PARTE PRIMA LA NULLITA’ DELLE SOCIETA’ PER AZIONI EX ART. 2332 DEL CODICE CIVILE CAPITOLO I LA NULLITÁ DELLA SOCIETÀ PER AZIONI: RICOSTRUZIONE STORICO-EVOLUTIVA. DAL CODICE DI COMMERCIO NAPOLEONICO AL CODICE CIVILE ITALIANO DEL 1942 2 1. Premessa. La Novella del 1969, modificando la disciplina della nullità dell’atto costitutivo delle società di capitali contenuta nel codice civile, ha reso di attualità lo studio di un tema al quale la dottrina ha solo di recente dedicato attenzione. Unico punto largamente ricevuto in dottrina e in giurisprudenza è che la normativa contenuta nell’art. 2332 c.c. sia diretta a tutelare, fondamentalmente, l’interesse dei terzi. Non è mancata, per la verità, qualche voce discorde, ma quasi sempre si è trattato di intuizioni fugaci, non sorrette da adeguati svolgimenti. Il tema dell’individuazione della ratio dell'art. 2332 c.c, è così stimolante e di tale importanza per lo studio della nullità della società che la sua trattazione risulta necessariamente pregiudiziale all'esame della disciplina e tale da orientare l'interprete nella soluzione di tutta una serie di problemi. Così per esempio, se si rinviene il fondamento materiale della norma nella tutela dei terzi rimane, pur sempre da valutare quali siano le conseguenze della nullità nei rapporti tra i soci, una volta che le esigenze di tutela dei terzi siano state realizzate, attraverso la salvaguardia degli atti giuridici posti in essere medio tempore tra società e terzi. Se, viceversa, il fondamento materiale della norma si basa sulla tutela della società è chiaro che non può porsi una distinzione tra rapporti esterni ed interni e che la dichiarazione di nullità opera egualmente anche nei rapporti tra i soci. Reagendo così alla forza della tradizione, è stato ritenuto che, di fronte alla normativa della «nullità» della società contenuta nel codice civile, il primo dovere dell'interprete del diritto vivente sia quello di dare una risposta agli interrogativi che 3 l'attuale realtà socio-economica sollecita: quale ruolo e quale portata la normativa sulla nullità assolve nell'attuale fase del capitalismo moderno? Quale il fondamento materiale e la funzione della norma, oggi? A tutela di quali interessi la normativa dell'art. 2332 c.c. è stata introdotta nel codice civile e quali reali interessi essa protegge oggi? La risposta a tali quesiti non è agevole, ma ad orientare l'interprete può essere d'aiuto un'indagine che è a monte di quella proposta: trattasi di ricercare quale sarebbe la disciplina applicabile ove nel codice civile non esistesse una espressa normativa a riguardo. La risposta a tale ultimo quesito non può essere meramente logica, ma importa, di necessità, una indagine storica ed estesa anche verso altri ordinamenti giuridici (si analizzerà la disciplina dell’istituto in esame nell’ambito dell’ordinamento giuridico inglese). Infatti sono esistiti storicamente ordinamenti che non contemplavano alcuna disciplina delle società nulle. Trattasi, allora, di analizzare tali ordinamenti giuridici per capire il significato e la portata della innovazione legislativa del codice del '42, attraverso il raffronto con il regime previgente. L'indagine si presenta quanto mai interessante perché consente di scoprire la effettiva gamma di interessi che in passato ricevevano tutela, in via d'interpretazione del sistema dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nonché consente di comprendere le scelte di politica legislativa compiute dal legislatore del '42 e, in breve, il ruolo e la effettiva portata sostanziale della innovazione legislativa contenuta nel codice civile. 4 Infine l'emanazione da parte della Comunità europea della Direttiva n. 151 pone all'interprete il compito di analizzare la effettiva portata materiale della disciplina comunitaria, che, come è noto, ha comportato la modifica della originaria disciplina contenuta nel codice civile. 2. L’evoluzione della nullità nell’esperienza giuridica privatistica. Prima di analizzare, nel dettaglio, la disciplina della nullità delle società ex art. 2332 c.c., pare opportuno procedere ad una sommaria ricostruzione storicoevolutiva dell’istituto della nullità negoziale in ambito privatistico. Pochi concetti generali possono vantare nella scienza giuridica l’importanza che la categoria della nullità ha assunto, sia per la sua funzione pratica sia per i suoi risvolti teorici. Proprio questi ultimi, soprattutto, hanno finito per prendere la mano ai giuristi e per condizionare la soluzione dei molteplici problemi che il fenomeno ha sollevato, e solleva ancora oggi, anche se altresì le esigenze dei rapporti sociali, avvertite di volta in volta nei diversi rami del diritto (quale quello societario, per ciò che interessa in questa sede), hanno fatto valere il loro peso nella determinazione del concetto di nullità. La figura, almeno nella sua attuale accezione, era praticamente sconosciuta ai giuristi romani, che hanno adoperato il termine non in senso univoco e differenziato rispetto agli altri fenomeni della patologia negoziale. A tal proposito, si potrebbe perfino affermare che la storia del concetto non pare 5 assumere importanza né alcun significato di rilievo, e si può fare risalire un primo tentativo di fondazione sistematica del concetto alla elaborazione della Pandettistica1, nell’ambito dei più vasti studi condotti in tema di negozio giuridico. La dottrina, sulla base del brocardo quod nullum est nullum producit effectum, ha ricostruito il concetto di nullità partendo dal concetto di inefficacia e distinguendo, all’interno di tale categoria, due ipotesi: una inefficacia in senso lato, come mera assenza di effetti giuridici; e una inefficacia in senso stretto, come assenza di effetti di una fattispecie giuridicamente rilevante. La nullità era contrapposta a quest’ultimo tipo di inefficacia (in senso stretto) e designava la mancanza di effetti di una fattispecie giuridicamente irrilevante 2. In particolare, nella nullità la mancanza di effetti risaliva al momento preliminare della irrilevanza; nella inefficacia in senso stretto dipendeva da un momento successivo diverso. In realtà però al rigore logico della distinzione non ha mai fatto concreto riscontro una altrettanto netta differenziazione sostanziale: infatti all’inefficacia in senso stretto si sono via via riportate fattispecie considerate in genere nulle3. In particolare, nell’ambito dei giuristi italiani, V. SOLON, Trattato delle nullità delle convenzioni e degli atti in materia civile, Napoli, 1840; A. SCIALOJA, Nullità ed inefficacia, in Saggi di vario diritto, I, Roma, 1927; E. GROSSI, Nullità dei negozi giuridici, Genova, 1916; G. DI PAOLA, Contributi ad una teoria della invalidità e della inefficacia in diritto romano, Milano, 1966. 2 M. FERRARA SANTAMARIA, Inefficacia e inopponibilità, Napoli, 1939. 3 Enciclopedia del diritto Treccani, Nullità (diritto privato), XXV, 2000, p. 867 ss. 1 6 A prescindere dal rapporto nullità/inefficacia, la qualificazione di nullità costituisce certamente una aporia in quanto traduce un giudizio di non valore: cioè, si va ad affrontare un problema le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione che il concetto stesso esprime. A tal proposito si sostiene la teoria della “caratterizzazione della nullità come inqualificazione, partendo dal presupposto che il principio della nullità sotto il profilo della disciplina non può che presentare una intima coerenza, pena, in caso opposto, l’impossibilità di dar vita al concetto stesso, a motivo della intrinseca contraddittorietà”4. Sul tema, eloquente è l’espressione: “ l’atto nullo non esiste pel diritto, di fatto esso esiste. È un corpo senza anima; ma non per questo è meno un corpo”5. È ovvio infatti che, in qualsiasi ambito giuridico, non si potrà mai, mediante la dichiarazione di nullità, eliminare del tutto gli effetti e le conseguenze di un atto. Di fatto le conseguenze di quell’atto ormai si sono prodotte. Appare chiaro come i dibattiti della scienza giuridica risultano molto spesso imperniati su formulazioni legate piuttosto a scelte di metodo e risultano altresì influenzate dal significato che i termini “nullità”, “nullo”, ecc… hanno nel linguaggio comune, senza tenere conto del significato tecnico che essi assumono nel linguaggio giuridico. In tal senso i termini della definizione sono F. GAZZONI, L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974, p. 21. B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, trad. it. a cura di FADDA e BENSA, I, Torino, 1902, p. 265. 4 5 7 incerti e non consentono soluzioni univoche. Viene anzitutto postulata una fattispecie priva di elementi costitutivi essenziali o con elementi viziati6. Ma in questa direzione non si riesce a caratterizzare il fenomeno. Anche l’annullabilità presuppone una fattispecie difettosa e sotto questo profilo trova giustificazione la sua collocazione all’interno della invalidità. Né è soluzione sempre agevole ricorrere ad un criterio quantitativo, di maggiore o minore gravità del vizio: l’utilizzabilità di tale criterio presuppone formule oggettive e certe di graduazione o quanto meno scelte e indicazioni precise, che non esistono, tanto che uno stesso vizio è considerato dalla legge ora più grave ora meno grave, ora causa di nullità ora causa di annullabilità. Che in ultima analisi sia necessario richiamarsi ai testi di legge per decidere dove c’è nullità e dove annullabilità, è fuor di dubbio. Ma è anche vero che assai spesso il richiamo della legge è incapace di offrire soluzioni sicure, non fosse altro per l’impiego che i testi fanno di una terminologia ambigua ed imprecisa. Si pensi proprio alla disciplina dell’invalidità delle delibere assembleari. L’assetto normativo ne è stato continuamente stravolto sia dalla giurisprudenza che dallo stesso legislatore attraverso l’introduzione di nuove patologie, quale quella dell’inesistenza, o anche attraverso drastiche riduzioni dei casi di nullità o mediante l’introduzione di concetti quale quello di nullità virtuale. 6 E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, III, in Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1960, p. 475. 8 Per questo è indispensabile valutare il significato che il legislatore attribuisce alla voce nullità, nei vari contesti giuridici, nel quadro delle ipotesi di difformità tra fattispecie e schema legale. Significato che certamente si ricava considerando gli interessi che la difformità colpisce nel quadro dei valori del sistema. Ad ogni modo, il punto di partenza per affrontare il discorso in esame è la constatazione che la nullità, almeno quale nullità negoziale, gioca il suo ruolo nel processo di attuazione degli interessi umani 7. Considerato che questo processo è logicamente scomponibile in due fasi – una costituita dal sorgere (direi continuo) di nuovi interessi che pretendono di essere realizzati giuridicamente, l’altra in cui si svolge, nel mondo giuridico, il mutamento idoneo a realizzare questi interessi – ebbene risulta chiaro che la legge ha di fronte a sé un’alternativa: assecondare giuridicamente e normativamente la realizzazione di tali interessi ovvero ostacolarla. L’adozione dell’una o dell’altra alternativa evidentemente è funzionale alla conformità/difformità dei nuovi interessi rispetto agli interessi generali della comunità. In tal senso la nullità può essere ben intesa come uno strumento di controllo normativo che può essere utilizzato per non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema. Il significato giuridico della nullità può dunque ricavarsi dalla funzione complessiva svolta 7 A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, I, Il concetto del diritto, Milano, 1975, p. 226 ss. 9 dall’ordinamento in sede di realizzazione dei valori fondamentali del sistema giuridico. 3. (Segue): Tra nullità e annullabilità: la nullità relativa. Nel codice del ‘42, si è affermata una concezione puramente binaria dell’invalidità, incentrata sulla contrapposizione tra nullità e annullamento. La circostanza che la prima incide in maniera più radicale che non la seconda sull’efficacia del contratto, legittima la deduzione che essa consegue quando il vizio che inficia il contratto risulti più grave8. Spetta al legislatore valutare la gravità del vizio e graduare la risposta, sicché l’individuazione dei casi nei quali l’invalidità si atteggia come nullità e di quelli nei quali si atteggia come annullabilità non può essere operata alla stregua di criteri logici ma con esclusivo riferimento al diritto positivo9. Dopo l’entrata in vigore del codice del ‘42, la dottrina italiana, come detto, era concorde sul fatto che le cause di nullità incidono su interessi generali, e che pertanto la nullità debba operare di diritto, ossia a prescindere dalla volontà dei singoli che eventualmente ne siano colpiti; mentre dalla natura della invalidità concessa nell’interesse di soggetti determinati, si fa derivare la necessità che vi 8 A. CATAUDELLA, I contratti, Torino, 2000, 256. A. FEDELE, La invalidità del negozio giuridico del diritto privato, Torino, 1943, 75 ss., ha criticato l’orientamento dottrinale che collega la nullità alla mancanza della fattispecie negoziale per difetto di un elemento essenziale, ma tende anch’egli a ricondurre ad unità concettuale le ipotesi di nullità, che riporta tutte all’impossibilità di far rientrare la fattispecie nello schema legale del contratto. 9 10 sia una iniziativa degli interessati, volta a privare il negozio invalido della propria efficacia10. Ricorda Sacco che il codice del 1865 non conosceva una categoria chiara e netta di atto annullabile contrapposto all’atto nullo. Il sistema codicistico delle nullità appariva troppo grezzo perché la dottrina non fosse portata ad elaborarlo11. Gli autori legati alle scuole francesi dell’epoca costruirono la distinzione fondamentale tra nullità assoluta (deducibile da entrambe le parti) e relativa (deducibile da una parte soltanto). Più tardi, essendosi importato in Italia il bagaglio delle categorie elaborate dalla pandettistica germanica, ecco che sul codice a modello napoleonico fu elaborata una concezione dottrinale che gli era straniera: la riduzione delle varie invalidità alla nullità operante ipso iure, e alla annullabilità, che schiude le porte ad un potere del legittimato di mettere nel nulla gli effetti dell’atto 12. È lo stesso legislatore che detta discipline distinte e fonda così la differenza tra nullità e annullabilità13. Mentre gli studiosi francesi e in parte anche quelli tedeschi hanno valutato singole ipotesi di invalidità determinando un’inefficacia graduata, l’ispirazione pandettistica ha fatto scorrere in Italia fiumi di inchiostro su concetti astratti e 10 R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 879. R. SACCO, Il contratto, II, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 1993, 512. 12 I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, Milano, 1998, 18. 13 F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 1999, 42. 11 11 generali, nell’esame dei rapporti e delle differenze ontologiche tra nullità e annullabilità. Si è osservato che le differenze classiche tra nullità e annullabilità sono almeno dieci: 1) anzitutto l’una è testuale e virtuale e l’altra solo testuale; 2) la nullità opera di diritto, mentre l’annullabilità deve essere dichiarata dal giudice; 3) l’atto nullo non è soggetto a convalida, l’atto annullabile può essere convalidato; 4) la nullità ha efficacia verso i terzi, l’annullabilità dell’atto invece è inopponibile ai terzi che abbiano acquistato in buona fede e a titolo oneroso; 5) l’azione di nullità è imprescrittibile; l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni; 6) chiunque vi abbia interesse può rilevare la nullità, l’annullabilità invece, può essere rilevata solo dalla parte nel cui interesse è stabilita: cosicché, se la prima può essere rilevata dal giudice, la seconda no; 7) la sentenza poi è dichiarativa per la nullità, costitutiva per l’annullabilità14; 8) la nullità può essere pacifica tra le parti, che non pretendano l’esecuzione del contratto, però può anche accadere che la sua apparente esistenza sia fonte di contestazione, per cui ci può essere l’interesse a farne accertare l’invalidità definitivamente o con l’azione di nullità o con l’eccezione 15; 9) Il contratto nullo è generalmente lesivo di interessi generali; è interesse generale che i suoi effetti vengano annientati; con la nullità l’ordinamento sanziona l’offesa (diretta o indiretta) a interessi della collettività, con l’annullabilità il 14 G. GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. e impr., Padova, 1999, 1336. 15 V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 2001, 841. 12 pregiudizio a interessi privati; 10) il contratto nullo contrasta con valori fondamentali dell’ordinamento, il contratto annullabile inficia l’interesse del contraente incapace, caduto o indotto in errore o vittima dell’altrui violenza morale16. Il legislatore reputa opportuno, in caso di contratto nullo moltiplicare le chances di giungere a tale annientamento, e ciò si realizza, allargando la cerchia di coloro che possono prenderne l’iniziativa 17. Questi devono avere non un mero interesse di fatto, ma un interesse qualificato, che si configura solo quando chi agisce prospetti la titolarità di una posizione giuridicamente tutelata, ed un pregiudizio che per la stessa discenda dall’incertezza provocata dalla presenza di un contratto la cui nullità non sia stata giudizialmente accertata e dichiarata18. L’ambito dei legittimati all’azione di nullità è dunque ben lontano dall’avere quell’ampiezza indeterminata che il richiamo all’assolutezza della nullità potrebbe indurre a ritenere e, secondo un’autorevole opinione, sarebbe più opportuno parlare di “relatività non rigidamente predeterminata”, piuttosto che di assolutezza19. 16 F. DI MARZIO, op. cit., 42. V. ROPPO, op. cit., 245. 18 G. GIOIA, op. cit., 1333, “si richiede la sussistenza di un interesse ad agire, secondo le norme generali e con riferimento all'art.100 c.p.c., attraverso la dimostrazione della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica”. 19 A. CATAUDELLA, op. cit., 264. 17 13 A differenza del negozio nullo, quello annullabile non è un negozio nato morto. Esso produce in via provvisoria i suoi effetti (cosiddetta efficacia interinale o precaria), e questi divengono definitivi, solo nel caso di mancata impugnativa nei termini di legge20. In questo caso, il contrasto con l’ordinamento è meno profondo: c’è stata inosservanza di regole che, pur dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere alcuni soggetti che si trovino in una posizione menomata a causa delle loro condizioni o della loro posizione individuale21. L’annullabilità proprio di fronte al nuovo codice cessa di essere una categoria omogenea. Intanto esistono sicuramente figure di annullabilità assoluta. Esistono domande di annullamento non soggette a prescrizione, si ammettono figure di annullabilità insanabili e di nullità sanabili. Quando emergono figure meno lineari di invalidità, la contrapposizione fra nullità e annullabilità viene fatalmente messa in crisi 22. Sempre più spesso il legislatore introduce la sanzione della nullità a tutela di interessi non generali, ma particolari, riferibili non alla collettività ma a sottogruppi di consociati, animati da interessi che al massimo sono di categoria23. A causa della “crisi” in cui finisce per incorrere la contrapposizione netta tra nullità e annullabilità, il giurista si trova a dover disciogliere le due categorie 20 P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 577. A. CATAUDELLA, op. cit., 258. 22 F. DI MARZIO, op. cit., 43. 23 G. PASSAGNOLI, Le nullità speciali, Milano, 1995, 49. 21 14 in tante figure minori. Si è presentata, così, la necessità di un ripensamento critico delle categorie generali; si fanno emergere numerose figure di nullità speciali, che si connotano per la peculiarità della propria ratio, intesa come esigenza di tutela di determinate categorie di soggetti in situazioni di squilibrio rispetto all’altra parte del rapporto24. Secondo un’opinione, vi è più di una valida ragione che induce a rimettere in discussione la concezione tradizionale, che incentrava il sistema dell’invalidità sulla rigida contrapposizione fin qui messa in evidenza, dal momento che essa non appare più in grado di dare conto della varietà positiva: il risultato dello sforzo di rielaborare lo statuto della nullità, alla luce degli statuti speciali, si traduce così nella testimonianza di un’evoluzione intervenuta nell’ordinamento giuridico dell’invalidità, che ha dato luogo a particolari forme di tutela per determinate categorie di rapporti, con conseguente necessità di una revisione dei caratteri dell’atto invalido e dell’azione con cui si fa valere quell’invalidità25. La dottrina più recente si muove nella direzione di un superamento dei dogmi che dominano l’invalidità nella concezione tradizionale, e mira a scardinare la configurazione rigidamente bipolare. L’emergere delle figure particolari, ormai entrate a far parte del sistema, dà l’impressione di un ordinamento in grado di evolversi in virtù di una modifica che proviene dal suo interno. 24 25 I. PAGNI, op. cit., 30. G. PASSAGNOLI, op. cit., 3. 15 Oggi, quando le caratteristiche della prescrittibilità, della sanabilità del vizio, o la relatività dell’azione non compaiano tutte insieme nell’ipotesi di invalidità prevista dalla legge, non si riesce ad indicare se l’atto sia annullabile o nullo 26. Per queste ragioni, il giurista non è in grado di affermare che esiste una differenza ontologica tra il contratto nullo e il contratto annullabile. Tutto ciò, porta a procedere in un’unica direzione, quella di sottoporre a verifica tutto ciò che fino a poco tempo fa era motivo di certezza: stante l'equivocità di una distinzione tra i vizi dell’atto in base alla loro gravità, la stessa idea che il negozio annullabile possa modificare la situazione giuridica preesistente, mentre quello nullo, in quanto privo degli elementi essenziali del tipo legale, sarebbe inidoneo a dar vita ad una nuova situazione giuridica, non può essere accolta quale premessa indiscussa di tutto il sistema delle invalidità. Nella nuova visione del diritto sostanziale, si dovrebbe tentare di sostituire agli schemi dogmatici tradizionali, che sopravvalutano l’importanza della contrapposizione tra nullità e annullabilità, una visione unitaria dei due fenomeni, che non sono altro che due species di un genere unico27. Gran parte degli interpreti è convinta che l’invalidità sia retta ancora oggi dai principi pacifici e sicuri fin qui descritti; non a caso, del resto, nelle opere 26 27 I. PAGNI, op. cit., 31. I. PAGNI, op. cit., 34. 16 manualistiche, la nullità e l’annullabilità si trovano descritti ancora secondo schemi tradizionali28. Il concetto della nullità tramandato dalle costruzioni della Pandettistica, è talmente radicato nella coscienza degli studiosi da essere difeso anche in contrasto con le indicazioni positive29. Andando ad esaminare con attenzione la dicotomia tra le due forme di invalidità, emerge nella più recente disciplina una continua creazione di figure che presentano deviazioni rispetto ai modelli di riferimento tradizionali 30. Nullità e annullabilità, al di là dell’inadeguatezza della suddivisione, non sono in grado di far fronte a tutte le ipotesi di patologia contrattuale, di carattere genetico, per cui, ogni tanto e oggi più che mai, fa capolino il tertium genus della nullità relativa31.È una figura molto controversa in dottrina. Essa si giustifica generalmente per il fatto che è posta a tutela di una sola delle parti del contratto e, in assenza di indicazioni di legge, e di fronte ad ipotesi di carattere protettivo, la legittimazione a far valere il vizio compete solo al soggetto protetto nel cui interesse essa è posta32. È proprio la categoria della nullità relativa ad aver messo in crisi l’equilibrio dicotomico ispirato alla Pandettistica germanica del secolo scorso, trattandosi di una figura che si 28 P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1996, 27ss.. R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, 337, sottolinea che questa costruzione non tiene conto della realtà giuridica ma esclusivamente della logica formale. 30 I. PAGNI, op. cit., 631. 31 G. GIOIA, op. cit., 1336. 32 V. BONFIGLIO MARICONDA, L’azione di nullità nei contratti in generale, in Giur. sist. dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, IV, t. 1, Torino, 1991, 463 ss. 29 17 colloca a metà strada tra esse, coniugando il carattere assoluto della prima con la relatività della seconda. La nullità si trova a dover svolgere una differente funzione rispetto a quella tradizionalmente riconosciutale, graduata nel proprio fondamento e differenziata quanto alla disciplina volta a volta applicabile 33. L’interprete dovrà tener conto dell’emergere, in sede dottrinale e giurisprudenziale, di un nuovo concetto di nullità come sanzione non più legata al solo interesse pubblico, astratto, se non persino contrapposto rispetto a quello dei contraenti34. È un’intuizione antica quella di una possibile pluralità di fondamenti della nullità: già Bartolo da Sassoferrato distingueva, traendone corollari proprio riguardo alla disciplina applicabile, ben dieci diverse categorie di nullità, a seconda del diverso motivo sul quale esse riposavano. La nullità cessa di essere esclusivamente uno strumento di tutela in quanto tale, per divenire, al contempo, strumento sanzionatorio per una delle parti, e di protezione per la controparte più debole35. Ne è conseguita una revisione della legittimazione a far valere la nullità e il rilievo è stato che non ha più ragione d’essere la nullità sanzionatoria del comportamento di entrambe le parti, in nome di un astratto ordine pubblico, o di una norma imperativa 36. Il 33 R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. dir. civ., diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1972, 564. 34 G. FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, 82. 35 G. GIOIA, op. cit., 1338. 36 A. GUARNERI, voce Ordine pubblico, in Dig. disc. priv. sez. civ., Torino, 1995, XIII, 154. 18 rinnovato sistema si estrinseca in un “ordine pubblico di protezione”, alla cui attuazione meglio risponde il concetto di nullità relativa37. L’evoluzione del concetto di ordine pubblico, riconosce nuovi interessi – sulla base di norme costituzionali e fonti comunitarie – che vanno a costituire nuove esigenze della società38. Nasce una società divisa in classi, o in gruppi di classi contrattuali, alcune di esse più deboli rispetto ad altre39. Assicurare una protezione differenziata, più intensa, ai cd. nuovi status in considerazione della loro debolezza economica e contrattuale rispetto a controparti più forti e più agguerrite, non è solo un compito istituzionale dell’ordinamento, che si prefigge di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo, ma un mezzo per raggiungere equilibri economici all’interno del mercato40. Si vuole garantire una sostanziale parità di trattamento41. Le posizioni contrattuali delle parti, poste su piani differenti, sono disciplinate in modo differenziato, perché il legislatore tende a controbilanciare l’eccessivo squilibrio contrattuale, tenendo in gran considerazione il contraente che agisca per scopi di consumo, e quindi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta 42. 37 V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 1981, 164. L. LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, 375. 39 G. GIOIA, op. cit., 1339. 40 V. ROPPO, Il controllo sugli atti di autonomia privata, in Riv. crit. dir. priv.,1985, 485. 41 R. SACCO, L’autonomia contrattuale, in SACCO e DE NOVA, Il contratto, II, Torino, 1994, 108. 42 F. GALGANO, Della nullità del contratto, in Comm. cod. civ., Scialoja - Branca, a cura di Galgano, Bologna – Roma, 1998, 110. 38 19 Le leggi di protezione intendono ristabilire l’equilibrio economico; le norme che si preoccupano di sanzionare i comportamenti che comportino squilibrio sono sempre più numerose e variegate, ponendo in difficoltà l’interprete che si trova di fronte a nuove nullità virtuali43. Il sistema della nullità relativa, che le leggi vanno via via delineando, a metà del guado tra nullità e annullabilità, permette di attuare le finalità della legge. Ne sono un esempio le nuove leggi a tutela dei consumatori: a proposito dei contratti in generale e dei contratti bancari, la legge ha introdotto nuove figure di nullità caratterizzate dall’azionabilità ridotta: solo dall’interessato e dal giudice d’ufficio (art.1469 quinquies, 3° comma, c.c.), oppure esclusivamente dall’interessato (art.127, 2° comma, d.lgs. 1.9.93, n.385)44. La nullità relativa è a tutela di interessi anche particolari; il legislatore gradua la disciplina per evitare danni al contraente debole. Ma questo non significa che non sia in gioco l’interesse generale. Credere che l’interesse del consumatore sia qualcosa di diverso dall’interesse generale; credere che non risponda all’interesse generale fornire tutela alla parte debole che contratta, è errato45. La stessa Carta Costituzionale impone certe forme di tutela (art. 2, 3, 41 Cost.). Tutto questo è interesse generale (della generalità dei consociati), o se si 43 G. GIOIA, op. cit., 1340. S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, 30. 45 F. DI MARZIO, op. cit.,45. 44 20 preferisce collettivo. A esso si affianca un interesse particolare: del singolo contraente che gode della tutela46. Un contratto sottoposto a nullità relativa è comunque contrario a norme imperative e all’ordine pubblico, per cui oltre l’interesse della parte a far valere la nullità, vi è quello dell’ordinamento a eliminare un contratto contrario alle sue stesse regole. Tuttavia, l’attività ermeneutica non può individuare, come baricentro, l’attuazione di un ordinamento astratto, ma deve prendere le mosse dal concreto interesse della parte protetta47. La nullità assoluta non è in grado di soddisfare le esigenze di protezione di un reale equilibrio contrattuale. Le norme imperative individuano, di volta in volta, le clausole invalide che vanno espunte dal contratto. Le norme di protezione sanzionano le singole clausole, per lo più con la nullità, più raramente con l’inefficacia (art.1469 quinquies 3° comma c.c.) e spesso la sostituiscono con l’obiettivo di conservare il contratto a favore del contraente debole48. La conservazione del contratto favorisce i traffici e, quindi, il mercato, ma perché giovi ai consumatori occorre che ci siano aggiustamenti della posizione ritenuta deteriore. Il contratto originariamente nullo, ma la cui nullità non sia stata eccepita dalla parte legittimata in via esclusiva, viene convalidato dal giudice, con una 46 F. DI MARZIO, op. cit., 46. G. GIOIA, op. cit.,1341. 48 A. GENOVESE, voce Condizioni generali del contratto, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 802. 47 21 sentenza che non ha senso definire dichiarativa, perché ha tutti gli elementi della sentenza costitutiva, in quanto stabilisce una volta per tutte la prosecuzione del rapporto. Le ipotesi che si possono presentare al vaglio del giudice sono molteplici. Potrebbe considerare, nell’interesse del contraente debole di rilevare d’ufficio la nullità del contratto. Potrebbe valutare pregnante l’interesse del contraente protetto alla prosecuzione del rapporto, non facendo valere la nullità d’ufficio. Potrebbe, infine, adoperarsi sulla base delle finalità della norma per rendere il contratto più rispondente alle esigenze della parte tutelata, anche in assenza di domanda, senza quindi rilevare la nullità, ma con operazioni di “ortopedia giuridica” andando a sostituire clausole viziate con clausole valide. Regole di mercato protettive impongono che la nullità operi in modo da consentire il più possibile la prosecuzione del rapporto. La legittimazione relativa a far valere l’invalidità, lascia arbitro la parte più debole di mantenere in vita o meno il contratto. Accanto a questa tecnica, ma sulla linea opposta, l’ordinamento, proprio in virtù dell’ordine pubblico di protezione, coniuga la relatività della legittimazione con la rilevabilità d’ufficio, perché affida, anche al giudice, quel compito di protezione che l’ordinamento vuole perseguire a tutti i costi. Compito che non si limita a prendere atto dell’eccezione sollevata dal cliente, consumatore o utente, ma riveste un ruolo più ampio e incisivo, perché affida al giudice la possibilità di rilevare d’ufficio la nullità relativa 22 all’esito di una valutazione concreta, di un controllo sostanziale degli interessi del contraente debole. “La nullità è divenuta strumento per tutelare una parte contrattuale, strumento speciale, che perciò può essere esteso per via analogica”49. Le nullità speciali, caratterizzate da una legittimazione di protezione, rilevabili d’ufficio, si distinguono dal vecchio ceppo della nullità contrattuale, per cui oggi si parla non più di concetto monolitico della categoria, ma di statuto delle nullità. La legislazione comunitaria e l’armonizzazione delle varie legislazioni conducono verso un diritto sovranazionale o transnazionale, sicché il diritto dei contratti non potrà più essere sigillato nei ristretti orizzonti del diritto nazionale50. Dopo l’unificazione dei codici civile e commerciale, dopo l’alluvione di norme comunitarie nell’economia industriale e nella contrattazione di massa, il legislatore è dovuto intervenire per tutelare il contraente più debole, posto che altro erano i rapporti tra proprietari, cioè tra soggetti appartenenti allo stesso genus, altro i rapporti tra professionisti e consumatori, in cui questi ultimi sono carenti di potere, ossia soggetti nullificati51. 49 G. PASSAGNOLI, op. cit.,156. A. PIZZORUSSO, Pluralismo delle fonti interne e formazione di un sistema di fonti sovranazionali, in Storia d’Italia, Annali 14, Legge, diritti, giustizia, Torino, 1998, 1127. 51 L’espressione è stata utilizzata da P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, 225 50 23 “L’esigenza di proteggere la parte più debole del rapporto economico, ingenera una costruzione di invalidità, che finisce col condizionare lo stesso tipo di tutela. La nullità si conforma alle esigenze di tutela protettiva, smettendo il suo abito di sanzione civile”52. 4. Invalidità del contratto e nullità della società: un primo approccio. L’annullamento o la dichiarazione di nullità di un atto di natura privata produce di regola l’effetto di privarlo della forza vincolante (ovvero si accerta che non l’ha mai avuta), per cui non è più in grado di produrre effetti per il futuro. Se l’atto non ha ricevuto esecuzione, le obbligazioni che da esso derivano perdono ogni efficacia (o si riconosce che non l’hanno mai avuta) e nessuno è più tenuto ad adempierle. Può darsi, tuttavia, che l’atto abbia già prodotto in tutto o in parte gli effetti ai quali era tipicamente destinato. Così ad esempio, nel caso di compravendita è ben possibile che le singole prestazioni siano state adempiute: l’annullamento dell’atto rende sine causa le prestazioni; la dichiarazione di nullità accerta a sua volta la mancanza assoluta di una causa solvendi vel praestandi. Quindi, quanto è stato ricevuto senza giuridico fondamento deve essere restituito: cioè, le regole civilistiche sono dirette a permettere il recupero di quanto prestato in esecuzione dell’atto dichiarato nullo e sono altresì espressione della necessità di ripristinare la situazione, 52 N. IRTI, La nullità come sanzione civile, in Contr.e impr., Padova, 1987, 541. 24 quale sarebbe stata se l’atto non fosse mai stato stipulato, né tanto meno eseguito. A ben vedere il cosiddetto effetto retroattivo della dichiarazione di nullità opera non tanto nei confronti dell’atto in sé e per sé (a tal proposito qualcuno parla di efficacia meramente simbolica53), quanto piuttosto nei confronti delle prestazioni. È in tal senso, infatti, che tale effetto retroattivo acquisisce un concreto significato: infatti se l’atto è nullo, da esso non possono derivare obbligazioni e quindi ciò che ha costituito l’oggetto della prestazione, divenuta sine causa, deve essere restituito. Si potrebbe azzardare la conclusione che, in buona sostanza, l’effetto retroattivo finisce col coincidere con la necessità di restituire la prestazione (in pratica: chi ha venduto otterrà indietro la cosa; chi ha comprato riavrà il prezzo). Ovviamente non sempre ciò è possibile. Si pensi ai casi in cui la cosa, trasferita tramite contratto poi dichiarato nullo, perisca. Si pensi ai casi di contratti a prestazioni corrispettive in cui la prestazione non è suscettibile di restituzione (ad es., contratti di lavoro subordinato). Vi sono poi situazioni ancora più complesse, quali sono quelle relative alla società. L’atto costitutivo di una società presenta caratteristiche tali che lo differenziano in modo netto dai contratti bilaterali, relativi ai c.d. affari di scambio (l’espressione è usata da Ferro-Luzzi54). Ciò lo si nota non tanto sotto 53 54 A. BORGIOLI, La nullità della società per azioni, Milano, 1977, p. 5. F. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 84 ss. 25 il profilo strutturale, relativamente alla stipulazione del contratto, quanto piuttosto sotto il profilo funzionale, per quanto riguarda l’esecuzione del contratto in relazione alla soddisfazione degli interessi che fanno capo ad esso. Infatti l’esecuzione del contratto di società non si esaurisce nella prestazione dei conferimenti. Essi, anzi, nell’economia del fenomeno hanno rilevanza del tutto secondaria e strumentale, in quanto sono funzionalmente diretti a permettere lo svolgimento dell’attività55. Tale attività, però, risulta solo in parte scomponibile in singoli atti giuridici, essendo per il resto rappresentata da attività materiale e immateriale, per cui si pone il problema se possa essere suscettibile di efficacia retroattiva o di restituitio in pristinum56. Quindi, v’è da chiedersi quali saranno, in tali condizioni, le conseguenze di un’eventuale invalidità dell’atto costitutivo? O meglio, la domanda, a mio avviso, potrebbe essere “riformulata” in tal senso: sulla base delle molteplici esigenze, e degli interessi tutelabili, che si manifestano nel campo della pratica giuridica ed economica, è possibile ammettere altrettante discipline che fanno capo ad un medesimo istituto, ma che si basano su principi diversi se non addirittura opposti? Dunque, la nullità nella sua concretezza trova applicazione sia in ambito squisitamente negoziale, sia nel settore del diritto societario quale “nullità della società” (art. 2332 cod. civ.). 55 56 F. GALGANO, Il contratto di società; Le società di capitali, Bologna, 1971, p. 174. A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 10. 26 Trattasi, dunque di due discipline che regolano un medesimo istituto: esse, di conseguenza, dovrebbero fondarsi sugli stessi principi che stanno alla base di quell’istituto? Analizzando le rispettive previsioni normative, si evince chiaramente una risposta negativa. Le due discipline, infatti, si fondano su regole completamente opposte: efficacia ex tunc della sentenza che dichiara la nullità di un contratto/efficacia ex nunc della dichiarazione di nullità della società; “generalità” della regola applicativa della nullità contrattuale ex art. 1418 cod. civ./tassatività delle cause di nullità ex art. 2332 cod. civ; insanabilità della nullità contrattuale/sanabilità della causa di nullità ai sensi del 5° comma del citato art. 2332. Insomma “è mutata radicalmente la situazione e deve necessariamente mutare anche l’approccio legislativo”57. Ma il punto è proprio questo: il diverso approccio legislativo è tale da consentire di individuare in ambito societario un concetto di nullità? È evidente che sarebbe improponibile l’applicazione in ambito societario dei principi giuridici che stanno alla base dell’istituto della nullità in ambito negoziale. Infatti, proviamo a considerare in astratto quali potrebbero essere le conseguenze di una nullità dell’atto costitutivo di S.p.A. supponendo di dovere applicare rigorosamente i principi contrattualistici in materia di invalidità negoziale. S’è parlato poc’anzi di restitutio in pristinum. 57 C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 116. 27 Teoricamente è ben possibile concepire una restituzione dei conferimenti (divenuti sine causa come conseguenza della nullità dell’atto fonte dell’obbligazione) così come è possibile concepire l’annullamento dei singoli atti giuridici compiuti per lo svolgimento dell’attività sociale (e, quindi, anche le relative restituzioni quale corollario dell’effetto retroattivo della nullità). A ben vedere però, soluzioni del genere possono risultare inappaganti sotto vari profili. A tal proposito giova esaminare più attentamente le caratteristiche tipiche dell’attività sociale. Infatti tale attività, globalmente considerata, non è agevolmente riducibile negli schemi attraverso cui opera normalmente il principio di retroattività della nullità, tra i quali quello tipico è la restituzione della prestazione58. Nello specifico, tutt’al più, per l’attività si può fare un discorso solo in termini di rilevanza o irrilevanza giuridica 59: può darsi che l’attività sociale venga considerata rilevante come tale solo in quanto sussista un valido contratto di società, e quindi la stessa sarà irrilevante in difetto dello stesso; oppure l’attività sociale potrà essere rilevante anche autonomamente, e quindi anche in difetto di un valido contratto. 58 A tal proposito SIEBERT, Die <<faktische>> Gesellschaft, in Festschrift fur Hedermann, Jena 1938, p. 266, sostiene proprio che non si possa annullare l’attività con effetto retroattivo. 59 G. AULETTA, Attività, in Enciclopedia del diritto, Vol. III, Milano, 1967, p. 981 ss. In particolare l’Autore rileva come « la norma, che pone l’attività come fattispecie, ne pone necessariamente i presupposti di rilevanza. Tali presupposti possono ridursi alla pura esistenza del complesso degli atti, di cui consta l’attività, ovvero estendersi alla validità degli atti stessi; se il legislatore adotta questo schema, senza dubbio il più semplice, tutta la problematica tradizionale in materia di atti, dai problemi della capacità a quelli della legittimazione, dell’imputazione, dell’illiceità, dell’invalidità rimane regolata da una normativa riferita agli atti se anche poi tale normativa può riflettersi indirettamente sull’attività, in quanto all’invalidità del complesso degli atti consegua la irrilevanza dell’attività ». 28 Quindi si tratta di capire quale sia l’atteggiamento che in concreto assume l’ordinamento giuridico nei confronti di tale problema. Deve sempre distinguersi tra attività e singoli atti giuridici? Cioè, un eventuale atteggiamento di irrilevanza nei confronti dell’attività, se poi consente di “operare retroattivamente” sui singoli atti giuridici di cui tale attività si compone, continua a lasciare inalterato il problema relativo a quella parte di attività sociale che non si traduce in atti specifici, “ma che costituisce il tessuto connettivo in cui questi sono inseriti e presenta poi il gravissimo inconveniente, sotto il profilo pratico… di tradire le aspettative di coloro che hanno fatto affidamento sulla validità degli atti compiuti dalla società”60. D’altro canto si può notare come il rapporto tra i conferimenti e l’attività abbia carattere strumentale nel senso che i primi sono in funzione della seconda e perciò sono subordinati ad essa. Sotto quest’ultimo profilo si può ben dubitare sulla possibilità di applicare il criterio della retroattività degli effetti ai conferimenti (con conseguente restitutio in pristinum): una simile soluzione, infatti, può non risultare applicabile all’attività sociale globalmente considerata, ma solo ai singoli atti di cui essa si compone. “Può non apparire agevolmente giustificabile che quanto nell’economia del fenomeno (esecuzione del contratto) è secondario e accessorio, finisca con l’avere un trattamento 60 A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 11 ss. 29 giuridico diverso da ciò che ne rappresenterebbe viceversa l’aspetto di maggior rilievo, quando questo si è in effetti realizzato”61. 5. (Segue): La teoria di Joseph Hemàrd. A queste considerazioni di carattere teorico va aggiunto che il problema della nullità della società presenta soprattutto difficoltà di carattere pratico. Le prime difficoltà pratiche scaturiscono dalle esigenze della vita dei traffici e da una concezione tradizionale del sistema delle nullità, in cui l’assoluta improduttività di effetti e la regola della retroattività costituiscono i canoni fondamentali. Una perfetta rappresentazione dell’applicazione pratica di tali principi ce la fornisce il giurista francese Hemàrd in un celebre saggio dedicato all’argomento. Si riporta di seguito una parte del testo: “La société étant nulle ab initio n'avait eu acune existence; elle n'avait pu produire aucun effette juridique, parce qu'elle n'avait créé qu'ne situation contraire au droit. Elle n’était plus qu’un vain fantome; l’apparence avait fait illusion, mais elle devait se dissiper dés la déclaration de nullité. Tous le effets mormaux du fonctionnement des sociétés s’effaçaient dans les rapports des associés et visà-vis des tiers: le pacte social était sans valeur, la société n’avait jamais eu patrimoine indépendant. Le contrat de société et la personnalité morale de la 61 E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la nullità della società per azioni, Napoli, 1977, p. 26 ss. 30 société sombraient, dans le passé comme dans l’avenir. Dés lors plus de dettes ni de créances sociales; les operations avaient été enterprises au nom d’un mandant inexistent; personne n’était oblige, ni les associés, ni les tiers. Il n’y avait plus d’associés, plus d’actionnaires, plus d’obligataires. Les apports pouvaient etre repris libres de toutes charges, aucun versement complémentaire sur les actions ou les obligations ne pouvait etre exigé, les actionnaires ou associés étaient destitués de tout droit sur l’actif à distribuer comme ils étaient pas étrangers à toute obligation sociale, les tiers n’étaient pas engages par les contrats passes par les gérants ou administrateurs”62. Joseph Hemàrd pertanto sostiene una tesi che può essere riassunta secondo tale schema: a) la società nulla, in quanto tale, non esiste nel mondo del diritto; b) poiché non esiste, tale società non può “materialmente” produrre alcun effetto giuridico; c) conseguentemente, la società nulla, “la società che non c’è, che non esiste”, non ha potuto creare alcuna situazione contraria al diritto. Si potrebbe dire che dal nulla non nasce nulla. Ecco dunque l’interpretazione della società nulla come “fantome”, vale a dire come un fantasma: una situazione illusoria in cui il patto sociale è stato privo di alcun valore e la società non ha mai avuto un patrimonio indipendente. Da 62 J. HÉMARD, Théorie et pratique des nullités de sociétés et des sociétés de fait, Paris, 1926, p. 5. 31 qui l’idea che il contratto sociale e la “personnalité morale” della società non sono mai esistiti né in passato né in futuro; non ci sono mai stati obblighi e diritti né per i soci né per i terzi. Questa è dunque l’interpretazione che il citato giurista dà dell’istituto pur non mancando di considerare la gravità e l’iniquità delle conseguenze derivanti da una simile interpretazione, per cui era indotto ad individuare argomenti e principi tali da consentirgli di giustificare una sorta di attenuazione degli effetti della nullità così come rappresentata. Infatti una simile impostazione è tipica del modo in cui normalmente viene affrontato il problema: in tal senso vi è la diffusa sensazione che un utilizzo integrale della disciplina dell’invalidità negoziale risulti nella pratica inadeguata rispetto alla situazione che si vuole disciplinare. E, ovviamente, il problema fondamentale è rappresentato dall’applicazione, o meno, del principio di retroattività degli effetti, tipico, per l’appunto, della disciplina negoziale. Da qui deriva la necessità di superare quella che si configura come una irrimediabile contraddizione: da un lato i principi, dall’altro le conseguenze, sotto più profili inammissibili. 32 6. La nullità delle società nell’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza: dal Code de Commerce napoleonico al quello del 1865. Passiamo ad analizzare gli aspetti e le problematiche attinenti all’evoluzione che l’istituto in esame ha subìto a partire dal Code de Commerce napoleonico. La dottrina, inizialmente, ispirandosi alla tradizione pandettistica, non aveva difficoltà ad applicare rigidamente al settore delle società, i principi civilistici in materia di nullità dei contratti, primo fra tutti il principio della retroattività della declaratoria di nullità63. Nel momento in cui veniva accertata la nullità del contratto sociale, l’applicazione rigida della norma contenuta nell’art. 1119 del codice civile del 1865 stabiliva che i rapporti interni tra i soci e quelli esterni tra società e terzi dovevano essere regolati come se la società non fosse mai esistita. Di conseguenza, i presunti soci non partecipavano né alle perdite della società, né rispondevano dei danni, non erano più obbligati a conferire gli apporti non ancora eseguiti, e potevano pretendere la restituzione di quelli già eseguiti64. Per quanto attiene, poi, ai rapporti che legano la società ai terzi, in seguito all’attività contrattuale degli amministratori, questi debbono considerarsi come rapporti con un soggetto giuridico inesistente. I crediti e i debiti sociali non appartengono alla società che non è mai esistita, né ai soci la cui titolarità dovrebbe derivare da un contratto, rivelatosi nullo. I negozi di disposizione sui 63 L. BORSARI, Il codice di commercio annotato, I, Torino, 1968, p. 471; G. BOCCARDO, Dizionario universale di economia politica e di commercio, Milano, 1877, p. 991; I. ALAUZET, Commentaire du code de commerce et de la législation commerciale, Paris, 1879, p. 94. 64 E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Napoli, 1977. 33 beni conferiti dai soci sono invalidi poiché tali beni non hanno mai cessato di appartenere ai conferenti, i quali possono pretenderne la restituzione dagli acquirenti. Sul piano giuridico-formale65, le conseguenze che ne derivavano rappresentavano lo sbocco inevitabile dell’inserimento dell’istituto della c.d. società nulla nel sistema delle nullità dei contratti del codice civile del 1865 66. Nella prospettiva della dottrina dell’epoca, l’ipotesi di una eventuale sanatoria, sia pure parziale, del contratto sociale nullo sconfessava i principi-base della nozione di invalidità, elaborata dagli studiosi, sovvertivano l’ordine di idee della dottrina e poneva difficoltà di natura dogmatica addirittura insormontabili: questa “era l’epoca del trionfo della pandettistica tedesca, caratterizzata da un metodo d’indagine volto a derivare dai testi legislativi concetti sempre più fini e coordinati per la costruzione di istituti da inserirsi in un sistema coerente, sul piano della pura logica formale, di principi generali”67. La stessa conferma del negozio nullo prevista dall’art. 311 del c.c. del 1865 era vista come una grossa spaccatura nel principio dell’insanabilità del negozio nullo, che la scienza giuridica aveva elaborato con molta accortezza. In tale 65 F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roba, 1967; ID., Il principio di maggioranza sulle società personali, Padova, 1960; U. MANARA, Delle società e delle associazioni commerciali, I, Torino, 1899; A. CABERLOTTO, Delle società e delle associazioni commerciali, in Nuovo codice di commercio italiano, II, Torino, 1899. 66 U. FERRANTE, Il problema della qualificazione della società, Milano, 1974, p. 17; A. CABERLOTTO, Delle società e delle associazioni commerciali, op. cit., p. 1. 67 G. PIAZZA, La convalida nel diritto privato, Napoli, 1973, p. 35. 34 prospettiva, l’idea di un’eventuale estensione dell’eccezionale previsione normativa al campo delle società non era nemmeno preso in considerazione dai giuristi quale possibile rimedio alla lacuna normativa della sanatoria. La giustificazione giuridico-formale dell’atteggiamento della dottrina, tuttavia, trova radici più profonde che solo un’attenta analisi storica consente di cogliere. La codificazione commerciale del 1865 introduceva un nuovo spirito di controllo politico sulle grandi imprese capitalistiche. L’attività speculativa dei primi anni del nuovo Regno, spericolate manovre di borsa e fittizie società italiane, fecero sì che la classe politica fosse orientata verso la riorganizzazione dei controlli pubblici, già esistenti negli Stati preunitari 68, che culminarono con l’istituzione, presso il Ministero delle Finanze, di un Ufficio di sindacato sulle società commerciali e gli Istituti di credito, reso operante mediante Regio Decreto del 27 maggio 187669. Il Governo, con tale indirizzo politico e amministrativo, si proponeva le seguenti finalità, espresse in una circolare del 26 novembre 1866 del Ministero delle finanze: “Il governo veglia per tutelare gli interessi degli azionisti che confidano i loro risparmi a un ente anonimo, per seguire il movimento dei grandi capitali che governano il mercato, per sicurtà dei terzi che contrattano con le compagnie anonime”. 68 R. LIBERATORE, Intorno alle società anonime commerciali della provincia di Napoli, in Annali civile del Regno delle Due Sicilie, IV, Napoli, 1833, p. 126; L. BIANCHINI, Della storia delle finanze del Regno di Napoli, III, Napoli, 1834, p. 918; V. CASTELLANO, Instituzioni di diritto commerciale per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1842, p. 66. 69 M. DE SIMONE, La sanatoria del negozio giuridico nullo, Napoli, 1946. 35 Lo spirito del codice di commercio era tale, come risulta anche dalla Relazione del Guardasigilli al Re. “L’autorizzazione sovrana solamente può (...) assicurare i terzi che le nuove condizioni imposte dalla legge furono adempiute”70. Ma nonostante le suddette enunciazioni programmatiche, tutte ispirate alla tutela del pubblico dei risparmiatori e dei terzi contraenti, e che avrebbero imposto un’adeguata tutela di tali interessi anche in tema di società c.d. nulle, il codice di commercio tacque a riguardo e la stessa dottrina negò ogni forma di tutela delle legittime aspettative dei terzi. Per intendere questa singolare antinomia occorre approfondire il significato politico/amministrativo dell’indirizzo legislativo del codice di commercio del 1865 ricorrendo a due importanti fattori, rilevanti dal punto di vista storico: da un lato la derivazione storica del codice di commercio del 1865, mediante i codici preunitari della restaurazione, dal codice di commercio napoleonico; dall’altro lato la scarsa fortuna che ebbe la politica programmatica governativa in tema di società. Quanto al primo fattore, è necessario tener presente che, nella logica napoleonica, il controllo pubblicistico sulle società anonime era solo apparentemente giustificato con motivi di indole privatistica: la vera, anche se non dichiarata preoccupazione napoleonica, era di “alta polizia”. La logica E. APRILE, Il codice di commercio per il Regno d’Italia annotato e riscontrato, Napoli, 1966, p. IX. 70 36 centralistica del sistema imperiale non ammetteva la formazione di grandi potenze economiche e perciò sociali e indipendenti. La soluzione autoritaria del controllo pubblico sulle società anonime veniva raccolta come eredità napoleonica dai regimi della restaurazione con le stesse finalità e come strumento di una politica programmaticamente ostile alle anonime. Il codice di commercio del 1865 non fu diverso71. L’indirizzo legislativo di controllo pubblico delle società anonime, però, non ebbe la fortuna sperata. Infatti, il movimento ideologico liberalizzante, contrario al sistema di autorizzazione e disciplina governativa sulle anonime, che specie negli anni immediatamente precedenti la codificazione del 1865 aveva preso particolare vigore, ebbe una singolare affermazione. Da un canto, un decreto del Ministro Minghetti dell’anno 1869 metteva a disposizione i funzionari dell’Ufficio del sindacato sulle società commerciali e gli istituti di credito affidando i compiti alla tutela delle Camere di commercio, mentre dall’altro fu rinviato il varo di quell’ampio sistema di garanzie obbiettive di legge, le quali dovevano sostituire quelle affidate all’intervento amministrativo e consolidare criteri sperimentati nella pratica dell’autorizzazione e della vigilanza pubblica72. 71 A. ASQUINI, Dal codice di commercio del 1865 al libro del lavoro del codice civile del 1942, in Riv. Dir. comm., 1967, I, p. 1; G. FERRI, Le società commerciali nel codice di commercio del 1865, in Studi per il centenario dell’unificazione legislativa italiana (1865-1965), Firenze, 1968, p. 48. 72 E. BOCCHINI, I vizi della Costituzione e la nullità della società per azioni, op. cit., p. 28. 37 Se allora si compongono i fattori storici, è agevole rendersi conto del silenzio del legislatore del 1865, in tema di società nulle e la mancanza di effettiva, adeguata tutele legislativa dei terzi e di buona fede. E trova altresì giustificazione lo stesso atteggiamento del pensiero giuridico nello Stato unitario che, nella limitata prospettiva che fa della società niente di più di un contratto, capace solo di creare obblighi tra i soci e perciò in grado di coinvolgere gli interessi degli stessi, non può applicare conseguentemente i principi sulla nullità dei contratti che, in omaggio al dogma imperante della volontà, si risolvono in una tutela esclusiva degli interessi dei soci73. A tale contesto dottrinario, storico e ideologico occorre far capo per comprendere l’evoluzione successiva del pensiero giuridico italiano in tema di società nulle. 7. Il Codice di Commercio del 1882 Con l’entrata in vigore del codice di commercio del 1882, si è verificata, da parte della dottrina e della giurisprudenza, una presa di coscienza anche per l’influenza di ordinamenti stranieri e in particolare di quello francese e belga nei quali il legislatore era intervenuto con l’emanazione di una disciplina ad hoc. 73 A. BORGIOLI, La nullità della Società per Azioni, Milano, 1977. 38 La rigida applicazione della disciplina dettata per il contratto non poteva non essere avvertita dai giuristi, in quanto il contratto di società non si prestava ad essere collocato nell’esclusiva prospettiva contrattualistica e necessitava di una prospettiva più ampia che tenesse conto non solo del suo essere, ma anche del suo divenire sia come rapporto di durata che come attività-impresa collettiva74. La dottrina, in questo periodo, avverte sul piano pratico l’ingiustizia sostanziale dell’applicazione rigida dei principi contrattuali della nullità al campo delle società75. Questo secondo periodo, perciò, è caratterizzato dal formarsi di un vasto movimento dottrinario che reclama una sistemazione più giusta della materia in esame, una adeguata tutela dei terzi, affinché essi vengano danneggiati dalla nullità di un contratto a cui non hanno preso parte e di cui non potevano conoscere i difetti. Il problema veniva analizzato in due modi differenti che riflettevano rispettivamente i rapporti interni ed esterni alla società, studiando e valutando gli effetti della nullità del contratto tra i soci da un lato e di fronte ai terzi dall’altro. La questione si presentava più semplice per gli effetti della nullità tra i soci di modo che in dottrina si veniva ad instaurare ben presto una communis opinio76. 74 A. DE GREGORIO, Delle società e delle associazioni commerciali, in Il cod. di comm. commentato, Torino, 1938, p. 592. 75 E. SOPRANO, Trattato teorico pratico delle società commerciali, I, Torino, 1934, p. 123. 76 U. MANARA, Delle società e delle associazioni commerciali, op. cit., p. 407; U. NAVARRINI, Delle società e delle associazioni commerciali, in Comm. al cod. di commercio, II, Vallardi, Milano, 1924, p. 32; T. ASCARELLI, Appunti di diritto commerciale, II, Società ed Assicurazioni 39 Si ritiene, pertanto, fatta salva l’ipotesi della nullità del contratto per l’illiceità dell’oggetto, ipotesi in cui le operazioni compiute non potevano in alcun modo riferirsi al fondo comune messo insieme dai soci e vanno considerate come operazioni individuali degli amministratori per le quali gli stessi rispondono illimitatamente, allorché la nullità trovi causa una ragione diversa dall’illiceità dell’oggetto, nonostante la nullità del contratto, esistesse una comunione di beni tra soci: infatti, questi ultimi si dividevano il patrimonio sociale secondo le regole della comunione e gli aumenti e le diminuzioni verificatesi venivano attribuiti, secondo il valore delle quote rispettive, data la nullità delle clausole contrattuali circa la divisione degli utili e delle perdite. Se poi le perdite superavano l’ammontare del fondo comune, i soci non erano tenuti ad alcun conferimento supplementare. Invece, per quanto riguarda la tutela dei terzi, e in particolare dei terzi di buona fede, questa veniva realizzata sotto due profili; infatti, da un canto veniva affermata la stabilità sia degli atti posti in essere dalla società nulla nei confronti dei terzi contraenti, sia delle obbligazioni sociali assunte dalla società nulla nei confronti degli stessi; mentre, dall’altro, veniva affermata la responsabilità illimitata degli amministratori in generale, e con riguardo alle società illecite, anche la responsabilità illimitata dei soci77. commerciali, Società editrice del foro italiano, 1936, p. 88; G. AULETTA, Il contratto di società commerciale, Milano, 1937, p. 271. 77 M. GHIDINI, Estinzione e nullità delle società commerciali, Padova, 1937, p. 160. 40 Per ciò che concerne il fondamento teorico della soluzione citata, mancava ogni comunanza di vedute tra gli studiosi. La giustificazione teorica della tutela dei terzi veniva individuata nella teorica pubblicistica della sanatoria dell’atto di riconoscimento ovvero in quella, anch’essa pubblicistica, della tutela dell’affidamento dei terzi (negli atti statuali) ovvero, ancora, nella teoria della società di fatto. Vi era poi anche chi si richiamava alla teoria del socio apparente o dell’interpretazione secondo buona fede dei contratti conclusi dalla società. Altri, ancora, facevano capo all’iscrizione nel registro delle società come dichiarazione di volontà, o come fonte di responsabilità obiettiva78. La dottrina italiana79 verso la fine degli anni Trenta e alle soglie della nuova codificazione, proponeva una costruzione secondo cui il fondamento teorico della stabilità degli atti posti in essere dalla società con i terzi sarebbe stato costituito dal rapporto di comunione tra i soci, che si instaurerebbe in seguito alla declaratoria di nullità dell’atto costitutivo e nell’esistenza di un mandato di rappresentanza indiretta dei soci agli amministratori80. Non può, tuttavia, ritenersi che i contratti conclusi in nome della società valevano come conclusi in nome dei soci. Pertanto, i terzi riuscirono sempre a rendere responsabili i soci dei debiti sociali, a mezzo dell’azione surrogatoria che potevano esercitare come creditori degli amministratori. 78 L. MOSSA, Il registro di commercio, in Studi Sassaresi, 1921, p. 98. G. AULETTA, Il contratto di società commerciale, op. cit., p. 277; M. GHIDINI, Estinzione e nullità delle società commerciali, op. cit., p. 118. 80 G. AULETTA, Il contratto di società commerciale, op. cit., p. 279 79 41 “I creditori sociali subirono il solo sacrificio di non poter contare su un fondo separato e di dover concorrere, con i creditori particolari, sul patrimonio dei singoli soci”81. Infine, la soluzione non sarebbe però applicabile ai terzi di mala fede, che essendo a conoscenza delle cause di nullità non hanno alcuna ragione di credito verso gli amministratori e conseguentemente verso i soci. Quanto alle società nulle, per illiceità dell’oggetto, non potendosi parlare di un rapporto di mandato tra soci e amministratori, il fondamento teorico della responsabilità, sia dei soci che degli amministratori, veniva rinvenuto nell’atto illecito compiuto. Gli azionisti persero la loro responsabilità limitata, potendosi vedere in ciò un ostacolo alla conclusione di contratti illeciti. Quale sia il valore dogmatico delle ipotesi dottrinarie che si diffondevano in quel periodo e che furono oggetto di una critica puntuale da parte della dottrina successiva82, un punto giova rimarcare: nonostante la mancanza di una espressa disciplina della nullità delle società, nel vigore del codice di commercio del 1882, la dottrina più evoluta giunse, in via di interpretazione del sistema, ad assicurare una adeguata tutela dei terzi, sia attraverso l’affermazione della stabilità dei contratti e delle obbligazioni contratte dalla società con i terzi, sia attraverso l’affermazione della responsabilità illimitata dei soci e degli amministratori che hanno agito per conto dei primi. 81 82 G. AULETTA, cit., p. 308. A. AMATUCCI, Società e comunione, Napoli, 1971, p. 239. 42 E giova sottolineare che gli effetti di tale elaborazione dottrinale andavano esercitando la loro influenza anche sui lavori preparatori del codice civile. L’esigenza di tale chiarimento fu imposta dal fatto che il codice del 1942 dettava una disciplina della nullità della società che si discostava dai risultati e dalle proposte formulate dalla dottrina e recepite dagli stessi Progetti legislativi del codice del 1942. Allora, allo scopo di comprendere il fondamento materiale e storico della disciplina contenuta nell’art. 2332 c.c. occorre verificare in quanta parte il pensiero giuridico formatosi sotto il codice di commercio, e in particolare nei primi decenni di questo secolo, abbia effettivamente influenzato la nuova normativa e per quanta parte, invece, il legislatore del 1942 abbia finito col prescindere da tale evoluzione e a quale fonte abbia attinto e quali interessi reali abbia inteso cautelare83. 8. Il Codice Civile del 1942. L’art. 2332 c.c. del Codice Civile del 1942 garantiva ampia tutela ai terzi nel sistema di pubblicità, rendendola efficiente dalla disposizione che i soci non erano liberati dall’obbligo del conferimento fino a quando non venivano 83 G. AULETTA, cit. , p. 277 ss. 43 soddisfatti tutti i creditori sociali, nonostante la dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo84. Di fronte al testo esplicito della Relazione, la dottrina dominante e la giurisprudenza85 non hanno saputo sottrarsi alla forza della suggestione della voce del legislatore: la ratio dell’art. 2332 c.c., perciò, è stata rinvenuta in una applicazione del principio della tutela dell’affidamento dei terzi. Pertanto, si giunse a ritenere che la ratio della disposizione contenuta nell’art. 2332 c.c. non risiedeva nella tutela dei terzi, ma rispondeva all’interesse dei soci di maggioranza e del capitale di comando più in generale. Per cominciare, l’indagine storica svolta sinora ha mostrato come ad un’efficace tutela dei terzi fossero giunte sia la dottrina che la giurisprudenza già sotto il vigore del codice di commercio, affermando da un lato la validità e stabilità dei contratti e delle obbligazioni sociali poste in essere tra società nulle e terzi e dall’altro la responsabilità illimitata degli amministratori e dei soci agenti nei confronti dei terzi di buona fede. Tali posizioni avevano accoglimento nel Progetto preliminare del libro dell’impresa e del lavoro. La prima notazione rilevante, per quanto riguarda il piano storico, che si trae dai lavori preparatori del codice del ‘42 è che la disciplina della nullità del contratto sociale compare per la prima volta solo nel c.d. Progetto Asquini. 84 G. PANDOLFELLI, G. SCARPELLO, M. STELLA RICHTER, G. DALLARI, Codice civile, Milano, 1942, p. 173. 85 M. PORZIO, L’estinzione delle società commerciali, Napoli, 1959, p. 100. 44 L’art. 369 del Progetto Asquini recita “Se viene dichiarata la nullità di una società, la responsabilità dei soci per le obbligazioni assunte dalla società prima della dichiarazione di nullità è regolata dalle disposizioni dell’art. 364”. A sua volta, tale disposizione afferma: “Per le obbligazioni sociali i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo sociale. Delle obbligazioni stesse rispondono inoltre illimitatamente e solidalmente i soci e gli amministratori che hanno preso parte in nome sociale alle operazioni sociali. Gli altri soci rispondono in via sussidiaria illimitatamente e solidalmente, a meno che non provino di aver assunto con contratto sociale una responsabilità limitata e che questa limitazione era nota ai terzi nel momento in cui è sorta l’obbligazione per la quale essi agiscono”. Le differenze con i progetti precedenti (Progetto Vivante e Progetto D’Amelio) sono oltre che di carattere giuridico e tecnico, anche sostanziali. Per ciò che concerne l’aspetto tecnico, esse erano state invocate dalla stessa dottrina, che aveva giustamente rilevato da un lato l’esigenza di un coordinamento della disciplina della nullità, relegata al Capo VI del Titolo VI del Progetto ministeriale del libro dell’impresa e del lavoro, sotto la denominazione Degli effetti della mancata registrazione e della nullità del contratto, con le norme generali in tema di società86, dall’altro l’urgenza 86 che fossero disciplinati, G. AULETTA, Progetto ministeriale del libro del lavoro, Bozze non corrette, p. 29. 45 accanto all’aspetto della responsabilità, gli altri profili del regime delle società nulle87. Per quanto attiene, invece, le modifiche sostanziali apportate alla disciplina contenuta nel Progetto ministeriale del libro dell’impresa e del lavoro, il discorso si fa più difficile e complesso. Il Progetto Asquini e il Progetto ministeriale dell’impresa e del lavoro sostanzialmente recepivano gli studi e le elaborazioni della dottrina più avvertita in tema di società nulle. Attraverso l’affermazione della stabilità dei contratti e delle obbligazioni sociali contratte dalla società prima della dichiarazione di nullità, e attraverso l’affermazione della responsabilità illimitata non solo del patrimonio sociale, ma anche degli amministratori e dei soci, veniva realizzata la tutela dei terzi 88. Sul fronte di tale tutela dei terzi, il codice del ‘42 non contiene nessun’altra disposizione rispetto a quanto la dottrina e la giurisprudenza non avessero già affermato sotto il codice di commercio in via di interpretazione, e di quanto i precedenti Progetti avessero sostanzialmente già recepito. All’opposto, l’art. 2332 c.c. introduceva nella disciplina delle società nulle due punti la cui portata innovativa va rimarcata, in quanto rappresentano la chiave di volta per l’individuazione della funzione e del fondamento materiale della norma. 87 88 P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, p. 82. P. SPADA, La tipicità delle società, op. cit., p. 85. 46 Da un lato, sempre e in ogni caso, veniva affermato il privilegio della responsabilità limitata dei soci, anche nelle società ad oggetto illecito; dall’altro veniva estesa la tutela a tutti i terzi, ancorché di mala fede. Pertanto, il codice civile del 1942 ha introdotto modificazioni rilevanti nei rapporti tra gli organi della società per azioni, svalutando il ruolo dell’assemblea, accentuando, in tal modo, il peso del gruppo di comando 89. I fenomeni di concentrazione monopolistica, pertanto, trovano una obiettiva facilitazione in un sistema che mette gli azionisti di comando al riparo da ogni possibile interferenza nelle loro scelte. In tale contesto è agevole rendere ragione del salto di indirizzo normativo del legislatore del ’42, rispetto ai Progetti precedenti. Infatti, la dottrina e la giurisprudenza avevano già interpretato la tutela dei terzi durante il periodo in cui vigeva il codice di commercio, affermando da un lato la stabilità degli atti posti in essere dalla società nulla con i terzi e dall’altro la responsabilità illimitata degli amministratori e dei soci agenti, nei confronti dei terzi in buona fede. Inoltre, tali soluzioni venivano recepite anche dal Progetto Asquini e dal Progetto ministeriale del libro dell’impresa e del lavoro. Sul fronte della tutela dei terzi, dunque, il codice civile del ’42 in realtà nulla aggiunge alla situazione previgente: al contrario segna un regresso, eliminando 89 T. ASCARELLI, Tipologia della società per azioni e disciplina giuridica, in Riv. Soc., 1959, p. 995. 47 la responsabilità illimitata degli amministratori e dei soci e assicurando il privilegio della responsabilità limitata ai soci, nonostante la nullità della società. Il vero carattere saliente della norma e il suo nucleo focale rispetto alla situazione previgente risiede proprio in questa estensione del privilegio della responsabilità limitata alle società nulle, comprese le società con oggetto illecito. Già una autorevole dottrina, sensibile alle esigenze sostanziali socioeconomiche del diritto delle società, ha evidenziato che, nella gestione dell’impresa, il privilegio della responsabilità limitata dei soci delle società di capitali, rispetto all’imprenditore individuale o ai soci delle società di persone sfugge ad una giustificazione razionale; l’estensione di tale privilegio alle società nulle, ancorché illecite, rappresenta l’ipostasi di quel principio90. 9. La Direttiva delle Comunità europee 9 marzo 1968, n. 151. Il periodo che risale all’inizio degli anni Settanta è caratterizzato dall’intervento normativo delle Comunità europee. Il Consiglio delle Comunità Europee adottò la prima direttiva intesa a coordinare le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’art. 5891, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi 90 91 D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971. Articolo 58 del Trattato Unione Europea: 48 dei soci e dei terzi, in data 9 marzo 1968, ossia la Direttiva n. 151, avente ad oggetto prescrizioni in tema di nullità per società. Il Governo della Repubblica, in data 13 ottobre 1969, venne autorizzato ad emanare le norme necessarie per assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla Direttiva, non oltre il 31 dicembre 1969. Venne così emanato il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, portante «Modificazioni alle norme del codice civile sulle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata, in attuazione della Direttiva 9 marzo 1968, n. 151, del Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee». Tale decreto modifica il testo originario dell’art. 2332 c.c. sostituendo, all’originario primo comma dell’articolo, due comma, dei quali il secondo riproduce sostanzialmente l’originario primo comma, mentre il primo contiene l’elencazione dei casi nei quali soltanto la nullità delle società può essere pronunciata. Per il resto l’articolo resta inalterato. La neo-formulazione dell’art. 2332 c.c. pone all’interprete una serie di problematiche, non solo di natura esegetica. 1. Le disposizioni dell'articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri: a) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale; b) di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. 49 L’indagine appare indispensabile per comprendere le scelte operate dal legislatore comunitario e la gamma di interessi e di valori sottostanti alla Direttiva comunitaria. Esistono, in realtà, due diversi sistemi legislativi per garantire l’osservanza delle prescrizioni legali previste per la costituzione della società per azioni: preventivo/repressivo92. Il primo sistema consiste nel predisporre un controllo, affidato all’autorità giudiziaria o amministrativa, in sede di costituzione della società. Con tale sistema ci si propone di prevenire ogni causa di nullità della società e di prevedere che gli eventuali vizi della costituzione restino assorbiti dalla avvenuta iscrizione della società. Questo, tra l’altro, è il sistema seguito dalla Gran Bretagna (come si vedrà più approfonditamente nei capitoli successivi), oltre che dagli Stati Uniti e dall’ordinamento svizzero. Invece, il sistema repressivo prevede che non venga effettuato nessun controllo in sede di costituzione della società, e quindi rimette ai soci il compito di osservare le prescrizioni di legge. In via repressiva, a fronte di tale libertà il sistema sanziona la violazione delle prescrizioni di legge, comminando la nullità dell’atto costitutivo e la responsabilità civile e penale degli amministratori e dei soci fondatori93. É il sistema seguito, ad esempio, dall’ordinamento francese. 92 93 A.B. LEVY, Private corporations and their control, I, London, 1950, p. 46. A.P. SERENI, Le società per azioni negli Stati Uniti, Milano, 1951, p. 55. 50 In Italia e in Germania esistevano dei sistemi compositi, che combinavano il sistema preventivo e quello repressivo: pur essendovi previsto un controllo giudiziario o amministrativo preventivo sulla costituzione della società, in tali sistemi gli eventuali vizi della costituzione venivano sanzionati con la nullità della società o dell’atto costitutivo. Per ciò che concerne la nullità della costituzione della società, le varie soluzioni, prima dell’avvento della Direttiva Comunitaria, adottate dagli stati membri della Comunità, non presentavano molti punti in comune. Vale la pena indicare brevemente, qui di seguito, quali fossero le caratteristiche e gli aspetti peculiari dell’istituto della nullità delle società nell’ordinamento tedesco, visto che proprio la disciplina tedesca ha rappresentato, tra le altre legislazioni vigenti in materia, quella più completa ed organica e, peraltro, si può notare come la stessa Direttiva si sia basata sul modello tedesco del Aktiengesetz del 1965. In Germania l’AktG del 1965 limitava tassativamente le cause di nullità della società per azioni94. Nessun’altra causa di nullità poteva essere presa in considerazione, all’infuori di quelle previste dalla legge. Ed è interessante al riguardo marcare che la dottrina e la giurisprudenza tedesche escludevano che la società potesse essere 94 J. GIERKE, Handelsrecht und Schiffartsrecht, Berlin, 1958, p. 286. 51 dichiarata inesistente, fuori dei casi previsti dall’art. 275 AktG95. In particolare, la nullità delle società poteva essere dichiarata solo per mancanza di una delle clausole statutarie essenziali previste dall’art. 23 AktG o per la loro nullità. Sono essenziali le clausole aventi ad oggetto la denominazione e la sede della società, l’oggetto sociale, l’ammontare del capitale sociale, il valore nominale e il numero delle azioni, la previsione delle differenti categorie di azioni, le forme di pubblicità degli atti sociali. Per effetto del sistema considerato l’omessa indicazione negli statuti delle indicazioni obbligatorie relative agli apporti in natura, alla stima dei beni, ai benefici riservati ai soci fondatori non era sanzionata con la nullità, ma con la mera inefficacia nei confronti della società. Ogni altra causa di inefficacia delle clausole statutarie non comportava alcuna conseguenza in ordine alla validità dell’atto costitutivo. L’azione di nullità poteva essere esercitata solo dagli azionisti e dai membri della Direzione, mai invece dai terzi. L’azione, inoltre, doveva essere promossa nei tre anni dall’iscrizione della società; le cause di nullità dopo la scadenza dei tre anni potevano essere fatte valere anche d’ufficio, come cause di scioglimento. La sentenza che dichiarava la nullità era inserita nel registro di commercio e aveva efficacia erga omnes. La causa di nullità qui opera come causa di scioglimento e la liquidazione si effettua secondo le regole della Prima dell’entrata in vigore dell’AktG del 1965 era controverso se oltre i vizi indicati dalla legge potessero essere ammesse altre cause di nullità una volta avvenuta l’iscrizione. 95 52 liquidazione conseguente allo scioglimento. I liquidatori non possono intraprendere nuove operazioni, ma solo continuare quelle in corso. La validità degli atti compiuti in nome delle società non è inficiata dalla dichiarazione di nullità. I soci sono tenuti ad effettuare i loro versamenti se ed in quanto sono necessari per gli adempimenti degli obblighi assunti. In conclusione, si può affermare che nell’ordinamento tedesco, la nullità agisce come una vera e propria causa di scioglimento. Ora, la Direttiva si prefiggeva l’obiettivo di ridurre le cause di nullità negli ordinamenti che non prevedevano una gamma chiusa delle cause di nullità e, di conseguenza, riconoscevano tutte le altre nullità generali previste per i contratti96 come cause di nullità dell’atto costitutivo. Nell’ordinamento italiano, il sistema prevedeva e contemplava, senza identificarle, le cause di nullità, intese in senso tecnico, dell’atto costitutivo. In particolare, i principi stabiliti dalla Direttiva Comunitaria97erano: 1. riduzione delle possibili cause di nullità della società; 2. sanabilità da parte della società delle cause di nullità; 3. conversione delle cause di nullità in cause di scioglimento e conseguente affermazione della “validità degli obblighi assunti nei confronti di essa”; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, per quanto riguarda l’Italia. In Francia, invece, il principio era sancito dall’art. 360 della legge 24 luglio 1966 sulle società commerciali. 97 E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la nullità della società per azioni, Napoli, 1977, p. 46. 96 53 4. necessità che la nullità sia pronunziata con sentenza e che questa sia pubblicata ai fini dell’opponibilità ai terzi. Tenendo comunque conto della varietà e delle evoluzioni che alcuni ordinamenti europei stavano subendo, le molteplici soluzioni legislative adottate nei singoli stati membri possono comunque trovare un raggruppamento, seguendo le principali linee di tendenza che emergono dalle impostazioni adottate. 10. (Segue): Le cause di nullità ammesse nella proposta di direttiva. Il principio della limitazione delle cause di nullità, originariamente, era stato formulato in modo estremamente rigoroso. Erano state ammesse le sole ipotesi di invalidità riguardanti la mancanza dell’atto costitutivo; l’inosservanza delle formalità di controllo preventivo; la mancanza della forma dell’atto pubblico e l’illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto della società. L’ultima invalidità non causava nessuna difficoltà, mentre le prime tre avevano importato una specie di compromesso, poiché il tentativo di introdurre in tutti i paesi una forma di controllo giudiziario preventivo era stata abbandonata di fronte alla netta opposizione delle delegazioni belga e lussemburghese, le quali avevano fatto presente che i magistrati dei loro rispettivi paesi non erano preparati per sostenere compiti del genere. 54 Per tale motivo era stata imboccata la strada delle soluzioni alternative, volte a consentire forme di controllo capaci di offrire garanzie equivalenti. Tali ipotesi sono state trasfuse nel testo finale della direttive e fatte proprie dal legislatore italiano. a) La mancanza dell’atto costitutivo. Si trattava di un’ipotesi che implicitamente poteva ricavarsi dalla disciplina dei vari ordinamenti, per quanto di rilevanza più teorica che pratica. Introducendo il principio della limitazione delle cause di nullità, poteva destare perplessità il fatto che si ignorasse completamente una fattispecie del genere, sia che si dovesse interpretare la mancanza dell’atto costitutivo come difetto del documento scritto, sia che la si dovesse intendere come inesistenza del relativo negozio giuridico. Infatti, se è vero che in pratica essa costituisce un’ipotesi difficilmente realizzabile, non sembrava opportuno escludere la possibilità che i singoli ordinamenti si premunissero contro di essa, dal momento che si tratta di un vizio fra i più radicali, in quanto manca completamente l’atto sul cui presupposto dovrebbe nascere la società in una fattispecie come questa. Facendo difetto un atto costitutivo, veniva a mancare anche l’oggetto del controllo al quale era subordinato il riconoscimento della società; di qui la rilevanza anche pubblicistica di tale elemento e la ragione per la quale se ne fa menzione insieme al difetto della forma di atto pubblico e al difetto di controllo amministrativo o giudiziario. 55 La causa di nullità in oggetto è posta sullo stesso piano di altre invalidità di carattere puramente formale e ciò sta a dimostrare che al difetto in questione non viene attribuito valore materiale, ma essenzialmente formale. Perciò, non si tratta di inesistenza del negozio giuridico, ma di mancanza del documento e delle eventuali ipotesi ad essa equivalenti. b) L’inosservanza delle formalità di controllo preventivo. I paesi che avevano adottato il sistema del controllo preventivo erano Germania, Italia e Paesi Bassi. Solo in quest’ultimo ordinamento, tuttavia, si riteneva che la mancanza del controllo preventivo producesse la nullità della costituzione della società. c) La mancanza della forma dell’atto pubblico. La legge in Italia non disponeva espressamente la sanzione della nullità per difetto di atto pubblico, limitandosi a prescrivere che la società deve costituirsi per atto pubblico (art. 2328 cod. civ.). A tal punto, mentre la giurisprudenza e parte della dottrina si erano orientate a favore della nullità, la dottrina prevalente osteggiava tale soluzione. Taluni autori sostenevano che tra le cause di nullità tassativamente ammesse non fosse ricompreso il difetto della forma di atto pubblico, che tale difetto avrebbe provocato la nullità della società98. Secondo tale opinione, la soluzione si sarebbe imposta sulla base di esigenze di certezza del diritto altrettanto impellenti di quelle che avevano indotto il legislatore a introdurre il 98 G. GORLA, Le società secondo il nuovo codice, II, Milano, 194, p. 8; A. BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948, p. 193; F.P. PUGLIESE, L’atto pubblico e la società persona.giuridica, in Dir. fall., 1946, I, p. 9; U. MAJELLO, L’atto pubblico nella costituzione di società di capitali, in Foro it., 1954, I, p. 1446; G. SCALFI, La forma nei contratti di società di capitali, in Temi, 1950, p. 521; L. GENOVESE, Le forme integrative e le società commerciali irregolari, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1948, p. 128. 56 principio della tassatività delle cause di nullità. Ma, l’opinione prevalente respingeva tale tesi99. Il principio di tassatività della norma esprime la necessaria previsione, da parte del legislatore, delle fattispecie legali cui il precetto si applica. In base a tale principio, la norma è valida in quanto il legislatore ne abbia previsto gli elementi costitutivi; esso è immanente in tutto l’ordinamento giuridico in quanto concorre a rendere possibile l’applicazione giudiziaria della norma impedendo il soggettivismo del giudice, nonché il ricorso alla analogia. Tale principio rappresenta un dato fortemente garantista in diritto penale, perché concorre a fondare uno dei suoi pilastri, ovvero il fatto. Senza di questo si avrebbe un diritto penale del sospetto dove il comportamento sanzionato può essere determinato da fonti extrapenali. La mancanza dell’atto costitutivo è un’ipotesi che dovrebbe assorbire anche quella mancanza dell’atto pubblico; infatti, se non vi è atto costitutivo non vi dovrebbe neppure essere un atto costitutivo avente la forma di atto pubblico100. Questo ragionamento può essere valido se per mancanza di atto costitutivo viene intesa la mancanza materiale del medesimo; ma è proprio questo il senso che doveva essere attribuito al testo in esame, appunto perché la mancanza dell’atto costitutivo era contemplata in alternativa ad altri elementi tutti P. ABBADESSA, Nullità della società per mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332 n.1), in Giur. comm., 1974. 100 G. FERRI, Disarmonie della legge di armonizzazione, in Riv. Dir. comm., 1970, I, p. 80. 99 57 attinenti all’attività di controllo sulla costituzione e quindi doveva avere analoga funzione. d) L’illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto della società. Si tratta di già prevista causa di invalidità della costituzione della società. La formula adottata si giustifica per la necessità di evidenziare il concetto di ordine pubblico, per un migliore coordinamento delle soluzioni accolte negli stati membri, e si riferisce quindi alla contrarietà alle norme imperative o ai principi inderogabili dell’ordinamento. 11. Il problema della nullità della S.p.A. La nullità della S.p.A. deve essere intesa innanzitutto come la disciplina di un determinato tipo di fattispecie, riconducendo il problema ai suoi contenuti valutativi. La vera questione si impernia sulla valutazione di una certa normativa, la quale risulta invocabile soltanto in alcune situazioni. Risulta particolarmente significativa la disposizione che condiziona l’applicabilità del principio della limitazione delle cause di nullità all’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese101. 101 E correlativamente si pone il problema di identificare quale sia la disciplina applicabile prima dell’iscrizione, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei vizi o anomalie relative ai vari atti o fasi del procedimento costitutivo. 58 Infatti, non vi è dubbio che la limitazione delle cause di nullità realizzi un tipo di disciplina diversa da quello generalmente previsto in materia negoziale; ma con ciò si pone in evidenza un contenuto di natura essenzialmente normativa e al tempo stesso se ne indicano i presupposti d’applicazione. Tutta la disciplina prevista nell’art. 2332 c.c. risulta condizionata dall’iscrizione nel registro delle imprese102. In tal modo, la dichiarazione di nullità, secondo quanto afferma il 2° comma, nonché dalla circostanza che le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione trovano la loro regolamentazione nell’art. 2331 c.c., non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti dalla società dopo l’iscrizione103. I successivi tre commi dell’art. 2332 c.c. mostrano di essere condizionati all’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese104. L’esistenza di creditori sociali, infatti, implica l’esistenza di una società il cui procedimento di tale costituzione si sia completato con l’iscrizione, perché prima di tale momento 102 E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv. Soc., 1975; G. FERRI, Delle società, in Commentario del Codice civile, BolognaRoma, 1968; G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di persone, in Riv. Dir. civ., I, 1963; C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975; P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971. 103 Allo stesso tempo la previsione di atti compiuti dopo l’iscrizione sta a dimostrare che la legge considera come caso tipico quello di una società nulla che abbia operato e svolto un’attività e che la disciplina dell’art. 2332 cod. civ. è concepita per soddisfare le esigenze che da tale attività scaturiscono. F. FERRARA, C. CORSI Gli imprenditori e le società, Milano, 2001; G. COTTINO, Società per azioni, in Novissimo digesto italiano, vol. XVII, Torino, 1970. 104 Sotto questo profilo il sistema attuale non sembra discostarsi da quello previgente; infatti anche allora la disciplina della nullità dell’atto costitutivo era dettata con riferimento al periodo successivo alla iscrizione nel registro delle imprese. 59 non si hanno propriamente creditori sociali, ma soltanto creditori di coloro che hanno agito in nome della costituenda società. La possibilità di nominare i liquidatori, d’altro canto, presuppone una situazione che possa essere valutata in termini societari, e più precisamente come società per azioni, perché lo scioglimento e quindi anche la liquidazione sono fenomeni che di regola riguardano una società esistente e per di più funzionante105. Anche una modificazione dell’atto costitutivo, con le relative implicazioni sul piano della disciplina dell’assemblea e del funzionamento di questa, sembra voler sottintendere una società già iscritta106. Infatti, prima dell’iscrizione qualsiasi manifestazione di volontà degli interessati, diretta a modificare le basi sostanziali dell’affare, non sembra possa essere valutata alla stregua di una modifica dell’atto costitutivo, in senso tecnico, ma solo come una sua revoca per mutuo dissenso, alla quale potrà quindi far seguire la stipulazione di un nuovo atto costitutivo. È stato posto in dubbio che le cause di nullità che possono essere fatte valere prima dell’iscrizione nel registro siano diverse e più ampie di quelle che 105 In particolare, la liquidazione è il procedimento con cui si pagano i creditori sociali allo scopo di rendere disponibile il patrimonio della società e consentirne la divisione fra i soci. Essa viene caratterizzata da varie fasi, ossia quella che consiste nel saldo dei debiti sociali precede necessariamente quella di distribuzione del residuo fra i soci. È evidente che se non vi sono debiti da soddisfare non vi è necessità della liquidazione, ma si può procedere direttamente alla divisione dei beni. Ciò dimostra indirettamente che la previsione legislativa di cui all’art. 2332 cod. civ. si riferisce ad una società che, non solo è costituita, ma è anche operante, cioè svolge un’attività. 106 Cfr. Cass., 24/09/1956, n. 3254, in Foro it., 1956, I, 1800 in materia di aumento di capitale. 60 possono essere fatte valere dopo l’iscrizione, ai sensi dell’art. 2332 primo comma cod. civ. Infatti, si è tentato di accreditare la tesi secondo la quale l’omologazione non potrebbe essere negata se non per le cause di nullità ammesse da tale norma 107. Inoltre, se è vero che l’iscrizione sana le altre cause di invalidità, ciò starebbe a dimostrare che queste non possono essere considerate in alcun modo vere e proprie cause di invalidità, ma qualcosa di diverso, perché, se fossero effettivamente tali, esse dovrebbero funzionare anche nella fase successiva all’iscrizione108. Tale tesi postula che vi sia una perfetta corrispondenza fra motivi di rifiuto dell’omologazione e cause di nullità, corrispondenza che non solo non vi è dubbio che mancasse nel sistema previgente, ma è altresì certo che faccia ora difetto anche in quello attuale109. A proposito del giudizio di omologazione, l’art. 2332, 3° comma, c.c. prevede che il Tribunale verifichi le condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società. La sanzione della nullità da luogo ad una norma di carattere 107 E. SIMONETTO, Questioni in materia di nullità nascenti dalla nuova normativa in materia societaria, in Dir. fall., 1970; G. SANTINI, Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. Dir. civ., 1973. 108 E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv. Soc., 1975; S. MACCARONE, Nullità, amministrazione e pubblicità nel sistema delle nuove norme sulle società commerciali, in Banca, borsa, tit. cred., 1971. 109 A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, Milano, 1954; F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; M. CASANOVA, Registro delle imprese, in Novissimo digesto italiano, vol. XI, Torino, 1968. 61 eccezionale e non si può ritenere che la medesima risulti applicabile quando ciò non risulti espressamente previsto110. È chiaro che non tutti gli elementi richiesti dalla legge per la costituzione della società possono considerarsi prescritti a pena di nullità; così che viene necessariamente a cadere l’ipotesi di una corrispondenza fra la situazione anteriore e quella successiva all’iscrizione, almeno in ordine ai motivi di invalidità. D’altra parte, neppure sembra che si possa far credito di un’abrogazione implicita delle disposizioni relative alle condizioni che non sono state stabilite a pena di nullità, a causa di una loro presunta incompatibilità con la disciplina introdotta col nuovo testo dell’art. 2332 c.c., perché anche questo ragionamento si fonda sul solito presupposto secondo il quale l’omologazione consisterebbe nella verifica delle sole condizioni richieste a pena di nullità. Viceversa, la circostanza che il Tribunale debba verificare le condizioni prescritte dalla legge, anche se non sanzionate dalla nullità, rende perciò legittima l’affermazione secondo la quale, in sede di omologazione, continuerebbero ad avere rilevanza anche tutte quelle cause di nullità che non potrebbero risultare invocabili dopo la costituzione della società, ai sensi del primo comma dell’art. 2332 c.c. 110 F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 4a ed., Milano, 1962. 62 Quindi, sotto tale profilo, la disciplina della nullità risulta ampiamente differenziata, a seconda che questa venga rilevata prima o dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese. Risultano applicabili non solo quelle disposizioni che riguardano la struttura e il contenuto del contratto, ma anche tutte quelle relative alle ipotesi di incapacità e di vizi del consenso, le quali, a loro volta, non solo delle singole partecipazioni, ma anche dell’intero contratto. Se si confronta questa casistica con quella prevista nell’art. 2332 c.c., allora, sembra legittimo accedere alla convinzione che esiste una sorta di distacco fra i piani in cui esse giacciono; infatti, vi sono delle ipotesi di invalidità che possono essere fatte valere prima della costituzione della società, ma, peraltro, le stesse ipotesi diventano successivamente inoperanti oppure operano in modo diverso. Anche sotto questo profilo, vi è una sensibile divergenza fra le regole applicabili, rispettivamente, prima e dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese. Dunque, tale momento segna la linea di demarcazione tra due diverse discipline111, in quanto in funzione di esso cambia il tipo di valutazione adottabile per un determinato assetto d’interessi. 111 G. COTTINO, Società per azioni, in Novissimo digesto italiano, vol. XVII, Torino, 1970. 63 12. Il diritto comunitario e la riforma del 2003 Le novità riguardanti la nullità della s.p.a. sono ascrivibile a due fattori, ossia: a) il primo è che l’art. 2332 c.c. è norma che, per il suo peculiare contenuto, non è destinata ad avere frequente applicazione giurisprudenziale. Se si prende in considerazione la giurisprudenza dall’unificazione dei codici ad oggi ci si renderebbe conto della quasi assoluta mancanza di pronunce edite in cui si sia dichiarata la nullità di una società di capitali ai sensi dell’art. 2332 c.c. Nonostante tutto, ciò non autorizza a considerare la disposizione priva di rilievo applicativo, in quanto il grado di effettiva applicazione dell’art. 2332 c.c. è inversamente proporzionale al numero dei casi di nullità dichiarate 112. b) il secondo è che le modifiche apportate al testo della norma non costituiscono elemento di rottura rispetto al sistema precedente, ma assecondano una tendenza emersa, non solo nel nostro ordinamento, con l’avvio, alla fine degli ormai lontani anni ‘60 del secolo scorso, del processo di armonizzazione comunitaria del diritto delle società di capitali. E ciò riduce sensibilmente l’enfasi con cui le stesse sono destinate ad essere accolte. Ciò detto, va rilevato che l’impatto della riforma sull’art. 2332 c.c. è stato molto forte, anche se in misura diversa, sui tre principi cardine intorno ai quali si articola la norma, ossia: - il principio di tassatività delle cause di nullità; F. AULETTA, La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, in Riv. Arb., 2004. 112 64 - il principio della liquidazione della società nulla; - il principio di eliminabilità dei vizi. Senza dubbio, le maggiori novità riguardano il primo profilo, ossia quello relativo all’individuazione delle cause di nullità, le quali hanno subito un ridimensionamento drastico113. Delle sette anomalie che figuravano nel testo previgente dell’art. 2332 c.c. risultano mantenute soltanto quelle che attengono a lacune formali o di contenuto dell’atto costitutivo, vale a dire: 1) la mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico; 2) l’illiceità dell’oggetto sociale; 3) la mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale. Sono state invece soppresse le cause di nullità relative a vizi di procedimento (art. 2332, nn. 1 e 6, c.c. vecchio testo) o riguardanti i soci (art. 2332, nn. 7 e 8, c.c. vecchio testo). La scelta operata dal legislatore delegato del 2003 risponde pienamente alle indicazioni della legge delega, il cui art. 4, comma 3°, lett. b) imponeva testualmente di «limitare la rilevanza dei vizi della fase costitutiva»114. 113 A. CANDIAN, Nullità e annullabilità di delibere assembleari, in U. M. Morello (a cura di), Atti del convegno ‘‘Riforma delle società di capitali e nuovi principi in tema di nullità e annullabilità di delibere assembleari’’, Paradigma, Roma - Milano, 2003. 65 La disciplina degli effetti si riduce nella previsione del 4° comma («la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori»), per cui è stato semplicemente disposto a carico degli amministratori, o dei liquidatori nominati ai sensi del quarto comma, l’obbligo di iscrivere nel registro delle imprese il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità. Per quanto riguarda il resto, l’assetto dell’art. 2332 c.c., è stato mantenuto sostanzialmente inalterato. Ulteriore novità riguarda il meccanismo della «sanatoria», la quale viene prevista dal 5° comma. Il testo novellato si limita a disporre che «la nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese. “Non è più dunque previsto che l’eliminazione del vizio avvenga per effetto di una modificazione dell’atto costitutivo, il che consente di ricorrere alla sanatoria anche nel caso di mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico“ (art. 2332, n. 1). Da quanto è stato appena detto è deducibile il significato delle novità apportate dalla riforma alla disciplina della nullità della società per azioni non è affatto trascurabile, anche perché la rilevanza dell’art. 2332 si estende ben oltre la materia della nullità115. 114 M. NOTARI, Costituzione e conferimenti nella s.p.a., in Il nuovo ordinamento delle società – Lezioni sulla riforma e modelli statutari (Consiglio Notarile di Milano, Scuola del Notariato della Lombardia, Federnotizie), Milano, 2003. 115 SOLDATI N., Nullità della clausola compromissoria in seguito a mancato adeguamento, articolo in rivista Diritto e pratica delle società, n. 2, 7 febbraio 2005. 66 Basti pensare ai riflessi che la stessa ha avuto sui problemi riguardanti la forma e il contenuto dell’atto costitutivo, o su quelli della qualificazione del contratto sociale, dell’interpretazione dello statuto e dell’inquadramento dei patti parasociali. Da qualche anno, in Europa si assiste ad un rallentamento che porterà ad una vera e propria crisi del processo di armonizzazione comunitario del diritto delle società di capitali, a favore di una prospettiva di concorrenza tra ordinamenti, come indicano due recenti decisioni della Corte di Giustizia in tema di libertà di stabilimento in materia societaria. Nell’ordinamento italiano, la nullità delle società è una disciplina armonizzata da oltre trenta anni. Infatti, il decreto di attuazione della prima Direttiva comunitaria è del 1969. La prospettiva dell’armonizzazione, rispetto a tale disciplina, sembra decisamente resistere, come dimostrato anche dall’esistenza di recentissime proposte della Commissione di revisione della prima direttiva e dalla stessa Relazione di accompagnamento al d.lgs. 6/2003 in cui si afferma testualmente che, nel riformare la disciplina dell’invalidità delle società, si è dovuto “tenere conto dei vincoli derivanti dagli obblighi comunitari, quali soprattutto quelli costituiti dalla prima direttiva europea in materia di società”116. 116 A. BARBA, Nulllità della società, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, vol. 2, I, Torino, 2003. 67 Ne consegue che il criterio guida, nell’interpretazione del nuovo testo dell’art. 2332 c.c., resta quello ripetutamente sancito dalla Corte di Giustizia, ma riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale italiana, di conformità al diritto comunitario. Tale principio comporta l’obbligo di preferire fra i possibili significati attribuibili alla disposizione interna, quello conforme alla norma comunitaria. 68 CAPITOLO II LE MODIFICHE INTRODOTTE ALL’ARTICOLO 2332 DEL CODICE CIVILE 69 1. Le modifiche introdotte dalla riforma. L’impianto originario dell’art. 2332 è stato leggermente modificato dal legislatore delegato, il quale ha eliminato alcune cause di nullità ed ha introdotto il nuovo 6° comma, relativo alla pubblicità del dispositivo della sentenza dichiarativa della nullità, e ritoccando anche la sua sanatoria. Antecedentemente al recepimento della direttiva comunitaria, l’art. 2332 non prevedeva alcuna elencazione delle cause di nullità; pertanto essa poteva essere richiamata in tutte le ipotesi di invalidità del contratto ai sensi degli articoli 1418 e 1419117. Con il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 (di recepimento della I Direttiva CEE118) veniva successivamente modificato l’art. 2332, rendendo maggiormente omogenea la disciplina dei singoli Stati membri e garantendo in tal modo l’effettivo e sicuro esercizio del principio di libertà di stabilimento dettato dall’art. 58 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea119. 117 A. BORGIOLI, La nullità della Società per Azioni, Milano, 1977; C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 5; M. GHIDINI, Estinzione e nullità delle società commerciali, Padova, 1937; A. FORMIGGINI, I vizi del consenso del contratto di società, Milano, 1952; G. PALMIERI, La nullità della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G. B. Portale, vol. 1, Torino, 2004. 118 Il riferimento è alla direttiva n. 151 del 9 marzo 1968 (68/151/CEE), ovvero alla I Direttiva europea emanata in materia societaria, pubblicata in Riv. Soc. 1968, p. 687. 119 M. CASSOTTANA, A. NUZZO, Diritto commerciale comunitario, Torino, 2002; A. DELLA CHÀ, Companies right of establishment and the Centros judgement of the European Court of Justice, in Dir. comm. int., 2000; GIULIANI THOMPSON L., Il conflitto nell’applicazione del diritto di stabilimento primario secondario delle società europee, in Contratto e Impresa Europa, 2000. 70 Le novità che il nuovo panorama presentava al legislatore comunitario erano caratterizzate da una vasta gamma di soluzioni previste per l’invalidità delle società; in particolare, si potevano individuare due grandi categorie. Nella prima ricadevano quegli ordinamenti giuridici (quali, ad esempio, quello tedesco e italiano), in cui l’istituto della nullità delle S.p.A. si caratterizzava per una attenta disciplina degli effetti della nullità; d’altro canto, altri ordinamenti giuridici (Francia, Belgio e Lussemburgo) seguivano un’altra impostazione secondo cui, quale contrappeso alla mancanza di un controllo preventivo sugli atti societari, si prevedeva una sovrabbondanza di cause di nullità unitamente a una complessa disciplina dei suoi effetti120. Alcuni121 hanno rilevato che, il legislatore italiano, a differenza degli altri ordinamenti, con il D.P.R. 29 dicembre 1969 n. 1127, ha aprioristicamente recepito tutte le cause di nullità contemplate dalla norma comunitaria senza preoccuparsi di adattare le soluzioni previste dalla direttiva al sistema nazionale122. Pertanto, il legislatore della Riforma è dovuto intervenire sull’art. 2332 sia in ragione dell’asserita superfluità e scarsa rilevanza pratica di alcune cause di nullità, sia dalla A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 146: “[il sistema] se permetteva in molti casi di procedere alla liquidazione della società come se si fosse trattato di un’ipotesi di scioglimento non consentiva peraltro sempre un risultato del genere perché veniva lasciata ai terzi la scelta se far valere o meno la nullité, per cui la soluzione aveva portata essenzialmente relativa e lasciava quindi un certo margine d’incertezza”. 121 A. LANZA, Effetti sull’ordinamento interno dell’”opera prima” comunitaria in tema di società, in Riv. Soc., 1970; G. FERRI, Disarmonie della legge di armonizzazione, in Riv. dir. comm., 1970; E. SIMONETTO, Ritocchi alla normativa della società contenuti nel decreto Pres. 29 dic. 1969 n. 1127, in Riv. dir. civ., 1970. 122 Esemplare, in tale senso, la previsione della mancanza dell’atto costitutivo quale causa di nullità. 120 71 necessità di meglio tutelare gli interessi protetti dalla norma; interessi identificati nella sicurezza dei traffici giuridici e nel principio di conservazione della società. In tal modo la riforma ha recepito i principi generici contenuti nella legge delega, ossia il principio di semplificazione123, relativo a tutta la disciplina delle società di capitali, sia alla limitazione della rilevanza dei vizi della fase costitutiva124. La Relazione conferma tali principi, la quale precisa che i vizi sono stati soltanto limitati a quelli che: “(…) assumono un senso alla luce della [disciplina della fase costitutiva], escludendo quindi ipotesi di difficile se non impossibile realizzazione e che pur in pratica mai presentatesi, avevano creato non trascurabili dubbi interpretativi di sistema e con essi l’eventualità di orientamenti interpretativi che potrebbero porre in pericolo il principio di tassatività delle cause di nullità alla base della norma”. In particolare, gli artt. 10 e ss. della I Direttiva CEE contengono i principi di armonizzazione della disciplina della nullità della società. In essi vi è l’idea che nelle società di capitali non bisogna consentire che un vizio relativo alla costituzione travolga l’esistenza stessa dell’intera società successivamente alla sua iscrizione nel registro delle imprese125. 123 Art. 2, lett. c). Art. 4, 3° comma, lett. b). 125 G. VILLA, Introduzione al diritto europeo delle società, Torino, 1996; G. PALMIERI, La nullità, cit., pp. 504-505 che – sebbene dall’incipit dell’art. 2332 si sia dedotto che prima della registrazione il contratto di società è soggetto alla disciplina generale sull’invalidità negoziale (art. 1418 ss.) salva l’applicazione delle norme specificamente dettate per i contratti associativi – ciò: “… non esclude affatto il ricorso all’art. 2332, commi 2-6, nell’ipotesi di nullità dichiarata prima che la s.p.a. sia stata iscritta nel registro delle imprese… Pertanto il riferimento all’iscrizione contenuto nell’incipit dell’art. 2332 non impedisce in astratto il richiamo della disciplina degli effetti della nullità delineata dalla norma, nel caso in cui questa venga dichiarata prima della registrazione…”. 124 72 Proprio considerando le diverse soluzioni registrate prima del recepimento della direttiva nei vari ordinamenti sia per quanto riguarda le cause di nullità, sia per quanto attiene agli effetti discendenti dalla dichiarazione della stessa 126, si è ritenuto doveroso armonizzare la disciplina della nullità trasformando le cause di nullità in cause di scioglimento, come nel nostro ordinamento prima del D.P.R 29 dicembre 1969 n. 1127 e rendendo tassative le cause di nullità, successivamente all’iscrizione della società nel registro delle imprese. L’art. 10, in primo luogo, prevede che venga adottata la forma pubblica per l’atto costitutivo qualora non vi siano dei sistemi di controllo ex ante di natura amministrativa (come in Inghilterra), o giudiziaria (come in Italia prima dell’eliminazione dell’omologa); in seconda battuta, l’art. 11 elenca in modo tassativo sei cause di nullità127. G. VILLA, Introduzione, cit., p. 33, afferma: “…ad esempio si ipotizzava che qualora la società fosse nulla per i vizi anche di sostanza (indeterminatezza dell’oggetto, mancanza delle capacità dei soci fondatori, annullabilità della partecipazione essenziale, ecc.), non venisse tutto travolto, in quanto si doveva ritenere che la società anonima (secondo le teorie sviluppate in Francia e Spagna) fosse comunque una società anonima cosiddetta irregolare od una società di fatto, nel senso che, anche se nulla come contratto o come persona giuridica, o non regolarmente costituita, aveva prodotto effetti, aveva esercitato un’attività, che non potevano essere annullati verso i terzi. Si trattava poi di vedere chi fossero i soci di questa società di fatto, chi rispondesse per questa anonima irregolare”. Conformemente cfr. A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 155 ss. per il quale: “…è in questo settore che, forse più che in altri, regnava la sostanziale eterogeneità di soluzioni, delle quali non tutte apparivano rispondenti alle esigenze di sicurezza dei traffici. Ė in questo settore che la necessità di un coordinamento si faceva dunque più urgente che altrove. Il punto nevralgico era rappresentato dall’efficacia della pronunzia di nullità: se questa dovesse avere effetto solo per il futuro al pari di una qualsiasi causa di scioglimento, ovvero potesse, almeno in parte, avere effetto retroattivo”. 127 In tema di cause di nullità così recitava l’art. 11: “a) mancanza dell’atto costitutivo o inosservanza delle formalità relative al controllo preventivo o della forma di atto pubblico; b) carattere illecito o contrario all’ordine pubblico dell’oggetto della società; c) mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, i conferimenti, o l’ammontare del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale; d) inosservanza delle disposizioni della legislazione nazionale relative alla liberazione minimale del capitale sociale; e) incapacità di tutti i soci fondatori; f) il fatto che, contrariamente alla legislazione nazionale che disciplina la società, il numero dei soci fondatori sia inferiore a due”. 126 73 L’ordinamento italiano, grazie alla riforma, ha potuto selezionare le cause di nullità che nel 1969 aveva, unico tra gli Stati membri, recepito in blocco. Infatti, la nuova versione dell’art. 2332: non contempla quelle previste dalla lettera a), salvo per quanto attiene alla mancanza della forma pubblica; recepisce la lettera b), senza tuttavia riprodurre il riferimento all’ordine pubblico; richiama interamente il dettato della lettera c); non recepisce, infine, il contenuto delle lettere d), e) ed f). Malgrado l’assenza di una norma di chiusura analoga a quella prevista dall’art. 11, ult. comma, della I Direttiva128, si deve ritenere che il principio di tassatività risulti rispettato in conseguenza del fatto che l’art. 2332 prevede che la nullità possa essere pronunciata soltanto nelle ipotesi contemplate dal 1° comma, nonostante, sotto il profilo relativo alle cause di nullità129, sembra che il recepimento della direttiva nel nostro ordinamento sia stato completo. La Corte di Giustizia, malgrado l’omogeneità di soluzioni adottate negli Stati membri e la chiarezza della norma comunitaria, è intervenuta più volte sul tema della nullità delle società di capitali sia in ordine al principio di tassatività, sia con riguardo all’ambito di applicazione della disciplina. In base al quale: “…fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità”. 129 La I Direttiva lascia invece liberi i legislatori nazionali di disciplinare autonomamente il profilo dei rapporti tra i soci. 128 74 2. Vizi dell’atto costitutivo: la mancanza della limitazione delle cause di invalidità. Il principio delle cause di nullità non vale se la società non è iscritta nel registro delle imprese130. Tale limitazione è in funzione della tutela di una serie di interessi che presuppongono una società già esistente; tale tutela non è prevista, né giustificabile quando la società ancora non è costituita. D’altro canto, si può rilevare che la stipulazione dell’atto costitutivo già di per sé porta alla creazione di un particolare vinculum juris131. Tale vincolo riguarda solo i partecipanti all’atto in quanto, per il momento, non si potrebbero ancora produrre effetti attuali nei confronti della società, perché questa non è ancora costituita, il che significa che l’attività degli interessati non può essere ancora valutata come attività sociale. Questi effetti inter partes132, d’altra parte, non hanno rilevanza autonoma, ma sono in funzione della costituzione della società133, per cui si deve ritenere che essi vengano meno quando risulti che non sia più possibile produrre la nascita di quest’ultima. Sotto tale profilo si comprende come mai in taluno possa nascere l’interesse a veder tale atto dichiarato invalido e perciò privato di ogni efficacia giuridica. Addirittura, tale interesse può presentare un carattere di urgenza, perché attendere che la società 130 L. DI FABIO, In tema di nullità della società, in Riv. Not., 1970; E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv. Soc., 1975; F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971. 131 G. FRÈ, Società per azioni, in Commentario del codice civile, Bologna-Roma, 1972. 132 Obbligo del versamento dei tre decimi, soggezione al complemento della fattispecie costitutiva per la durata di un anno dalla stipulazione del contratto. 133 G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società. Tipi. Costituzione, Milano, 1953; ID, Questioni in tema di costituzione di società di capitali, in Riv. Dir. comm., II, 1951. 75 sia stata costituita può significare veder vanificarsi e divenire irrilevanti alcuni motivi d’invalidità, e comunque ciò significa sempre che la dichiarazione di nullità operi come causa di scioglimento della società e quindi possa essere limitato quantitativamente l’effetto restitutorio della relativa pronuncia. Per tale motivo, una volta che sia stato stipulato l’atto costitutivo, i singoli partecipanti possano impugnarlo in tutto o in relazione alle singole partecipazioni per farne accertare la nullità o chiederne l’annullamento. Poiché la società non si è ancora costituita e quindi non può considerarsi come legittima passiva di tale azione, l’azione si propone nei confronti di tutti coloro che hanno partecipato all’atto. La domanda ha per oggetto l’accertamento dell’invalidità dell’atto costitutivo, ed è quindi diretta a far constatare che da tale atto nessun obbligo può derivare a carico di chi ha proposto l’impugnativa, che quindi costui non è affatto tenuto ad effettuare i conferimenti ovvero che, se egli li avesse in tutto o in parte effettuati, questi gli devono essere restituiti integralmente; infatti, l’effetto restitutorio dell’azione non incontra i limiti di cui all’art. 2332 c. c. L’oggetto della domanda investe l’atto costitutivo e la disciplina applicabile va desunta di conseguenza. Si tratta dell’impugnazione di un atto di natura negoziale, più precisamente di un contratto, dal momento che l’inquadramento dell’atto costitutivo fra i contratti plurilaterali non appare ormai seriamente contestata. Ciò consente, sia pure con gli adattamenti resi necessari dalla particolare struttura di tale atto, di applicare la normativa in materia contrattuale e regolare in tal modo quelle particolari vicende patologiche che possono verificarsi nelle fase anteriore 76 all’iscrizione nel registro delle imprese e che possono avere rilievo più o meno immediato sotto il profilo della problematica in oggetto. Si noti che non interessano qui tanto le ipotesi della risoluzione per inadempimento134 o quella della rescissione per lesione135, ipotesi che, al limite, inserite nella materia in esame e nelle strettoie del procedimento di costituzione, possono apparire poco più che casi di scuola, quanto piuttosto le vicende della nullità e dell’annullabilità del contratto. Sotto questo profilo si deve osservare che la presenza di un vizio può riguardare il regolamento contrattuale nella sua interezza ovvero una partecipazione essenziale, e in quest’ultimo caso travolgere poi ugualmente tutto il contratto. Mentre nel caso della nullità si avranno, per lo più, ipotesi del primo tipo l’annullabilità del contratto sembra confinata a fattispecie del secondo tipo. L’individuazione delle cause di nullità dell’intero contratto deve essere quindi compiuta, innanzitutto, facendo riferimento al disposto dell’art. 1418 c.c., in forza del quale il contratto è nullo quando fa difetto il consenso delle parti, ovvero la causa o l’oggetto, oppure quando l’oggetto del contratto è privo dei requisiti della liceità, 134 P. FERRO LUZZI, l contratti associativi, Milano, 1971; A. CARLO, Il contratto plurilaterale associativo, Napoli, 1967. 135 C. MIRABELLI, La rescissione del contratto, Napoli, 1951; FRÈ, Società per azioni, cit.; P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959; G. FERRI, Delle società, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968. 77 della determinatezza o determinabilità, o la causa è illecita o è illecito il motivo determinante comune alle parti, ovvero se manca la forma essenziale136. Senza pretesa di fornire qui un catalogo completo dei vizi, si può tuttavia ricordare, scendendo ad esaminare qualche aspetto particolare di tali vicende, che la mancanza del consenso può realizzarsi oltre che nelle ipotesi scolastiche del contratto di società concluso per gioco o per esercitazione di scuola137, anche nel caso di dissenso occulto138 ovvero di violenza assoluta o di consenso prestato in stato di ipnosi, per tacere poi dell’ipotesi dell’assoluta mancanza dell’atto costitutivo. La mancanza della causa non sembra viceversa avere rilievo in quanto l’atto costitutivo di società per azioni è un negozio a causa tipica; lo stesso argomento vale per escluderne l’illiceità139. Non così, viceversa, per quanto riguarda l’illiceità del motivo determinante, che sia comune a tutte le parti. La società può infatti essere costituita con l’intento di destinare ad una finalità non lecita gli utili sperati140, benché l’oggetto sociale, in sè e per sè, sia da considerarsi lecito; lo stesso si dica nell’ipotesi in cui un oggetto lecito 136 R. SACCO, Il contratto, Torino, 1975.; F. MESSINEO, Il contratto in genere, II, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1972. 137 M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, 4a ed., IV, Milano, 1916. 138 P. GRAZIANI, La società per azioni, Napoli, 1948; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. III, I, 1, Milano, 1952. 139 SPATAZZA, Le società per azioni, I, cit., p. 45. 140 GHIDINI, Società personali, cit., p. 905. 78 sia preordinato a favorire e rendere possibile un’ulteriore e diversa attività illecita141. In questi casi la nullità dell’ atto costitutivo è inevitabile. D’altro canto, per quanto riguarda l’oggetto sociale, si può osservare che condurrà alla nullità dell’atto costitutivo la sua illiceità, la sua assoluta indeterminatezza e, in base ai principi, anche la sua impossibilità. Un’ulteriore causa di nullità è rappresentata dal difetto della forma essenziale, cioè dalla mancanza di un atto pubblico142. 141 GHIDINI, Società personali, cit., il quale adduce il seguente esempio: una società avente come oggetto (lecito) la costruzione di contenitori che, secondo il comune intento dei soci, sono destinati ad un terzo che deve servirsene per lo spaccio di stupefacenti, con l’intesa della divisione del guadagno conseguito in tale ulteriore illecita attività. 142 Se la forma dell’atto pubblico sia richiesta quale requisito di validità dell’atto costitutivo in sè considerato, ovvero in funzione della sua iscrizione nel registro delle imprese, quindi quale requisito di validità della società. Sembra peraltro certo che, anche accogliendo quest’ultima tesi, l’atto costitutivo non può essere considerato fine a se stesso; per cui - difettando della forma essenziale per la costituzione della società - risulterebbe inutilmente stipulato. Con l’ulteriore conseguenza che, una volta stipulato in una forma inidonea allo scopo per il quale esso viene concluso, deve potersi far valere tale genere di vizio, perché questo non può essere eliminato, se non attraverso la ripetizione dell’atto nella forma prescritta. 79 3. I vizi previsti nell’art. 2332 c.c. L’art. 2332 contempla i vizi possibili della costituzione della società, i quali, pur riguardando l’atto costitutivo, non sarebbero da considerarsi causa di nullità sulla base dei principi generali, oppure non riguardano affatto l’atto costitutivo, ma altri elementi del procedimento di costituzione. Sia l’atto costitutivo che gli altri elementi del procedimento di costituzione non sono fine a sé stessi, ma, viceversa, sono in funzione della nascita della società, la quale, una volta costituita, potrebbe essere dichiarata nulla ai sensi dell’art. 2332 c.c. Perciò, in questi casi, potrebbe apparire preferibile che la nullità sia subito rilevabile, per un evidente principio di economia di attività, senza dover attendere che il procedimento di costituzione si sia completato. La legge considera rilevanti i vizi che riguardano elementi diversi dell’atto costitutivo143 sotto il profilo di cui all’art. 2332 c. c. perché si riflettono sulla società, in quanto tale; viceversa, fino a quando la società non sia costituita, oggetto di autonoma impugnazione può essere solo l’atto costitutivo e ciò per l’intuitiva ragione che non si può impugnare ciò che non è ancora venuto ad esistenza. Il difetto del versamento dei tre decimi, ovvero il difetto di omologazione, non influiscono infatti sulla validità dell’atto in sé, ma piuttosto sulla sua efficacia, in quanto si pongono come ostacolo al regolare completamento della fattispecie costitutiva. Quindi, fino a quando non sia spirato il termine di un anno dalla I vizi contemplati nell’art. 2332 c.c., che riguardano il contenuto o la forma dell’atto costitutivo possono essere fatti valere non appena l’atto costitutivo sia stato stipulato. Infatti essi non sono eliminabili se non in conformità ai principi in materia contrattuale e quindi attraverso la ripetizione dell’atto nella forma e con il contenuto voluto dalla legge. 143 80 stipulazione di un atto costitutivo non si può escludere che tali elementi possano essere completati a cura degli interessati, trattandosi di elementi intrinseci rispetto all’atto medesimo. La conclusione è che i vizi in oggetto sono senz’altro rilevabili in sede di omologazione, perché questa consiste in un controllo di legalità, e non in un’impugnazione; e lo possono essere, almeno in parte, anche in sede di iscrizione144. Viceversa, non potrebbe impugnarsi la validità dell’atto costitutivo per tali motivi. Infatti, non si è in presenza di un’ipotesi di invalidità, ma di inefficacia e l’eventuale azione diretta ad accertare l’inefficacia non può precludere la possibilità che le condizioni di efficacia si realizzino, anche in pendenza della lite, almeno fino a quando ciò sia consentito dalla legge. L’invalidità dell’atto costitutivo, oltre che da un vizio intrinseco, può derivare anche dalla nullità o annullabilità di una partecipazione che, secondo le circostanze, sia da ritenere essenziale145; quindi, è un vizio della partecipazione e non dell’atto in sé. Infatti, ciò che conta in questi casi non è il grado di estensione del vizio del regolamento, ma unicamente il riflettersi sulla funzione dell’organizzazione della prestazione che viene a mancare per effetto del vizio della partecipazione146. 144 Il cancelliere addetto si può infatti legittimamente rifiutare di iscrivere una società per la quale faccia difetto l’omologazione e il conseguente ordine di iscrizione. 145 G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di persone, in Riv. Dir. civ., I, 1963; P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971; L. FERRI, La società di due soci, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1959; T. ASCARELLI, Contratto plurilaterale, comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio di una società personale di due soci, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; A. AMATUCCI, Società e comunione, Milano, 1971. 146 C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975; L. FERRI, Le società, Torino, 1971; GHIDINI, Società personali, cit. 81 Non vi è dubbio sul fatto che la situazione presenti una certa analogia con quella dell’impossibilità dell’oggetto sociale147; peraltro, dubbio è che le due fattispecie possano identificarsi, nel senso che il venir meno di una partecipazione essenziale si converta senz’altro in un’ipotesi di impossibilità dell’oggetto. Il fenomeno è caratterizzato da una inidoneità dell’organizzazione, che residua a seguito del venir meno della partecipazione essenziale, a realizzare quelle finalità che il regolamento contrattuale contemplava ab initio. Il che comporta che si possa parlare di un’alterazione delle basi economiche dell’affare; alterazione che è da valutare secondo le circostanze così come previsto testualmente dagli artt. 1420 e 1446 c.c. Quindi, la valutazione avviene secondo un parametro relativo, che può dipendere anche da apprezzamenti soggettivi circa la situazione che venga a realizzarsi a seguito dell’invalidazione della singola partecipazione. La valutazione circa l’essenzialità della partecipazione va fatta in relazione al momento della stipulazione del contratto. La disciplina degli artt. 1420 e 1446 cod. civ., infatti, si riferisce ad un contratto che non ha ancora ricevuto esecuzione, presuppone quindi una situazione statica148 che si realizza solo finché la società non sia stata effettivamente costituita. Si aggiunga che, una volta che la società sia stata iscritta nel registro delle imprese, la causa di invalidità in oggetto diventa 147 V. SALANDRA, La nullità delle società secondo il nuovo codice, in Riv. Dir. comm., I, 1946; L. FERRI, Delle società, in Commentario del Codice Civile, 2a ed., Bologna-Roma, 1968. 148 Quindi una situazione di identità delle parti e di immutabilità della loro reciproca posizione; GHIDINI, Società personali, cit., p. 896. 82 assolutamente irrilevante sotto il profilo dell’art. 2332 c.c., per cui sarebbe spontaneo prendere in considerazione l’eventuale successivo mutamento delle reciproche situazioni soggettive dei membri della compagine sociale149. L’applicazione dei principi in materia d’invalidità alle fattispecie fin qui considerate non presenta difficoltà insormontabili. L’atto costitutivo può essere impugnato senza limiti, perchè il contratto sociale, fino a quando la società non sia stata iscritta, produce solo effetti inter partes. Per lo più, si aggiunga che tale atto non avrà neppure avuto esecuzione; infatti, esso è diretto ad organizzare un’attività futura, ma tale attività può avere inizio solo quando la società è costituita; al massimo, potranno essere effettuati in tutto o in parte i conferimenti; ma questo non può considerarsi ancora come un’esecuzione vera e propria, stante il carattere strumentale dei conferimenti rispetto allo svolgimento dell’attività. Quindi, una situazione del genere non impedisce che possa dichiararsi la nullità del contratto sociale e che tale dichiarazione possa avere i consueti effetti restitutori. D’altro canto, non essendo ancora costituita la società, non si realizzano neppure i presupposti per quella particolare tutela che consente nel far salvi gli atti della società. Nel frattempo, se sono stati compiuti atti nell’interesse della società, non è quest’ultima che è chiamata a rispondere, ma unicamente chi ha agito: non essendoci 149 GHIDINI, Società personali, cit., p. 895. 83 motivo perchè i terzi godano di una tutela più ampia di quella concessa nel caso in cui l’atto costitutivo sia valido. Un altro possibile strumento per rilevare l’esistenza di eventuali vizi prima della costituzione della società è rappresentato dal giudizio di omologazione150, in forza del quale il Tribunale è chiamato ad effettuare un controllo circa la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione delle società. Si tratta di un giudizio che rientra nell’ambito dei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio151 e che, secondo l’impostazione tradizionale, sarebbe da ricondurre alla categoria della volontaria giurisdizione152. Esso si caratterizza sia per l’oggetto che per il modus procedendi. L’oggetto dell’omologazione consiste in un controllo deferito al Tribunale circa la legalità degli elementi del procedimento costitutivo, controllo che si estende, oltre che alla forma degli atti, anche alla loro sostanza. D’altro canto, il procedimento si svolge in assenza di contraddittorio ai sensi degli artt. 737 e segg. c.p.c.153 Sotto il primo profilo, se è certo che il Tribunale possa e debba rilevare la sussistenza di eventuali cause di nullità dell’atto costitutivo154, nonché delle cause di invalidità 150 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. Dir. comm., I, 1974; G. SPATAZZA, Le società per azioni, I, cit.; A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, Milano, 1954; A. SCIALOJA, Natura e limiti del controllo giudiziario degli atti sociali, in Saggi di vario diritto, II, Roma, 1928. 151 A. MICHELI, Camera di consiglio, in Enciclopedia del diritto, vol. I, Milano, 1959; V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., vol. IV, Napoli, 1964; E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Milano, 1963. 152 F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; FRÈ, Società per azioni, cit.; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962. 153 PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit., p. 631. 84 delle società previste dall’art. 2332 cod. civ. e così pure verificare se sussistono sia le condizioni per la costituzione della società di cui all’art. 2329 cod. civ., sia la relazione giurata di stima dei conferimenti in natura, nonché controllare l’osservanza delle norme sull’organizzazione e il funzionamento delle società, non è altrettanto sicuro se debba estendere il suo esame ai requisiti soggettivi di validità dell’atto e quindi accertare se i contraenti abbiano la capacità di agire, se le dichiarazioni delle parti siano immuni da vizi della volontà e così via. A sostegno della soluzione negativa, per quanto riguarda i vizi della volontà, questa risulterebbe condizionata dalla struttura del procedimento di omologazione, che si svolge nelle camere di consiglio e senza contraddittorio. Infatti, si assume che il Tribunale dovrebbe formare il proprio convincimento solo sulla base degli elementi che possono essere desunti dall’atto sottoposto ad omologazione e dagli altri documenti esibiti, mentre non potrebbe tener conto di elementi desumibili aliunde e per la cui acquisizione sarebbe necessaria una vera e propria attività in contraddittorio. La struttura del procedimento volontario, infatti, non permetterebbe che il sindacato del giudice si estenda al di là dell’atto sottoposto al controllo e dei documenti che la legge richiede che vengano ad essi allegati155. Il giudice ha la più ampia libertà di accertamento, nei limiti dell’oggetto del giudizio, e cioè circa la legalità degli atti sottoposti al suo esame. Egli ha il governo 154 D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971; OPPO G., Forma e pubblicità nelle società di capitali, in Riv. Dir. civ., I, 1996; G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società. Tipi. Costituzione, cit.; L. FERRI, Le società, Torino, 1971. 155 A. IANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1968. 85 dell’assunzione degli elementi di giudizio, non essendo questi soggetti alla disponibilità delle parti. Se è vero infatti che l’esercizio del potere del giudice deve essere sollecitato da un’apposita domanda, è però altrettanto vero che, quando si verificano i presupposti per tale esercizio, i poteri di indagine del giudice non risultano condizionati alle sole allegazioni della parte, potendosi essi esplicare liberamente. L’allargamento dell’indagine ad elementi estrinseci rispetto agli atti a lui presentati sarà dunque motivata per lo più dalla sussistenza negli atti medesimi di elementi tali da sollevare oggettivamente dubbi sulla legalità del procedimento; ma una più ampia indagine può essere peraltro suscitata anche da segnalazioni che gli provengano dagli stessi interessati circa la presenza di vizi o irregolarità156. Il potere di ufficio non esclude infatti che il suo esercizio possa essere sollecitato dai privati. Nel suo potere-dovere di indagine il giudice può, d’altro canto, assumere informazioni, sia presso terzi, sia presso gli stessi interessati, perchè ciò non dovrebbe ritenersi incompatibile con la struttura del procedimento in oggetto. Se a seguito dell’esame da lui svolto il giudice si convince che l’atto costitutivo o gli allegati non sono conformi alla legge, egli dovrà negare l’omologazione, anche se per giungere a tale accertamento abbia dovuto estendere la propria indagine ad elementi estrinseci rispetto alla documentazione esibita. 156 C. DI LORENZO, Validità e limiti della clausola di stile con cui si delega agli amministratori il potere di apportare all’atto costitutivo ed allo statuto le eventuali modifiche «richieste» dal tribunale in sede di omologazione, in Riv. soc., 1968. 86 La funzione affidatagli consiste infatti in un controllo di legalità e non interessa come egli abbia potuto accertare una difformità rispetto alle prescrizioni di legge, purché a ciò sia giunto facendo uso dei poteri concessigli dal codice di rito. La stessa soluzione vale anche, a fortiori, per quanto riguarda l’accertamento della capacità degli stipulanti. Già prima della riforma del 1969 tale soluzione veniva prospettata da quella stessa dottrina che negava al giudice dell’omologazione, per il resto, un più ampio potere di indagine157. Il D.P.R. 29 dicembre 1969 n. 1127 ha peraltro introdotto fra le cause di nullità rilevanti ai sensi dell’ art. 2332 c.c. l’ incapacità di tutti i soci fondatori e non c’è dubbio che il Tribunale debba rifiutare l’omologazione, quando, attraverso gli accertamenti da esso compiuti, risulti l’esistenza di tale causa d’invalidità, perchè è incongruo omologare una società quanto essa già risulti inficiata da nullità. Nè, d’altro canto, si potrebbe obiettare che l’incapacità è invocabile solo dagli interessati, perchè il giudizio di omologazione non è sottoposto al principio dispositivo delle parti, nel senso che l’oggetto del medesimo è solo l’accertamento della legalità della costituzione della società, per cui non vi sono limiti, per le ragioni esposte in precedenza, alla possibilità di verificare l’esistenza di cause di illegittimità. Sotto tale profilo si deve ritenere che l’incapacità, ogni volta che sia possibile rilevarla nel corso del procedimento, debba portare al rifiuto dell’omologazione, 157 A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.; ID., Il controllo giudiziario degli atti sociali annullabili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952. 87 anche quando non riguardi tutti i suoi fondatori, in quanto la presenza anche di un solo incapace fra i fondatori si converte pur sempre in una difformità dell’atto costitutivo rispetto ai requisiti di legge158. Considerazioni in gran parte analoghe valgono per gli altri possibili motivi di invalidità dell’atto costitutivo, in quanto si tratta anche in questo caso di vicende caratterizzate dalla non conformità al dettato della legge. Più in generale si può osservare che, per lo stesso motivo, il giudice ha il potere-dovere di rilevare ogni tipo di illegittimità, cioè di difformità rispetto alla legge e quindi anche tutte quelle irregolarità che attengono ad elementi diversi dall’atto costitutivo: così il mancato versamento dei decimi, la mancanza della relazione giurata di stima per i conferimenti in natura, il difetto delle autorizzazioni prescritte, ecc.. 158 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974; D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971. 88 4. Invalidità delle partecipazioni essenziali e invalidità delle singole partecipazioni. Oltre che da un vizio ad esso intrinseco, l’invalidità dell’atto costitutivo può derivare anche dalla nullità o annullabilità di una partecipazione che, secondo le circostanze, sia da ritenere essenziale (artt. 1420, 1446 cod. civ.)159. Quindi è un vizio della partecipazione e non dell’atto in sé. In questi casi, ciò che conta, infatti, non è il grado di estensione del vizio del regolamento, ma unicamente il riflettersi sulla funzione dell’organizzazione della prestazione che viene a mancare per effetto del vizio della partecipazione. Non c’è dubbio che la situazione presenti una certa analogia con quella dell’impossibilità dell’oggetto sociale160; dubbio peraltro è che le due fattispecie possano identificarsi, nel senso che il venir meno di una partecipazione essenziale (nulla o annullabile che sia) si converta senz’altro in un’ipotesi di impossibilità dell’oggetto. Si è infatti esattamente rilevato che nei casi qui esaminati non si sarebbe in presenza, almeno in via di principio e necessariamente, di “un’impossibilità dell’attività in sè e per sè oggettivamente considerata”161, ma di un’impossibilita relativa. G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di persone, in Riv. Dir. civ., 1963, I; P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971; G. FERRI, La società di due soci, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1952; T. ASCARELLI, Contratto plurilaterale, comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio di una società personale di due soci, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975; GHIDINI, Società personali, cit. 160 V. SALANDRA, La nullità della società secondo il nuovo codice, in Riv. dir. comm., 1946, l, 13; G. FERRI, Delle società, 2a ed., in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968. 161 FERRO-LUZZI, I contratti associativi, cit., p. 357. 159 89 In effetti il fenomeno è caratterizzato da una inidoneità dell’organizzazione, che residua a seguito del venir meno della partecipazione essenziale, a realizzare quelle finalità che il regolamento contrattuale contemplava ab initio. Il che importa che si possa parlare di una alterazione delle basi economiche dell’affare; alterazione che è da valutare «secondo le circostanze» così come suona la testuale previsione degli artt. 1420 e 1446 cod. civ. La valutazione avviene, quindi, secondo un parametro relativo, che può dipendere anche da apprezzamenti soggettivi circa la situazione che venga a realizzarsi a seguito dell’invalidazione della singola partecipazione. La nullità delle singole partecipazioni può derivare dalla mancanza del consenso (violenza assoluta, falsificazione della sottoscrizione etc.) ovvero dalla inesistenza o illiceità dell’oggetto del conferimento (casi questi ultimi essenzialmente di scuola e quindi di scarso rilievo effettivo). Non altrettanto scolastici possono dirsi viceversa le ipotesi di annullabilità: qui la disciplina generale del contratto sia pure con gli adattamenti resi necessari dalla particolare struttura dell’atto costitutivo - può infatti trovare piena e concreta attuazione. L’invalidità potrà perciò conseguire all’incapacità della parte, all’errore, alla violenza o al dolo secondo i principi generali162. 162 F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. Dir. comm., 1974, I. 90 5. Il giudizio di omologazione: oggetto e rilevabilità dei vizi della volontà. L’esistenza di eventuali vizi prima della costituzione della società può essere rilevata grazie allo strumento del giudizio di omologazione163, in forza del quale il Tribunale è chiamato ad effettuare un controllo circa la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società. Si tratta di un giudizio che rientra nell’ambito dei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio164 e che, secondo l’impostazione tradizionale, sarebbe da ricondurre alla categoria della volontaria giurisdizione165. Esso si caratterizza sia per l’oggetto che per il modus procedendi. L’oggetto dell’omologazione consiste in un controllo deferito al Tribunale circa la legalità degli elementi del procedimento costitutivo, controllo che si estende, oltre che alla forma degli atti, anche alla loro sostanza. D’altro canto, il procedimento si svolge in assenza di contraddittorio ai sensi degli artt. 737 e segg. c.p.c.166 Sotto il primo profilo, se è certo che il Tribunale possa e debba rilevare la sussistenza di eventuali cause di nullità dell’atto costitutivo, nonché delle cause di invalidità della società previste dall’art. 2332 c.c.167 e così pure verificare se sussistono sia le 163 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974, I; SPATAZZA, Le società per azioni, cit.; A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.; SCIAWJA A., Natura e limiti del controllo giudiziario degli atti sociali, in Saggi di vario diritto, Roma, 1928 II. 164 A. MICHELI, Camera di consiglio, cit.; V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, cit.; E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit.; P. PAJARDI, La giurisdizione volontaria, Milano, 1963. 165 F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, Milano, 1971; A. GRAZIANI, Diritto delle società, cit. 166 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione, op. cit., p. 153. 167 L. GIACCARDI-MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione, cit., p. 175. 91 «condizioni» per la costituzione della società di cui all’art. 2329 c.c., sia la relazione giurata di stima dei conferimenti in natura, nonché controllare l’osservanza delle norme sull’organizzazione e il funzionamento della società, non è altrettanto sicuro se debba estendere il suo esame ai requisiti soggettivi di validità dell’atto e quindi accertare se i contraenti abbiano la capacità di agire, se le dichiarazioni delle parti siano immuni da vizi della volontà e così via. A sostegno della soluzione negativa si è osservato che questa risulterebbe condizionata dalla struttura del procedimento di omologazione, che si svolge in camera di consiglio e senza contraddittorio. Si assume infatti che il Tribunale dovrebbe formare il proprio convincimento solo sulla base degli elementi che possono esser desunti dall’atto sottoposto ad omologazione e dagli altri documenti esibiti, mentre non potrebbe tener conto di elementi desumibili aliunde e per la cui acquisizione sarebbe necessaria una vera e propria attività in contraddittorio. La struttura del procedimento volontario non permetterebbe infatti che il sindacato del giudice si estenda al di là dell’atto sottoposto al controllo e dei documenti che la legge richiede che vengano ad esso allegati168. L’argomento, però, risulta del tutto inadeguato in quelle, peraltro rare, ipotesi nelle quali l’esistenza di un vizio del genere potrebbe esser rilevabile sulla base degli stessi 168 A. IANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, cit. 92 atti depositati per l’omologazione169. In questi casi infatti è senza dubbio da preferirsi la soluzione secondo la quale il giudice avrebbe il potere di rilevarne senz’altro l’esistenza. Né varrebbe in contrario addurre che i vizi del volere sono di regola invocabili solo dalla parte interessata: infatti «la decisione del Tribunale deve essere di conformità o di difformità dell’atto rispetto alla legge e l’atto annullabile non è conforme allo schema previsto dal legislatore». Ma è possibile andare oltre. Non sembra infatti da accettare senza riserve l’affermazione che il giudice non possa estendere il proprio controllo al di là di quanto risulta dagli atti a lui esibiti. La legge infatti gli riconosce la possibilità di assumere informazioni (art. 738 c.p.c.). E questo è senza dubbio indice di un potere inquisitorio, non essendo subordinata l’assunzione delle informazioni predette all’istanza della parte. Sotto questo profilo l’oggetto dell’indagine può estendersi anche ad elementi diversi dalla documentazione prodotta e, stante l’idoneità dei procedimenti ispirati al principio inquisitorio170 a conseguire comunque un accertamento, si potrà dunque avere un accertamento circa la legalità o l’illegalità dell’atto. Non può quindi escludersi che il giudice acquisisca per questa via conoscenza della esistenza di vizi tali da rendere 169 G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971. 170 P. CALAMANDREI, Il processo inquisitorio e il diritto civile, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965; T. CARNACINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore di Redenti, II, Milano, 1951; M. CAPPELLETTI, Iniziative probatorie e basi pregiuridiche della struttura del processo, in Processo e ideologie, Bologna, 1969; P. VIGNOLO, Principio inquisitorio e impulso di ufficio nel procedimento di interdizione, in Riv. dir. civ., 1975, I. 93 difforme l’atto medesimo rispetto ai requisiti di legge e quindi tale da farlo dichiarare non omologabile. Naturalmente, poiché l’accertamento del Tribunale non dà luogo alla cosa giudicata, nulla impedisce che venga proposto un nuovo ricorso corredato da una diversa documentazione ovvero diretto a chiedere l’omologazione dell’atto già respinto, ma ora emendato dai vizi riscontrati in precedenza171. Il giudice ha dunque la più ampia libertà di accertamento, nei limiti dell’oggetto del giudizio, e cioè circa la legalità degli atti sottoposti al suo esame. Egli ha il governo dell’assunzione degli elementi di giudizio, non essendo questi soggetti alla disponibilità delle parti. Se è vero infatti che l’esercizio del potere del giudice deve essere sollecitato da un’apposita domanda (istanza di omologazione), è però altrettanto vero che, quando si verificano i presupposti per tale esercizio, i poteri di indagine del giudice non risultano condizionati alle sole allegazioni della parte, potendosi essi esplicare liberamente. L’allargamento dell’indagine ad elementi estrinseci rispetto agli atti a lui presentati sarà dunque motivata per lo più dalla sussistenza negli atti medesimi di elementi tali da sollevare oggettivamente dubbi sulla legalità del procedimento; ma una più ampia indagine può essere peraltro suscitata anche da segnalazioni che gli provengano dagli stessi interessati circa la presenza di vizi o irregolarità. 171 C. DI LORENZO, Validità e limiti della clausola di stile con cui si delega agli amministratori il potere di apportare all’atto costitutivo ed allo statuto le eventuali modifiche «richieste» dal tribunale in sede di omologazione, cit. 94 Il potere di ufficio non esclude infatti che il suo esercizio possa essere sollecitato dai privati. Nel suo potere-dovere di indagine il giudice può, d’altro canto, assumere informazioni, sia presso terzi, sia presso gli stessi interessati (es. il socio la cui dichiarazione di volontà sia viziata), perchè ciò non dovrebbe ritenersi incompatibile con la struttura del procedimento in oggetto. Se a seguito dell’esame da lui svolto il giudice si convince che l’atto costitutivo o gli allegati non sono conformi alla legge, egli dovrà negare l’ omologazione, anche se per giungere a tale accertamento abbia dovuto estendere la propria indagine ad elementi estrinseci rispetto alla documentazione esibita. La funzione affidatagli consiste infatti in un controllo di legalità e non interessa come egli abbia potuto accertare una difformità rispetto alle prescrizioni di legge, purché a ciò sia giunto facendo uso dei poteri concessigli dal codice di rito. 6. Rilevabilità dell’incapacità delle parti. A fortiori, la stessa soluzione vale anche per quanto riguarda l’accertamento della capacità degli stipulanti. Tale soluzione, già prima della riforma del 1969 veniva prospettata da quella stessa dottrina che negava al giudice dell’omologazione un più ampio potere di indagine172. Peraltro, il D.P.R. 29 dicembre 1969 ha introdotto fra le cause di nullità rilevanti ai sensi dell’art. 2332 cod. civ. l’incapacità di tutti i soci fondatori e non vi è dubbio che 172 A. PAVONE LA ROSA, Il controllo giudiziario degli atti sociali annullabili, cit. 95 il Tribunale debba rifiutare l’omologazione, quando, attraverso gli accertamenti da esso compiuti, risulti l’esistenza di tale causa d’invalidità, perchè è incongruo omologare una società quanto essa già risulti inficiata da nullità. Né, d’altro canto, si potrebbe obiettare che l’incapacità è invocabile solo dagli interessati, perchè il giudizio di omologazione non è sottoposto al principio dispositivo delle parti, nel senso che l’oggetto del medesimo è solo l’accertamento della legalità della costituzione della società, per cui non vi sono limiti, per le ragioni esposte in precedenza, alla possibilità di verificare l’esistenza di cause di illegittimità. Sotto tale profilo si deve ritenere che l’incapacità, ogni volta che sia possibile rilevarla nel corso del procedimento, debba portare al rifiuto dell’omologazione, anche quando non riguardi tutti i suoi fondatori, in quanto la presenza anche di un solo incapace fra i fondatori si converte pur sempre in una difformità dell’atto costitutivo rispetto ai requisiti di legge173. Considerazioni in gran parte analoghe valgono per gli altri possibili motivi di invalidità dell’atto costitutivo, in quanto si tratta anche in questo caso di vicende caratterizzate dalla non conformità al dettato della legge. Più in generale si può osservare che, per lo stesso motivo, il giudice ha il poteredovere di rilevare ogni tipo di illegittimità, cioè di difformità rispetto alla legge e quindi anche tutte quelle irregolarità che attengono ad elementi diversi dall’atto 173 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974, I; D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971. 96 costitutivo: come ad esempio il mancato versamento dei decimi, la mancanza della relazione giurata di stima per i conferimenti in natura, il difetto delle autorizzazioni prescritte, ecc.174. 7. Effetti della sentenza sull’invalidità dell’atto costitutivo: la tutela prevista dall’art. 2332 c.c. Nella possibilità di rimedi giudiziari di varia natura ed estensione, in primo luogo, vi è la possibilità dell’azione per l’accertamento della nullità o per l’annullamento dell’atto costitutivo. Prima ancora della costituzione della società, essa può essere promossa da quegli stipulanti che hanno interesse a far valere l’esistenza di eventuali vizi nei confronti degli altri partecipanti all’atto. La sentenza, ovviamente, farà stato solo nei confronti delle parti in giudizio e queste saranno obbligate a restituire il conferimento a chi abbia ottenuto l’annullamento, ovvero la dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo. La durata del processo non si può ritorcere a danno di colui che lo ha tempestivamente promosso. Il fatto che la società sia stata costituita non può certo render valido l’atto costitutivo se questo non lo era in origine, ma ne può rendere, caso mai, irrilevante l’invalidità nei confronti della società costituita, a meno che non 174 L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali, op. cit., pp. 175-176. 97 si tratti di una di quelle ipotesi contemplate dall’art. 2332 c.c. nel qual caso potrà promuoversi l’azione di nullità prevista. Quindi, il processo potrà continuare fra coloro che hanno preso parte alla costituzione della società, perchè chi l’ha promosso non può essere costretto a vedere dileguarsi la responsabilità di chi ha contrattato insieme a lui175. La sentenza, naturalmente, farà stato solo tra le parti e non anche nei confronti delle società, a meno che non venga integrato il contraddittorio anche nei suoi confronti, e comunque, anche in quest’ultimo caso, non potrà avere efficacia se non nei limiti consentiti dall’art. 2332 c.c. Coloro che hanno partecipato alla stipulazione dell’atto restano responsabili senza limiti per la restituzione dei conferimenti o del loro valore176. Dunque, nei loro confronti, la sentenza potrà svolgere i consueti effetti retroattivi, senza incontrare i limiti di cui all’art. 2332 c.c. Ma l’eventuale esistenza di cause di invalidità può essere oggetto di accertamento anche nel giudizio di omologazione; il rifiuto dell’omologazione, infatti, porterà all’impossibilità di costituire la società e al conseguente obbligo di restituzione dei conferimenti. 175 ANGELICI, La società nulla, cit. Salvo che non siano del tutto immuni da colpa. Potrebbe apprezzarsi come colposo il comportamento di coloro che hanno proceduto all’iscrizione della società, nonostante l’instaurazione del giudizio diretto a far dichiarare l’invalidità dell’atto costitutivo o della partecipazione sociale. Resta pur sempre salva la possibilità di evitare tale apprezzamento sfavorevole prestando idonee garanzie per l’ipotesi in cui l’azione di nullità o di annullamento venga accolta. 176 98 Si può rilevare, sotto tale profilo, che il rifiuto dell’omologazione tutela pienamente la posizione di coloro che hanno interesse alla dichiarazione di nullità o all’annullamento dell’atto costitutivo o anche di una singola partecipazione. Posizione che non risulta altrettanto efficacemente protetta nel caso in cui l’omologazione abbia esito positivo e la società possa costituirsi. Infatti, in quest’ultima ipotesi, anche se la relativa azione sia stata promossa tempestivamente, si potrà fare affidamento solo all’annullamento o sulla dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo nei confronti degli atti stipulanti e quindi sulla responsabilità patrimoniale di questi ultimi, mentre l’eventuale azione promossa nei confronti della società potrà operare solo nei limiti e con gli stessi effetti propri dello scioglimento. Pertanto, è evidente l’interesse degli stipulanti a far risultare nel procedimento di omologazione l’esistenza di un’eventuale causa di nullità o di invalidità dell’atto costitutivo. Infatti, solo attraverso questo strumento la loro posizione gode di una tutela integrale. Sotto tale profilo, si può ritenere che si deve riconoscere agli stipulanti la legittimazione ad intervenire o comunque il diritto ad essere ascoltati nel procedimento camerale177, perchè possano esporre eventuali ragioni che militano contro l’omologazione, onde ottenere un rifiuto o una sospensione della 177 G. SPATAZZA, Le società per azioni, cit.; A. MICHELI, Camera di consiglio, in Enciclopedia del diritto, cit. 99 medesima178, e ciò specialmente nel caso in cui sia già stato promosso giudizio di nullità o annullamento dell’atto costitutivo in via contenziosa. L’art. 2330, 2° comma, c.c. prevede, infatti, sia pure ad altri fini, la possibilità che ciascun socio, assumendo l’iniziativa, prenda parte a tale procedimento e, d’altro canto, la soluzione contraria solleverebbe più di un dubbio sotto il profilo della contrarietà all’art. 24 Cost., in quanto inciderebbe negativamente sulla difesa del diritto a non vedersi vincolato da un atto invalido, che indubbiamente ha colui che ha preso parte al medesimo179. Dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese, resta infine la possibilità di fare accertare la nullità ai sensi dell’art. 2332 c.c., ovvero di fare annullare la singola partecipazione, ma questi rimedi operano con effetto ex nunc, quindi sullo schema dello scioglimento, e soddisfano perciò solo in parte l’interesse della parte ad un completo effetto restitutorio. Di qui l’importanza del tempestivo esercizio degli altri strumenti processuali posti a disposizione dall’ordinamento. L’aspetto centrale della disciplina dell’invalidità della società è comunque rappresentato dall’azione di nullità prevista dall’art. 2332 c.c. Secondo l’art. 1421 c.c., che rappresenta l’enunciazione dei principi fondamentali che regolano l’azione di nullità, salvo diversa disposizione di legge, la nullità può 178 A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit. E. REDENTI, Diritto processuale civile, I, Milano, 1952; A. IANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1968; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano, 1971; E. ALLORIO, Saggio polemico sulla «giurisdizione» volontaria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948; F. ALCAMO, Impugnativa del decreto di omologazione delle delibere assembelari, in Giur. sic., 1960. 179 100 essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Legittimazione, almeno in apparenza, amplissima, sol limitata dalla presenza di un interesse, effettivo ed attuale, a tale tipo di rimedio giurisdizionale180. L’identificazione in concreto della sfera degli interessati alla pronuncia della nullità conduce peraltro ad una sensibile riduzione del loro ambito181. Se può infatti ammettersi senza difficoltà che i soci siano legittimati a richiedere la dichiarazione di nullità della società e possano avervi un effettivo interesse, molto più problematico è il discorso con riferimento ai creditori e ai terzi in genere. La nullità della società, infatti, non turba in alcun modo i rapporti fra loro medesimi e la società, rapporti la cui esistenza viene in via di principio garantita dalla legge come se si trattasse di una società regolarmente costituita. Per identificare la sfera dei legittimati occorre partire dal presupposto che dell’interesse alla pronunzia di un determinato provvedimento può giudicarsi solo in relazione agli effetti che tale provvedimento è destinato a produrre. Sotto tale profilo può essere sufficiente osservare che, operando la dichiarazione di nullità alla stregua di una causa di scioglimento, l’interesse a tale dichiarazione coincide con l’interesse a provocare lo scioglimento della società e la sussistenza di questo ultimo può pertanto essere ricercata solo nell’ambito dei soci182. Ciò è facilmente verificabile in quanto i terzi che non hanno alcun rapporto con la società non possono essere legittimati, perchè non è possibile identificare un loro 180 G. JUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973; R. SACCO, Il contratto, Torino, 1975. 181 A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit. 182 C. ANGELICI, La società nulla, cit. 101 interesse alla pronunzia della nullità che non sia il generico interesse all’attuazione del diritto. Ma secondo l’opinione che appare preferibile questo non è sufficiente a dar luogo alla legittimazione in materia di declaratoria d’invalidità 183. Analogo discorso può valere per quanto guarda gli eventuali imprenditori concorrenti della società. Neppure legittimati possono considerarsi i creditori potenziali o futuri in quanto l’interesse di cui all’art. 1421 deve essere attuale. I creditori attuali della società non hanno alcun interesse, perchè la dichiarazione di nullità non incide sulla loro posizione, che è fatta salva come se avessero trattato con una società regolare che si trova ad esser posta in liquidazione184. Resta infine da esaminare la posizione dei creditori particolari dei soci. Ma anche in questo caso la valutazione deve essere negativa. Nel sistema societario italiano la 183 G. JUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, cit., p. 124; in particolare la giurisprudenza richiede un interesse qualificato, o quanto meno, l’esistenza di un concreto interesse ad agire, che si contrappone, in quanto tale, al mero interesse al rispetto della legge. Cass., 04/05/1966, n. 1125, in Foro it. Mass., 1966, 365; App. Milano, 16/06/1970, in Giur. merito, 1972, I, 408; Cass., 27/06/1961, n. 1553, in Foro it. Mass., 1961, 393. 184 I creditori sociali possono, in teoria, avere un interesse ad evitare che la società, attraverso un allargamento degli impegni, non sia più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni. Ma tale interesse è irrilevante fino a quando il patrimonio sociale sia in grado di coprire le obbligazioni assunte; quando, d’altro canto, tale possibilità viene meno, l’interesse dei creditori viene tutelato con la richiesta di fallimento e non già con l’azione per dichiarare nulla la società. Accolgono la stessa soluzione qui sostenuta: G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, cit.; S. SATTA, Società di persone tra società di capitali, in Riv. dir. comm., 1968. Diversa risulta la soluzione accolta nell’ordinamento francese, nel quale, pur attraverso il succedersi delle formulazioni legislative, si conserva ai terzi l’option se valersi, oppure no, della nullità, ma ciò si giustifica, appunto, in relazione alle conseguenze che possono trarsi da tale impostazione: da un lato i creditori sociali possono utilizzare l’azione in nullità per negare l’esistenza della società e quindi invocare la responsabilità personale dei soci; dall’altro i creditori particolari dei soci possono far valere la nullità del conferimento, eliminare l’autonomia patrimoniale della società e quindi soddisfarsi sul conferimento medesimo: cfr., su tutti, HÉMARD J., Les Sociétés de fait endroit français, in Travaux de l’Association Henry Capitant, XI, 1957, Paris, 1960. 102 possibilità di scioglimento anticipato su istanza dei creditori del socio è limitata alla società semplice e alle società irregolari e riguarda, inoltre, non già la dissoluzione dell’intera società, ma solo la liquidazione della quota del proprio debitore, essendo ciò sufficiente a tutelare l’interesse dei creditori185. Negli altri casi essi non possono, viceversa, interloquire. D’altro canto, occorre considerare che la posizione del creditore dell’azionista è sufficientemente tutelata attraverso la possibilità di esercitare un’azione esecutiva sui titoli azionari di proprietà del debitore, ed in ogni caso, quando non vi sia altra possibilità di soddisfarsi e il debitore rimanga inerte, attraverso l’esercizio, in via surrogatoria, dell’azione di nullità spettante al debitore medesimo. In via di principio la legittimazione ad agire spetta dunque ai soli soci, e più precisamente ai soci attuali; peraltro, nel caso dell’incapacità di tutti i soci fondatori si deve ritenere che anche i rappresentanti legali degli incapaci siano legittimati ad agire, così come è la regola per tutte le forme di invalidità che riguardano gli atti compiuti da incapaci. La nullità è di norma rilevabile d’ufficio. Ma non sembra che nel sistema dell’art. 2332 c.c. resti spazio alcuno per tale possibilità. Infatti la rilevabilità d’ufficio della nullità opera in concreto come denegatio actionis nei confronti di colui che fonda le proprie pretese su un atto nullo. Ma la nullità della società non importa la nullità degli atti da questa compiuti e nemmeno esonera i soci dal completamento dei 185 G. FERRI, Delle società, cit.; F. GALGANO, Le società di persone, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1972. 103 versamenti dovuti, per cui il meccanismo della denegatio actionis non può in concreto operare. Si aggiunga che gli effetti della dichiarazione di nullità rientrano nello schema di quelli propri dello scioglimento, per cui il problema va anche in questo caso impostato nel senso di verificare se vi può essere spazio per uno scioglimento della società ex officio judicis. La soluzione non può essere che negativa186, in quanto l’art. 2448 c.c., ult. comma, se prevede la possibilità di uno scioglimento per provvedimento dell’autorità governativa nei casi previsti dalla legge187, non contempla viceversa la possibilità che lo scioglimento sia pronunziato d’ufficio dal giudice. Né a giustificare tale soluzione può essere sufficiente l’art. 2191 c.c., in quanto il potere del giudice del registro di ordinare la cancellazione di un’iscrizione quando questa è stata effettuata senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, non può essere utilizzato per fattispecie del genere188. Del resto la pronuncia di cui all’art. 2332 c.c. postula un procedimento contenzioso ordinario che si conclude con una sentenza, quindi con un provvedimento suscettibile di formare la cosa giudicata. Ma tale procedimento presuppone un contraddittorio fra parti private e non sopporta di essere promosso per iniziativa d’ufficio se non nei casi eccezionalmente previsti E. SIMONETTO, La nuova stesura dell’art. 2332 e la società di capitali irregolare, in Riv. dir. civ., 1974; A. BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948. 187 E cioè, in sostanza, nella ipotesi in cui è prevista la liquidazione coatta amministrativa: cfr. G. FRÈ, Società per azioni, cit., p. 786. 188 A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit., p. 619, dove si nega, in particolare, che possa ordinarsi la cancellazione delle iscrizioni disposte dal Tribunale in sede di omologazione; E. BOCCHINI, La pubblicità delle società commerciali, cit.; G. FERRI, Imprese soggette a registrazione, cit. 186 104 dalla legge; quanto poi ad una iniziativa del pubblico ministero essa deve parimenti escludersi, in quanto consentita solo nei casi espressamente previsti dalla legge189. Dunque, se il legislatore ha previsto delle cause di nullità, non ha tuttavia predisposto un idoneo strumento processuale attraverso il quale esse possano essere fatte valere con altrettanta larghezza. Infatti, le caratteristiche dell’azione di nullità ora reperibile riducono in concreto la legittimazione ad processum ai soli soci, dovendosi negare l’ammissibilità di azioni popolari di qualsiasi genere e così pure un’iniziativa ex officio diretta a conseguire una pronuncia di nullità. 189 V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., I, Napoli, 1954; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959; M. VELLANI, Il pubblico ministero nel processo, II, Bologna, 1970. 105 CAPITOLO III LE IPOTESI DI NULLITA’ PREVISTE DALL’ART. 2332 C.C. 106 1. Le cause di nullità soppresse e quelle introdotte dal nuovo diritto societario La deroga ai principi generali, fino al 1969, non comprendeva le cause, ma solo gli effetti della nullità della società per azioni. Tali cause si evincevano dalla disciplina di diritto comune, come tuttora accade per le società personali. Il primo comma dell’art. 2332, a seguito della modifica introdotta dal d.p.r. 29 dicembre 1969, n. 1127190, che aveva come fine l’adeguamento della nostra legislazione societaria alla I direttiva del Consiglio Cee del 9 marzo 1968191, sanciva che, avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la nullità della società per azioni poteva essere pronunciata soltanto negli otto casi ivi tassativamente previsti192. Le cause di nullità previste ai nn. 2, 4 e 5 non sono state soppresse, ma soltanto innovate in alcuni aspetti, e costituiscono oggi, rispettivamente, i numeri 1, 2 e 3 del primo comma dell’art. 2332 c.c. Le cause soppresse sono invece quelle che erano menzionate ai nn. 1, , 6, 7 e 8 del vecchio testo dell’art. 2332. Il numero 1 intendeva la mancanza materiale del documento, o, al limite, falsità materiale integrale dello stesso, giammai, come ritenevano in molti, la mancanza o l’inesistenza giuridica dell’atto costitutivo, menzionando la mancanza dell’atto costitutivo. Tale ultima seconda soluzione avrebbe finito col rimettere alla 190 Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1969, n. 1127, in Gazzetta Ufficiale 10 febbraio 1970, n. 35. 191 G. MINERVINI, Primi approcci con una «miniriforma». Una nuova disciplina della pubblicità per le società di capitali, in Riv. soc., 1970. 192 E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Napoli, 1977. 107 discrezione dell’interprete la scelta di quali vizi negoziali di diritto comune possano comportare la nullità della società, con grave pregiudizio delle esigenze di certezza del diritto sottese alla novella del 1969193. La Riforma ha definitivamente risolto tale questione sopprimendo questa causa di nullità e uniformandosi agli ordinamenti degli altri Paesi dell’Unione europea, nessuno dei quali vi aveva attribuito rilievo. Alla luce dell’eliminazione citata ed in combinazione con la quasi coeva eliminazione del controllo omologatorio sull’atto costitutivo (legge 340 del 2000194), inoltre, resta ancora aperta la questione riguardante il controllo della conformità dell’atto costitutivo allo schema legale: il problema può essere esaminato in uno con quello oggi posto dal mantenimento, tra le cause di nullità, della mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico. Il numero 3 menzionava la «inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 2330 relative al controllo preventivo», e riprendendo il dettato dell’art. 11 della direttiva comunitaria, è stato soppresso dall’art. 32, terzo comma, della legge 24 novembre 2000, n. 340, abolitiva dell’omologazione dell’atto costitutivo. Il numero 6 riguardava l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 2329, n. 2, e dunque il mancato versamento dei tre decimi dei conferimenti in denaro; un vizio afferente, quindi, non all’atto costitutivo ma al procedimento costitutivo. In ossequio 193 G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. II. Le società, Torino, 2002; M. SCIUTO, La «mancanza dell’atto costitutivo» di società per azioni, Padova, 2000. 194 Legge 24 novembre 2000, n. 340, “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999”, in Gazzetta Ufficiale n. 275 del 24 novembre 2000. 108 allo spirito della direttiva comunitaria, teso a restringere il più possibile le cause invalidanti, doveva ritenersi che non fosse causa di nullità il versamento che, seppure non conforme alle modalità previste dal n. 2 dell’art. 2329 c.c., fosse stato comunque effettuato nelle mani degli amministratori. Il mancato versamento dei tre decimi, nel nuovo diritto societario, torna ad avere lo stesso valore che aveva prima del ‘69, vale a dire quello di una semplice condizione per la costituzione della società. Sul piano pratico, inoltre, si ha la conferma che, contrariamente a quanto da alcuni affermato in passato, la società non è nulla nel caso di mancata attuazione dei conferimenti in natura195. Nel numero 7 si può ben notare come l’ordinamento ricollegasse eccezionalmente all’incapacità l’effetto della nullità, non concependo la validità della costituzione di una società tra soggetti tutti incapaci. Considerando anche questa ipotesi sotto il profilo della nullità, il legislatore mostrava di voler «racchiudere tutte le ipotesi dell’art. 2332 c.c. nel contesto unitario dell’invalidità»196. La norma era ad ogni modo oggetto di interpretazione restrittiva, ritenendosi avesse riguardo alla sola incapacità legale197. La circostanza che, in questo caso, si avesse nullità della società indipendentemente dal fatto che l’incapacità fosse fatta valere come motivo di annullamento delle singole partecipazioni sociali, peraltro, era agevolmente spiegabile con la 195 G.F. CAMPOBASSO, La costituzione della società per azioni, in La riforma del diritto societario, Milano, 2003. 196 G. RAGUSA MAGGIORE, Trattato delle società. II. Le società di capitali. La società per azioni. Formazione della società per azioni, Padova, 2003; M. MERIDDA, Sulle cause di nullità delle società di capitali (art. 2332 c.c.), in Giur. comm., 1975. 197 C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975. 109 considerazione che l’incapacità di tutti i soci fondatori avrebbe impedito il regolare funzionamento della società198. Da questo punto di vista, è possibile credere che nonostante la soppressione, ad opera della Riforma, di questa causa, essa continui a rilevare come causa di scioglimento della società ex art. 2484, n. 3, c.c. Inoltre, con riguardo alla singola partecipazione, riprende ad applicarsi la normativa generale sull’incapacità, e dunque la disciplina dell’annullabilità. La «mancanza della pluralità dei fondatori», di cui al n. 8, andava intesa nel senso della mancanza fisica ed era riferita esclusivamente all’ipotesi di partecipazione all’atto costitutivo di una sola persona199. Se, successivamente alla stipulazione dell’atto costitutivo, la pluralità dei fondatori veniva meno, per effetto dell’impugnativa di singole partecipazioni, la società non era nulla; infatti, l’annullamento, avendo efficacia irretroattiva, non valeva ad escludere la pluralità iniziale dei fondatori; in questo caso, pertanto, si sarebbe verificata l’ipotesi dell’unico azionista ex art. 2362 c.c. Inoltre, non era nulla la c.d. società preordinata ad unico azionista, costituita cioè con l’intervento in atto di uno o più prestanomi compiacenti che trasferiranno le azioni ad un unico socio subito dopo che sia completato il procedimento costitutivo200. 198 F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001. C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, vol. XVI., Torino, 1985; E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Napoli, 1977; A. BORGIOLI, La nullità della società per azioni, Milano, 1977. 200 Cass., 28/09/1994, n. 7899, in Società, 1995, 342; Cass., 02/07/1990, n. 6764, in Riv. dir. comm., 1991, 289. 199 110 Secondo l’art. 2328 c.c., la soppressione di questa causa di nullità, già venuta meno per la s.r.l. nel 1993, era una scelta obbligata in un sistema che ormai ammette la costituzione anche della società per azioni per atto unilaterale. 2. Il principio di tassatività. L’elencazione delle anomalie che i legislatori nazionali avevano facoltà di prevedere come cause di nullità della s.p.a. con la seguente norma di chiusura: «fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità» era accompagnata dall’art. 11 della prima direttiva. Sostanzialmente, si tratta del principio di tassatività delle cause di nullità della s.p.a. Nell’economia del sistema delineato nella direttiva ma anche in quello dell’art. 2332 c.c., assume rilievo fondamentale, malgrado l’insofferenza con cui talvolta è considerato, come confermato anche dalla Relazione di accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6201, oltre che dalla stessa legge delega in cui è esplicito il riferimento all’esigenza di «limitare la Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366”, in Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003. 201 111 rilevanza dei vizi della fase costitutiva» (art. 4, comma 3, lett. b) della legge 3 ottobre 2001 n. 366202)203. Da un lato, tale principio, conferisce significato non meramente esemplificativo all’elencazione legislativa dei vizi; dall’altro, indica un preciso ed inderogabile indirizzo ermeneutico: quello, espressamente richiamato dalla Corte di Giustizia, nella sentenza Marleasing, di un’interpretazione non estensiva, bensì strettamente letterale, appunto tassativa, dei casi di nullità della s.p.a. Nell’ordinamento italiano si pone l’esigenza di un’interpretazione coerente con la lettera e con lo spirito della prima direttiva comunitaria, in quanto la norma di chiusura indicata nell’art. 11 non trova fedele traduzione nell’art. 2332 c.c. che si limita a prevedere «la nullità della società può essere pronunciata soltanto nei seguenti casi». Tale formulazione sintetica del principio di tassatività era già presente nel testo anteriore alla riforma del 2003, ed ha rallentato non poco l’applicazione nel diritto vivente dei principi della direttiva nel sistema italiano, ostacolata dalla frequente e perdurante formulazione di proposte interpretative sulle singole cause di nullità del tutto incompatibili con essa 204. Sul piano applicativo, il principio ha una duplice implicazione: Legge 3 ottobre 2001, n. 366, “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”, in Gazzetta Ufficiale n. 234 dell’8 ottobre 2001. 203 E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv. Soc., 1975. 204 B. DE GIOVANNI, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964. 202 112 a) la prima è che non possono essere considerate rilevanti, ai fini della validità della s.p.a., vizi di nullità, assoluta o relativa, annullabilità o inesistenza diversi da quelli indicati nell’art. 2332 c.c., ivi compresi quelli riconducibili alle quattro cause di nullità soppresse dalla riforma; b) la seconda implicazione è che viene limitato o precluso il ricorso a norme ed istituti incompatibili con la disciplina degli effetti della dichiarazione di nullità della s.p.a. espressi nell’art. 2332. Ciò significa che alle s.p.a. non è applicabile la disciplina dell’invalidità parziale oggettiva (artt. 1419 e 1446 c.c.) e soggettiva (art. 1420 c.c.). Infatti, la nullità che una singola clausola possa reagire sull’intero contratto in presenza della condizione indicata nell’art. 1419 c.c. viene impedita dalla limitazione delle cause di nullità, così come viene preclusa la dichiarazione di invalidità della società per vizi delle singole partecipazioni, anche là dove queste siano da considerarsi «essenziali» secondo lo schema degli artt. 1420 e 1446 c.c. L’eventuale presenza di vizi delle partecipazioni dei soci, nel sistema attuale, è destinata, per tale motivo, ad inficiare solo ed esclusivamente la validità del singolo rapporto, sempre che si attribuisca a tali vizi rilevanza sul piano societario. Per quanto riguarda l’invalidità della singola partecipazione, il problema che nasce in tale ambito si sviluppa nel momento in cui devono essere individuati i principi applicabili in caso di invalidità della singola partecipazione, 113 considerato che l’art. 2332 c.c. regola esclusivamente gli effetti della dichiarazione di nullità della società. In dottrina, su tale punto, è stata raggiunta una conclusione ampiamente condivisa che è quella di considerare l’invalidità della singola partecipazione alla stregua di una causa di recesso ex lege del socio, cui non va restituito il conferimento, ma liquidata la quota. Tale conclusione è imposta dalla decisiva considerazione che, nel caso di invalidità parziale soggettiva, emergono esigenze di tutela del tutto simili a quelle poste a fondamento dell’art. 2332 c.c. che rendono inutilizzabili i principi di diritto comune205. Quest’ultima circostanza si manifesta in modo molto evidente nelle società per azioni unipersonali in cui l’invalidità della partecipazione, privando la s.p.a. dell’unico socio, reagisce, per definizione, sull’intero rapporto sociale. L’omessa lettura dello statuto costituisce pertanto una delle ipotesi in cui l’art. 2332 può concretamente trovare applicazione. Invece, all’ambito applicativo della norma, sono del tutto estranei i vizi dell’atto costitutivo che non attengono alla sua forma di atto pubblico, vale a dire ogni anomalia, sostanziale e procedimentale, che può astrattamente presentarsi a prescindere dalla veste formale con cui l’atto è stato redatto. Si tratta di una puntualizzazione tutt’altro che superflua. Non è infatti da escludere che, in seguito alla recente soppressione dell’omologazione e alla 205 G. FILANTI, La nullità (diritto civile), in Enc. Giur. Treccani, XXI, 1990. 114 conseguente cancellazione, dall’elenco dei casi di nullità della s.p.a. ,dell’ipotesi già prevista nel vecchio testo dell’art. 2332 c.c., si proponga, con riferimento alla nullità per mancanza dell’atto pubblico, un’interpretazione analoga a quella che parte della dottrina e della giurisprudenza aveva accolto in relazione alla prima206. In altri termini, si potrebbe essere indotti, con il venir meno del filtro giudiziario in sede di costituzione e l’attribuzione in esclusiva al notaio del controllo di conformità alla legge dell’atto costitutivo, ad affermare la nullità della s.p.a. per mancanza della forma dell’atto pubblico, ogni qual volta il notaio che ha ricevuto l’atto non ha correttamente effettuato il controllo di conformità dell’atto costitutivo alla legge. Tale interpretazione, come è evidente, trova un sormontabile ostacolo nel principio di tassatività, per cui va decisamente respinta. Invece, la riforma non ha respinto la vexata questio del rilievo da assegnare al vincolo formale, ovvero se la forma dell’atto pubblico sia richiesta solo come condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese o ad substantiam. Dunque, il tema è destinato a restare aperto, così come impone proprio l’art 2332 c.c. e che va estesa anche al preliminare di società ai sensi dell’art. 1351 c.c.207. 206 E. SARACINI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971. P. ABBADESSA, Nullità della società per mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332 n. 1), in Giur. comm., 1974. 207 115 3. Mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico. Le proiezioni applicative della previsione contenuta nell’articolo 2332 c.c., che non è mutata rispetto alla versione prima della riforma, continuano a riferirsi ad ipotesi in cui la redazione dell’atto costitutivo abbia luogo in spregio “delle prescrizioni necessaria a formare l’atto pubblico” o lo stesso “sia stipulato da un pubblico ufficiale incompetente o incapace”208. La disciplina introdotta dalla riforma dovrebbe consentire di risolvere i dubbi riguardanti la portata invalidante dell’omessa lettura, da parte del notaio, dello statuto209. Infatti, la circostanza che l’articolo 2328 c.c. ha definitivamente chiarito che lo statuto costituisce parte integrante dell’atto costitutivo, implica la necessità della lettura dello stesso ai fini della corretta formazione dell’atto pubblico210. Invece, resta controverso se la forma dell’atto pubblico costituisca un elemento dell’atto costitutivo rilevante ad substantiam, ossia integri sic et simpliciter una condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese: problema questo la cui soluzione assume riflessi decisivi ai fini dell’individuazione della forma del contratto preliminare di società per azioni211. 208 G. PALMIERI, La nullità della società per azioni, in Trattato Colombo-Portale, Torino, 2004, p. 94. 209 M. DI FABIO, S. TONDO, Atto costitutivo e statuto di società, in Riv. Not., 1993, p. 696; M. STELLA RICHTER, Forma e contenuto dell’atto costitutivo della società per azioni, in Trattato delle società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Utet, Torino, 2004, p. 167. 210 G. PALMIERI, op. loc. ult. cit. 211 G. PALMIERI, op. cit. 116 4. (Segue): Illiceità dell’oggetto sociale. Quella per illiceità dell’oggetto sociale è la causa di nullità destinata ad avere la maggiore applicazione giurisprudenziale. Tale anomalia incide fortemente sulla legalità dell’agire societario e la sua inclusione nel ristretto elenco dell’art. 2332 c.c., dimostrando come, nell’economia della disposizione, fondamentale rilievo assume la tutela di tale interesse, che non può tollerare la presenza di s.p.a. costituite per lo svolgimento di attività non consentite dall’ordinamento. Rispetto a quello della salvaguardia dell’integrità degli apparati produttivi, posto alla base della principio di tassatività sollecitando l’alternativa, caratteristica del congegno dell’art. 2332 c.c., tra rimozione dell’anomalia e liquidazione ope iudicis della s.p.a., viene a prevalere l’esigenza di salvaguardare la legalità dell’agire societario. Pertanto, sembra riferibile anche alla nullità della società per azioni il carattere sanzionatorio proprio di ogni ipotesi di nullità, il quale lungi dall’essere affievolito o ridimensionato, è piuttosto adattato alle specifiche, multiformi esigenze che l’attività di impresa solleva quando è svolta in forma di società di capitali212. Sono due i problemi che solitamente vengono posti in relazione a tale causa di nullità; il primo attiene al significato che nel contesto dell’art. 2332 c.c. R. FRANCESCHELLI, Nullità per illiceità dell’oggetto di società di capitali registrate?, in Giur. comm., 1979. 212 117 assume il termine «illiceità» e riguarda, in particolare, l’individuazione dei criteri in base ai quali va operato questo giudizio «di valore» sull’oggetto sociale; il secondo è se tale giudizio si limiti alla clausola dell’atto costitutivo o vada esteso all’attività in fatto esercitata. Per quel che concerne la prima questione, la recente riforma del diritto societario ha alleggerito la formulazione della norma che si presenta oggi priva del riferimento, presente nel testo previgente, alla «contrarietà all’ordine pubblico». Sul piano interpretativo, la modifica non è priva di riflessi, in quanto consente di superare definitivamente le incertezze generate dall’endiadi contenuta nella versione originaria della disposizione che faceva testuale riferimento all’«illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale», inducendo a dubitare che la contrarietà al buon costume rientrasse nella previsione normativa213. Infatti, anche il nuovo testo dell’art. 2332, n. 2 c.c., indicante l’«illiceità dell’oggetto sociale» come causa di nullità della s.p.a., autorizza ad attribuire, senza alcuna esitazione, al termine «illiceità» il triplice significato di contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, assecondando così l’opinione formatasi nel vigore della disciplina previgente. Tuttavia, anche ove si facesse capo alla nozione di ordine pubblico economico, e ad onta dell’ampiezza del concetto di illecito, è estremamente improbabile S. MONTICELLI, Fondamento e funzione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale, in Rivista di Diritto Civile, 1989. 213 118 che nella pratica ci si possa imbattere in oggetti sociali contrari al buon costume o all’ordine pubblico. L’esame della giurisprudenza elaborata nei trenta anni di applicazione della norma indica che l’ipotesi di illiceità dell’oggetto sociale emersa è quella per contrarietà a norme imperative, talvolta in relazione ai fenomeni, di indubbia rilevanza economico-sociale, delle società immobiliari di comodo o delle società tra professionisti214. A tal riguardo, è giusto precisare che affinché si realizzi tale fattispecie è necessario che si tratti di un illecito in assoluto, cioè che si tratti di una attività sempre e comunque vietata, e non di un’attività che può essere esercitata solo dietro concessione di speciali autorizzazioni, come ad esempio l’attività bancaria o finanziaria. Tale impostazione non può essere tuttavia condivisa. Infatti, essa postula una distinzione tra attività oggettivamente illecite e attività lecite, ma subordinate ad autorizzazione amministrativa, che appare evanescente e ingiustificata. Evanescente, perché tra le prime vi sono attività che, in presenza di autorizzazione amministrativa, sono pienamente consentite, al pari delle seconde215. Ingiustificata, perché viene ad operare, ai fini dell’applicazione dell’art. 2332 c.c. , un’arbitraria gerarchia tra norme funzionali alla tutela di interessi 214 215 G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Roma, 1995. R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXVIII, Milano, 1978. 119 generali, posto che tali sono anche quelli protetti dalle disposizioni che subordinano ad autorizzazione amministrativa determinate attività , di particolare rilevanza economica e sociale, o le riservano a particolari soggetti; e si pensi agli artt. 10, comma 2, e 11, comma 2, D.lg. 1 settembre 1993, n. 385216 e 4, D.lg. 24 febbraio 1998, n. 58217. Ai fini dell’applicazione dell’art. 2332 c.c., pertanto, è alquanto irrilevante l’individuazione degli interessi protetti dalla norma violata, così come è irrilevante la gravità e la tipologia delle sanzioni, amministrative o penali, che la violazione della norma stessa determina218. La circostanza che la mancanza delle autorizzazioni richieste per lo svolgimento di determinate attività rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 2332 c.c., del resto, trova oggi significativo riscontro nell’art. 223-quater, comma 2, disp. att. in base al quale l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni di cui agli artt. 2329 e 2436 c.c. è altresì legittimata, qualora l’iscrizione nel registro delle imprese sia avvenuta nonostante la loro mancanza o invalidità, a proporre istanza per la cancellazione della società medesima dal registro. Una volta sentita la società, il tribunale provvede in camera di consiglio e nel caso di accoglimento dell’istanza si applica l’articolo 2332 del codice. Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle Leggi in materia Bancaria e Creditizia”, in Gazzetta Ufficiale n. 230 del 30 settembre 1993. 217 Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”, in Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 1998, n. 71. 218 C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975. 216 120 Il collegamento tra mancanza delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività indicata all’oggetto sociale e applicazione dell’art. 2332 c.c. è oggi dunque sancito in via legislativa219. In questa prospettiva, diviene plausibile l’evenienza di un’illiceità sopravvenuta dell’oggetto sociale, nei casi in cui venga revocata l’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività indicata nell’oggetto sociale, o quando vengano meno i presupposti fissati da norme imperative per lo svolgimento della stessa. Il che arricchisce notevolmente la portata applicativa della causa di nullità indicata al n. 2 dell’art. 2332 c.c. Per quanto riguarda il fatto se la liceità vada valutata in base all’oggetto statutario o a quello «reale», resta ormai superata l’opinione che riteneva necessario valutare l’attività concretamente svolta. 5. (Segue): Omissioni nell’atto costitutivo. L’ultima causa di nullità è costituita dalla mancanza dell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, i conferimenti oppure l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale. Tale causa di nullità costituisce la fedele traduzione dell’art art. 11 n. 2, lett. c) “mancanza, nell’ atto costitutivo o nello statuto, di ogni indicazione 219 I. BOLOGNA, Considerazioni sulla nullità parziale nei negozi giuridici, nota a Trib. Napoli, 16 marzo 1951, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1951. 121 riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ ammontare del capitale sottoscritto, o l’ oggetto sociale”, della prima direttiva che, in sede di attuazione, ha trovato puntuale riscontro nella gran parte degli ordinamenti nazionali e che risulta di chiara matrice germanica, essendo modellata sul testo degli art. 216 e 275 dell’Aktiengesetz del 1937 e del 1965. In genere, a questa viene attribuita la funzione di individuare le indicazioni contenute nell’art. 2328 c.c. che non possono essere omesse, altrimenti pena la nullità della società iscritta220. Ai fini della validità della società, la scelta di considerare essenziali soltanto le indicazioni relative alla denominazione, ai conferimenti, all’ammontare del capitale sociale e all’oggetto sociale, si spiega in virtù della considerazione che queste contribuiscono in maniera decisiva a determinare le caratteristiche dell’organizzazione sociale, e quindi sono destinate a condizionare la sua stessa funzionalità. Infatti, è molto visibile il fatto che la mancanza di tali elementi viene a minare l’efficiente e regolare svolgimento dell’attività sociale, con evidente pregiudizio per i soci e per i terzi. In tal modo viene impedita l’applicazione delle più elementari regole organizzative, legali e statutarie, che dagli stessi non possono prescindere, 220 M. LEOCATA, Trasformazione progressiva e sanatoria ex art. 2332 c.c. delle cause di invalidità dell’atto costitutivo, in Vita notarile, 2001. 122 spiegando anche la ragione per cui la loro assenza è elevata dal legislatore al rango di causa di nullità della s.p.a. A questo punto, è opportuno precisare che, secondo il testo dell’art. 2332 c.c., la fattispecie viene integrata dalla mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante i suddetti elementi. Tale formulazione impone alcune puntualizzazioni sui criteri in base ai quali va operato il giudizio sulla mancanza o meno di ogni indicazione. In base al tenore letterale della norma, tale valutazione deve essere fondata esclusivamente su quanto risulta dall’atto costitutivo, cui va senz’altro equiparato, malgrado la norma riformata non ne faccia più espressa menzione, lo statuto221. Al riguardo, la disposizione contenuta nel nuovo testo dell’art. 2328, ult. comma, c.c. elimina ogni dubbio, la quale oltre a ribadire il principio secondo cui «lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società, anche se oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell’atto costitutivo», prevede che «in caso di contrasto tra le norme dell’atto costitutivo e quelle dello statuto prevalgono le seconde». Dunque, sia l’atto costitutivo che lo statuto segnano il limite oggettivo entro cui va operata la valutazione sulla presenza delle indicazioni contenute nell’art. 2332 n. 3 e tale circostanza si spiega alla luce del rilievo «reale» che tali 221 A. MONOLO, Genesi della S.p.A. e rapporto fra atto costitutivo e statuto, in Giust. civ., 1996. 123 documenti assumono nella disciplina societaria, in conseguenza delle particolari regole in tema di formazione e di pubblicità cui sono sottoposti 222. Ai fini dell’applicazione dell’art. 2332 c.c., e in questa prospettiva, risulta evidente come l’indagine sulla presenza delle indicazioni riguardanti «la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale» non può poggiare sulle comuni regole di interpretazione del contratto di cui agli art. 1362 ss. c.c. E non è casuale che proprio la previsione di cui all’art. 2332 comma 1, c.c. nell’ambito del dibattito sull’interpretazione del contratto di società, sia stata posta a fondamento dell’opinione, ora accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità, che ritiene di dover rovesciare la gerarchia dei canoni ermeneutici previsti dalle norme del codice civile, accordando la precedenza ai criteri di interpretazione oggettiva, rispetto a quelli che si fondano sulla ricerca della comune intenzione dei contraenti (art. 1362, comma 1, c.c.) 223. In relazione al riferimento alla denominazione sociale sorgono pochi problemi nel dettaglio delle singole indicazioni menzionate dall’art. 2332, n. 3, la cui essenzialità, ai fine del corretto svolgimento dell’agire societario e della certezza dei traffici giuridici, si coglie considerando che la stessa costituisce l’elemento di identificazione del centro di imputazione dei rapporti societari. 222 C. ANGELICI, La costituzione delle società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XVI, Utet, Torino, 1985. 223 U. BELVISO, Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XVII, Utet, Torino, 1985. 124 Il che giustifica la sanzione della nullità nel caso in cui dall’atto costitutivo o dallo statuto non sia possibile risalire alla stessa. Per quanto concerne l’indicazione relativa ai conferimenti è agevole comprendere che il legislatore non possa tollerare che operino s.p.a. in cui non siano individuati, almeno formalmente, gli apporti dovuti dai soci. Situazione che, oltre a privare la società di certezze circa i mezzi destinati a garantire lo svolgimento dell’attività produttiva, verrebbe fatalmente a svuotare di significato, già sotto il profilo formale, il valore eventualmente indicato a capitale sociale, con effetti intollerabili sia sul piano dell’organizzazione interna, che in base a quel riferimento misura l’esercizio di fondamentali diritti sociali, sia sul piano dei rapporti con i creditori ed i terzi. E in questa prospettiva, si comprende la ragione per cui la mancanza di ogni indicazione riguardante i conferimenti produce effetti analoghi alla mancanza di ogni indicazione riguardante il capitale sociale, che pure costituisce causa di nullità della s.p.a.224. Il richiamo del principio di tassatività, sotto altro profilo, consente di escludere, con riferimento alla causa di nullità per mancata indicazione del capitale sociale, che questa attenga anche alla misura o all’adeguatezza dello stesso. Quella del trattamento giuridico delle s.p.a. costituite con un capitale inferiore al minimo legale, o manifestamente sottocapitalizzate, è dunque questione che 224 N. IRTI, La nullità come sanzione civile, in Contratto e Impresa, 1987. 125 non attiene alla validità della società, una volta che questa sia iscritta nel registro delle imprese. L’oggetto sociale è l’ultimo elemento che determina la nullità della s.p.a., sia nell’atto costitutivo che nello statuto. Ai sensi dell’art. 2332, n. 3, la gravità della sanzione che determina la sua mancata indicazione si ricollega alla gravità delle implicazioni di tale omissione sul piano organizzativo 225. Infatti, è noto che la specificazione dell’attività economica che la società si propone di svolgere condiziona la corretta applicazione di una serie di norme di particolare importanza: basti pensare alla disciplina dell’assunzione di partecipazioni in altre imprese (art. 2361 c.c.), o a quella del recesso dell’azionista, consentito in presenza di una modifica dell’oggetto sociale che determina « un cambiamento significativo dell’attività della società» (art. 2437, comma 1°, lett. a), c.c.) o, ancora, alla disposizione che prevede lo scioglimento della società per impossibilità sopravvenuta di conseguimento dell’oggetto sociale (art. 2484, comma 1, c.c.). Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., gli amministratori hanno l’esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa e compiono tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Tali norme sono a presidio di primarie esigenze di tutela dei soci e dei terzi che non possono operare in assenza della indicazione statutaria dell’attività A. FEDELE, Della nullità del contratto, in Commentario diretto da D’Amelio-Finzi, I, Firenze, 1948. 225 126 economica cui è funzionale la costituzione della società , a prezzo, appunto, della sua validità. Tuttavia, ai fini della soluzione del controverso problema del grado di determinatezza richiesto all’oggetto sociale, nessuna indicazione può trarsi dall’art. 2332 c.c.226. La circostanza che il meccanismo sanzionatorio si attiva solo nel caso limite della «mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante l’oggetto sociale», invero, non esclude la necessità di un’adeguata puntualizzazione dell’attività, secondo l’orientamento faticosamente elaborato dalla giurisprudenza onoraria che rifiutava spesso l’omologazione di atti costitutivi con oggetti sociali onnicomprensivi o eccessivamente generici. In pratica, se l’art. 2332 c.c. non autorizza ad affermare la nullità delle s.p.a. con oggetto sociale eccessivamente generico, la stessa norma non autorizza il notaio rogante ad astenersi dall’esigere che, in sede di formazione dell’atto pubblico, l’attività della società sia adeguatamente «determinata». La drastica riduzione delle cause di nullità della s.p.a. ad opera della riforma del 2003, d’altra parte, rende ancora più evidente l’esigenza, già ampiamente percepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che il controllo preventivo sull’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge (art. 2436 c.c.) non sia 226 V. SALANDRA, La nullità della società secondo il nuovo codice, in Riv. dir. comm., 1946. 127 circoscritto al mero riscontro dell’assenza delle cause di nullità indicate nell’art. 2332 c.c.227. 6. Salvezza degli atti compiuti e salvezza degli atti sociali. La conservazione degli atti della società è uno degli aspetti di maggior rilievo della disciplina in esame. La legge dispone che la dichiarazione di nullità «non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società». Nella sua apparente chiarezza, la norma cela in realtà numerosi problemi. Da un lato, infatti, essa dice forse di più di quanto vorrebbe, dall’altro appare più restrittiva di quanto lo sia effettivamente. Sotto il primo profilo occorre considerare che le disposizioni dirette a regolare gli effetti della nullità sono concepite in forma tale da avere una portata del tutto generale, anche perchè corrispondono in sostanza alle norme che, prima della riforma del 1969, regolavano gli effetti della nullità dell’atto costitutivo e che si applicavano a tutte le possibili ipotesi di nullità del medesimo. Ma ora non si tratta più di regolare le conseguenze della nullità dell’atto costitutivo, ma delle varie cause di nullità della società specificamente previste dal primo comma dell’art. 2332 c.c. 227 V. VITRÒ, Procedimenti camerali, omologia e nullità delle società per azioni, Giuffré, Milano, 1998. 128 Sotto tale profilo si può osservare che, se la formulazione sintetica delle disposizioni in questione corrisponde senza dubbio ad un principio di economia legislativa, spetta pur sempre all’interprete il compito di indagare se al di là della lettera di legge non si celino delle realtà diverse, che debbono essere trattate, almeno in parte, in modo diverso tra di loro. D’altro canto occorre considerare che la disciplina ivi prevista è concepita essenzialmente in funzione di una società che, pur essendo nulla, ha svolto la propria attività. Non avrebbe infatti senso preoccuparsi di regolare gli effetti degli atti conclusi in nome della società se non fossero stati in effetti compiuti atti di sorta; nè avrebbe senso regolare gli effetti della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali se non fossero state assunte obbligazioni, e neppure avrebbe senso nominare i liquidatori se non ci fosse niente da liquidare. Sotto questo profilo si può osservare che, in tanto può giustificarsi una formulazione generale per la disciplina in oggetto, in quanto con essa si tende a regolare lo svolgimento di attività da parte della società nulla: in tale prospettiva i problemi possono assumere un aspetto unitario; ma cessano di apparire come tali quando viene meno il presupposto dello svolgimento dell’attività, oppure tale svolgimento va incontro a difficoltà particolari, che derivano dal caso concreto, cioè dal modo in cui le singole cause di invalidità influiscono sulla funzionalità dell’organizzazione sociale. 129 Per quanto riguarda i problemi del primo tipo possono essere sufficienti delle considerazioni di carattere generale; per quanto riguarda gli altri occorrerà viceversa porsi in una prospettiva analitica. La dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società. Stando al suo tenore letterale, la norma sembrerebbe avere portata abbastanza limitata, in quanto riguarda gli atti della società. Tanto è vero che, in sede di elaborazione della direttiva comunitaria, ad un certo punto si era pensato di introdurre a chiarimento di ciò, una precisazione, e cioè che anche gli atti compiuti dai terzi con la società non potevano essere travolti a seguito della dichiarazione di nullità. Nel sistema italiano tale disposizione non è stata tuttavia accolta, perchè ritenuta superflua, in quanto non vi è dubbio che, in realtà, la norma sia espressione di un principio ben più ampio, che travalica i singoli atti e che riguarda tutta l’organizzazione e l’attività sociale, le quali non restano in via di principio pregiudicate dalla presenza di una causa di nullità ex art. 2332 c.c. Il pensiero a cui s’ispira la disposizione in oggetto è che la società nulla, fino alla dichiarazione di nullità, è da considerarsi come una società, non solo esistente, ma anche dotata di piena capacità di svolgere le proprie attività. Essa viene trattata quindi come se fosse una società regolarmente costituita e che si trova a dovere essere messa in liquidazione. Del resto si è esattamente osservato che tale pensiero risulta anche dalle seguenti circostanze: i soci conservano il beneficio della responsabilità 130 limitata; d’altro canto, gli amministratori non incorrono in una responsabilità personale per le operazioni compiute in nome della società nulla; il che rappresenta «un indice sicuro della permanenza della destinazione del patrimonio sociale: questo patrimonio acquista, nonostante l’invalidità, carattere autonomo e non può essere colpito dai creditori particolari dei soci, poiché esso è l’unica garanzia riservata ai creditori della società». La norma tutela quindi pienamente i terzi (creditori) che sono entrati in contatto con la società, facendo affidamento sull’iscrizione nel registro, ma tale tutela non risulterebbe completa se non si estendesse anche ad un’altra ampia categoria di persone che è indotta a fare affidamento sull’esistenza della società: gli acquirenti delle azioni, e quindi se la società non potesse considerarsi esistente e regolarmente funzionante anche sotto ogni altro aspetto, in particolare per quanto riguarda i rapporti interni: i rapporti fra gli organi, quelli con gli azionisti e così via. Inoltre, non solo dovranno considerarsi validi agli atti compiuti dalla società con i terzi, ma anche quelli dei terzi nei riguardi della società, non potendo essi invocare la nullità del procedimento costitutivo che ha portato alla nascita della controparte. Saranno da considerare validi, non solo gli atti compiuti prima della proposizione dell’azione di nullità, ma anche quelli ad essa posteriori, compiuti cioè in corso di causa, perchè altrimenti resterebbero sacrificati gli interessi dei terzi, i quali non sono in alcun modo tenuti a sapere dell’esistenza 131 di un giudizio di nullità228: la legge non prevede, infatti, alcuna forma di pubblicità per tale evento. In via di principio la società conserva in pieno la propria struttura organizzativa e, in particolare, i suoi organi: l’assemblea, il consiglio di amministrazione, il collegio sindacale. Gli organi sono pertanto obbligati a svolgere regolarmente i compiti ad essi attribuiti dalla legge e dallo statuto. Il consiglio di amministrazione dovrà quindi svolgere con la consueta diligenza (art. 2392 c.c.) la propria attività di gestione, e compiere gli altri atti e attività attribuitegli dalla legge e dall’atto costitutivo. Dovrà perciò redigere anche i bilanci annuali, che dovranno essere presentati per l’approvazione da parte dell’assemblea secondo le regole generali. Gli amministratori non saranno tenuti a cessare la loro attività in caso di proposizione dell’azione di nullità, ma dovranno continuare a svolgerla sino alla pronunzia definitiva. È da ritenere peraltro che, nel frattempo, ad essi corra l’obbligo di convocare l’assemblea perchè questa possa provvedere a realizzare, mediante una delibera, la sanatoria della causa di nullità. Le deliberazioni del consiglio di amministrazione dovranno considerarsi valide e così pure si applicherà senza limiti la disciplina della responsabilità civile e penale, non potendosi addurre ad esimente la nullità della società. Analogo discorso vale per i sindaci. 228 G. FERRI, Le società, Torino, 1971. 132 L’assemblea funzionerà regolarmente e le sue delibere saranno da considerasi valide o invalide secondo le regole ordinarie (artt. 2377 segg. c.c.), a nulla rilevando che esse siano state assunte da un organo di una società nulla. Del resto, la possibilità che una causa di nullità possa essere sanata in forza di una modifica dell’atto costitutivo sta appunto a dimostrare che l’assemblea può validamente deliberare229, altrimenti una modifica statutaria sarebbe non solo inconcepibile, ma anche giuridicamente impossibile. Saranno perciò da considerarsi assunte validamente tutte le delibere assembleari che non presentino vizi intrinseci, quindi tanto quelle dell’assemblea ordinaria quanto quelle dell’assemblea straordinaria e, in particolare, le modifiche statutarie, portino esse oppure no alla sanatoria della nullità. La società può quindi validamente deliberare di fondersi in altre società, di trasformarsi, di porsi in liquidazione. In quest’ultimo caso sembra che una dichiarazione di nullità diventi perfettamente inutile non potendo si sovrapporre liquidazione a liquidazione. L’attività dell’assemblea, d’altro canto, potrà essere regolata dalle norme dello statuto, purché intrinsecamente valide. Restano infine impregiudicati in linea di massima anche tutti diritti individuali e le posizioni soggettive degli azionisti, nonché i doveri e le obbligazioni di questi ultimi nei confronti della società. In particolare essi saranno tenuti al versamento dei decimi, secondo le regole generali, potendo pretendere che il versamento sia limitato a quanto 229 M. GHIDINI, Il registro delle imprese, Milano, 1943. 133 necessario a soddisfare i creditori solo quando sia intervenuta la dichiarazione di nullità: regola che non si discosta da quella generale in materia di liquidazione. Naturalmente tale disciplina non si applica nel caso in cui il socio abbia già richiesto ed ottenuto l’invalidazione della propria partecipazione sociale ovvero nel caso in cui non si tratti di un socio, come avverrà nel caso in cui si abbia una sottoscrizione falsa, ovvero riferibile ad un falsus procurator o, ancora, relativa ad una persona inesistente. In tali casi, in quanto ciò risulti necessario per soddisfare i creditori sociali, potrà farsi affidamento unicamente sulla responsabilità di chi ha compiuto il falso, o ne ha fatto scientemente uso, del falsus procurator. La conservazione degli atti della società opera in modo obiettivo. Infatti, la legge prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede del terzo 230, del socio, dei singoli membri degli organi sociali. Del resto, le indagini su tale elemento risulterebbero problematiche e comunque porterebbero alla frantumazione di una disciplina che si è voluta, per ragioni di speditezza e semplicità, essenzialmente unitaria. 230 A. FORMIGGINI, I vizi del consenso nel contratto di società, op. cit., 324. 134 7. (Segue): Limiti alla salvezza degli atti. Il sistema dell’art. 2332 c.c. contiene il principio della conservazione degli atti della società, il quale incontra un limite desumibile della sua stessa funzione. Infatti, la legge ha voluto far salvi tutti quegli atti che, se compiuti da una società validamente costituita, sarebbero stati considerati pienamente validi. Viceversa, non ha voluto trasformare in validi anche quegli atti che sarebbero stati nulli se compiuti da una società regolarmente costituita, perchè sarebbe incongruo ritenere che la tutela di cui gode una società nulla sia più ampia di quella di una società valida. In altre parole, si è voluto evitare solo che la nullità delle società divenisse motivo di invalidità degli atti da essa compiuti. Così, si sono fatti salvi gli atti intrinsecamente validi, mentre restano soggetti alla disciplina ordinaria gli atti intrinsecamente invalidi. Della invalidità di quegli atti dovrà giudicarsi pertanto secondo le regole generali. Ciò importa che il principio di conservazione anzidetto possa incontrare dei limiti in quei casi in cui la stessa causa di nullità della società venga ad influire in modo diretto ed immediato su un determinato atto 231. Ciò può accadere nell’ipotesi di nullità per illiceità dell’ oggetto sociale. In questi casi, infatti, la causa di nullità può propagarsi fino al singolo negozio stipulato coi terzi ovvero all’atto o alla delibera dell’organo sociale. G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di persone, in Riv. dir. civ., 1963; V. PANUCCIO, Note in tema di impresa illecita, in Riv. dir. civ., 1967; M. GHIDINI, Società personali, op. cit., 154. 231 135 L’oggetto sociale è, infatti, l’attività in funzione della quale la società è stata costituita. In particolare, esso rappresenta il modulo al quale si devono conformare gli amministratori nella loro attività di gestione, perchè gli atti da essi compiuti devono essere teleologicamente indirizzati al perseguimento dell’oggetto predetto232. In tale situazione non è chi non veda come vi possano essere atti sui quali l’oggetto sociale può incidere in modo immediato e diretto, potendo essere altresì immediato e diretto il rapporto di funzionalità fra l’atto medesimo e l’oggetto sociale. Così può essere nullo un negozio stipulato con un terzo ave il negozio stesso sia compiuto, essendone di ciò consapevole il terzo contraente, al solo scopo di consentire il raggiungimento dell’oggetto sociale illecito; in guanto si realizza in tal caso l’ipotesi dell’illiceità del motivo unico determinante comune alle parti (art. 1345 c.c.). L’illiceità dell’atto dovrà peraltro escludersi quando il terzo non sia a conoscenza dello scopo al quale l’atto dovrà servire oppure quando, pure essendovi o potendovi essere tale conoscenza, l’atto considerato non sia di per sè indispensabile per la consumazione dell’attività illecita. Più in generale si può osservare che l’illiceità o la liceità degli atti compiuti dalla società potrà esser desunta in base al rapporto di funzionalità fra l’atto 232 F. CORSI, Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974. 136 considerato e l’attività illecita al cui perseguimento esso risulta teologicamente indirizzato233. 8. Effetti della dichiarazione di nullità e scioglimento. Se si considera che la sentenza che dichiara la nullità della società pone la società in stato di liquidazione, la disciplina di cui all’art. 2332 c.c. può allora collocarsi in evidente rapporto di affinità con quella dello scioglimento della società234. Peraltro, non sarebbe corretto rinviare puramente e semplicemente a quest’ultimo ordine di problemi, senza aver prima puntualizzato un aspetto particolarmente significativo di tale fenomeno. Infatti, occorre osservare che non sarebbe esatto equiparare senz’altro le cause di nullità ex art. 2332 c.c. alle cause di scioglimento della società. Ormai, nel sistema vigente, è opinione consolidata che le cause di scioglimento operino ipso iure235, quindi al momento stesso del loro verificarsi. Ma le cause di nullità previste dall’art. 2332 c.c. non producono viceversa come tali alcun effetto 233 R. SCOGNAMIGLIO, Collegamento negoziale, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1960; E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960; F. MESSINEO, Contratto collegato, in Enciclopedia del diritto, vol. X, Milano, 1962. 234 A. MAISANO, Lo scioglimento delle società, Milano, 1974; M. PORZIO, L’estinzione della società per azioni, Napoli, 1959; M. STOLFI, La liquidazione delle società commerciali, Milano, 1938; S. SOTGIA, La liquidazione delle società commerciali, Milano, 1936; A. SRAFFA, La liquidazione delle società commerciali, Firenze, 1899. 235 G. DE FERRA, La proroga delle società commerciali, Milano, 1957; U. MORELLO, Il problema dello scioglimento di diritto nelle società per azioni, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1973; U. BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948. 137 sulla vita sociale, finché non intervenga una sentenza che le accerti; tanto è vero che, fino a tale momento, possono essere oggetto di sanatoria. Pertanto, è la sentenza, e non la causa di nullità in sé e per sé considerata, che produce l’effetto della messa in liquidazione. Dunque, è solo la sentenza che opera da causa di scioglimento della società, quindi con effetto costitutivo di una nuova situazione giuridica. Attualmente, la disciplina mantiene la distinzione fra cause di nullità e cause di scioglimento che già era stata accolta nella originaria stesura del codice del 1942. Ma in quel contesto le cause di nullità riguardavano solo l’atto costitutivo, valutato come atto contrattuale, non riguardavano viceversa la funzionalità dell’organizzazione sociale. Viceversa le cause di scioglimento avevano un significato essenzialmente «effettuale»236 in quanto incidevano direttamente sull’attività, la quale non poteva proseguirsi, solo che una di tali cause si fosse realizzata. Nel sistema attuale le ipotesi di invalidità sono state estese nel senso di ricomprendervi anche delle anomalie che incidono sulla funzionalità della società; quest’ultime presentano dunque una certa analogia con le cause di scioglimento. Tuttavia la distinzione formale è rimasta: di qui la loro diversa efficacia nel modo di operare. Se si tiene conto quindi di tale particolare efficacia, che impone di riferire il verificarsi dello scioglimento alla sentenza dichiarativa di nullità e non alle singole 236 C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975. 138 cause di nullità, si deve ammettere per il resto un sostanziale parallelismo di situazioni fra lo scioglimento conseguente alla dichiarazione di nullità e quello che discende dalle altre cause previste dalla legge: di qui la possibilità di utilizzare l’ordinaria disciplina in materia di scioglimento, fin quando questa non risulti in contrasto con la situazione appena esaminata. È stata prodotta una modificazione nello scopo della società con il passaggio giudicato della sentenza dichiarativa di nullità, pronunziata ai sensi dell’art. 2332 c.c.: allo scopo di conseguire un guadagno si sostituisce lo scopo c.d. di liquidazione, che consiste nel realizzare il guadagno già conseguito e di ripartirlo fra gli azionisti237. Infatti, si tratta dell’effetto tipico dello scioglimento. I liquidatori, nominati nella sentenza, da tale momento, possono assumere le proprie funzioni. Attraverso la pubblicità della nomina, che ha carattere dichiarativo e non costitutivo, l’assunzione della carica da parte dei liquidatori e l’attribuzione ai medesimi dei poteri rappresentativi diviene opponibile ai terzi. Con il verificarsi dello scioglimento per nullità si producono altresì delle limitazioni relative all’attività degli organi sociali. Gli amministratori non possono intraprendere nuove operazioni e cioè quelle che implicano l’assunzione di nuove iniziative speculative destinate in modo autonomo al conseguimento di un utile; essi devono inoltre provvedere alla conservazione dei beni sociali fino al momento della loro consegna ai liquidatori: questa per lo più dovrebbe avvenire entro breve termine in 237 F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, Milano, 1971. 139 quanto, al momento del verificarsi dello scioglimento, le persone dei liquidatori risultano già indicate nella sentenza. Anche ai liquidatori è precluso il compimento di nuove operazioni238, dovendo essi provvedere alla definizione dei rapporti pendenti, al soddisfacimento delle passività, alla trasformazione dei beni sociali in danaro e alla distribuzione di questo ultimo fra i soci in proporzione alle loro partecipazioni. Nell’uno e nell’altro caso al divieto di intraprendere nuove operazioni fa riscontro l’assunzione della correlativa responsabilità (artt. 2449, 2279 c.c.) nell’ipotesi della sua mancata osservanza239. Gli altri organi sociali possono continuare a funzionare nei limiti in cui ciò non contraddice alle finalità della liquidazione per nullità240. La norma di cui all’art. 2451 c.c. secondo la quale le disposizioni sulle assemblee e sul collegio sindacale si applicano anche durante la liquidazione in quanto compatibili con questa, acquista infatti un senso compiuto ove essa venga riferita non tanto alle norme strumentali, che regolano le modalità di funzionamento di tali organi, ma piuttosto alle norme sostanziali, cioè al contenuto della loro attività: infatti il prolungarsi nel tempo dell’ attività di liquidazione, che potrebbe essere anche estremamente complessa, ove la società non abbia operato a lungo può rendere necessaria anche l’attività di tali organi, così come avviene nelle ipotesi ordinarie di liquidazione. M. PORZIO, L’estinzione delle società per azioni, Napoli, 1959. G. RAGUSA MAGGIORE, Scioglimento delle società per azioni, nuove operazioni e responsabilità degli amministratori, in Dir. fall., 1969. 240 G. SPATAZZA, Le società per azioni, I, Torino, 1972. 238 239 140 Per quanto riguarda l’assemblea, in particolare, questa non potrà evidentemente prendere, per il resto, deliberazioni il cui contenuto sia incompatibile con la situazione nella quale si trova la società e che perciò contrastino con lo scopo di liquidazione, ma potrò assumere solo quelle delibere che siano necessarie od opportune in tale situazione, come ad esempio sostituzione dei liquidatori, approvazione dei bilanci, ove la liquidazione si protragga oltre l’anno. 141 CAPITOLO I LA DISCIPLINA DELLA NULLITÁ DELLE SOCIETA’ NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO INGLESE 142 1. Premessa. “Mentre il concetto di nullità della società è ben noto nella maggior parte dei paesi continentali, esso singolarmente non riesce ancora a trovare una spiegazione plausibile nelle ottuse menti degli avvocati britannici”241. Così esordisce un autorevole giurista inglese in un suo saggio dedicato all’istituto delle nullità nell’ordinamento societario inglese. Prima di procedere nel dettaglio all’analisi della relativa disciplina straniera, è d’obbligo una premessa. Si sa che le regole giuridiche frequentemente non rispettano i confini nazionali. Lo scopo del presente capitolo, tuttavia, non è quello di intraprendere la via della comparazione (anche perché il nuovo ed imprescindibile termine di raffronto fra ordinamenti è il diritto dell’Unione Europea), ma, allo scopo di configurare nella dimensione migliore la fattispecie della nullità all’interno del diritto societario italiano, quello di svolgere più opportunamente e in modo mirato la mia analisi. Pertanto, guardando allo scenario offerto da un ordinamento giuridico di Common Law, quale risulta dall’esame del Companies Act inglese che, lungi dall’inquadrare la tematica in esame in rigide sistematiche posizioni, offre, come si vedrà, pratiche soluzioni ispirate alle esigenze dinamiche che la materia postula, ci si interrogherà se stesse figure giuridiche abbiano, o meno, in ordinamenti diversi, lo stesso significato e le stesse finalità. 241 R. DRURY, Nullity of companies in English law, in Modern Law Review, 1985, 48, 644. 143 Orbene, chi volesse indagare sul problema “dell’annullamento” di una società nell’ambito dell’ordinamento societario inglese, senza dubbio dovrebbe puntare l’attenzione sulla già citata section 15(4) del Companies Act 2006 (e sulla section 13 del precedente CA del 1985). Questo articolo prevede che il certificato di registrazione rappresenta la prova della validità della registrazione della società e della sua costituzione. Orbene, dal momento che il certificato è prova “definitiva” del fatto che tutti i requisiti formali ai fini di una valida costituzione sono stati rispettati, e che la società è stata debitamente costituita, si direbbe proprio che la sua posizione è incontestabile. Una simile disposizione è stata formulata allo scopo di proteggere gli interessi dei terzi che operano con la società: in altre parole, il diritto societario inglese ha, con tale accorgimento, evitato la necessità di introdurre un concetto di nullità, con le sue conseguenti complicazioni per i terzi e per gli azionisti. Tuttavia ci si deve chiedere se tale disciplina, così come risulta dall’attuale ordinamento societario inglese, sia veramente completa, perché “i semi del dubbio seminati molto tempo fa hanno recentemente generato il loro frutto piuttosto sgradevole”242. 242 R. DRURY, op. cit., 644. 144 2. La costituzione di una società nell’ordinamento giuridico inglese. Ci sono tre tipi fondamentali di società nell’ordinamento inglese: società istituite per legge, società c.d. di beneficienza e società registrate, e le formalità che riguardano la costituzione di ciascuna di esse variano sostanzialmente da tipo a tipo. In particolare, la nostra attenzione si concentrerà sull’ultimo tipo, vale a dire quello delle imprese registrate ai sensi del Companies Act: tali società, infatti, costituiscono il tipo più diffuso e più importante del Regno Unito. Quindi, da ora in poi, nel parlare delle società inglesi, dei vari tipi sociali e delle problematiche attinenti alla costituzione di esse, faremo riferimento alle “società registrate ai sensi del Companies Act 2006”. Nella stragrande maggioranza dei casi, la società, qualunque sia il suo oggetto sociale, oggigiorno è costituita sulla base delle regole contemplate all’interno del Companies Act 2006 o delle corrispondenti precedenti Leggi. A tal proposito, si ritiene che i soci fondatori che vogliono costituire la società (i c.d. “promoters”) siano persone fisiche, anche se questa non è necessariamente l’unica ipotesi possibile. Una società già esistente, infatti, può costituire una nuova società in base alle procedure previste dalla Legge del 2006. In effetti tale tipo di costituzione è molto diffusa dal momento che, soprattutto le piccole 145 imprese sono gestite attraverso gruppi di imprese, piuttosto che essere costituite come singole imprese243. Nel prosieguo vedremo, più nello specifico, quali sono le funzioni del Cancelliere delle Società (Registrar of Companies) e del Segretario di Stato in relazione alla costituzione di una società. In pratica la maggior parte delle competenze che verranno successivamente descritte vengono esercitate dal Companies House, che è un’agenzia esecutiva del Department of Trade and Industry (ora Department for Business, Enterprise & Regulatory Reform). Vediamo in breve quali sono i passi fondamentali che devono essere seguiti per la costituzione e la registrazione di una società. I promoters (soci fondatori) devono prima capire quale sia, fra i vari tipi di società registrate, quello che sia maggiormente idoneo a perseguire il loro scopo: la scelta del tipo sociale è importante poiché, a seconda del tipo scelto, possono variare il numero ed il tipo di documenti necessari per la costituzione e, conseguentemente, può variare il loro contenuto. In primo luogo, la scelta del tipo può oscillare fra una società limitata e una società illimitata244. A tal proposito, la section 31 del CA 2006, al 1° comma, 243 L'istituzione di un gruppo non deve necessariamente comportare la creazione di una nuova società. Invece il gruppo potrebbe essere costituito dalla acquisizione di azioni di una società esistente, piuttosto che dalla creazione di una nuova impresa da zero. 244 La maggior parte delle società inglesi sono costituite come companies limited by shares. Le società possono anche essere costituite sottoforma di companies limited by guarantees. In quest’ultimo tipo di società, i soci sin dall'inizio, di solito, non pagano alcun prezzo a titolo d i conferimento alla società, ma promettono, “garantiscono” che, se la società diventerà insolvente, pagheranno alla società l'importo specificato in garanzia, che verrà da essa utilizzato per il pagamento dei suoi creditori. Nel primo tipo di società, al contrario, gli 146 stabilisce un principio generale secondo cui l’oggetto sociale è illimitato a meno che non siano previste all’interno degli Articles of Association determinate restrizioni relative all’attività sociale. Tale section, infatti, prevede che “Unless a company’s articles specifically restrict the objects of the company, its objects are unrestricted”. Dal combinato disposto della section 31, 1° comma e della section 39 (A company’s capacity) del CA 2006 si ricava che non ci sono limiti alla capacità della società o alle attività che essa può esercitare in considerazione dell’oggetto sociale. Una società ha, cioè, piena libertà nella conduzione dei suoi rapporti commerciali con terzi245. azionisti promettono alla società di fornire fondi a titolo di prezzo pagato per la quota, che di solito viene pagato per intero nel momento in cui le azioni sono acquistate. Un’alternativa, che nella pratica era assai raramente utilizzata, era quella di una società limitata con responsabilità illimitata degli amministratori (s. 305 CA 1985) ma il CA 2006 non prevede più questa possibilità. 245 Il CA 1985 imponeva a tutte le società di indicare, all’interno di una specifica clausola del memorandum of association, l’oggetto sociale. Nello specifico l’articolo 3A di quella legge prevedeva, in termini generali, che l’oggetto di una società era quello di esercitare la propria attività come una “società commerciale generale, il che significa che l'obiettivo è quello di esercitare le proprie attività commerciali o industriali, qualunque esse siano, con il potere di compiere tutte quelle attività accessorie che siano favorevoli e funzionali a tale scopo”. Questa generale disposizione mirava a superare i problemi causati fino ad allora dalla “teoria dell’eccesso di potere” (c.d. ultra vires doctrine). Tale teoria, allo scopo di scongiurare eventuali abusi di potere da parte degli amministratori, che avrebbero potuto compiere attività non ricadenti nell’oggetto sociale, obbligava le società ad indicare dettagliatamente nel memorandum l’oggetto sociale. Così facendo, però, tale teoria non faceva altro che limitare la capacità di una società di compiere attività per il perseguimento dei suoi scopi. Questa t eoria, inoltre, non era vista di buon occhio dai soci perché costituiva un ostacolo ogni volta che essi volevano effettuare una qualche modifica dell'atto costitutivo. Era inoltre potenzialmente pregiudizievole per i terzi che facevano affari con la società, i quali erano costretti a fare dovuta attenzione alle disposizioni dell’atto costitutivo concernenti l’oggetto sociale. I terzi, quindi, rischiavano di non essere in grado di rispettare quegli obblighi nei confronti della società che la società stessa, in virtù degli effetti della ultra vires doctrine, non poteva adempiere, in quanto non ne aveva la capacità. Il concetto di “oggetto sociale” indicava quelle attività per il cui esercizio la società era stata costituita. La previsione di esse all’interno d el memorandum era intesa a tutelare i soci e i creditori, che avevano la sicurezza di potere 147 In secondo luogo, i “futuri soci” devono scegliere fra una società pubblica o privata. Società pubbliche e società private essenzialmente soddisfano diversi scopi economici. La scelta, di norma, è orientata verso una società privata. Infine è necessario che i soci fondatori abbiano ben presenti quali siano gli obiettivi che intendono perseguire mediante la costituzione della società: in conoscere le finalità che la società avrebbe dovuto perseguire. Tale previsione era inoltre destinata a vincolare gli amministratori, impedendo l'esercizio dei loro poteri per fini non autorizzati. Ma i giudici ben presto giunsero a ritenere che le presunte attività compiute al di fuori delle previsioni dell’oggetto sociale erano da considerarsi nulle, o perché considerate ultra vires o perché superavano i limiti della capacità di agire della società. Ciò tuttavia aveva comportato un significativo effetto negativo sia sulle società sia su coloro che avevano fatto affari con esse: i contratti stipulati in buona fede venivano considerati nulli, compresi tutti gli atti e tutte le operazioni che erano stati eseguiti in virtù di quei contratti. Queste conseguenze erano però considerate inaccettabili in un ambito, quale è quello dei traffici commerciali, e furono così emanate una serie di disposizioni per la tutela dei terzi. Da ultimo il CA 2006, s. 31 (1), ha ritenuto non più essenziale il ruolo svolto dalla indicazione dell’oggetto sociale e ha previsto che una società avrà oggetto illimitato, a meno che gli oggetti siano espressamente limitati dallo Statuto sociale. Ciò significa che, a meno che la società scelga deliberatamente di limitare il suo oggetto sociale, gli oggetti non incideranno sulle attività che una società vorrà compiere. Invece, storicamente, presunte attività compiute al di fuori degli oggetti dichiarati nell’atto costitutivo erano dichiarate nulle. Nessuna delle due parti avrebbe potuto far valere il contratto, e tutte le prestazioni effettuate erano soggette a restituzione, in quanto volte a ripristinare le posizioni pre-contrattuali delle parti. Ciò però, come detto, creava problematiche di non facile soluzione per i terzi che trattavano con la società, e poteva causare conseguenze ingiuste e inaspettate su di essi. Il vantaggio di tale disciplina, se ve n’era uno, era per i soci: essi erano sicuri (se gli amministratori avessero agito correttamente) che i loro conferimenti venivano destinati soltanto a determinati tipi di attività. Va rilevato quindi che l'ingiustizia e gli svantaggi commerciali a danno dei terzi sono stati considerati come un prezzo t roppo alto da pagare a scapito della tutela dei soci, e il legislatore ha rafforzato con disposizioni statutarie la tutela dei terzi. Tali disposizioni non arrivano al punto tale da ritenere che una società abbia la capacità di compiere tutte le attività che vuole, ma impediscono la validità di ogni atto che sia messo in discussione per motivi di mancanza di capacità, derivanti da un qualsiasi vizio attinente alla costituzione della società. Questa previsione tutela i terzi, e preserva il diritto dei soci di citare in giudizio gli amministratori per le violazioni dell’atto costitutivo della società (id est per avere agito al di fuori dei poteri loro conferiti) e per le perdite causate alla società. Questo è il motivo per cui la “questione della capacità della società” non è più un problema per i terzi. 148 particolare e solo nel caso in cui essi vogliano costituire una società di beneficienza, va indicato, all’interno dei documenti costitutivi, che le attività sociali sono limitate unicamente al perseguimento di scopi di beneficenza. Inoltre, a partire dal 2004 è stata introdotta la fattispecie delle “società di interesse collettivo” (community interest company), disciplinata dalla Parte 2 del CA 2004. Tali imprese devono avere, come loro obiettivo principale, il perseguimento di un interesse comunitario (senza il bisogno che tali società siano costituite quali società di beneficienza) e il loro statuto deve contenere, tra altre, restrizioni sul pagamento dei dividendi e, in generale, sul trasferimento dei beni aziendali. In definitiva, la stragrande maggioranza delle società costituite, sono società per azioni private che non sono né società di beneficienza, né società di interesse collettivo (in Italia esse potrebbero corrispondere alle imprese sociali). Scelto il tipo sociale, il passo successivo per i soci fondatori consiste nella scelta del nome della società. Esso assolve ad una funzione di identificazione della persona giuridica246 e la legge prevede che la domanda di registrazione di una società debba indicare il nome della società stessa proposto dai soci fondatori: a tal proposito, il Segretario di Stato ha il potere di obbligare le società a dare adeguata pubblicità al proprio nome presso la sede sociale e Anche se ora il cancelliere ha l’abitudine di assegnare a ciascuna impresa un numero di registrazione (s. 1066), che essa deve specificare sulle lettere e sulle commesse. 246 149 sulla corrispondenza commerciale nonché sulla relativa documentazione. Inoltre, nella prassi societaria inglese, per questioni di conformità con il sistema informatico del DBERR (Department for Business, Enterprise & Regulatory Reform), vengono normalmente utilizzate denominazioni sociali quanto più brevi possibili247. Orbene, se il Cancelliere delle Società (Registrar of companies) ritiene che i requisiti per la registrazione siano stati rispettati e che lo scopo per il quale i soci fondatori hanno formato la società sia “lecito” 248, il Cancelliere registrerà i documenti costitutivi presentati e rilascerà un certificato di costituzione (o certificato di registrazione)249. Esso attesta che la società è costituita e le attribuisce un numero di registrazione; oltre ad indicare il nome della società, il suddetto certificato contiene altresì la data di registrazione, la specificazione se la società è una società limitata (e, in caso affermativo, in che modo essa lo sia: “by shares/by guarantees”); il certificato deve indicare anche se si tratta di società pubblica o privata e in quale giurisdizione si trova la sua sede sociale. La Section 15 (4) stabilisce che il certificato è la prova conclusiva che i 247 Ai sensi del CA 2006, in gran parte per ragioni di convenienza del sistema informatico del Companies House, è stato fissato un limite al numero di caratteri che possono comporre il nome di una società (non più di 160) e i caratteri consentiti sono stati specificamente prestabiliti dalla legge. Il centro di consultazione del DTI ha rilevato che il più lungo nome registrato al momento ha 159 caratteri. Si tratta del lunghissimo toponimo gallese, Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, che è più una descrizione che un nome. 248 Section 7 (2): “Una società non può perseguire un oggetto illecito”. Questo articolo viene interpretato come divieto sia di svolgere attività per delinquere, sia di perseguire finalità considerate contrarie all'ordine pubblico. 249 Section 15. Firmato dal cancelliere e autenticato dal timbro (sigillo) ufficiale del Cancelliere (Sec. 15 (3)). 150 requisiti di legge previsti per la registrazione sono stati rispettati e che la società è stata debitamente registrata (e costituita) ai sensi del CA 2006250. L’effetto della costituzione è che “coloro che hanno stipulato e sottoscritto il memorandum of association, insieme con le altre persone che, in futuro, potranno di volta in volta diventare soci della società, costituiscono ora una persona giuridica sotto la denominazione indicata nel certificato di registrazione”251. Inoltre, gli stessi diventano i titolari delle azioni specificate nell’indicazione relativa al capitale azionario e gli amministratori e il segretario (eventualmente, se ce n’è uno), citati nella dichiarazione di nomina degli organi sociali, sono nominati ai loro uffici. Il certificato di costituzione costituisce esplicazione, dunque, della c.d. “regola della prova conclusiva”, così come stabilito dalla Section 15, comma 4°, del Companies Act. L’ampio ambito di applicazione della presente disposizione è evidenziato dal caso Jubilee Cotton Mills Ltd contro Lewis 252 in cui è stato dichiarato che il certificato costituisce una prova conclusiva per quanto riguarda la data di costituzione, anche se essa è sbagliata. Inoltre, in un caso precedente, Coutman contro Broughmam253, la House of Lords ritenne che la portata di tale “The certificate is conclusive evidence that the requirements of this Act as to registration have been complied with and that the company is duly registered under this Act”. 251 Section 16(2): “The subscribers to the memorandum, together with such other persons as may from time to time become members of the company, are a body corporate by the name stated in the certificate of incorporation”. 252 In Appeal Cases, 1924, 958. 253 In Appeal Cases, 1918, 514. 250 151 disposizione fosse talmente rilevante da impedire alla stessa di vietare che i soci fondatori inserissero una particolare clausola, all’interno del memorandum della società, che la medesima House of Lords non riteneva conforme a legge254. 254 La clausola in questione considerava ogni punto facente parte della clausola oggetti come un autonomo oggetto a sé stante ed è divenuta nota come la clausola Cotman v Brougham che oggi compare nella maggior parte delle clausole oggetto dei memorandum. Per chiarire meglio tale considerazione occorre prendere nuovamente in considerazione la teoria dell’eccesso di potere (ultra vires doctrine), già esaminata in nota 3. L’obiettivo della teoria dell’eccesso di potere, così come applicata alle società, consisteva nel tutelare gli investitori e i creditori nei confronti di attività aziendali non autorizzate e tali da comportare inutili dispersioni del patrimonio sociale. Nel senso stretto del termine, ogni operazione sociale che oltrepassava il limite delle capacità giuridica della società, così come fissato nel memorandum dalla clausola inerente all’oggetto sociale (c.d. clausola oggetti), sarebbe stata nulla e non avrebbe potuto essere approvata dai soci. La forma comune delle organizzazioni imprenditoriali, prima della nascita delle società per azioni nel 1844, era il partenariato, ma la teoria dell’eccesso di potere non si applicava ai partenariati. La loro responsabilità era basata sul concetto di organismo sotto un’autorità effettiva o apparente, e qualsiasi cambiamento della natura degli affari compiuti richiedeva l’unanime consenso delle imprese. La costituzione delle società per azioni sotto il Companies Act 1844 imponeva ad esse di registrare la loro costituzione nella forma di un c.d. atto di incorporazione presso il Companies House. L’atto di incorporazione ha rappresentato una forma di partenariato esteso e l’Act del 1844 richiedeva a cotali società di fornire una dichiarazione sulla natura e sullo scopo della loro attività. Queste società non avevano personalità giuridica (o, per usare le parole dell’Act, personalità corporativa) e, di conseguenza, la teoria dell’eccesso di potere non si applicava nemmeno ad esse perché, sebbene l’Act del 1844 facesse riferimento al termine “società”, l'atto di incorporazione, come detto, costituiva ancora solo una forma estesa di partenariato. L’articolo 25 della predetta legge prevedeva che tra i principali poteri e privilegi previsti da un atto di incorporazione delle società vi era il potere di compiere tutti gli altri atti necessari per l’assolvimento delle finalità di tali imprese. La successiva legislazione, in particolare il Joint Stock Companies Act del 1856, definì i limiti e i confini del concetto di capacità giuridica di società nell’ambito dell’esercizio dell’attività sociale. Ciò è servito per costringere le imprese registrate a rispettare il divieto di compiere atti che oltrepassassero il limite dell’esercizio dell’attività sociale, la cui natura e la cui finalità non potevano nemmeno essere modificate successivamente dai soci in assemblea, mediante una modifica dell’atto costitutivo. Infatti, in diversi casi i giudici dichiararono che una società costituita ai sensi del Companies Act aveva la capacità di impegnarsi solo per il compimento di quelle attività che erano state espressamente o implicitamente autorizzate dal suo atto costitutivo. La House of Lords distinse chiaramente le attività che costituivano un eccesso di potere degli amministratori perché esorbitavano dall’esercizio dei poteri loro delegati dagli articoli dello statuto sociale, (e pertanto suscettibili di ratifica da parte dei soci) da quelle attività che costituivano un eccesso di potere della società perché esorbitavano dall’esercizio dell’attività sociale fissata dalla clausola oggetti indicata nel memorandum. Queste ultime attività sono state correttamente definite ultra vires e, quindi, non ratificabili dai soci in assemblea. Tuttavia, tale regola è stata via via, per così dire, mitigata nei casi successivi, che hanno gradualmente limitato il campo di 152 D’altro canto, va specificato che il certificato è solo prova conclusiva del fatto che le formalità sono state rispettate, ma non è anche prova conclusiva della legittimità degli oggetti della società. Infatti in Bowman contro Secular applicazione della teoria dell’eccesso di potere. Sintomatico, a tal proposito, è il caso A-G contro Great Eastern Railway Co, in cui la House of Lords affermò che, oltre che esercitare i poteri conferiti dal suo memorandum, una società aveva il potere implicito di compiere tutte quelle attività, da considerarsi accessorie, che potevano ragionevolmente ritenersi utili per la realizzazione dello scopo sociale. Inoltre, la teoria dell’eccesso di potere poteva d’altronde essere agevolmente aggirata mediante quella che era ormai una diffusa prassi aziendale, vale a dire indicare nel memorandum un ampio elenco di oggetti e poteri che garantissero alle società la libertà di impegnarsi in una vasta gamma di attività, senza essere limitate in alcun modo da quella teoria. La diffusione di tale prassi fu tristemente riconosciuta proprio nel caso Cotman contro Brougham, in cui la House of Lords la definì come una “prassi pericolosa in quanto confonde le finalità con i poteri”. Lord Wrenbury, manifestandone la oramai inevitabile diffusione, aveva affermato “mi arrendo ad essa!”, ed esprimeva in tal modo la sua insoddisfazione: “si è arrivati oggi ad un punto in cui la funzione del memorandum non è più di precisare, di chiarire, di palesare, ma di seppellire sotto una massa di parole il vero oggetto e le reali finalità della società, con la conseguenza che ogni concepibile forma di attività dovrebbe considerarsi racchiusa da qualche parte entro i suoi termini”. Questo problema fu inizialmente risolto dalla prassi giudiziaria attraverso l’analisi dei vari oggetti e delle varie competenze previste all’interno del memorandum e mediante l’individuazione dell’oggetto principale dell’attività sociale, in contrapposizione agli oggetti da considerarsi, al contrario, accessori o secondari. Questa prassi è diventata nota come the main object rule. In particolare, in Re Haven contro Gold Mining Co, il giudice dichiarò che “qualora siano indicati vari oggetti della società in più punti del memorandum, occorrerà guardare a quei punti del memorandum che contengono il principale o i principali oggetti della società. Tutti gli altri oggetti sono da considerarsi accessori”. Alcune società, tuttavia, trovarono il modo di aggirare la teoria della distinzione tra i poteri e gli oggetti e, quindi, si sottrassero all’applicazione della regola dell’eccesso di potere. In particolare, esse svilupparono la prassi di includere una disposizione alla fine della clausola oggetti, in cui si affermava che gli oggetti sociali non potevano essere interpretati restrittivamente e che ciascuno dei punti doveva essere interpretato come se contemplasse un oggetto separato ed indipendente. Questa prassi divenne poi nota, per l’appunto, come la clausola Cotman v Brougham. Tuttavia, successivamente i giudici si tutelarono e adottarono un’interpretazione restrittiva di questa forma di clausola. Sintomatico il caso Re Introductions Ltd contro National Provincial Bank Ltd, in cui il Giudice Harman affermò che non tutti i poteri coincidono, necessariamente, con l’oggetto e, sarcasticamente, disse che: “Una società non può avere un oggetto tale da permetterle di compiere ogni (ipotetica) attività mortale”. In un altro caso, Bell Houses Ltd contro City Wall Properties Ltd, la Corte d’Appello applicò un “naturale e ragionevole significato” alla clausola oggetti affermando che “solo nella misura in cui gli amministratori in buona fede hanno ritenuto che un particolare affare sia stato concluso a vantaggio della società, tutte le ulteriori (secondarie) attività, intraprese in dipendenza di tale affare, possono farsi rientrare appieno nell’ambito di operatività sancito dalla clausola oggetti e la capacità giuridica della società può estendersi anche al compimento di tali attività”. 153 Society255, la Corte d’Appello ha affermato che “la registrazione della società non implica necessariamente (e definitivamente) che l’oggetto di quella società sia lecito ma, dopo il rilascio del certificato di costituzione, la validità della costituzione di una società non può più essere contestata se non mediante una speciale procedura promossa in nome della Corona 256, volta ad ottenere la cancellazione della registrazione”. In particolare si è affermato che il Procuratore Generale può chiedere un certiorari per ottenere la cancellazione della registrazione nel caso in cui l’oggetto sociale sia illecito 257. L’effetto fondamentale della sezione in questione, che attribuisce al certificato di costituzione il ruolo di prova conclusiva, è quello di escludere dal diritto societario inglese la dottrina della nullità della costituzione di società, che esiste negli ordinamenti giuridici continentali. Tale disciplina prevede normalmente l’annullamento giurisdizionale dei vizi/irregolarità di costituzione e, a livello comunitario, è soggetta alla Sezione III della Prima Direttiva CEE n. 151/1968. Il cancelliere delle società, quindi, nel decidere se registrare o meno la società, svolge sostanzialmente una funzione amministrativa, piuttosto che giudiziaria: un eventuale rifiuto di registrazione può essere impugnato dinanzi al giudice, anche se con scarse speranze di successo 258. Così, ad esempio, in R contro Registrar of Joint Stock Companies ex parte More, alcuni Irlandesi volevano 255 In Appeal Cases, 1917, 406 (House of Lords). Crown: Pubblica Accusa. 257 Sul significato del termine certiorari si veda la nota 30. 258 R. contro Registrar of Joint Stock Companies, in King’s Bench Report, 2, 1931, 197. 256 154 costituire una società inglese e introdurla nel mercato dei biglietti della lotteria irlandese. Ora, costituire una società per tale finalità era considerato lecito in Irlanda, ma non in Inghilterra. Il cancelliere di conseguenza rifiutò la registrazione e gli irlandesi impugnarono la sua decisione. Il giudice tuttavia rifiutò di disattendere la decisione del cancelliere e il ricorso presentato dagli Irlandesi, per ottenere una decisione che obbligasse il cancelliere a registrare e costituire la società, venne respinta con la motivazione che il cancelliere aveva giustamente ritenuto che tali vendite fossero illegali in Inghilterra. D’altro canto, se la finalità perseguita dalla società è lecita e tutte le condizioni previste dalla legge sono state rispettate, il cancelliere deve rilasciare il certificato di costituzione e in caso di diniego, può, per l’appunto, essere presentato ricorso nei suoi confronti. Così, in R contro Registrar of Companies, ex parte Bowen259, fu richiesta la registrazione di una società sotto la denominazione Servizio Congiunto di Odontoiatria (United Dental Service Ltd). Il memorandum of association fu sottoscritto da sette dentisti non iscritti all’albo. Il cancelliere rifiutò di registrare la società a meno che il memorandum non fosse stato modificato in modo tale da prevedere che l’attività della società sarebbe stata esercitata solo da dentisti iscritti al relativo albo, oppure a meno che la denominazione della società non fosse stata corretta in modo tale da non comprendere la parola “odontoiatria” o “odontoiatrico”. I dentisti fecero ricorso dinanzi al giudice affinché egli 259 In King’s Bench (Divisional Court), 1914, 3, 1161 ss. 155 ordinasse al cancelliere di registrare la società. E, in effetti, il giudice, accogliendo il ricorso, affermò che il rifiuto del cancelliere era ingiustificato. Nello specifico, il Giudice Reading affermò che: “A mio parere il problema principale consiste nel chiedersi se l'uso delle parole ‘United Dental Service’ costituisca un illecito ai sensi del Dentists Act del 1878. Ritengo che queste parole assolvano soltanto alla funzione di descrivere gli atti da compiere, ma non implicano anche che le persone che compiranno tali atti siano persone appositamente e specificamente qualificate ai sensi della Legge del 1878. Il cancelliere avrebbe diritto a rifiutare la registrazione della società con quel nome solo se l‘uso di tale denominazione integrasse un illecito ai sensi della suddetta Legge. Ma, una volta ritenuto, come detto, che l’uso di tali parole non costituisce un illecito, il cancelliere ha sbagliato nel rifiutare la registrazione per quel motivo”. Tuttavia, di norma, la registrazione di una società non può essere messa in discussione in virtù dell’efficacia conclusiva svolta dal certificato di registrazione. Tale espediente, fondamentalmente, ha reso il diritto societario inglese immune dai problemi derivanti da quei vizi di costituzione delle società che hanno invece interessato gli Stati Uniti e molti paesi dell’Europa continentale260. Ma i casi giuridici decisi in relazione alla section 15 (4) del Companies Act 2006 (ed alle corrispondenti sections dei precedenti Acts) e la 260 R. DRURY, Nullity of companies in English law, in Modern Law Review, 1985, vol. 48, 644 ss. 156 rivisitazione di essi da parte della Corte d’Appello, in R contro Registrar of Companies, Ex parte Central Bank of India261 (relativo a un certificato di registrazione di una spesa gravante sul patrimonio della società), dimostrano che questa immunità non è assoluta. Anche perché, come già rilevato, la section 15 e le corrispondenti Sections delle Leggi precedenti sono formulate in modo tale da non vincolare la Corona, per cui il Procuratore Generale262 può rivolgersi al giudice e può ottenere un certiorari263 per annullare la registrazione264 . Questa azione è stata esperita (con successo) in R. contro Registrar of Companies, Ex parte HM’s Attorney General, in cui una prostituta era riuscita a registrare una società per l’esercizio della sua attività sotto la denominazione 261 In Quarterly Bullettin, 1986, 1114. Rovesciando la decisione di primo grado, la Corte di Appello dichiarò che, anche in sede di sindacato giurisdizionale, l’effetto della sezione 98 (2) del CA 1948, in base alla quale il certificato di registrazione di una spesa “è la prova conclusiva che i requisiti di registrazione sono stati soddisfatti”, era quello di rendere inammissibile la prova di inadempienza, precludendo così al tribunale l’annullamento della registrazione. 262 Sebbene l’espressione Attorney-General possa essere letteralmente tradotta in italiano con “procuratore generale”, la traduzione rischia di essere fuorviante giacché le funzioni dell'Attorney General e la sua posizione sono significativamente diverse da quelli dell'organo che in Italia e in altri paesi di civil law è così denominato. Infatti, mentre quest'ultimo svolge funzioni di pubblico ministero, l’Attorney General, pur avendo in alcuni paesi anche la responsabilità della pubblica accusa, ha principalmente la funzione di consulente legale del governo, con un ruolo, quindi, per certi versi analogo all'Avvocatura dello Stato italiana. 263 Nel sistema di Common Law il termine certiorari indica un particolare procedimento, imperniato sull’ordine impartito da una corte superiore ad una corte inferiore di consegnare gli atti di un giudizio dinanzi ad essa pendente, al fine di consentire alla corte superiore di riesaminare il procedimento ed accertare la validità degli atti compiuti dai primi giudici (osservanza delle norme sulla competenza e assenza di errori di diritto). Salvo diversa disposizione di legge, l’emanazione del certiorari costituisce espressione di un potere discrezionale della corte. Se la pronuncia dei primi giudici viene annullata, il processo è rinviato nuovamente al giudice inferiore. In quanto finalizzata a risolvere esclusivamente questioni di diritto e non anche di merito, il procedimento instaurato dal certiorari si svolge in assenza della giuria. 264 GOWER and DAVIES, Principles of modern company law, 8th edition, Sweeth & Maxwell Publications, London, 2008, 94 ss. 157 “Lindi St Claire (Personal Services) Ltd” (dopo che il Cancelliere aveva rifiutato altre proposte denominazioni, quali: “Prostitute Ltd”, “Hookers Ltd” e “Lindi St Claire (French Lessons) Ltd”) e, con “scrupolosa franchezza”, la stessa aveva specificato che l’oggetto principale di tale società era quello di “esercitare l’attività di prostituzione”265. Il giudice, in sede di sindacato giurisdizionale su istanza del procuratore generale, annullò la registrazione ritenendo che l’attività così dichiarata era illecita in quanto contraria all’ordine pubblico266. È improbabile, tuttavia, che, in futuro, il procuratore generale (o qualsiasi altro organo dell’Accusa) agirà in giudizio, attivando nuovamente la procedura appena descritta, a meno che non si ritenga che l’ordine pubblico (o, ancor di più, la Politica stessa) sia direttamente coinvolto; e, di sicuro, “egli non si scomoderà a farlo se tutto ciò che è accaduto non è altro che un inadempimento tecnico delle formalità di costituzione”267. Tuttavia, vi è un’altra situazione in cui il certificato non sembra essere prova conclusiva di una valida costituzione. Ciò risulta dalla section 10 (3) del Trade Union and Labour Relations (Consolidations) Act 1992, che stabilisce che la registrazione di un’organizzazione sindacale in forma di una società, così 265 Se fosse stata meno schietta, per esempio indicando come oggetto principale, quello di “esercitare l'attività di massaggiatrici e fornire i servizi connessi”, probabilmente avrebbe potuto evitare ogni problema. 266 Fermo restando che, come lei ha protestato, aveva pagato le imposte sul reddito per i suoi guadagni. Dal momento che la prostituzione può essere esercitata senza necessariamente commettere alcun reato e che lei ha continuato, senza alcuna società registrata, a praticare la sua professione, alcuni potrebbero pensare che questo sia stato un esempio di “cavallo indisciplinato di ordine pubblico che ha disarcionato i suoi cavalieri giudiziari”. 267 GOWER and DAVIES, Principles of modern company law, op. cit., 96. 158 come prevista e regolata dal Companies Act, è nulla. Si ricorda, a tal proposito, il caso di una società costituita da giovani medici ospedalieri per rappresentare i loro interessi. Ebbene, dopo che quella “società” venne costituita, fu realizzato che i suoi oggetti la rendevano un sindacato secondo la definizione giuridica. Il Dipartimento del Commercio ritenne che la disposizione del diritto del lavoro superava i limiti e la portata dell’attuale section 15 (4) del CA 2006 e, di conseguenza, il Cancelliere cancellò la società dal registro delle imprese per “registrazione nulla”. Questo caso giuridico è considerato “storico” perché rappresenta il primo e l’ultimo esempio di cancellazione di una società senza alcuna decisione giurisdizionale. Infatti, a quanto pare, in quel caso la cancellazione fu disposta senza alcun ordine del tribunale268 e senza contestazione alcuna da parte dei medici. Tuttavia, è pur vero che l’interpretazione dominante ha ritenuto che tale azione, instaurata (e conclusa) su iniziativa del cancelliere, deve essere considerata come un’azione intrapresa “in nome della Corona (Pubblica Accusa)” e allo scopo di correggere un errore che lui stesso (o i suoi predecessori) aveva fatto269. Pertanto, sembra ormai improbabile (anche se non certo) che in ogni caso qualcuno, a parte la Pubblica Accusa, possa invocare la nullità di una società registrata, a meno che e finché essa non sia stata cancellata dal registro delle 268 Nonostante il fatto che la Prima Direttiva in materia di Diritto Societario all'art. 11,1 (a) prevedeva che "la nullità deve essere dichiarata in giudizio". 269 Ma, presumibilmente, a meno che la società non era d’accordo, non avrebbe potuto intraprendere questa azione senza che la costituzione fosse nulla (come nel caso di un sindacato o di finalità illecita), piuttosto che annullabile (che si ha nel caso in cui, per esempio, la registrazione è stata ottenuta con falsa rappresentazione). 159 imprese a seguito di un’azione intrapresa da parte, o in nome e per conto, della Corona: cancellazione, come conseguenza di tale azione, che equivale a una dichiarazione che attesti che la società non sia mai esistita in quanto ente giuridico270. L’opinione dominante, tuttavia, non la ritiene la migliore soluzione: cioè, affermare che la società non è mai esistita non ha alcun senso, considerato che “paradossalmente, anche non esistendo, la società ha continuato a svolgere l’attività sociale come se si trattasse di una società registrata e sia i suoi soci, sia i suoi creditori l’hanno erroneamente ritenuta tale” 271. Essa dovrebbe essere posta in liquidazione272, piuttosto che essere dichiarata mai esistita273. 3. (Segue): I documenti costitutivi (Articles of Association e Memorandum of Association). Il documento costitutivo più importante è rappresentato dagli Articles of Association (ovvero lo statuto sociale), documento per il quale il legislatore ha predisposto alcuni modelli. Gli articoli dello statuto prevedono, di norma, gran parte delle regole che disciplinano il funzionamento interno della società e 270 GOWER & DAVIES, Principles of modern company law, op. cit., 92 ss. GOWER & DAVIES, op. cit., 97. 272 Ma a che titolo? Come una società registrata, che apparentemente non è? O come una società non registrata ai sensi della Parte V della legge fallimentare inglese (la Parte V dell’Insolvency Act del 1986 è rubricata “Winding up of unregistered companies”)? 273 Come la Prima Direttiva pare prevedere all’art. 12.2, secondo cui “La nullità comporta la liquidazione della società, come può comportarla lo scioglimento”. 271 160 rivestono un ruolo particolarmente importante nel quadro della legge britannica, in funzione della vasta gamma di questioni che la legge stessa lascia che siano disciplinate dallo statuto. Ora, ci sono due fondamentali documenti costitutivi, la registrazione dei quali è obbligatoria: il Memorandum of Association e il già menzionato Articles of Association. a) Memorandum of Association. Un cambiamento significativo nel quadro della legge 2006 è consistito nella retrocessione a un ruolo residuale del Memorandum of Association (atto costitutivo), che, prima delle modifiche introdotte dall’attuale Legge sulle società, conteneva al suo interno le informazioni più importanti sulla società e, in origine, rimaneva in gran parte immutato dopo la registrazione della società274. Ai sensi della Legge 2006 il memorandum, che, ad ogni modo, deve ancora oggi essere depositato presso il registro delle imprese in quanto costituisce pur sempre un passo obbligato del processo di formazione, ha semplicemente la funzione di far rilevare che i soci fondatori desiderano costituire una società ai sensi dell’Act e decidono di diventare soci della società al momento della sua costituzione; e, nel caso di una società con un capitale azionario, essi si obbligano a detenere almeno una azione ciascuno 275. 274 Il CLR (Company Law Review) aveva suggerito di abolire del tutto il memorandum (Relazione finale I, par. 9.4), ma poiché sono state eliminate solo alcune parti di esso, ci si è chiesti se tale modifica abbia alterato la natura della società come una associazione incorporata. Da qui, apparentemente, l’idea di un ruolo residuale del memorandum. 275 Section 8 (1) of the 2006 Companies Act. 161 La section 8 (1) del CA 2006 infatti statuisce che “A memorandum of association is a memorandum stating that the subscribers: (a) wish to form a company under this Act; (b) agree to become members of the company and, in the case of a company that is to have a share capital, to take at least one share each”. Come s’è detto, però, il ruolo e la funzione del memorandum hanno gradatamente perso la rilevanza che le veniva conferita sotto la vigenza del CA 1985. Infatti, il memorandum, in conformità con le intenzioni di semplificazione, è un documento che è stato significativamente abbreviato nel CA 2006. Nella section 2 del CA 1985, il memorandum prevedeva varie parti al suo interno in cui dovevano essere inserite varie informazioni, tra cui: l’indicazione del nome della società; se la sua sede sociale era situata in Inghilterra, nel Galles o in Scozia; l’indicazione dell’oggetto sociale, che rappresentava l’informazione più importante. Altre parti del memorandum contenevano ulteriori informazioni sulla società e, in particolare, sul tipo sociale prescelto dai soci. Tali questioni sono ora disciplinate come parte dei requisiti di registrazione richiesti ai sensi degli articoli 9-13 del CA 2006. Questa attenuazione del memorandum riflette le raccomandazioni del Progetto di Revisione della Legge sulle Società, al paragrafo 9.4., secondo cui ci dovrà essere, in futuro, un unico documento di costituzione per le società. Il 162 memorandum quindi, come detto, ora svolge la funzione di evidenziare l’intenzione dei soci di formare una società. Il memorandum deve essere autenticato da ciascun socio, (il cancelliere la facoltà di specificare il metodo di autenticazione, ma non in modo tale da impedire l’invio elettronico del memorandum e degli altri documenti costitutivi)276. b) Articles of Association. Che lo Statuto sociale (Articles of Association) rappresenti nell’Act 2006 il documento costitutivo più importante si evince, innanzitutto, dalla sua collocazione rispetto all’Atto costitutivo (Memorandum of Association) all’interno della stessa Legge del 2006. Infatti, il Memorandum viene previsto, come già specificato, dalla Section 8 della Parte Seconda dell’Act, rubricata “Company formation”: questa parte riguarda “tutto ciò che è preparatorio alla costituzione di una società”277 e, in tale ambito, come si è già avuto modo di rilevare, la nuova funzione del Memorandum consiste nell’evidenziare quale sia la volontà dei contraenti, vale a dire quella di costituire una società e di diventarne soci. Gli Articles of association, invece, è un documento che viene collocato dal legislatore inglese nella Section 18 della Parte Terza, rubricata “A company’s constitution”. Quindi, si tratta di un documento che ha sostanzialmente preso il posto del 276 Section 1068 (3), (5). DINE & KOUTSIAS, Company law, Palgrave MacMillan Publications, New York, 2007, p. 46. 277 163 memorandum of association nell’ambito del processo costitutivo di una società. La legge inglese tende a classificare i documenti costitutivi delle società come atti aventi natura contrattuale. Lo Statuto sociale non fa eccezione a questo principio e ciò lo si ricava dal Companies Act. Infatti, la section 33 della Legge del 2006 prevede che “le disposizioni relative alla costituzione della società obbligano la società e i suoi soci come se tra la società ed ogni socio vi fosse un contratto che obbliga ambedue le parti al rispetto delle disposizioni medesime”. La formulazione di questa sezione può essere fatta risalire, con tutte le dovute variazioni, al primo Act del 1844 che adottava il metodo, allora esistente, di formare una società per azioni sulla base di un “accordo di incorporazione” (deal of settlement) che, con riguardo alla natura di esso, costituiva un contratto tra i soci che lo stipulavano. Quindi, lo statuto costituisce un contratto tra la società e i suoi soci. Anche se lo Statuto sociale ha natura contrattuale, esso chiaramente è più di un accordo privatistico tra la società e i suoi soci. Lo Statuto diventa un atto pubblico al momento della costituzione della società e il relativo modello di articoli, a sua volta un documento pubblico, dovrà essere depositato dalla società, così come da essa modificato278, presso il registro delle imprese, 278 Infatti il contenuto degli Articles of Association non è obbligatoriamente previsto dal Companies Act e, in base alla section 20, una società può anche non registrare alcun Articles of Association, nel qual caso si applica il modello di Articles redatto dal Segretario di Stato. Se invece la società ha predisposto e registrato il proprio modello di Articles, prevarrà 164 affinché il cancelliere delle società provveda alla relativa registrazione (e agli adempimenti di pubblicità). La pubblicità della costituzione della società è sempre stato un obbligo previsto dal diritto societario britannico ed è anche un obbligo comunitario di diritto societario279. Lo statuto sociale costituisce, quindi, il principale strumento di regolazione del rapporto tra l'azionista e la società nonché lo strumento che garantisce l’equilibrio dei poteri tra gli azionisti stessi. Un altro aspetto importante, che viene normalmente regolato dagli Articles of association, è rappresentato dai diritti di voto relativi alle varie categorie di azioni. Ancora, altre questioni importanti, regolate dagli Articles, sono: i poteri esercitabili dal consiglio di amministrazione, il pagamento dei dividendi, la modificazione della struttura del capitale della società, ecc. Oltre a questi documenti, la domanda di registrazione deve riportare, specificandole, le seguenti indicazioni: a) il nome della futura società; b) se la sede sociale si trovi in Inghilterra, nel Galles, nella Scozia o nell’Irlanda del Nord; c) se la responsabilità dei soci è limitata e, in tal caso, occorrerà aggiungere la specificazione “limited by shares” o “limited by guarantees”. E, ancora, in quest’ultimo caso, occorre aggiungere nella quest’ultimo, ma solo “nella misura in cui esso non sia tale da escludere o modificare” il modello previsto dalla Legge. 279 Direttiva Comunitaria 151/1968, art. 2 (1) (b) 165 domanda di registrazione una c.d. “dichiarazione di garanzia” : essa deve indicare l’importo che ciascun membro della società si impegna a conferire alla società (in eventuale liquidazione) 280 e deve contenere i nomi e le residenze di ogni sottoscrittore di cui al memorandum; d) nel caso di una società con un capitale azionario, occorre invece indicare nella domanda l’ammontare del capitale e delle iniziali partecipazioni. La domanda inoltre deve contenere l’indicazione del valore nominale e l’importo versato sulle azioni possedute dai soci al momento della costituzione; e) se la società è pubblica o privata; f) l’indicazione delle persone proposte per l’amministrazione della società, contenente il consenso di ogni persona ad amministrare. Queste sono le più importanti informazioni che rappresentano il contenuto della domanda di registrazione281. Ogni altra informazione, ad esempio sulle partecipazioni e sugli organi sociali, costituisce la più importante espressione di quell’obbligo (che perdurerà per tutta la vita della società) che consiste nell’informare periodicamente il cancelliere in merito ad eventuali modifiche relative a tali informazioni. Solo se la società è una società di interesse collettivo occorrerà indicare ulteriori informazioni. In primo luogo, al fine di rispettare le restrizioni che l’Act del 280 Si veda, per maggiori chiarimenti, la section 11 del CA 2006. Ci deve essere anche una “dichiarazione di conformità” consegnata al cancelliere che certifichi che i requisiti di registrazione sono stati rispettati, e tale dichiarazione può essere accettata dal cancelliere come prova sufficiente di conformità. 281 166 2004 ha previsto per tali imprese, in particolare in relazione ai trasferimenti di beni aziendali, la libertà di azione della società, in relazione al suo statuto, è limitata. Essa infatti deve includere tra gli articoli del proprio statuto le disposizioni contenute nel Community Interest Company Regulations del 2005. Inoltre, tale società può essere registrata come una CIC solo se il Cancelliere riconosce che i suoi obiettivi consistono nella promozione di un interesse collettivo. A tale scopo, coloro che richiedono la registrazione devono fornire un ulteriore documentazione al Cancelliere, vale a dire una c.d. “dichiarazione di interesse collettivo”, che deve essere firmata da ogni (futuro) amministratore della società e che attesti che la società svolgerà le sue attività allo scopo di perseguire il benessere della comunità, illustrando brevemente in che modo l’attività della società andrà a vantaggio della comunità stessa. Solo se il Cancelliere ritiene che la costituenda società soddisfi i requisiti previsti dalla legge, egli registrerà la società come una CIC. Si tratta tuttavia di requisiti, in realtà, non ben specificati dalla legge (è stabilito, infatti, che “una società può essere definita ‘di interesse collettivo’ se una qualunque persona potrebbe ragionevolmente ritenere che le sue attività siano svolte a vantaggio della collettività”) e così è ben possibile che possano sorgere diverse dispute in ordine alla costituzione di una CIC (con conseguenti proposizioni di ricorsi nei confronti di CIC di tal guisa costituite). 167 4. La nullità delle società: la soluzione inglese e la funzione di definitività assolta dal Certificato di costituzione (Certificate of incorporation). In che modo l’ordinamento inglese è riuscito a risolvere i problemi descritti (§ 2), senza la necessità di una teoria della nullità? In primo luogo il sistema di costituzione prescritto dal Companies Act richiede che i documenti relativi alla costituzione di una società siano iscritti nel Registro delle Imprese e inviati al Cancelliere delle Società. Il cancelliere, mediante il controllo di questi documenti, esercita quindi un funzione “quasi-giurisdizionale” e non deve procedere alla registrazione della società “a meno che non abbia accertato che tutti i requisiti di legge in materia di registrazione e di questioni precedenti e inerenti ad essa siano stati rispettati”. È in questa fase, pertanto, che i problemi relativi alla illiceità dell’oggetto, alla mancanza delle necessarie indicazioni all’interno dell’atto costitutivo, alla presenza di irregolarità degli atti, devono essere eliminati. La registrazione verrà rifiutata (e, conseguentemente, la costituzione della società non consentita), salvo che gli eventuali difetti siano stati corretti. I problemi relativi alla incapacità o al consenso viziato dei soci fondatori o di altri soci sono stati risolti dal legislatore inglese, ritenendo che tali vizi abbiano rilevanza intrinseca solo per la società, e non possano pregiudicare i diritti dei terzi. Questo orientamento di “internalizzazione del consenso” emerge dalla section 8 (1)(a) del CA 2006. Tale section sottolinea il fatto che coloro che hanno sottoscritto il memorandum of association hanno chiaramente espresso la 168 volontà di diventare soci della società. In questo modo si evita qualsiasi rivendicazione della loro mancanza di consenso tale da inficiare la validità della costituzione. Ugualmente, anche il vizio di incapacità ha presentato pochi problemi nel diritto inglese. Se, ad esempio, una o più persone che firmano il memorandum sono minorenni, ciò non significa che le loro firme sono inefficaci ai fini della costituzione della società. I minori, infatti, possono diventare azionisti della società, e il loro status di soci è valido anche se essi possono rifiutare le azioni prima o al raggiungimento della maggiore età. I contratti dei minori e, nella maggior parte dei casi, di pazienti affetti da malattia mentale, sono annullabili e non nulli. Dal momento in cui tali contratti sono validamente stipulati fino alla loro rescissione, si può ritenere che sussista il numero sufficiente di persone per la firma del memorandum. Quindi, se al cancelliere si presenta una qualche questione di incapacità, tutto quello che egli deve fare è verificare se il contratto che vincola la persona dichiarata incapace sia stato annullato. Se così non è, si può procedere alla registrazione. Se è stato annullato, il cancelliere deve rifiutare la registrazione in quanto non sussiste il numero sufficiente di persone per la sottoscrizione del memorandum. Tuttavia, come già si è messo in luce nel paragrafo precedente, per scongiurare ogni dubbio su questa e su tutte le altre potenziali cause di nullità relative alla costituzione, il diritto inglese ha previsto una disposizione che ricade nell’alveo delle prove 169 conclusive, inerenti alla costituzione di società, e che disciplina il c.d. Certificato di Costituzione (o Certificato di Registrazione). Il certificato di costituzione è un documento sconosciuto nella maggior parte delle giurisdizioni continentali, ed è la più importante ragione per cui il diritto inglese non s’è molto interessato dei problemi relativi alla disciplina della nullità282. I vari Companies Acts, almeno a partire da quello del 1862, hanno contemplato, di volta in volta, disposizioni che, in un modo o nell’altro, hanno definito questo certificato di incorporazione come la prova conclusiva del rispetto dei requisiti di registrazione imposti dalla legge. Il frasario è cambiato tra la Legge del 1862 e quella del 1900 (ed è rimasto invariato dal CA del 1985 fino ad oggi). Infatti la section 192 del Companies Act del 1862 prevedeva che il certificato era “prova conclusiva che tutti i requisiti contenuti nel presente documento in materia di registrazione sono stati rispettati e che, ai sensi della presente Legge, la società è stata autorizzata alla registrazione...”. Questa section, tuttavia, non è stata vista di buon occhio dai giudici ed è contestata in molti casi, in quanto la sua generica formulazione sembrava attribuire al Cancelliere delle Società un vero e proprio potere di costituire una società, semplicemente tramite il rilascio del certificato di costituzione. Negli Stati Uniti (e in molti paesi dell’UE), la maggior parte delle giurisdizioni non contempla la regola della prova conclusiva descritta. Vi è una vasta giurisprudenza in materia società nulla, e per le grandi operazioni molte aziende sono obbligate ad ottenere un parere che attesti che la società è stata correttamente registrata. 282 170 Significativo, a tal proposito, è il caso In Re National Debenture and Assets Corporation283, in cui fu affermato che il rilascio del certificato di registrazione non dimostrava, in modo definitivo, che sussistesse il numero necessario di persone previsto dalla legge per la firma del memorandum. La Legge del 1862 fissava a sette il numero minimo di soci fondatori i quali, una volta sottoscritto il memorandum e depositati i documenti costitutivi presso il Registro delle Imprese, potevano richiedere la registrazione della società. Ma, in quel caso in particolare, era successo che uno dei sei sottoscrittori aveva firmato il memorandum due volte con nomi differenti. Nonostante questa irregolarità, il cancelliere aveva rilasciato il certificato di registrazione. Ebbene, la Corte d’Appello ritenne che una rigorosa applicazione della regola della prova conclusiva sembrava conferire al cancelliere il potere di creare società con meno di 7 soci fondatori: competenza che egli non aveva in virtù della legge. Così la Corte d’Appello affermò che quella regola non poteva trovare applicazione in ordine a tale questione. Così il testo della summenzionata section 192 del CA 1862 è stato modificato dalla Legge del 1900, section 1 (1)284 (e riportato nel successivo Act del 1948, section 15): il certificato veniva perciò più specificamente definito come “ la prova conclusiva del fatto che tutte le condizioni del Companies Act in materia 283 In Law Reports: Chancery Division, 2, 1891, 505 ss. Rubricata Conclusiveness of certificate of incorporation: “A certificate of incorporation given by the registrar in respect of any association shall be conclusive evidence that all the requisitions of the Companies Acts in respect of registration and incorporation, of matters precedent and incidental thereto have been complied with, and that the association is a company authorised to be registered and duly registered under the Companies Acts”. 284 171 di registrazione e costituzione nonché tutte le questioni precedenti e incidentali alla costituzione sono state rispettate, e che l’associazione è una società, che è stata autorizzata ad essere registrata, ed è stata debitamente costituita ai sensi del Companies Act”285. In tal modo, l’intento del legislatore era quello di consentire il rilascio del certificato di registrazione solo se, oltre a rispettare tutti i requisiti… in materia di registrazione, i soci fondatori avessero altresì rispettato tutte quelle condizioni ritenute incidentali alla costituzione stessa (quale, ad esempio, il rispetto del numero minimo di soci fondatori previsto dalla legge ai fini della sottoscrizione del memorandum). Non era del tutto chiaro, però, se questa nuova definizione del certificato di costituzione potesse risolvere tutti i problemi inerenti alla nullità. Problemi che sembravano senza dubbio superati per il Giudice Eve, così come evidenziato nel caso Hammond contro Prentice Brothers Ltd286. Egli, infatti, nel valutare se un’associazione potesse costituirsi in forma di società in considerazione della vecchia section 192 del CA 1862, affermò che, “sebbene, così come affermato dalla Corte d’Appello in In Re National Debenture and Assets Corporation, la conclusività del certificato possa essere messa in discussione, ritengo che è in questo caso non è del tutto chiaro se l’attore possa impugnare il certificato”. L’attuale formulazione della section 15(4) del CA 2006 è molto simile: essa tuttavia non comprende più le parole “…e che l’associazione è una società che è stata autorizzata ad es sere registrata …“. 286 In Law Reports: Chancery Division, 1, 1920, 201 ss. 285 172 Anche in Cotman contro Brougham287, come già visto (§ 3, pag. 9), la Corte affermò che la portata della regola della prova conclusiva era tale da impedirle di contestare una clausola oggetti ritenuta piuttosto esagerata nel suo contenuto, e per questo non conforme alla legge, in quanto contemplava una vasta gamma di attività esercitabili dalla società. Vi erano quindi diversi elementi che facevano dubitare sul fatto che il nuovo testo della section 1 del CA 1900 fosse stato formulato allo scopo di limitare la portata della regola della prova conclusiva. A tal proposito, Palmer288 scriveva “Dopo l’approvazione della Legge del 1862, si è constatato che le parole ‘i requisiti del presente atto in materia di registrazione’ significavano, in senso più ampio, ‘i requisiti e le condizioni precedenti e connessi alla registrazione’ ”. Tuttavia, paradossalmente, nonostante la citata interpretazione giudiziaria attribuisse a queste parole un significato più ampio rispetto a quello che avrebbero poi assunto nella Legge del 1900, residuavano ancora decisioni che affermano che il certificato non era da considerarsi prova conclusiva in ordine a tutte le questioni relative alla costituzione di una società. Infatti, come visto, anche in In Re National Debenture and Assets Corporation si è ritenuto che il certificato non era da considerarsi decisivo in relazione alla sussistenza del numero minimo di sottoscrittori del memorandum. 287 In Appeal Cases, 1918, 514 ss. Palmer’s Company Law, Annoted guide to the Companies Act 2006, 2008, Thompson Sweet & Maxwell, 178. 288 173 Ci sono altri casi che hanno limitato l’efficacia della regola della prova conclusiva: fra tutti, si ricorda Bowman contro Secular Society Ltd, relativo alla questione della liceità di una clausola oggetti. In particolare l’attore, Mr. Bowman junior, contestava la validità di una donazione, così come risultava dal testamento di Mr. Bowman senior, fatta a favore della Secular Society Ltd, sulla base del fatto che l’oggetto di essa era illecito e, quindi, tale da inficiare la validità della donazione stessa. Il giudice di primo grado affermò, al contrario, che, in relazione alla Legge del 1900, “il problema che il legislatore ha voluto affrontare è stato quello della validità della costituzione della società: perciò, è allo scopo della costituzione di una società, e solo e soltanto per questo scopo, che il certificato di registrazione è stato reso prova conclusiva”. Conseguentemente, il giudice, anche in questo caso, non poté fare a meno di riconoscere la rilevanza e l’efficacia pratica del certificato di registrazione, ritenendo che “la registrazione della società non implica necessariamente (e definitivamente) che l’oggetto di quella società sia lecito ma, dopo il rilascio del certificato di costituzione, la validità della costituzione di una società non può più essere contestata se non mediante una speciale procedura promossa in nome della Corona, volta ad ottenere la cancellazione della registrazione”289. Nel caso di specie, l’oggetto principale della società era quello di “promuovere il principio secondo cui l’uomo deve fondare la propria condotta sulla base della conoscenza terrena, e non sulla base di convinzioni soprannaturali, e che il benessere umano in questo mondo è il fine primario di ogni pensiero e di ogni azione”. La parte attrice sostenne che questo oggetto, non essendo altro che una negazione del Cristianesimo, fosse contrario all’ordine pubblico: di 289 174 conseguenza la donazione fatta in favore della società non era valida. La House of Lords accolse l’opinione del giudice di primo grado secondo cui tale oggetto non era da considerarsi illecito. Esaminiamo la vicenda più nello specifico. I fatti erano i seguenti: un testatore aveva fatto donazione del suo restante patrimonio alla Secular Society: la questione affrontata riguardava proprio la validità di questa donazione. Non vi era alcun dubbio in ordine alla capacità del testatore o alla validità del suo testamento. In relazione alle condizioni essenziali per la validità della donazione, l’unica questione sollevata da parte attrice era quella dell’incapacità del donatario. La Secular Society era stata costituita come società limited by guarantee, ed era in grado di esercitare tutte le funzioni di una società registrata. A prima vista, quindi, la società era un ente giuridico con il potere di acquisire la proprietà a seguito di donazione fatta sia con atto inter vivos sia con disposizione testamentaria. Il ricorrente tentò di contestare la validità della capacità giuridica della società secondo il seguente ragionamento: “se si guarda all’oggetto per il quale la società è stata costituita, così come espresso nel suo memorandum, non si può fare a meno di notare come tale oggetto sia effettivamente illecito o, in ogni caso, in contrasto con le norme di legge, in quanto contrario all’ordine pubblico. Stando così le cose, la società non era un’associazione in grado di essere costituita, quale società limited by guarantee, ai sensi del Companies Act: tale società, in quanto costituisce una associazione illecita, è incapace di acquisire la proprietà a seguito di donazione”. Tuttavia, Lord Parker of Waddington, componente della House of Lords, così argomentava: “Non credo che questo aspetto sia ben chiaro al ricorrente, anche se la premessa da lui fatta è corretta. Infatti, con la section 1 del CA 1900 (CA 2006, s. 15 (4)), il certificato di costituzione di una società viene considerato la prova conclusiva del fatto che la società è un’associazione che è stata autorizzata ad essere registrata: id est un’associazione con non meno di sette persone che si uniscono in società per il perseguimento di una finalità lecita. Tale section però non implica che, se tutti o uno qualsiasi degli oggetti indicati nel memorandum sono illeciti, essi diventano, per così dire, automaticamente leciti in virtù del rilascio del certificato. Al contrario, se gli amministratori della società utilizzano il patrimonio sociale per fini illeciti, essi sono responsabili per avere sperperato con negligenza il patrimonio della società e sono costretti a risarcire il danno, anche se l’oggetto per il quale il patrimonio sociale è stato sperperato era espressamente previsto dal memorandum. Allo stesso modo un contratto stipulato con una società il cui oggetto sia illecito e, tuttavia, previsto dal memorandum, non può essere fatto valere. La section, però, preclude a tutti i sudditi di Sua Maestà di impugnare il certificato di registrazione o di affermare che la società non è un ente giuridico avente lo status e la capacità conferiti dalla Legge. Anche se tutti gli oggetti indicati nel memoradum siano illeciti, non ne consegue che la società non possa utilizzare i suoi fondi per un determinato affare o stipulare un contratto con oggetto lecito”. La parte attrice prospettava successivamente l’ipotesi estrema, definita dalla stessa un’anomalia, in cui i giudici un giorno potevano arrivare ad ammettere l’esistenza di una società di cui tutti gli oggetti, indicati nel suo memorandum, fossero stati palesemente illeciti. Ed è proprio controbattendo a tale considerazione che lo stesso Lord Parker of Waddington illustrava le funzioni del certificato di registrazione e il ruolo svolto dal cancelliere in seno alla costituzione di una società. A tal proposito egli riteneva che fosse improbabile che si verificasse l’ipotesi prospettata dalla parte attrice, considerato che il cancelliere svolgeva una funzione quasi-giudiziaria (anche se l’espressione per gran parte della dottrina era fuorviante, in quanto il cancelliere non esercitava alcun potere discrezionale, né tanto meno aveva il potere di dirimere le controversie) e il suo dovere era quello di determinare se la società che avesse richiesto la registrazione potesse essere autorizzata ad essere registrata ai sensi della Legge. Una società i cui oggetti fossero tutti illeciti avrebbe potuto ottenere la registrazione solamente in caso di colpa o di grave negligenza del cancelliere. E in un tale caso solo il giudice avrebbe potuto disporre d’ufficio la sospensione dell’esecutività del certificato, in 175 E seppure si affermava sarcasticamente “è possibile notare qualche ammaccatura nell’armatura costituita dalla regola della prova conclusiva” 290, tuttavia, con gran ottimismo, la dottrina maggioritaria affermava ugualmente che “Nel diritto del Regno Unito, il problema se la costituzione di una società sia nulla o annullabile non può più porsi una volta che il certificato di registrazione è stato rilasciato. Questo sostanzialmente è il motivo per cui il Regno Unito giustamente non ha fatto nulla per attuare quelle disposizioni della Prima Direttiva relative alle procedure che devono essere previste nei casi di nullità”. Tuttavia, quella fin’ora descritta è la situazione esistente nell’ordinamento societario inglese prima della adesione del Regno Unito alla Comunità Europea. Successivamente diverse disposizioni del Diritto Societario Inglese sono state modificate in modo tale che possiamo procedere a una riconsiderazione dell’affermazione appena citata. attesa che venisse intrapresa la procedura specifica per l’annullamento del certificato stesso. E, considerato che la section 1 del CA del 1900 non era vincolante per la Corona, tale procedura poteva essere attivata mediante una richiesta di certiorari, avanzata al giudice da parte del Procuratore Generale in nome e per conto della Corona, e volta a ottenere l’annullamento della costituzione della società. Quindi, continuava Lord Parker of Waddington, l’unica ipotesi possibile in cui si poteva attivare la procedura fondata sul certiorari, ai fini dell’annullamento di una società, era quella in cui tutti gli oggetti della società stessa fossero illeciti. Ipotesi non rinvenibile nel caso in esame. Quindi fu stabilito che la donazione effettuata in favore della Secular Society Ltd era perfettamente valida. 290 R. DRURY, op. cit., 648. 176 5. I casi di nullità nel diritto societario inglese: sindacati registrati in forma di società ed illiceità dell’oggetto sociale. Il legislatore inglese, nel concepire e interpretare le regole del diritto societario inglese relative alla costituzione delle società, ha fatto in modo di evitare che qualsiasi problema legato alla nullità delle società potesse in qualche modo minare le aspettative e gli interessi degli azionisti e dei terzi. Tale scelta è risultata estremamente efficace (visto che, effettivamente, l’intenzione di escludere dal diritto inglese l’applicazione della disciplina delle nullità della società ha avuto successo), e quindi la disciplina inglese dei vizi costitutivi di società, per così dire, regge decisamente il confronto con le corrispondenti discipline degli altri paesi. Gran parte del merito va attribuito senz’altro ai “Cancellieri delle Società” i cui sforzi hanno fatto sì che pochi casi, aventi ad oggetto costituzioni viziate, siano mai stati trattati dinanzi ai tribunali. Tuttavia, allo stato attuale, residuano ancora due situazioni in cui la registrazione di una società può essere contestata e che possono dare luogo ad una dichiarazione di nullità. Esaminiamole più nello specifico. La prima di esse riguarda la richiesta di registrazione di un sindacato in forma di società. La section 5 del Trade Union Act del 1871 dichiarava che “I vari Companies Act non si applicano ad alcun sindacato, e la registrazione di un sindacato ai sensi di un qualsiasi Companies Act è nulla”. Questa section fu applicata nel caso Edinburgh and District Aerated Water Manufacturers 177 Defence Association contro James Jenkinson & Company 291. Il giudice dichiarò che gli attori avevano dato vita ad un sindacato, ma che la registrazione di esso alla stregua di una società, effettuata sulla base delle regole stabilite dal CA, era da considerarsi nulla. Pertanto, gli attori non avevano alcun titolo per proporre un ricorso in nome e per conto della società (non esistente in quanto tale). Analogamente, nel caso British Association of Glass-Bottle Manufacturers Ltd contro Nettlefold, si affermò che il certificato di costituzione di cui alla section 1 del CA 1900 non era da considerarsi conclusivo, ai fini della validità della registrazione, fintanto che si rilevava che la società costituiva in realtà un sindacato. Il problema esiste ancora oggi, nonostante varie revisioni e modifiche legislative. Un caso più recente ha riguardato una società costituita da alcuni medici pediatrici ospedalieri allo scopo di rappresentare i loro interessi. Avuto riguardo al Trade Union and Labour Relations Act del 1974, ci si accorse che le principali finalità di quella società, così come descritte nel suo Memorandum, rientravano nella nozione di sindacato di cui alla section 28 (1) della citata legge del 1974. La section 2 (2) di quella legge stabiliva (e la stessa disposizione ricorre nella section 10 dell’attuale Trade Union and Labour Relations Act del 1992) che, ogniqualvolta un sindacato fosse stato costituito in forma di società, la costituzione di esso avrebbe dovuto considerarsi nulla. 291 In Session Cases, 5, 1903, 1159. 178 Il Dipartimento del Commercio ritenne che la section 2 (2) del Trade Union and Labour Relations Act del 1974 non poteva tenere conto della regola della prova conclusiva: cioè, un sindacato, costituito in forma di società, non poteva beneficiare dell’efficacia conclusiva svolta dal certificato di registrazione, in quanto non si trattava di una società, bensì di una organizzazione sindacale la cui costituzione in forma di società era nulla. Si tratta quindi di un esempio in cui la cui registrazione di una “società” è stata annullata dall’applicazione di una disposizione legislativa: si tratta in effetti di una nullità ai sensi della legge inglese. La seconda situazione, decisamente più frequente, in cui può verificarsi un caso di nullità nel diritto inglese riguarda la questione della illiceità dell’oggetto sociale. La section 7(2) del Companies Act 2006 vieta la costituzione di una società con oggetto illecito (o, aggiungerei, contrario all’ordine pubblico). La questione dell’illiceità dell’oggetto sociale, come visto, ha assunto grande rilevanza nel caso Bowman contro Secular Society Ltd 292, in cui un parente prossimo di un testatore contestava la validità di una donazione, all’interno del testamento, alla Secular Society Ltd, sulla base del fatto che la società perseguiva un oggetto illecito. Anche se la House of Lords rilevò che l’oggetto sociale della Secular Society Ltd era effettivamente illecito, i Lords, a maggioranza, stabilirono una procedura da seguire in casi del genere. 292 In Appeal Cases, 1917, 406 ss. 179 Lord Parker of Waddington per primo affermò che la regola della prova conclusiva non rende automaticamente leciti gli oggetti illeciti di una società e, di conseguenza, gli amministratori che utilizzano i fondi della società per attività illecite sono colpevoli di abuso di potere, e i contratti conclusi in virtù di un simile oggetto sociale devono considerarsi inefficaci. Inoltre egli aggiunse che, sebbene la section 1 del CA del 1900 vietasse a tutti i sudditi di Sua Maestà di contestare la costituzione di una società, una volta che la società avesse ottenuto il certificato, tuttavia era ben possibile che il cancelliere delle società potesse qualche volta commettere errori nell’esercizio delle sue funzioni e consentire, quindi, la registrazione di una società con oggetto illecito. In casi del genere, poiché “né la section 1 del CA 1900, né la corrispondente section del Companies (Consolidation) Act del 1908, sono formulate in modo tale da vincolare la Corona, il Procuratore generale, in nome della Corona, può attivare un procedimento fondato sul certiorari per ottenere l’annullamento della registrazione che il cancelliere, nell’espletamento delle sue funzioni quasi-giudiziari, ha impropriamente o erroneamente consentito”. Un’altra soluzione scelta per affrontare il problema dell’illiceità dell’oggetto sociale, prospettata nel famoso caso Salomon contro Salomon & Co. 293, è 293 In Appeal Cases, 1897, 22, 30. 180 quella che si basava sul c.d. atto di scire facias294, volto a revocare il certificato di costituzione. Tuttavia la House of Lords ha ritenuto, in Princess 294 È il c.d. scire facias writ: un atto che richiede alla parte nei cui confronti esso è rilasciato di comparire dinanzi al giudice e di mostrare i motivi per cui un atto giudiziario non dovrebbe essere nei suoi confronti applicato, abrogato, o annullato. Writ è il vecchio termine inglese per atto giudiziario. Alcuni paesi ancora utilizzano il termine. Un atto di scire facias, quindi, è un ordine a comparire dinanzi al tribunale e a dimostrare il motivo per il quale l’atto in questione non deve essere deliberato in favore della parte che ha richiesto il writ. L’atto di scire facias è nato in Inghilterra, e il suo uso è stato introdotto dai coloni americani. Nell'Inghilterra del XVIII secolo l’atto è stato utilizzato per abrogare le autorizzazioni dei brevetti. Tali autorizzazioni venivano rilasciate mediante lettere scritte del Re o della Regina e garantivano agli inventori i diritti di brevetto (oggi si direbbe diritti d’autore) sulle loro invenzioni. Qualsiasi persona che riteneva che un brevetto non fosse valido o perché era stato richiesto ed ottenuto dall’inventore fornendo false informazioni, o perché esisteva già una precedente uguale invenzione, poteva rivolgersi alla Royal Cort of Chancery (Reale Corte d’Equità) e richiedere la presenza dell’inventore dinanzi alla Corte affinché egli giustificasse il brevetto. E se nasceva una vera e propria controversia sulla validità del brevetto, l’inventore poteva richiedere l’instaurazione di un processo davanti ad una giuria presso la Corte del Tribunale Reale (Court of King’s Bench). La giuria così risolveva ogni questione di fatto, e il caso veniva inviato nuovamente alla Royal Cort of Chancery. Ad essa infatti competeva il giudizio finale in merito alla revoca del brevetto. L’atto di scire facias non è sopravvissuto nel moderno diritto industriale. Nel diritto moderno, solo una persona che direttamente si ritenga lesa da un determinato brevetto può contestare il brevetto stesso. Inoltre, un’eventuale domanda di nullità del brevetto non può essere prima avanzata dinanzi alla Corte Reale, ma dinanzi al Tribunale Federale dei Brevetti competente.. Nell’odierna prassi, l’atto di scire facias è utilizzato per l’esecuzione delle sentenze che comportano una condanna pecuniaria. Quando un attore in una causa civile ottiene una condanna pecuniaria nei confronti di un convenuto, l’ordine del giudice che impone alla parte soccombente di corrispondere alla controparte la somma stabilita può decadere (passare in giudicato) se, dopo alcuni anni, il debito derivante da sentenza resta ancora insoluto. Per questo motivo la legge consente all’attore di presentare una mozione al tribunale, prima della scadenza del termine per il pagamento della somma stabilita (prima del passaggio in giudicato della sentenza), allo scopo di prolungare il termine dell’ordine di pagamento del tribunale. Se l’attore si vede respinta tale mozione, egli può depositare un atto di scire facias per far valere (to revive) la sentenza di condanna. Il convenuto deve poi comparire dinanzi al giudice e spiegare il motivo per cui l’obbligo di pagamento non è stato adempiuto. Se invece il convenuto ha già pagato all’attore, o se il convenuto ha la prova che egli non deve nulla all’attore, lo stesso può presentare nuovi elementi di prova e spostare l’onere della prova in capo all’attore. Se il convenuto non è in grado di giustificare il mancato pagamento, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza. Il giudice può ordinare al convenuto di presentare una documentazione attestante la sua situazione finanziaria, per la vendita eventuale dei propri beni, allo scopo di adempiere all’obbligo di pagamento, o per l’adozione di altre misure. L’atto di scire facias (o la citazione per scire facias) è stato abolito a livello federale e nella maggior parte degli Stati. I ricorrenti possono fare valere una sentenza passata in giudicato mediante il deposito di un ricorso, presso il tribunale di una giurisdizione generale. Le Corti che hanno abolito l’atto di scire facias, lo hanno ritenuto, per la complessità delle sue procedure, inadeguato alle esigenze della società moderna. In alcune giurisdizioni che ancora pur contemplano tale disciplina, l’atto è ormai caduto in disuso. 181 of Reuss contro Bos295, che la liquidazione della società fosse la soluzione più efficace con cui “ci si sarebbe potuti sbarazzare di un simile vizio (oggetto illecito) senza che fosse necessario passare attraverso la lunga e complessa procedura dello scire facias”. La questione, come già ricordato, si è ripresentata nel caso R. contro Registrar of Companies, ex p. H.M. Attorney General, che rappresenta certamente uno dei casi più rilevanti in cui i giudici hanno affrontato il problema della illiceità dell’oggetto sociale. La vicenda, per così dire, fu provocata da una lettera dell’Agenzia delle Entrate (Policy Division), nella quale la stessa considerava la prostituzione come un vero e proprio lavoro296 e, come tale, perfettamente tassabile. Alla destinataria della lettera, Miss Lindi St. Claire, fu pertanto consigliato, dai suoi commercialisti, di organizzare la propria attività in forma di società (a responsabilità) limitata. Dopo le varie trattative con il cancelliere delle società, durante le quali le denominazioni sociali “Prostitute Ltd”, “Hookers Ltd”, e “Lindi St. Claire (French Lessons) Ltd” furono respinte, la società fu Gli Stati che continuano a mantenere l’atto di scire facias richiedono che esso sia depositato entro un certo periodo di tempo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. In Texas, per esempio, il Codice di Procedura Civile specifica che un atto di scire facias può essere proposto entro e non oltre due anni successivi alla data in cui la sentenza è passata in giudicato (Tex Civ. Materia. Rem &. Code Ann. § 31,002 [ West 1995]). Il termine scire facias è anche usato nel diritto civile inglese per descrivere una particolare forma di esclusione giudiziaria da ipoteca. Se il debitore ipotecario di un bene immobiliare non ha pagato il proprio debito, il creditore ipotecario può richiedere e ottenere un atto di scire facias, che è un comando per il convenuto debitore a comparire e spiegare il motivo per cui l’immobile ipotecato non dovrebbe essere venduto per soddisfare il debito ipotecario. 295 In Law Reports, 1871, 5, 176. 296 Forse la parola 'professione' avrebbe potuto essere più adatta, in virtù dei numerosi precedenti di questo tipo di attività. 182 finalmente costituita e registrata sotto il nome di “Lindi St. Claire (Personal Services) Ltd”. L’oggetto primario di questa società era quello di “Esercitare l’attività di prostituzione”. Miss St. Claire, con convincenti motivazioni 297, ritenne che tentare di annullare l’iscrizione della sua società sulla base del fatto che la prostituzione fosse illecita era alquanto ingiusto, considerato il fatto che lei stessa veniva tassata “per l’esercizio di quella particolare forma di commercio”298. Tuttavia, fu seguita la procedura suggerita nel caso Bowman contro Secular Society Ltd299, e il Procuratore Generale azionò la procedura del certiorari per annullare l’iscrizione e la costituzione della società. Nello spiegare le ragioni che lo indussero ad azionare tale procedura egli affermò che, nell’attestare e nel registrare la costituzione di quella società, il cancelliere delle società aveva agito al di là delle funzioni attribuitegli dalla legge o, quanto meno, aveva male interpretato la section 1 (1) del CA del 1948, in quanto la società in questione non era stata costituita per uno scopo lecito. Il Giudice Ackner, che approvò la procedura adottata nel caso di specie, dichiarò che “la società è nata allo scopo di esercitare un’attività che “Voglio dire che la prostituzione non è del tutto illecita, come Voi avete affermato, e ritengo che questa Vostra decisione sia molto ingiusta, soprattutto considerato che ho pagato all’Agenzia delle Entrate l’imposta sul reddito per i miei guadagni derivanti dalla prostituzione. Inoltre, ritengo che sia ancora più ingiusto che Voi insinuate che io abbia agito in maniera scorretta, dal momento che sono stata sempre molto chiara ed esplicita su quale fosse l’unica attività della società, vale a dire l’attività di prostituzione e nulla più. Se la mia società, ora, non deve essere considerata valida, allora, a rigor di logica, essa non avrebbe dovuto nemmeno essere sovvenzionata dal Comitato di Commercio. È più ingiusto il fatto che il governo mi abbia prima permesso di costituire la mia società e poi l’abbia annullata”. 298 R. DRURY, op. cit., 651. 299 Anche se, come visto, in quel caso non ci fu alcuna richiesta di certiorari, ma da parte di Lord Parker of Waddington venne solo prospettata, a scopo esemplificativo, la relativa procedura da seguire. 297 183 comporta la stipulazione di contratti illeciti, in quanto la finalità di essa è una finalità sessuale immorale e, come tale, contraria all’ordine pubblico”. La Corte decise così di annullare la registrazione e la costituzione della società. Dopo quella decisione, la normativa in materia di sindacato giurisdizionale, incluso il certiorari, è stata riesaminata dalla House of Lords. Significativo, al proposito, è il caso IRC contro National Federation of Self-Employed and Small Businesses Ltd.300, in cui i criteri per la legittimazione ad agire furono ridefiniti e ampliati. L’effetto pratico dell’ampliamento dei confini della legittimazione ad agire può essere riscontrato, innanzitutto, nella decisione del caso R. contro Registrar of Companies, ex p. Esal (Commodities) Ltd301. Questo caso ha ribadito l’applicabilità del sindacato giurisdizionale, fondato sul certiorari, nei confronti di un certificato rilasciato dal cancelliere delle società, nonostante la regola della prova conclusiva. Il certificato in questione era stato rilasciato ai sensi della section 98 (2) del CA 1948 e costituiva prova conclusiva dell’avvenuta registrazione di una tassa prevista dalla section 95302 300 In English Report, 1981, 2, 93 ss. In English Report, 1985, 1, 79 ss. 302 “Subject to the provisions of this Part of this Act, every charge created after the fixed date by a company registered in England and being a charge to which this section applies shall, so far as any security on the company's property or undertaking is conferred thereby, be void against the liquidator and any creditor of the company, unless the prescribed particulars of the charge together with the instrument, if any, by which the charge is created or evidenced, are delivered to or received by the registrar of companies for registration in manner requi red by this Act within twenty-one days after the date of its creation, but without prejudice to any contract or obligation for repayment of the money thereby secured, and when a charge becomes void under this section the money secured thereby shall immediately become payable”. Fatte salve le disposizioni della presente parte del presente Atto, ogni carica creata dopo la data fissata da una società registrata in Inghilterra e di essere un addebito di cui alla presente sezione si applica, per quanto riguarda la sicurezza sui beni della società o impresa è 301 184 di quella legge. Nel caso di specie, una richiesta di registrazione di una tassa, presumibilmente introdotta il 9 febbraio 1984, fu inviata al Registro delle Imprese il 29 febbraio 1984, accompagnata da un Modulo 47 303 viziato. Il modulo infatti ometteva di specificare sia quale fosse il documento o l’atto da cui si potesse evincere l’esistenza di quella tassa, sia le attività cui essa si riferiva. Il modulo fu così rimandato indietro dal cancelliere e ripresentato correttamente allo stesso il 29 marzo 1984. La tassa fu successivamente registrata con effetto a decorrere dalla data di presentazione originaria. L’importanza di questo caso nel contesto della nullità delle società è duplice. In primo luogo, la Corte ha dichiarato che essa era competente ad annullare il certificato di registrazione, nonostante la regola della prova conclusiva. In secondo luogo, essa ha dichiarato che sia le società in questione sia i creditori di quella società avevano legittimazione ad agire per contestare la registrazione. In termini di competenza, è interessante notare che il caso Lindi St. Claire fu portato dinanzi alla Corte (apparentemente senza disapprovazione) sulla base così conferite, essere nulla contro il liquidatore e qualsiasi creditore della società, a meno che le indicazioni prescritte della carica insieme con lo strumento, se presenti, con il quale la tassa è creato o attestato, vengono consegnate o pervenute alla cancelleria della società per la registrazione in modo richiesti dalla presente legge entro ventuno giorni dalla data della sua creazione, ma senza pregiudizio di qualsiasi obbligo di contratto o per il rimborso del denaro così garantiti, e quando diventa un costo nullo ai sensi della presente sezione i soldi depositati in tal modo è immediatamente esigibile. 303 Tale Modulo è “Application to correct a corporate register” (Richiesta di correzione di una società registrata). La domanda per correggere una società registrata viene utilizzata per correggere alcuni tipi di informazioni di un atto che è stato depositato presso la cancelleria. Se l’atto di registrazione non ha ancora prodotto effetti (perché è previsto che entrerà in vigore a partire da una certa data futura) e viene scoperto un errore prima della data (e dell'ora) del deposito, esso deve essere ritirato, corretto e ri-presentato. 185 del fatto che un certiorari era stato proposto contro la decisione di registrazione di quella società da parte del cancelliere. Tuttavia il giudice, Mervyn Davies, preferì basare la sua decisione su principi più generali. Egli si basò sulla sentenza di Lord Diplock nel caso O'Reilly contro Mackman304, e dichiarò che i criteri ivi enunciati dovevano essere applicati nei confronti del cancelliere nel caso in questione. Dopo aver deciso che, in linea di principio, il certiorari era stato sollevato contro il cancelliere per un errore di diritto (un motivo richiamato anche per la richiesta di certiorari nel caso Lindi St. Claire), il giudice esaminò se il sindacato giurisdizionale avesse potuto essere utilizzabile alla luce della previsione della prova conclusiva di cui alla section 98 (2). Nel trattare tali questioni, egli affermò che: “Il danno che si vorrebbe evitare con la section 98(2), vale a dire quello causato dall’incertezza dei traffici commerciali, sarà al contrario effettivamente commesso se il sindacato giurisdizionale continuasse ad essere consentito. Questa è una conseguenza che, si auspica, verrà eliminata”. Tuttavia nonostante tali considerazioni, egli ritenne che il sindacato giurisdizionale poteva e doveva essere utilizzato per controllare l'eventuale eccesso di competenza da parte del cancelliere. Ad ogni modo l’esigenza della certezza dei traffici commerciali non sarebbe stata seriamente compromessa, in quanto il sindacato giurisdizionale è soggetto a un termine di tre mesi, e anche perché la Corte ha il potere discrezionale di 304 In English Reports, 1982, 3, 1124 ss. 186 rifiutare una richiesta di certiorari se da esso possa derivarne un sostanziale pregiudizio305. Il giudice esaminò la questione della legittimazione ad agire sotto due profili. In primo luogo, egli tenne conto del fatto che la società era in liquidazione e su tale base ritenne che essa dovesse agire per contestare la validità del certificato di cui alla section 98 (2). Allo stesso modo egli ritenne che i creditori bancari avessero un “sufficiente interesse” ad agire, ai sensi dell’Ord.53 R.3 (7), per il fatto che, dopo l’ordine di liquidazione, “i diritti dei creditori, in un certo senso, hanno cristallizzato le attività della Esal”. In secondo luogo, oltre alla questione delle spese, il giudice esaminò la questione della legittimazione ad agire vigente prima che la società fosse posta in liquidazione. Egli considerò che la società era stata chiaramente influenzata dal fatto che la validità della tassa aveva costituito un fattore significativo nella presentazione dello schema di accordo, e dal fatto che la società sarebbe stata accusata in ogni caso per l'iscrizione tardiva della tassa (in base alla section 101 del CA 1948). È incerto se egli sarebbe giunto alla stessa decisione in assenza di questi fattori. Ancora più importante è il fatto che il giudice ritenne che i creditori della società prima della sua liquidazione, avevano legittimazione ad agire sulla base del fatto che, se la tassa non fosse stata valida nei loro confronti, sarebbero stati disponibili più soldi per soddisfare i loro debiti. Si può 305 Potere discrezionale che prima era previsto dal Supreme Court Act del 1981, ma è ormai scomparso con l’Administration of Justice Act del 1985, lasciando il limite di tempo come l'unico meccanismo di protezione. 187 certamente affermare che vi sono fattori analoghi a quello da ultimo menzionato, fattori che operano nel caso di una domanda relativa alla illiceità dell’oggetto in relazione ad un certificato di costituzione. Certo, si potrebbe dire che un creditore o un debitore avrebbe “un sufficiente interesse nella questione a cui la domanda si riferisce” se ci fosse la possibilità che la società, con la quale egli si era impegnato, “scomparisse tutto a un tratto” 306. Il modo in cui queste parole sono state interpretate in IRC contro Naitonal Federation of Self-Employed and Small Businesses Ltd., indica che non vi è più alcuna necessità di limitare la legittimazione ad agire unicamente al Procuratore generale sulla base del fatto che il Companies Act non vincola la Corona. Pertanto, sebbene la regola della prova conclusiva rimane valida per “il contenzioso ordinario”, sembra che la domanda di sindacato giurisdizionale volta ad annullare un certificato di registrazione possa essere avanzata direttamente da qualsiasi creditore o debitore di una società la cui costituzione sia di dubbia validità. Riassumendo. Il Companies Act 2006 prescrive, alla section 7(2), che una società non può essere costituita per il perseguimento di un oggetto illecito. Il Companies House ha il diritto di rifiutare la registrazione di una società costituita per uno scopo illecito. Prima del CA 2006 il Companies House aveva l'opportunità di ben discernere lo scopo per il quale una società era stata registrata perché ogni società era obbligata ad indicare i suoi oggetti all’interno 306 R. DRURY, op. cit., 653. 188 del memorandum of association, secondo il suo vecchio modello. Ora ai sensi del CA 2006, invece, è facoltativa l’indicazione degli oggetti (peraltro, all’interno degli articles of association). Il rifiuto del Companies House di registrare una società è soggetto a sindacato giurisdizionale. A tal proposito si è indicato, come esempio, il caso R contro Registrar of Joint Stock Companies, ex parte More, in cui il cancelliere rifiutò di registrare la società perché il suo obiettivo principale era quello di vendere in Inghilterra i biglietti di una lotteria (conosciuta come la Irish Sweep). I promoters di quella società tentarono la strada del sindacato giurisdizionale di tale decisione. La Corte d'appello però ritenne che la vendita di tali biglietti in Inghilterra costituiva un reato ai sensi delle norme di legge allora in vigore (e ancora oggi è un reato ai sensi del Lotteries and Amusements Act 1976, section 2 307), e, 307 General lottery offences: (1) Subject to the provisions of this section, every person who in connection with any lottery promoted or proposed to be promoted either in Great Britain or elsewhere: (a) prints any tickets for use in the lottery; or (b)sells or distributes, or offers or advertises for sale or distribution, or has in his possession for the purpose of sale or distribution, any tickets or chances in the lottery; or (c) prints, publishes or distributes, or has in his possession for the purpose of publication or distribution — (i) any advertisement of the lottery; or (ii) any list, whether complete or not, of prize winners or winning tickets in the lottery; or (iii) any such matter descriptive of the drawing or intended drawing of the lottery, or otherwise relating to the lottery, as is calculated to act as an inducement to persons to participate in that lottery or in other lotteries; or (d) brings, or invites any person to send, into Great Britain for the purpose of sale or distribution any ticket in, or advertisement of, the lottery; or (e) sends or attempts to send out of Great Britain any money or valuable thing received in respect of the sale or distribution, or any document recording the sale or distribution, or the identity of the holder, of any ticket or chance in the lottery; or (f) uses any premises, or causes or knowingly permits any premises to be used, for purposes connected with the promotion or conduct of the lottery; 189 conseguentemente, il cancelliere aveva fatto bene a rifiutare la registrazione della società, in quanto non era stata costituita per uno scopo lecito. Ovviamente ci sono pure casi in cui la richiesta di sindacato giurisdizionale sulla decisione del Cancelliere delle Società (in merito alla negata registrazione) vada a buon fine. In R contro Registrar of Companies, ex parte Bowen308, il giudice ritenne che il rifiuto del cancelliere di registrare la società era sbagliato: il cancelliere aveva dubitato che il nome della società, 'United Dental Service Ltd' (una società di dentisti), fosse lecito a causa di alcune restrizioni di legge sulla pubblicità relativa ai dentisti ; tuttavia, il giudice, in quel caso, dichiarò che il nome era assolutamente lecito. Oggi è stata introdotta una procedura per vagliare i nomi delle società prima della loro registrazione e se Mr Bowen avesse voluto registrare oggi la società ‘United Dental Service Ltd’, egli avrebbe dovuto seguire questa procedura. Mr Bowen costituì la sua or (g) causes, procures or attempts to procure any person to do any of the above-mentioned acts, shall be guilty of an offence. (2)In any proceedings instituted under subsection (1) above, it shall be a defence to prove either: (a) that the lottery to which the proceedings relate was a lottery declared not to be unlawful by section 3, 4 or 25(6) below, and that at the date of the alleged offence the person charged believed, and had reasonable ground for believing, that none of the conditions required by the relevant enactment to be observed in connection with the promotion and conduct of the lottery had been broken; or (b) that the lottery to which the proceedings relate was a society’s lottery or a local lottery, and that at the date of the alleged offence the person charged believed, and had reasonable ground for believing, that it was being conducted in accordance with the requirements of this Act; or (c) that the lottery to which the proceedings relate was not promoted wholly or partly outside Great Britain and constituted gaming as well as a lottery. 308 In King’s Bench Report, 1914, 3, 1161. 190 società allo scopo di esercitare l'attività di odontoiatria. Oggi non è più ritenuto lecito costituire una società a tal fine, ai sensi del Dentists Act del 1984, section 42309. Si è ulteriormente messo in evidenza che l’obbligo delle società di perseguire un oggetto lecito offre ai giudici la possibilità di escludere (dal ‘giuridicamente lecito’) quelle attività che, non solo costituiscono reati penali o illeciti civili, ma che anche violano un complesso di regole morali più generali, soprattutto in materia sessuale. Quindi, anche se “concludere affari in qualità di prostituta non è un reato penale e i guadagni di questa attività sono soggetti a imposta sul reddito”, l’esercizio dell'attività di prostituzione non è una finalità lecita per la quale una società può essere costituita e registrata. Una decisione positiva del Companies House in merito alla registrazione di una società è meno assoggettabile a sindacato giurisdizionale rispetto a un rifiuto di registrazione del Cancelliere delle Società, in quanto il ricorrente, nel procedimento inerente al sindacato giurisdizionale, dovrebbe presentare al tribunale la prova che dimostri che le disposizioni del CA 2006 in materia di registrazione non sono stata rispettate, mentre il certificato di costituzione 309 Restriction on bodies corporate: (1) No body corporate, other than one exempted under section 43 below, shall carry on the business of dentistry. (2)Any body corporate contravening this section shall be liable on summary conviction to a fine not exceeding the third level on the standard scale. (3)Where a body corporate is convicted of an offence under this section, every director and manager of the body shall, unless he proves that the offence was committed without his knowledge, be guilty of the like offence. 191 costituisce prova definitiva che le medesime disposizioni sono state rispettate (CA 2006, section 15). Di conseguenza, il giudice non può accogliere qualsiasi richiesta per il riesame (sindacato giurisdizionale) della decisione di registrare una società a meno che il ricorrente non sia il procuratore generale, la cui prova deve essere esaminata dal giudice, in quanto la section 15 non è vincolante per la Corona. È importante per coloro che fanno affari con una società confidare sul fatto che l'esistenza della società non può facilmente essere messa in discussione. Il potere del Procuratore Generale di chiedere l'annullamento della decisione di registrazione di una società è stato esercitato, come s’è visto, in R contro Registrar of Companies, ex parte AttorneyGeneral. Una volta stabilito che non sussiste alcun dubbio sulla sua costituzione, la liceità dell’oggetto di una società può tuttavia essere contestata in giudizio e il suo certificato di incorporazione non è più prova conclusiva del fatto che tale oggetto sia lecito (Bowman contro Secular Society Ltd). 192 6. Le conseguenze di tale disciplina e le implicazioni per la legge inglese. Dagli esempi appena fatti si ricava che nel diritto societario inglese esiste, come detto, una quasi-disciplina310 di nullità delle società. In ciascuno di tali esempi la registrazione della società è stata evitata o annullata, e il risultato, alla fin fine, potrebbe essere descritto correttamente come una costituzione invalida o nulla. In ogni ordinamento giuridico le conseguenze di una disciplina di nullità delle società possono essere regolate almeno secondo tre modalità. La società può essere nulla ab initio, un fatto che potrebbe essere invocato da o nei confronti di terzi, senza la necessità di una decisione del giudice. Ma i problemi derivanti dall’incertezza dei traffici commerciali suggeriscono di evitare una tale soluzione. In secondo luogo, l'esistenza o la registrazione della società possono essere impugnate mediante ricorso giurisdizionale e con una decisione giudiziaria, ma tale decisione, una volta adottata, avrà effetto retroattivo, il che renderà la società nulla, anche in questo caso, ab initio (vale a dire, partire dal momento della sottoscrizione, da parte dei soci, del memorandum e degli articles of association). Una tale disciplina potrebbe creare problemi sia per gli azionisti che per i terzi. I primi potrebbero divenire improvvisamente responsabili per quei contratti dai quali essi stessi credevano di essere agevolmente protetti per via della responsabilità limitata. I secondi potrebbero scoprire che l'altra parte (la società) è improvvisamente scomparsa, ed è stata sostituita, se non del tutto, da numerose persone, contro 310 R. DRURY, op. cit., 653. 193 le quali possono essere promosse singole azioni individuali. Affinché un tale sistema possa funzionare, la legge dovrebbe fornire un qualche meccanismo per la ripartizione dei diritti e della responsabilità della società nulla (in regime di società nulla). Pertanto, concetti come la francese société de fait, la tedesca faktische gesellshaft o la società americana de facto dovrebbero svilupparsi anche in Inghilterra311. La terza modalità richiede ugualmente una decisione giudiziaria, ma essa avrà solo effetti futuri (efficacia ex nunc), riconoscendo che, fino al momento della decisione, la società è esistita. In tal modo, i beni della società dovrebbero essere utilizzabili per soddisfare i suoi debiti attuali, e i suoi azionisti potrebbero essere chiamati a contribuire sulla base dell’ammontare (del valore) delle loro azioni. Anche se la società sarà dichiarata nulla, i suoi affari (le questioni ad essa relative) possono essere risolti con la messa in stato di liquidazione. È quest’ultima soluzione che pare provocare il minor numero di problemi, ed è proprio la soluzione richiesta per gli Stati Membri dagli articoli 11 e 12 della Prima Direttiva. Se esaminiamo i due casi di nullità sopra esposti, sembra che per il primo, quello del sindacato, non vi era alcuna necessità di un’azione giudiziaria: la questione si poneva, infatti, tra la “società” e il Cancelliere. Inoltre, probabilmente questo è il caso in cui una tale de-registrazione ha l’effetto di rendere la “società” nulla ab initio. Nel secondo caso, quello di un ordine di Alcuni ti questi concetti, in ogni caso, rinnegano l’effetto retroattivo della dichiarazione di nullità. Si veda VON BODUNGEN, La società viziata nel diritto americano e tedesco, in American Journal of Comparative Law, 1967, 15, 313. 311 194 certiorari, nel caso di società con oggetto illecito, Pennington ha sottolineato che: “Il certiorari annulla il certificato di registrazione come se esso non fosse mai stato rilasciato: pertanto, si dovrebbe intendere la società come se essa non avesse mai avuto alcun patrimonio o non avesse mai contratto debiti e obblighi, in modo che nessun bene, apparentemente in suo possesso, possa essere disponibile a soddisfare i debiti sostenuti in nome e per conto di essa”312. Egli mostra di preferire una soluzione basata sull’atto di scire facias che produrrebbe effetti ex nunc, sciogliendo la società a partire dal giorno della pronuncia. Nei casi in cui è ammessa la nullità, il diritto inglese ha apparentemente adottato la prima e la seconda delle possibilità sopra menzionate, ma senza adottare il concetto di società de facto per colmare le lacune. Quali sono le conseguenze di un tale approccio? Come, per esempio, affrontare il caso di colui che ha dato credito a un sindacato registrato? Sicuramente non è di alcun aiuto per lui sentirsi dire: “Mi dispiace, ma avresti dovuto fare più attenzione nel fare affidamento sul certificato di costituzione del Cancelliere”. Eppure, la legge inglese non sembra fornire una risposta efficace laddove, non è tanto il contratto stesso, quanto l’altra parte del contratto, vale a dire la società, che diventa nulla. Può essere che, in quanto “società” viziata rientrante nella definizione di sindacato di cui alla section 28 (1) del Trade Union Labour Realations Act of 1974, essa mantenga sempre quello status, nonostante la sua 312 Pennington’s Company Law, op. cit. 36. 195 mancata registrazione. Ora la section 2 (1) di tale Act prevede che un sindacato è in grado di stipulare contratti ed è in grado di essere citato in giudizio in nome proprio. Ciò può permettere l'accesso al patrimonio del sindacato, che dovrebbe in ogni caso essere stato investito nell’amministrazione fiduciaria. (Tuttavia, ciò non sarà di grande conforto per i terzi, perché gli ex azionisti che hanno sottoscritto le azioni in una “società” invalida possono di certo pretendere un ritorno del loro denaro.) Tutte gli altri beni della “società” sono stati ugualmente ottenuti sulla base di contratti invalidi. Quindi la terza parte non può vantare altro che un credito nei confronti di un sindacato senza beni, e dove non esiste alcuna procedura per rendere i soci responsabili per i suoi debiti. Sarebbe meglio per il terzo potere pretendere che ciò che è rimasto dopo la nullità sia una associazione senza personalità giuridica, i cui membri possono essere resi responsabili con l'applicazione delle norme in materia di agenzia. Ma un simile approccio presenta i suoi problemi, dal momento che, in ambito societario, l'autorità conferita agli amministratori deriva dalla società stessa, e non direttamente dai soci. Un soggetto che ha fatto affari con una società con oggetto illecito che poi è stata annullata non si trova molto meglio. Ci sono alcune indicazioni, nei vari casi giuridici, che suggeriscono ai giudici di considerare tali società viziate alla stregua di una associazione (società di persone) o, forse, di una società senza personalità giuridica. I contratti stipulati con tale società probabilmente possono essere fatti valere nei confronti degli azionisti, trattandoli come una 196 sorta di soci con responsabilità illimitata (soci accomandatari), se si dimostra che, in qualità di azionisti essi hanno continuato a esercitare l’impresa. Tuttavia, la persona che ha stipulato il contratto probabilmente è stato l’amministratore della società, e il terzo invece, secondo tale logica, rivendicherebbe il suo credito nei confronti degli azionisti in qualità di soci. Tuttavia è possibile proporre un ricorso nei confronti di chi aspira a essere amministratore. Ugualmente è stato notato che la formulazione della section 36 (4) del CA 1985 potrebbe risolvere il problema se si potesse affermare che il contratto si presume essere stato stipulato da una società in un momento in cui tale società non era stata costituita. Così l’amministratore o altro organo della presunta società diventa personalmente responsabile. Tuttavia, se l’oggetto della società era illecito, e il principio della conoscibilità presunta (o legale) opera nei confronti di una società di fatto, qualsiasi persona che abbia fatto affari con quella società può ritenere che il contratto è illecito, e quindi viziato, e inefficace per tale motivo. Lo scopo di questo excursus è stato solo quello di dimostrare che finché il diritto inglese non ammetterà al suo interno una disposizione sulla nullità delle società, non potrà iniziare ad adottare misure adeguate volte a regolare gli effetti di tale nullità. Il diritto inglese, attualmente, viola le disposizioni della Prima Direttiva. L'articolo 11 stabilisce infatti che gli Stati Membri non devono necessariamente uniformarsi alle regole sulla nullità delle società, così come contemplate dalla Direttiva, tranne che in determinati aspetti. Il primo di 197 questi è che la nullità deve essere pronunciata da un tribunale. In nessuna parte del Trade Union and Labour Relations Act 1992 possiamo trovare un qualche requisito che richieda una decisione del tribunale che dichiari che l’aspirante società è un sindacato e che la registrazione è quindi da annullare. In quella legge non sembra esserci nulla che impedisca al terzo di fare affidamento sul fatto che la registrazione di una tale società è nulla, specialmente considerato che la regola della prova conclusiva non è stata creata per disciplinare questa situazione. L’articolo 11 (2) delimita i casi in cui la nullità può essere pronunciata. Anche se al paragrafo b troviamo il riferimento alla natura illecita dell’oggetto sociale, compreso il riferimento alla contrarietà all'ordine pubblico, è una storpiatura l’espressione utilizzata per dire piuttosto che è (anche) un sindacato che può essere illecito o contrario all'ordine pubblico. Nessun’altra ragione potrebbe colmare (coprire) adeguatamente il caso del sindacato nel diritto inglese. L'articolo 11 conclude stabilendo che “Fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità”. Conseguentemente la section 10 (2) e (3) del Trade Union and Labour Relations Act 1992 313 potrebbe sembrare in contrasto con la Direttiva. “Un sindacato non può essere disciplinato come se si trattasse di una persona giuridica... Un sindacato non deve essere registrato come se fosse una società: (a) ai sensi del Companies Act 1985, o successivo; (b), ai sensi del Friendly Societies Act del 1974, o dell’Industrial and Provident Societies Act 1965, e qualsiasi registrazione di un sindacato (se effettuata) è nulla”. 313 198 Se passiamo a esaminare l'articolo 12, la situazione non migliora. Il comma 2° precisa che “La nullità comporta la liquidazione della società, come può comportarla lo scioglimento”. Questa previsione risulta chiaramente violata da entrambi i casi di nullità presenti nel diritto inglese, visto che nessuno di essi sembra richiedere la liquidazione della società. Il terzo comma prevede che “La nullità non pregiudica la validità degli obblighi della società o degli obblighi assunti nei confronti di essa, salvi gli effetti dello stato di liquidazione”. Questa disposizione, che prevede, quindi, l’efficacia ex nunc delle dichiarazioni di nullità, risulta anch’essa palesemente violata dalle disposizioni che disciplinano i sindacati, nonché dalla scelta di accordare all’azione basata sul certiorari efficacia retroattiva. A sottolineare questa efficacia ex nunc è il comma 5° dello stesso articolo, laddove stabilisce che “I possessori di quote o di azioni sono tenuti a versare il capitale sottoscritto e non liberato quando le obbligazioni assunte verso i creditori lo esigano”. Inutile dire che la legge inglese non prevede tale obbligo. Pertanto, la Direttiva, pur manifestando il suo disappunto per il concetto di nullità limitando i motivi in base ai quali essa può essere fatta valere, tuttavia, fa in modo di contemplare adeguate conseguenze di tale nullità per quegli Stati membri che vogliano mantenerla. Se si dovesse decidere conformare il diritto societario inglese alla presente direttiva, sarebbe necessaria un’apposita legge per due motivi: in primo luogo, per introdurre disposizioni alternative per i sindacati; in secondo luogo, per 199 disciplinare gli effetti della nullità nei casi di oggetto illecito. È stato affermato che il fatto che gli oggetti di una società possano rientrare nella definizione di sindacato contenuta nella section 1 del Trade Union and Labour Relations Act 1992 possa essere una ragione per la liquidazione coatta della società ai sensi del CA 2006, e che possa essere presentata un’istanza da parte sia del Dipartimento del Commercio sia del Segretario di Stato. Tale iter soddisferebbe gli obiettivi della section 10 dell’Act del 1992, pur non richiedendo alcuna ragione (giustificazione, motivo) di nullità sulla base del fatto che, essendo un sindacato, esso persegue un oggetto sociale illecito. Evitando la nullità in favore di procedure di liquidazione obbligate, l’obbligo della direttiva di una decisione del tribunale è aggirato. Inoltre, tale Act del 1992 avrebbe bisogno di precisare che la registrazione di una società può solamente essere revocata o annullata (in quanto l’oggetto della società è stato illecito o contrario all'ordine pubblico) da un procedimento giudiziario avviato ai sensi della stessa legge del 1992. L'effetto della decisione del giudice dovrebbe essere quello di annullare la registrazione per il futuro (a partire da questo momento) e di porre immediatamente la società in stato di liquidazione. Questa decisione dovrebbe essere iscritta sia nel Registro delle Imprese sia nella Gazzetta ufficiale, conformemente al disposto degli articoli 12 comma 1314, 3 comma 2315 e 4316 della Prima Direttiva. Per motivi di trasparenza, la “L'opponibilità ai terzi di una sentenza di nullità è disciplinata dall'articolo 3. L'oppos izione di terzo, quando prevista dalla legge nazionale, non è proponibile oltre sei mesi dalla data di 314 200 legge, di cui si auspica l’emanazione, potrebbe precisare che la validità degli atti compiuti in nome della società non deve essere colpita da nullità. Inoltre, tale legge potrebbe prevedere che gli azionisti della società siano obbligati a contribuire con ogni importo non pagato sulle loro azioni nella misura richiesta dai debiti della società. Infine, la legge potrebbe utilizzare il precedente del Netherlands Civil Code317 e prevedere che le persone che hanno agito in nome di una società che è stata dichiarata nulla sono responsabili in solido nei confronti dei terzi per le loro azioni. pubblicazione della sentenza”. 315 “Tutti gli atti e indicazioni soggetti all'obbligo della pubblicità a norma dell'articolo 2 sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro ; dal fascicolo deve in ogni caso risultare l'oggetto delle trascrizioni fatte nel registro”. “Gli Stati membri prescrivono che la corrispondenza e gli ordinativi indichino: - un ufficio del registro presso il quale sia costituito il fascicolo menzionato all'articolo 3, nonché il numero d'iscrizione della società nel registro; - il tipo di società, la sede sociale e, se del caso, lo stato di liquidazione della società. Quando nei documenti suddetti è indicato il capitale della società, tale indicazione deve riguardare il capitale sottoscritto e versato”. 316 317 Article 71(5) of NCC 1996. 201 PARTE SECONDA L’INDIVIDUAZIONE DEI CASI DI NULLITA’ MEDIANTE L’ANALISI DELL’ARTICOLO 2379 DEL CODICE CIVILE 202 CAPITOLO I LA SPECIALITA’ DELLA DISCIPLINASOCIETARIA RISPETTO A QUELLA NEGOZIALE 203 1. I confini dell’istituto Il legislatore della riforma, stabilendo l’applicabilità alle delibere assembleari nulle degli artt. 2379 e 2379 bis (così come integrati, per le delibere ricadenti nei rispettivi ambiti di applicazione, dagli artt. 2379 ter e 2434 bis c.c.), ha inteso delineare, per tale categoria di atti, uno statuto speciale di nullità che si distacca dalla normativa generale sulle invalidità contrattuali e che limita la possibilità di pervenire a una caducazione giudiziale delle delibere viziate al fine di tutelare in maniera particolarmente forte l’interesse alla stabilità e alla certezza dell’attività sociale. Anche nei casi più gravi di invalidità si è così inteso impedire l’applicazione, alle delibere assembleari, degli artt. 1418 ss. c.c., che in materia contrattuale consentono di procedere alla declaratoria di nullità senza limiti di tempo e di travolgere, in tal modo, i diritti di tutti i terzi, compresi quelli di buona fede. L’efficienza di tale costruzione va tuttavia verificata esaminando se vi siano casi in cui i principi che caratterizzano la disciplina delle invalidità negoziali possano comunque trovare applicazione alle delibere assembleari in virtù della riconducibilità di queste ultime a categorie dogmatiche diverse dalla nullità e dall’annullabilità, quali l’inesistenza e l’inefficacia, o della loro assoggettabilità, in via analogica, agli artt. 1418 ss. c.c., per la presenza di vizi diversi da quelli contemplati dall’art. 2379 c.c. Una verifica di questo tipo consentirà di individuare quali siano i confini tra l’impianto normativo delle delibere assembleari nulle e l’insieme delle regole 204 che disciplinano la nullità del contratto, mettendo in luce i casi in cui la disciplina speciale delle delibere deve far posto ai principi generali dell’ordinamento in materia di invalidità negoziale. L’intenzione di operare un compiuta delimitazione dell’ambito applicativo degli artt. 2379-2379 ter c.c. impone, peraltro, di tracciare un discrimine tra le fattispecie riconducibili all’istituto della nullità e quelle ricadenti nel novero delle deliberazioni annullabili. In questa prospettiva, si cercherà di comprendere l’esatto significato dell’espressione “impossibilità o illiceità dell’oggetto”, prendendo posizione sul trattamento giuridico da riservare alle delibere affette da vizi di contenuto, e di tracciare con precisione i confini delle due cause di nullità introdotte dal legislatore del 2003: la mancata convocazione dell’assemblea e la mancata verbalizzazione della delibera. Ciò in considerazione del fatto che, qualora una delibera sia affetta da vizi di contenuto o da vizi procedimentali diversi da quelli individuati dall’art. 2379 c.c., deve essere considerata, in linea di massima, annullabile, e dunque ricadente nella previsione dell’art. 2377 c.c. Poiché, tuttavia, l’individuazione di un preciso discrimine fra delibere nulle e annullabili impone di passare in rassegna, specificamente, il contenuto dell’art. 2379 c.c., addentrandosi nell’universo normativo dedicato all’invalidità delle delibere assembleari, pare opportuno indagare, preliminarmente, sui rapporti fra tale sistema e quello delle invalidità negoziali. 205 Compiuta tale indagine, sarà necessario passare in rassegna le posizioni della dottrina e della giurisprudenza in ordine alla nozione di nullità ex art. 2379 c.c., analizzando il dibattito dottrinale in merito all’attuale rilevanza della nozione di nullità deliberativa, riservando lo studio delle cause di nullità ad un secondo momento, prodromico ad una compiuta analisi della disciplina dettata dagli artt. 2379-2379 ter. 2. Gli artt. 1324 e 1418 c.c. È possibile estendere il regime delle invalidità contrattuali oltre i limiti tracciati dall’art. 2379 c.c., configurando, in tal modo, ipotesi di nullità delle delibere estranee alla previsione contenuta in detto articolo? Ai sensi dell’art. 1418 c.c., il contratto è nullo non solo quando risulti contrario a norme imperative di legge, ma anche nei casi in cui manchi uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c.318, sia configurabile l’illiceità della causa o del motivo che ha indotto le parti a stipulare il contratto, o l’oggetto sia carente dei requisiti richiesti dall’art. 1346 c.c.319. Inoltre, ai sensi dell’art. 1324 c.c. “le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Si tratta dell’accordo delle parti, della causa, dell’oggetto e della forma, se prescritta dalla legge a pena di nullità. 319 A norma del quale “L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”. 318 206 Orbene, dalla lettura di tali norme non può sorgere alcun dubbio che, al di là dei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancata verbalizzazione della delibera o di impossibilità o illiceità dell’oggetto, le deliberazioni assembleari possano essere dichiarate nulle in presenza delle ulteriori cause di invalidità contemplate dall’art. 1418 c.c. Il problema non è nuovo, poiché è stato autorevolmente sollevato anche durante il sistema previgente, quando peraltro la disciplina delle delibere nulle richiamava testualmente alcune delle norme sulla nullità dei contratti 320 e lasciava il dubbio circa la possibilità, se non addirittura la necessità, di essere integrata dalla normativa sui contratti nulli, rispetto alla quale presentava numerosi punti di contatto. Infatti, prima dell’entrata in vigore della riforma societaria, in particolare, il combinato disposto degli artt. 1418 e 1324 c.c. aveva indotto a sostenere che le deliberazioni assembleari fossero nulle, oltre che nei casi di impossibilità o illiceità dell’oggetto321, anche nelle ipotesi di illiceità della causa, illiceità del motivo determinante e comune ai soci, indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, o addirittura contrarietà a norme imperative dettate a tutela di interessi generali322. 320 E, in particolare, gli artt. 1421, 1422 e 1423 c.c. Le uniche ipotesi che, prima della riforma, erano comprese nella previsione dell’art. 2379 c.c. 322 G. ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Vol. 3, 1993, 465. L’Autore, in particolare, sosteneva che ricadessero nell’ambito di applicazione dell’art. 1324 c.c. i casi di violazione di norme imperative poste a tutela di interessi generali o di terzi (esclusi dal novero dei soggetti 321 207 E tale ricostruzione, in taluni casi, era stata accolta anche dalla giurisprudenza323, che pure aveva talora differenziato la disciplina applicabile alle delibere nulle per contrasto con l’art. 2379 c.c. da quella applicabile alle deliberazioni nulle per contrasto all’art. 1418 c.c.324. Tali opinioni anche nel sistema previgente erano fortemente discutibili, non solo per la difficoltà di riferire l’art. 1324 c.c. alle delibere assembleari, ma anche per l’autonomia che, seppure in misura molto più attenuata di ora, caratterizzava il sistema normativo dettato dagli artt. 2377-2379 rispetto alla disciplina delle invalidità negoziali e che conduceva, quindi, a dubitare della conformità fra i due sistemi325. Dopo la riforma del 2003, la dottrina pressoché unanime ritiene che la possibilità di configurare deliberazioni assembleari nulle, estranee alla legittimati all’azione di annullamento): ipotesi che, a suo avviso, dovevano ritenersi estranee all’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c. giacché, altrimenti, non si sarebbe permesso ai soggetti lesi dalla delibera di chiederne la rimozione. In realtà, tali considerazioni non sono oggi condivisibili. In particolare, si deve rilevare che il nuovo art. 2377, consentendo l’impugnativa solo ai soci che possiedano i quorum di cui al 3° comma, mostra chiaramente come non sempre l’ordinamento tuteli l’interesse alla caducazione della delibera per iniziativa di coloro che dalla stessa abbiano subito un pregiudizio: soggetti che possono ricevere tutela unicamente mediante rimedi risarcitori. 323 In particolare, Cass., 10/03/1983, n° 1794, in Giur. Comm., 1984, I, 1, 383; Trib. Milano, 28/06/1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 597; Cass., 13/06/2000, n° 8036, in Dir. e Prat. Soc., 2000, 23, 98; Trib. Catania, 18/01/2001, in Società, 2001, 704. 324 Si veda, in particolare, Cass. 10/03/1983, n° 1794 e Trib. Milano, 28/06/1992 (nota prec.), secondo cui la possibilità di sostituire, ex art. 2377 c.c., le delibere nulle andava negata unicamente nei casi di impossibilità o illiceità dell’oggetto. 325 Si veda, a tal proposito, in giurisprudenza, Cass. 27/07/2005, n° 15721, in Foro it., 2006, 1, 1849; Cass, 24/07/2007, n° 16390, Cass., 02/04/2007, n° 8221, in Società, 2007, 846; Cass., 27/10/2006, n° 23174, tutte e tre riferite a fattispecie ricadenti nell’ambito di applicazione della normativa previgente, per le quali la Suprema Corte ha escluso la possibilità di configurare quali cause di nullità violazioni di norme imperative estranee alla fattispecie dell’impossibilità o dell’illiceità dell’oggetto. 208 previsione dell’art. 2379 c.c. e sottoposte alla disciplina della nullità dei contratti, deve essere negata326. Si parla, a tal proposito, di “autosufficienza” del sistema normativo dettato dagli artt. 2377-2379 ter c.c. rispetto alla disciplina delle invalidità negoziali327. Il d.lgs. 6/2003 ha modificato, innanzitutto, la rubrica degli artt. 2377 e 2379 c.c., nel senso che il primo disciplina la “annullabilità”, il secondo la “nullità” delle delibere assembleari. Esaurite le ipotesi previste da tali disposizioni, riferite alle due specie di invalidità note al nostro sistema giuridico, non sembra residuare spazio per ulteriori casi di delibere invalide, e in particolare nulle. Ciò comporta che “le molteplici differenze che caratterizzano oggi la disciplina della nullità dettata dall’art. 2379 c.c. rispetto a quella delineata, per i contratti, dagli artt. 1418 ss. c.c., suggeriscono l’idea per cui, in materia di delibere assembleari, opera una nullità di diritto speciale difficilmente integrabile con la disciplina generale dell’istituto”328. 326 G. CONTE, Osservazioni sul nuovo regime di disciplina delle invalidità delle deliberazioni assembleari, in Contr. e Impr., 2003, 646 ss.; A. SPENA, Art. 2379, in Sandulli, Santoro (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 371; G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nella s.p.a., in Società, 2003, 536; R. LENER, Invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, in Riv. dir. comm., 2004, I, 92; A. STAGNO D’ALCONTRES, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Vol. 2, Torino, 2007, 203. 327 G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Giuffrè, Milano, 2009, 34 328 G. GUERRIERI, La nullità, op. cit., 34 209 Infatti, è evidente che eventuali cause di nullità delle delibere diverse da quelle previste dall’art. 2379 c.c. sarebbero soggette alla disciplina dettata dagli artt. 1421 e 1422 c.c.: norme che, prevedendo l’imprescrittibilità dell’azione di nullità e la possibilità, per il giudice, di rilevare d’ufficio tale specie di invalidità senza limiti di tempo, mal si concilierebbero con la disciplina dettata in materia dall’art. 2379 c.c. Invero, l’evolversi, nel sistema giuridico italiano, di nullità speciali, difficilmente riconducibili al sottosistema normativo di cui agli artt. 1418 ss. c.c., è ormai un fenomeno piuttosto diffuso. E il fatto che molte cause di nullità previste dagli artt. 1418 ss. c.c. in materia contrattuale siano espressamente o implicitamente richiamate dagli artt. 2377 e 2379 c.c.329 induce a ritenere che il mancato richiamo delle altre ipotesi non sia causale, ma è indice della volontà del legislatore di limitare al massimo l’applicabilità, alle deliberazioni assembleari, della disciplina contrattuale della nullità. Sarebbe, infatti, un controsenso che il legislatore avesse inteso, da un lato, assoggettare alla disciplina dell’art. 2379 c.c. le delibere affette dai vizi ivi previsti e, dall’altro, consentire l’applicabilità, nelle altre ipotesi riconducibili alla previsione dell’art. 1418 c.c., degli artt. 1421, 1422 e 1423 c.c., il cui Si pensi all’ipotesi dell’oggetto illecito o impossibile, espressamente contemplato dall’art. 2379, 1° comma, c.c.; della mancanza della forma dell’atto imposta dalla legge a pena di nullità, in cui può forse essere fatta rientrare la mancanza del verbale prevista dall’art. 2379 c.c.; dell’oggetto mancante, indeterminato o indeterminabile, probabilmente riconducibile all’ipotesi di verbale mancante dell’oggetto, ex art. 2379 c.c. 329 210 richiamo, nel contesto dell’art. 2379 c.c., è stato oggetto di una abrogazione espressa. 3. Le singole fattispecie. La contrarietà a norme imperative e l’oggetto mancante, indeterminato o indeterminabile. A supporto della tesi che non ritiene configurabili ulteriori ipotesi di nullità rispetto a quelle previste dall’art. 2379 c.c., può procedersi ad un’analisi delle singole fattispecie elencate dall’art. 1418 c.c., e delle conseguenze a cui potrebbe condurre, per ciascuna di esse, la tesi opposta. L’art. 1418 c.c. prevede, tra le altre, la nullità dei contratti che risultino contrari a norme imperative di legge, o caratterizzati da illiceità della causa, da illiceità del motivo determinante, comune alle parti, o da impossibilità, illiceità o indeterminabilità dell’oggetto. Ponendo a confronto tale disciplina col disposto dell’art. 2377 c.c. risulta chiara l’impossibilità di ricondurre alla categoria della nullità le delibere contrarie a norme imperative di legge, rientranti nella previsione dell’art. 1418, 1° comma, c.c. Infatti, in materia di delibere assembleari, la non conformità alla legge (alle norme imperative di legge) determina, in linea di principio, la mera annullabilità dell’atto, come espressamente previsto dall’art. 2377, 2° comma, c.c. 211 Conseguentemente, la possibilità di configurare cause di nullità delle delibere ulteriori rispetto a quelle contemplate dall’art. 2379 c.c. rimane in astratto confinata alle ipotesi specificamente previste dall’art. 1418, 2° comma, c.c., diverse rispetto a quella di impossibilità o illiceità dell’oggetto. È il caso in cui, innanzitutto, l’oggetto della delibera manchi, oppure sia indeterminato o indeterminabile: ipotesi che, tuttavia, possono essere fatte rientrare nella previsione relativa alla mancata indicazione dell’oggetto nel verbale d’assemblea, e dunque ricondotte all’ambito di applicazione dell’art. 2379 c.c. Che l’oggetto di una delibera possa mancare del tutto è ipotesi, per così dire, scolastica, essendo evidente che, se c’è una decisione assembleare, di regola c’è anche una materia all’ordine del giorno su cui l’assemblea è stata chiamata ad esprimersi. Tuttavia, anche a volere ammettere la possibilità di configurare come deliberazione un atto mancante addirittura di oggetto, pare da escludere che la legge intenda riservare a tale deliberazione un trattamento diverso da quello previsto, dall’art. 2379 c.c., per il caso in cui l’oggetto non sia indicato nel verbale d’assemblea. In altri termini, il suddetto articolo, nel riferirsi ai casi di mancata indicazione dell’oggetto all’interno del verbale, è idoneo a ricomprendere, in linea di principio, anche l’ipotesi in cui l’oggetto della delibera manchi totalmente. 212 Infatti, “il legislatore, nel prevedere la nullità delle deliberazioni assembleari per mancata verbalizzazione degli elementi previsti dall’art. 2379 c.c., ha voluto consentire la ricostruzione dei requisiti essenziali della delibera sul presupposto che, altrimenti, verrebbe compromesso l’interesse generale alla trasparenza dei processi decisionali dell’impresa in forma di s.p.a.: interesse la cui tutela è spinta al punto di considerare invalide le delibere assembleari che, per quanto in sé e per sé conformi alla legge e allo statuto, siano verbalizzate in modo da non consentire di accertarne la validità”330. In quest’ottica, la mancata indicazione nel verbale dell’oggetto della delibera, impedendo addirittura la ricostruzione degli argomenti dell’adunanza assembleare, rappresenta un vulnus talmente grave al principio di legalità dell’agire sociale da potere essere equiparato alla mancanza assoluta dell’oggetto. Ai fini della declaratoria di nullità, in definitiva, è l’atto (viziato) verbalizzato che viene in rilievo, sì che, nel disegno del legislatore, la circostanza che l’oggetto della delibera manchi del tutto pare indifferente: in ogni caso, la delibera dovrà venire dichiarata nulla, ma sarà soggetta alla disciplina dettata dall’art. 2379 c.c. Lo stesso vale per le ipotesi di oggetto indeterminato o indeterminabile, assorbite nella previsione dell’art. 2379, laddove tale articolo si riferisce alla 330 A. ASQUINI, Nullità ed annullabilità delle deliberazioni assembleari, in Scritti giuridici, III, Padova, 1961, 302 213 mancata verbalizzazione dell’oggetto della delibera, senza che abbia alcun rilievo la circostanza che, da fonti esterne al verbale, l’oggetto risulti o meno determinabile. 4. (Segue): La forma imposta dalla legge a pena di nullità. Certamente non può essere applicata alle delibere assembleari la disciplina dettata dall’art. 1418 c.c., nella parte in cui prevede, quale causa di invalidità dei contratti, la mancanza della forma imposta dalla legge a pena di nullità. Più precisamente, o si sostiene che la delibera è un atto a forma vincolata, dovendo essere verbalizzata nei modi previsti dall’art. 2375 c.c., per cui è evidente che il suddetto vizio dovrà ritenersi assorbito dalla previsione dell’art. 2379 c.c. relativa alla mancanza di verbale; o si deve ritenere che, essendo il verbale “elemento del procedimento assembleare, e non forma della delibera”331, quest’ultima sia un atto a forma libera, dovendo in tal caso escludersi la possibilità di applicare l’art. 1418 c.c. 331 Così testualmente Trib. Lecce, 16/11/1990, in Società, 1991, 1065; si veda anche, in dottrina, C. BAVETTA, La deliberazione assembleare non verbalizzata, Milano, 2008, 6 ss.; P. FERRO LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1976, 67 214 5. (Segue): La mancanza di accordo tra le parti. Va altresì esclusa la possibilità di configurare un’ipotesi di nullità delle delibere per mancanza di accordo delle parti, ai sensi degli artt. 1418 e 1325 c.c. Infatti, pur a volere accogliere la tesi per cui le delibere, come i contratti, richiedono l’incontro di due o più volontà332 sino al raggiungimento del quorum deliberativo richiesto dalla legge, l’ipotesi di mancanza di accordo fra i soci è assorbita dalla previsione dell’art. 2377, 5° comma, c.c. (nn. 1 e 2), laddove è previsto che la partecipazione all’assemblea di soggetti non legittimati e l’errore compiuto nel computo dei singoli voti comportino l’annullabilità della delibera. In queste ipotesi, infatti, manca il consenso di tutti i soggetti il cui accordo è richiesto dalla legge perché la delibera possa venire adottata validamente; e se in tali circostanze l’art. 2377 c.c. sancisce esplicitamente la mera annullabilità della delibera, non può di certo configurarsi una diversa regola in tutte le altre ipotesi in cui manchino i quorum costitutivi e deliberativi previsti dagli artt. 2368 e 2369 c.c. Così ad esempio, per essere più precisi, si può correttamente sostenere che l’art. 2377, 5° comma, n° 1, c.c. trova applicazione anche nel caso in cui i soggetti presenti in assemblea, pur essendo tutti legittimati a prendervi parte, 332 Favorevolmente si veda V. CHIOMENTI, Esiste un potere di impugnativa delle deliberazioni viziate di un consiglio di amministrazione di società di capitali fuori dall’ipotesi dell’art. 2391 cod. civ.?, in Riv. dir. comm., 1983, II, 182; F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 514 215 vengono conteggiati erroneamente: ipotesi in cui, qualora l’errore sia stato determinante ai fini della verifica del quorum costitutivo (cioè qualora venga accertato che il quorum costitutivo, erroneamente ritenuto sussistente, in realtà mancava), la deliberazione dovrà essere pertanto considerata annullabile 333. Alla medesima conclusione sembra doversi pervenire, ex art. 2377, 5° comma, n° 2, c.c., nell’ipotesi in cui, pur non essendo raggiunto il quorum deliberativo, se ne attesti falsamente l’esistenza per effetto di dolo, invece che di un errore di conteggio. Quindi, dalla lettura dell’art. 2377 c.c. emerge come, nell’ottica del legislatore, la mancanza dei quorum richiesti dagli artt. 2368 e 2369 c.c., che pure rappresenta un vizio genetico di considerevole gravità, comporti unicamente l’annullabilità dell’atto, essendo esclusa la possibilità di farne derivare la nullità a norma dell’art. 2379 c.c. E ciò si oppone a una lettura degli artt. 1418 e 1324 c.c., volta ad applicare, alle ipotesi di mancato accordo delle parti non ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 2377, 5° comma, c.c., ma del tutto assimilabili alle fattispecie ivi previste, la disciplina della nullità dei contratti, per sua natura ancor più rigida di quella dettata dall’art. 2379 c.c. 333 G. GUERRIERI, op. cit., 41 216 6. La mancanza, o illiceità, della causa. In base a quanto detto fino ad ora, si evince chiaramente che i soli vizi contemplati dall’art. 1418 c.c., che astrattamente possono applicarsi alle delibere assembleari ai sensi del rinvio operato dall’art. 1324 c.c. (in quanto estranei alle previsioni contenute negli artt. 2377 e 2379 c.c.), sono rappresentati dalla mancanza, o illiceità, della causa e dall’illiceità del motivo determinante e comune a tutti i soci che abbiano votato a favore della delibera. Anche se, invero, parte della dottrina esclude che tali vizi siano applicabili a tale tipologia di atti334. Orbene, la possibilità che una delibera possa essere adottata dai soci per un motivo illecito è innegabile: si pensi, ad esempio, al caso in cui l’assemblea di una società assicurativa deliberi di rinunciare all’autorizzazione all’esercizio della propria attività per evitare un provvedimento di revoca della stessa da parte dell’Isvap e l’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa335. Si pensi, altresì, all’ipotesi in cui i soci autorizzino determinati atti di gestione per consentire unicamente agli amministratori di violare norme imperative poste a presidio dei principi fondamentali dell’ordinamento, o dettate a tutela dell’ordine pubblico o del buon costume. Più precisamente, pare corretto affermare che, quanto meno da un punto di vista teorico, anche una deliberazione, al pari di quanto previsto dall’art. 1344 334 F. FERRO LUZZI, La conformità, op. cit., 121 ss. Caso recentemente sottoposto all’attenzione della Suprema Corte. Si veda Cass. 27/07/2005, n° 15721, in Foro it., 2006, 1, 1849 335 217 c.c. in materia di contratti, possa rappresentare il mezzo per eludere una norma imperativa e, quindi, debba essere considerata in frode alla legge. Si pensi, ad esempio, all’art. 2400 c.c. che, al 2° comma, parla di revoca dei sindaci. In tal caso può senz’altro configurarsi illecita una delibera con cui l’assemblea decida di mutare il sistema di amministrazione e controllo, al fine di aggirare il divieto di revoca dei sindaci senza giusta causa; si pensi, ancora, all’art. 2409 c.c., rubricato “Denunzia al Tribunale”: più precisamente, all’ipotesi in cui i soci decidano di trasformare la s.p.a. in una società di persone per impedire che una denuncia di gravi irregolarità, presentata ai sensi del suddetto articolo, possa dar luogo ad un procedimento giudiziario ivi previsto336. Tuttavia, si ritiene che l’applicazione, a tali fattispecie, dell’art. 1418 c.c. condurrebbe a sottoporre tali delibere, mediante le quali la violazione di norme imperative viene posta in essere solo indirettamente, ad una disciplina molto più rigida di quella che l’art. 2377 c.c. prevede per l’ipotesi in cui la norma imperativa venga violata in maniera diretta, e che l’art. 2379 c.c. detta per l’ipotesi di illiceità dell’oggetto337. 336 337 G. ZANARONE, Invalidità, op. cit., 468 G. GUERRIERI, op. cit., 44 218 Ne consegue che, nei casi di illiceità della causa sopra menzionati, la relativa delibera dovrà essere considerata annullabile, per mancata conformità alla legge338, e assoggettata alla disciplina di cui all’art. 2377 c.c. In tal modo risulta confermato che, all’interno del microsistema delle invalidità delle delibere assembleari, non v’è spazio, quantomeno in linea di principio, per l’applicazione delle norme sulle cause di invalidità dei contratti339. 338 In tal senso anche la giurisprudenza. Si veda, a tal proposito, Cass., 25/05/1966, n° 1358, in Dir. fall., 1966, II, 590; Cass., 07/02/1963, n° 195, in Foro it., 1963, I, 685; Cass., 04/03/1963, n° 511, in Foro it., 1963, I, 684 339 Si veda Cass. 07/11/2008, n° 26842, che ha escluso, in un’ipotesi più particolare, che l’illiceità del motivo che ha indotto i soci di maggioranza ad adottare una determinata delibera possa comportare la nullità, e non l’annullabilità. 219 CAPITOLO II LA NULLITA’ DELLA DELIBERAZIONE 220 1. L’articolo 2379 c.c.: la fattispecie di nullità Prima di addentrarmi nei meandri della disciplina attinente all’istituto delle delibere assembleari nulle, si rende necessaria una premessa. Vale a dire, non è mio intento condurre un dettagliato esame di tutte le norme dettate in materia di invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, ma solo svolgere alcune riflessioni sulla disciplina in esame, alla luce delle novità introdotte dalla Riforma del 2003. Per esprimere, in altri termini, tale concetto, mi sembrano quanto mai adatte le parole di un autorevole studioso del diritto che, nell’approcciarsi alla materia dell’invalidità delle delibere assembleari, così diceva: “Mi sento un po’ come colui che si trova dinanzi alle mille tessere di un imponente mosaico, che allo stato, perciò, riesce a vedere solo colori confusi e segni indecifrabili e tuttavia tenta di intraprendere l’impegnativo lavoro di ricostruzione, per verificare se riuscirà poi, quanto meno, a scorgere l’armonia cromatica e le linee del disegno da comporre”340. L’articolo 2379 del codice civile stabilisce che: “Nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è 340 A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in Riv. dir. comm., 2004, I, 55 221 soggetta né a iscrizione né a deposito. Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili [disp.att. 223sexies]. Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l’invalidità può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera mancante nel caso d’irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea. Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente del consiglio d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio. Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma dell’articolo 2377”. II nuovo art. 2379 c.c. rende meno contestabile la soluzione della tassatività delle fattispecie di nullità delle deliberazioni anche alla luce della lettura dei lavori preparatori e, allo stesso modo, l’assoggettamento ad una disciplina ad hoc341. 341 Relazione che accompagna il decreto legislativo n. 6, in Giur. Comm., 2003, suppl. al n. 4, con commento di Buonocore. 222 La disposizione in esame detta un’autonoma regolamentazione dell’azione di impugnazione delle delibere nulle, omettendo ogni richiamo alla disciplina generale degli artt. 1421 e segg. del codice civile; invero, sono state dettate specifiche norme differenziatrici prevenendo: a) un termine decadenziale per la proposizione dell’azione nella prevalenza delle fattispecie; b) il coordinamento con le fattispecie di sanatoria previste dal successivo ari. 2379-bis c.c.; c) il richiamo, nei limiti della compatibilità, alla disciplina degli effetti dell’annullamento e della sostituzione della delibera impugnata sancita dall’art. 2377. Quindi è da escludere la richiamabilità della disciplina generale degli artt. 1418-1424 c.c. in quanto il legislatore ha previsto una nullità speciale delle delibere assembleari342, “difficilmente integrabile con la disciplina generale dell’istituto”343. Pertanto, eventuali ulteriori violazioni di una norma imperativa non possono comportare la nullità, ma soltanto la sanzione meno grave dell’annullabilità, 342 G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari di s.p.a. (seconda parte): l’impugnazione, in Soc., 2003, 676. 343 G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni assembleari di s.p.a.: la fattispecie, in Giur. Comm., 2005, 63. 223 consentendo alla deliberazione di produrre legittimamente i suoi effetti sino alla definitiva declaratoria di annullamento344. In particolare non sono richiamabili nella loro accezione generale le altre cause di nullità previste dall’art. 1418, quali la mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 1325 c.c., mentre sono riconducibili all’annullabilità, ossia all’illiceità dell’oggetto, correttamente inteso, i vizi di illiceità della causa345 e, inoltre, si ha soltanto annullabilità per il motivo illecito ex art. 1345 c.c.346; infine, con riguardo all’indeterminatezza dell’oggetto, per la quale non si riscontrano effettive emersioni giurisprudenziali, non è apparsa difficile la riconduzione all’illiceità dell’oggetto347. Per quanto riguarda la disciplina generale non applicabile deve essere fatto riferimento all’art. 1419 sulla nullità parziale348. Deve rilevarsi che la scelta riformatrice di tipizzare le fattispecie di nullità, e di conseguenza, dare minore rilievo all’istituto attribuendogli un ambito più ristretto dell’art. 2377, si coniuga con la compressione in punto di legittimazione dell’impugnativa e dei vizi di annullamento; tali interventi sono stati giustificati ribadendo che le necessità dell’organizzazione attraverso la Salvo l’eventuale sospensione ai sensi dell’articolo 2378 c.c., v. G. FERRI, Le impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali, in Riv. Trim. dir. e proc. Civ., 2005, 52. 345 F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, Padova, 2006, 226. 346 Cass., 27/07/2005, n. 15721; G. GRIPPO, L’assemblea nelle società per azioni, in Trattato Rescigno, Torino, 1985, 426. 347 G. FERRI, Le società, in Trattato Vassalli, Milano, 1987, 684; P. FERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge ed all’atto costitutivo, Milano, 1976, 176. 348 Trib. Cassino, 09/06/1993, in Soc., 1993, 1374; Trib. Cassino, 20/03/1992, in Giur. It., 1993, 145. 344 224 quale si esercita l’attività di impresa non sono compatibili con la precarietà: il mercato deve garantire traffici sicuri, insuscettibili di dubbi che ne attentino la definitività. A tal riguardo, è stato affermato che la nuova disciplina tende al riconoscimento dell’efficacia immediata della delibera349; in altri termini, l’interesse protetto è “che le deliberazioni assembleari - anche quelle contrarie a norme imperative - non siano in perpetuo esposte all’azione di nullità di un qualsiasi interessato e restino, quindi, in una condizione di perenne incertezza, prestandosi anche a tattiche dilatorie, se non addirittura ricattatorie, della minoranza”350. Se questa tendenza alla stabilità è idonea a garantire l’esigenza del mercato di certezza dei rapporti giuridici ed anche l’interesse dei terzi che negoziano con la società (compresi i creditori), è anche evidente che essa rende recessiva la protezione dei singoli soci di minoranza lesi da illegittime deliberazioni assembleari: gli interessi di tali soggetti sono soddisfatti solo con l’azione di risarcimento del danno351. Si tratta di una tappa del progressivo passaggio dalla tradizionale tutela reale a quella obbligatoria, accentuandosi l’opzione a suo tempo propugnata con l’art. 2504-quater, in tema di invalidità S. PIAZZA, L’impugnativa delle delibere nel nuovo rito societario: prime riflessioni di un civilista, in Corr. Giur., 2003, 965. 350 G. GRIPPO, Deliberazioni inesistenti e metodo assembleare, in Riv. Soc., 1971, 887. 351 GALGANO, GENGHINI, op. cit., 227. 349 225 della fusione, che peraltro già aveva suscitato censure da chi discorreva di un declassamento delle garanzie352. Ciò premesso è da sottolineare che tale scelta di valore deve essere ben intesa e tenuta presente dall’interprete anche nella delimitazione della categoria della nullità, poiché resterebbe superata da interpretazioni estensive dell’art. 2379 e, in particolare, da orientamenti che qualificano tutte le violazioni di norme imperative poste a protezione di interessi che trascendono la posizione del singolo socio in chiave d’illiceità dell’oggetto della delibera. La voluntas legis esprime anche il rifiuto del ruolo assunto in precedenza dalla nozione di inesistenza nell’ambito del sistema della patologia della deliberazione assembleare; ciò è palesemente manifestato dal fatto che l’art. 2379 disciplina anche i vizi più radicali di convocazione e verbalizzazione, sottraendo significativa materia a tale categoria di invalidità e superando la tradizionale impostazione che “conciava la nullità al valore espresso dalla delibera e non alle modalità con cui essa si era formata”353. Il vizio di inesistenza è considerato superfluo dalla Relazione al d.lg. n. 6, e coerentemente appare espunto dal sistema degli artt. 2377-2379. Ciò ha avuto la piena approvazione di parte della dottrina354, anche se da più parti si è però 352 S.A. VILLATA, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, p. 97. C.E. PUPO, Invalidità del procedimento deliberativo e dinamiche dell’investimento azionario, in Giur. Comm., 2004, 613. 354 S. PESCATORE, Istituzioni di diritto commerciale, Torino, 2003, 181. 353 226 considerato che, in realtà, la riforma preluda soltanto a un ridimensionamento dell’istituto355. A tal proposito, il superamento del chiaro dettato normativo potrebbe provocare ancora il ricorso all’inesistenza al fine di sfuggire alle limitazioni introdotte sia per l’impugnativa di annullamento che di nullità356. Problema analogo si pone in relazione ad una possibile inefficacia delle deliberazioni assembleari, in quanto anche questa ulteriore categoria generale del sistema civilistico non può essere esclusa dalla materia in esame, e per sua natura conduce all’imprescrittibilità, ovvero non assoggettabilità a decadenza dell’azione. Tale patologia, che già in chiave strettamente negoziale presenta difficoltà interpretative, in assenza di una compiuta disciplina generale 357, comunque, appare ineliminabile per le delibere assembleari che incidono illegittimamente su diritti dei terzi. È opinione consolidata, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l’azione di nullità dei contratti rappresenta un esempio tipico di pronuncia dichiarativa poiché l’atto nullo non è idoneo a produrre effetti e, quindi, la sentenza che accoglie la domanda si limita ad accertare l’esistenza di tale vizio radicale, e la G. CONTE, Osservazioni sul nuovo regime di disciplina dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Contr. e Impresa, 2003, 661; M. CIAN, Invalidità ed inesistenza delle deliberazioni e delle decisioni dei soci nel nuovo diritto societario, in Riv. Soc., 2004, 759. 356 S.A. VILLATA, op. cit., 103; R. BERNABAI, Le impugnative di delibere assembleari e degli atti di amministrazione (I parte), in Soc., 2006, 152. 357 A. GENTILI, Nullità, annullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 200. 355 227 conseguente mancata produzione degli effetti che in astratto esso avrebbe potuto produrre. Allo stesso modo, è stata sottolineata la peculiarità di questa azione rispetto a quelle tradizionali in materia di diritti reali che accertano l’esistenza o inesistenza di un diritto, attesa anche la possibilità che in determinate fattispecie sono attribuibili alcuni effetti al negozio nullo358. Se, quindi, anche il riferimento alle vicende storiche di formazione del sistema vigente e le riflessioni comparatistiche359 inducono a sottolineare una certa relatività delle distinzione con la natura costitutiva dell’azione di annullamento360, in via di estrema semplificazione può comunque ritenersi che con la domanda di nullità si chiede l’accertamento dell’esistenza di una fattispecie impeditiva dell’efficacia del negozio, mentre con l’annullamento si chiede la caducazione del rapporto. Ricollegandosi al dibattito si è poi affermata la natura dichiarativa dell’azione di nullità delle deliberazioni assembleari, ma atteso che anch’essa risulta diretta all’eliminazione del valore organizzativo per la società adottato con il procedimento deliberativo361, la dottrina ha sollevato motivati dubbi 358 R. SACCO, Nullità e annullabilità, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1995, 303; E.F. RICCI, Sull’accertamento della nullità e della simulazione dei contratti come situazione preliminare, in Riv. Dir. pr., 1994, 665. 359 A. GUARNIERI, L’azione di nullità (riflessioni sistematiche e comparatistiche), in Riv. Dir. Civ., 1993, 41. 360 A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 373; A. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di mero accertamento, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1979, 620 e 665. 361 C. ANGELICI, Vicende associative e attività giuridiche, in Ferri, Angelici, Studi sull’autonomia privata, Torino, 1997, 383. 228 sull’accoglimento integrale di tale impostazione, e sulla conseguente chiarezza nella distinzione con l’azione di annullamento362. L’azione di nullità della delibera non è più imprescrittibile ed insanabile, in quanto il nuovo art. 2379 richiama l’art. 2377. La sentenza che dichiara la nullità non è più idonea a provocare la caducazione di tutti gli effetti della deliberazione, poiché sono fatti salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi e, infine, si è previsto che anche la sostituzione di una deliberazione nulla con una deliberazione legittima rende superfluo l’accoglimento dell’impugnazione. Dinanzi a tale nuovo contesto da alcuni si è preferito confermare, l’impostazione tradizionale, assumendo che l’atto impugnato è da considerare ab origine inefficace, anche se sono fatti salvi i diritti dei terzi acquistati in buona fede per effetto di atti compiuti in esecuzione della deliberazione e quindi la sentenza di nullità è pur sempre di mero accertamento; invero, sarebbe incompatibile che l’ordinamento recepisse, anche se provvisoriamente, atti a contenuto contrastante con le proprie norme imperative 363. Invece, l’opinione più diffusa sostiene che la riforma ha espunto i fattori di differenziazione fra azione di nullità e annullamento nella materia in esame, atteso che ormai anche la deliberazione nulla produce degli effetti, in contrasto 362 E.F. RICCI, Gli effetti delle sentenze sulle impugnazioni delle deliberazioni assembleari, in Processo civile e società commerciali, Atti del XX Convegno dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, Milano, 1995, 9. 363 AA.VV., Diritto societario, Manuale breve, Milano, 2004, 118. 229 con i c.d. principi generali negoziali, ed opinare diversamente sarebbe inconciliabile con il più “principio di stabilità”364. Seguendo tale impostazione si possono evidenziare significative ricadute sulla disciplina processuale dell’azione, in quanto un’efficacia della delibera nulla è al fondamento dell’orientamento che riconosce l’applicabilità dell’istituto della sospensione dell’efficacia previsto dall’art. 2378, nonché della cessazione della materia del contendere a seguito di sostituzione della delibera viziata. In tale ottica si è giunti al riconoscimento della natura costitutiva dell’azione di nullità, o quantomeno alla necessità di riguardarla unitariamente con l’impugnativa per annullamento365. A tal proposito, va detto che una ricostruzione sistematica non può sacrificare le differenze emergenti da una voluntas legis che continua a diversificare le categorie di invalidità; invero, deve dubitarsi che l’effetto della nullità sia richiamabile solo a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione e che le conseguenze della declaratoria siano del tutto analoghe a quelle dell’annullamento366. Aderire ad una compiuta assimilazione renderebbe attuale anche per la dichiarazione di nullità la questione di una possibile esecuzione provvisoria della sentenza costitutiva di primo grado, mentre 364 G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma del diritto e la società per azioni, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Cedam, Padova, 2004, 18. 365 D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme imperative dei DD.Lgs. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, 127; M. SANDULLI, V. SANTORO (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 375; A. PISANI MASSAMORMILE, Statuti speciali di nullità ed “illegalità” delle delibere assembleari di s.p.a., in Giur. It., 2003, 403. 366 Cass., 04/05/1998, n. 4441, in Vita not., 1998, 994. 230 continuando a preferire la qualificazione di pronuncia di accertamento non dovrebbe dubitarsi che essa produce effetti soltanto a seguito del passaggio in giudicato. 2. La nozione di nullità e i mutamenti del quadro normativo. La nuova disciplina sulla annullabilità e nullità delle deliberazioni assembleari (artt. 2377-2379 ter) ha cercato di contemperare le esigenze di stabilità dei rapporti in capo alla società con la tutela dell’interesse dei singoli soci. A tal proposito la legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366, in vista della novellazione delle norme in tema di invalidità delle delibere societarie, ha indicato, quale primaria finalità, quella di: «Disciplinare i vizi delle deliberazioni in modo da contemperare le esigenze di tutela dei soci e quelle di funzionalità e certezza dell’attività sociale, individuando le ipotesi di invalidità, i soggetti legittimati alla impugnativa e i termini per la sua proposizione, anche prevedendo la possibilità di modifica e integrazione delle deliberazioni assunte, e l’eventuale adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità». La nuova disciplina sulla “annullabilità delle deliberazioni” e sulla “nullità” delle medesime è ispirata alle esigenze di stabilità e certezza dei rapporti facenti capo alla società di capitali e nello stesso tempo di tutela della posizione del socio. È stato osservato che, in questo modo, si è trovato il giusto 231 punto di equilibrio fra gli antagonisti interessi in gioco: da un lato, l’aspirazione della società alla stabilità delle proprie deliberazioni (non più esposte all’azione di nullità di un qualsiasi interessato), strettamente connessa con l’esigenza del mercato alla certezza dei rapporti giuridici e, dal lato opposto, l’interesse dei singoli soci a non subire pregiudizio per l’illegalità delle deliberazioni sociali367. Dunque, gli strumenti giuridici utilizzati dal legislatore, in materia di delibere viziate, sono quelli della invalidità, dell’annullabilità e della nullità delle deliberazioni assembleari. Si tratta di strumenti ereditati dal diritto privato, ma la loro applicazione nell’ambito del diritto societario risulta ispirata a principi per certi versi totalmente opposti rispetto a quelli contemplati dalla disciplina civilistica e che, come detto, è orientata al consolidamento della stabilità degli assetti societari. Delle tre categorie sopra citate, quella più convincente ed effettivamente utilizzata è la categoria della annullabilità, nella configurazione che di essa è stata di recente proposta dalla dottrina civilistica. In effetti, i riformatori si sono ispirati più alla disciplina dell’annullabilità del contratto che non a quella dettata dall’art. 2377 c.c. (vecchio testo) la cui rubrica si intitolava genericamente “Invalidità delle deliberazioni” e non già “Annullabilità delle 367 F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, XXIX, Padova 2003, 221 232 deliberazioni” come invece ora con linguaggio tecnico più appropriato si legge nel nuovo testo. Alla luce di quanto detto, risulta pertanto necessario compiere una breve digressione volta a offrire alcune precisazioni generali in tema di nullità ed annullabilità del contratto, che servono a chiarire meglio il nuovo tessuto normativo che involge le delibere impugnabili. Orbene, secondo la concezione tradizionale, esiste una unica categoria generale “la invalidità” in cui rientrerebbero la “nullità” e “l’annullabilità”; queste ultime sarebbero dunque species di un unico genus: l’invalidità. Orbene, si ritiene che questa configurazione esprime una falsa unità, non corrisponde ai dati normativi ed è frutto di sovrastrutture concettuali create dalla dogmatica civilistica degli anni ‘50 e ‘60368. Ciò, peraltro, trova conferma proprio nel Codice Civile, laddove, al Libro IV, con riferimento al “Contratto in generale”, disciplina, distintamente e con pari rango normativo, al capo XI “La nullità del contratto” (artt. 1418 - 1424) ed al successivo capo XII “L’annullabilità del contratto” (artt. 1425 - 1446). Orbene, la circostanza che non esiste, a livello normativo, una categoria generale di invalidità, rende più agevole capire come questa unica categoria possa comprendere due sotto-categorie dai caratteri così disomogenei, se non addirittura confliggenti, come la nullità e l’annullabilità. Il contratto “nullo” è giuridicamente irrilevante e come tale improduttivo di effetti giuridici. Il 368 G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 966 233 contratto “annullabile” è giuridicamente rilevante in quanto è produttivo di effetti giuridici. Solo una successiva vicenda eliminativa provocata dal tempestivo esercizio del diritto di impugnativa, può determinare la caducazione della sua rilevanza ed efficacia. Ma se tale diritto di impugnativa si prescrive o viene rinunziato, l’atto resta definitivamente valido ed efficace. “Il pregiudizio da cui faticosamente va liberandosi la civilistica moderna è quello di considerare “nullità” ed “annullabilità” sullo stesso piano concettuale, come condizioni impeditive alla stessa rilevanza definitiva della fattispecie negoziale ed interne a quest’ultima. La contraddizione logica, prima che giuridica, è evidente. Se l’atto non ha gli elementi richiesti dalla legge è giuridicamente irrilevante e perciò nullo, inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico se non meri effetti di fatto (solo apparenti giuridicamente). Per contro, se l’atto - come quello che si definisce annullabile - è in grado di produrre tutti i suoi effetti giuridici finali vuol dire che esso è stato qualificato siccome rilevante dall’ordinamento giuridico. Tra rilevanza ed irrilevanza giuridica dell’atto, non vi è spazio per una categoria intermedia che sarebbe carica di contraddizione”369. La ratio del vizio dell’annullabilità può essere compresa laddove si guardi, più che alla fattispecie negoziale in sé considerata, alle circostanze che 369 G. PIAZZA, cit., 966 234 accompagnano la sua formazione e costituiscono il presupposto del sorgere del distinto diritto di annullamento. L’ordinamento giuridico in realtà compie una doppia valutazione: una riguarda il contratto regolatore degli interessi che, come tale, è considerato giuridicamente rilevante ed efficace; l’altra riguarda le circostanze ed i comportamenti concomitanti alla sua formazione o incidenti sul suo contenuto, che vengono valutati nel loro insieme come presupposto idoneo al sorgere di un potere del privato di far caducare quel negozio. Esempio di scuola è quello del contratto di compravendita in cui il venditore sia stato ingannato dal dolo della controparte attraverso artifici e raggiri. L’ordinamento giuridico, considerando isolatamente la compravendita quale negozio che presenta gli elementi essenziali di validità, la valuta di per sé come una fattispecie negoziale giuridicamente impegnativa ed efficace. Al contempo, considerando l’insieme di comportamenti, fatti e circostanze (gli artifici e raggiri previsti dall’art. 1439 c.c.) concomitanti con la formazione di quel regolamento contrattuale, valuta questi ultimi come costituenti una distinta fattispecie non negoziale, quale presupposto idoneo al sorgere di un diritto di annullamento, al sorgere cioè di un diritto del privato contraente di valutare se rimanere impegnato o sciogliersi da quel contratto esercitando l’impugnativa in via giudiziale. 235 Come è stato affermato l’annullabilità costituisce “una situazione risultante dalla coesistenza accanto a diritti o ad effetti giuridici normali, di poteri negativi dei medesimi”370. Il baricentro della nozione di annullabilità si sposta dunque, dalla qualificazione giuridica dell’unica fattispecie dell’atto negoziale siccome difettosa a quella di un’altra distinta fattispecie materiale, che rappresenta il presupposto per l’attribuzione di un potere, spettante solo a determinati soggetti, di far eliminare con il suo esercizio la rilevanza ed efficacia giuridica dell’atto. Orbene, le considerazioni fin qui svolte vanno riportate nell’ambito del diritto societario e, nello specifico, nel campo delle delibere assembleari. Tuttavia, prima di entrare nel vivo del dibattito dottrinale in merito alla corretta qualificazione da attribuirsi alla fattispecie di cui all’art. 2379 c.c., si rendono necessarie ulteriori considerazioni ai fini della ricostruzione del sistema legislativo in cui ci stiamo muovendo. Già prima della riforma del diritto societario, la nullità della deliberazione assembleare, nell’ambito di autonomia della relativa disciplina, discostandosi pur sempre dalla generale normativa sui contratti, era costruita attorno a una G. MESSINA, Sui cosiddetti “diritti potestativi”, in Studi giuridici in onore di Carlo Fadda, Napoli 1906, 284 370 236 propria tipologia di casi (impossibilità e illiceità dell’oggetto) ritenuti tassativi371. Si trattava di una disciplina completa ed autonoma rispetto a quella prevista in materia contrattuale dagli artt. 1418 ss. c.c. e l’illiceità dell’oggetto ricorreva, ai sensi dell’art. 2379 c.c., solo quando “… il contenuto della deliberazione fosse risultato in contrasto con norme dettate a tutela di interessi generali, trascendenti l’interesse del singolo socio o gruppi di soci, e dirette a impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società” 372. Inoltre, prima della riforma, l’art. 2379 c.c. espressamente richiamava alcune disposizioni dettate in riferimento alla nullità del contratto, e segnatamente gli art. 1421, 1422 e 1423 c.c. Ciò comportava che il regime del vizio venisse ricostruito sulla scorta delle relative implicazioni, quali in particolare l’attribuzione della legittimazione attiva a chiunque vi avesse interesse, la rilevabilità d’ufficio della causa di nullità, e soprattutto la non assoggettabilità a prescrizione e l’inammissibilità di convalida. A fronte di tale quadro normativo, la disciplina della nullità deliberativa, come ricavabile dal nuovo testo dell’art. 2379 c.c., presenta profili di radicale differenziazione, non soltanto in ragione del fatto di essere state ampliate le specifiche fattispecie, nel contesto di un’elencazione tassativa chiaramente 371 Cfr. per tutte, nel quadro di un orientamento consolidato, Cass., 23/03/1993, n° 3458, in Giur. it., 1994, I, 1, 10) 372 Cass. 09/04/1999, n° 3457 in Foro It., 1999, I, 2248 237 volta a contrastare le declaratorie di inesistenza 373, ma anche per la scelta di non ripetere il richiamo alle succitate disposizioni in materia contrattuale. “Una scelta di sicuro impatto sistematico… quasi a voler chiarire, anche sul piano esteriore, di volere emancipare l’invalidità delle delibere assembleari dalla nullità negoziale, di volere recidere il cordone ombelicale che in qualche modo riportava la prima alla seconda, così liberando poi l’interprete dall’impaccio che quelle norme gli procuravano”374. Sul piano degli effetti, il mutamento è notevole. In prima battuta può rilevarsi che, rispetto alla imprescrittibilità dell’azione di nullità dei contratti, la disciplina della deliberazione assembleare nulla è oggi contenuta all’interno di un termine triennale, variamente decorrente, oltre il quale essa resta sanata. È rimasta confermata la legittimazione ad agire di chiunque vi abbia interesse, ma tale legittimazione rileva, per la nuova normativa, non già di riflesso alla disciplina negoziale, sebbene in virtù di un positivo riferimento contenuto nell’art. 2379, 1° comma, c.c. Così come è rimasta confermata la rilevabilità d’ufficio in forza della testuale previsione, ex art. 2379, 2° comma c.c., sebbene siffatta rilevabilità sia oggi ancorata alla fruttuosità del termine triennale, decorso il quale spira il potere attribuito al giudice. Oltre alle mantenute situazioni di impossibilità o illiceità dell’oggetto, le cause di nullità sono state implementate da quelle di mancata convocazione dell’assemblea e di mancanza del verbale. 374 A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in RDCo, 2004, 56 373 238 Inoltre, a fronte della tradizionale impossibilità di sanatoria della nullità contrattuale, l’attuale regime della nullità delle delibere assembleari è stato costruito sulla previsione di specifiche ipotesi di sanatoria automatica (si veda l’art. 2379, 3° comma, c.c.), nonché con l’aggiunta, in primo luogo, dell’art. 2379 bis c.c. che prevede ulteriori fattispecie sananti esplicite e formali e, in secondo luogo, di fattispecie implicitamente correlate al meccanismo di sostituzione della deliberazione impugnata (art. 2379, ult. comma, c.c.). A livello di insieme va rilevata, infine, l’importanza del richiamo, di cui all’art. 2379, ult. comma, c.c., alle previsioni dell’art. 2377, 7° comma, c.c., che detta una disposizione volta a estendere alla declaratoria di nullità della delibera assembleare il principio di salvezza dei diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera. Tutte le considerazioni svolte finora portano a delineare un sistema codicistico della nullità delle delibere assembleari che chiaramente si allontana dalla corrispondente disciplina contrattuale, con riflessi sulla stessa portata retroattiva della statuizione di nullità, alla quale, peraltro, conseguirebbe l’ulteriore diverso canone del travolgimento di qualsiasi atto avente come presupposto quello della cui nullità si tratta. 239 3. Il dibattito dottrinale sulla attuale rilevanza della nozione di nullità deliberativa. Proprio tali considerazioni hanno portato dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi sul fatto se si possa continuare a parlare dei vizi di cui all’art. 2379 c.c. in termini di fattispecie di nullità, dovendo, in tal caso, le delibere nulle essere considerate inefficaci fin dall’origine. Di contro, si è fatto leva sul principio di stabilità degli atti societari, rilevando che: “affermare che queste deliberazioni possano dirsi inefficaci fino al compimento dei tre anni, decorsi i quali il vizio non può più essere fatto valere, è invero assolutamente inconciliabile con il principio di stabilità”375. Altra dottrina ha sostenuto che dall’attuale quadro normativo esulerebbe ogni possibilità di retroattività della relativa declaratoria, posto che la deliberazione nulla sarebbe in quanto tale produttiva di specifici effetti dettati dall’art. 2377, 7° comma, c.c.376. Da tali premesse, si è giunti alla conclusione di un improprio riferimento del legislatore alla struttura del vizio di nullità come comunemente accolto, posto che la formulazione normativa induce a confermare, secondo tali tesi, la non rispondenza dell’istituto alla tradizionale classificazione dei vizi dell’atto, 375 376 R. LENER, Invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, in RDCo, 2004, 92 A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità, op. cit. 56 240 essendo la fattispecie in esame meglio annoverabile nella categoria della deliberazione annullabile377. Pertanto, si afferma: “Quella, dunque, che il codice civile, pur dopo la riforma, si ostina a chiamare “nullità” delle delibere dell’assemblea di società per azioni, è sì una forma di patologia grave che affligge le delibere stesse, ma è una patologia radicalmente diversa, per fattispecie e per disciplina, da quella che la legge tradizionalmente individua con lo stesso nomen che affligge il contratto”378. Sulla scorta di tale linea di pensiero si è, in particolare, cercato di indagare se, dalla lettura delle disposizioni normative contenute nell’art. 2379 c.c., effettivamente ci si trovi di fronte a tre ipotesi tassative di nullità della deliberazione ovvero pur sempre di fronte a ipotesi di delibere annullabili e s’è posto l’accento sul termine di prescrizione per far valere in giudizio queste tre ipotesi di nullità (tre anni): che cosa accade una volta che siano trascorsi i tre anni senza che alcuno abbia impugnato tali delibere? In prima battuta si potrebbe rispondere che queste delibere o si considerano sin dall’inizio efficaci al pari di quelle annullabili, oppure dovrebbero diventarlo allo scadere dei tre anni, permanendo medio tempore in una situazione di giuridica irrilevanza. 377 B. LIBONATI, Assemblea e patti parasociali, in RDCo, 2002, 477;R. LENER, op. cit., 93; G. PIAZZA, L’impugnativa, 965 e ss. 378 A. PISANI MASSAMORMILE, op. cit. 57 241 Tuttavia, a ben vedere, quest’ultima soluzione sarebbe veramente inconciliabile con il principio di stabilità delle delibere per esigenze di tutela del mercato e di affidamento dei terzi. Avremmo una sorta di delibera con termine iniziale di efficacia differito a tre anni, con tutte le conseguenze negative che ciò comporterebbe in ordine alla certezza dei rapporti e all’affidamento di chi entra in contatto o in relazione di affari con la società. Perché, invece, non ritenere più coerentemente che anche queste delibere siano annullabili nel senso cioè che esse sono immediatamente efficaci sin dal momento della loro adozione e che soltanto il termine di impugnazione sia stato ampliato dal legislatore della riforma, consentendosi l’esercizio del potere di caducazione fino a tre anni dalla loro assunzione (o iscrizione o deposito)? Più specificamente l’allargamento della platea dei legittimati all’impugnativa consente di definire questa fattispecie come una annullabilità assoluta. Per di più sembra corroborare questa interpretazione anche il successivo art. 2379 bis c.c. (rubricato Sanatoria della nullità). Tale disposizione prevede che la deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere impugnata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea. Questa, a ben vedere, più che una sanatoria mediante integrazione della fattispecie nulla, si riduce ad una semplice rinunzia indiretta all’impugnazione della delibera. 242 Ancora, il comma 2 dell’art. 2379 bis prevede che l’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva. Anche qui però, si afferma, non si interviene sulla precedente fattispecie deliberativa, bensì si pone in essere un atto di ripetizione della stessa (con retroattività non reale ma obbligatoria per i soci e la società e con salvezza dei diritti dei terzi in buona fede), che non ha nulla a che vedere con l’eccezionale sanatoria dell’atto nullo. Conseguentemente, prendendo spunto da tali riflessioni, sembra che, sulla base del dettato normativo dell’art. 2379 c.c., l’ipotesi di vera e propria nullità della delibera assembleare si restringa soltanto a quelle che “modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili”: solo per queste l’art. 2379 c.c. prevede che esse “possono essere impugnate senza limite di tempo” e rilevate “di ufficio” dal Giudice pure senza limite di tempo. Si tratta di delibere la cui contrarietà a norme imperative è di particolare gravità riguardando proprio la modifica dell’oggetto sociale perseguito. Non si tratta qui di impossibilità o di illiceità dell’oggetto della singola delibera come nel terzo caso di ipotesi di “nullità” sopra contemplato (ad esempio: delibera che approva un bilancio falso e dispone la distribuzione di utili fittizi, delibera che statuisce la presentazione del bilancio oltre i termini di legge, ancora, delibera che autorizza la società ad emettere azioni a voto 243 plurimo, e così via) bensì di delibera che propone alla società di perseguire un nuovo e diverso oggetto sociale prevedendo a tal fine attività illecite o impossibili protratte e ripetute nel tempo. Ad esempio, la società che ha per oggetto sociale la produzione di giocattoli in plastica con la delibera assunta, si propone successivamente di produrre materiale pornografico e smerciarlo illegalmente; ancora, una società che svolge esercizio di attività alberghiera, delibera di utilizzare l’albergo per attività di favoreggiamento della prostituzione, e così via. Pertanto, “solo quest’ultimo tipo di deliberazioni si fermano alla soglia del diritto, sono cioè nulle, non acquistano rilevanza giuridica e gli eventuali effetti che dovessero comunque produrre sono solo effetti di fatto, tanto è vero che in qualunque momento è possibile far pronunciare da chiunque vi abbia interesse la loro nullità o rilevarla di ufficio dal giudice, sfociando in una sentenza di mero accertamento”379. Le predette considerazioni riflettono quindi l’intenzione del legislatore della riforma che ha accolto soluzioni che privilegiano soprattutto le esigenze di funzionalità e certezza dell’attività sociale e dell’affidamento dei terzi che entrano in contatto con la società a discapito forse di una più intensa tutela dell’interesse dei soci. Lo strumento tecnico-giuridico di cui si è avvalso il legislatore della riforma per raggiungere tali finalità è senza dubbio in maniera preponderante quello 379 G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 2003, 969 244 dell’annullabilità, intesa come riconoscimento della validità ed efficacia della delibera ma con contestuale sorgere di un potere di annullamento in capo ad un soggetto o ad una cerchia di soggetti che ha ben individuato in categorie predeterminate. L’esercizio o il non esercizio di questo potere di far caducare con sentenza costitutiva la delibera è stato rimesso alla volontà del legittimato ma limitato in termini temporali assai ristretti. La categoria della “nullità” risulta, ad onta della terminologia usata all’art. 2379 c.c., limitata ad una sola ipotesi che è quella prevista dall’inciso finale del 1° comma di tale articolo. Pertanto c’è chi ritiene che sarebbe stato più corretto, proprio alla luce di queste constatazioni, riportare sotto un’unica nomenclatura di “delibere annullabili”, ferma la loro tassatività, sia quelle annullabili ex art. 2377 c.c. che quelle nulle nelle tre ipotesi contemplate dalla prima parte dell’art. 2379 c.c., distinguendo fra annullabilità relativa per le prime e annullabilità assoluta per le seconde. Solo a quella dell’inciso finale del predetto articolo sarebbe stato coerente riservare la denominazione tecnicamente appropriata di nullità380. Inoltre, sotto altro aspetto, dal mutato regime di efficacia della deliberazione nulla, una parte della dottrina ha poi ritenuto di trarre conseguenze di ordine definitorio processuale, con specifico riferimento alla natura della sentenza. In particolare si è sostenuta le tesi della concezione costitutiva della pronuncia di 380 G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 2003, 970 245 nullità, “che inibisce gli effetti prodotti dalla deliberazione, in ragione della specialità del diritto societario e della considerazione della giurisprudenza che estendeva alla fattispecie della nullità le norme ex art. 2378 c.c., e quella sulla sospensione di efficacia”381. Tale orientamento costituisce un’occasione per un altro spunto di riflessione, laddove si consideri che il problema sollevato (in merito alla natura della sentenza dichiarativa della nullità della delibera) potrebbe avere un notevole riflesso pratico ove, per contro, si condividesse l’orientamento giurisprudenziale, invero minoritario, secondo il quale la natura dichiarativa dell’azione di nullità sarebbe di ostacolo alla estensione della sospensione ex art. 2378 c.c. alle delibere nulle382. Al riguardo, va evidenziato che la giurisprudenza maggioritaria, prima della riforma, era orientata a ravvisare piena compatibilità tra la sospensione ex art. 2378 c.c. e l’azione di nullità di cui all’art. 2379 c.c., sul presupposto della produzione di effetti della delibera nulla anche nel vigore del cessato testo della disposizione da ultimo richiamata383. Ciò comporta la irrilevanza, sotto 381 D. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano 2003, 127; A. SPENA, La riforma delle società, 2003, 375 382 In particolare, è da tempo dibattuta in giurisprudenza la questione se sia possibile disporre la sospensione delle delibere di approvazione del bilancio. La tesi contraria a questa possibilità si basa proprio sul fatto che queste delibere sono sostanzialmente dichiarative e quindi non suscettibili di una vera e propria attività di attuazione. Le tesi, maggioritarie, opposte invece affermano la possibilità di sospendere l’efficacia della delibera di approvazione del bilancio, in quanto questa funge da riferimento per ulteriori successive delibere, come quella di distribuzione degli utili o di modifica di consistenza del capitale. 383 Cfr. Trib. Biella, 16/11/1999, in Giur. Comm., 2001, II, 385; Trib. Roma, 02/11/1999, in Dir. fall., 2000, II, 806; Trib. Napoli, 23/06/1995, in Dir. e giur., 1995, 436; Trib. Roma, 20/03/1995, in Dir. fall., 1995, II, 910 246 tale profilo, della modificazione normativa nel senso di un positivo riconoscimento, nel sistema attuale, di ciò che anche in precedenza non si poteva negare: vale a dire che la deliberazione nulla produce effetti, ancorché contra jus. Come è stato affermato, “Se può certamente convenirsi a proposito dell’affermazione circa la sostanziale destrutturazione del significato pratico della classificazione tradizionale nullità-annullamento, in esito al rinnovato regime delle invalidità deliberative assembleari ex artt. 2377 e 2379 c.c., al punto che, forse, in seno a codesto specifico regime, meglio sarebbe stato parlare, in effetti, di mera impugnabilità della deliberazione; se questo è, non pare tuttavia sostenibile, a livello di diritto positivo, la deduzione concettuale in ordine alla generalizzata efficacia della deliberazione nulla e alla natura dell’azione di nullità così come disciplinata, fino all’estremo assunto di una natura costitutiva di una simile azione”384. Deve dunque trovare conferma, pur nell’attuale sistema, la soluzione che vuole la deliberazione nulla inefficace salvo che venga retroattivamente sanata. Ad ogni modo, a prescindere dalla tesi che si intenda condividere (quella della natura costitutiva della dichiarazione di nullità della delibera o, viceversa, quella della natura dichiarativa della stessa), va rilevata l’ininfluenza, sotto il profilo pratico, di una distinzione concettuale postuma rispetto alla pronuncia di invalidità. 384 F. TERRUSI, L’invalidità delle delibere assembleari della SPA, Milano, 2007, 324 247 Infatti, in base alle pregresse considerazioni trova conferma il fatto che, anche a seguito della riforma del diritto societario, alle categorie di vizi rispettivamente contemplate dagli artt. 2377 e 2379 c.c. corrispondono azioni e decisioni giurisprudenziali diverse. Al riguardo, va rilevato che secondo la giurisprudenza la puntuale distinzione tra i vizi che determinano la nullità della delibera e i vizi che ne determinano l’annullabilità non rileva più una volta che l’interessato sia riuscito ad ottenere, in ogni caso, una pronuncia determinativa dell’effetto invalidante385. In particolare la Corte di legittimità ha così affermato: “Pur essendo indubitabile che alle due suindicate categorie di vizi della deliberazione corrispondano azioni e decisioni giudiziali di natura diversa, e che ne possano conseguire effetti almeno in parte dissimili, resta che, nell’essenziale, tanto la pronuncia giudiziale di nullità quanto quella di annullamento rispondono all’interesse dell’attore di far venir meno la deliberazione viziata. Quando perciò entrambe le azioni siano state esercitate, onde non si ponga un’eventuale questione di corrispondenza tra il richiesto ed il pronunciato, né si metta in dubbio la tempestività della domanda con riguardo al termine di decadenza stabilito per l’esercizio delle azioni di annullamento dal primo capoverso dell’art. 2377 c.c., l’eventuale errore nel quale il giudice sia incorso nell’individuare la natura del vizio da cui la deliberazione è affetta e la conseguente imprecisa definizione nella formula della pronuncia giudiziale 385 Cass., 13/04/2005, n° 7663, in Foro it., 2006, I, 1170 248 emessa possono risultare privi di ogni reale incidenza. La parte che quella decisione impugni sotto questo profilo è tenuta, pertanto, a chiarire le ragioni per cui lo fa, non potendo l’impugnazione essere retta dal solo teorico scopo di conseguire una decisione formulata in termini giuridicamente più corretti”386. 4. Le ipotesi codificate di nullità deliberativa. La nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto. Definita la cornice teorica, è possibile spostare l’attenzione sulle ipotesi codificate di nullità della deliberazione assembleare. Innanzitutto, va rilevato che nel novellare l’art. 2379 c.c. introducendo, accanto all’ipotesi di illiceità o di impossibilità dell’oggetto, due ulteriori cause di nullità delle delibere assembleari (mancata convocazione dell’assemblea e mancata verbalizzazione della delibera), il legislatore della riforma ha inserito, al terzo comma, una serie di precisazioni volte a chiarire quando tali due fasi del procedimento assembleare, nonostante la presenza di irregolarità, non possano dirsi mancanti, di modo che la delibera, seppur non conforme alla legge o allo statuto, non può venire dichiarata nulla, ma deve essere ritenuta annullabile. 386 V. nota precedente 249 Tale tecnica legislativa si propone di dare vita ad una netta linea di discrimine fra delibere nulle e delibere annullabili, circoscrivendo con precisione l’ambito di applicazione degli artt. 2377 e 2379 c.c. Tuttavia, il proposito del legislatore di definire, seppur in negativo, le due fattispecie di nullità introdotte ex novo con la riforma non ha dato, in termini di certezza del diritto, i risultati sperati, essendo varie le ambiguità che affiorano dal nuovo art. 2379, 3° comma, c.c., e rendono complesso distinguere i casi in cui la convocazione o la verbalizzazione debbano dirsi mancanti da quelli in cui debbano venire ritenute semplicemente irregolari. Inoltre, l’assenza di ogni chiarimento in merito all’esatta portata dell’espressione “impossibilità o illiceità dell’oggetto” non fa che alimentare tale situazione di incertezza che già, prima della riforma, aveva caratterizzato l’interpretazione dell’art. 2379 c.c. e aveva reso problematica la sorte delle delibere assembleari affette da vizi di contenuto. Tali considerazioni impongono, pertanto, la necessità di analizzare nel dettaglio le tre fattispecie di nullità delle delibere assembleari, in modo da delimitare correttamente l’ambito di applicazione degli artt. 2377 e 2379 c.c. Il nuovo primo comma dell’articolo 2379 c.c., recita che “Nei casi di impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel 250 libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito”. Inoltre, la disposizione sancisce che nell’ambito di questa categoria “le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili» sono assoggettate ad un regime più severo, in quanto «possono essere impugnate senza limiti di tempo”. La categoria della nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto era l’unica già richiamata dalla precedente formulazione dell’art. 2379, ma la ben diversa disciplina introdotta dalla riforma ha ampliato la divaricazione tra la regolamentazione di tale nullità della delibera e quella del contratto. La possibilità di distinguere oggetto e contenuto del contratto e del negozio giuridico è stata molto dibattuta nella dottrina civilistica387, mentre per le deliberazioni assembleari la giurisprudenza e la prevalente opinione dottrinale hanno interpretato il previgente art. 2379 preferendo un’ampia accezione della prima nozione, cioè facendo riferimento al contenuto sostanziale della delibera quale complesso delle determinazioni concrete in essa dedotte e non al solo oggetto astrattamente considerato388. E. GABRIELLI, Il contenuto e l’oggetto, in Trattato dei contratti, I contratti in generale, Torino, 1999, 633. 388 Cass., 24/07/2008, n° 16390; Cass., 02/04/2007, n° 8221; Cass., 22/01/2003, n. 928; Cass., 15/11/2000, n. 14799; Cass., 09/04/1999, n. 2457; Cass., 21/11/1998, n. 11801, in Giur. It., 1999, 563; M. BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 1984, 316; R. ZANZARONE, L’invalidità, op. cit., 437; C. VASELLI, Deliberazioni nulle e annullabili delle società per azioni, Padova, 1947, 34 ss.; P. TRIMARCHI, Invalidità, 27 ss. 387 251 Quindi, secondo tali premesse, è nulla una deliberazione relativa ad un oggetto di per sé lecito, ma il cui contenuto sia viziato dall’illiceità. Inoltre, un’autorevole parte della dottrina si è opposta a tale impostazione, opinando per una necessaria distinzione fra l’oggetto effettivo del deliberato assembleare ed il contenuto della manifestazione dì volontà su di esso; in tale ottica è sanzionato con la nullità soltanto il vizio del primo e quindi non ricorre l’invalidità se la materia dell’attività assembleare è in «concreto» conforme a quella tipizzata dal legislatore, ossia non è illecita l’alternativa sulla quale l’organo assembleare è stato chiamato ad esprimersi 389. Una scelta fra tali opzioni in tema di oggetto della delibera, anche nel contesto della nuova disciplina, non può essere compiuta in sede preliminare in quanto la questione è intrinsecamente collegata alla ampiezza del concetto di illiceità della stessa. In sintesi si ha una causa di nullità nel momento in cui l’oggetto della deliberazione è vietato dalla legge390. L’orientamento giurisprudenziale consolidato sotto la vecchia disciplina assume che si ha la nullità soltanto se la norma cogente violata è a tutela di un interesse generale che trascenda quello del singolo socio, ovvero è volta ad impedire una deviazione di quello che è lo scopo economico pratico del 389 F. GALGANO, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 1995, p. 247; App. Genova 23.10. 1990, in Giur. Comm., 1992, 270. 390 G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993. 252 contratto di società; di conseguenza, in tutti gli altri casi l’illiceità della deliberazione è soltanto causa di annullabilità. In altri termini, tale teorizzazione391 ha distinto gli interessi generali esterni all’organizzazione societaria e gli interessi generali nell’ambito della stessa dagli interessi particolari e individuali dei singoli soci 392. Questa accezione di illiceità è stata applicata ad un oggetto della delibera inteso come contenuto sostanziale della stessa, e quindi ne è derivata la molteplicità delle ipotesi di nullità in discorso, come dimostra l’esame dei repertori di giurisprudenza. Oltre a tale materia, rappresentata dalle impugnative di bilancio393, ed dall’ipotesi classica della distribuzione di utili fittizi, si riscontrano numerose fattispecie in tema di delibere che violano i diritti individuali inderogabili ed irrinunciabili dei soci, ossia che trascendono i limiti oggettivi del potere di disposizione del singolo socio 394, ed altresì di delibere di modificazione del capitale sociale 395, ovvero aventi ad oggetto operazioni vietate sulle proprie azioni ai sensi dell’art. 2358 c.c.396 Tale impostazione era stata criticata, sottolineando che la nozione di illiceità adottata dalla giurisprudenza, con l’avallo della dottrina, era conseguenza della 391 G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Trattato Colombo e Portale, Torino, 1994, 442. 392 Cass., 20/04/1961, n° 883, in Dir. fall., 1961, 783; Cass., 15/11/2000, n° 14799; Cass., 22/07/1994, n° 6824. 393 Cass., 24/12/2004, n. 23976; Cass., 22/01/2003, n. 928. 394 App. Genova, 14/05/2004, in Giur. It., 2004, 2340. 395 Cass., 02/03/2001, n. 3052, in Foro it., 2002, 211; Cass., 15/11/2000, n. 14799, in Giust. Civ., 2001, 1307; Cass., 06/11/1999, n. 12347. 396 Cass., 21/01/1970, n. 123, in Giur. It., 1970, 1570. 253 preferenza per la nozione «contenutistica» dell’oggetto della delibera, di evidente derivazione negoziale, che diviene l’equivalente del contenuto «illecito»; è proprio la scelta di amplificare la materia che può dar luogo alla nullità a giustificare l’esigenza di procedere poi ad una difficile distinzione tra le tipologie di interesse lese dalla antigiuridicità al fine di non arrivare ad un’estensione del vizio più grave397, il che ha provocato una riduzione dell’ambito applicativo dell’art. 2377, cui è stato affidato prevalentemente il ruolo di sanzionare le violazioni procedimentali meno gravi. La maggior parte degli interpreti non sembra aver ricavato dirette conseguenze della ratio del nuovo sistema dell’invalidità delle delibere assembleari, che ha originato il vigente testo dell’art. 2379, sulla materia della nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto della delibera 398. A tal proposito appare opportuno sottolineare che quella indeterminatezza dell’orientamento invalso nella disciplina previgente potrebbe essere ancor meno condivisibile nel momento in cui la contigua regolamentazione dell’annullabilità della deliberazione ha visto prevalere l’attribuzione della tutela risarcitoria in luogo di quella reale per i soci che non siano in possesso delle quote azionarie determinate dall’art. 2377; tale scelta per la stabilità dei deliberati societari rischia di essere vanificata da una interpretazione dell’art. 2379 che qualificasse in chiave di illiceità dell’oggetto tutte le violazioni di 397 G. GRIPPO, Deliberazione e collegialità nelle società per azioni, Milano, 1979, 62. G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle s.p.a. (prima parte): cause ed effetti dell’invalidità dell’atto, in Soc., 2003, 540. 398 254 norme imperative poste a protezione di interessi che trascendono la posizione del singolo socio. In tal senso, alcune proposte interpretative hanno evidenziato che la consolidata interpretazione è meno compatibile con la novellata disciplina 399 e ciò, anche se il legislatore non ha preso alcuna posizione sulla differenziazione fra oggetto e contenuto della deliberazione. Pertanto, si è proposto di intendere in senso restrittivo la nullità per illiceità delle delibere che hanno oggetto tipico, limitandola soltanto alle violazioni dei principi fondamentali del diritto societario, che snaturino la funzione tipica di tale oggetto, inteso nel senso «concreto», ovvero di precetti fondamentali dell’ordinamento; opinando in tal senso, al di là di queste ipotesi, la contrarietà del contenuto della deliberazione rispetto a norme imperative provoca l’annuìlabilità a prescindere dal tipo di interesse tutelato 400. Ad ogni modo, il discorso relativo all’impossibilità e all’illiceità comporta l’analisi di concetti la cui definizione è certamente problematica, ma che non possono essere allargati a dismisura fino a ricomprendere qualsiasi ipotesi di contrarietà a norme imperative. Il punto è pacifico per quanto concerne l’illiceità: categoria normativa utilizzata per sanzionare i negozi contrari, oltre che all’ordine pubblico e al buon costume, alle sole norme imperative poste a 399 400 S.A. VILLATA, op. cit., 108. S.A. VILLATA, op. cit., 81. 255 presidio dei valori fondamentali del sistema, la cui violazione è giudicata dal legislatore particolarmente riprovevole. L’istituto dell’illiceità, pertanto, grazie alle numerose elaborazioni dogmatiche che gli sono state dedicate dalla dottrina civilistica 401, ha confini sufficientemente nitidi. Più dubbia l’interpretazione del termine impossibilità, riferito dalla maggioranza dei civilisti, oltre che ai casi di impossibilità materiale, alle ipotesi di impossibilità giuridica: istituto i cui confini appaiono piuttosto incerti e che, a seconda degli autori, sembrerebbe idoneo a ricomprendere una serie di fattispecie difficilmente riconducibili ad unità402. In realtà, lungi dal ripercorrere dettagliatamente le singole interpretazioni della dottrina in ordine al significato di impossibilità dell’oggetto, da una ricognizione delle teorie dalla stessa elaborate con riferimento a tale istituto, nonché sulla base di un’interpretazione letterale e sistematica degli artt. 2377 e 2379 c.c., si può ritenere che l’oggetto della delibera deve essere ritenuto giuridicamente impossibile nei soli casi in cui è sottratto alla competenza dell’assemblea (nel qual caso, oltre che nulla, la delibera potrà essere 401 F. CARRESI, Il contenuto del contratto, in Riv. dir. civ., 1963, I, 233 ss.; A. GUARNERI, Ordine pubblico, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, Vol. XIII, Torino, 1995, 154 ss.; M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Vol. III, Milano, 2000, 326; F. GALGANO, Diritto civile, Vol II, 1, 273; R. SACCO, Le invalidità, in Trattato di diritto privato, Vol 10, Tomo II, Torino, 2002, 402 ss.; A. CAPUTO, Sui criteri di determinazione del carattere imperativo di una norma, in Gius. civ., 1978, I, 903; G. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv. crit. Dir. priv., 1985, 434 ss. 402 P. FERRO LUZZI, La conformità delle delibere assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, 1976, 181; F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Vol. XXIX, Padova, 2006, 391. 256 dichiarata inefficace) e che, altrimenti, anche se vietato dall’ordinamento, deve venire giudicato non conforme alla legge e, come tale, ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c. Ne consegue che, anche volendo ricomprendere nell’ambito dei applicazione dell’art. 2379 c.c. non solo l’impossibilità materiale, ma anche l’impossibilità giuridica403, si può ipotizzare che quest’ultima espressione debba venire riferita, come suggerito dal suo tenore letterale, ai soli casi in cui l’argomento concretamente posto all’o.d.g non possa, per il nostro ordinamento, costituire l’oggetto di una delibera assembleare. In tali ipotesi è corretto affermare che ci si trova di fronte a fattispecie nelle quali, per l’assemblea, era giuridicamente impossibile deliberare sull’oggetto circa il quale, invece, si è espressa. In ogni altro caso di contrarietà della deliberazione a norme imperative, invece, l’oggetto concreto, lungi dal risultare impossibile, deve più correttamente venire considerato non conforme alla legge: in tali casi la delibera deve essere ricondotta all’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c. La tesi secondo cui l’art. 2379 c.c. riguarderebbe i soli casi di impossibilità materiale è stata autorevolmente sostenuta da P. FERRO LUZZI, La conformità, 181 e F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto, 391. Fra i privatisti, sostiene che l’impossibilità giuridica si risolva nell’illiceità P. RESCIGNO, Obbligazioni, 187 e, in particolare, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, 230 ss., che riconduce illiceità e impossibilità giuridica alla categoria della “inidoneità” dell’oggetto. 403 257 5. L’applicazione dell’art. 2379 c.c. alle delibere affette da vizi di contenuto. Passiamo, ora, in rassegna, a titolo esemplificativo, una serie di ipotesi in cui è configurabile l’illiceità o l’impossibilità dell’oggetto di una delibera assembleare. Innanzitutto, rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2379 c.c. le delibere il cui oggetto e il cui contenuto sono materialmente impossibili: atti la che consentono all’interprete di dare libero sfogo, per così dire, alla propria fantasia. Allora si può pensare a deliberazioni con cui l’assemblea autorizzi gli amministratori ad andare su Marte, o a lanciare una nuova linea di prodotti per gli abitanti di Saturno. Oppure, volendo escludere casi di scuola, a delibere assembleari dirette ad autorizzare atti di gestione relativi a beni che, all’insaputa dei soci, alla data della riunione assembleare sono già periti 404. In tali casi, l’oggetto e il contenuto della deliberazione, riguardando attività impedite al genere umano, o cose non più esistenti in rerum natura, sono impossibili dal punto di vista materiale: con la conseguenza che l’applicabilità dell’art. 2379 c.c. non potrà essere discussa. Circa l’impossibilità giuridica, se si accoglie la tesi per cui tale espressione deve essere riferita ad ipotesi di incompetenza assembleare, si possono prospettare i seguenti esempi: quello dell’assemblea che pretenda di decidere 404 G. GUERRIERI, La nullità, 129 258 su atti di gestione, o di invadere la sfera di competenza dell’organo di controllo, deliberando di agire in giudizio ai sensi dell’art. 2409 c.c., o di redigere essa stessa la relazione di accompagnamento del bilancio prevista dall’art 2429, 2° comma, c.c.; oppure, quello delle delibere con cui vengano compressi diritti indisponibili di soci o di terzi: diritti, cioè, sui quali l’organo assembleare non abbia, neppure astrattamente, la competenza a deliberare405. In tali casi, poiché l’ordinamento non consente all’assemblea di decidere sui temi dell’o.d.g., l’oggetto della delibera deve essere ritenuto giuridicamente impossibile. È, invece, più complesso individuare ipotesi di illiceità dell’oggetto, soprattutto se si vuole tracciare una linea di demarcazione tra questa serie di ipotesi e quella delle delibere non conformi alla legge, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c. Fra i criteri indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per individuare le disposizioni la cui violazione determini illiceità, vi sono la natura pubblica dell’interesse protetto dalle stesse, il carattere proibitivo, oggettivo e incondizionato della norma violata, il rango costituzionale della stessa, la 405 Si fa riferimento ad alcune posizioni giuridiche soggettive riconosciute ai soci quali, ad esempio, il diritto del socio a vedere limitato il proprio rischio al capitale conferito; il diritto a conservare lo status di socio; il diritto di recesso previsto dall’art. 2437, 1° comma, c.c. Ne deriva che devono essere considerate nulle, in quanto aventi oggetto impossibile dal punto di vista giuridico, le delibere che pretendano di ledere tali diritti, ad esempio obbligando il socio a nuovi conferimenti, o escludendolo dalla società, o impedendogli di esercitare il diritto di opzione. Se, invece, l’assemblea intenda comprimere, oltre i limiti consentiti dalla legge, diritti di soci o di terzi su cui abbia in astratto il potere di incidere negativamente, si deve escludere che si possa parlare di impossibilità dell’oggetto, potendo essere configurata, a seconda del rango della norma imperativa violata, un’ipotesi di illiceità o di non conformità alla legge. 259 previsione di una sanzione di carattere penale, amministrativo o fiscale, per l’ipotesi di una sua trasgressione. Sulla base di questi criteri si possono ricomprendere, fra le delibere aventi oggetto o contenuto illecito: quelle con cui l’assemblea intervenga sui criteri di partecipazione agli utili e alle perdite violando il patto leonino406; quelle che contrastino con i principi fondamentali su cui si fonda la disciplina del capitale sociale, prevedendo, ad esempio, la distribuzione di utili anche quando le perdite degli esercizi precedenti non siano state interamente ripianate, o un aumento del capitale in misura dichiaratamente superiore all’importo complessivo dei conferimenti richiesti ai soci 407; le deliberazioni che pretendano di alterare l’assetto corporativo della società, o i principi sulla personalità giuridica, sopprimendo alcuni organi sociali, modificando le loro competenze, o sancendo la responsabilità personale dei soci per le obbligazioni sociali408. Risulta chiaro che il rigoroso tenore letterale dell’art. 2265 c.c., secondo cui “E’ nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”, sancendo immediatamente la nullità del patto, ha di certo carattere proibitivo. 407 Si vedano gli artt. 2433, 3° comma, c.c. (secondo cui “Se si verifica una perdita del capitale sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”) e 2346, 5° comma, c.c. (per il quale “In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”), che vietano decisioni di tal genere. 408 Le delibere che pretendano di alterare la struttura corporativa, o di scardinare la personalità giuridica della società esulano, peraltro, dalle competenze dell’assemblea e devono essere ritenute, oltre che illecite, anche ad oggetto impossibile: con la conseguenza che, anche nel caso in cui non vengano dichiarate invalide, dovranno essere ritenute inefficaci. Inoltre, in un’ipotesi, la Suprema Corte ha dichiarato nulla la delibera con cui l’assemblea straordinaria ha attribuito all’assemblea ordinaria il potere di modificare l’atto costitutivo: si veda Cass., 04/05/1998, n° 4441, in Riv. not., 1998 406 260 Altre delibere con oggetto illecito sono quelle dirette a introdurre nello statuto clausole a contenuto illecito. Si pensi alle delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo l’esercizio di attività contrarie all’ordine pubblico, al buon costume, o alle norme imperative di legge di un rango talmente elevato che la loro violazione deve essere valutata in termini di illiceità. Ulteriori e più specifici esempi potrebbero essere fatti. Ma occorre tenere presente che una compiuta verifica relativa al rango delle norme imperative violate e all’eventuale inclusione della delibera impugnata nell’ambito di applicazione delle norme sulla nullità dovrà di volta in volta essere effettuata dall’organo giudicante in relazione alla fattispecie concreta sottoposta alla sua attenzione. 6. La nullità per mancata convocazione dell’assemblea e mancanza del verbale L’attuale testo dell’articolo 2379 c.c. sancisce la nullità delle deliberazioni anche per mancata convocazione dell’assemblea e mancanza del verbale. In tali fattispecie, la deliberazione è attentata “dalla radicale carenza nell’avvio del procedimento assembleare”, ossia “dall’insuperabile difficoltà di ricostruire l’andamento della riunione”409, tanto da suggerire una sua lettura in senso restrittivo, in quanto la volontà legislativa appare quella di “limitare la 409 S. PESCATORE, op. cit., p. 181. 261 nullità delle deliberazioni assembleari alle sole ipotesi in cui il vizio di procedimento sia macroscopico, e impedisca ai soci di essere informati, con un minimo di precisione e di credibilità circa lo svolgimento dell’assemblea”410. La norma incide su tali orientamenti giurisprudenziali e con la qualificazione espressa di nullità è volta a superare la propensione ad utilizzare per tali fattispecie la categoria dell’inesistenza. Tuttavia, è ben evidente che il regime attualmente previsto è meno severo di quello dell’articolo 2379 previgente; a conferma delle scelte operate in via generale per la riduzione dell’ambito della nullità in materia societaria, il 3° comma prevede alcune fattispecie in cui convocazione e verbale non possono essere considerate mancanti; l’azione è assoggettata al termine triennale di proponibilità e l’articolo 2379-bis regola possibilità di sanatorie. L’esame della giurisprudenza dimostra che per le impugnazioni delle delibere assembleari, dopo la contestazione del bilancio, la materia oggetto di contestazione più frequente è rappresentata dalla legittimità di convocazione. Nel sistema previgente alla riforma la mancata convocazione era la fattispecie in cui con maggiore certezza si concludeva per la sanzione di inesistenza411. L’ampiezza del 1° comma della disposizione in esame comporta che sussiste nullità nell’ipotesi di totale omissione della convocazione, salva poi l’applicabilità della sanatoria di cui all’articolo 2379-bis. 410 F. GUERRIERI, op. cit., p. 82. Cass.. 11/06/2003, n. 9364, in Giust. Civ., 2004, p. 2765; Cass., 22/10/2001, n. 11186, in Giur. It., 2002, p. 550 411 262 L’ampiezza della formulazione letterale non consente di assumere distinzioni fra i soggetti che hanno facoltà di partecipazione all’assemblea; pertanto, si avrà nullità per omessa convocazione con riferimento sia ai soci il cui voto sotto il profilo quantitativo non è idoneo ad incidere sull’approvazione412, e sia a soggetti abilitati ad intervenire ma che non sono soci e non hanno diritto di voto. Invece, in relazione all’ipotesi in cui sussistano le formalità di convocazione, ma esse violino la disciplina di cui all’art. 2366 (Formalità per la convocazione), la disposizione in esame delimita il principio dettato al 1° comma, prevedendo al 3° comma che «la convocazione non si considera mancante nel caso d’irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea». Di notevole importanza per l’esegesi della norma è comprendere se e quando la convocazione debba considerarsi «non mancante» ai sensi della disposizione in commento. Per l’esame di tale profilo si devono prendere in considerazione anche gli artt. 2366 e 2377, poiché la questione involge profili generali del sistema dell’invalidità delle delibere, nonché del funzionamento del meccanismo assembleare e della cogenza delle norme, anche statutarie, ad esso 412 Cass., 22/08/2001, n. 11186. 263 dedicate, ma è da rilevare che molti interpreti si sono espressi in favore della permanenza di un’azione di annullabilità413. Non v’è dubbio che il legislatore, nell’art. 2379, al fine di tutelare i legittimati ad intervenire e partecipare alla formazione della volontà sociale, utilizza un meccanismo «non formalistico» volto a privilegiare il raggiungimento dello scopo, sanzionando quelle omissioni nella convocazione che non rendono ex se se possibile gli azionisti di intervenire414. Tale «scopo», che esclude la nullità, potrebbe intendersi costituito soltanto dalla mera notizia preventiva di una convocazione assembleare che consente comunque al soggetto legittimato di verificare la legittimità procedimentale della fase pre-assembleare nel caso in cui dovesse proporre domanda di annullamento. In modo più innovativo, è possibile anche pensare che lo «scopo» di cui si discute sia quello di assolvere in concreto alla funzione partecipativa e che, una volta esso si sia realizzato, ciò preclude ogni impugnativa per i vizi indicati dall’art. 2379415. In tal senso depongono l’assenza di ogni richiamo sul punto nell’art. 2377, l’utilizzazione del termine «irregolarità», nonché l’esistenza della ulteriore specifica sanatoria dell’art. 2379-bis; tanto più che con riferimento all’omessa convocazione del socio di minoranza, il presidio dell’art. 2377 potrebbe avere 413 G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle s.p.a. (prima parte), cit., p. 541. 414 S. SANZO, Commento all’art. 2379, in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, p. 654. 415 S.A. VILLATA, op. cit., p. 104. 264 di fatto ben poco significato quando questi non sia possessore del quorum azionario di cui all’art. 2377. Alla luce di una tale opzione dovrà essere identificato il lasso di tempo necessario ai sensi dell’art. 2379, per considerare «preventivamente avvertiti» i legittimati a partecipare. Nell’ottica che ammette la possibilità di esercitare anche per tale profilo l’azione di annullamento, si è detto che sarà «non mancante» la convocazione, anche se essa giunga pochi istanti prima dell’apertura dell’assemblea 416; diversamente, premesso che il termine non potrà che essere inferiore a quello previsto ex lege per la regolarità dell’avviso, per riconoscere alla norma una ragionevolezza, il «preavviso» dovrebbe essere, comunque, valutato con riferimento ad un’effettiva possibilità di partecipazione417. Il principio del raggiungimento dello scopo di un’effettiva possibilità di partecipazione fa ritenere che si ha nullità, ove l’avviso taccia sul luogo e poi l’assemblea si svolga in un luogo diverso da quello abituale o ricavabile da altri indici dell’attività sociale418. Sotto altro profilo, con riferimento alla legittimazione alla convocazione, è evidente che ad evitare la nullità basta la provenienza dell’avviso da un Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo unico dell’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998”, in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 Febbraio 2004. 417 S.A. VILLATA, op. cit., p. 104. 418 Cass., 14/01/1993, n. 403, in Soc., 1993, p. 484; MUSCOLO, Il regime dei vizi, cit., p. 542. 416 265 componente dell’organo di amministrazione o di controllo anziché direttamente dall’uno o dall’altro dei predetti organi, secondo i casi previsti dalla legge. Pertanto, si è esclusa tale sanzione per il vizio dell’avviso più frequentemente dibattuto in precedenza, cioè la sottoscrizione soltanto di un componente del consiglio di amministrazione, a tanto non legittimato da solo 419. Invece, deve ritenersi assoggettata a nullità la peculiare fattispecie in cui la convocazione provenga da uno o più soci, per la quale, da ultimo, la Suprema Corte aveva opinato per la meno grave sanzione dell’annullabilità. La determinazione nella fattispecie concreta dell’«idoneità» dell’avviso a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione dell’assemblea di certo si presta a divergenze interpretative relative a tale discrezionalità del giudice. Per quanto concerne la mancanza del verbale, ai sensi dell’articolo 2379, comma 1, in caso di totale omissione delle formalità di verbalizzazione, sussiste nullità della delibera assembleare. Si tratta di una patologia radicale che in realtà nella pratica ha interessato nel previgente sistema l’omissione di verbalizzazione della delibera in prima convocazione, la cui mancanza veniva posta a base della successiva impugnazione della deliberazione presa in seconda convocazione con le relative maggioranze. 419 Trib. Milano, 25/02/2004, in Soc., 2004, p. 1290; Trib. Milano, 11/12/2003, in Giur. It., 2004, p. 2348; Trib. Trento, 28/09/1999, in Soc., 2000, p. 326; Trib. Cassino, 14/05/1990, in Vita not., 1991, p. 635. 266 Limitandosi agli ultimi anni, è possibile notare che la questione, anche se spesso risolta riconoscendo un vizio della deliberazione di seconda convocazione420, aveva poi visto prevalere l’orientamento che escludeva ogni invalidità, in quanto nel verbale in discorso si tratta soltanto di far constatare la mancanza del quorum deliberativo in prima convocazione, e quindi non si è in presenza di un atto deliberativo assembleare, e, comunque, il suddetto verbale documenta un fatto che è estraneo alla fattispecie rappresentata dalla deliberazione adottata in seconda convocazione421. Tale soluzione può di ribadirsi anche nel contesto dell’attuale disciplina. Chiarito ciò, va sottolineato che riguardo alla formazione del verbale assembleare la riforma ha creato un sistema di invalidità piuttosto complesso. Già l’art. 2377 prevede che «la deliberazione non può essere annullata ... per l’incompletezza o l’inesattezza del verbale, salvo che impediscano l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione». L’art. 2379, nella seconda parte, dispone che: “Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente del consiglio d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza o dal segretario o dal notaio”. 420 Cass., 04/12/1990, n° 11601, in Riv. Dir. comm., 1990; A. MISEROCCHI, La verbalizzazione nelle società per azioni, Padova, 1969, p. 244; Trib. Prato, 17/07/1996, in Soc., 1997, p. 674. 421 Cass., 26/11/1998, n. 12008, in Riv. Giur. Sarda, 1998; Cass., 07/03/1992, n. 2764, in Giur. Comm., 1994, p. 588; Trib. Napoli, 02/07/1996, in Soc., 1996, p. 1203; Trib. Reggio Emilia, 27/04/1994, in Giur. Comm., 1995, p. 741. 267 Tale contenuto minimo impedisce la dichiarazione di nullità, poiché per il legislatore esso è in grado di informare circa le materie che sono state poste all’attenzione e alla decisione dei soci, ma è indubbio che la legge si accontenta di elementi che non sono idonei a consentire la compiuta ricostruzione del contenuto della delibera e la correttezza dell’iter decisionale seguito dall’assemblea; in tale caso soccorrerà l’invalidità relativa disciplinata dall’art. 2377422. Al fine di evitare la nullità, la lettera della disposizione richiede sia la sottoscrizione del presidente dell’assemblea, sia quella del segretario (o del notaio). 7. La legittimazione attiva. L’interesse in funzione legittimante. L’attuale formulazione dell’art. 2379 c.c., rispetto al testo anteriore, non contiene riferimenti alla disciplina negoziale. Infatti, non compare il pregresso richiamo all’art. 1421 c.c. Ciò nonostante, non è controverso che anche la nuova formulazione normativa continua a disciplinare l’azione di nullità della delibera assembleare come proponibile da chiunque vi abbia interesse. V. SALAFIA, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Soc., 2003, p. 1179. 422 268 Conseguentemente, ne deriva che, anche nell’attuale sistema, ai fini dell’art. 2379 c.c., è l’interesse ad assurgere a criterio di legittimazione: un interesse che, peraltro, non è definito dalla norma e che resta annoverato anche tra le condizioni dell’azione giudiziale in genere, ex art. 100 c.p.c. (ai sensi del quale per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario “avervi interesse”). Se, dunque, non c’è dubbio che, per effetto di una formulazione che sostanzialmente replica il testo dell’art. 1421 c.c, anche la sfera dei soggetti legittimati all’azione di nullità della delibera assembleare è più ampia rispetto a quella dei soggetti legittimati all’azione di annullamento, tuttavia l’incertezza sulla portata dell’espressione “chiunque vi abbia interesse” e, in particolare, sulla nozione stessa di “interesse” giuridicamente rilevante, non consente una immediata definizione della categoria di soggetti legittimati all’azione de qua. Orbene, sia in dottrina che in giurisprudenza sono state prospettate svariate soluzioni concettuali sulla falsariga delle dispute concernenti l’ambito di riferimento dell’art. 1421 c.c.423. Tuttavia, lungi dal procedere ad un’analisi particolareggiata di tali soluzioni dottrinali, ai fini pratici, pare più opportuno indicare come il principio di cui 423 Si veda M.C. BARTESAGHI, Validità e invalidità delle delibere assembleari di società, Torino, 1999; B. QUARTRARO - A. FUMAGALLI - S. D’AMORA, Le deliberazioni assembleari e consiliari, Milano, 1996; P. LUCANTONI, Osservazioni sulla legittimazione ad agire per l’accertamento della nullità di una deliberazione assembleare di società a responsabilità limitata, in Giur. comm., II, 1996; G. ZANARONE, L’invalidità, op. cit., 1993 269 all’art. 2379 c.c., contenente il rinvio alla disciplina negoziale, sia stato interpretato in funzione applicativa in seno alla giurisprudenza. Secondo un orientamento giurisprudenziale, “L’azione di nullità delle deliberazioni di una società, pur essendo svincolata dai presupposti, nonché dalle condizioni temporali e di legittimazione stabilite dall’art. 2377 c.c. per l’azione di annullamento, postula l’interesse dell’istante (art. 1421 c.c., richiamato dall’art 2379 c.c.), cioè la sua esigenza di rimuovere una situazione pregiudizievole su determinate situazioni giuridiche, e, pertanto, non può essere promossa, nemmeno dal socio, sulla sola base della denuncia di irregolarità, occorrendo la specifica deduzione e dimostrazione della loro incidenza negativa nella sfera del socio stesso”424. La giurisprudenza fonda il menzionato principio sulla constatazione che, nelle società di capitali, dotate di distinta personalità e titolari del proprio patrimonio, l’interesse del socio alla conservazione della consistenza economica della società è tutelato esclusivamente con strumenti interni (potendo egli influire sulla vita sociale, impugnare le deliberazioni, far valere la responsabilità degli amministratori), mentre non implica, ad esempio, la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni, la cui validità resta contestabile da parte della società stessa425. 424 Cass., 13/04/1989, n° 1788, in Gius. civ., 1989, I, 1, 1111 F. TERRUSI, L’invalidità, 242; in giurisprudenza si veda Cass., 04/03/2003, n° 5323, in Mass. Gius. Civ., 2003, 4; Cass., 07/01/2000, n° 82, in Mass. Gius., civ., 2000, 26 425 270 Pertanto, l’interesse idoneo a determinare la legittimazione all’azione di nullità deve consistere, per il suddetto orientamento, nella necessità di rimuovere una specifica situazione pregiudizievole derivante dall’atto interno contro cui si agisce, “non potendo consistere nell’esigenza di astratta legalità dell’agire sociale”426. Cass., 08/06/1988, n° 3881, in Foro it., 1989, I, 2925, second cui “L'azione di nullità non è, di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare svolgimento del rapporto sociale. Pur se la legittimazione all'impugnativa per nullità spetta anche a soggetti diversi da quelli indicati come legittimati all'azione di annullamento (spetta in particolare anche ai soci che furono presenti e non espressero dissenso nell'assemblea che adottò la delibera), poiché tuttavia normalmente il pregiudizio derivante da una delibera sociale colpisce di regola chi opera nell'ambito della società, e cioé in prevalenza i soci, sono costoro i soggetti solitamente interessati all'impugnazione. E si intende che in tale ipotesi la legittimazione all'azione (in sé concettualmente distinta dall'interesse ad agire) che si riconnetta allo "status" di socio coincide con l'interesse ad agire, nel senso che l'interesse ad agire (e cioé ad impugnare di nullità la delibera) diviene requisito di legittimazione e quindi condizione di proponibilità della domanda giudiziale. La qualità di socio, pertanto, con il connesso interesse ad agire, quando sia il socio a chiedere l'intervento del giudice al fine di evitare, attraverso la dichiarazione di nullità della delibera, la lesione (anche potenziale della sua sfera giuridica e alleghi il timore di un pregiudizio attuale e concreto derivante da detta delibera, deve ricorrere, necessariamente (in quanto si tratta appunto di una condizione per la proponibilità dell'azione), al momento in cui l'impugnativa per nullità viene proposta, non essendo dall’art. 2379 c.c. specificatamente richiesta, sia pure in modo indiretto o implicito, la partecipazione all'assemblea che adottò la delibera impugnata o il voto contrario, né la preesistenza ad essa della qualità di socio (come invece per l'azione di annullamento, che riserva a determinati soggetti della società l'impugnativa entro un termine breve, al fine di conseguire, a termine scaduto, la stabilizzazione delle delibere sociali inficiate da meri vizi procedimentali ”. Più recentemente, Cass., 21/02/2003, n° 2637, in Foro it., 2003, I, 2768, in relazione ad una situazione nella quale era stato impedito illegittimamente ad un socio di partecipare all'adunanza dell'assemblea, ha statuito che: “… è impossibile negare a quel medesimo socio l'interesse ad impugnare i deliberati dell'assemblea proprio in relazione al suddetto motivo di illegittimità. Il suo interesse, in tal caso, non si identifica con un'esigenza di astratta legalità, ma discende, per un verso, dal fatto che egli ha diritto a poter concorrere alla formazione della deliberazione dell'organo assembleare (e ciò non sola attraverso l'esercizio del voto, ma anche con la partecipazione alla discussione e con l'eventuale richiesta di informazioni e chiarimenti), per altro verso dal rilievo che la deliberazione assunta con il concorso d ei soli soci formanti la maggioranza in tanto vincola legittimamente anche gli assenti ed i dissenzienti in quanto sia stata assunta "in conformità della legge e dell'atto costitutivo", come espressamente indica l’art. 2377, primo comma, c.c. Donde consegue che il socio assente o dissenziente da una qualsivoglia deliberazione idonea a spiegare nei suoi riguardi un qualche effetto ha pieno titolo ed indubbio interesse a far accertare che quella deliberazione, in quanto non rispettosa della legge e perciò invalida, non è in grado di vincolarlo. Ed, a questo specifico fine, è irrilevante stabilire di qual natura sia il vizio di legittimità da cui la 426 271 In base alle pronunce giurisprudenziali (si veda, in particolare Cass., 21.02.2003, n° 2633, già riportata in nota 86), emerge con chiarezza quanto delicato possa diventare il profilo che ne occupa laddove sia in discussione il rapporto tra l’interesse contemplato dall’art. 2379 c.c. e la qualità di socio del soggetto esercente l’azione di nullità. In definitiva, il menzionato orientamento ritiene che la suddetta qualità, sebbene non sufficiente agli specifici fini della dimostrazione dell’interesse concreto e attuale427, non può neppure essere ritenuta completamente irrilevante. deliberazione è affetta, perché quanto osservato vale sia per le deliberazioni meramente annullabili, cui più specificamente si riferisce il citato art. 2377 c.c., sia, a maggior ragione, per quelle affette da nullità assoluta ex art. 2379 c.c. o addirittura giuridicamente inesistenti ”. 427 Cass., 25/02/2002, n° 2721, in Mass. Gius. civ., 2002, 300, ha affermato che: “La disposizione dell’art. 1421 c.c., la cui applicazione gli originari attori hanno invocata nell'introdurre il presente giudizio, in virtù della quale la nullità del negozio può esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime, in vero, il soggetto che propone la relativa azione dal dimostrare la sussistenza d'un proprio interesse ad agire concreto ed attuale, secondo le norme generali e con riferimento anche all’art. 100 c.p.c.; pertanto, l'azione stessa non è proponibile in difetto della dimostrazione, da parte dell'attore, della necessità di ricorrere al giudice onde evitare il verificarsi d'una lesione del proprio diritto ed il conseguente danno alla propria sfera giuridica, mentre non rileva l'intento di perseguire un fine generale d'attuazione della legge né è sufficiente dedurre l'esigenza di rimuovere una situazione d'incertezza, occorrendo pur sempre dimostrare che questa produce un danno giuridicamente rilevante (ex pluribus: Cass., 11 gennaio 2001 n. 338, 1 luglio 1993 n. 7197, 12 luglio 1991 n. 7717, 17 marzo 1981 n. 1553, 7 luglio 1977 n. 3024). Non diversamente, l'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall’art. 100 c.p.c., con disposizione che consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza d'un determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che senza il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe il pregiudizio d'una propria situazione giuridica protetta; ond'è ch'esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, viceversa restando escluso ove il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima od accademica d'una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche”. 272 A tal proposito, la non irrilevanza della qualità di socio è affermata, ad esempio, nelle fattispecie di nullità delle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio e assume rilevanza ai fini della dimostrazione dell’interesse all’impugnazione della delibera. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha così affermato: “Si deve premettere, come sopra si è ricordato, che la legittimazione ad impugnare le deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto spetta, ai sensi degli artt. 2379 e 1421 c.c., a chiunque vi abbia interesse. Ciò, tuttavia, non rende irrilevante la qualità di socio, atteso che l'interesse connesso alla qualità di socio spazia dall'interesse meramente ed immediatamente patrimoniale all'interesse derivante "dal fatto stesso che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permette al socio di avere tutte le informazioni destinate ovviamente a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione - che il bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali, attraverso la declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, il socio impugnante legittimamente aspira" (così Cass. 3 settembre 1996, n. 8048; nello stesso senso Cass. 30 marzo 1995, n. 3774). Comunque, anche in tale più ampia prospettazione, l'attore deve pur sempre allegare l'esistenza di un proprio interesse concreto ed attuale, non essendo necessariamente sufficiente il fatto che sia socio e non abbia concorso con il proprio voto alla formazione della decisione assembleare nulla (v., oltre Cass. 3774/1995 cit., Cass. 28 maggio 273 1993, n. 5959; Cass. 18 marzo 1986, n. 1839), anche se la qualità di socio rende la prova più agevole ed in larga misura ricavabile attraverso presunzioni. Inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, la qualità di socio, quando ad essa è collegato l'interesse ad agire, oltre a sussistere al momento della proposizione della domanda, deve permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia (Cass. 8 giugno 1988, n. 3881). La ragione sta nel fatto che quando l'interesse ad agire è collegato alla qualità di socio, la perdita di tale qualità determina normalmente anche la perdita dell'interesse ad agire. Tale regola non opera e l'interesse ad agire sopravvive alla perdita della qualità di socio, soltanto quando l'attore vanta un diritto in relazione alla sua passata partecipazione e tale diritto dipenda dall'accertamento della legittimità di una delibera assembleare presa quando egli era ancora socio (Cass. 13 gennaio 1988, n. 181, che fa esemplificativamente riferimento al diritto alla liquidazione della quota, la cui valutazione può risentire degli effetti di una delibera nulla di approvazione del bilancio)”. Sotto altro profilo, va precisato che l’interesse ad agire ex art. 2379 c.c. è cosa ben diversa dall’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. In particolare, secondo l’impostazione prevalente, la previsione in tema di nullità delle delibere assembleari imporrebbe la dimostrazione di un interesse dissociato dalla figura dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., di modo che “La dimostrazione della sussistenza dell’interesse sostanziale (id est, 274 dell’interesse di cui all’art. 2379 c.c. in funzione della legittimazione attiva) non esaurirebbe l’ambito degli oneri processuali dell’impugnante, avendo egli anche l’onere – previsto in via generale dall’art. 100 c.p.c. – di far emergere l’ulteriore interesse ad agire quale condizione dell’azione di accertamento in sé e per sé considerata”428. In altri termini, si ritiene che l’esercizio dell’azione di nullità di cui all’art. 2379 c.c. non esime il soggetto che la propone dal dimostrare in concreto la sussistenza di un proprio interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., consistendo quest’ultimo nell’interesse, concreto e attuale, ad evitare la lesione di un suo diritto, per il termine che dalla delibera impugnata per impossibilità o illiceità dell’oggetto possa derivargli un danno alla propria sfera giuridica. Di seguito quanto affermato, al riguardo, dalla Suprema Corte: “L’azione di nullità non è, di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare svolgimento del rapporto sociale. Pur se la legittimazione all'impugnativa per nullità spetta anche a soggetti diversi da quelli indicati come legittimati all'azione di annullamento (spetta in particolare anche ai soci che furono presenti e non espressero dissenso nell'assemblea che adottò la delibera), poiché tuttavia normalmente il pregiudizio derivante da una delibera sociale colpisce di regola chi opera nell'ambito della società, e cioè in prevalenza i soci, sono costoro i soggetti solitamente interessati all'impugnazione. E si intende che in tale ipotesi la legittimazione all’azione (in sé concettualmente distinta 428 F. TERRUSI, L’invalidità, 245 275 dall’interesse ad agire) che si riconnetta allo “status” di socio coincide con l'interesse ad agire, nel senso che l'interesse ad agire (e cioè ad impugnare di nullità la delibera) diviene requisito di legittimazione e quindi condizione di proponibilità della domanda giudiziale”429. La Cassazione, quindi, parte con l’affermare il principio dell’autonomia tra interesse in funzione legittimante, ex art. 2379 c.c., e interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c., per poi negarne la concludenza al cospetto di interessi connessi allo stato di socio. Il che sembra confermato anche dalla giurisprudenza di merito laddove s’è affermato che: “L’impugnativa per nullità di una delibera assembleare, nella specie di approvazione del bilancio, presuppone l’esistenza e la prova dell’interesse ad agire dell’impugnante, cioè di un pregiudizio concreto ed attuale dei suoi diritti (che pertanto non sussisterebbe qualora la delibera contenesse mere inesattezze di conto che non influiscono minimamente sulla rappresentazione patrimoniale della società e, soprattutto, sulla posizione patrimoniale del socio)”430. In linea con tale impostazione, la dottrina, tuttavia, ritiene che la disputa sul rapporto tra l’interesse ex art. 2379 c.c. e l’interesse ex art. 100 c.p.c. si riveli assolutamente irrilevante da un punto di vista pratico 431. Infatti, “Se da un lato non si discute sul fatto che il principio di cui all’art. 100 c.p.c. opera su un piano distinto da quello della valutazione dell’esistenza del 429 Cass., 08/06/1988, n° 3881, in Foro it., I, 2925 Trib. Torino, 28/07/1999, in Gius. civ., 2000, 117 431 Si veda, fra tutti, A. ATTARDI, voce “Interesse ad agire”, in Dig. Civ., vol. IX, Torino, 1993, 515 ss.; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2000, 205 ss. 430 276 diritto sostanziale vantato, ovvero da quello della valutazione della legittimazione attiva ad causam, dall’altro, tuttavia, è ozioso continuare a dibattere sull’argomento de quo, per la ragione che è difficile ipotizzare situazioni di nullità della delibera assembleare in cui la dimostrazione dell’esigenza di rimuovere una condizione pregiudizievole su determinate posizioni giuridiche dell’impugnante non finisca con l’esaurire, nel contempo, entrambi gli ambiti di rilevanza dell’interesse soggettivo, quello in funzione legittimante e quello dettato dalla concreta utilità del provvedimento giurisdizionale richiesto. In particolare, è difficile ipotizzare che, in situazioni in cui risulti comprovata l’esistenza di un interesse leso dalla deliberazione nulla, rilevante ai fini della attribuzione della legittimazione all’azione di accertamento della nullità, si possa poi concretamente sostenere, in vista della negazione della condizione generale dell’azione ex art. 100 c.p.c., l’inutilità dell’attività processuale correlata alla proposizione della domanda di nullità, in vista dell’ottenimento della tutela tipica predisposta dal legislatore”432. 8. Il termine di impugnazione delle delibere nulle. L’art. 2379, 1° comma, c.c., contiene una disposizione assolutamente innovativa, prevedendo la sottoposizione a termine dell’azione di nullità delle delibere assembleari. 432 F. TERRUSI, L’invalidità, 244 ss. 277 Tale termine decorre dalla data di iscrizione o deposito nel registro delle imprese, per le deliberazioni soggette a pubblicità commerciale; dalla trascrizione della deliberazione nel libro delle adunanze assembleari, per tutte le altre non soggette a iscrizione o deposito. Possono essere impugnate senza limiti di tempo solo le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. La suddetta disciplina è molto significativa, poiché conferma che, salvo le modifiche che incidono sull’oggetto sociale, tutte le altre (anche quelle che possano incidere perfino sull’atto costitutivo, previa introduzione di clausole contra legem) sono suscettibili di acquisire stabilità in carenza di tempestiva impugnazione. Vi sono, inoltre, specifiche ipotesi in cui il termine di impugnazione è stato ulteriormente ridotto dal legislatore: si fa riferimento alle delibere di aumento e di riduzione del capitale sociale, alle delibere di emissione di obbligazioni (il termine è di 180 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese); alle delibere di trasformazione, fusione e scissione della società, in relazione alle quali sono dettate specifiche regole nell’ottica di una limitazione dei poteri di impugnativa. Al di là delle singole disposizioni, va rilevato che la funzione di tutte queste regole, a partire dalla previsione generale di cui all’art. 2379, 1° comma, c.c., che, come detto, prevede il termine triennale di impugnazione, è quella di garantire il principio della stabilità degli atti societari, in una ricostruzione del 278 sistema che identifica nella certezza dell’attività delle società un interesse del mercato433. Di certo non mancano, in dottrina, critiche alla nuova formulazione dell’art. 2379 c.c., sotto il profilo del termine per l’impugnazione. S’è affermato, infatti, che: “La regolamentazione riformata della nullità delle delibere assembleari consente di derogare statutariamente tutte le norme di legge inderogabili: sia che tutelino interessi dei soci, sia che tutelino interessi di terzi estranei alla società. Anzi, poiché secondo un’interpretazione consolidata, nulle per illiceità dell’oggetto sono anzitutto le delibere che introducono nell’atto costitutivo clausole contrarie a norme inderogabili, ne segue che, decorso il termine di tre anni, la nullità di tali delibere non potrà più essere pronunciata e le clausole statutarie illecite diventeranno dunque valide, sostituendosi alle norme inderogabili”434. Sotto altro profilo, quello concettuale, ci si può chiedere se il termine in questione debba essere ritenuto termine di decadenza o di prescrizione. È stato osservato che: “La soppressione del rinvio all’art 1422 non ha un significato univoco: da un lato può ritenersi che all’imprescrittibilità sia subentrata l’introduzione di un termine di prescrizione breve, triennale; dall’altro si può pensare alla previsione, anche per la fattispecie di nullità, di un termine di decadenza triennale, analogamente a quanto prescritto per impugnazione 433 G. MUSCOLO, La riforma del diritto societario, in AA. VV., Milano, 2003, 419 E. GLIOZZI, Le condonabili deroghe a norme inderogabili nel nuovo diritto societario, in Giur. comm., I, 16 ss. 434 279 quale l’annullamento, sottoposta a un termine trimestrale, ormai pacificamente definito dalla giurisprudenza come termine di decadenza”435. Pare dunque prevalere la tesi che considera il termine de quo quale termine di decadenza436. In questo senso milita soprattutto il fatto che la limitazione di cui si discute è stata inserita in un apposito comma dell’art. 2379 c.c., esattamente in sintonia con la tecnica sperimentata sul tema della decadenza dell’azione di annullamento, anziché nella sede propria delle prescrizioni brevi qual è quella di cui alla sezione IV del capo I del titolo V del libro VI del codice civile (“Della tutela dei diritti”). Inoltre, secondo altro ragionamento che perviene alla medesima conclusione, su un piano pratico la decadenza suole per lo più inserirsi quale atto iniziale di una serie procedimentale, che può incidere sul positivo promovimento dell’azione, a differenza della prescrizione nella quale viene in rilievo la mancata realizzazione di una situazione di vantaggio 437. La giurisprudenza prevalente ha, peraltro, ritenuto che: “L’affermata natura decadenziale del termine ex art. 2379 c.c. sembra potersi coniugare con una possibile qualificazione dello stesso come di natura processuale in quanto atto iniziale del giudizio volto all’accertamento della nullità della deliberazione, 435 G. MUSCOLO, La riforma, 420 In linea con tale orientamento si vedano pure G. PRESTI – M. RESCIGNO, L’invalidità, 2003, 161; R. BERNABAI, Le impugnative di delibere assembleari e degli atti di amministrazione, in Soc., 2006, 145; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, Torino, 2006, 351. 437 Così argomenta F. ROSELLI – P. VITUCCI, La prescrizione e la decadenza, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. XX, Torino, 1985, 483. 436 280 costituente unico strumento a tutela dei diritti dell’impugnante, esattamente allo stesso modo in cui viene ordinariamente inteso il termine ex art. 2377 c.c.”438. 9. L’articolo 2379-bis c.c.: sanatoria della nullità. L’articolo 2379-bis del codice civile stabilisce che: L’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea. L’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva. La deliberazione ha effetto dalla data in cui e’ stata presa, salvi i diritti dei terzi che in buona fede ignoravano la deliberazione. La disposizione in esame, «sanatoria della nullità», rappresenta uno degli interventi della nuova disciplina generale dell’azione di nullità delle deliberazioni assembleari, ad integrazione dei precetti sanciti dall’alt. 2379. Il legislatore, nell’ottica di favorire la stabilità delle delibere societarie, ha sia tipizzato il vizio di nullità e sia dettato un’autonoma regolamentazione della relativa impugnazione. 438 Cass., 18/04/1997, n° 3351, in Mass. Gius. civ., 1997, 605. Conformemente si veda anche Cass., 28/05/1991, n° 6041, in Foro it., 1991, I, 2368; Cass., 16/06/1990, n° 6097, in Foro it., 1990, 456. 281 A tal fine è stato sostituito ogni richiamo alla disciplina generale degli artt. 1421 e segg. c.c., con specifiche norme differenziatrici, che essenzialmente prevedono: a) un termine di decadenza per la proposizione dell’azione nella prevalenza delle fattispecie richiamate; b) il coordinamento con le fattispecie di «sanatoria» previste dall’art. 2379 bis; c) il richiamo, nei limiti della compatibilità, alla disciplina sugli effetti dell’annullamento e della sostituzione della delibera impugnata ex art. 2377. Ciò ha consentito di ritenere che il legislatore ha previsto una nullità «speciale» delle delibere assembleari, che esclude la richiamabilità della disciplina generale degli artt. 1418-1424 c.c. Inoltre, nello specifico, una limitata vitalità dell’azione di nullità correlata al decorso del tempo ovvero alla effettuazione di ulteriori adempimenti dell’attività sociale, si riscontra anche in altre disposizioni speciali: art. 2379ter; art. 2434-bis; art. 2500-bis. Tra tali ipotesi e la disposizione in commento è evidente la distinzione: quest’ultima prende in considerazione lo svolgimento di specifiche attività finalizzate ad impedire che il vizio della delibera possa esplicare i suoi effetti invalidanti439. V. SALAFIA, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Soc., 2003, p. 1180; S. SANZO, Commento all’art. 2379, in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, p. 656. 439 282 Sotto il profilo formale il legislatore non è esente da critiche, in quanto poteva essere più funzionale introdurre le previsioni in esame già nell’art. 2379 440. L’attuale disposizione sancisce la nullità delle deliberazioni anche per mancata convocazione dell’assemblea e mancanza del verbale. La ratio della norma è quella di incidere sugli orientamenti giurisprudenziali contrastanti, e la qualificazione espressa di nullità è tesa a superare la tendenza ad utilizzare per tali fattispecie la categoria dell’inesistenza. In tali ipotesi, la deliberazione è “attentata dalla radicale carenza nell’avvio del procedimento assembleare, ossia dall’insuperabile difficoltà di ricostruire l’andamento della riunione”441, tanto da suggerire una lettura restrittiva, in quanto la volontà legislativa appare quella di “limitare la nullità delle deliberazioni assembleari alle sole ipotesi in cui il vizio di procedimento sia macroscopico, e impedisca ai soci di essere informati - con un minimo di precisione e di credibilità circa lo svolgimento dell’assemblea” 442. È evidente che il regime attualmente previsto è meno severo di quello dell’art. 2379 previgente; a conferma delle scelte operate in via generale per la riduzione dell’ambito della nullità in materia societaria, il 3° comma, in particolare, prevede alcune fattispecie in cui convocazione e verbale non possono essere considerati mancanti, l’azione è assoggettata al termine R. LENER, Commento all’art. 2379-bis, in Società di capitali, Napoli, 2004, p. 572. V. BUONOCORE, (a cura di), Istituzioni di diritto commerciale, Torino, 2003, p. 181. 442 G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni, op. cit., 82. 440 441 283 triennale di proponibilità, ed infine l’art. 2379-bis regola alcune possibilità di sanatoria. In tale contesto, deve essere inquadrata la disposizione in esame; è evidente che solo dall’esame del combinato disposto con l’art. 2379, l’interprete può ricavare soluzioni ragionevoli per la nuova disciplina della nullità delle deliberazioni assembleari443. In relazione all’art. 2379-bis alcuni hanno addirittura richiamato l’istituto della convalida di cui all’art. 1444 c.c.444. 10. L’articolo 2379-ter c.c.: invalidità delle deliberazioni di aumento o riduzione del capitale sociale e dell’emissione di obbligazioni. L’articolo 2379-bis del codice civile stabilisce che: Nei casi previsti dall’articolo 2379 l’impugnativa dell’aumento di capitale, della riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o della emissione di obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso di mancata convocazione, novanta giorni dall’approvazione del bilancio dell’esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente eseguita. 443 F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2005, p. 272; R. BERNABAI, Le impugnative di delibere assembleari e degli atti di amministrazione (I parte), in Soc., 2006, p. 154. 444 V. SALAFIA, op. cit., p. 1180. 284 Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l’invalidità della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo che a norma dell’articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento e’ stato anche parzialmente eseguito; l’invalidità della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o della deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita. Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi. La disciplina della nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni viene ad essere ancora più mortificata 445 dall’articolo 2379-ter c.c., che contiene due distinte previsioni, una dettata per la generalità delle società per azioni, ed un’altra di specifica applicazione per le sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La prima sostanzia una mera riduzione del limite temporale dettato dall’art. 2370 c.c. per l’impugnativa delle deliberazioni assembleari nulle. Ed infatti ci si deve limitare a ridurre il termine entro cui può essere promossa l’azione di nullità, ordinariamente fissato in tre anni dall’art. 2379 c.c., ove la deliberazione abbia ad oggetto uno di questi argomenti446: aumento di capitale, riduzione del capitale volontaria ed emissione di obbligazioni. 445 446 F. DI SABATO, op. cit., 323. F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, op. cit., 233. 285 Si tratta di ipotesi particolari, in cui quali il legislatore, alla luce della possibilità che l’invalidità incida sui diritti di terzi che hanno sottoscritto o acquistato i titoli di massa risultanti dall’operazione pur potendo essere all’oscuro dei vizi specifici della deliberazione, comprime l’ambito di rischio di questi ultimi e, dunque, di turbativa del mercato in generale447. Inoltre, rileva il fatto che la norma non esaurisce la sua applicabilità alle situazioni in cui le nuove azioni o obbligazioni emesse siano pervenute nelle mani di terzi non soci, e, comunque, la spiegazione non riguarda il caso di riduzione volontaria del capitale. In particolare, per i casi di nullità diversi dalla mancata convocazione dell’assemblea, il termine per l’impugnativa è ridotto a 180 giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese. Nel caso, invece, la nullità sia collegata proprio alla mancata convocazione dell’assemblea, essa può essere fatta valere nei 90 giorni successivi all’approvazione del bilancio dell’esercizio durante il quale la deliberazione è stata anche soltanto parzialmente eseguita. Trattandosi di una previsione speciale che riduce i diritti amministrativi degli interessati, essa dovrebbe essere interpretata in maniera del tutto restrittiva, senza alcuna possibilità di farvi rientrare fattispecie dubbie448. R. LENER, Commento all’art. 2379, op. cit., 575; D. SPAGNUOLO, Commento all’art. 2379-ter, in La riforma delle società, Torino, 2003, p. 384. 448 G. GUERRIERI, Commento agli artt. 2379-2379-ter, in Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, p. 614. 447 286 Si pensi, ad esempio al caso di emissione di strumenti finanziari o di riduzione obbligatoria del capitale per perdite: la mancata esplicita individuazione anche di queste tra le ipotesi per le quali non si determina una riduzione del periodo di impugnativa impone dì escluderle e di ritenere ad esse applicabile l’ordinario termine triennale. D’altronde, è ben comprensibile la ragione per la quale viene diversamente definito il periodo di tempo concesso per l’impugnativa qualora il vizio riguardi la mancata convocazione dell’assemblea, specie nell’ottica dei soci: in questo caso, i soci non sono a conoscenza della stessa circostanza che un’assemblea sia stata convocata; e, d’altro canto, i terzi non potrebbero comunque comprendere dal contesto letterale dell’atto l’esistenza di questo specifico vizio. Dunque, sembra preferibile ritenere che, affinché il termine di 90 giorni decorra effettivamente dall’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo, occorrerà che dalla lettera di quel bilancio risultino elementi sufficienti a desumere che la deliberazioni in parola sia stata assunta; in caso contrario, il termine decorrerà dall’approvazione del bilancio dell’esercizio ancora successivo nel quale tali dati risultano finalmente inseriti, fermo restando il termine massimo triennale stabilito dall’art. 2370 c.c. 287 11. (Segue): Nullità delle delibere di approvazione del bilancio. La nullità delle deliberazioni di approvazione del bilancio costituisce, nella pratica, l’ipotesi più frequente. È oramai orientamento consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza, quello di ritenere che la delibera di approvazione del bilancio sia affetta da nullità sia nel caso in cui abbia ad oggetto un bilancio falso, sia nel caso in cui abbia ad oggetto un bilancio privo di chiarezza. I principi e le finalità in materia di bilancio sono specificamente stabiliti dal codice civile agli artt. 2423 e 2423-bis. In particolare, quest’ultimo fissa i principi di redazione del bilancio, mentre l’art. 2423, 2° comma, c.c., fissa la clausola generale secondo cui il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Da tali disposizioni legislative la giurisprudenza ne ha tratto il principio per cui la funzione del bilancio consiste non soltanto nel misurare gli utili e le perdite dell’impresa al termine dell’esercizio, ma anche nel fornire ai soci e al mercato tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere 449. In tale contesto, la giurisprudenza è progressivamente giunta ad affermare la centralità del principio di chiarezza del bilancio ex art. 2423, 2° comma, c.c., 449 Cass., 24/12/2004, n° 23976, in Mass. Gius. civ., 2004, 12; Cass., 09/06/2004, n° 10895, in Mass. Gius. civ., 2004, 6; Cass., 27/04/2004, n° 8001, in Dir. e Gius., 2004, 104. 288 nonché a riconoscerne la piena autonomia rispetto al principio di verità, del quale, in passato, si affermava esserne principio subordinato e strumentale. L’orientamento prevalente oggi riconosce, da un lato, che il principio di chiarezza è posto a tutela dell’interesse generale all’informazione sulla situazione economica dell’impresa e, come tale, è volto a garantire l’ordine pubblico economico per la considerazione che è conforme all’interesse dei terzi conoscere anche come sia stato raggiunto il risultato di gestione; dall’altro, che, nella stessa prospettiva, non essendo il principio di chiarezza né strumentale, né secondario rispetto a quello di verità, la sua violazione rende illecito il bilancio e nulla la deliberazione che l’ha approvato450. Conseguentemente, si può affermare che il bilancio è contrario alla legge, per violazione del principio di chiarezza, non solo quando tale infrazione abbia cagionato una discrepanza tra risultato contabile esposto in bilancio e risultato effettivo, vale a dire una correlata violazione del principio di verità, ma anche quando semplicemente dal bilancio non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle poste iscritte. Tale soluzione, peraltro, è stata espressa dalle Sezioni Unite della Secondo Cass., 29/04/2004, n° 8204, in Gius. civ., 2004, 1877, “Il principio di chiarezza nella disciplina legale del bilancio di società non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo. Esso, invece, è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono, in un sistema d'informazione che postula, appunto, l'idoneità dal bilancio a rendere effettivamente fruibili per i soci e per i terzi tutte le informazioni che legge impone di fornire loro”. Di tale avviso pure Cass., 08/08/1997, n° 7398, in Gius. civ., 1998, I, 465; Cass., 03/09/1996, n° 8048, in RDCo., 1997, II, 103. Tra i giudici di merito, di recente, Trib. Catania, 13/07/2004, in Gco., 2006, II, 185. 450 289 Corte di Cassazione in una pronuncia del 2000451. Si riporta di seguito un passaggio della sentenza: “Invero, può in via di principio condividersi l'affermazione secondo cui la violazione delle disposizioni relative alle modalità di redazione del bilancio (nella specie, art. 2424, vecchio testo) rende nulla la delibera di approvazione quando risultino in concreto pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando l'incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile. Ma questo è profilo diverso dal tema qui in trattazione. Esso concerne le ipotesi in cui la violazione sia nella sostanza irrilevante, perché priva di reale consistenza, meramente formale, di immediata percezione o di agevole correzione tramite appunto le informazioni rese in assemblea. Il che può avvenire sia per il principio di chiarezza sia per il principio di verità, prescinde dunque da qualsiasi forma di subordinazione del primo al secondo e presuppone sempre un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sulla sostanziale inconsistenza o irrilevanza della violazione Non può esser seguito, invece, l'indirizzo che, muovendo da un rapporto di strumentalità tra il principio di chiarezza e quello di verità, finisce col subordinare il primo al secondo. Una simile tesi, insostenibile dopo l'emanazione del decreto legislativo n° 127 del 1991 (v., in proposito, le puntuali osservazioni contenute nella sentenza di questa corte n. 8048 del 1996, che si condividono), non appare accettabile neppure alla stregua della normativa pregressa, vigente all'epoca della 451 Cass., S.U., 21/02/2000, n° 27, in Foro it., 2000, I, 1521. 290 redazione del bilancio in esame. Al riguardo si deve sottolineare che l’art. 2423, secondo comma, c.c. (vecchio testo) attribuisce specifica ed autonoma rilevanza al principio di chiarezza, che dunque non può essere ridotto al rango di mero elemento di supporto al principio di verità. Chiarezza, secondo parte della dottrina, significa evidenza (v. anche l’art. 2217 c.c.) e significa soprattutto trasparenza, intelligibilità delle strutture, analiticità delle voci in misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del patrimonio, dell'origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono state attribuite nel documento. Peraltro, come sopra si è notato, tra le funzioni dei bilancio c'é quella di fornire ai soci e al terzi tutte le informazioni prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione. Orbene, un bilancio poco chiaro elude tale finalità e pregiudica, quindi, gli interessi generali tutelati dalla normativa in materia, ancorché i dati in esso riportati non risultino, nella loro espressione contabile, contrari al vero. D'altro canto il semplice dato numerico é di per sé insufficiente a fornire una informazione leggibile, se non è accompagnato dalla univocità e dalla comprensibilità delle denominazioni delle voci dei conti, non meramente assertive ma dotate di adeguata capacità dimostrativa. Non a caso, del resto, ai sensi dell’art. 2423, terzo comma, c.c. (vecchio testo), il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sull'andamento della gestione sociale, il cui 291 contenuto è indicato nell'art. 2429 bis, sempre nel testo precedente alla riforma attuata con il citato decreto legislativo n° 127/91. La funzione illustrativa di tale documento può definirsi in re ipsa ed attesta il rilievo attribuito dalla legge all'esigenza - rispondente ad un interesse generale e non già del singolo socio - che le informazioni desumibili dal bilancio debbano essere chiare, così confermando l'insostenibilità, anche nel sistema precedente, di una collocazione del principio di chiarezza in posizione di minor importanza rispetto al principio della rappresentazione veritiera (la cui analoga importanza non è qui in discussione)”. Quindi, in virtù delle pregresse considerazioni e del consolidato panorama giurisprudenziale, il bilancio di esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, 2° comma, c.c., è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non solo quando la violazione della normativa in materia finisca per determinare una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. 292 Considerazioni conclusive. Il principio guida su cui ho impostato il presente lavoro, e che ho tenuto sempre in mente quale monito per affrontare un argomento talmente ostico qual è quello della nullità, è quello ben espresso dal brocardo latino “Omnis definitio in iure periculosa est, parum est, enim, ut subverti possit” (Dig.50.17.202., Jovel. 1. XI Ep.). La presente ricerca si inserisce in un contesto temporale in cui il diritto societario ha subito un’autentica rivoluzione nella produzione di talune norme giuridiche ispirate a criteri profondamente innovativi. L’attuale diritto societario, disciplinante molteplici e variegati aspetti relazionali nell’ambito dei rapporti fra le società ed al loro interno, apre nuovi scenari sinora poco esplorati al sistema giuridico italiano, le cui dinamiche impongono il ripensamento di alcune categorie consolidate. E’ pur vero che le società reclamano costantemente un diritto nuovo, ma non sempre le tecniche interpretative consentono di chiarire efficacemente l’evoluzione creativa del diritto. E così accade, ad esempio, quando il diritto non pone nel giusto risalto la problematica della invalidità, ingenerando, quasi, in chi si accinge ad occuparsi della stessa, la preoccupazione di tentare di risolvere i nodi giuridici che il fenomeno della nullità (e della annullabilità) produce all’interno del diritto societario. In primo luogo mi si è posto il problema della qualificazione del concetto di nullità nel diritto societario. Problema, questo, di non facile soluzione in quanto il significato, la rilevanza e la reale portata da attribuire a tale concetto sono sempre stati oggetto di grande dibattito tra i giuristi e gli studiosi di diritto civile. 293 Indubbiamente un approccio analitico ed un’indagine giuridica hanno comportato, in via preventiva, l’analisi della domanda alla quale ho cercato di dare una risposta: cos’è la nullità nel diritto societario?. Ed ancora, in che modo si può definire la nullità e, più precisamente, la nullità societaria? “Definire” significa formulare per mezzo di altri termini, le condizioni di applicazione di un termine452. In vista di una simile indagine, quanto mai adatto mi è parso il brocardo sopracitato. Ben vero, ogni definizione nel diritto civile è definibile “periculosa” e, a maggior ragione, se si vuole indagare su di un istituto, quale è quello della nullità che, in ambito societario, raggiunge il suo apice, per così dire, di “sovvertimento concettuale”, rispetto alla disciplina negoziale di diritto civile, in relazione alla tematica dell’invalidità delle delibere assembleari di S.p.A. Infatti, in tale settore l’ordine della nullità e dell’annullabilità in relazione alla loro concreta applicazione risulta capovolto in quanto ispirato all’esigenza di assicurare la stabilità degli assetti societari o, in ambito di delibere assembleari, un certo grado di fermezza delle decisioni adottate dalla maggioranza dei soci e, conseguentemente, delle situazioni giuridiche che da tali decisioni possano derivare. Indubbiamente in sede teorica e, avendo adottato, quale principio cardine, il succitato brocardo latino, ho dovuto pormi il limite dell’esigenza di evitare eccessi di natura interpretativa. Ed un eccesso, di sicuro, poteva essere quello di cedere alla tentazione di prospettare una disciplina della nullità del diritto societario che escludesse le U. SCARPELLI, La definizione nel diritto, in L’etica senza verità, il Mulino, Bologna, 1982, p.206. 452 294 regole contenute negli articoli 1418 ss. del codice civile. Sarebbe stata, questa, una interpretazione astorica: infatti la direzione della disciplina della nullità e/o annullabilità (o, più generalmente invalidità) sono variate nel tempo senza che le stesse siano venute meno. Invece, un prioritario aspetto sul quale questa indagine è stata fondata è data piuttosto dalla disciplina giuridica della nullità nel sistema del diritto societario e della conseguente esclusione, in via di principio, di una dimensione ottimale di regolazione di tale istituto destinata a valere in ogni tempo ed in ogni contesto storico. Basti pensare che l’ultimo decennio registra le novità apportate dal nuovo diritto societario che rappresenta, sotto vari aspetti, una terapia d’urto contro le rigidità accumulatesi nei decenni passati che sono state riviste ed alcune rimosse. Le norme societarie dettate dal legislatore servono a scandire le modalità di condotta, laddove vi siano interessi collettivi distinti da quelli dei soci e degli azionisti e vi siano esigenze di garanzia degli interessi generali. Quanto detto ha comportato la fine delle nozioni, concettualmente autonome di nullità e di annullabilità, specialmente in seguito all’adesione del diritto interno alla concezione comunitaria di nullità (si ricorda a proposito la Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, “Intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società, a mente dell'articolo 58 secondo comma del Trattato, per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi”: la Sezione III è rubricata “Nullità della società” e l’art. 11 della suddetta sezione prevede le cause di nullità). La riforma del 295 diritto societario (d. lgs. 17/1/2003 n.6) è abbastanza ampia da consentire di rideterminare il sistema di regole e di procedure attraverso il quale le imprese vengono gestite e controllate. Il punto di partenza è il riconoscimento dell’accentuazione dell’autonomia societaria, che è alla base della libertà contrattuale ed è estesa fino a comprendere il suo intervento anche di fronte a cause di nullità e di annullabilità determinate legislativamente. Quindi, indagando sulle ragioni di questi principi e delle diverse esigenze di tutela, rispetto alla disciplina negoziale, che stanno alla base della disciplina societaria, il mio obiettivo primario è stato quello di comprendere se ancora oggi è possibile parlare di nullità nel diritto societario e, più precisamente, se gli elementi che caratterizzano la disciplina dell’invalidità nel diritto societario consentano di poter giungere ad una determinazione del concetto di nullità senza, mi si passi il termine, “storpiature” che lo possano allontanare drasticamente a quella che ne rappresenta la tradizionale qualificazione giuridica. In tale contesto ha preso forma anche la mia intenzione di ampliare i confini della presente ricerca. Si sa, infatti, che le regole giuridiche frequentemente non rispettano i confini nazionali. Di conseguenza mi è sembrato opportuno, onde configurare nella dimensione migliore, la fattispecie della nullità all’interno del diritto societario italiano, svolgere la mia analisi e sviluppare le mie riflessioni anche guardando allo scenario offerto da un ordinamento giuridico di Common Law, quale risulta dall’esame del Companies Act inglese che, lungi dall’inquadrare la tematica in rigide 296 sistematiche posizioni, offre pratiche soluzioni ispirate alle esigenze dinamiche che la materia postula. Certamente il mio obiettivo non è stato quello di intraprendere la via della comparazione giuridica (anche perché il nuovo ed imprescindibile termine di raffronto fra ordinamenti è il diritto dell’Unione Europea), bensì accertare, da un lato, se le figure di nullità abbiano nel diritto societario italiano la classica tradizionale qualificazione giuridica e, dall’altro, se via sia una coincidenza di significati nel diritto societario di tradizione latina e quello di Common Law; cioè, più precisamente, elaborando il diritto di due ordinamenti giuridici così diversi, mettere in rilievo se “stesse figure giuridiche” abbiano, o meno, lo stesso significato e la stessa finalità nel diritto societario. In definitiva, attraverso il lavoro intrapreso, sono state poste in rilievo luci e, soprattutto, ombre di un impianto normativo che allo stato attuale non convince affatto la maggior parte degli studiosi di diritto e che risulta ancora permeato da quello stato di incertezza che il legislatore, mediante la Riforma del 2003, aveva cercato di eliminare proprio con l’introduzione del sistema di invalidità delineato dagli art. 2377 ss. del codice civile. 297 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Diritto societario, Manuale breve, Milano, 2004. ABBADESSA P., Nullità della società per mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332 n.1), in Giur. comm., 1974. ALBANESE A., Il controllo preventivo sugli atti delle società di capitali e delle cooperative fra storia e cronaca, in Riv. trim., 2001. ALBANESE A., L’omologazione degli atti societari, Padova, 2000. ALCAMO F., Impugnativa del decreto di omologazione delle delibere assembelari, in Giur. sic., 1960. 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