bilanciamento esistono due fori a distanza calibrata dall'asse di rotazione che servono come riferimento per la distanza percorsa dalle particelle nella cella analitica. Le celle analitiche hanno anche i piani superiore ed inferiore trasparenti in quarzo o in zaffiro sintetico. La camera del rotore possiede due lenti, una superiore ed una inferiore, la prima delle quali, insieme alla lente dell'apparecchiatura, serve per la messa a fuoco della luce su una lastra fotografica, mentre la seconda collima il fascio luminoso su una cella analitica in modo che vi arrivi un raggio di luce a fasci paralleli. L'andamento della sedimentazione viene seguito mediante l'assorbimento nell'ultravioletto o mediante le variazioni dell'indice di rifrazione, utilizzando il sistema ottico Schlieren o il sistema interferometrico Rayleigh. Il sistema ottico Schlieren sfrutta il principio secondo cui la luce viene deviata quando passa attraverso una soluzione con zone a densità diversa e viene rifratta nel punto di demarcazione tra queste zone. Il sistema ottico registra variazioni dell'indice di rifrazione della soluzione e tali variazioni corrispondono a zone a diversa concentrazione. Nel caso di materiale che sedimenta in una cella analitica, si viene a formare una linea di confine tra il solvente, deprivato della componente particolata, e il resto della soluzione contenente il materiale che sedimenta. Il fronte che si forma si comporta come una lente di rifrazione, dando luogo alla formazione su un picco sulla lastra fotografica, usata come sistema di rivelazione. Misurando l'area del picco si può calcolare la concentrazione della particella. Man mano che la sedimentazione procede, l'insieme di particelle, e quindi il picco, si spostano, per cui la misura della velocità di spostamento del picco, costituisce la velocità alla quale il materiale sta sedimentando. Nel corso della sedimentazione l'altezza del picco diminuisce, mentre, a causa del fenomeno della diffusione del campione, la larghezza aumenta. Tuttavia, l'area del picco rimane costante. Il sistema ottico Schlieren fornisce una rappresentazione grafica dell'indice di rifrazione in funzione della distanza nella cella analitica che risulta molto utile per la localizzazione del fronte nelle misurazioni di velocità di sedimentazione. (Figura 4.4 - Rappresentazione schematica di una ultracentrifuga analitica)