PARTE PRIMA LA NULLITA` DELLE SOCIETA` PER AZIONI EX ART

PARTE PRIMA
LA NULLITA’ DELLE SOCIETA’ PER AZIONI
EX ART. 2332 DEL CODICE CIVILE
CAPITOLO I
LA NULLITÁ DELLA SOCIETÀ PER AZIONI:
RICOSTRUZIONE STORICO-EVOLUTIVA.
DAL CODICE DI COMMERCIO NAPOLEONICO AL
CODICE CIVILE ITALIANO DEL 1942
2
1. Premessa.
La Novella del 1969, modificando la disciplina della nullità dell’atto costitutivo delle
società di capitali contenuta nel codice civile, ha reso di attualità lo studio di un tema
al quale la dottrina ha solo di recente dedicato attenzione.
Unico punto largamente ricevuto in dottrina e in giurisprudenza è che la normativa
contenuta nell’art. 2332 c.c. sia diretta a tutelare, fondamentalmente, l’interesse dei
terzi. Non è mancata, per la verità, qualche voce discorde, ma quasi sempre si è
trattato di intuizioni fugaci, non sorrette da adeguati svolgimenti.
Il tema dell’individuazione della ratio dell'art. 2332 c.c, è così stimolante e di tale
importanza per lo studio della nullità della società che la sua trattazione risulta
necessariamente pregiudiziale all'esame della disciplina e tale da orientare l'interprete
nella soluzione di tutta una serie di problemi.
Così per esempio, se si rinviene il fondamento materiale della norma nella tutela dei
terzi rimane, pur sempre da valutare quali siano le conseguenze della nullità nei
rapporti tra i soci, una volta che le esigenze di tutela dei terzi siano state realizzate,
attraverso la salvaguardia degli atti giuridici posti in essere medio tempore tra società
e terzi. Se, viceversa, il fondamento materiale della norma si basa sulla tutela della
società è chiaro che non può porsi una distinzione tra rapporti esterni ed interni e che
la dichiarazione di nullità opera egualmente anche nei rapporti tra i soci.
Reagendo così alla forza della tradizione, è stato ritenuto che, di fronte alla
normativa della «nullità» della società contenuta nel codice civile, il primo dovere
dell'interprete del diritto vivente sia quello di dare una risposta agli interrogativi che
3
l'attuale realtà socio-economica sollecita: quale ruolo e quale portata la normativa
sulla nullità assolve nell'attuale fase del capitalismo moderno? Quale il fondamento
materiale e la funzione della norma, oggi? A tutela di quali interessi la normativa
dell'art. 2332 c.c. è stata introdotta nel codice civile e quali reali interessi essa
protegge oggi?
La risposta a tali quesiti non è agevole, ma ad orientare l'interprete può essere d'aiuto
un'indagine che è a monte di quella proposta: trattasi di ricercare quale sarebbe la
disciplina applicabile ove nel codice civile non esistesse una espressa normativa a
riguardo.
La risposta a tale ultimo quesito non può essere meramente logica, ma importa, di
necessità, una indagine storica ed estesa anche verso altri ordinamenti giuridici (si
analizzerà la disciplina dell’istituto in esame nell’ambito dell’ordinamento giuridico
inglese). Infatti sono esistiti storicamente ordinamenti che non contemplavano alcuna
disciplina delle società nulle.
Trattasi, allora, di analizzare tali ordinamenti giuridici per capire il significato e la
portata della innovazione legislativa del codice del '42, attraverso il raffronto con il
regime previgente. L'indagine si presenta quanto mai interessante perché consente di
scoprire la effettiva gamma di interessi che in passato ricevevano tutela, in via
d'interpretazione del sistema dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nonché consente di
comprendere le scelte di politica legislativa compiute dal legislatore del '42 e, in
breve, il ruolo e la effettiva portata sostanziale della innovazione legislativa
contenuta nel codice civile.
4
Infine l'emanazione da parte della Comunità europea della Direttiva n. 151 pone
all'interprete il compito di analizzare la effettiva portata materiale della disciplina
comunitaria, che, come è noto, ha comportato la modifica della originaria disciplina
contenuta nel codice civile.
2. L’evoluzione della nullità nell’esperienza giuridica privatistica.
Prima di analizzare, nel dettaglio, la disciplina della nullità delle società ex art.
2332 c.c., pare opportuno procedere ad una sommaria ricostruzione storicoevolutiva dell’istituto della nullità negoziale in ambito privatistico.
Pochi concetti generali possono vantare nella scienza giuridica l’importanza
che la categoria della nullità ha assunto, sia per la sua funzione pratica sia per i
suoi risvolti teorici. Proprio questi ultimi, soprattutto, hanno finito per
prendere la mano ai giuristi e per condizionare la soluzione dei molteplici
problemi che il fenomeno ha sollevato, e solleva ancora oggi, anche se altresì
le esigenze dei rapporti sociali, avvertite di volta in volta nei diversi rami del
diritto (quale quello societario, per ciò che interessa in questa sede), hanno
fatto valere il loro peso nella determinazione del concetto di nullità.
La figura, almeno nella sua attuale accezione, era praticamente sconosciuta ai
giuristi romani, che hanno adoperato il termine non in senso univoco e
differenziato rispetto agli altri fenomeni della patologia negoziale. A tal
proposito, si potrebbe perfino affermare che la storia del concetto non pare
5
assumere importanza né alcun significato di rilievo, e si può fare risalire un
primo tentativo di fondazione sistematica del concetto alla elaborazione della
Pandettistica1, nell’ambito dei più vasti studi condotti in tema di negozio
giuridico.
La dottrina, sulla base del brocardo quod nullum est nullum producit effectum,
ha ricostruito il concetto di nullità partendo dal concetto di inefficacia e
distinguendo, all’interno di tale categoria, due ipotesi: una inefficacia in senso
lato, come mera assenza di effetti giuridici; e una inefficacia in senso stretto,
come assenza di effetti di una fattispecie giuridicamente rilevante. La nullità
era contrapposta a quest’ultimo tipo di inefficacia (in senso stretto) e
designava la mancanza di effetti di una fattispecie giuridicamente irrilevante 2.
In particolare, nella nullità la mancanza di effetti risaliva al momento
preliminare della irrilevanza; nella inefficacia in senso stretto dipendeva da un
momento successivo diverso.
In realtà però al rigore logico della distinzione non ha mai fatto concreto
riscontro
una
altrettanto
netta
differenziazione
sostanziale:
infatti
all’inefficacia in senso stretto si sono via via riportate fattispecie considerate in
genere nulle3.
In particolare, nell’ambito dei giuristi italiani, V. SOLON, Trattato delle nullità delle
convenzioni e degli atti in materia civile, Napoli, 1840; A. SCIALOJA, Nullità ed inefficacia, in
Saggi di vario diritto, I, Roma, 1927; E. GROSSI, Nullità dei negozi giuridici, Genova, 1916;
G. DI PAOLA, Contributi ad una teoria della invalidità e della inefficacia in diritto romano,
Milano, 1966.
2
M. FERRARA SANTAMARIA, Inefficacia e inopponibilità, Napoli, 1939.
3
Enciclopedia del diritto Treccani, Nullità (diritto privato), XXV, 2000, p. 867 ss.
1
6
A prescindere dal rapporto nullità/inefficacia, la qualificazione di nullità
costituisce certamente una aporia in quanto traduce un giudizio di non valore:
cioè, si va ad affrontare un problema le cui possibilità di soluzione risultano
annullate in partenza dalla contraddizione che il concetto stesso esprime. A tal
proposito si sostiene la teoria della “caratterizzazione della nullità come
inqualificazione, partendo dal presupposto che il principio della nullità sotto il
profilo della disciplina non può che presentare una intima coerenza, pena, in
caso opposto, l’impossibilità di dar vita al concetto stesso, a motivo della
intrinseca contraddittorietà”4.
Sul tema, eloquente è l’espressione: “ l’atto nullo non esiste pel diritto, di
fatto esso esiste. È un corpo senza anima; ma non per questo è meno un
corpo”5. È ovvio infatti che, in qualsiasi ambito giuridico, non si potrà mai,
mediante la dichiarazione di nullità, eliminare del tutto gli effetti e le
conseguenze di un atto. Di fatto le conseguenze di quell’atto ormai si sono
prodotte.
Appare chiaro come i dibattiti della scienza giuridica risultano molto spesso
imperniati su formulazioni legate piuttosto a scelte di metodo e risultano altresì
influenzate dal significato che i termini “nullità”, “nullo”, ecc… hanno nel
linguaggio comune, senza tenere conto del significato tecnico che essi
assumono nel linguaggio giuridico. In tal senso i termini della definizione sono
F. GAZZONI, L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, Milano, 1974, p. 21.
B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, trad. it. a cura di FADDA e BENSA, I, Torino, 1902, p.
265.
4
5
7
incerti e non consentono soluzioni univoche. Viene anzitutto postulata una
fattispecie priva di elementi costitutivi essenziali o con elementi viziati6. Ma in
questa direzione non si riesce a caratterizzare il fenomeno. Anche
l’annullabilità presuppone una fattispecie difettosa e sotto questo profilo trova
giustificazione la sua collocazione all’interno della invalidità. Né è soluzione
sempre agevole ricorrere ad un criterio quantitativo, di maggiore o minore
gravità del vizio: l’utilizzabilità di tale criterio presuppone formule oggettive e
certe di graduazione o quanto meno scelte e indicazioni precise, che non
esistono, tanto che uno stesso vizio è considerato dalla legge ora più grave ora
meno grave, ora causa di nullità ora causa di annullabilità. Che in ultima
analisi sia necessario richiamarsi ai testi di legge per decidere dove c’è nullità
e dove annullabilità, è fuor di dubbio.
Ma è anche vero che assai spesso il richiamo della legge è incapace di offrire
soluzioni sicure, non fosse altro per l’impiego che i testi fanno di una
terminologia ambigua ed imprecisa. Si pensi proprio alla disciplina
dell’invalidità delle delibere assembleari. L’assetto normativo ne è stato
continuamente stravolto sia dalla giurisprudenza che dallo stesso legislatore
attraverso l’introduzione di nuove patologie, quale quella dell’inesistenza, o
anche attraverso drastiche riduzioni dei casi di nullità o mediante
l’introduzione di concetti quale quello di nullità virtuale.
6
E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, III, in Trattato di diritto civile italiano,
Torino, 1960, p. 475.
8
Per questo è indispensabile valutare il significato che il legislatore attribuisce
alla voce nullità, nei vari contesti giuridici, nel quadro delle ipotesi di
difformità tra fattispecie e schema legale. Significato che certamente si ricava
considerando gli interessi che la difformità colpisce nel quadro dei valori del
sistema.
Ad ogni modo, il punto di partenza per affrontare il discorso in esame è la
constatazione che la nullità, almeno quale nullità negoziale, gioca il suo ruolo
nel processo di attuazione degli interessi umani 7. Considerato che questo
processo è logicamente scomponibile in due fasi – una costituita dal sorgere
(direi continuo) di nuovi interessi che pretendono di essere realizzati
giuridicamente, l’altra in cui si svolge, nel mondo giuridico, il mutamento
idoneo a realizzare questi interessi – ebbene risulta chiaro che la legge ha di
fronte a sé un’alternativa: assecondare giuridicamente e normativamente la
realizzazione di tali interessi ovvero ostacolarla. L’adozione dell’una o
dell’altra alternativa evidentemente è funzionale alla conformità/difformità dei
nuovi interessi rispetto agli interessi generali della comunità. In tal senso la
nullità può essere ben intesa come uno strumento di controllo normativo che
può essere utilizzato per non ammettere alla tutela giuridica interessi in
contrasto con i valori fondamentali del sistema. Il significato giuridico della
nullità
può
dunque
ricavarsi
dalla
funzione
complessiva
svolta
7
A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, I, Il concetto del diritto, Milano, 1975, p.
226 ss.
9
dall’ordinamento in sede di realizzazione dei valori fondamentali del sistema
giuridico.
3. (Segue): Tra nullità e annullabilità: la nullità relativa.
Nel codice del ‘42, si è affermata una concezione puramente binaria
dell’invalidità, incentrata sulla contrapposizione tra nullità e annullamento.
La circostanza che la prima incide in maniera più radicale che non la seconda
sull’efficacia del contratto, legittima la deduzione che essa consegue quando il
vizio che inficia il contratto risulti più grave8.
Spetta al legislatore valutare la gravità del vizio e graduare la risposta, sicché
l’individuazione dei casi nei quali l’invalidità si atteggia come nullità e di
quelli nei quali si atteggia come annullabilità non può essere operata alla
stregua di criteri logici ma con esclusivo riferimento al diritto positivo9.
Dopo l’entrata in vigore del codice del ‘42, la dottrina italiana, come detto, era
concorde sul fatto che le cause di nullità incidono su interessi generali, e che
pertanto la nullità debba operare di diritto, ossia a prescindere dalla volontà dei
singoli che eventualmente ne siano colpiti; mentre dalla natura della invalidità
concessa nell’interesse di soggetti determinati, si fa derivare la necessità che vi
8
A. CATAUDELLA, I contratti, Torino, 2000, 256.
A. FEDELE, La invalidità del negozio giuridico del diritto privato, Torino, 1943, 75 ss., ha
criticato l’orientamento dottrinale che collega la nullità alla mancanza della fattispecie
negoziale per difetto di un elemento essenziale, ma tende anch’egli a ricondurre ad unità
concettuale le ipotesi di nullità, che riporta tutte all’impossibilità di far rientrare la fattispecie
nello schema legale del contratto.
9
10
sia una iniziativa degli interessati, volta a privare il negozio invalido della
propria efficacia10.
Ricorda Sacco che il codice del 1865 non conosceva una categoria chiara e
netta di atto annullabile contrapposto all’atto nullo. Il sistema codicistico delle
nullità appariva troppo grezzo perché la dottrina non fosse portata ad
elaborarlo11.
Gli autori legati alle scuole francesi dell’epoca costruirono la distinzione
fondamentale tra nullità assoluta (deducibile da entrambe le parti) e relativa
(deducibile da una parte soltanto).
Più tardi, essendosi importato in Italia il bagaglio delle categorie elaborate
dalla pandettistica germanica, ecco che sul codice a modello napoleonico fu
elaborata una concezione dottrinale che gli era straniera: la riduzione delle
varie invalidità alla nullità operante ipso iure, e alla annullabilità, che schiude
le porte ad un potere del legittimato di mettere nel nulla gli effetti dell’atto 12.
È lo stesso legislatore che detta discipline distinte e fonda così la differenza tra
nullità e annullabilità13.
Mentre gli studiosi francesi e in parte anche quelli tedeschi hanno valutato
singole ipotesi di invalidità determinando un’inefficacia graduata, l’ispirazione
pandettistica ha fatto scorrere in Italia fiumi di inchiostro su concetti astratti e
10
R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 879.
R. SACCO, Il contratto, II, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 1993, 512.
12
I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale, Milano, 1998, 18.
13
F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Padova, 1999, 42.
11
11
generali, nell’esame dei rapporti e delle differenze ontologiche tra nullità e
annullabilità.
Si è osservato che le differenze classiche tra nullità e annullabilità sono almeno
dieci: 1) anzitutto l’una è testuale e virtuale e l’altra solo testuale; 2) la nullità
opera di diritto, mentre l’annullabilità deve essere dichiarata dal giudice; 3)
l’atto nullo non è soggetto a convalida, l’atto annullabile può essere
convalidato; 4) la nullità ha efficacia verso i terzi, l’annullabilità dell’atto
invece è inopponibile ai terzi che abbiano acquistato in buona fede e a titolo
oneroso; 5) l’azione di nullità è imprescrittibile; l’azione di annullamento si
prescrive in cinque anni; 6) chiunque vi abbia interesse può rilevare la nullità,
l’annullabilità invece, può essere rilevata solo dalla parte nel cui interesse è
stabilita: cosicché, se la prima può essere rilevata dal giudice, la seconda no; 7)
la sentenza poi è dichiarativa per la nullità, costitutiva per l’annullabilità14; 8)
la nullità può essere pacifica tra le parti, che non pretendano l’esecuzione del
contratto, però può anche accadere che la sua apparente esistenza sia fonte di
contestazione, per cui ci può essere l’interesse a farne accertare l’invalidità
definitivamente o con l’azione di nullità o con l’eccezione 15; 9) Il contratto
nullo è generalmente lesivo di interessi generali; è interesse generale che i suoi
effetti vengano annientati; con la nullità l’ordinamento sanziona l’offesa
(diretta o indiretta) a interessi della collettività, con l’annullabilità il
14
G. GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. e impr., Padova,
1999, 1336.
15
V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 2001, 841.
12
pregiudizio a interessi privati; 10) il contratto nullo contrasta con valori
fondamentali dell’ordinamento, il contratto annullabile inficia l’interesse del
contraente incapace, caduto o indotto in errore o vittima dell’altrui violenza
morale16.
Il legislatore reputa opportuno, in caso di contratto nullo moltiplicare le
chances di giungere a tale annientamento, e ciò si realizza, allargando la
cerchia di coloro che possono prenderne l’iniziativa 17. Questi devono avere
non un mero interesse di fatto, ma un interesse qualificato, che si configura
solo quando chi agisce prospetti la titolarità di una posizione giuridicamente
tutelata, ed un pregiudizio che per la stessa discenda dall’incertezza provocata
dalla presenza di un contratto la cui nullità non sia stata giudizialmente
accertata e dichiarata18.
L’ambito dei legittimati all’azione di nullità è dunque ben lontano dall’avere
quell’ampiezza indeterminata che il richiamo all’assolutezza della nullità
potrebbe indurre a ritenere e, secondo un’autorevole opinione, sarebbe più
opportuno parlare di “relatività non rigidamente predeterminata”, piuttosto che
di assolutezza19.
16
F. DI MARZIO, op. cit., 42.
V. ROPPO, op. cit., 245.
18
G. GIOIA, op. cit., 1333, “si richiede la sussistenza di un interesse ad agire, secondo le
norme generali e con riferimento all'art.100 c.p.c., attraverso la dimostrazione della necessità
di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto ed il conseguente danno
alla propria sfera giuridica”.
19
A. CATAUDELLA, op. cit., 264.
17
13
A differenza del negozio nullo, quello annullabile non è un negozio nato
morto. Esso produce in via provvisoria i suoi effetti (cosiddetta efficacia
interinale o precaria), e questi divengono definitivi, solo nel caso di mancata
impugnativa nei termini di legge20. In questo caso, il contrasto con
l’ordinamento è meno profondo: c’è stata inosservanza di regole che, pur
dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere alcuni soggetti che si
trovino in una posizione menomata a causa delle loro condizioni o della loro
posizione individuale21.
L’annullabilità proprio di fronte al nuovo codice cessa di essere una categoria
omogenea.
Intanto esistono sicuramente figure di annullabilità assoluta. Esistono domande
di annullamento non soggette a prescrizione, si ammettono figure di
annullabilità insanabili e di nullità sanabili.
Quando emergono figure meno lineari di invalidità, la contrapposizione fra
nullità e annullabilità viene fatalmente messa in crisi 22. Sempre più spesso il
legislatore introduce la sanzione della nullità a tutela di interessi non generali,
ma particolari, riferibili non alla collettività ma a sottogruppi di consociati,
animati da interessi che al massimo sono di categoria23.
A causa della “crisi” in cui finisce per incorrere la contrapposizione netta tra
nullità e annullabilità, il giurista si trova a dover disciogliere le due categorie
20
P. RESCIGNO, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 577.
A. CATAUDELLA, op. cit., 258.
22
F. DI MARZIO, op. cit., 43.
23
G. PASSAGNOLI, Le nullità speciali, Milano, 1995, 49.
21
14
in tante figure minori. Si è presentata, così, la necessità di un ripensamento
critico delle categorie generali; si fanno emergere numerose figure di nullità
speciali, che si connotano per la peculiarità della propria ratio, intesa come
esigenza di tutela di determinate categorie di soggetti in situazioni di squilibrio
rispetto all’altra parte del rapporto24.
Secondo un’opinione, vi è più di una valida ragione che induce a rimettere in
discussione la concezione tradizionale, che incentrava il sistema dell’invalidità
sulla rigida contrapposizione fin qui messa in evidenza, dal momento che essa
non appare più in grado di dare conto della varietà positiva: il risultato dello
sforzo di rielaborare lo statuto della nullità, alla luce degli statuti speciali, si
traduce così nella testimonianza di un’evoluzione intervenuta nell’ordinamento
giuridico dell’invalidità, che ha dato luogo a particolari forme di tutela per
determinate categorie di rapporti, con conseguente necessità di una revisione
dei caratteri dell’atto invalido e dell’azione con cui si fa valere
quell’invalidità25.
La dottrina più recente si muove nella direzione di un superamento dei dogmi
che dominano l’invalidità nella concezione tradizionale, e mira a scardinare la
configurazione rigidamente bipolare. L’emergere delle figure particolari, ormai
entrate a far parte del sistema, dà l’impressione di un ordinamento in grado di
evolversi in virtù di una modifica che proviene dal suo interno.
24
25
I. PAGNI, op. cit., 30.
G. PASSAGNOLI, op. cit., 3.
15
Oggi, quando le caratteristiche della prescrittibilità, della sanabilità del vizio, o
la relatività dell’azione non compaiano tutte insieme nell’ipotesi di invalidità
prevista dalla legge, non si riesce ad indicare se l’atto sia annullabile o nullo 26.
Per queste ragioni, il giurista non è in grado di affermare che esiste una
differenza ontologica tra il contratto nullo e il contratto annullabile.
Tutto ciò, porta a procedere in un’unica direzione, quella di sottoporre a
verifica tutto ciò che fino a poco tempo fa era motivo di certezza: stante
l'equivocità di una distinzione tra i vizi dell’atto in base alla loro gravità, la
stessa idea che il negozio annullabile possa modificare la situazione giuridica
preesistente, mentre quello nullo, in quanto privo degli elementi essenziali del
tipo legale, sarebbe inidoneo a dar vita ad una nuova situazione giuridica, non
può essere accolta quale premessa indiscussa di tutto il sistema delle invalidità.
Nella nuova visione del diritto sostanziale, si dovrebbe tentare di sostituire agli
schemi dogmatici tradizionali,
che
sopravvalutano
l’importanza
della
contrapposizione tra nullità e annullabilità, una visione unitaria dei due
fenomeni, che non sono altro che due species di un genere unico27.
Gran parte degli interpreti è convinta che l’invalidità sia retta ancora oggi dai
principi pacifici e sicuri fin qui descritti; non a caso, del resto, nelle opere
26
27
I. PAGNI, op. cit., 31.
I. PAGNI, op. cit., 34.
16
manualistiche, la nullità e l’annullabilità si trovano descritti ancora secondo
schemi tradizionali28.
Il concetto della nullità tramandato dalle costruzioni della Pandettistica, è
talmente radicato nella coscienza degli studiosi da essere difeso anche in
contrasto con le indicazioni positive29.
Andando ad esaminare con attenzione la dicotomia tra le due forme di
invalidità, emerge nella più recente disciplina una continua creazione di figure
che presentano deviazioni rispetto ai modelli di riferimento tradizionali 30.
Nullità e annullabilità, al di là dell’inadeguatezza della suddivisione, non sono
in grado di far fronte a tutte le ipotesi di patologia contrattuale, di carattere
genetico, per cui, ogni tanto e oggi più che mai, fa capolino il tertium genus
della nullità relativa31.È una figura molto controversa in dottrina.
Essa si giustifica generalmente per il fatto che è posta a tutela di una sola delle
parti del contratto e, in assenza di indicazioni di legge, e di fronte ad ipotesi di
carattere protettivo, la legittimazione a far valere il vizio compete solo al
soggetto protetto nel cui interesse essa è posta32. È proprio la categoria della
nullità relativa ad aver messo in crisi l’equilibrio dicotomico ispirato alla
Pandettistica germanica del secolo scorso, trattandosi di una figura che si
28
P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1996, 27ss..
R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, 337,
sottolinea che questa costruzione non tiene conto della realtà giuridica ma esclusivamente
della logica formale.
30
I. PAGNI, op. cit., 631.
31
G. GIOIA, op. cit., 1336.
32
V. BONFIGLIO MARICONDA, L’azione di nullità nei contratti in generale, in Giur. sist.
dir. civ. comm., fondata da Bigiavi, IV, t. 1, Torino, 1991, 463 ss.
29
17
colloca a metà strada tra esse, coniugando il carattere assoluto della prima con
la relatività della seconda.
La nullità si trova a dover svolgere una differente funzione rispetto a quella
tradizionalmente
riconosciutale,
graduata
nel
proprio
fondamento
e
differenziata quanto alla disciplina volta a volta applicabile 33. L’interprete
dovrà tener conto dell’emergere, in sede dottrinale e giurisprudenziale, di un
nuovo concetto di nullità come sanzione non più legata al solo interesse
pubblico, astratto, se non persino contrapposto rispetto a quello dei
contraenti34.
È un’intuizione antica quella di una possibile pluralità di fondamenti della
nullità: già Bartolo da Sassoferrato distingueva, traendone corollari proprio
riguardo alla disciplina applicabile, ben dieci diverse categorie di nullità, a
seconda del diverso motivo sul quale esse riposavano.
La nullità cessa di essere esclusivamente uno strumento di tutela in quanto
tale, per divenire, al contempo, strumento sanzionatorio per una delle parti, e
di protezione per la controparte più debole35. Ne è conseguita una revisione
della legittimazione a far valere la nullità e il rilievo è stato che non ha più
ragione d’essere la nullità sanzionatoria del comportamento di entrambe le
parti, in nome di un astratto ordine pubblico, o di una norma imperativa 36. Il
33
R. SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. dir. civ., diretto da Grosso e Santoro
Passarelli, Milano, 1972, 564.
34
G. FILANTI, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983, 82.
35
G. GIOIA, op. cit., 1338.
36
A. GUARNERI, voce Ordine pubblico, in Dig. disc. priv. sez. civ., Torino, 1995, XIII, 154.
18
rinnovato sistema si estrinseca in un “ordine pubblico di protezione”, alla cui
attuazione meglio risponde il concetto di nullità relativa37. L’evoluzione del
concetto di ordine pubblico, riconosce nuovi interessi – sulla base di norme
costituzionali e fonti comunitarie – che vanno a costituire nuove esigenze della
società38.
Nasce una società divisa in classi, o in gruppi di classi contrattuali, alcune di
esse più deboli rispetto ad altre39. Assicurare una protezione differenziata, più
intensa, ai cd. nuovi status in considerazione della loro debolezza economica e
contrattuale rispetto a controparti più forti e più agguerrite, non è solo un
compito istituzionale dell’ordinamento, che si prefigge di tutelare i diritti
fondamentali dell’individuo, ma un mezzo per raggiungere equilibri economici
all’interno del mercato40. Si vuole garantire una sostanziale parità di
trattamento41. Le posizioni contrattuali delle parti, poste su piani differenti,
sono disciplinate in modo differenziato, perché il legislatore tende a
controbilanciare
l’eccessivo
squilibrio
contrattuale,
tenendo
in
gran
considerazione il contraente che agisca per scopi di consumo, e quindi estranei
all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta 42.
37
V. ROPPO, Il contratto, Bologna, 1981, 164.
L. LONARDO, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, 1993, 375.
39
G. GIOIA, op. cit., 1339.
40
V. ROPPO, Il controllo sugli atti di autonomia privata, in Riv. crit. dir. priv.,1985, 485.
41
R. SACCO, L’autonomia contrattuale, in SACCO e DE NOVA, Il contratto, II, Torino,
1994, 108.
42
F. GALGANO, Della nullità del contratto, in Comm. cod. civ., Scialoja - Branca, a cura di
Galgano, Bologna – Roma, 1998, 110.
38
19
Le leggi di protezione intendono ristabilire l’equilibrio economico; le norme
che si preoccupano di sanzionare i comportamenti che comportino squilibrio
sono sempre più numerose e variegate, ponendo in difficoltà l’interprete che si
trova di fronte a nuove nullità virtuali43.
Il sistema della nullità relativa, che le leggi vanno via via delineando, a metà
del guado tra nullità e annullabilità, permette di attuare le finalità della legge.
Ne sono un esempio le nuove leggi a tutela dei consumatori: a proposito dei
contratti in generale e dei contratti bancari, la legge ha introdotto nuove figure
di nullità caratterizzate dall’azionabilità ridotta: solo dall’interessato e dal
giudice d’ufficio (art.1469 quinquies, 3° comma, c.c.), oppure esclusivamente
dall’interessato (art.127, 2° comma, d.lgs. 1.9.93, n.385)44.
La nullità relativa è a tutela di interessi anche particolari; il legislatore gradua
la disciplina per evitare danni al contraente debole. Ma questo non significa
che non sia in gioco l’interesse generale. Credere che l’interesse del
consumatore sia qualcosa di diverso dall’interesse generale; credere che non
risponda all’interesse generale fornire tutela alla parte debole che contratta, è
errato45.
La stessa Carta Costituzionale impone certe forme di tutela (art. 2, 3, 41 Cost.).
Tutto questo è interesse generale (della generalità dei consociati), o se si
43
G. GIOIA, op. cit., 1340.
S. POLIDORI, Discipline della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, 30.
45
F. DI MARZIO, op. cit.,45.
44
20
preferisce collettivo. A esso si affianca un interesse particolare: del singolo
contraente che gode della tutela46.
Un contratto sottoposto a nullità relativa è comunque contrario a norme
imperative e all’ordine pubblico, per cui oltre l’interesse della parte a far valere
la nullità, vi è quello dell’ordinamento a eliminare un contratto contrario alle
sue stesse regole.
Tuttavia, l’attività ermeneutica non può individuare, come baricentro,
l’attuazione di un ordinamento astratto, ma deve prendere le mosse dal
concreto interesse della parte protetta47.
La nullità assoluta non è in grado di soddisfare le esigenze di protezione di un
reale equilibrio contrattuale. Le norme imperative individuano, di volta in
volta, le clausole invalide che vanno espunte dal contratto. Le norme di
protezione sanzionano le singole clausole, per lo più con la nullità, più
raramente con l’inefficacia (art.1469 quinquies 3° comma c.c.) e spesso la
sostituiscono con l’obiettivo di conservare il contratto a favore del contraente
debole48. La conservazione del contratto favorisce i traffici e, quindi, il
mercato, ma perché giovi ai consumatori occorre che ci siano aggiustamenti
della posizione ritenuta deteriore.
Il contratto originariamente nullo, ma la cui nullità non sia stata eccepita dalla
parte legittimata in via esclusiva, viene convalidato dal giudice, con una
46
F. DI MARZIO, op. cit., 46.
G. GIOIA, op. cit.,1341.
48
A. GENOVESE, voce Condizioni generali del contratto, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961,
802.
47
21
sentenza che non ha senso definire dichiarativa, perché ha tutti gli elementi
della sentenza costitutiva, in quanto stabilisce una volta per tutte la
prosecuzione del rapporto.
Le ipotesi che si possono presentare al vaglio del giudice sono molteplici.
Potrebbe considerare, nell’interesse del contraente debole di rilevare d’ufficio
la nullità del contratto. Potrebbe valutare pregnante l’interesse del contraente
protetto alla prosecuzione del rapporto, non facendo valere la nullità d’ufficio.
Potrebbe, infine, adoperarsi sulla base delle finalità della norma per rendere il
contratto più rispondente alle esigenze della parte tutelata, anche in assenza di
domanda, senza quindi rilevare la nullità, ma con operazioni di “ortopedia
giuridica” andando a sostituire clausole viziate con clausole valide.
Regole di mercato protettive impongono che la nullità operi in modo da
consentire il più possibile la prosecuzione del rapporto. La legittimazione
relativa a far valere l’invalidità, lascia arbitro la parte più debole di mantenere
in vita o meno il contratto. Accanto a questa tecnica, ma sulla linea opposta,
l’ordinamento, proprio in virtù dell’ordine pubblico di protezione, coniuga la
relatività della legittimazione con la rilevabilità d’ufficio, perché affida, anche
al giudice, quel compito di protezione che l’ordinamento vuole perseguire a
tutti i costi. Compito che non si limita a prendere atto dell’eccezione sollevata
dal cliente, consumatore o utente, ma riveste un ruolo più ampio e incisivo,
perché affida al giudice la possibilità di rilevare d’ufficio la nullità relativa
22
all’esito di una valutazione concreta, di un controllo sostanziale degli interessi
del contraente debole.
“La nullità è divenuta strumento per tutelare una parte contrattuale, strumento
speciale, che perciò può essere esteso per via analogica”49.
Le nullità speciali, caratterizzate da una legittimazione di protezione, rilevabili
d’ufficio, si distinguono dal vecchio ceppo della nullità contrattuale, per cui
oggi si parla non più di concetto monolitico della categoria, ma di statuto delle
nullità.
La legislazione comunitaria e l’armonizzazione delle varie legislazioni
conducono verso un diritto sovranazionale o transnazionale, sicché il diritto
dei contratti non potrà più essere sigillato nei ristretti orizzonti del diritto
nazionale50.
Dopo l’unificazione dei codici civile e commerciale, dopo l’alluvione di norme
comunitarie nell’economia industriale e nella contrattazione di massa, il
legislatore è dovuto intervenire per tutelare il contraente più debole, posto che
altro erano i rapporti tra proprietari, cioè tra soggetti appartenenti allo stesso
genus, altro i rapporti tra professionisti e consumatori, in cui questi ultimi sono
carenti di potere, ossia soggetti nullificati51.
49
G. PASSAGNOLI, op. cit.,156.
A. PIZZORUSSO, Pluralismo delle fonti interne e formazione di un sistema di fonti
sovranazionali, in Storia d’Italia, Annali 14, Legge, diritti, giustizia, Torino, 1998, 1127.
51
L’espressione è stata utilizzata da P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna,
Napoli, 1996, 225
50
23
“L’esigenza di proteggere la parte più debole del rapporto economico,
ingenera una costruzione di invalidità, che finisce col condizionare lo stesso
tipo di tutela. La nullità si conforma alle esigenze di tutela protettiva,
smettendo il suo abito di sanzione civile”52.
4. Invalidità del contratto e nullità della società: un primo approccio.
L’annullamento o la dichiarazione di nullità di un atto di natura privata
produce di regola l’effetto di privarlo della forza vincolante (ovvero si accerta
che non l’ha mai avuta), per cui non è più in grado di produrre effetti per il
futuro. Se l’atto non ha ricevuto esecuzione, le obbligazioni che da esso
derivano perdono ogni efficacia (o si riconosce che non l’hanno mai avuta) e
nessuno è più tenuto ad adempierle. Può darsi, tuttavia, che l’atto abbia già
prodotto in tutto o in parte gli effetti ai quali era tipicamente destinato. Così ad
esempio, nel caso di compravendita è ben possibile che le singole prestazioni
siano state adempiute: l’annullamento dell’atto rende sine causa le prestazioni;
la dichiarazione di nullità accerta a sua volta la mancanza assoluta di una
causa solvendi vel praestandi. Quindi, quanto è stato ricevuto senza giuridico
fondamento deve essere restituito: cioè, le regole civilistiche sono dirette a
permettere il recupero di quanto prestato in esecuzione dell’atto dichiarato
nullo e sono altresì espressione della necessità di ripristinare la situazione,
52
N. IRTI, La nullità come sanzione civile, in Contr.e impr., Padova, 1987, 541.
24
quale sarebbe stata se l’atto non fosse mai stato stipulato, né tanto meno
eseguito.
A ben vedere il cosiddetto effetto retroattivo della dichiarazione di nullità
opera non tanto nei confronti dell’atto in sé e per sé (a tal proposito qualcuno
parla di efficacia meramente simbolica53), quanto piuttosto nei confronti delle
prestazioni. È in tal senso, infatti, che tale effetto retroattivo acquisisce un
concreto significato: infatti se l’atto è nullo, da esso non possono derivare
obbligazioni e quindi ciò che ha costituito l’oggetto della prestazione, divenuta
sine causa, deve essere restituito. Si potrebbe azzardare la conclusione che, in
buona sostanza, l’effetto retroattivo finisce col coincidere con la necessità di
restituire la prestazione (in pratica: chi ha venduto otterrà indietro la cosa; chi
ha comprato riavrà il prezzo).
Ovviamente non sempre ciò è possibile. Si pensi ai casi in cui la cosa,
trasferita tramite contratto poi dichiarato nullo, perisca. Si pensi ai casi di
contratti a prestazioni corrispettive in cui la prestazione non è suscettibile di
restituzione (ad es., contratti di lavoro subordinato).
Vi sono poi situazioni ancora più complesse, quali sono quelle relative alla
società. L’atto costitutivo di una società presenta caratteristiche tali che lo
differenziano in modo netto dai contratti bilaterali, relativi ai c.d. affari di
scambio (l’espressione è usata da Ferro-Luzzi54). Ciò lo si nota non tanto sotto
53
54
A. BORGIOLI, La nullità della società per azioni, Milano, 1977, p. 5.
F. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 84 ss.
25
il profilo strutturale, relativamente alla stipulazione del contratto, quanto
piuttosto sotto il profilo funzionale, per quanto riguarda l’esecuzione del
contratto in relazione alla soddisfazione degli interessi che fanno capo ad esso.
Infatti l’esecuzione del contratto di società non si esaurisce nella prestazione
dei conferimenti. Essi, anzi, nell’economia del fenomeno hanno rilevanza del
tutto secondaria e strumentale, in quanto sono funzionalmente diretti a
permettere lo svolgimento dell’attività55. Tale attività, però, risulta solo in
parte scomponibile in singoli atti giuridici, essendo per il resto rappresentata
da attività materiale e immateriale, per cui si pone il problema se possa essere
suscettibile di efficacia retroattiva o di restituitio in pristinum56. Quindi, v’è da
chiedersi quali saranno, in tali condizioni, le conseguenze di un’eventuale
invalidità dell’atto costitutivo? O meglio, la domanda, a mio avviso, potrebbe
essere “riformulata” in tal senso: sulla base delle molteplici esigenze, e degli
interessi tutelabili, che si manifestano nel campo della pratica giuridica ed
economica, è possibile ammettere altrettante discipline che fanno capo ad un
medesimo istituto, ma che si basano su principi diversi se non addirittura
opposti?
Dunque, la nullità nella sua concretezza trova applicazione sia in ambito
squisitamente negoziale, sia nel settore del diritto societario quale “nullità
della società” (art. 2332 cod. civ.).
55
56
F. GALGANO, Il contratto di società; Le società di capitali, Bologna, 1971, p. 174.
A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 10.
26
Trattasi, dunque di due discipline che regolano un medesimo istituto: esse, di
conseguenza, dovrebbero fondarsi sugli stessi principi che stanno alla base di
quell’istituto?
Analizzando le rispettive previsioni normative, si evince chiaramente una
risposta
negativa.
Le
due
discipline,
infatti,
si
fondano
su
regole
completamente opposte: efficacia ex tunc della sentenza che dichiara la nullità
di un contratto/efficacia ex nunc della dichiarazione di nullità della società;
“generalità” della regola applicativa della nullità contrattuale ex art. 1418 cod.
civ./tassatività delle cause di nullità ex art. 2332 cod. civ; insanabilità della
nullità contrattuale/sanabilità della causa di nullità ai sensi del 5° comma del
citato art. 2332. Insomma “è mutata radicalmente la situazione e deve
necessariamente mutare anche l’approccio legislativo”57.
Ma il punto è proprio questo: il diverso approccio legislativo è tale da
consentire di individuare in ambito societario un concetto di nullità? È
evidente che sarebbe improponibile l’applicazione in ambito societario dei
principi giuridici che stanno alla base dell’istituto della nullità in ambito
negoziale. Infatti, proviamo a considerare in astratto quali potrebbero essere le
conseguenze di una nullità dell’atto costitutivo di S.p.A. supponendo di dovere
applicare rigorosamente i principi contrattualistici in materia di invalidità
negoziale. S’è parlato poc’anzi di restitutio in pristinum.
57
C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975, p. 116.
27
Teoricamente è ben possibile concepire una restituzione dei conferimenti
(divenuti sine causa come conseguenza della nullità dell’atto fonte
dell’obbligazione) così come è possibile concepire l’annullamento dei singoli
atti giuridici compiuti per lo svolgimento dell’attività sociale (e, quindi, anche
le relative restituzioni quale corollario dell’effetto retroattivo della nullità).
A ben vedere però, soluzioni del genere possono risultare inappaganti sotto
vari profili. A tal proposito giova esaminare più attentamente le caratteristiche
tipiche dell’attività sociale. Infatti tale attività, globalmente considerata, non è
agevolmente riducibile negli schemi attraverso cui opera normalmente il
principio di retroattività della nullità, tra i quali quello tipico è la restituzione
della prestazione58. Nello specifico, tutt’al più, per l’attività si può fare un
discorso solo in termini di rilevanza o irrilevanza giuridica 59: può darsi che
l’attività sociale venga considerata rilevante come tale solo in quanto sussista
un valido contratto di società, e quindi la stessa sarà irrilevante in difetto dello
stesso; oppure l’attività sociale potrà essere rilevante anche autonomamente, e
quindi anche in difetto di un valido contratto.
58
A tal proposito SIEBERT, Die <<faktische>> Gesellschaft, in Festschrift fur Hedermann,
Jena 1938, p. 266, sostiene proprio che non si possa annullare l’attività con effetto retroattivo.
59
G. AULETTA, Attività, in Enciclopedia del diritto, Vol. III, Milano, 1967, p. 981 ss. In
particolare l’Autore rileva come « la norma, che pone l’attività come fattispecie, ne pone
necessariamente i presupposti di rilevanza. Tali presupposti possono ridursi alla pura esistenza
del complesso degli atti, di cui consta l’attività, ovvero estendersi alla validità degli atti stessi;
se il legislatore adotta questo schema, senza dubbio il più semplice, tutta la problematica
tradizionale in materia di atti, dai problemi della capacità a quelli della legittimazione,
dell’imputazione, dell’illiceità, dell’invalidità rimane regolata da una normativa riferita agli
atti se anche poi tale normativa può riflettersi indirettamente sull’attività, in quanto
all’invalidità del complesso degli atti consegua la irrilevanza dell’attività ».
28
Quindi si tratta di capire quale sia l’atteggiamento che in concreto assume
l’ordinamento giuridico nei confronti di tale problema. Deve sempre
distinguersi tra attività e singoli atti giuridici? Cioè, un eventuale
atteggiamento di irrilevanza nei confronti dell’attività, se poi consente di
“operare retroattivamente” sui singoli atti giuridici di cui tale attività si
compone, continua a lasciare inalterato il problema relativo a quella parte di
attività sociale che non si traduce in atti specifici, “ma che costituisce il tessuto
connettivo in cui questi sono inseriti e presenta poi il gravissimo
inconveniente, sotto il profilo pratico… di tradire le aspettative di coloro che
hanno fatto affidamento sulla validità degli atti compiuti dalla società”60.
D’altro canto si può notare come il rapporto tra i conferimenti e l’attività abbia
carattere strumentale nel senso che i primi sono in funzione della seconda e
perciò sono subordinati ad essa. Sotto quest’ultimo profilo si può ben dubitare
sulla possibilità di applicare il criterio della retroattività degli effetti ai
conferimenti (con conseguente restitutio in pristinum): una simile soluzione,
infatti,
può
non
risultare
applicabile
all’attività
sociale
globalmente
considerata, ma solo ai singoli atti di cui essa si compone. “Può non apparire
agevolmente giustificabile che quanto nell’economia del fenomeno (esecuzione
del contratto) è secondario e accessorio, finisca con l’avere un trattamento
60
A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 11 ss.
29
giuridico diverso da ciò che ne rappresenterebbe viceversa l’aspetto di
maggior rilievo, quando questo si è in effetti realizzato”61.
5. (Segue): La teoria di Joseph Hemàrd.
A queste considerazioni di carattere teorico va aggiunto che il problema della
nullità della società presenta soprattutto difficoltà di carattere pratico.
Le prime difficoltà pratiche scaturiscono dalle esigenze della vita dei traffici e
da una concezione tradizionale del sistema delle nullità, in cui l’assoluta
improduttività di effetti e la regola della retroattività costituiscono i canoni
fondamentali. Una perfetta rappresentazione dell’applicazione pratica di tali
principi ce la fornisce il giurista francese Hemàrd in un celebre saggio dedicato
all’argomento. Si riporta di seguito una parte del testo: “La société étant nulle
ab initio n'avait eu acune existence; elle n'avait pu produire aucun effette
juridique, parce qu'elle n'avait créé qu'ne situation contraire au droit. Elle
n’était plus qu’un vain fantome; l’apparence avait fait illusion, mais elle
devait se dissiper dés la déclaration de nullité. Tous le effets mormaux du
fonctionnement des sociétés s’effaçaient dans les rapports des associés et visà-vis des tiers: le pacte social était sans valeur, la société n’avait jamais eu
patrimoine indépendant. Le contrat de société et la personnalité morale de la
61
E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la nullità della società per azioni, Napoli, 1977, p.
26 ss.
30
société sombraient, dans le passé comme dans l’avenir. Dés lors plus de dettes
ni de créances sociales; les operations avaient été enterprises au nom d’un
mandant inexistent; personne n’était oblige, ni les associés, ni les tiers. Il n’y
avait plus d’associés, plus d’actionnaires, plus d’obligataires. Les apports
pouvaient
etre
repris
libres
de
toutes
charges,
aucun
versement
complémentaire sur les actions ou les obligations ne pouvait etre exigé, les
actionnaires ou associés étaient destitués de tout droit sur l’actif à distribuer
comme ils étaient pas étrangers à toute obligation sociale, les tiers n’étaient
pas engages par les contrats passes par les gérants ou administrateurs”62.
Joseph Hemàrd pertanto sostiene una tesi che può essere riassunta secondo tale
schema:
a) la società nulla, in quanto tale, non esiste nel mondo del diritto;
b) poiché non esiste, tale società non può “materialmente” produrre alcun
effetto giuridico;
c) conseguentemente, la società nulla, “la società che non c’è, che non esiste”,
non ha potuto creare alcuna situazione contraria al diritto. Si potrebbe dire che
dal nulla non nasce nulla.
Ecco dunque l’interpretazione della società nulla come “fantome”, vale a dire
come un fantasma: una situazione illusoria in cui il patto sociale è stato privo
di alcun valore e la società non ha mai avuto un patrimonio indipendente. Da
62
J. HÉMARD, Théorie et pratique des nullités de sociétés et des sociétés de fait, Paris, 1926, p.
5.
31
qui l’idea che il contratto sociale e la “personnalité morale” della società non
sono mai esistiti né in passato né in futuro; non ci sono mai stati obblighi e
diritti né per i soci né per i terzi.
Questa è dunque l’interpretazione che il citato giurista dà dell’istituto pur non
mancando di considerare la gravità e l’iniquità delle conseguenze derivanti da
una simile interpretazione, per cui era indotto ad individuare argomenti e
principi tali da consentirgli di giustificare una sorta di attenuazione degli effetti
della nullità così come rappresentata.
Infatti una simile impostazione è tipica del modo in cui normalmente viene
affrontato il problema: in tal senso vi è la diffusa sensazione che un utilizzo
integrale della disciplina dell’invalidità negoziale risulti nella pratica
inadeguata rispetto alla situazione che si vuole disciplinare. E, ovviamente, il
problema fondamentale è rappresentato dall’applicazione, o meno, del
principio di retroattività degli effetti, tipico, per l’appunto, della disciplina
negoziale. Da qui deriva la necessità di superare quella che si configura come
una irrimediabile contraddizione: da un lato i principi, dall’altro le
conseguenze, sotto più profili inammissibili.
32
6. La nullità delle società nell’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza:
dal Code de Commerce napoleonico al quello del 1865.
Passiamo ad analizzare gli aspetti e le problematiche attinenti all’evoluzione
che l’istituto in esame ha subìto a partire dal Code de Commerce napoleonico.
La dottrina, inizialmente, ispirandosi alla tradizione pandettistica, non aveva
difficoltà ad applicare rigidamente al settore delle società, i principi civilistici
in materia di nullità dei contratti, primo fra tutti il principio della retroattività
della declaratoria di nullità63.
Nel momento in cui veniva accertata la nullità del contratto sociale,
l’applicazione rigida della norma contenuta nell’art. 1119 del codice civile del
1865 stabiliva che i rapporti interni tra i soci e quelli esterni tra società e terzi
dovevano essere regolati come se la società non fosse mai esistita.
Di conseguenza, i presunti soci non partecipavano né alle perdite della società,
né rispondevano dei danni, non erano più obbligati a conferire gli apporti non
ancora eseguiti, e potevano pretendere la restituzione di quelli già eseguiti64.
Per quanto attiene, poi, ai rapporti che legano la società ai terzi, in seguito
all’attività contrattuale degli amministratori, questi debbono considerarsi come
rapporti con un soggetto giuridico inesistente. I crediti e i debiti sociali non
appartengono alla società che non è mai esistita, né ai soci la cui titolarità
dovrebbe derivare da un contratto, rivelatosi nullo. I negozi di disposizione sui
63
L. BORSARI, Il codice di commercio annotato, I, Torino, 1968, p. 471; G. BOCCARDO,
Dizionario universale di economia politica e di commercio, Milano, 1877, p. 991; I. ALAUZET,
Commentaire du code de commerce et de la législation commerciale, Paris, 1879, p. 94.
64
E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Napoli, 1977.
33
beni conferiti dai soci sono invalidi poiché tali beni non hanno mai cessato di
appartenere ai conferenti, i quali possono pretenderne la restituzione dagli
acquirenti.
Sul
piano
giuridico-formale65,
le
conseguenze
che
ne
derivavano
rappresentavano lo sbocco inevitabile dell’inserimento dell’istituto della c.d.
società nulla nel sistema delle nullità dei contratti del codice civile del 1865 66.
Nella prospettiva della dottrina dell’epoca, l’ipotesi di una eventuale sanatoria,
sia pure parziale, del contratto sociale nullo sconfessava i principi-base della
nozione di invalidità, elaborata dagli studiosi, sovvertivano l’ordine di idee
della
dottrina
e
poneva
difficoltà
di
natura
dogmatica
addirittura
insormontabili: questa “era l’epoca del trionfo della pandettistica tedesca,
caratterizzata da un metodo d’indagine volto a derivare dai testi legislativi
concetti sempre più fini e coordinati per la costruzione di istituti da inserirsi in
un sistema coerente, sul piano della pura logica formale, di principi
generali”67.
La stessa conferma del negozio nullo prevista dall’art. 311 del c.c. del 1865 era
vista come una grossa spaccatura nel principio dell’insanabilità del negozio
nullo, che la scienza giuridica aveva elaborato con molta accortezza. In tale
65
F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Commentario al cod.
civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roba, 1967; ID., Il principio di maggioranza
sulle società personali, Padova, 1960; U. MANARA, Delle società e delle associazioni
commerciali, I, Torino, 1899; A. CABERLOTTO, Delle società e delle associazioni
commerciali, in Nuovo codice di commercio italiano, II, Torino, 1899.
66
U. FERRANTE, Il problema della qualificazione della società, Milano, 1974, p. 17; A.
CABERLOTTO, Delle società e delle associazioni commerciali, op. cit., p. 1.
67
G. PIAZZA, La convalida nel diritto privato, Napoli, 1973, p. 35.
34
prospettiva, l’idea di un’eventuale estensione dell’eccezionale previsione
normativa al campo delle società non era nemmeno preso in considerazione
dai giuristi quale possibile rimedio alla lacuna normativa della sanatoria.
La giustificazione giuridico-formale dell’atteggiamento della dottrina, tuttavia,
trova radici più profonde che solo un’attenta analisi storica consente di
cogliere.
La codificazione commerciale del 1865 introduceva un nuovo spirito di
controllo politico sulle grandi imprese capitalistiche. L’attività speculativa dei
primi anni del nuovo Regno, spericolate manovre di borsa e fittizie società
italiane, fecero sì che la classe politica fosse orientata verso la riorganizzazione
dei controlli pubblici, già esistenti negli Stati preunitari 68, che culminarono con
l’istituzione, presso il Ministero delle Finanze, di un Ufficio di sindacato sulle
società commerciali e gli Istituti di credito, reso operante mediante Regio
Decreto del 27 maggio 187669. Il Governo, con tale indirizzo politico e
amministrativo, si proponeva le seguenti finalità, espresse in una circolare del
26 novembre 1866 del Ministero delle finanze: “Il governo veglia per tutelare
gli interessi degli azionisti che confidano i loro risparmi a un ente anonimo,
per seguire il movimento dei grandi capitali che governano il mercato, per
sicurtà dei terzi che contrattano con le compagnie anonime”.
68
R. LIBERATORE, Intorno alle società anonime commerciali della provincia di Napoli, in Annali
civile del Regno delle Due Sicilie, IV, Napoli, 1833, p. 126; L. BIANCHINI, Della storia delle finanze
del Regno di Napoli, III, Napoli, 1834, p. 918; V. CASTELLANO, Instituzioni di diritto commerciale
per lo Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1842, p. 66.
69
M. DE SIMONE, La sanatoria del negozio giuridico nullo, Napoli, 1946.
35
Lo spirito del codice di commercio era tale, come risulta anche dalla Relazione
del Guardasigilli al Re. “L’autorizzazione sovrana solamente può (...)
assicurare i terzi che le nuove condizioni imposte dalla legge furono
adempiute”70.
Ma nonostante le suddette enunciazioni programmatiche, tutte ispirate alla
tutela del pubblico dei risparmiatori e dei terzi contraenti, e che avrebbero
imposto un’adeguata tutela di tali interessi anche in tema di società c.d. nulle,
il codice di commercio tacque a riguardo e la stessa dottrina negò ogni forma
di tutela delle legittime aspettative dei terzi.
Per intendere questa singolare antinomia occorre approfondire il significato
politico/amministrativo dell’indirizzo legislativo del codice di commercio del
1865 ricorrendo a due importanti fattori, rilevanti dal punto di vista storico: da
un lato la derivazione storica del codice di commercio del 1865, mediante i
codici preunitari della restaurazione, dal codice di commercio napoleonico;
dall’altro lato la scarsa fortuna che ebbe la politica programmatica governativa
in tema di società.
Quanto al primo fattore, è necessario tener presente che, nella logica
napoleonica, il controllo pubblicistico sulle società anonime era solo
apparentemente giustificato con motivi di indole privatistica: la vera, anche se
non dichiarata preoccupazione napoleonica, era di “alta polizia”. La logica
E. APRILE, Il codice di commercio per il Regno d’Italia annotato e riscontrato, Napoli, 1966, p.
IX.
70
36
centralistica del sistema imperiale non ammetteva la formazione di grandi
potenze economiche e perciò sociali e indipendenti.
La soluzione autoritaria del controllo pubblico sulle società anonime veniva
raccolta come eredità napoleonica dai regimi della restaurazione con le stesse
finalità e come strumento di una politica programmaticamente ostile alle
anonime.
Il codice di commercio del 1865 non fu diverso71.
L’indirizzo legislativo di controllo pubblico delle società anonime, però, non
ebbe la fortuna sperata. Infatti, il movimento ideologico liberalizzante,
contrario al sistema di autorizzazione e disciplina governativa sulle anonime,
che specie negli anni immediatamente precedenti la codificazione del 1865
aveva preso particolare vigore, ebbe una singolare affermazione.
Da un canto, un decreto del Ministro Minghetti dell’anno 1869 metteva a
disposizione i funzionari dell’Ufficio del sindacato sulle società commerciali e
gli istituti di credito affidando i compiti alla tutela delle Camere di commercio,
mentre dall’altro fu rinviato il varo di quell’ampio sistema di garanzie
obbiettive di legge, le quali dovevano sostituire quelle affidate all’intervento
amministrativo
e
consolidare
criteri
sperimentati
nella
pratica
dell’autorizzazione e della vigilanza pubblica72.
71
A. ASQUINI, Dal codice di commercio del 1865 al libro del lavoro del codice civile del 1942, in
Riv. Dir. comm., 1967, I, p. 1; G. FERRI, Le società commerciali nel codice di commercio del 1865,
in Studi per il centenario dell’unificazione legislativa italiana (1865-1965), Firenze, 1968, p. 48.
72
E. BOCCHINI, I vizi della Costituzione e la nullità della società per azioni, op. cit., p. 28.
37
Se allora si compongono i fattori storici, è agevole rendersi conto del silenzio
del legislatore del 1865, in tema di società nulle e la mancanza di effettiva,
adeguata tutele legislativa dei terzi e di buona fede.
E trova altresì giustificazione lo stesso atteggiamento del pensiero giuridico
nello Stato unitario che, nella limitata prospettiva che fa della società niente di
più di un contratto, capace solo di creare obblighi tra i soci e perciò in grado di
coinvolgere gli interessi degli stessi, non può applicare conseguentemente i
principi sulla nullità dei contratti che, in omaggio al dogma imperante della
volontà, si risolvono in una tutela esclusiva degli interessi dei soci73.
A tale contesto dottrinario, storico e ideologico occorre far capo per
comprendere l’evoluzione successiva del pensiero giuridico italiano in tema di
società nulle.
7. Il Codice di Commercio del 1882
Con l’entrata in vigore del codice di commercio del 1882, si è verificata, da
parte della dottrina e della giurisprudenza, una presa di coscienza anche per
l’influenza di ordinamenti stranieri e in particolare di quello francese e belga
nei quali il legislatore era intervenuto con l’emanazione di una disciplina ad
hoc.
73
A. BORGIOLI, La nullità della Società per Azioni, Milano, 1977.
38
La rigida applicazione della disciplina dettata per il contratto non poteva non
essere avvertita dai giuristi, in quanto il contratto di società non si prestava ad
essere collocato nell’esclusiva prospettiva contrattualistica e necessitava di una
prospettiva più ampia che tenesse conto non solo del suo essere, ma anche del
suo divenire sia come rapporto di durata che come attività-impresa collettiva74.
La dottrina, in questo periodo, avverte sul piano pratico l’ingiustizia
sostanziale dell’applicazione rigida dei principi contrattuali della nullità al
campo delle società75. Questo secondo periodo, perciò, è caratterizzato dal
formarsi di un vasto movimento dottrinario che reclama una sistemazione più
giusta della materia in esame, una adeguata tutela dei terzi, affinché essi
vengano danneggiati dalla nullità di un contratto a cui non hanno preso parte e
di cui non potevano conoscere i difetti.
Il problema veniva analizzato in due modi differenti che riflettevano
rispettivamente i rapporti interni ed esterni alla società, studiando e valutando
gli effetti della nullità del contratto tra i soci da un lato e di fronte ai terzi
dall’altro.
La questione si presentava più semplice per gli effetti della nullità tra i soci di
modo che in dottrina si veniva ad instaurare ben presto una communis opinio76.
74
A. DE GREGORIO, Delle società e delle associazioni commerciali, in Il cod. di comm.
commentato, Torino, 1938, p. 592.
75
E. SOPRANO, Trattato teorico pratico delle società commerciali, I, Torino, 1934, p. 123.
76
U. MANARA, Delle società e delle associazioni commerciali, op. cit., p. 407; U. NAVARRINI,
Delle società e delle associazioni commerciali, in Comm. al cod. di commercio, II, Vallardi, Milano,
1924, p. 32; T. ASCARELLI, Appunti di diritto commerciale, II, Società ed Assicurazioni
39
Si ritiene, pertanto, fatta salva l’ipotesi della nullità del contratto per l’illiceità
dell’oggetto, ipotesi in cui le operazioni compiute non potevano in alcun modo
riferirsi al fondo comune messo insieme dai soci e vanno considerate come
operazioni individuali degli amministratori per le quali gli stessi rispondono
illimitatamente, allorché la nullità trovi causa una ragione diversa dall’illiceità
dell’oggetto, nonostante la nullità del contratto, esistesse una comunione di
beni tra soci: infatti, questi ultimi si dividevano il patrimonio sociale secondo
le regole della comunione e gli aumenti e le diminuzioni verificatesi venivano
attribuiti, secondo il valore delle quote rispettive, data la nullità delle clausole
contrattuali circa la divisione degli utili e delle perdite. Se poi le perdite
superavano l’ammontare del fondo comune, i soci non erano tenuti ad alcun
conferimento supplementare.
Invece, per quanto riguarda la tutela dei terzi, e in particolare dei terzi di buona
fede, questa veniva realizzata sotto due profili; infatti, da un canto veniva
affermata la stabilità sia degli atti posti in essere dalla società nulla nei
confronti dei terzi contraenti, sia delle obbligazioni sociali assunte dalla
società nulla nei confronti degli stessi; mentre, dall’altro, veniva affermata la
responsabilità illimitata degli amministratori in generale, e con riguardo alle
società illecite, anche la responsabilità illimitata dei soci77.
commerciali, Società editrice del foro italiano, 1936, p. 88; G. AULETTA, Il contratto di società
commerciale, Milano, 1937, p. 271.
77
M. GHIDINI, Estinzione e nullità delle società commerciali, Padova, 1937, p. 160.
40
Per ciò che concerne il fondamento teorico della soluzione citata, mancava
ogni comunanza di vedute tra gli studiosi. La giustificazione teorica della
tutela dei terzi veniva individuata nella teorica pubblicistica della sanatoria
dell’atto di riconoscimento ovvero in quella, anch’essa pubblicistica, della
tutela dell’affidamento dei terzi (negli atti statuali) ovvero, ancora, nella teoria
della società di fatto.
Vi era poi anche chi si richiamava alla teoria del socio apparente o
dell’interpretazione secondo buona fede dei contratti conclusi dalla società.
Altri, ancora, facevano capo all’iscrizione nel registro delle società come
dichiarazione di volontà, o come fonte di responsabilità obiettiva78.
La dottrina italiana79 verso la fine degli anni Trenta e alle soglie della nuova
codificazione, proponeva una costruzione secondo cui il fondamento teorico
della stabilità degli atti posti in essere dalla società con i terzi sarebbe stato
costituito dal rapporto di comunione tra i soci, che si instaurerebbe in seguito
alla declaratoria di nullità dell’atto costitutivo e nell’esistenza di un mandato di
rappresentanza indiretta dei soci agli amministratori80.
Non può, tuttavia, ritenersi che i contratti conclusi in nome della società
valevano come conclusi in nome dei soci. Pertanto, i terzi riuscirono sempre a
rendere responsabili i soci dei debiti sociali, a mezzo dell’azione surrogatoria
che potevano esercitare come creditori degli amministratori.
78
L. MOSSA, Il registro di commercio, in Studi Sassaresi, 1921, p. 98.
G. AULETTA, Il contratto di società commerciale, op. cit., p. 277; M. GHIDINI, Estinzione e
nullità delle società commerciali, op. cit., p. 118.
80
G. AULETTA, Il contratto di società commerciale, op. cit., p. 279
79
41
“I creditori sociali subirono il solo sacrificio di non poter contare su un fondo
separato e di dover concorrere, con i creditori particolari, sul patrimonio dei
singoli soci”81.
Infine, la soluzione non sarebbe però applicabile ai terzi di mala fede, che
essendo a conoscenza delle cause di nullità non hanno alcuna ragione di
credito verso gli amministratori e conseguentemente verso i soci.
Quanto alle società nulle, per illiceità dell’oggetto, non potendosi parlare di un
rapporto di mandato tra soci e amministratori, il fondamento teorico della
responsabilità, sia dei soci che degli amministratori, veniva rinvenuto nell’atto
illecito compiuto. Gli azionisti persero la loro responsabilità limitata,
potendosi vedere in ciò un ostacolo alla conclusione di contratti illeciti.
Quale sia il valore dogmatico delle ipotesi dottrinarie che si diffondevano in
quel periodo e che furono oggetto di una critica puntuale da parte della dottrina
successiva82, un punto giova rimarcare: nonostante la mancanza di una
espressa disciplina della nullità delle società, nel vigore del codice di
commercio del 1882, la dottrina più evoluta giunse, in via di interpretazione
del sistema, ad assicurare una adeguata tutela dei terzi, sia attraverso
l’affermazione della stabilità dei contratti e delle obbligazioni contratte dalla
società con i terzi, sia attraverso l’affermazione della responsabilità illimitata
dei soci e degli amministratori che hanno agito per conto dei primi.
81
82
G. AULETTA, cit., p. 308.
A. AMATUCCI, Società e comunione, Napoli, 1971, p. 239.
42
E giova sottolineare che gli effetti di tale elaborazione dottrinale andavano
esercitando la loro influenza anche sui lavori preparatori del codice civile.
L’esigenza di tale chiarimento fu imposta dal fatto che il codice del 1942
dettava una disciplina della nullità della società che si discostava dai risultati e
dalle proposte formulate dalla dottrina e recepite dagli stessi Progetti legislativi
del codice del 1942.
Allora, allo scopo di comprendere il fondamento materiale e storico della
disciplina contenuta nell’art. 2332 c.c. occorre verificare in quanta parte il
pensiero giuridico formatosi sotto il codice di commercio, e in particolare nei
primi decenni di questo secolo, abbia effettivamente influenzato la nuova
normativa e per quanta parte, invece, il legislatore del 1942 abbia finito col
prescindere da tale evoluzione e a quale fonte abbia attinto e quali interessi
reali abbia inteso cautelare83.
8. Il Codice Civile del 1942.
L’art. 2332 c.c. del Codice Civile del 1942 garantiva ampia tutela ai terzi nel
sistema di pubblicità, rendendola efficiente dalla disposizione che i soci non
erano liberati dall’obbligo del conferimento fino a quando non venivano
83
G. AULETTA, cit. , p. 277 ss.
43
soddisfatti tutti i creditori sociali, nonostante la dichiarazione di nullità
dell’atto costitutivo84.
Di fronte al testo esplicito della Relazione, la dottrina dominante e la
giurisprudenza85 non hanno saputo sottrarsi alla forza della suggestione della
voce del legislatore: la ratio dell’art. 2332 c.c., perciò, è stata rinvenuta in una
applicazione del principio della tutela dell’affidamento dei terzi.
Pertanto, si giunse a ritenere che la ratio della disposizione contenuta nell’art.
2332 c.c. non risiedeva nella tutela dei terzi, ma rispondeva all’interesse dei
soci di maggioranza e del capitale di comando più in generale.
Per cominciare, l’indagine storica svolta sinora ha mostrato come ad
un’efficace tutela dei terzi fossero giunte sia la dottrina che la giurisprudenza
già sotto il vigore del codice di commercio, affermando da un lato la validità e
stabilità dei contratti e delle obbligazioni sociali poste in essere tra società
nulle e terzi e dall’altro la responsabilità illimitata degli amministratori e dei
soci agenti nei confronti dei terzi di buona fede. Tali posizioni avevano
accoglimento nel Progetto preliminare del libro dell’impresa e del lavoro.
La prima notazione rilevante, per quanto riguarda il piano storico, che si trae
dai lavori preparatori del codice del ‘42 è che la disciplina della nullità del
contratto sociale compare per la prima volta solo nel c.d. Progetto Asquini.
84
G. PANDOLFELLI, G. SCARPELLO, M. STELLA RICHTER, G. DALLARI, Codice civile,
Milano, 1942, p. 173.
85
M. PORZIO, L’estinzione delle società commerciali, Napoli, 1959, p. 100.
44
L’art. 369 del Progetto Asquini recita “Se viene dichiarata la nullità di una
società, la responsabilità dei soci per le obbligazioni assunte dalla società
prima della dichiarazione di nullità è regolata dalle disposizioni dell’art.
364”. A sua volta, tale disposizione afferma: “Per le obbligazioni sociali i terzi
possono far valere i loro diritti sul fondo sociale. Delle obbligazioni stesse
rispondono inoltre illimitatamente e solidalmente i soci e gli amministratori
che hanno preso parte in nome sociale alle operazioni sociali. Gli altri soci
rispondono in via sussidiaria illimitatamente e solidalmente, a meno che non
provino di aver assunto con contratto sociale una responsabilità limitata e che
questa limitazione era nota ai terzi nel momento in cui è sorta l’obbligazione
per la quale essi agiscono”.
Le differenze con i progetti precedenti (Progetto Vivante e Progetto D’Amelio)
sono oltre che di carattere giuridico e tecnico, anche sostanziali. Per ciò che
concerne l’aspetto tecnico, esse erano state invocate dalla stessa dottrina, che
aveva giustamente rilevato da un lato l’esigenza di un coordinamento della
disciplina della nullità, relegata al Capo VI del Titolo VI del Progetto
ministeriale del libro dell’impresa e del lavoro, sotto la denominazione Degli
effetti della mancata registrazione e della nullità del contratto, con le norme
generali in tema di società86, dall’altro l’urgenza
86
che fossero disciplinati,
G. AULETTA, Progetto ministeriale del libro del lavoro, Bozze non corrette, p. 29.
45
accanto all’aspetto della responsabilità, gli altri profili del regime delle società
nulle87.
Per quanto attiene, invece, le modifiche sostanziali apportate alla disciplina
contenuta nel Progetto ministeriale del libro dell’impresa e del lavoro, il
discorso si fa più difficile e complesso.
Il Progetto Asquini e il Progetto ministeriale dell’impresa e del lavoro
sostanzialmente recepivano gli studi e le elaborazioni della dottrina più
avvertita in tema di società nulle.
Attraverso l’affermazione della stabilità dei contratti e delle obbligazioni
sociali contratte dalla società prima della dichiarazione di nullità, e attraverso
l’affermazione della responsabilità illimitata non solo del patrimonio sociale,
ma anche degli amministratori e dei soci, veniva realizzata la tutela dei terzi 88.
Sul fronte di tale tutela dei terzi, il codice del ‘42 non contiene nessun’altra
disposizione rispetto a quanto la dottrina e la giurisprudenza non avessero già
affermato sotto il codice di commercio in via di interpretazione, e di quanto i
precedenti Progetti avessero sostanzialmente già recepito.
All’opposto, l’art. 2332 c.c. introduceva nella disciplina delle società nulle due
punti la cui portata innovativa va rimarcata, in quanto rappresentano la chiave
di volta per l’individuazione della funzione e del fondamento materiale della
norma.
87
88
P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, p. 82.
P. SPADA, La tipicità delle società, op. cit., p. 85.
46
Da un lato, sempre e in ogni caso, veniva affermato il privilegio della
responsabilità limitata dei soci, anche nelle società ad oggetto illecito;
dall’altro veniva estesa la tutela a tutti i terzi, ancorché di mala fede.
Pertanto, il codice civile del 1942 ha introdotto modificazioni rilevanti nei
rapporti tra gli organi della società per azioni, svalutando il ruolo
dell’assemblea, accentuando, in tal modo, il peso del gruppo di comando 89. I
fenomeni di concentrazione monopolistica, pertanto, trovano una obiettiva
facilitazione in un sistema che mette gli azionisti di comando al riparo da ogni
possibile interferenza nelle loro scelte.
In tale contesto è agevole rendere ragione del salto di indirizzo normativo del
legislatore del ’42, rispetto ai Progetti precedenti.
Infatti, la dottrina e la giurisprudenza avevano già interpretato la tutela dei
terzi durante il periodo in cui vigeva il codice di commercio, affermando da un
lato la stabilità degli atti posti in essere dalla società nulla con i terzi e
dall’altro la responsabilità illimitata degli amministratori e dei soci agenti, nei
confronti dei terzi in buona fede. Inoltre, tali soluzioni venivano recepite anche
dal Progetto Asquini e dal Progetto ministeriale del libro dell’impresa e del
lavoro.
Sul fronte della tutela dei terzi, dunque, il codice civile del ’42 in realtà nulla
aggiunge alla situazione previgente: al contrario segna un regresso, eliminando
89
T. ASCARELLI, Tipologia della società per azioni e disciplina giuridica, in Riv. Soc., 1959, p.
995.
47
la responsabilità illimitata degli amministratori e dei soci e assicurando il
privilegio della responsabilità limitata ai soci, nonostante la nullità della
società. Il vero carattere saliente della norma e il suo nucleo focale rispetto alla
situazione previgente risiede proprio in questa estensione del privilegio della
responsabilità limitata alle società nulle, comprese le società con oggetto
illecito.
Già una autorevole dottrina, sensibile alle esigenze sostanziali socioeconomiche del diritto delle società, ha evidenziato che, nella gestione
dell’impresa, il privilegio della responsabilità limitata dei soci delle società di
capitali, rispetto all’imprenditore individuale o ai soci delle società di persone
sfugge ad una giustificazione razionale; l’estensione di tale privilegio alle
società nulle, ancorché illecite, rappresenta l’ipostasi di quel principio90.
9. La Direttiva delle Comunità europee 9 marzo 1968, n. 151.
Il periodo che risale all’inizio degli anni Settanta è caratterizzato
dall’intervento normativo delle Comunità europee.
Il Consiglio delle Comunità Europee adottò la prima direttiva intesa a
coordinare le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a
mente dell’art. 5891, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi
90
91
D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971.
Articolo 58 del Trattato Unione Europea:
48
dei soci e dei terzi, in data 9 marzo 1968, ossia la Direttiva n. 151, avente ad
oggetto prescrizioni in tema di nullità per società.
Il Governo della Repubblica, in data 13 ottobre 1969, venne autorizzato ad
emanare le norme necessarie per assicurare l’esecuzione degli obblighi
derivanti dalla Direttiva, non oltre il 31 dicembre 1969.
Venne così emanato il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127, portante
«Modificazioni alle norme del codice civile sulle società per azioni, in
accomandita per azioni e a responsabilità limitata, in attuazione della Direttiva
9 marzo 1968, n. 151, del Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee».
Tale decreto modifica il testo originario dell’art. 2332 c.c. sostituendo,
all’originario primo comma dell’articolo, due comma, dei quali il secondo
riproduce sostanzialmente l’originario primo comma, mentre il primo contiene
l’elencazione dei casi nei quali soltanto la nullità delle società può essere
pronunciata. Per il resto l’articolo resta inalterato.
La neo-formulazione dell’art. 2332 c.c. pone all’interprete una serie di
problematiche, non solo di natura esegetica.
1. Le disposizioni dell'articolo 56 non pregiudicano il diritto degli Stati membri:
a) di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione
tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di
residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;
b) di prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle
regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale
sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a
scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine
pubblico o di pubblica sicurezza.
49
L’indagine appare indispensabile per comprendere le scelte operate dal
legislatore comunitario e la gamma di interessi e di valori sottostanti alla
Direttiva comunitaria. Esistono, in realtà, due diversi sistemi legislativi per
garantire l’osservanza delle prescrizioni legali previste per la costituzione della
società per azioni: preventivo/repressivo92.
Il primo sistema consiste nel predisporre un controllo, affidato all’autorità
giudiziaria o amministrativa, in sede di costituzione della società. Con tale
sistema ci si propone di prevenire ogni causa di nullità della società e di
prevedere che gli eventuali vizi della costituzione restino assorbiti dalla
avvenuta iscrizione della società. Questo, tra l’altro, è il sistema seguito dalla
Gran Bretagna (come si vedrà più approfonditamente nei capitoli successivi),
oltre che dagli Stati Uniti e dall’ordinamento svizzero.
Invece, il sistema repressivo prevede che non venga effettuato nessun controllo
in sede di costituzione della società, e quindi rimette ai soci il compito di
osservare le prescrizioni di legge. In via repressiva, a fronte di tale libertà il
sistema sanziona la violazione delle prescrizioni di legge, comminando la
nullità dell’atto costitutivo e la responsabilità civile e penale degli
amministratori e dei soci fondatori93. É il sistema seguito, ad esempio,
dall’ordinamento francese.
92
93
A.B. LEVY, Private corporations and their control, I, London, 1950, p. 46.
A.P. SERENI, Le società per azioni negli Stati Uniti, Milano, 1951, p. 55.
50
In Italia e in Germania esistevano dei sistemi compositi, che combinavano il
sistema preventivo e quello repressivo: pur essendovi previsto un controllo
giudiziario o amministrativo preventivo sulla costituzione della società, in tali
sistemi gli eventuali vizi della costituzione venivano sanzionati con la nullità
della società o dell’atto costitutivo.
Per ciò che concerne la nullità della costituzione della società, le varie
soluzioni, prima dell’avvento della Direttiva Comunitaria, adottate dagli stati
membri della Comunità, non presentavano molti punti in comune.
Vale la pena indicare brevemente, qui di seguito, quali fossero le
caratteristiche e gli aspetti peculiari dell’istituto della nullità delle società
nell’ordinamento tedesco, visto che proprio la disciplina tedesca ha
rappresentato, tra le altre legislazioni vigenti in materia, quella più completa ed
organica e, peraltro, si può notare come la stessa Direttiva si sia basata sul
modello tedesco del Aktiengesetz del 1965.
In Germania l’AktG del 1965 limitava tassativamente le cause di nullità della
società per azioni94.
Nessun’altra causa di nullità poteva essere presa in considerazione, all’infuori
di quelle previste dalla legge. Ed è interessante al riguardo marcare che la
dottrina e la giurisprudenza tedesche escludevano che la società potesse essere
94
J. GIERKE, Handelsrecht und Schiffartsrecht, Berlin, 1958, p. 286.
51
dichiarata inesistente, fuori dei casi previsti dall’art. 275 AktG95. In particolare,
la nullità delle società poteva essere dichiarata solo per mancanza di una delle
clausole statutarie essenziali previste dall’art. 23 AktG o per la loro nullità.
Sono essenziali le clausole aventi ad oggetto la denominazione e la sede della
società, l’oggetto sociale, l’ammontare del capitale sociale, il valore nominale
e il numero delle azioni, la previsione delle differenti categorie di azioni, le
forme di pubblicità degli atti sociali.
Per effetto del sistema considerato l’omessa indicazione negli statuti delle
indicazioni obbligatorie relative agli apporti in natura, alla stima dei beni, ai
benefici riservati ai soci fondatori non era sanzionata con la nullità, ma con la
mera inefficacia nei confronti della società. Ogni altra causa di inefficacia
delle clausole statutarie non comportava alcuna conseguenza in ordine alla
validità dell’atto costitutivo.
L’azione di nullità poteva essere esercitata solo dagli azionisti e dai membri
della Direzione, mai invece dai terzi. L’azione, inoltre, doveva essere
promossa nei tre anni dall’iscrizione della società; le cause di nullità dopo la
scadenza dei tre anni potevano essere fatte valere anche d’ufficio, come cause
di scioglimento. La sentenza che dichiarava la nullità era inserita nel registro
di commercio e aveva efficacia erga omnes. La causa di nullità qui opera come
causa di scioglimento e la liquidazione si effettua secondo le regole della
Prima dell’entrata in vigore dell’AktG del 1965 era controverso se oltre i vizi indicati dalla legge
potessero essere ammesse altre cause di nullità una volta avvenuta l’iscrizione.
95
52
liquidazione conseguente allo scioglimento. I liquidatori non possono
intraprendere nuove operazioni, ma solo continuare quelle in corso. La validità
degli atti compiuti in nome delle società non è inficiata dalla dichiarazione di
nullità. I soci sono tenuti ad effettuare i loro versamenti se ed in quanto sono
necessari per gli adempimenti degli obblighi assunti. In conclusione, si può
affermare che nell’ordinamento tedesco, la nullità agisce come una vera e
propria causa di scioglimento.
Ora, la Direttiva si prefiggeva l’obiettivo di ridurre le cause di nullità negli
ordinamenti che non prevedevano una gamma chiusa delle cause di nullità e,
di conseguenza, riconoscevano tutte le altre nullità generali previste per i
contratti96 come cause di nullità dell’atto costitutivo.
Nell’ordinamento italiano, il sistema prevedeva e contemplava, senza
identificarle, le cause di nullità, intese in senso tecnico, dell’atto costitutivo.
In particolare, i principi stabiliti dalla Direttiva Comunitaria97erano:
1. riduzione delle possibili cause di nullità della società;
2. sanabilità da parte della società delle cause di nullità;
3. conversione delle cause di nullità in cause di scioglimento e
conseguente affermazione della “validità degli obblighi assunti nei
confronti di essa”;
A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, per quanto riguarda l’Italia. In Francia, invece,
il principio era sancito dall’art. 360 della legge 24 luglio 1966 sulle società commerciali.
97
E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la nullità della società per azioni, Napoli, 1977, p. 46.
96
53
4. necessità che la nullità sia pronunziata con sentenza e che questa sia
pubblicata ai fini dell’opponibilità ai terzi.
Tenendo comunque conto della varietà e delle evoluzioni che alcuni
ordinamenti europei stavano subendo, le molteplici soluzioni legislative
adottate
nei
singoli
stati
membri
possono
comunque
trovare
un
raggruppamento, seguendo le principali linee di tendenza che emergono dalle
impostazioni adottate.
10. (Segue): Le cause di nullità ammesse nella proposta di direttiva.
Il principio della limitazione delle cause di nullità, originariamente, era stato
formulato in modo estremamente rigoroso. Erano state ammesse le sole ipotesi
di invalidità riguardanti la mancanza dell’atto costitutivo; l’inosservanza delle
formalità di controllo preventivo; la mancanza della forma dell’atto pubblico e
l’illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto della società.
L’ultima invalidità non causava nessuna difficoltà, mentre le prime tre
avevano importato una specie di compromesso, poiché il tentativo di
introdurre in tutti i paesi una forma di controllo giudiziario preventivo era stata
abbandonata di fronte alla netta opposizione delle delegazioni belga e
lussemburghese, le quali avevano fatto presente che i magistrati dei loro
rispettivi paesi non erano preparati per sostenere compiti del genere.
54
Per tale motivo era stata imboccata la strada delle soluzioni alternative, volte a
consentire forme di controllo capaci di offrire garanzie equivalenti. Tali ipotesi
sono state trasfuse nel testo finale della direttive e fatte proprie dal legislatore
italiano.
a) La mancanza dell’atto costitutivo. Si trattava di un’ipotesi che
implicitamente poteva ricavarsi dalla disciplina dei vari ordinamenti, per
quanto di rilevanza più teorica che pratica.
Introducendo il principio della limitazione delle cause di nullità, poteva destare
perplessità il fatto che si ignorasse completamente una fattispecie del genere,
sia che si dovesse interpretare la mancanza dell’atto costitutivo come difetto
del documento scritto, sia che la si dovesse intendere come inesistenza del
relativo negozio giuridico.
Infatti, se è vero che in pratica essa costituisce un’ipotesi difficilmente
realizzabile, non sembrava opportuno escludere la possibilità che i singoli
ordinamenti si premunissero contro di essa, dal momento che si tratta di un
vizio fra i più radicali, in quanto manca completamente l’atto sul cui
presupposto dovrebbe nascere la società in una fattispecie come questa.
Facendo difetto un atto costitutivo, veniva a mancare anche l’oggetto del
controllo al quale era subordinato il riconoscimento della società; di qui la
rilevanza anche pubblicistica di tale elemento e la ragione per la quale se ne fa
menzione insieme al difetto della forma di atto pubblico e al difetto di
controllo amministrativo o giudiziario.
55
La causa di nullità in oggetto è posta sullo stesso piano di altre invalidità di
carattere puramente formale e ciò sta a dimostrare che al difetto in questione
non viene attribuito valore materiale, ma essenzialmente formale. Perciò, non
si tratta di inesistenza del negozio giuridico, ma di mancanza del documento e
delle eventuali ipotesi ad essa equivalenti.
b) L’inosservanza delle formalità di controllo preventivo. I paesi che avevano
adottato il sistema del controllo preventivo erano Germania, Italia e Paesi
Bassi. Solo in quest’ultimo ordinamento, tuttavia, si riteneva che la mancanza
del controllo preventivo producesse la nullità della costituzione della società.
c) La mancanza della forma dell’atto pubblico. La legge in Italia non
disponeva espressamente la sanzione della nullità per difetto di atto pubblico,
limitandosi a prescrivere che la società deve costituirsi per atto pubblico (art.
2328 cod. civ.). A tal punto, mentre la giurisprudenza e parte della dottrina si
erano orientate a favore della nullità, la dottrina prevalente osteggiava tale
soluzione. Taluni autori sostenevano che tra le cause di nullità tassativamente
ammesse non fosse ricompreso il difetto della forma di atto pubblico, che tale
difetto avrebbe provocato la nullità della società98. Secondo tale opinione, la
soluzione si sarebbe imposta sulla base di esigenze di certezza del diritto
altrettanto impellenti di quelle che avevano indotto il legislatore a introdurre il
98
G. GORLA, Le società secondo il nuovo codice, II, Milano, 194, p. 8; A. BRUNETTI, Trattato del
diritto delle società, II, Milano, 1948, p. 193; F.P. PUGLIESE, L’atto pubblico e la società persona.giuridica, in Dir. fall., 1946, I, p. 9; U. MAJELLO, L’atto pubblico nella costituzione di società di
capitali, in Foro it., 1954, I, p. 1446; G. SCALFI, La forma nei contratti di società di capitali, in
Temi, 1950, p. 521; L. GENOVESE, Le forme integrative e le società commerciali irregolari, in Riv.
Trim. dir. proc. Civ., 1948, p. 128.
56
principio della tassatività delle cause di nullità. Ma, l’opinione prevalente
respingeva tale tesi99.
Il principio di tassatività della norma esprime la necessaria previsione, da parte
del legislatore, delle fattispecie legali cui il precetto si applica. In base a tale
principio, la norma è valida in quanto il legislatore ne abbia previsto gli
elementi costitutivi; esso è immanente in tutto l’ordinamento giuridico in
quanto concorre a rendere possibile l’applicazione giudiziaria della norma
impedendo il soggettivismo del giudice, nonché il ricorso alla analogia.
Tale principio rappresenta un dato fortemente garantista in diritto penale,
perché concorre a fondare uno dei suoi pilastri, ovvero il fatto. Senza di questo
si avrebbe un diritto penale del sospetto dove il comportamento sanzionato può
essere determinato da fonti extrapenali.
La mancanza dell’atto costitutivo è un’ipotesi che dovrebbe assorbire anche
quella mancanza dell’atto pubblico; infatti, se non vi è atto costitutivo non vi
dovrebbe neppure essere un atto costitutivo avente la forma di atto pubblico100.
Questo ragionamento può essere valido se per mancanza di atto costitutivo
viene intesa la mancanza materiale del medesimo; ma è proprio questo il senso
che doveva essere attribuito al testo in esame, appunto perché la mancanza
dell’atto costitutivo era contemplata in alternativa ad altri elementi tutti
P. ABBADESSA, Nullità della società per mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332 n.1), in
Giur. comm., 1974.
100
G. FERRI, Disarmonie della legge di armonizzazione, in Riv. Dir. comm., 1970, I, p. 80.
99
57
attinenti all’attività di controllo sulla costituzione e quindi doveva avere
analoga funzione.
d) L’illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto della società. Si
tratta di già prevista causa di invalidità della costituzione della società. La
formula adottata si giustifica per la necessità di evidenziare il concetto di
ordine pubblico, per un migliore coordinamento delle soluzioni accolte negli
stati membri, e si riferisce quindi alla contrarietà alle norme imperative o ai
principi inderogabili dell’ordinamento.
11. Il problema della nullità della S.p.A.
La nullità della S.p.A. deve essere intesa innanzitutto come la disciplina di un
determinato tipo di fattispecie, riconducendo il problema ai suoi contenuti
valutativi.
La vera questione si impernia sulla valutazione di una certa normativa, la quale
risulta invocabile soltanto in alcune situazioni. Risulta particolarmente
significativa la disposizione che condiziona l’applicabilità del principio della
limitazione delle cause di nullità all’avvenuta iscrizione nel registro delle
imprese101.
101
E correlativamente si pone il problema di identificare quale sia la disciplina applicabile
prima dell’iscrizione, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei vizi o anomalie
relative ai vari atti o fasi del procedimento costitutivo.
58
Infatti, non vi è dubbio che la limitazione delle cause di nullità realizzi un tipo
di disciplina diversa da quello generalmente previsto in materia negoziale; ma
con ciò si pone in evidenza un contenuto di natura essenzialmente normativa e
al tempo stesso se ne indicano i presupposti d’applicazione.
Tutta
la
disciplina
prevista
nell’art.
2332
c.c.
risulta
condizionata
dall’iscrizione nel registro delle imprese102.
In tal modo, la dichiarazione di nullità, secondo quanto afferma il 2° comma,
nonché dalla circostanza che le operazioni compiute in nome della società
prima dell’iscrizione trovano la loro regolamentazione nell’art. 2331 c.c., non
pregiudica l’efficacia degli atti compiuti dalla società dopo l’iscrizione103.
I successivi tre commi dell’art. 2332 c.c. mostrano di essere condizionati
all’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese104. L’esistenza di creditori
sociali, infatti, implica l’esistenza di una società il cui procedimento di tale
costituzione si sia completato con l’iscrizione, perché prima di tale momento
102
E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni,
in Riv. Soc., 1975; G. FERRI, Delle società, in Commentario del Codice civile, BolognaRoma, 1968; G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di
società di persone, in Riv. Dir. civ., I, 1963; C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975; P.
FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971.
103
Allo stesso tempo la previsione di atti compiuti dopo l’iscrizione sta a dimostrare che la
legge considera come caso tipico quello di una società nulla che abbia operato e svolto
un’attività e che la disciplina dell’art. 2332 cod. civ. è concepita per soddisfare le esigenze che
da tale attività scaturiscono. F. FERRARA, C. CORSI Gli imprenditori e le società, Milano,
2001; G. COTTINO, Società per azioni, in Novissimo digesto italiano, vol. XVII, Torino,
1970.
104
Sotto questo profilo il sistema attuale non sembra discostarsi da quello previgente; infatti
anche allora la disciplina della nullità dell’atto costitutivo era dettata con riferimento al
periodo successivo alla iscrizione nel registro delle imprese.
59
non si hanno propriamente creditori sociali, ma soltanto creditori di coloro che
hanno agito in nome della costituenda società.
La possibilità di nominare i liquidatori, d’altro canto, presuppone una
situazione che possa essere valutata in termini societari, e più precisamente
come società per azioni, perché lo scioglimento e quindi anche la liquidazione
sono fenomeni che di regola riguardano una società esistente e per di più
funzionante105.
Anche una modificazione dell’atto costitutivo, con le relative implicazioni sul
piano della disciplina dell’assemblea e del funzionamento di questa, sembra
voler sottintendere una società già iscritta106. Infatti, prima dell’iscrizione
qualsiasi manifestazione di volontà degli interessati, diretta a modificare le
basi sostanziali dell’affare, non sembra possa essere valutata alla stregua di
una modifica dell’atto costitutivo, in senso tecnico, ma solo come una sua
revoca per mutuo dissenso, alla quale potrà quindi far seguire la stipulazione di
un nuovo atto costitutivo.
È stato posto in dubbio che le cause di nullità che possono essere fatte valere
prima dell’iscrizione nel registro siano diverse e più ampie di quelle che
105
In particolare, la liquidazione è il procedimento con cui si pagano i creditori sociali allo
scopo di rendere disponibile il patrimonio della società e consentirne la divisione fra i soci.
Essa viene caratterizzata da varie fasi, ossia quella che consiste nel saldo dei debiti sociali
precede necessariamente quella di distribuzione del residuo fra i soci. È evidente che se non vi
sono debiti da soddisfare non vi è necessità della liquidazione, ma si può procedere
direttamente alla divisione dei beni. Ciò dimostra indirettamente che la previsione legislativa
di cui all’art. 2332 cod. civ. si riferisce ad una società che, non solo è costituita, ma è anche
operante, cioè svolge un’attività.
106
Cfr. Cass., 24/09/1956, n. 3254, in Foro it., 1956, I, 1800 in materia di aumento di capitale.
60
possono essere fatte valere dopo l’iscrizione, ai sensi dell’art. 2332 primo
comma cod. civ.
Infatti, si è tentato di accreditare la tesi secondo la quale l’omologazione non
potrebbe essere negata se non per le cause di nullità ammesse da tale norma 107.
Inoltre, se è vero che l’iscrizione sana le altre cause di invalidità, ciò starebbe a
dimostrare che queste non possono essere considerate in alcun modo vere e
proprie cause di invalidità, ma qualcosa di diverso, perché, se fossero
effettivamente tali, esse dovrebbero funzionare anche nella fase successiva
all’iscrizione108.
Tale tesi postula che vi sia una perfetta corrispondenza fra motivi di rifiuto
dell’omologazione e cause di nullità, corrispondenza che non solo non vi è
dubbio che mancasse nel sistema previgente, ma è altresì certo che faccia ora
difetto anche in quello attuale109.
A proposito del giudizio di omologazione, l’art. 2332, 3° comma, c.c. prevede
che il Tribunale verifichi le condizioni stabilite dalla legge per la costituzione
della società. La sanzione della nullità da luogo ad una norma di carattere
107
E. SIMONETTO, Questioni in materia di nullità nascenti dalla nuova normativa in
materia societaria, in Dir. fall., 1970; G. SANTINI, Tramonto dello scopo lucrativo nelle
società di capitali, in Riv. Dir. civ., 1973.
108
E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni,
in Riv. Soc., 1975; S. MACCARONE, Nullità, amministrazione e pubblicità nel sistema delle
nuove norme sulle società commerciali, in Banca, borsa, tit. cred., 1971.
109
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, Milano, 1954; F. FERRARA, Gli
imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; M. CASANOVA, Registro delle imprese, in
Novissimo digesto italiano, vol. XI, Torino, 1968.
61
eccezionale e non si può ritenere che la medesima risulti applicabile quando
ciò non risulti espressamente previsto110.
È chiaro che non tutti gli elementi richiesti dalla legge per la costituzione della
società possono considerarsi prescritti a pena di nullità; così che viene
necessariamente a cadere l’ipotesi di una corrispondenza fra la situazione
anteriore e quella successiva all’iscrizione, almeno in ordine ai motivi di
invalidità. D’altra parte, neppure sembra che si possa far credito di
un’abrogazione implicita delle disposizioni relative alle condizioni che non
sono state stabilite a pena di nullità, a causa di una loro presunta
incompatibilità con la disciplina introdotta col nuovo testo dell’art. 2332 c.c.,
perché anche questo ragionamento si fonda sul solito presupposto secondo il
quale l’omologazione consisterebbe nella verifica delle sole condizioni
richieste a pena di nullità.
Viceversa, la circostanza che il Tribunale debba verificare le condizioni
prescritte dalla legge, anche se non sanzionate dalla nullità, rende perciò
legittima l’affermazione secondo la quale, in sede di omologazione,
continuerebbero ad avere rilevanza anche tutte quelle cause di nullità che non
potrebbero risultare invocabili dopo la costituzione della società, ai sensi del
primo comma dell’art. 2332 c.c.
110
F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 4a ed., Milano, 1962.
62
Quindi, sotto tale profilo, la disciplina della nullità risulta ampiamente
differenziata, a seconda che questa venga rilevata prima o dopo l’iscrizione
della società nel registro delle imprese.
Risultano applicabili non solo quelle disposizioni che riguardano la struttura e
il contenuto del contratto, ma anche tutte quelle relative alle ipotesi di
incapacità e di vizi del consenso, le quali, a loro volta, non solo delle singole
partecipazioni, ma anche dell’intero contratto.
Se si confronta questa casistica con quella prevista nell’art. 2332 c.c., allora,
sembra legittimo accedere alla convinzione che esiste una sorta di distacco fra
i piani in cui esse giacciono; infatti, vi sono delle ipotesi di invalidità che
possono essere fatte valere prima della costituzione della società, ma, peraltro,
le stesse ipotesi diventano successivamente inoperanti oppure operano in modo
diverso.
Anche sotto questo profilo, vi è una sensibile divergenza fra le regole
applicabili, rispettivamente, prima e dopo l’iscrizione della società nel registro
delle imprese. Dunque, tale momento segna la linea di demarcazione tra due
diverse discipline111, in quanto in funzione di esso cambia il tipo di valutazione
adottabile per un determinato assetto d’interessi.
111
G. COTTINO, Società per azioni, in Novissimo digesto italiano, vol. XVII, Torino, 1970.
63
12. Il diritto comunitario e la riforma del 2003
Le novità riguardanti la nullità della s.p.a. sono ascrivibile a due fattori, ossia:
a) il primo è che l’art. 2332 c.c. è norma che, per il suo peculiare contenuto,
non è destinata ad avere frequente applicazione giurisprudenziale.
Se si prende in considerazione la giurisprudenza dall’unificazione dei codici ad
oggi ci si renderebbe conto della quasi assoluta mancanza di pronunce edite in
cui si sia dichiarata la nullità di una società di capitali ai sensi dell’art. 2332
c.c. Nonostante tutto, ciò non autorizza a considerare la disposizione priva di
rilievo applicativo, in quanto il grado di effettiva applicazione dell’art. 2332
c.c. è inversamente proporzionale al numero dei casi di nullità dichiarate 112.
b) il secondo è che le modifiche apportate al testo della norma non
costituiscono elemento di rottura rispetto al sistema precedente, ma
assecondano una tendenza emersa, non solo nel nostro ordinamento, con
l’avvio, alla fine degli ormai lontani anni ‘60 del secolo scorso, del processo di
armonizzazione comunitaria del diritto delle società di capitali. E ciò riduce
sensibilmente l’enfasi con cui le stesse sono destinate ad essere accolte.
Ciò detto, va rilevato che l’impatto della riforma sull’art. 2332 c.c. è stato
molto forte, anche se in misura diversa, sui tre principi cardine intorno ai quali
si articola la norma, ossia:
-
il principio di tassatività delle cause di nullità;
F. AULETTA, La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34, D.Lgs. 17
gennaio 2003, n. 5, in Riv. Arb., 2004.
112
64
-
il principio della liquidazione della società nulla;
-
il principio di eliminabilità dei vizi.
Senza dubbio, le maggiori novità riguardano il primo profilo, ossia quello
relativo all’individuazione delle cause di nullità, le quali hanno subito un
ridimensionamento drastico113.
Delle sette anomalie che figuravano nel testo previgente dell’art. 2332 c.c.
risultano mantenute soltanto quelle che attengono a lacune formali o di
contenuto dell’atto costitutivo, vale a dire:
1) la mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto
pubblico;
2) l’illiceità dell’oggetto sociale;
3) la mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la
denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale
sottoscritto o l’oggetto sociale.
Sono state invece soppresse le cause di nullità relative a vizi di procedimento
(art. 2332, nn. 1 e 6, c.c. vecchio testo) o riguardanti i soci (art. 2332, nn. 7 e 8,
c.c. vecchio testo).
La scelta operata dal legislatore delegato del 2003 risponde pienamente alle
indicazioni della legge delega, il cui art. 4, comma 3°, lett. b) imponeva
testualmente di «limitare la rilevanza dei vizi della fase costitutiva»114.
113
A. CANDIAN, Nullità e annullabilità di delibere assembleari, in U. M. Morello (a cura di),
Atti del convegno ‘‘Riforma delle società di capitali e nuovi principi in tema di nullità e
annullabilità di delibere assembleari’’, Paradigma, Roma - Milano, 2003.
65
La disciplina degli effetti si riduce nella previsione del 4° comma («la sentenza
che dichiara la nullità nomina i liquidatori»), per cui è stato semplicemente
disposto a carico degli amministratori, o dei liquidatori nominati ai sensi del
quarto comma, l’obbligo di iscrivere nel registro delle imprese il dispositivo
della sentenza che dichiara la nullità.
Per quanto riguarda il resto, l’assetto dell’art. 2332 c.c., è stato mantenuto
sostanzialmente inalterato.
Ulteriore novità riguarda il meccanismo della «sanatoria», la quale viene
prevista dal 5° comma. Il testo novellato si limita a disporre che «la nullità non
può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di tale
eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese.
“Non è più dunque previsto che l’eliminazione del vizio avvenga per effetto di
una modificazione dell’atto costitutivo, il che consente di ricorrere alla
sanatoria anche nel caso di mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella
forma dell’atto pubblico“ (art. 2332, n. 1).
Da quanto è stato appena detto è deducibile il significato delle novità apportate
dalla riforma alla disciplina della nullità della società per azioni non è affatto
trascurabile, anche perché la rilevanza dell’art. 2332 si estende ben oltre la
materia della nullità115.
114
M. NOTARI, Costituzione e conferimenti nella s.p.a., in Il nuovo ordinamento delle società
– Lezioni sulla riforma e modelli statutari (Consiglio Notarile di Milano, Scuola del Notariato
della Lombardia, Federnotizie), Milano, 2003.
115
SOLDATI N., Nullità della clausola compromissoria in seguito a mancato adeguamento,
articolo in rivista Diritto e pratica delle società, n. 2, 7 febbraio 2005.
66
Basti pensare ai riflessi che la stessa ha avuto sui problemi riguardanti la forma
e il contenuto dell’atto costitutivo, o su quelli della qualificazione del contratto
sociale, dell’interpretazione dello statuto e dell’inquadramento dei patti
parasociali.
Da qualche anno, in Europa si assiste ad un rallentamento che porterà ad una
vera e propria crisi del processo di armonizzazione comunitario del diritto
delle società di capitali, a favore di una prospettiva di concorrenza tra
ordinamenti, come indicano due recenti decisioni della Corte di Giustizia in
tema di libertà di stabilimento in materia societaria.
Nell’ordinamento italiano, la nullità delle società è una disciplina armonizzata
da oltre trenta anni. Infatti, il decreto di attuazione della prima Direttiva
comunitaria è del 1969.
La prospettiva dell’armonizzazione, rispetto a tale disciplina, sembra
decisamente resistere, come dimostrato anche dall’esistenza di recentissime
proposte della Commissione di revisione della prima direttiva e dalla stessa
Relazione di accompagnamento al d.lgs. 6/2003 in cui si afferma testualmente
che, nel riformare la disciplina dell’invalidità delle società, si è dovuto “tenere
conto dei vincoli derivanti dagli obblighi comunitari, quali soprattutto quelli
costituiti dalla prima direttiva europea in materia di società”116.
116
A. BARBA, Nulllità della società, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V.
Santoro, vol. 2, I, Torino, 2003.
67
Ne consegue che il criterio guida, nell’interpretazione del nuovo testo dell’art.
2332 c.c., resta quello ripetutamente sancito dalla Corte di Giustizia, ma
riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale italiana, di conformità al diritto
comunitario.
Tale principio comporta l’obbligo di preferire fra i possibili significati
attribuibili alla disposizione interna, quello conforme alla norma comunitaria.
68
CAPITOLO II
LE MODIFICHE INTRODOTTE ALL’ARTICOLO
2332 DEL CODICE CIVILE
69
1. Le modifiche introdotte dalla riforma.
L’impianto originario dell’art. 2332 è stato leggermente modificato dal legislatore
delegato, il quale ha eliminato alcune cause di nullità ed ha introdotto il nuovo 6°
comma, relativo alla pubblicità del dispositivo della sentenza dichiarativa della
nullità, e ritoccando anche la sua sanatoria.
Antecedentemente al recepimento della direttiva comunitaria, l’art. 2332 non
prevedeva alcuna elencazione delle cause di nullità; pertanto essa poteva essere
richiamata in tutte le ipotesi di invalidità del contratto ai sensi degli articoli 1418 e
1419117.
Con il D.P.R. 29 dicembre 1969, n. 1127 (di recepimento della I Direttiva CEE118)
veniva successivamente modificato l’art. 2332, rendendo maggiormente omogenea la
disciplina dei singoli Stati membri e garantendo in tal modo l’effettivo e sicuro
esercizio del principio di libertà di stabilimento dettato dall’art. 58 del Trattato
Istitutivo della Comunità Europea119.
117
A. BORGIOLI, La nullità della Società per Azioni, Milano, 1977; C. ANGELICI, La società nulla,
Milano, 1975, p. 5; M. GHIDINI, Estinzione e nullità delle società commerciali, Padova, 1937; A.
FORMIGGINI, I vizi del consenso del contratto di società, Milano, 1952; G. PALMIERI, La nullità
della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G. B. Portale,
vol. 1, Torino, 2004.
118
Il riferimento è alla direttiva n. 151 del 9 marzo 1968 (68/151/CEE), ovvero alla I Direttiva
europea emanata in materia societaria, pubblicata in Riv. Soc. 1968, p. 687.
119
M. CASSOTTANA, A. NUZZO, Diritto commerciale comunitario, Torino, 2002; A. DELLA
CHÀ, Companies right of establishment and the Centros judgement of the European Court of Justice,
in Dir. comm. int., 2000; GIULIANI THOMPSON L., Il conflitto nell’applicazione del diritto di
stabilimento primario secondario delle società europee, in Contratto e Impresa Europa, 2000.
70
Le novità che il nuovo panorama presentava al legislatore comunitario erano
caratterizzate da una vasta gamma di soluzioni previste per l’invalidità delle società;
in particolare, si potevano individuare due grandi categorie.
Nella prima ricadevano quegli ordinamenti giuridici (quali, ad esempio, quello
tedesco e italiano), in cui l’istituto della nullità delle S.p.A. si caratterizzava per una
attenta disciplina degli effetti della nullità;
d’altro canto, altri ordinamenti giuridici (Francia, Belgio e Lussemburgo) seguivano
un’altra impostazione secondo cui, quale contrappeso alla mancanza di un controllo
preventivo sugli atti societari, si prevedeva una sovrabbondanza di cause di nullità
unitamente a una complessa disciplina dei suoi effetti120.
Alcuni121 hanno rilevato che, il legislatore italiano, a differenza degli altri
ordinamenti, con il D.P.R. 29 dicembre 1969 n. 1127, ha aprioristicamente recepito
tutte le cause di nullità contemplate dalla norma comunitaria senza preoccuparsi di
adattare le soluzioni previste dalla direttiva al sistema nazionale122.
Pertanto, il legislatore della Riforma è dovuto intervenire sull’art. 2332 sia in ragione
dell’asserita superfluità e scarsa rilevanza pratica di alcune cause di nullità, sia dalla
A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 146: “[il sistema] se permetteva in molti casi di procedere alla
liquidazione della società come se si fosse trattato di un’ipotesi di scioglimento non consentiva
peraltro sempre un risultato del genere perché veniva lasciata ai terzi la scelta se far valere o meno
la nullité, per cui la soluzione aveva portata essenzialmente relativa e lasciava quindi un certo
margine d’incertezza”.
121
A. LANZA, Effetti sull’ordinamento interno dell’”opera prima” comunitaria in tema di società, in
Riv. Soc., 1970; G. FERRI, Disarmonie della legge di armonizzazione, in Riv. dir. comm., 1970; E.
SIMONETTO, Ritocchi alla normativa della società contenuti nel decreto Pres. 29 dic. 1969 n. 1127,
in Riv. dir. civ., 1970.
122
Esemplare, in tale senso, la previsione della mancanza dell’atto costitutivo quale causa di nullità.
120
71
necessità di meglio tutelare gli interessi protetti dalla norma; interessi identificati
nella sicurezza dei traffici giuridici e nel principio di conservazione della società.
In tal modo la riforma ha recepito i principi generici contenuti nella legge delega,
ossia il principio di semplificazione123, relativo a tutta la disciplina delle società di
capitali, sia alla limitazione della rilevanza dei vizi della fase costitutiva124.
La Relazione conferma tali principi, la quale precisa che i vizi sono stati soltanto
limitati a quelli che: “(…) assumono un senso alla luce della [disciplina della fase
costitutiva], escludendo quindi ipotesi di difficile se non impossibile realizzazione e
che pur in pratica mai presentatesi, avevano creato non trascurabili dubbi
interpretativi di sistema e con essi l’eventualità di orientamenti interpretativi che
potrebbero porre in pericolo il principio di tassatività delle cause di nullità alla base
della norma”.
In particolare, gli artt. 10 e ss. della I Direttiva CEE contengono i principi di
armonizzazione della disciplina della nullità della società. In essi vi è l’idea che nelle
società di capitali non bisogna consentire che un vizio relativo alla costituzione
travolga l’esistenza stessa dell’intera società successivamente alla sua iscrizione nel
registro delle imprese125.
123
Art. 2, lett. c).
Art. 4, 3° comma, lett. b).
125
G. VILLA, Introduzione al diritto europeo delle società, Torino, 1996; G. PALMIERI, La nullità,
cit., pp. 504-505 che – sebbene dall’incipit dell’art. 2332 si sia dedotto che prima della registrazione il
contratto di società è soggetto alla disciplina generale sull’invalidità negoziale (art. 1418 ss.) salva
l’applicazione delle norme specificamente dettate per i contratti associativi – ciò: “… non esclude
affatto il ricorso all’art. 2332, commi 2-6, nell’ipotesi di nullità dichiarata prima che la s.p.a. sia
stata iscritta nel registro delle imprese… Pertanto il riferimento all’iscrizione contenuto nell’incipit
dell’art. 2332 non impedisce in astratto il richiamo della disciplina degli effetti della nullità delineata
dalla norma, nel caso in cui questa venga dichiarata prima della registrazione…”.
124
72
Proprio considerando le diverse soluzioni registrate prima del recepimento della
direttiva nei vari ordinamenti sia per quanto riguarda le cause di nullità, sia per
quanto attiene agli effetti discendenti dalla dichiarazione della stessa 126, si è ritenuto
doveroso armonizzare la disciplina della nullità trasformando le cause di nullità in
cause di scioglimento, come nel nostro ordinamento prima del D.P.R 29 dicembre
1969 n. 1127 e rendendo tassative le cause di nullità, successivamente all’iscrizione
della società nel registro delle imprese.
L’art. 10, in primo luogo, prevede che venga adottata la forma pubblica per l’atto
costitutivo qualora non vi siano dei sistemi di controllo ex ante di natura
amministrativa (come in Inghilterra), o giudiziaria (come in Italia prima
dell’eliminazione dell’omologa); in seconda battuta, l’art. 11 elenca in modo
tassativo sei cause di nullità127.
G. VILLA, Introduzione, cit., p. 33, afferma: “…ad esempio si ipotizzava che qualora la società
fosse nulla per i vizi anche di sostanza (indeterminatezza dell’oggetto, mancanza delle capacità dei
soci fondatori, annullabilità della partecipazione essenziale, ecc.), non venisse tutto travolto, in
quanto si doveva ritenere che la società anonima (secondo le teorie sviluppate in Francia e Spagna)
fosse comunque una società anonima cosiddetta irregolare od una società di fatto, nel senso che,
anche se nulla come contratto o come persona giuridica, o non regolarmente costituita, aveva
prodotto effetti, aveva esercitato un’attività, che non potevano essere annullati verso i terzi. Si
trattava poi di vedere chi fossero i soci di questa società di fatto, chi rispondesse per questa anonima
irregolare”. Conformemente cfr. A. BORGIOLI, La nullità, cit., p. 155 ss. per il quale: “…è in questo
settore che, forse più che in altri, regnava la sostanziale eterogeneità di soluzioni, delle quali non
tutte apparivano rispondenti alle esigenze di sicurezza dei traffici. Ė in questo settore che la necessità
di un coordinamento si faceva dunque più urgente che altrove. Il punto nevralgico era rappresentato
dall’efficacia della pronunzia di nullità: se questa dovesse avere effetto solo per il futuro al pari di
una qualsiasi causa di scioglimento, ovvero potesse, almeno in parte, avere effetto retroattivo”.
127
In tema di cause di nullità così recitava l’art. 11: “a) mancanza dell’atto costitutivo o inosservanza
delle formalità relative al controllo preventivo o della forma di atto pubblico; b) carattere illecito o
contrario all’ordine pubblico dell’oggetto della società; c) mancanza nell’atto costitutivo o nello
statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società, i conferimenti, o l’ammontare
del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale; d) inosservanza delle disposizioni della legislazione
nazionale relative alla liberazione minimale del capitale sociale; e) incapacità di tutti i soci
fondatori; f) il fatto che, contrariamente alla legislazione nazionale che disciplina la società, il
numero dei soci fondatori sia inferiore a due”.
126
73
L’ordinamento italiano, grazie alla riforma, ha potuto selezionare le cause di nullità
che nel 1969 aveva, unico tra gli Stati membri, recepito in blocco.
Infatti, la nuova versione dell’art. 2332: non contempla quelle previste dalla lettera
a), salvo per quanto attiene alla mancanza della forma pubblica; recepisce la lettera
b), senza tuttavia riprodurre il riferimento all’ordine pubblico; richiama interamente
il dettato della lettera c); non recepisce, infine, il contenuto delle lettere d), e) ed f).
Malgrado l’assenza di una norma di chiusura analoga a quella prevista dall’art. 11,
ult. comma, della I Direttiva128, si deve ritenere che il principio di tassatività risulti
rispettato in conseguenza del fatto che l’art. 2332 prevede che la nullità possa essere
pronunciata soltanto nelle ipotesi contemplate dal 1° comma, nonostante, sotto il
profilo relativo alle cause di nullità129, sembra che il recepimento della direttiva nel
nostro ordinamento sia stato completo.
La Corte di Giustizia, malgrado l’omogeneità di soluzioni adottate negli Stati
membri e la chiarezza della norma comunitaria, è intervenuta più volte sul tema della
nullità delle società di capitali sia in ordine al principio di tassatività, sia con riguardo
all’ambito di applicazione della disciplina.
In base al quale: “…fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di
inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità”.
129
La I Direttiva lascia invece liberi i legislatori nazionali di disciplinare autonomamente il profilo dei
rapporti tra i soci.
128
74
2. Vizi dell’atto costitutivo: la mancanza della limitazione delle cause di
invalidità.
Il principio delle cause di nullità non vale se la società non è iscritta nel registro delle
imprese130. Tale limitazione è in funzione della tutela di una serie di interessi che
presuppongono una società già esistente; tale tutela non è prevista, né giustificabile
quando la società ancora non è costituita.
D’altro canto, si può rilevare che la stipulazione dell’atto costitutivo già di per sé
porta alla creazione di un particolare vinculum juris131.
Tale vincolo riguarda solo i partecipanti all’atto in quanto, per il momento, non si
potrebbero ancora produrre effetti attuali nei confronti della società, perché questa
non è ancora costituita, il che significa che l’attività degli interessati non può essere
ancora valutata come attività sociale.
Questi effetti inter partes132, d’altra parte, non hanno rilevanza autonoma, ma sono in
funzione della costituzione della società133, per cui si deve ritenere che essi vengano
meno quando risulti che non sia più possibile produrre la nascita di quest’ultima.
Sotto tale profilo si comprende come mai in taluno possa nascere l’interesse a veder
tale atto dichiarato invalido e perciò privato di ogni efficacia giuridica. Addirittura,
tale interesse può presentare un carattere di urgenza, perché attendere che la società
130
L. DI FABIO, In tema di nullità della società, in Riv. Not., 1970; E. BOCCHINI, Il
problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv. Soc., 1975; F.
FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971.
131
G. FRÈ, Società per azioni, in Commentario del codice civile, Bologna-Roma, 1972.
132
Obbligo del versamento dei tre decimi, soggezione al complemento della fattispecie
costitutiva per la durata di un anno dalla stipulazione del contratto.
133
G. ROMANO PAVONI, Teoria delle società. Tipi. Costituzione, Milano, 1953; ID,
Questioni in tema di costituzione di società di capitali, in Riv. Dir. comm., II, 1951.
75
sia stata costituita può significare veder vanificarsi e divenire irrilevanti alcuni motivi
d’invalidità, e comunque ciò significa sempre che la dichiarazione di nullità operi
come causa di scioglimento della società e quindi possa essere limitato
quantitativamente l’effetto restitutorio della relativa pronuncia.
Per tale motivo, una volta che sia stato stipulato l’atto costitutivo, i singoli
partecipanti possano impugnarlo in tutto o in relazione alle singole partecipazioni per
farne accertare la nullità o chiederne l’annullamento.
Poiché la società non si è ancora costituita e quindi non può considerarsi come
legittima passiva di tale azione, l’azione si propone nei confronti di tutti coloro che
hanno partecipato all’atto. La domanda ha per oggetto l’accertamento dell’invalidità
dell’atto costitutivo, ed è quindi diretta a far constatare che da tale atto nessun
obbligo può derivare a carico di chi ha proposto l’impugnativa, che quindi costui non
è affatto tenuto ad effettuare i conferimenti ovvero che, se egli li avesse in tutto o in
parte effettuati, questi gli devono essere restituiti integralmente; infatti, l’effetto
restitutorio dell’azione non incontra i limiti di cui all’art. 2332 c. c.
L’oggetto della domanda investe l’atto costitutivo e la disciplina applicabile va
desunta di conseguenza. Si tratta dell’impugnazione di un atto di natura negoziale,
più precisamente di un contratto, dal momento che l’inquadramento dell’atto
costitutivo fra i contratti plurilaterali non appare ormai seriamente contestata.
Ciò consente, sia pure con gli adattamenti resi necessari dalla particolare struttura di
tale atto, di applicare la normativa in materia contrattuale e regolare in tal modo
quelle particolari vicende patologiche che possono verificarsi nelle fase anteriore
76
all’iscrizione nel registro delle imprese e che possono avere rilievo più o meno
immediato sotto il profilo della problematica in oggetto.
Si noti che non interessano qui tanto le ipotesi della risoluzione per
inadempimento134 o quella della rescissione per lesione135, ipotesi che, al limite,
inserite nella materia in esame e nelle strettoie del procedimento di costituzione,
possono apparire poco più che casi di scuola, quanto piuttosto le vicende della nullità
e dell’annullabilità del contratto.
Sotto questo profilo si deve osservare che la presenza di un vizio può riguardare il
regolamento contrattuale nella sua interezza ovvero una partecipazione essenziale, e
in quest’ultimo caso travolgere poi ugualmente tutto il contratto.
Mentre nel caso della nullità si avranno, per lo più, ipotesi del primo tipo
l’annullabilità del contratto sembra confinata a fattispecie del secondo tipo.
L’individuazione delle cause di nullità dell’intero contratto deve essere quindi
compiuta, innanzitutto, facendo riferimento al disposto dell’art. 1418 c.c., in forza
del quale il contratto è nullo quando fa difetto il consenso delle parti, ovvero la causa
o l’oggetto, oppure quando l’oggetto del contratto è privo dei requisiti della liceità,
134
P. FERRO LUZZI, l contratti associativi, Milano, 1971; A. CARLO, Il contratto
plurilaterale associativo, Napoli, 1967.
135
C. MIRABELLI, La rescissione del contratto, Napoli, 1951; FRÈ, Società per azioni, cit.;
P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959; G. FERRI, Delle società,
in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1968.
77
della determinatezza o determinabilità, o la causa è illecita o è illecito il motivo
determinante comune alle parti, ovvero se manca la forma essenziale136.
Senza pretesa di fornire qui un catalogo completo dei vizi, si può tuttavia ricordare,
scendendo ad esaminare qualche aspetto particolare di tali vicende, che la mancanza
del consenso può realizzarsi oltre che nelle ipotesi scolastiche del contratto di società
concluso per gioco o per esercitazione di scuola137, anche nel caso di dissenso
occulto138 ovvero di violenza assoluta o di consenso prestato in stato di ipnosi, per
tacere poi dell’ipotesi dell’assoluta mancanza dell’atto costitutivo.
La mancanza della causa non sembra viceversa avere rilievo in quanto l’atto
costitutivo di società per azioni è un negozio a causa tipica; lo stesso argomento vale
per escluderne l’illiceità139.
Non così, viceversa, per quanto riguarda l’illiceità del motivo determinante, che sia
comune a tutte le parti. La società può infatti essere costituita con l’intento di
destinare ad una finalità non lecita gli utili sperati140, benché l’oggetto sociale, in sè e
per sè, sia da considerarsi lecito; lo stesso si dica nell’ipotesi in cui un oggetto lecito
136
R. SACCO, Il contratto, Torino, 1975.; F. MESSINEO, Il contratto in genere, II, in
Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1972.
137
M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972; C. VIVANTE, Trattato di diritto
commerciale, 4a ed., IV, Milano, 1916.
138
P. GRAZIANI, La società per azioni, Napoli, 1948; F. MESSINEO, Manuale di diritto
civile e commerciale, vol. III, I, 1, Milano, 1952.
139
SPATAZZA, Le società per azioni, I, cit., p. 45.
140
GHIDINI, Società personali, cit., p. 905.
78
sia preordinato a favorire e rendere possibile un’ulteriore e diversa attività illecita141.
In questi casi la nullità dell’ atto costitutivo è inevitabile.
D’altro canto, per quanto riguarda l’oggetto sociale, si può osservare che condurrà
alla nullità dell’atto costitutivo la sua illiceità, la sua assoluta indeterminatezza e, in
base ai principi, anche la sua impossibilità.
Un’ulteriore causa di nullità è rappresentata dal difetto della forma essenziale, cioè
dalla mancanza di un atto pubblico142.
141
GHIDINI, Società personali, cit., il quale adduce il seguente esempio: una società avente
come oggetto (lecito) la costruzione di contenitori che, secondo il comune intento dei soci,
sono destinati ad un terzo che deve servirsene per lo spaccio di stupefacenti, con l’intesa della
divisione del guadagno conseguito in tale ulteriore illecita attività.
142
Se la forma dell’atto pubblico sia richiesta quale requisito di validità dell’atto costitutivo in
sè considerato, ovvero in funzione della sua iscrizione nel registro delle imprese, quindi quale
requisito di validità della società. Sembra peraltro certo che, anche accogliendo quest’ultima
tesi, l’atto costitutivo non può essere considerato fine a se stesso; per cui - difettando della
forma essenziale per la costituzione della società - risulterebbe inutilmente stipulato. Con
l’ulteriore conseguenza che, una volta stipulato in una forma inidonea allo scopo per il quale
esso viene concluso, deve potersi far valere tale genere di vizio, perché questo non può essere
eliminato, se non attraverso la ripetizione dell’atto nella forma prescritta.
79
3. I vizi previsti nell’art. 2332 c.c.
L’art. 2332 contempla i vizi possibili della costituzione della società, i quali, pur
riguardando l’atto costitutivo, non sarebbero da considerarsi causa di nullità sulla
base dei principi generali, oppure non riguardano affatto l’atto costitutivo, ma altri
elementi del procedimento di costituzione.
Sia l’atto costitutivo che gli altri elementi del procedimento di costituzione non sono
fine a sé stessi, ma, viceversa, sono in funzione della nascita della società, la quale,
una volta costituita, potrebbe essere dichiarata nulla ai sensi dell’art. 2332 c.c.
Perciò, in questi casi, potrebbe apparire preferibile che la nullità sia subito rilevabile,
per un evidente principio di economia di attività, senza dover attendere che il
procedimento di costituzione si sia completato.
La legge considera rilevanti i vizi che riguardano elementi diversi dell’atto
costitutivo143 sotto il profilo di cui all’art. 2332 c. c. perché si riflettono sulla società,
in quanto tale; viceversa, fino a quando la società non sia costituita, oggetto di
autonoma impugnazione può essere solo l’atto costitutivo e ciò per l’intuitiva ragione
che non si può impugnare ciò che non è ancora venuto ad esistenza.
Il difetto del versamento dei tre decimi, ovvero il difetto di omologazione, non
influiscono infatti sulla validità dell’atto in sé, ma piuttosto sulla sua efficacia, in
quanto si pongono come ostacolo al regolare completamento della fattispecie
costitutiva. Quindi, fino a quando non sia spirato il termine di un anno dalla
I vizi contemplati nell’art. 2332 c.c., che riguardano il contenuto o la forma dell’atto
costitutivo possono essere fatti valere non appena l’atto costitutivo sia stato stipulato. Infatti
essi non sono eliminabili se non in conformità ai principi in materia contrattuale e quindi
attraverso la ripetizione dell’atto nella forma e con il contenuto voluto dalla legge.
143
80
stipulazione di un atto costitutivo non si può escludere che tali elementi possano
essere completati a cura degli interessati, trattandosi di elementi intrinseci rispetto
all’atto medesimo.
La conclusione è che i vizi in oggetto sono senz’altro rilevabili in sede di
omologazione, perché questa consiste in un controllo di legalità, e non in
un’impugnazione; e lo possono essere, almeno in parte, anche in sede di iscrizione144.
Viceversa, non potrebbe impugnarsi la validità dell’atto costitutivo per tali motivi.
Infatti, non si è in presenza di un’ipotesi di invalidità, ma di inefficacia e l’eventuale
azione diretta ad accertare l’inefficacia non può precludere la possibilità che le
condizioni di efficacia si realizzino, anche in pendenza della lite, almeno fino a
quando ciò sia consentito dalla legge.
L’invalidità dell’atto costitutivo, oltre che da un vizio intrinseco, può derivare anche
dalla nullità o annullabilità di una partecipazione che, secondo le circostanze, sia da
ritenere essenziale145; quindi, è un vizio della partecipazione e non dell’atto in sé.
Infatti, ciò che conta in questi casi non è il grado di estensione del vizio del
regolamento, ma unicamente il riflettersi sulla funzione dell’organizzazione della
prestazione che viene a mancare per effetto del vizio della partecipazione146.
144
Il cancelliere addetto si può infatti legittimamente rifiutare di iscrivere una società per la
quale faccia difetto l’omologazione e il conseguente ordine di iscrizione.
145
G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di
persone, in Riv. Dir. civ., I, 1963; P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971; L.
FERRI, La società di due soci, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1959; T. ASCARELLI, Contratto
plurilaterale, comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio di una società
personale di due soci, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; A. AMATUCCI, Società
e comunione, Milano, 1971.
146
C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975; L. FERRI, Le società, Torino, 1971;
GHIDINI, Società personali, cit.
81
Non vi è dubbio sul fatto che la situazione presenti una certa analogia con quella
dell’impossibilità dell’oggetto sociale147; peraltro, dubbio è che le due fattispecie
possano identificarsi, nel senso che il venir meno di una partecipazione essenziale si
converta senz’altro in un’ipotesi di impossibilità dell’oggetto.
Il fenomeno è caratterizzato da una inidoneità dell’organizzazione, che residua a
seguito del venir meno della partecipazione essenziale, a realizzare quelle finalità che
il regolamento contrattuale contemplava ab initio. Il che comporta che si possa
parlare di un’alterazione delle basi economiche dell’affare; alterazione che è da
valutare secondo le circostanze così come previsto testualmente dagli artt. 1420 e
1446 c.c.
Quindi, la valutazione avviene secondo un parametro relativo, che può dipendere
anche da apprezzamenti soggettivi circa la situazione che venga a realizzarsi a
seguito dell’invalidazione della singola partecipazione.
La valutazione circa l’essenzialità della partecipazione va fatta in relazione al
momento della stipulazione del contratto. La disciplina degli artt. 1420 e 1446 cod.
civ., infatti, si riferisce ad un contratto che non ha ancora ricevuto esecuzione,
presuppone quindi una situazione statica148 che si realizza solo finché la società non
sia stata effettivamente costituita. Si aggiunga che, una volta che la società sia stata
iscritta nel registro delle imprese, la causa di invalidità in oggetto diventa
147
V. SALANDRA, La nullità delle società secondo il nuovo codice, in Riv. Dir. comm., I,
1946; L. FERRI, Delle società, in Commentario del Codice Civile, 2a ed., Bologna-Roma,
1968.
148
Quindi una situazione di identità delle parti e di immutabilità della loro reciproca posizione;
GHIDINI, Società personali, cit., p. 896.
82
assolutamente irrilevante sotto il profilo dell’art. 2332 c.c., per cui sarebbe spontaneo
prendere in considerazione l’eventuale successivo mutamento delle reciproche
situazioni soggettive dei membri della compagine sociale149.
L’applicazione dei principi in materia d’invalidità alle fattispecie fin qui considerate
non presenta difficoltà insormontabili. L’atto costitutivo può essere impugnato senza
limiti, perchè il contratto sociale, fino a quando la società non sia stata iscritta,
produce solo effetti inter partes.
Per lo più, si aggiunga che tale atto non avrà neppure avuto esecuzione; infatti, esso è
diretto ad organizzare un’attività futura, ma tale attività può avere inizio solo quando
la società è costituita; al massimo, potranno essere effettuati in tutto o in parte i
conferimenti; ma questo non può considerarsi ancora come un’esecuzione vera e
propria, stante il carattere strumentale dei conferimenti rispetto allo svolgimento
dell’attività.
Quindi, una situazione del genere non impedisce che possa dichiararsi la nullità del
contratto sociale e che tale dichiarazione possa avere i consueti effetti restitutori.
D’altro canto, non essendo ancora costituita la società, non si realizzano neppure i
presupposti per quella particolare tutela che consente nel far salvi gli atti della
società. Nel frattempo, se sono stati compiuti atti nell’interesse della società, non è
quest’ultima che è chiamata a rispondere, ma unicamente chi ha agito: non essendoci
149
GHIDINI, Società personali, cit., p. 895.
83
motivo perchè i terzi godano di una tutela più ampia di quella concessa nel caso in
cui l’atto costitutivo sia valido.
Un altro possibile strumento per rilevare l’esistenza di eventuali vizi prima della
costituzione della società è rappresentato dal giudizio di omologazione150, in forza
del quale il Tribunale è chiamato ad effettuare un controllo circa la sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la costituzione delle società.
Si tratta di un giudizio che rientra nell’ambito dei procedimenti che si svolgono in
camera di consiglio151 e che, secondo l’impostazione tradizionale, sarebbe da
ricondurre alla categoria della volontaria giurisdizione152.
Esso si caratterizza sia per l’oggetto che per il modus procedendi. L’oggetto
dell’omologazione consiste in un controllo deferito al Tribunale circa la legalità degli
elementi del procedimento costitutivo, controllo che si estende, oltre che alla forma
degli atti, anche alla loro sostanza.
D’altro canto, il procedimento si svolge in assenza di contraddittorio ai sensi degli
artt. 737 e segg. c.p.c.153
Sotto il primo profilo, se è certo che il Tribunale possa e debba rilevare la sussistenza
di eventuali cause di nullità dell’atto costitutivo154, nonché delle cause di invalidità
150
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle
società commerciali, in Riv. Dir. comm., I, 1974; G. SPATAZZA, Le società per azioni, I, cit.;
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, Milano, 1954; A. SCIALOJA, Natura e
limiti del controllo giudiziario degli atti sociali, in Saggi di vario diritto, II, Roma, 1928.
151
A. MICHELI, Camera di consiglio, in Enciclopedia del diritto, vol. I, Milano, 1959; V.
ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., vol. IV, Napoli, 1964; E.
FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, Milano, 1963.
152
F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; FRÈ, Società per azioni,
cit.; A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1962.
153
PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit., p. 631.
84
delle società previste dall’art. 2332 cod. civ. e così pure verificare se sussistono sia le
condizioni per la costituzione della società di cui all’art. 2329 cod. civ., sia la
relazione giurata di stima dei conferimenti in natura, nonché controllare l’osservanza
delle norme sull’organizzazione e il funzionamento delle società, non è altrettanto
sicuro se debba estendere il suo esame ai requisiti soggettivi di validità dell’atto e
quindi accertare se i contraenti abbiano la capacità di agire, se le dichiarazioni delle
parti siano immuni da vizi della volontà e così via.
A sostegno della soluzione negativa, per quanto riguarda i vizi della volontà, questa
risulterebbe condizionata dalla struttura del procedimento di omologazione, che si
svolge nelle camere di consiglio e senza contraddittorio.
Infatti, si assume che il Tribunale dovrebbe formare il proprio convincimento solo
sulla base degli elementi che possono essere desunti dall’atto sottoposto ad
omologazione e dagli altri documenti esibiti, mentre non potrebbe tener conto di
elementi desumibili aliunde e per la cui acquisizione sarebbe necessaria una vera e
propria attività in contraddittorio.
La struttura del procedimento volontario, infatti, non permetterebbe che il sindacato
del giudice si estenda al di là dell’atto sottoposto al controllo e dei documenti che la
legge richiede che vengano ad essi allegati155.
Il giudice ha la più ampia libertà di accertamento, nei limiti dell’oggetto del giudizio,
e cioè circa la legalità degli atti sottoposti al suo esame. Egli ha il governo
154
D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971; OPPO G., Forma e
pubblicità nelle società di capitali, in Riv. Dir. civ., I, 1996; G. ROMANO PAVONI, Teoria
delle società. Tipi. Costituzione, cit.; L. FERRI, Le società, Torino, 1971.
155
A. IANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1968.
85
dell’assunzione degli elementi di giudizio, non essendo questi soggetti alla
disponibilità delle parti. Se è vero infatti che l’esercizio del potere del giudice deve
essere sollecitato da un’apposita domanda, è però altrettanto vero che, quando si
verificano i presupposti per tale esercizio, i poteri di indagine del giudice non
risultano condizionati alle sole allegazioni della parte, potendosi essi esplicare
liberamente.
L’allargamento dell’indagine ad elementi estrinseci rispetto agli atti a lui presentati
sarà dunque motivata per lo più dalla sussistenza negli atti medesimi di elementi tali
da sollevare oggettivamente dubbi sulla legalità del procedimento; ma una più ampia
indagine può essere peraltro suscitata anche da segnalazioni che gli provengano dagli
stessi interessati circa la presenza di vizi o irregolarità156.
Il potere di ufficio non esclude infatti che il suo esercizio possa essere sollecitato dai
privati. Nel suo potere-dovere di indagine il giudice può, d’altro canto, assumere
informazioni, sia presso terzi, sia presso gli stessi interessati, perchè ciò non
dovrebbe ritenersi incompatibile con la struttura del procedimento in oggetto.
Se a seguito dell’esame da lui svolto il giudice si convince che l’atto costitutivo o gli
allegati non sono conformi alla legge, egli dovrà negare l’omologazione, anche se
per giungere a tale accertamento abbia dovuto estendere la propria indagine ad
elementi estrinseci rispetto alla documentazione esibita.
156
C. DI LORENZO, Validità e limiti della clausola di stile con cui si delega agli
amministratori il potere di apportare all’atto costitutivo ed allo statuto le eventuali modifiche
«richieste» dal tribunale in sede di omologazione, in Riv. soc., 1968.
86
La funzione affidatagli consiste infatti in un controllo di legalità e non interessa come
egli abbia potuto accertare una difformità rispetto alle prescrizioni di legge, purché a
ciò sia giunto facendo uso dei poteri concessigli dal codice di rito.
La stessa soluzione vale anche, a fortiori, per quanto riguarda l’accertamento della
capacità degli stipulanti. Già prima della riforma del 1969 tale soluzione veniva
prospettata da quella stessa dottrina che negava al giudice dell’omologazione, per il
resto, un più ampio potere di indagine157.
Il D.P.R. 29 dicembre 1969 n. 1127 ha peraltro introdotto fra le cause di nullità
rilevanti ai sensi dell’ art. 2332 c.c. l’ incapacità di tutti i soci fondatori e non c’è
dubbio che il Tribunale debba rifiutare l’omologazione, quando, attraverso gli
accertamenti da esso compiuti, risulti l’esistenza di tale causa d’invalidità, perchè è
incongruo omologare una società quanto essa già risulti inficiata da nullità.
Nè, d’altro canto, si potrebbe obiettare che l’incapacità è invocabile solo dagli
interessati, perchè il giudizio di omologazione non è sottoposto al principio
dispositivo delle parti, nel senso che l’oggetto del medesimo è solo l’accertamento
della legalità della costituzione della società, per cui non vi sono limiti, per le ragioni
esposte in precedenza, alla possibilità di verificare l’esistenza di cause di
illegittimità.
Sotto tale profilo si deve ritenere che l’incapacità, ogni volta che sia possibile
rilevarla nel corso del procedimento, debba portare al rifiuto dell’omologazione,
157
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.; ID., Il controllo giudiziario degli
atti sociali annullabili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952.
87
anche quando non riguardi tutti i suoi fondatori, in quanto la presenza anche di un
solo incapace fra i fondatori si converte pur sempre in una difformità dell’atto
costitutivo rispetto ai requisiti di legge158.
Considerazioni in gran parte analoghe valgono per gli altri possibili motivi di
invalidità dell’atto costitutivo, in quanto si tratta anche in questo caso di vicende
caratterizzate dalla non conformità al dettato della legge. Più in generale si può
osservare che, per lo stesso motivo, il giudice ha il potere-dovere di rilevare ogni tipo
di illegittimità, cioè di difformità rispetto alla legge e quindi anche tutte quelle
irregolarità che attengono ad elementi diversi dall’atto costitutivo: così il mancato
versamento dei decimi, la mancanza della relazione giurata di stima per i
conferimenti in natura, il difetto delle autorizzazioni prescritte, ecc..
158
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle
società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974; D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni,
Milano, 1971.
88
4. Invalidità delle partecipazioni essenziali e invalidità delle singole
partecipazioni.
Oltre che da un vizio ad esso intrinseco, l’invalidità dell’atto costitutivo può derivare
anche dalla nullità o annullabilità di una partecipazione che, secondo le circostanze,
sia da ritenere essenziale (artt. 1420, 1446 cod. civ.)159. Quindi è un vizio della
partecipazione e non dell’atto in sé.
In questi casi, ciò che conta, infatti, non è il grado di estensione del vizio del
regolamento, ma unicamente il riflettersi sulla funzione dell’organizzazione della
prestazione che viene a mancare per effetto del vizio della partecipazione.
Non c’è dubbio che la situazione presenti una certa analogia con quella
dell’impossibilità dell’oggetto sociale160; dubbio peraltro è che le due fattispecie
possano identificarsi, nel senso che il venir meno di una partecipazione essenziale
(nulla o annullabile che sia) si converta senz’altro in un’ipotesi di impossibilità
dell’oggetto. Si è infatti esattamente rilevato che nei casi qui esaminati non si
sarebbe in presenza, almeno in via di principio e necessariamente, di
“un’impossibilità dell’attività in sè e per sè oggettivamente considerata”161, ma di
un’impossibilita relativa.
G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di
persone, in Riv. Dir. civ., 1963, I; P. FERRO LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971; G.
FERRI, La società di due soci, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1952; T. ASCARELLI, Contratto
plurilaterale, comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio di una società
personale di due soci, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955; C. ANGELICI, La
società nulla, Milano, 1975; GHIDINI, Società personali, cit.
160
V. SALANDRA, La nullità della società secondo il nuovo codice, in Riv. dir. comm., 1946,
l, 13; G. FERRI, Delle società, 2a ed., in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e
Branca, Bologna-Roma, 1968.
161
FERRO-LUZZI, I contratti associativi, cit., p. 357.
159
89
In effetti il fenomeno è caratterizzato da una inidoneità dell’organizzazione, che
residua a seguito del venir meno della partecipazione essenziale, a realizzare quelle
finalità che il regolamento contrattuale contemplava ab initio. Il che importa che si
possa parlare di una alterazione delle basi economiche dell’affare; alterazione che è
da valutare «secondo le circostanze» così come suona la testuale previsione degli
artt. 1420 e 1446 cod. civ.
La valutazione avviene, quindi, secondo un parametro relativo, che può dipendere
anche da apprezzamenti soggettivi circa la situazione che venga a realizzarsi a
seguito dell’invalidazione della singola partecipazione.
La nullità delle singole partecipazioni può derivare dalla mancanza del consenso
(violenza assoluta, falsificazione della sottoscrizione etc.) ovvero dalla inesistenza o
illiceità dell’oggetto del conferimento (casi questi ultimi essenzialmente di scuola e
quindi di scarso rilievo effettivo). Non altrettanto scolastici possono dirsi viceversa le
ipotesi di annullabilità: qui la disciplina generale del contratto sia pure con gli
adattamenti resi necessari dalla particolare struttura dell’atto costitutivo - può infatti
trovare piena e concreta attuazione. L’invalidità potrà perciò conseguire
all’incapacità della parte, all’errore, alla violenza o al dolo secondo i principi
generali162.
162
F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, 5a ed., Milano, 1971; L. GIACCARDI
MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle società commerciali,
in Riv. Dir. comm., 1974, I.
90
5. Il giudizio di omologazione: oggetto e rilevabilità dei vizi della volontà.
L’esistenza di eventuali vizi prima della costituzione della società può essere rilevata
grazie allo strumento del giudizio di omologazione163, in forza del quale il Tribunale
è chiamato ad effettuare un controllo circa la sussistenza delle condizioni stabilite
dalla legge per la costituzione della società.
Si tratta di un giudizio che rientra nell’ambito dei procedimenti che si svolgono in
camera di consiglio164 e che, secondo l’impostazione tradizionale, sarebbe da
ricondurre alla categoria della volontaria giurisdizione165. Esso si caratterizza sia per
l’oggetto che per il modus procedendi.
L’oggetto dell’omologazione consiste in un controllo deferito al Tribunale circa la
legalità degli elementi del procedimento costitutivo, controllo che si estende, oltre
che alla forma degli atti, anche alla loro sostanza. D’altro canto, il procedimento si
svolge in assenza di contraddittorio ai sensi degli artt. 737 e segg. c.p.c.166
Sotto il primo profilo, se è certo che il Tribunale possa e debba rilevare la sussistenza
di eventuali cause di nullità dell’atto costitutivo, nonché delle cause di invalidità
della società previste dall’art. 2332 c.c.167 e così pure verificare se sussistono sia le
163
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle
società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974, I; SPATAZZA, Le società per azioni, cit.; A.
PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.; SCIAWJA A., Natura e limiti del
controllo giudiziario degli atti sociali, in Saggi di vario diritto, Roma, 1928 II.
164
A. MICHELI, Camera di consiglio, cit.; V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura
civile, cit.; E. FAZZALARI, La giurisdizione volontaria, cit.; P. PAJARDI, La giurisdizione
volontaria, Milano, 1963.
165
F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, Milano, 1971; A. GRAZIANI, Diritto delle
società, cit.
166
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione, op. cit., p. 153.
167
L. GIACCARDI-MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione, cit., p. 175.
91
«condizioni» per la costituzione della società di cui all’art. 2329 c.c., sia la relazione
giurata di stima dei conferimenti in natura, nonché controllare l’osservanza delle
norme sull’organizzazione e il funzionamento della società, non è altrettanto sicuro
se debba estendere il suo esame ai requisiti soggettivi di validità dell’atto e quindi
accertare se i contraenti abbiano la capacità di agire, se le dichiarazioni delle parti
siano immuni da vizi della volontà e così via.
A sostegno della soluzione negativa si è osservato che questa risulterebbe
condizionata dalla struttura del procedimento di omologazione, che si svolge in
camera di consiglio e senza contraddittorio.
Si assume infatti che il Tribunale dovrebbe formare il proprio convincimento solo
sulla base degli elementi che possono esser desunti dall’atto sottoposto ad
omologazione e dagli altri documenti esibiti, mentre non potrebbe tener conto di
elementi desumibili aliunde e per la cui acquisizione sarebbe necessaria una vera e
propria attività in contraddittorio. La struttura del procedimento volontario non
permetterebbe infatti che il sindacato del giudice si estenda al di là dell’atto
sottoposto al controllo e dei documenti che la legge richiede che vengano ad esso
allegati168.
L’argomento, però, risulta del tutto inadeguato in quelle, peraltro rare, ipotesi nelle
quali l’esistenza di un vizio del genere potrebbe esser rilevabile sulla base degli stessi
168
A. IANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, cit.
92
atti depositati per l’omologazione169. In questi casi infatti è senza dubbio da preferirsi
la soluzione secondo la quale il giudice avrebbe il potere di rilevarne senz’altro
l’esistenza.
Né varrebbe in contrario addurre che i vizi del volere sono di regola invocabili solo
dalla parte interessata: infatti «la decisione del Tribunale deve essere di conformità o
di difformità dell’atto rispetto alla legge e l’atto annullabile non è conforme allo
schema previsto dal legislatore».
Ma è possibile andare oltre. Non sembra infatti da accettare senza riserve
l’affermazione che il giudice non possa estendere il proprio controllo al di là di
quanto risulta dagli atti a lui esibiti.
La legge infatti gli riconosce la possibilità di assumere informazioni (art. 738 c.p.c.).
E questo è senza dubbio indice di un potere inquisitorio, non essendo subordinata
l’assunzione delle informazioni predette all’istanza della parte. Sotto questo profilo
l’oggetto
dell’indagine
può
estendersi
anche
ad
elementi
diversi
dalla
documentazione prodotta e, stante l’idoneità dei procedimenti ispirati al principio
inquisitorio170 a conseguire comunque un accertamento, si potrà dunque avere un
accertamento circa la legalità o l’illegalità dell’atto. Non può quindi escludersi che il
giudice acquisisca per questa via conoscenza della esistenza di vizi tali da rendere
169
G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Commentario del codice civile, a cura di
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1971.
170
P. CALAMANDREI, Il processo inquisitorio e il diritto civile, in Opere giuridiche, I,
Napoli, 1965; T. CARNACINI, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore
di Redenti, II, Milano, 1951; M. CAPPELLETTI, Iniziative probatorie e basi pregiuridiche
della struttura del processo, in Processo e ideologie, Bologna, 1969; P. VIGNOLO, Principio
inquisitorio e impulso di ufficio nel procedimento di interdizione, in Riv. dir. civ., 1975, I.
93
difforme l’atto medesimo rispetto ai requisiti di legge e quindi tale da farlo dichiarare
non omologabile.
Naturalmente, poiché l’accertamento del Tribunale non dà luogo alla cosa giudicata,
nulla impedisce che venga proposto un nuovo ricorso corredato da una diversa
documentazione ovvero diretto a chiedere l’omologazione dell’atto già respinto, ma
ora emendato dai vizi riscontrati in precedenza171.
Il giudice ha dunque la più ampia libertà di accertamento, nei limiti dell’oggetto del
giudizio, e cioè circa la legalità degli atti sottoposti al suo esame. Egli ha il governo
dell’assunzione degli elementi di giudizio, non essendo questi soggetti alla
disponibilità delle parti. Se è vero infatti che l’esercizio del potere del giudice deve
essere sollecitato da un’apposita domanda (istanza di omologazione), è però
altrettanto vero che, quando si verificano i presupposti per tale esercizio, i poteri di
indagine del giudice non risultano condizionati alle sole allegazioni della parte,
potendosi essi esplicare liberamente.
L’allargamento dell’indagine ad elementi estrinseci rispetto agli atti a lui presentati
sarà dunque motivata per lo più dalla sussistenza negli atti medesimi di elementi tali
da sollevare oggettivamente dubbi sulla legalità del procedimento; ma una più ampia
indagine può essere peraltro suscitata anche da segnalazioni che gli provengano dagli
stessi interessati circa la presenza di vizi o irregolarità.
171
C. DI LORENZO, Validità e limiti della clausola di stile con cui si delega agli
amministratori il potere di apportare all’atto costitutivo ed allo statuto le eventuali modifiche
«richieste» dal tribunale in sede di omologazione, cit.
94
Il potere di ufficio non esclude infatti che il suo esercizio possa essere sollecitato dai
privati. Nel suo potere-dovere di indagine il giudice può, d’altro canto, assumere
informazioni, sia presso terzi, sia presso gli stessi interessati (es. il socio la cui
dichiarazione di volontà sia viziata), perchè ciò non dovrebbe ritenersi incompatibile
con la struttura del procedimento in oggetto.
Se a seguito dell’esame da lui svolto il giudice si convince che l’atto costitutivo o gli
allegati non sono conformi alla legge, egli dovrà negare l’ omologazione, anche se
per giungere a tale accertamento abbia dovuto estendere la propria indagine ad
elementi estrinseci rispetto alla documentazione esibita.
La funzione affidatagli consiste infatti in un controllo di legalità e non interessa come
egli abbia potuto accertare una difformità rispetto alle prescrizioni di legge, purché a
ciò sia giunto facendo uso dei poteri concessigli dal codice di rito.
6. Rilevabilità dell’incapacità delle parti.
A fortiori, la stessa soluzione vale anche per quanto riguarda l’accertamento della
capacità degli stipulanti.
Tale soluzione, già prima della riforma del 1969 veniva prospettata da quella stessa
dottrina che negava al giudice dell’omologazione un più ampio potere di indagine172.
Peraltro, il D.P.R. 29 dicembre 1969 ha introdotto fra le cause di nullità rilevanti ai
sensi dell’art. 2332 cod. civ. l’incapacità di tutti i soci fondatori e non vi è dubbio che
172
A. PAVONE LA ROSA, Il controllo giudiziario degli atti sociali annullabili, cit.
95
il Tribunale debba rifiutare l’omologazione, quando, attraverso gli accertamenti da
esso compiuti, risulti l’esistenza di tale causa d’invalidità, perchè è incongruo
omologare una società quanto essa già risulti inficiata da nullità.
Né, d’altro canto, si potrebbe obiettare che l’incapacità è invocabile solo dagli
interessati, perchè il giudizio di omologazione non è sottoposto al principio
dispositivo delle parti, nel senso che l’oggetto del medesimo è solo l’accertamento
della legalità della costituzione della società, per cui non vi sono limiti, per le ragioni
esposte in precedenza, alla possibilità di verificare l’esistenza di cause di
illegittimità.
Sotto tale profilo si deve ritenere che l’incapacità, ogni volta che sia possibile
rilevarla nel corso del procedimento, debba portare al rifiuto dell’omologazione,
anche quando non riguardi tutti i suoi fondatori, in quanto la presenza anche di un
solo incapace fra i fondatori si converte pur sempre in una difformità dell’atto
costitutivo rispetto ai requisiti di legge173.
Considerazioni in gran parte analoghe valgono per gli altri possibili motivi di
invalidità dell’atto costitutivo, in quanto si tratta anche in questo caso di vicende
caratterizzate dalla non conformità al dettato della legge.
Più in generale si può osservare che, per lo stesso motivo, il giudice ha il poteredovere di rilevare ogni tipo di illegittimità, cioè di difformità rispetto alla legge e
quindi anche tutte quelle irregolarità che attengono ad elementi diversi dall’atto
173
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle
società commerciali, in Riv. dir. comm., 1974, I; D. CORAPI, Gli statuti delle società per
azioni, Milano, 1971.
96
costitutivo: come ad esempio il mancato versamento dei decimi, la mancanza della
relazione giurata di stima per i conferimenti in natura, il difetto delle autorizzazioni
prescritte, ecc.174.
7. Effetti della sentenza sull’invalidità dell’atto costitutivo: la tutela prevista
dall’art. 2332 c.c.
Nella possibilità di rimedi giudiziari di varia natura ed estensione, in primo luogo, vi
è la possibilità dell’azione per l’accertamento della nullità o per l’annullamento
dell’atto costitutivo. Prima ancora della costituzione della società, essa può essere
promossa da quegli stipulanti che hanno interesse a far valere l’esistenza di eventuali
vizi nei confronti degli altri partecipanti all’atto.
La sentenza, ovviamente, farà stato solo nei confronti delle parti in giudizio e queste
saranno obbligate a restituire il conferimento a chi abbia ottenuto l’annullamento,
ovvero la dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo.
La durata del processo non si può ritorcere a danno di colui che lo ha
tempestivamente promosso. Il fatto che la società sia stata costituita non può certo
render valido l’atto costitutivo se questo non lo era in origine, ma ne può rendere,
caso mai, irrilevante l’invalidità nei confronti della società costituita, a meno che non
174
L. GIACCARDI MARMO, I poteri del tribunale in sede di omologazione degli atti delle
società commerciali, op. cit., pp. 175-176.
97
si tratti di una di quelle ipotesi contemplate dall’art. 2332 c.c. nel qual caso potrà
promuoversi l’azione di nullità prevista.
Quindi, il processo potrà continuare fra coloro che hanno preso parte alla
costituzione della società, perchè chi l’ha promosso non può essere costretto a vedere
dileguarsi la responsabilità di chi ha contrattato insieme a lui175.
La sentenza, naturalmente, farà stato solo tra le parti e non anche nei confronti delle
società, a meno che non venga integrato il contraddittorio anche nei suoi confronti, e
comunque, anche in quest’ultimo caso, non potrà avere efficacia se non nei limiti
consentiti dall’art. 2332 c.c.
Coloro che hanno partecipato alla stipulazione dell’atto restano responsabili senza
limiti per la restituzione dei conferimenti o del loro valore176.
Dunque, nei loro confronti, la sentenza potrà svolgere i consueti effetti retroattivi,
senza incontrare i limiti di cui all’art. 2332 c.c.
Ma l’eventuale esistenza di cause di invalidità può essere oggetto di accertamento
anche nel giudizio di omologazione; il rifiuto dell’omologazione, infatti, porterà
all’impossibilità di costituire la società e al conseguente obbligo di restituzione dei
conferimenti.
175
ANGELICI, La società nulla, cit.
Salvo che non siano del tutto immuni da colpa. Potrebbe apprezzarsi come colposo il
comportamento di coloro che hanno proceduto all’iscrizione della società, nonostante
l’instaurazione del giudizio diretto a far dichiarare l’invalidità dell’atto costitutivo o della
partecipazione sociale. Resta pur sempre salva la possibilità di evitare tale apprezzamento
sfavorevole prestando idonee garanzie per l’ipotesi in cui l’azione di nullità o di annullamento
venga accolta.
176
98
Si può rilevare, sotto tale profilo, che il rifiuto dell’omologazione tutela pienamente
la posizione di coloro che hanno interesse alla dichiarazione di nullità o
all’annullamento dell’atto costitutivo o anche di una singola partecipazione.
Posizione che non risulta altrettanto efficacemente protetta nel caso in cui
l’omologazione abbia esito positivo e la società possa costituirsi.
Infatti, in quest’ultima ipotesi, anche se la relativa azione sia stata promossa
tempestivamente, si potrà fare affidamento solo all’annullamento o sulla
dichiarazione di nullità dell’atto costitutivo nei confronti degli atti stipulanti e quindi
sulla responsabilità patrimoniale di questi ultimi, mentre l’eventuale azione promossa
nei confronti della società potrà operare solo nei limiti e con gli stessi effetti propri
dello scioglimento.
Pertanto, è evidente l’interesse degli stipulanti a far risultare nel procedimento di
omologazione l’esistenza di un’eventuale causa di nullità o di invalidità dell’atto
costitutivo. Infatti, solo attraverso questo strumento la loro posizione gode di una
tutela integrale. Sotto tale profilo, si può ritenere che si deve riconoscere agli
stipulanti la legittimazione ad intervenire o comunque il diritto ad essere ascoltati nel
procedimento camerale177, perchè possano esporre eventuali ragioni che militano
contro l’omologazione, onde ottenere un rifiuto o una sospensione della
177
G. SPATAZZA, Le società per azioni, cit.; A. MICHELI, Camera di consiglio, in
Enciclopedia del diritto, cit.
99
medesima178, e ciò specialmente nel caso in cui sia già stato promosso giudizio di
nullità o annullamento dell’atto costitutivo in via contenziosa.
L’art. 2330, 2° comma, c.c. prevede, infatti, sia pure ad altri fini, la possibilità che
ciascun socio, assumendo l’iniziativa, prenda parte a tale procedimento e, d’altro
canto, la soluzione contraria solleverebbe più di un dubbio sotto il profilo della
contrarietà all’art. 24 Cost., in quanto inciderebbe negativamente sulla difesa del
diritto a non vedersi vincolato da un atto invalido, che indubbiamente ha colui che ha
preso parte al medesimo179.
Dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese, resta infine la possibilità di
fare accertare la nullità ai sensi dell’art. 2332 c.c., ovvero di fare annullare la singola
partecipazione, ma questi rimedi operano con effetto ex nunc, quindi sullo schema
dello scioglimento, e soddisfano perciò solo in parte l’interesse della parte ad un
completo effetto restitutorio. Di qui l’importanza del tempestivo esercizio degli altri
strumenti processuali posti a disposizione dall’ordinamento.
L’aspetto centrale della disciplina dell’invalidità della società è comunque
rappresentato dall’azione di nullità prevista dall’art. 2332 c.c.
Secondo l’art. 1421 c.c., che rappresenta l’enunciazione dei principi fondamentali
che regolano l’azione di nullità, salvo diversa disposizione di legge, la nullità può
178
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.
E. REDENTI, Diritto processuale civile, I, Milano, 1952; A. IANNUZZI, Manuale della
volontaria giurisdizione, Milano, 1968; S. SATTA, Commentario al codice di procedura
civile, IV, 2, Milano, 1971; E. ALLORIO, Saggio polemico sulla «giurisdizione» volontaria,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948; F. ALCAMO, Impugnativa del decreto di omologazione
delle delibere assembelari, in Giur. sic., 1960.
179
100
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal
giudice. Legittimazione, almeno in apparenza, amplissima, sol limitata dalla presenza
di un interesse, effettivo ed attuale, a tale tipo di rimedio giurisdizionale180.
L’identificazione in concreto della sfera degli interessati alla pronuncia della nullità
conduce peraltro ad una sensibile riduzione del loro ambito181.
Se può infatti ammettersi senza difficoltà che i soci siano legittimati a richiedere la
dichiarazione di nullità della società e possano avervi un effettivo interesse, molto
più problematico è il discorso con riferimento ai creditori e ai terzi in genere. La
nullità della società, infatti, non turba in alcun modo i rapporti fra loro medesimi e la
società, rapporti la cui esistenza viene in via di principio garantita dalla legge come
se si trattasse di una società regolarmente costituita.
Per identificare la sfera dei legittimati occorre partire dal presupposto che
dell’interesse alla pronunzia di un determinato provvedimento può giudicarsi solo in
relazione agli effetti che tale provvedimento è destinato a produrre. Sotto tale profilo
può essere sufficiente osservare che, operando la dichiarazione di nullità alla stregua
di una causa di scioglimento, l’interesse a tale dichiarazione coincide con l’interesse
a provocare lo scioglimento della società e la sussistenza di questo ultimo può
pertanto essere ricercata solo nell’ambito dei soci182.
Ciò è facilmente verificabile in quanto i terzi che non hanno alcun rapporto con la
società non possono essere legittimati, perchè non è possibile identificare un loro
180
G. JUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, Padova, 1973; R. SACCO,
Il contratto, Torino, 1975.
181
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit.
182
C. ANGELICI, La società nulla, cit.
101
interesse alla pronunzia della nullità che non sia il generico interesse all’attuazione
del diritto. Ma secondo l’opinione che appare preferibile questo non è sufficiente a
dar luogo alla legittimazione in materia di declaratoria d’invalidità 183. Analogo
discorso può valere per quanto guarda gli eventuali imprenditori concorrenti della
società.
Neppure legittimati possono considerarsi i creditori potenziali o futuri in quanto
l’interesse di cui all’art. 1421 deve essere attuale.
I creditori attuali della società non hanno alcun interesse, perchè la dichiarazione di
nullità non incide sulla loro posizione, che è fatta salva come se avessero trattato con
una società regolare che si trova ad esser posta in liquidazione184.
Resta infine da esaminare la posizione dei creditori particolari dei soci. Ma anche in
questo caso la valutazione deve essere negativa. Nel sistema societario italiano la
183
G. JUDICA, Impugnative contrattuali e pluralità di interessati, cit., p. 124; in particolare la
giurisprudenza richiede un interesse qualificato, o quanto meno, l’esistenza di un concreto
interesse ad agire, che si contrappone, in quanto tale, al mero interesse al rispetto della legge.
Cass., 04/05/1966, n. 1125, in Foro it. Mass., 1966, 365; App. Milano, 16/06/1970, in Giur.
merito, 1972, I, 408; Cass., 27/06/1961, n. 1553, in Foro it. Mass., 1961, 393.
184
I creditori sociali possono, in teoria, avere un interesse ad evitare che la società, attraverso
un allargamento degli impegni, non sia più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni. Ma
tale interesse è irrilevante fino a quando il patrimonio sociale sia in grado di coprire le
obbligazioni assunte; quando, d’altro canto, tale possibilità viene meno, l’interesse dei
creditori viene tutelato con la richiesta di fallimento e non già con l’azione per dichiarare nulla
la società. Accolgono la stessa soluzione qui sostenuta: G. SANTINI, Società a responsabilità
limitata, cit.; S. SATTA, Società di persone tra società di capitali, in Riv. dir. comm., 1968.
Diversa risulta la soluzione accolta nell’ordinamento francese, nel quale, pur attraverso il
succedersi delle formulazioni legislative, si conserva ai terzi l’option se valersi, oppure no,
della nullità, ma ciò si giustifica, appunto, in relazione alle conseguenze che possono trarsi da
tale impostazione: da un lato i creditori sociali possono utilizzare l’azione in nullità per negare
l’esistenza della società e quindi invocare la responsabilità personale dei soci; dall’altro i
creditori particolari dei soci possono far valere la nullità del conferimento, eliminare
l’autonomia patrimoniale della società e quindi soddisfarsi sul conferimento medesimo: cfr., su
tutti, HÉMARD J., Les Sociétés de fait endroit français, in Travaux de l’Association Henry
Capitant, XI, 1957, Paris, 1960.
102
possibilità di scioglimento anticipato su istanza dei creditori del socio è limitata alla
società semplice e alle società irregolari e riguarda, inoltre, non già la dissoluzione
dell’intera società, ma solo la liquidazione della quota del proprio debitore, essendo
ciò sufficiente a tutelare l’interesse dei creditori185.
Negli altri casi essi non possono, viceversa, interloquire. D’altro canto, occorre
considerare che la posizione del creditore dell’azionista è sufficientemente tutelata
attraverso la possibilità di esercitare un’azione esecutiva sui titoli azionari di
proprietà del debitore, ed in ogni caso, quando non vi sia altra possibilità di
soddisfarsi e il debitore rimanga inerte, attraverso l’esercizio, in via surrogatoria,
dell’azione di nullità spettante al debitore medesimo.
In via di principio la legittimazione ad agire spetta dunque ai soli soci, e più
precisamente ai soci attuali; peraltro, nel caso dell’incapacità di tutti i soci fondatori
si deve ritenere che anche i rappresentanti legali degli incapaci siano legittimati ad
agire, così come è la regola per tutte le forme di invalidità che riguardano gli atti
compiuti da incapaci.
La nullità è di norma rilevabile d’ufficio. Ma non sembra che nel sistema dell’art.
2332 c.c. resti spazio alcuno per tale possibilità. Infatti la rilevabilità d’ufficio della
nullità opera in concreto come denegatio actionis nei confronti di colui che fonda le
proprie pretese su un atto nullo. Ma la nullità della società non importa la nullità
degli atti da questa compiuti e nemmeno esonera i soci dal completamento dei
185
G. FERRI, Delle società, cit.; F. GALGANO, Le società di persone, in Trattato di diritto
civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1972.
103
versamenti dovuti, per cui il meccanismo della denegatio actionis non può in
concreto operare. Si aggiunga che gli effetti della dichiarazione di nullità rientrano
nello schema di quelli propri dello scioglimento, per cui il problema va anche in
questo caso impostato nel senso di verificare se vi può essere spazio per uno
scioglimento della società ex officio judicis.
La soluzione non può essere che negativa186, in quanto l’art. 2448 c.c., ult. comma, se
prevede la possibilità di uno scioglimento per provvedimento dell’autorità
governativa nei casi previsti dalla legge187, non contempla viceversa la possibilità
che lo scioglimento sia pronunziato d’ufficio dal giudice.
Né a giustificare tale soluzione può essere sufficiente l’art. 2191 c.c., in quanto il
potere del giudice del registro di ordinare la cancellazione di un’iscrizione quando
questa è stata effettuata senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, non
può essere utilizzato per fattispecie del genere188.
Del resto la pronuncia di cui all’art. 2332 c.c. postula un procedimento contenzioso
ordinario che si conclude con una sentenza, quindi con un provvedimento suscettibile
di formare la cosa giudicata.
Ma tale procedimento presuppone un contraddittorio fra parti private e non sopporta
di essere promosso per iniziativa d’ufficio se non nei casi eccezionalmente previsti
E. SIMONETTO, La nuova stesura dell’art. 2332 e la società di capitali irregolare, in Riv.
dir. civ., 1974; A. BRUNETTI, Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948.
187
E cioè, in sostanza, nella ipotesi in cui è prevista la liquidazione coatta amministrativa: cfr.
G. FRÈ, Società per azioni, cit., p. 786.
188
A. PAVONE LA ROSA, Il registro delle imprese, cit., p. 619, dove si nega, in particolare,
che possa ordinarsi la cancellazione delle iscrizioni disposte dal Tribunale in sede di
omologazione; E. BOCCHINI, La pubblicità delle società commerciali, cit.; G. FERRI,
Imprese soggette a registrazione, cit.
186
104
dalla legge; quanto poi ad una iniziativa del pubblico ministero essa deve parimenti
escludersi, in quanto consentita solo nei casi espressamente previsti dalla legge189.
Dunque, se il legislatore ha previsto delle cause di nullità, non ha tuttavia predisposto
un idoneo strumento processuale attraverso il quale esse possano essere fatte valere
con altrettanta larghezza. Infatti, le caratteristiche dell’azione di nullità ora reperibile
riducono in concreto la legittimazione ad processum ai soli soci, dovendosi negare
l’ammissibilità di azioni popolari di qualsiasi genere e così pure un’iniziativa ex
officio diretta a conseguire una pronuncia di nullità.
189
V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., I, Napoli, 1954; S.
SATTA, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959; M. VELLANI, Il
pubblico ministero nel processo, II, Bologna, 1970.
105
CAPITOLO III
LE IPOTESI DI NULLITA’ PREVISTE
DALL’ART. 2332 C.C.
106
1. Le cause di nullità soppresse e quelle introdotte dal nuovo diritto
societario
La deroga ai principi generali, fino al 1969, non comprendeva le cause, ma solo gli
effetti della nullità della società per azioni.
Tali cause si evincevano dalla disciplina di diritto comune, come tuttora accade per
le società personali. Il primo comma dell’art. 2332, a seguito della modifica
introdotta dal d.p.r. 29 dicembre 1969, n. 1127190, che aveva come fine
l’adeguamento della nostra legislazione societaria alla I direttiva del Consiglio Cee
del 9 marzo 1968191, sanciva che, avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese, la
nullità della società per azioni poteva essere pronunciata soltanto negli otto casi ivi
tassativamente previsti192.
Le cause di nullità previste ai nn. 2, 4 e 5 non sono state soppresse, ma soltanto
innovate in alcuni aspetti, e costituiscono oggi, rispettivamente, i numeri 1, 2 e 3 del
primo comma dell’art. 2332 c.c. Le cause soppresse sono invece quelle che erano
menzionate ai nn. 1, , 6, 7 e 8 del vecchio testo dell’art. 2332.
Il numero 1 intendeva la mancanza materiale del documento, o, al limite, falsità
materiale integrale dello stesso, giammai, come ritenevano in molti, la mancanza o
l’inesistenza giuridica dell’atto costitutivo, menzionando la mancanza dell’atto
costitutivo. Tale ultima seconda soluzione avrebbe finito col rimettere alla
190
Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1969, n. 1127, in Gazzetta Ufficiale 10
febbraio 1970, n. 35.
191
G. MINERVINI, Primi approcci con una «miniriforma». Una nuova disciplina della pubblicità per
le società di capitali, in Riv. soc., 1970.
192
E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni», Napoli, 1977.
107
discrezione dell’interprete la scelta di quali vizi negoziali di diritto comune possano
comportare la nullità della società, con grave pregiudizio delle esigenze di certezza
del diritto sottese alla novella del 1969193.
La Riforma ha definitivamente risolto tale questione sopprimendo questa causa di
nullità e uniformandosi agli ordinamenti degli altri Paesi dell’Unione europea,
nessuno dei quali vi aveva attribuito rilievo.
Alla luce dell’eliminazione citata ed in combinazione con la quasi coeva
eliminazione del controllo omologatorio sull’atto costitutivo (legge 340 del 2000194),
inoltre, resta ancora aperta la questione riguardante il controllo della conformità
dell’atto costitutivo allo schema legale: il problema può essere esaminato in uno con
quello oggi posto dal mantenimento, tra le cause di nullità, della mancata
stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico.
Il numero 3 menzionava la «inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 2330
relative al controllo preventivo», e riprendendo il dettato dell’art. 11 della direttiva
comunitaria, è stato soppresso dall’art. 32, terzo comma, della legge 24 novembre
2000, n. 340, abolitiva dell’omologazione dell’atto costitutivo.
Il numero 6 riguardava l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 2329, n. 2, e
dunque il mancato versamento dei tre decimi dei conferimenti in denaro; un vizio
afferente, quindi, non all’atto costitutivo ma al procedimento costitutivo. In ossequio
193
G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. II. Le società, Torino, 2002; M. SCIUTO, La «mancanza
dell’atto costitutivo» di società per azioni, Padova, 2000.
194
Legge 24 novembre 2000, n. 340, “Disposizioni per la delegificazione di norme e per la
semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999”, in Gazzetta
Ufficiale n. 275 del 24 novembre 2000.
108
allo spirito della direttiva comunitaria, teso a restringere il più possibile le cause
invalidanti, doveva ritenersi che non fosse causa di nullità il versamento che, seppure
non conforme alle modalità previste dal n. 2 dell’art. 2329 c.c., fosse stato comunque
effettuato nelle mani degli amministratori.
Il mancato versamento dei tre decimi, nel nuovo diritto societario, torna ad avere lo
stesso valore che aveva prima del ‘69, vale a dire quello di una semplice condizione
per la costituzione della società. Sul piano pratico, inoltre, si ha la conferma che,
contrariamente a quanto da alcuni affermato in passato, la società non è nulla nel
caso di mancata attuazione dei conferimenti in natura195.
Nel numero 7 si può ben notare come l’ordinamento ricollegasse eccezionalmente
all’incapacità l’effetto della nullità, non concependo la validità della costituzione di
una società tra soggetti tutti incapaci.
Considerando anche questa ipotesi sotto il profilo della nullità, il legislatore mostrava
di voler «racchiudere tutte le ipotesi dell’art. 2332 c.c. nel contesto unitario
dell’invalidità»196. La norma era ad ogni modo oggetto di interpretazione restrittiva,
ritenendosi avesse riguardo alla sola incapacità legale197.
La circostanza che, in questo caso, si avesse nullità della società indipendentemente
dal fatto che l’incapacità fosse fatta valere come motivo di annullamento delle
singole partecipazioni sociali, peraltro, era agevolmente spiegabile con la
195
G.F. CAMPOBASSO, La costituzione della società per azioni, in La riforma del diritto societario,
Milano, 2003.
196
G. RAGUSA MAGGIORE, Trattato delle società. II. Le società di capitali. La società per azioni.
Formazione della società per azioni, Padova, 2003; M. MERIDDA, Sulle cause di nullità delle società
di capitali (art. 2332 c.c.), in Giur. comm., 1975.
197
C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975.
109
considerazione che l’incapacità di tutti i soci fondatori avrebbe impedito il regolare
funzionamento della società198. Da questo punto di vista, è possibile credere che
nonostante la soppressione, ad opera della Riforma, di questa causa, essa continui a
rilevare come causa di scioglimento della società ex art. 2484, n. 3, c.c.
Inoltre, con riguardo alla singola partecipazione, riprende ad applicarsi la normativa
generale sull’incapacità, e dunque la disciplina dell’annullabilità.
La «mancanza della pluralità dei fondatori», di cui al n. 8, andava intesa nel senso
della mancanza fisica ed era riferita esclusivamente all’ipotesi di partecipazione
all’atto costitutivo di una sola persona199.
Se, successivamente alla stipulazione dell’atto costitutivo, la pluralità dei fondatori
veniva meno, per effetto dell’impugnativa di singole partecipazioni, la società non
era nulla; infatti, l’annullamento, avendo efficacia irretroattiva, non valeva ad
escludere la pluralità iniziale dei fondatori; in questo caso, pertanto, si sarebbe
verificata l’ipotesi dell’unico azionista ex art. 2362 c.c.
Inoltre, non era nulla la c.d. società preordinata ad unico azionista, costituita cioè con
l’intervento in atto di uno o più prestanomi compiacenti che trasferiranno le azioni ad
un unico socio subito dopo che sia completato il procedimento costitutivo200.
198
F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001.
C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno,
vol. XVI., Torino, 1985; E. BOCCHINI, I vizi della costituzione e la «nullità della società per azioni»,
Napoli, 1977; A. BORGIOLI, La nullità della società per azioni, Milano, 1977.
200
Cass., 28/09/1994, n. 7899, in Società, 1995, 342; Cass., 02/07/1990, n. 6764, in Riv. dir. comm.,
1991, 289.
199
110
Secondo l’art. 2328 c.c., la soppressione di questa causa di nullità, già venuta meno
per la s.r.l. nel 1993, era una scelta obbligata in un sistema che ormai ammette la
costituzione anche della società per azioni per atto unilaterale.
2. Il principio di tassatività.
L’elencazione delle anomalie che i legislatori nazionali avevano facoltà di
prevedere come cause di nullità della s.p.a. con la seguente norma di chiusura:
«fuori di questi casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di
inesistenza, nullità assoluta, nullità relativa o annullabilità» era accompagnata
dall’art. 11 della prima direttiva.
Sostanzialmente, si tratta del principio di tassatività delle cause di nullità della
s.p.a.
Nell’economia del sistema delineato nella direttiva ma anche in quello dell’art.
2332 c.c., assume rilievo fondamentale, malgrado l’insofferenza con cui
talvolta
è
considerato,
come
confermato
anche
dalla
Relazione
di
accompagnamento al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6201, oltre che dalla stessa
legge delega in cui è esplicito il riferimento all’esigenza di «limitare la
Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, “Riforma organica della disciplina delle società di
capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366”, in Gazzetta Ufficiale
n. 17 del 22 gennaio 2003.
201
111
rilevanza dei vizi della fase costitutiva» (art. 4, comma 3, lett. b) della legge 3
ottobre 2001 n. 366202)203.
Da
un
lato,
tale
principio,
conferisce
significato
non
meramente
esemplificativo all’elencazione legislativa dei vizi; dall’altro, indica un preciso
ed inderogabile indirizzo ermeneutico: quello, espressamente richiamato dalla
Corte di Giustizia, nella sentenza Marleasing, di un’interpretazione non
estensiva, bensì strettamente letterale, appunto tassativa, dei casi di nullità
della s.p.a.
Nell’ordinamento italiano si pone l’esigenza di un’interpretazione coerente con
la lettera e con lo spirito della prima direttiva comunitaria, in quanto la norma
di chiusura indicata nell’art. 11 non trova fedele traduzione nell’art. 2332 c.c.
che si limita a prevedere «la nullità della società può essere pronunciata
soltanto nei seguenti casi».
Tale formulazione sintetica del principio di tassatività era già presente nel testo
anteriore alla riforma del 2003, ed ha rallentato non poco l’applicazione nel
diritto vivente dei principi della direttiva nel sistema italiano, ostacolata dalla
frequente e perdurante formulazione di proposte interpretative sulle singole
cause di nullità del tutto incompatibili con essa 204.
Sul piano applicativo, il principio ha una duplice implicazione:
Legge 3 ottobre 2001, n. 366, “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”, in
Gazzetta Ufficiale n. 234 dell’8 ottobre 2001.
203
E. BOCCHINI, Il problema della tassatività delle cause di nullità nella società per azioni, in Riv.
Soc., 1975.
204
B. DE GIOVANNI, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964.
202
112
a) la prima è che non possono essere considerate rilevanti, ai fini della validità
della s.p.a., vizi di nullità, assoluta o relativa, annullabilità o inesistenza diversi
da quelli indicati nell’art. 2332 c.c., ivi compresi quelli riconducibili alle
quattro cause di nullità soppresse dalla riforma;
b) la seconda implicazione è che viene limitato o precluso il ricorso a norme ed
istituti incompatibili con la disciplina degli effetti della dichiarazione di nullità
della s.p.a. espressi nell’art. 2332.
Ciò significa che alle s.p.a. non è applicabile la disciplina dell’invalidità
parziale oggettiva (artt. 1419 e 1446 c.c.) e soggettiva (art. 1420 c.c.).
Infatti, la nullità che una singola clausola possa reagire sull’intero contratto in
presenza della condizione indicata nell’art. 1419 c.c. viene impedita dalla
limitazione delle cause di nullità, così come viene preclusa la dichiarazione di
invalidità della società per vizi delle singole partecipazioni, anche là dove
queste siano da considerarsi «essenziali» secondo lo schema degli artt. 1420 e
1446 c.c.
L’eventuale presenza di vizi delle partecipazioni dei soci, nel sistema attuale, è
destinata, per tale motivo, ad inficiare solo ed esclusivamente la validità del
singolo rapporto, sempre che si attribuisca a tali vizi rilevanza sul piano
societario.
Per quanto riguarda l’invalidità della singola partecipazione, il problema che
nasce in tale ambito si sviluppa nel momento in cui devono essere individuati i
principi applicabili in caso di invalidità della singola partecipazione,
113
considerato che l’art. 2332 c.c. regola esclusivamente gli effetti della
dichiarazione di nullità della società.
In dottrina, su tale punto, è stata raggiunta una conclusione ampiamente
condivisa che è quella di considerare l’invalidità della singola partecipazione
alla stregua di una causa di recesso ex lege del socio, cui non va restituito il
conferimento, ma liquidata la quota.
Tale conclusione è imposta dalla decisiva considerazione che, nel caso di
invalidità parziale soggettiva, emergono esigenze di tutela del tutto simili a
quelle poste a fondamento dell’art. 2332 c.c. che rendono inutilizzabili i
principi di diritto comune205.
Quest’ultima circostanza si manifesta in modo molto evidente nelle società per
azioni unipersonali in cui l’invalidità della partecipazione, privando la s.p.a.
dell’unico socio, reagisce, per definizione, sull’intero rapporto sociale.
L’omessa lettura dello statuto costituisce pertanto una delle ipotesi in cui l’art.
2332 può concretamente trovare applicazione.
Invece, all’ambito applicativo della norma, sono del tutto estranei i vizi
dell’atto costitutivo che non attengono alla sua forma di atto pubblico, vale a
dire ogni anomalia, sostanziale e procedimentale, che può astrattamente
presentarsi a prescindere dalla veste formale con cui l’atto è stato redatto.
Si tratta di una puntualizzazione tutt’altro che superflua. Non è infatti da
escludere che, in seguito alla recente soppressione dell’omologazione e alla
205
G. FILANTI, La nullità (diritto civile), in Enc. Giur. Treccani, XXI, 1990.
114
conseguente cancellazione, dall’elenco dei casi di nullità della s.p.a.
,dell’ipotesi già prevista nel vecchio testo dell’art. 2332 c.c., si proponga, con
riferimento alla nullità per mancanza dell’atto pubblico, un’interpretazione
analoga a quella che parte della dottrina e della giurisprudenza aveva accolto
in relazione alla prima206.
In altri termini, si potrebbe essere indotti, con il venir meno del filtro
giudiziario in sede di costituzione e l’attribuzione in esclusiva al notaio del
controllo di conformità alla legge dell’atto costitutivo, ad affermare la nullità
della s.p.a. per mancanza della forma dell’atto pubblico, ogni qual volta il
notaio che ha ricevuto l’atto non ha correttamente effettuato il controllo di
conformità dell’atto costitutivo alla legge.
Tale interpretazione, come è evidente, trova un sormontabile ostacolo nel
principio di tassatività, per cui va decisamente respinta.
Invece, la riforma non ha respinto la vexata questio del rilievo da assegnare al
vincolo formale, ovvero se la forma dell’atto pubblico sia richiesta solo come
condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese o ad substantiam.
Dunque, il tema è destinato a restare aperto, così come impone proprio l’art
2332 c.c. e che va estesa anche al preliminare di società ai sensi dell’art. 1351
c.c.207.
206
E. SARACINI, Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971.
P. ABBADESSA, Nullità della società per mancanza dell’atto costitutivo (art. 2332 n. 1), in Giur.
comm., 1974.
207
115
3. Mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto
pubblico.
Le proiezioni applicative della previsione contenuta nell’articolo 2332 c.c., che non è
mutata rispetto alla versione prima della riforma, continuano a riferirsi ad ipotesi in
cui la redazione dell’atto costitutivo abbia luogo in spregio “delle prescrizioni
necessaria a formare l’atto pubblico” o lo stesso “sia stipulato da un pubblico
ufficiale incompetente o incapace”208.
La disciplina introdotta dalla riforma dovrebbe consentire di risolvere i dubbi
riguardanti la portata invalidante dell’omessa lettura, da parte del notaio, dello
statuto209.
Infatti, la circostanza che l’articolo 2328 c.c. ha definitivamente chiarito che lo
statuto costituisce parte integrante dell’atto costitutivo, implica la necessità della
lettura dello stesso ai fini della corretta formazione dell’atto pubblico210.
Invece, resta controverso se la forma dell’atto pubblico costituisca un elemento
dell’atto costitutivo rilevante ad substantiam, ossia integri sic et simpliciter una
condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese: problema questo la cui
soluzione assume riflessi decisivi ai fini dell’individuazione della forma del contratto
preliminare di società per azioni211.
208
G. PALMIERI, La nullità della società per azioni, in Trattato Colombo-Portale, Torino,
2004, p. 94.
209
M. DI FABIO, S. TONDO, Atto costitutivo e statuto di società, in Riv. Not., 1993, p. 696; M. STELLA
RICHTER, Forma e contenuto dell’atto costitutivo della società per azioni, in Trattato delle società per
azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Utet, Torino, 2004, p. 167.
210
G. PALMIERI, op. loc. ult. cit.
211
G. PALMIERI, op. cit.
116
4. (Segue): Illiceità dell’oggetto sociale.
Quella per illiceità dell’oggetto sociale è la causa di nullità destinata ad avere
la maggiore applicazione giurisprudenziale.
Tale anomalia incide fortemente sulla legalità dell’agire societario e la sua
inclusione nel ristretto elenco dell’art. 2332 c.c., dimostrando come,
nell’economia della disposizione, fondamentale rilievo assume la tutela di tale
interesse, che non può tollerare la presenza di s.p.a. costituite per lo
svolgimento di attività non consentite dall’ordinamento.
Rispetto a quello della salvaguardia dell’integrità degli apparati produttivi,
posto alla base della principio di tassatività sollecitando l’alternativa,
caratteristica del congegno dell’art. 2332 c.c., tra rimozione dell’anomalia e
liquidazione ope iudicis della s.p.a., viene a prevalere l’esigenza di
salvaguardare la legalità dell’agire societario.
Pertanto, sembra riferibile anche alla nullità della società per azioni il carattere
sanzionatorio proprio di ogni ipotesi di nullità, il quale lungi dall’essere
affievolito o ridimensionato, è piuttosto adattato alle specifiche, multiformi
esigenze che l’attività di impresa solleva quando è svolta in forma di società di
capitali212.
Sono due i problemi che solitamente vengono posti in relazione a tale causa di
nullità; il primo attiene al significato che nel contesto dell’art. 2332 c.c.
R. FRANCESCHELLI, Nullità per illiceità dell’oggetto di società di capitali registrate?, in Giur.
comm., 1979.
212
117
assume il termine «illiceità» e riguarda, in particolare, l’individuazione dei
criteri in base ai quali va operato questo giudizio «di valore» sull’oggetto
sociale; il secondo è se tale giudizio si limiti alla clausola dell’atto costitutivo
o vada esteso all’attività in fatto esercitata.
Per quel che concerne la prima questione, la recente riforma del diritto
societario ha alleggerito la formulazione della norma che si presenta oggi priva
del riferimento, presente nel testo previgente, alla «contrarietà all’ordine
pubblico». Sul piano interpretativo, la modifica non è priva di riflessi, in
quanto consente di superare definitivamente le incertezze generate dall’endiadi
contenuta nella versione originaria della disposizione che faceva testuale
riferimento all’«illiceità o contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale»,
inducendo a dubitare che la contrarietà al buon costume rientrasse nella
previsione normativa213.
Infatti, anche il nuovo testo dell’art. 2332, n. 2 c.c., indicante l’«illiceità
dell’oggetto sociale» come causa di nullità della s.p.a., autorizza ad attribuire,
senza alcuna esitazione, al termine «illiceità» il triplice significato di
contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume,
assecondando così l’opinione formatasi nel vigore della disciplina previgente.
Tuttavia, anche ove si facesse capo alla nozione di ordine pubblico economico,
e ad onta dell’ampiezza del concetto di illecito, è estremamente improbabile
S. MONTICELLI, Fondamento e funzione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale, in
Rivista di Diritto Civile, 1989.
213
118
che nella pratica ci si possa imbattere in oggetti sociali contrari al buon
costume o all’ordine pubblico.
L’esame della giurisprudenza elaborata nei trenta anni di applicazione della
norma indica che l’ipotesi di illiceità dell’oggetto sociale emersa è quella per
contrarietà a norme imperative, talvolta in relazione ai fenomeni, di indubbia
rilevanza economico-sociale, delle società immobiliari di comodo o delle
società tra professionisti214.
A tal riguardo, è giusto precisare che affinché si realizzi tale fattispecie è
necessario che si tratti di un illecito in assoluto, cioè che si tratti di una attività
sempre e comunque vietata, e non di un’attività che può essere esercitata solo
dietro concessione di speciali autorizzazioni, come ad esempio l’attività
bancaria o finanziaria. Tale impostazione non può essere tuttavia condivisa.
Infatti, essa postula una distinzione tra attività oggettivamente illecite e attività
lecite, ma subordinate ad autorizzazione amministrativa, che appare
evanescente e ingiustificata.
Evanescente, perché tra le prime vi sono attività che, in presenza di
autorizzazione amministrativa, sono pienamente consentite, al pari delle
seconde215.
Ingiustificata, perché viene ad operare, ai fini dell’applicazione dell’art. 2332
c.c. , un’arbitraria gerarchia tra norme funzionali alla tutela di interessi
214
215
G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Roma, 1995.
R. TOMMASINI, Nullità (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XXVIII, Milano, 1978.
119
generali, posto che tali sono anche quelli protetti dalle disposizioni che
subordinano ad autorizzazione amministrativa determinate attività , di
particolare rilevanza economica e sociale, o le riservano a particolari soggetti;
e si pensi agli artt. 10, comma 2, e 11, comma 2, D.lg. 1 settembre 1993, n.
385216 e 4, D.lg. 24 febbraio 1998, n. 58217.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2332 c.c., pertanto, è alquanto irrilevante
l’individuazione degli interessi protetti dalla norma violata, così come è
irrilevante la gravità e la tipologia delle sanzioni, amministrative o penali, che
la violazione della norma stessa determina218.
La circostanza che la mancanza delle autorizzazioni richieste per lo
svolgimento di determinate attività rientri nell’ambito di applicazione dell’art.
2332 c.c., del resto, trova oggi significativo riscontro nell’art. 223-quater,
comma 2, disp. att. in base al quale l’autorità competente al rilascio delle
autorizzazioni di cui agli artt. 2329 e 2436 c.c. è altresì legittimata, qualora
l’iscrizione nel registro delle imprese sia avvenuta nonostante la loro
mancanza o invalidità, a proporre istanza per la cancellazione della società
medesima dal registro.
Una volta sentita la società, il tribunale provvede in camera di consiglio e nel
caso di accoglimento dell’istanza si applica l’articolo 2332 del codice.
Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle Leggi in materia
Bancaria e Creditizia”, in Gazzetta Ufficiale n. 230 del 30 settembre 1993.
217
Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”, in
Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 1998, n. 71.
218
C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975.
216
120
Il collegamento tra mancanza delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività
indicata all’oggetto sociale e applicazione dell’art. 2332 c.c. è oggi dunque
sancito in via legislativa219.
In questa prospettiva, diviene plausibile l’evenienza di un’illiceità sopravvenuta
dell’oggetto sociale, nei casi in cui venga revocata l’autorizzazione amministrativa
all’esercizio dell’attività indicata nell’oggetto sociale, o quando vengano meno i
presupposti fissati da norme imperative per lo svolgimento della stessa. Il che
arricchisce notevolmente la portata applicativa della causa di nullità indicata al n. 2
dell’art. 2332 c.c.
Per quanto riguarda il fatto se la liceità vada valutata in base all’oggetto
statutario o a quello «reale», resta ormai superata l’opinione che riteneva
necessario valutare l’attività concretamente svolta.
5. (Segue): Omissioni nell’atto costitutivo.
L’ultima causa di nullità è costituita dalla mancanza dell’atto costitutivo di
ogni indicazione riguardante la denominazione della società, i conferimenti
oppure l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.
Tale causa di nullità costituisce la fedele traduzione dell’art art. 11 n. 2, lett. c)
“mancanza, nell’ atto costitutivo o nello statuto, di ogni indicazione
219
I. BOLOGNA, Considerazioni sulla nullità parziale nei negozi giuridici, nota a Trib. Napoli, 16
marzo 1951, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1951.
121
riguardante la denominazione della società, o i conferimenti, o l’ ammontare
del capitale sottoscritto, o l’ oggetto sociale”, della prima direttiva che, in
sede di attuazione, ha trovato puntuale
riscontro nella gran parte degli
ordinamenti nazionali e che risulta di chiara matrice germanica, essendo
modellata sul testo degli art. 216 e 275 dell’Aktiengesetz del 1937 e del 1965.
In genere, a questa viene attribuita la funzione di individuare le indicazioni
contenute nell’art. 2328 c.c. che non possono essere omesse, altrimenti pena la
nullità della società iscritta220.
Ai fini della validità della società, la scelta di considerare essenziali soltanto le
indicazioni relative alla denominazione, ai conferimenti, all’ammontare del
capitale sociale e all’oggetto sociale, si spiega in virtù della considerazione che
queste contribuiscono in maniera decisiva a determinare le caratteristiche
dell’organizzazione sociale, e quindi sono destinate a condizionare la sua
stessa funzionalità.
Infatti, è molto visibile il fatto che la mancanza di tali elementi viene a minare
l’efficiente e regolare svolgimento dell’attività sociale, con evidente
pregiudizio per i soci e per i terzi.
In tal modo viene impedita l’applicazione delle più elementari regole
organizzative, legali e statutarie, che dagli stessi non possono prescindere,
220
M. LEOCATA, Trasformazione progressiva e sanatoria ex art. 2332 c.c. delle cause di invalidità
dell’atto costitutivo, in Vita notarile, 2001.
122
spiegando anche la ragione per cui la loro assenza è elevata dal legislatore al
rango di causa di nullità della s.p.a.
A questo punto, è opportuno precisare che, secondo il testo dell’art. 2332 c.c.,
la fattispecie viene integrata dalla mancanza nell’atto costitutivo di ogni
indicazione riguardante i suddetti elementi.
Tale formulazione impone alcune puntualizzazioni sui criteri in base ai quali
va operato il giudizio sulla mancanza o meno di ogni indicazione.
In base al tenore letterale della norma, tale valutazione deve essere fondata
esclusivamente su quanto risulta dall’atto costitutivo, cui va senz’altro
equiparato, malgrado la norma riformata non ne faccia più espressa menzione,
lo statuto221.
Al riguardo, la disposizione contenuta nel nuovo testo dell’art. 2328, ult.
comma, c.c. elimina ogni dubbio, la quale oltre a ribadire il principio secondo
cui «lo statuto contenente le norme relative al funzionamento della società,
anche se oggetto di atto separato, costituisce parte integrante dell’atto
costitutivo», prevede che «in caso di contrasto tra le norme dell’atto costitutivo
e quelle dello statuto prevalgono le seconde».
Dunque, sia l’atto costitutivo che lo statuto segnano il limite oggettivo entro
cui va operata la valutazione sulla presenza delle indicazioni contenute nell’art.
2332 n. 3 e tale circostanza si spiega alla luce del rilievo «reale» che tali
221
A. MONOLO, Genesi della S.p.A. e rapporto fra atto costitutivo e statuto, in Giust. civ., 1996.
123
documenti assumono nella disciplina societaria, in conseguenza delle
particolari regole in tema di formazione e di pubblicità cui sono sottoposti 222.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2332 c.c., e in questa prospettiva, risulta
evidente come l’indagine sulla presenza delle indicazioni riguardanti «la
denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale
sociale o l’oggetto sociale» non può poggiare sulle comuni regole di
interpretazione del contratto di cui agli art. 1362 ss. c.c.
E non è casuale che proprio la previsione di cui all’art. 2332 comma 1, c.c.
nell’ambito del dibattito sull’interpretazione del contratto di società, sia stata
posta a fondamento dell’opinione, ora accolta anche dalla giurisprudenza di
legittimità, che ritiene di dover rovesciare la gerarchia dei canoni ermeneutici
previsti dalle norme del codice civile, accordando la precedenza ai criteri di
interpretazione oggettiva, rispetto a quelli che si fondano sulla ricerca della
comune intenzione dei contraenti (art. 1362, comma 1, c.c.) 223.
In relazione al riferimento alla denominazione sociale sorgono pochi problemi
nel dettaglio delle singole indicazioni menzionate dall’art. 2332, n. 3, la cui
essenzialità, ai fine del corretto svolgimento dell’agire societario e della
certezza dei traffici giuridici, si coglie considerando che la stessa costituisce
l’elemento di identificazione del centro di imputazione dei rapporti societari.
222
C. ANGELICI, La costituzione delle società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P.
Rescigno, XVI, Utet, Torino, 1985.
223
U. BELVISO, Le modificazioni dell’atto costitutivo nelle società per azioni, in Trattato di diritto
privato, diretto da P. Rescigno, XVII, Utet, Torino, 1985.
124
Il che giustifica la sanzione della nullità nel caso in cui dall’atto costitutivo o
dallo statuto non sia possibile risalire alla stessa.
Per quanto concerne l’indicazione relativa ai conferimenti è agevole
comprendere che il legislatore non possa tollerare che operino s.p.a. in cui non
siano individuati, almeno formalmente, gli apporti dovuti dai soci. Situazione
che, oltre a privare la società di certezze circa i mezzi destinati a garantire lo
svolgimento dell’attività produttiva, verrebbe fatalmente a svuotare di
significato, già sotto il profilo formale, il valore eventualmente indicato a
capitale sociale, con effetti intollerabili sia sul piano dell’organizzazione
interna, che in base a quel riferimento misura l’esercizio di fondamentali diritti
sociali, sia sul piano dei rapporti con i creditori ed i terzi.
E in questa prospettiva, si comprende la ragione per cui la mancanza di ogni
indicazione riguardante i conferimenti produce effetti analoghi alla mancanza
di ogni indicazione riguardante il capitale sociale, che pure costituisce causa di
nullità della s.p.a.224.
Il richiamo del principio di tassatività, sotto altro profilo, consente di
escludere, con riferimento alla causa di nullità per mancata indicazione del
capitale sociale, che questa attenga anche alla misura o all’adeguatezza dello
stesso.
Quella del trattamento giuridico delle s.p.a. costituite con un capitale inferiore
al minimo legale, o manifestamente sottocapitalizzate, è dunque questione che
224
N. IRTI, La nullità come sanzione civile, in Contratto e Impresa, 1987.
125
non attiene alla validità della società, una volta che questa sia iscritta nel
registro delle imprese.
L’oggetto sociale è l’ultimo elemento che determina la nullità della s.p.a., sia
nell’atto costitutivo che nello statuto. Ai sensi dell’art. 2332, n. 3, la gravità
della sanzione che determina la sua mancata indicazione si ricollega alla
gravità delle implicazioni di tale omissione sul piano organizzativo 225.
Infatti, è noto che la specificazione dell’attività economica che la società si
propone di svolgere condiziona la corretta applicazione di una serie di norme
di particolare importanza: basti pensare alla disciplina dell’assunzione di
partecipazioni in altre imprese (art. 2361 c.c.), o a quella del recesso
dell’azionista, consentito in presenza di una modifica dell’oggetto sociale che
determina « un cambiamento significativo dell’attività della società» (art.
2437, comma 1°, lett. a), c.c.) o, ancora, alla disposizione che prevede lo
scioglimento della società per impossibilità sopravvenuta di conseguimento
dell’oggetto sociale (art. 2484, comma 1, c.c.).
Ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., gli amministratori hanno l’esclusiva
responsabilità della gestione dell’impresa e compiono tutte le operazioni
necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.
Tali norme sono a presidio di primarie esigenze di tutela dei soci e dei terzi
che non possono operare in assenza della indicazione statutaria dell’attività
A. FEDELE, Della nullità del contratto, in Commentario diretto da D’Amelio-Finzi, I, Firenze,
1948.
225
126
economica cui è funzionale la costituzione della società , a prezzo, appunto,
della sua validità.
Tuttavia, ai fini della soluzione del controverso problema del grado di
determinatezza richiesto all’oggetto sociale, nessuna indicazione può trarsi
dall’art. 2332 c.c.226.
La circostanza che il meccanismo sanzionatorio si attiva solo nel caso limite
della «mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante l’oggetto
sociale», invero, non esclude la necessità di un’adeguata puntualizzazione
dell’attività,
secondo
l’orientamento
faticosamente
elaborato
dalla
giurisprudenza onoraria che rifiutava spesso l’omologazione di atti costitutivi
con oggetti sociali onnicomprensivi o eccessivamente generici.
In pratica, se l’art. 2332 c.c. non autorizza ad affermare la nullità delle s.p.a.
con oggetto sociale eccessivamente generico, la stessa norma non autorizza il
notaio rogante ad astenersi dall’esigere che, in sede di formazione dell’atto
pubblico, l’attività della società sia adeguatamente «determinata».
La drastica riduzione delle cause di nullità della s.p.a. ad opera della riforma
del 2003, d’altra parte, rende ancora più evidente l’esigenza, già ampiamente
percepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che il controllo preventivo
sull’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge (art. 2436 c.c.) non sia
226
V. SALANDRA, La nullità della società secondo il nuovo codice, in Riv. dir. comm., 1946.
127
circoscritto al mero riscontro dell’assenza delle cause di nullità indicate
nell’art. 2332 c.c.227.
6. Salvezza degli atti compiuti e salvezza degli atti sociali.
La conservazione degli atti della società è uno degli aspetti di maggior rilievo
della disciplina in esame. La legge dispone che la dichiarazione di nullità «non
pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società».
Nella sua apparente chiarezza, la norma cela in realtà numerosi problemi. Da
un lato, infatti, essa dice forse di più di quanto vorrebbe, dall’altro appare più
restrittiva di quanto lo sia effettivamente. Sotto il primo profilo occorre
considerare che le disposizioni dirette a regolare gli effetti della nullità sono
concepite in forma tale da avere una portata del tutto generale, anche perchè
corrispondono in sostanza alle norme che, prima della riforma del 1969,
regolavano gli effetti della nullità dell’atto costitutivo e che si applicavano a
tutte le possibili ipotesi di nullità del medesimo.
Ma ora non si tratta più di regolare le conseguenze della nullità dell’atto
costitutivo, ma delle varie cause di nullità della società specificamente previste
dal primo comma dell’art. 2332 c.c.
227
V. VITRÒ, Procedimenti camerali, omologia e nullità delle società per azioni, Giuffré, Milano,
1998.
128
Sotto tale profilo si può osservare che, se la formulazione sintetica delle
disposizioni in questione corrisponde senza dubbio ad un principio di
economia legislativa, spetta pur sempre all’interprete il compito di indagare se
al di là della lettera di legge non si celino delle realtà diverse, che debbono
essere trattate, almeno in parte, in modo diverso tra di loro.
D’altro canto occorre considerare che la disciplina ivi prevista è concepita
essenzialmente in funzione di una società che, pur essendo nulla, ha svolto la
propria attività. Non avrebbe infatti senso preoccuparsi di regolare gli effetti
degli atti conclusi in nome della società se non fossero stati in effetti compiuti
atti di sorta; nè avrebbe senso regolare gli effetti della responsabilità limitata
per le obbligazioni sociali se non fossero state assunte obbligazioni, e neppure
avrebbe senso nominare i liquidatori se non ci fosse niente da liquidare.
Sotto questo profilo si può osservare che, in tanto può giustificarsi una
formulazione generale per la disciplina in oggetto, in quanto con essa si tende
a regolare lo svolgimento di attività da parte della società nulla: in tale
prospettiva i problemi possono assumere un aspetto unitario; ma cessano di
apparire come tali quando viene meno il presupposto dello svolgimento
dell’attività, oppure tale svolgimento va incontro a difficoltà particolari, che
derivano dal caso concreto, cioè dal modo in cui le singole cause di invalidità
influiscono sulla funzionalità dell’organizzazione sociale.
129
Per quanto riguarda i problemi del primo tipo possono essere sufficienti delle
considerazioni di carattere generale; per quanto riguarda gli altri occorrerà
viceversa porsi in una prospettiva analitica.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in
nome della società. Stando al suo tenore letterale, la norma sembrerebbe avere
portata abbastanza limitata, in quanto riguarda gli atti della società. Tanto è
vero che, in sede di elaborazione della direttiva comunitaria, ad un certo punto
si era pensato di introdurre a chiarimento di ciò, una precisazione, e cioè che
anche gli atti compiuti dai terzi con la società non potevano essere travolti a
seguito della dichiarazione di nullità.
Nel sistema italiano tale disposizione non è stata tuttavia accolta, perchè
ritenuta superflua, in quanto non vi è dubbio che, in realtà, la norma sia
espressione di un principio ben più ampio, che travalica i singoli atti e che
riguarda tutta l’organizzazione e l’attività sociale, le quali non restano in via di
principio pregiudicate dalla presenza di una causa di nullità ex art. 2332 c.c.
Il pensiero a cui s’ispira la disposizione in oggetto è che la società nulla, fino
alla dichiarazione di nullità, è da considerarsi come una società, non solo
esistente, ma anche dotata di piena capacità di svolgere le proprie attività. Essa
viene trattata quindi come se fosse una società regolarmente costituita e che si
trova a dovere essere messa in liquidazione.
Del resto si è esattamente osservato che tale pensiero risulta anche dalle
seguenti circostanze: i soci conservano il beneficio della responsabilità
130
limitata; d’altro canto, gli amministratori non incorrono in una responsabilità
personale per le operazioni compiute in nome della società nulla; il che
rappresenta «un indice sicuro della permanenza della destinazione del
patrimonio sociale: questo patrimonio acquista, nonostante l’invalidità,
carattere autonomo e non può essere colpito dai creditori particolari dei soci,
poiché esso è l’unica garanzia riservata ai creditori della società».
La norma tutela quindi pienamente i terzi (creditori) che sono entrati in
contatto con la società, facendo affidamento sull’iscrizione nel registro, ma
tale tutela non risulterebbe completa se non si estendesse anche ad un’altra
ampia categoria di persone che è indotta a fare affidamento sull’esistenza della
società: gli acquirenti delle azioni, e quindi se la società non potesse
considerarsi esistente e regolarmente funzionante anche sotto ogni altro
aspetto, in particolare per quanto riguarda i rapporti interni: i rapporti fra gli
organi, quelli con gli azionisti e così via.
Inoltre, non solo dovranno considerarsi validi agli atti compiuti dalla società
con i terzi, ma anche quelli dei terzi nei riguardi della società, non potendo essi
invocare la nullità del procedimento costitutivo che ha portato alla nascita
della controparte.
Saranno da considerare validi, non solo gli atti compiuti prima della
proposizione dell’azione di nullità, ma anche quelli ad essa posteriori,
compiuti cioè in corso di causa, perchè altrimenti resterebbero sacrificati gli
interessi dei terzi, i quali non sono in alcun modo tenuti a sapere dell’esistenza
131
di un giudizio di nullità228: la legge non prevede, infatti, alcuna forma di
pubblicità per tale evento.
In via di principio la società conserva in pieno la propria struttura
organizzativa e, in particolare, i suoi organi: l’assemblea, il consiglio di
amministrazione, il collegio sindacale. Gli organi sono pertanto obbligati a
svolgere regolarmente i compiti ad essi attribuiti dalla legge e dallo statuto.
Il consiglio di amministrazione dovrà quindi svolgere con la consueta
diligenza (art. 2392 c.c.) la propria attività di gestione, e compiere gli altri atti
e attività attribuitegli dalla legge e dall’atto costitutivo.
Dovrà perciò redigere anche i bilanci annuali, che dovranno essere presentati
per l’approvazione da parte dell’assemblea secondo le regole generali. Gli
amministratori non saranno tenuti a cessare la loro attività in caso di
proposizione dell’azione di nullità, ma dovranno continuare a svolgerla sino
alla pronunzia definitiva.
È da ritenere peraltro che, nel frattempo, ad essi corra l’obbligo di convocare
l’assemblea perchè questa possa provvedere a realizzare, mediante una
delibera, la sanatoria della causa di nullità.
Le deliberazioni del consiglio di amministrazione dovranno considerarsi valide
e così pure si applicherà senza limiti la disciplina della responsabilità civile e
penale, non potendosi addurre ad esimente la nullità della società. Analogo
discorso vale per i sindaci.
228
G. FERRI, Le società, Torino, 1971.
132
L’assemblea funzionerà regolarmente e le sue delibere saranno da considerasi
valide o invalide secondo le regole ordinarie (artt. 2377 segg. c.c.), a nulla
rilevando che esse siano state assunte da un organo di una società nulla.
Del resto, la possibilità che una causa di nullità possa essere sanata in forza di
una modifica dell’atto costitutivo sta appunto a dimostrare che l’assemblea può
validamente deliberare229, altrimenti una modifica statutaria sarebbe non solo
inconcepibile, ma anche giuridicamente impossibile.
Saranno perciò da considerarsi assunte validamente tutte le delibere
assembleari
che
non
presentino
vizi
intrinseci,
quindi
tanto
quelle
dell’assemblea ordinaria quanto quelle dell’assemblea straordinaria e, in
particolare, le modifiche statutarie, portino esse oppure no alla sanatoria della
nullità. La società può quindi validamente deliberare di fondersi in altre
società, di trasformarsi, di porsi in liquidazione. In quest’ultimo caso sembra
che una dichiarazione di nullità diventi perfettamente inutile non potendo si
sovrapporre liquidazione a liquidazione.
L’attività dell’assemblea, d’altro canto, potrà essere regolata dalle norme dello
statuto, purché intrinsecamente valide. Restano infine impregiudicati in linea
di massima anche tutti diritti individuali e le posizioni soggettive degli
azionisti, nonché i doveri e le obbligazioni di questi ultimi nei confronti della
società. In particolare essi saranno tenuti al versamento dei decimi, secondo le
regole generali, potendo pretendere che il versamento sia limitato a quanto
229
M. GHIDINI, Il registro delle imprese, Milano, 1943.
133
necessario a soddisfare i creditori solo quando sia intervenuta la dichiarazione
di nullità: regola che non si discosta da quella generale in materia di
liquidazione.
Naturalmente tale disciplina non si applica nel caso in cui il socio abbia già
richiesto ed ottenuto l’invalidazione della propria partecipazione sociale
ovvero nel caso in cui non si tratti di un socio, come avverrà nel caso in cui si
abbia una sottoscrizione falsa, ovvero riferibile ad un falsus procurator o,
ancora, relativa ad una persona inesistente. In tali casi, in quanto ciò risulti
necessario per soddisfare i creditori sociali, potrà farsi affidamento unicamente
sulla responsabilità di chi ha compiuto il falso, o ne ha fatto scientemente uso,
del falsus procurator.
La conservazione degli atti della società opera in modo obiettivo. Infatti, la
legge prescinde dallo stato soggettivo di buona o mala fede del terzo 230, del
socio, dei singoli membri degli organi sociali.
Del resto, le indagini su tale elemento risulterebbero problematiche e
comunque porterebbero alla frantumazione di una disciplina che si è voluta,
per ragioni di speditezza e semplicità, essenzialmente unitaria.
230
A. FORMIGGINI, I vizi del consenso nel contratto di società, op. cit., 324.
134
7. (Segue): Limiti alla salvezza degli atti.
Il sistema dell’art. 2332 c.c. contiene il principio della conservazione degli atti
della società, il quale incontra un limite desumibile della sua stessa funzione.
Infatti, la legge ha voluto far salvi tutti quegli atti che, se compiuti da una
società validamente costituita, sarebbero stati considerati pienamente validi.
Viceversa, non ha voluto trasformare in validi anche quegli atti che sarebbero
stati nulli se compiuti da una società regolarmente costituita, perchè sarebbe
incongruo ritenere che la tutela di cui gode una società nulla sia più ampia di
quella di una società valida.
In altre parole, si è voluto evitare solo che la nullità delle società divenisse
motivo di invalidità degli atti da essa compiuti. Così, si sono fatti salvi gli atti
intrinsecamente validi, mentre restano soggetti alla disciplina ordinaria gli atti
intrinsecamente invalidi.
Della invalidità di quegli atti dovrà giudicarsi pertanto secondo le regole
generali. Ciò importa che il principio di conservazione anzidetto possa
incontrare dei limiti in quei casi in cui la stessa causa di nullità della società
venga ad influire in modo diretto ed immediato su un determinato atto 231.
Ciò può accadere nell’ipotesi di nullità per illiceità dell’ oggetto sociale. In
questi casi, infatti, la causa di nullità può propagarsi fino al singolo negozio
stipulato coi terzi ovvero all’atto o alla delibera dell’organo sociale.
G. COTTINO, Considerazioni sulla disciplina dell’invalidità del contratto di società di persone, in
Riv. dir. civ., 1963; V. PANUCCIO, Note in tema di impresa illecita, in Riv. dir. civ., 1967; M. GHIDINI,
Società personali, op. cit., 154.
231
135
L’oggetto sociale è, infatti, l’attività in funzione della quale la società è stata
costituita. In particolare, esso rappresenta il modulo al quale si devono
conformare gli amministratori nella loro attività di gestione, perchè gli atti da
essi compiuti devono essere teleologicamente indirizzati al perseguimento
dell’oggetto predetto232.
In tale situazione non è chi non veda come vi possano essere atti sui quali
l’oggetto sociale può incidere in modo immediato e diretto, potendo essere
altresì immediato e diretto il rapporto di funzionalità fra l’atto medesimo e
l’oggetto sociale.
Così può essere nullo un negozio stipulato con un terzo ave il negozio stesso
sia compiuto, essendone di ciò consapevole il terzo contraente, al solo scopo di
consentire il raggiungimento dell’oggetto sociale illecito; in guanto si realizza
in tal caso l’ipotesi dell’illiceità del motivo unico determinante comune alle
parti (art. 1345 c.c.).
L’illiceità dell’atto dovrà peraltro escludersi quando il terzo non sia a
conoscenza dello scopo al quale l’atto dovrà servire oppure quando, pure
essendovi o potendovi essere tale conoscenza, l’atto considerato non sia di per
sè indispensabile per la consumazione dell’attività illecita.
Più in generale si può osservare che l’illiceità o la liceità degli atti compiuti
dalla società potrà esser desunta in base al rapporto di funzionalità fra l’atto
232
F. CORSI, Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974.
136
considerato e l’attività illecita al cui perseguimento esso risulta teologicamente
indirizzato233.
8. Effetti della dichiarazione di nullità e scioglimento.
Se si considera che la sentenza che dichiara la nullità della società pone la società in
stato di liquidazione, la disciplina di cui all’art. 2332 c.c. può allora collocarsi in
evidente rapporto di affinità con quella dello scioglimento della società234.
Peraltro, non sarebbe corretto rinviare puramente e semplicemente a quest’ultimo
ordine di problemi, senza aver prima puntualizzato un aspetto particolarmente
significativo di tale fenomeno.
Infatti, occorre osservare che non sarebbe esatto equiparare senz’altro le cause di
nullità ex art. 2332 c.c. alle cause di scioglimento della società.
Ormai, nel sistema vigente, è opinione consolidata che le cause di scioglimento
operino ipso iure235, quindi al momento stesso del loro verificarsi. Ma le cause di
nullità previste dall’art. 2332 c.c. non producono viceversa come tali alcun effetto
233
R. SCOGNAMIGLIO, Collegamento negoziale, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1960; E. BETTI,
Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960; F. MESSINEO, Contratto collegato, in
Enciclopedia del diritto, vol. X, Milano, 1962.
234
A. MAISANO, Lo scioglimento delle società, Milano, 1974; M. PORZIO, L’estinzione della società
per azioni, Napoli, 1959; M. STOLFI, La liquidazione delle società commerciali, Milano, 1938; S.
SOTGIA, La liquidazione delle società commerciali, Milano, 1936; A. SRAFFA, La liquidazione delle
società commerciali, Firenze, 1899.
235
G. DE FERRA, La proroga delle società commerciali, Milano, 1957; U. MORELLO, Il problema
dello scioglimento di diritto nelle società per azioni, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1973; U. BRUNETTI,
Trattato del diritto delle società, II, Milano, 1948.
137
sulla vita sociale, finché non intervenga una sentenza che le accerti; tanto è vero che,
fino a tale momento, possono essere oggetto di sanatoria.
Pertanto, è la sentenza, e non la causa di nullità in sé e per sé considerata, che
produce l’effetto della messa in liquidazione. Dunque, è solo la sentenza che opera
da causa di scioglimento della società, quindi con effetto costitutivo di una nuova
situazione giuridica.
Attualmente, la disciplina mantiene la distinzione fra cause di nullità e cause di
scioglimento che già era stata accolta nella originaria stesura del codice del 1942. Ma
in quel contesto le cause di nullità riguardavano solo l’atto costitutivo, valutato come
atto contrattuale, non riguardavano viceversa la funzionalità dell’organizzazione
sociale.
Viceversa le cause di scioglimento avevano un significato essenzialmente
«effettuale»236 in quanto incidevano direttamente sull’attività, la quale non poteva
proseguirsi, solo che una di tali cause si fosse realizzata.
Nel sistema attuale le ipotesi di invalidità sono state estese nel senso di
ricomprendervi anche delle anomalie che incidono sulla funzionalità della società;
quest’ultime presentano dunque una certa analogia con le cause di scioglimento.
Tuttavia la distinzione formale è rimasta: di qui la loro diversa efficacia nel modo di
operare.
Se si tiene conto quindi di tale particolare efficacia, che impone di riferire il
verificarsi dello scioglimento alla sentenza dichiarativa di nullità e non alle singole
236
C. ANGELICI, La società nulla, Milano, 1975.
138
cause di nullità, si deve ammettere per il resto un sostanziale parallelismo di
situazioni fra lo scioglimento conseguente alla dichiarazione di nullità e quello che
discende dalle altre cause previste dalla legge: di qui la possibilità di utilizzare
l’ordinaria disciplina in materia di scioglimento, fin quando questa non risulti in
contrasto con la situazione appena esaminata.
È stata prodotta una modificazione nello scopo della società con il passaggio
giudicato della sentenza dichiarativa di nullità, pronunziata ai sensi dell’art. 2332
c.c.: allo scopo di conseguire un guadagno si sostituisce lo scopo c.d. di liquidazione,
che consiste nel realizzare il guadagno già conseguito e di ripartirlo fra gli
azionisti237. Infatti, si tratta dell’effetto tipico dello scioglimento.
I liquidatori, nominati nella sentenza, da tale momento, possono assumere le proprie
funzioni. Attraverso la pubblicità della nomina, che ha carattere dichiarativo e non
costitutivo, l’assunzione della carica da parte dei liquidatori e l’attribuzione ai
medesimi dei poteri rappresentativi diviene opponibile ai terzi.
Con il verificarsi dello scioglimento per nullità si producono altresì delle limitazioni
relative all’attività degli organi sociali. Gli amministratori non possono intraprendere
nuove operazioni e cioè quelle che implicano l’assunzione di nuove iniziative
speculative destinate in modo autonomo al conseguimento di un utile; essi devono
inoltre provvedere alla conservazione dei beni sociali fino al momento della loro
consegna ai liquidatori: questa per lo più dovrebbe avvenire entro breve termine in
237
F. FERRARA, Gli imprenditori e le società, Milano, 1971.
139
quanto, al momento del verificarsi dello scioglimento, le persone dei liquidatori
risultano già indicate nella sentenza.
Anche ai liquidatori è precluso il compimento di nuove operazioni238, dovendo essi
provvedere alla definizione dei rapporti pendenti, al soddisfacimento delle passività,
alla trasformazione dei beni sociali in danaro e alla distribuzione di questo ultimo fra
i soci in proporzione alle loro partecipazioni.
Nell’uno e nell’altro caso al divieto di intraprendere nuove operazioni fa riscontro
l’assunzione della correlativa responsabilità (artt. 2449, 2279 c.c.) nell’ipotesi della
sua mancata osservanza239.
Gli altri organi sociali possono continuare a funzionare nei limiti in cui ciò non
contraddice alle finalità della liquidazione per nullità240.
La norma di cui all’art. 2451 c.c. secondo la quale le disposizioni sulle assemblee e
sul collegio sindacale si applicano anche durante la liquidazione in quanto
compatibili con questa, acquista infatti un senso compiuto ove essa venga riferita non
tanto alle norme strumentali, che regolano le modalità di funzionamento di tali
organi, ma piuttosto alle norme sostanziali, cioè al contenuto della loro attività:
infatti il prolungarsi nel tempo dell’ attività di liquidazione, che potrebbe essere
anche estremamente complessa, ove la società non abbia operato a lungo può rendere
necessaria anche l’attività di tali organi, così come avviene nelle ipotesi ordinarie di
liquidazione.
M. PORZIO, L’estinzione delle società per azioni, Napoli, 1959.
G. RAGUSA MAGGIORE, Scioglimento delle società per azioni, nuove operazioni e responsabilità
degli amministratori, in Dir. fall., 1969.
240
G. SPATAZZA, Le società per azioni, I, Torino, 1972.
238
239
140
Per quanto riguarda l’assemblea, in particolare, questa non potrà evidentemente
prendere, per il resto, deliberazioni il cui contenuto sia incompatibile con la
situazione nella quale si trova la società e che perciò contrastino con lo scopo di
liquidazione, ma potrò assumere solo quelle delibere che siano necessarie od
opportune in tale situazione, come ad esempio sostituzione dei liquidatori,
approvazione dei bilanci, ove la liquidazione si protragga oltre l’anno.
141
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA DELLA NULLITÁ DELLE SOCIETA’
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO INGLESE
142
1. Premessa.
“Mentre il concetto di nullità della società è ben noto nella maggior parte dei
paesi continentali, esso singolarmente non riesce ancora a trovare una
spiegazione plausibile nelle ottuse menti degli avvocati britannici”241. Così
esordisce un autorevole giurista inglese in un suo saggio dedicato all’istituto
delle nullità nell’ordinamento societario inglese.
Prima di procedere nel dettaglio all’analisi della relativa disciplina straniera, è
d’obbligo una premessa.
Si sa che le regole giuridiche frequentemente non rispettano i confini
nazionali. Lo scopo del presente capitolo, tuttavia, non è quello di
intraprendere la via della comparazione (anche perché il nuovo ed
imprescindibile termine di raffronto fra ordinamenti è il diritto dell’Unione
Europea), ma, allo scopo di configurare nella dimensione migliore la
fattispecie della nullità all’interno del diritto societario italiano, quello di
svolgere più opportunamente e in modo mirato la mia analisi.
Pertanto, guardando allo scenario offerto da un ordinamento giuridico di
Common Law, quale risulta dall’esame del Companies Act inglese che, lungi
dall’inquadrare la tematica in esame in rigide sistematiche posizioni, offre,
come si vedrà, pratiche soluzioni ispirate alle esigenze dinamiche che la
materia postula, ci si interrogherà se stesse figure giuridiche abbiano, o meno,
in ordinamenti diversi, lo stesso significato e le stesse finalità.
241
R. DRURY, Nullity of companies in English law, in Modern Law Review, 1985, 48, 644.
143
Orbene, chi volesse indagare sul problema “dell’annullamento” di una società
nell’ambito dell’ordinamento societario inglese, senza dubbio dovrebbe
puntare l’attenzione sulla già citata section 15(4) del Companies Act 2006 (e
sulla section 13 del precedente CA del 1985). Questo articolo prevede che il
certificato di registrazione rappresenta la prova della validità della
registrazione della società e della sua costituzione. Orbene, dal momento che il
certificato è prova “definitiva” del fatto che tutti i requisiti formali ai fini di
una valida costituzione sono stati rispettati, e che la società è stata debitamente
costituita, si direbbe proprio che la sua posizione è incontestabile. Una simile
disposizione è stata formulata allo scopo di proteggere gli interessi dei terzi
che operano con la società: in altre parole, il diritto societario inglese ha, con
tale accorgimento, evitato la necessità di introdurre un concetto di nullità, con
le sue conseguenti complicazioni per i terzi e per gli azionisti. Tuttavia ci si
deve chiedere se tale disciplina, così come risulta dall’attuale ordinamento
societario inglese, sia veramente completa, perché “i semi del dubbio seminati
molto tempo fa hanno recentemente generato il loro frutto piuttosto
sgradevole”242.
242
R. DRURY, op. cit., 644.
144
2. La costituzione di una società nell’ordinamento giuridico inglese.
Ci sono tre tipi fondamentali di società nell’ordinamento inglese: società
istituite per legge, società c.d. di beneficienza e società registrate, e le
formalità che riguardano la costituzione di ciascuna di esse variano
sostanzialmente da tipo a tipo.
In particolare, la nostra attenzione si concentrerà sull’ultimo tipo, vale a dire
quello delle imprese registrate ai sensi del Companies Act: tali società, infatti,
costituiscono il tipo più diffuso e più importante del Regno Unito.
Quindi, da ora in poi, nel parlare delle società inglesi, dei vari tipi sociali e
delle problematiche attinenti alla costituzione di esse, faremo riferimento alle
“società registrate ai sensi del Companies Act 2006”.
Nella stragrande maggioranza dei casi, la società, qualunque sia il suo oggetto
sociale, oggigiorno è costituita sulla base delle regole contemplate all’interno
del Companies Act 2006 o delle corrispondenti precedenti Leggi. A tal
proposito, si ritiene che i soci fondatori che vogliono costituire la società (i c.d.
“promoters”) siano persone fisiche, anche se questa non è necessariamente
l’unica ipotesi possibile. Una società già esistente, infatti, può costituire una
nuova società in base alle procedure previste dalla Legge del 2006. In effetti
tale tipo di costituzione è molto diffusa dal momento che, soprattutto le piccole
145
imprese sono gestite attraverso gruppi di imprese, piuttosto che essere
costituite come singole imprese243.
Nel prosieguo vedremo, più nello specifico, quali sono le funzioni del
Cancelliere delle Società (Registrar of Companies) e del Segretario di Stato in
relazione alla costituzione di una società. In pratica la maggior parte delle
competenze che verranno successivamente descritte vengono esercitate dal
Companies House, che è un’agenzia esecutiva del Department of Trade and
Industry (ora Department for Business, Enterprise & Regulatory Reform).
Vediamo in breve quali sono i passi fondamentali che devono essere seguiti
per la costituzione e la registrazione di una società.
I promoters (soci fondatori) devono prima capire quale sia, fra i vari tipi di
società registrate, quello che sia maggiormente idoneo a perseguire il loro
scopo: la scelta del tipo sociale è importante poiché, a seconda del tipo scelto,
possono variare il numero ed il tipo di documenti necessari per la costituzione
e, conseguentemente, può variare il loro contenuto.
In primo luogo, la scelta del tipo può oscillare fra una società limitata e una
società illimitata244. A tal proposito, la section 31 del CA 2006, al 1° comma,
243
L'istituzione di un gruppo non deve necessariamente comportare la creazione di una nuova
società. Invece il gruppo potrebbe essere costituito dalla acquisizione di azioni di una società
esistente, piuttosto che dalla creazione di una nuova impresa da zero.
244
La maggior parte delle società inglesi sono costituite come companies limited by shares. Le
società possono anche essere costituite sottoforma di companies limited by guarantees. In
quest’ultimo tipo di società, i soci sin dall'inizio, di solito, non pagano alcun prezzo a titolo d i
conferimento alla società, ma promettono, “garantiscono” che, se la società diventerà
insolvente, pagheranno alla società l'importo specificato in garanzia, che verrà da essa
utilizzato per il pagamento dei suoi creditori. Nel primo tipo di società, al contrario, gli
146
stabilisce un principio generale secondo cui l’oggetto sociale è illimitato a
meno che non siano previste all’interno degli Articles of Association
determinate restrizioni relative all’attività sociale. Tale section, infatti, prevede
che “Unless a company’s articles specifically restrict the objects of the
company, its objects are unrestricted”. Dal combinato disposto della section
31, 1° comma e della section 39 (A company’s capacity) del CA 2006 si ricava
che non ci sono limiti alla capacità della società o alle attività che essa può
esercitare in considerazione dell’oggetto sociale. Una società ha, cioè, piena
libertà nella conduzione dei suoi rapporti commerciali con terzi245.
azionisti promettono alla società di fornire fondi a titolo di prezzo pagato per la quota, che di
solito viene pagato per intero nel momento in cui le azioni sono acquistate.
Un’alternativa, che nella pratica era assai raramente utilizzata, era quella di una società
limitata con responsabilità illimitata degli amministratori (s. 305 CA 1985) ma il CA 2006 non
prevede più questa possibilità.
245
Il CA 1985 imponeva a tutte le società di indicare, all’interno di una specifica clausola del
memorandum of association, l’oggetto sociale. Nello specifico l’articolo 3A di quella legge
prevedeva, in termini generali, che l’oggetto di una società era quello di esercitare la propria
attività come una “società commerciale generale, il che significa che l'obiettivo è quello di
esercitare le proprie attività commerciali o industriali, qualunque esse siano, con il potere di
compiere tutte quelle attività accessorie che siano favorevoli e funzionali a tale scopo”.
Questa generale disposizione mirava a superare i problemi causati fino ad allora dalla “teoria
dell’eccesso di potere” (c.d. ultra vires doctrine). Tale teoria, allo scopo di scongiurare
eventuali abusi di potere da parte degli amministratori, che avrebbero potuto compiere attività
non ricadenti nell’oggetto sociale, obbligava le società ad indicare dettagliatamente nel
memorandum l’oggetto sociale. Così facendo, però, tale teoria non faceva altro che limitare la
capacità di una società di compiere attività per il perseguimento dei suoi scopi. Questa t eoria,
inoltre, non era vista di buon occhio dai soci perché costituiva un ostacolo ogni volta che essi
volevano effettuare una qualche modifica dell'atto costitutivo. Era inoltre potenzialmente
pregiudizievole per i terzi che facevano affari con la società, i quali erano costretti a fare
dovuta attenzione alle disposizioni dell’atto costitutivo concernenti l’oggetto sociale. I terzi,
quindi, rischiavano di non essere in grado di rispettare quegli obblighi nei confronti della
società che la società stessa, in virtù degli effetti della ultra vires doctrine, non poteva
adempiere, in quanto non ne aveva la capacità. Il concetto di “oggetto sociale” indicava quelle
attività per il cui esercizio la società era stata costituita. La previsione di esse all’interno d el
memorandum era intesa a tutelare i soci e i creditori, che avevano la sicurezza di potere
147
In secondo luogo, i “futuri soci” devono scegliere fra una società pubblica o
privata. Società pubbliche e società private essenzialmente soddisfano diversi
scopi economici. La scelta, di norma, è orientata verso una società privata.
Infine è necessario che i soci fondatori abbiano ben presenti quali siano gli
obiettivi che intendono perseguire mediante la costituzione della società: in
conoscere le finalità che la società avrebbe dovuto perseguire. Tale previsione era inoltre
destinata a vincolare gli amministratori, impedendo l'esercizio dei loro poteri per fini non
autorizzati. Ma i giudici ben presto giunsero a ritenere che le presunte attività compiute al di
fuori delle previsioni dell’oggetto sociale erano da considerarsi nulle, o perché considerate
ultra vires o perché superavano i limiti della capacità di agire della società. Ciò tuttavia aveva
comportato un significativo effetto negativo sia sulle società sia su coloro che avevano fatto
affari con esse: i contratti stipulati in buona fede venivano considerati nulli, compresi tutti gli
atti e tutte le operazioni che erano stati eseguiti in virtù di quei contratti. Queste conseguenze
erano però considerate inaccettabili in un ambito, quale è quello dei traffici commerciali, e
furono così emanate una serie di disposizioni per la tutela dei terzi. Da ultimo il CA 2006, s.
31 (1), ha ritenuto non più essenziale il ruolo svolto dalla indicazione dell’oggetto sociale e ha
previsto che una società avrà oggetto illimitato, a meno che gli oggetti siano espressamente
limitati dallo Statuto sociale. Ciò significa che, a meno che la società scelga deliberatamente di
limitare il suo oggetto sociale, gli oggetti non incideranno sulle attività che una società vorrà
compiere. Invece, storicamente, presunte attività compiute al di fuori degli oggetti dichiarati
nell’atto costitutivo erano dichiarate nulle. Nessuna delle due parti avrebbe potuto far valere il
contratto, e tutte le prestazioni effettuate erano soggette a restituzione, in quanto volte a
ripristinare le posizioni pre-contrattuali delle parti. Ciò però, come detto, creava problematiche
di non facile soluzione per i terzi che trattavano con la società, e poteva causare conseguenze
ingiuste e inaspettate su di essi. Il vantaggio di tale disciplina, se ve n’era uno, era per i soci:
essi erano sicuri (se gli amministratori avessero agito correttamente) che i loro conferimenti
venivano destinati soltanto a determinati tipi di attività. Va rilevato quindi che l'ingiustizia e
gli svantaggi commerciali a danno dei terzi sono stati considerati come un prezzo t roppo alto
da pagare a scapito della tutela dei soci, e il legislatore ha rafforzato con disposizioni statutarie
la tutela dei terzi. Tali disposizioni non arrivano al punto tale da ritenere che una società abbia
la capacità di compiere tutte le attività che vuole, ma impediscono la validità di ogni atto che
sia messo in discussione per motivi di mancanza di capacità, derivanti da un qualsiasi vizio
attinente alla costituzione della società. Questa previsione tutela i terzi, e preserva il diritto dei
soci di citare in giudizio gli amministratori per le violazioni dell’atto costitutivo della società
(id est per avere agito al di fuori dei poteri loro conferiti) e per le perdite causate alla società.
Questo è il motivo per cui la “questione della capacità della società” non è più un problema per
i terzi.
148
particolare e solo nel caso in cui essi vogliano costituire una società di
beneficienza, va indicato, all’interno dei documenti costitutivi, che le attività
sociali sono limitate unicamente al perseguimento di scopi di beneficenza.
Inoltre, a partire dal 2004 è stata introdotta la fattispecie delle “società di
interesse collettivo” (community interest company), disciplinata dalla Parte 2
del CA 2004. Tali imprese devono avere, come loro obiettivo principale, il
perseguimento di un interesse comunitario (senza il bisogno che tali società
siano costituite quali società di beneficienza) e il loro statuto deve contenere,
tra altre, restrizioni sul pagamento dei dividendi e, in generale, sul
trasferimento dei beni aziendali.
In definitiva, la stragrande maggioranza delle società costituite, sono società
per azioni private che non sono né società di beneficienza, né società di
interesse collettivo (in Italia esse potrebbero corrispondere alle imprese
sociali).
Scelto il tipo sociale, il passo successivo per i soci fondatori consiste nella
scelta del nome della società. Esso assolve ad una funzione di identificazione
della persona giuridica246 e la legge prevede che la domanda di registrazione di
una società debba indicare il nome della società stessa proposto dai soci
fondatori: a tal proposito, il Segretario di Stato ha il potere di obbligare le
società a dare adeguata pubblicità al proprio nome presso la sede sociale e
Anche se ora il cancelliere ha l’abitudine di assegnare a ciascuna impresa un numero di
registrazione (s. 1066), che essa deve specificare sulle lettere e sulle commesse.
246
149
sulla corrispondenza commerciale nonché sulla relativa documentazione.
Inoltre, nella prassi societaria inglese, per questioni di conformità con il
sistema informatico del DBERR (Department for Business, Enterprise &
Regulatory Reform), vengono normalmente utilizzate denominazioni sociali
quanto più brevi possibili247.
Orbene, se il Cancelliere delle Società (Registrar of companies) ritiene che i
requisiti per la registrazione siano stati rispettati e che lo scopo per il quale i
soci fondatori hanno formato la società sia “lecito” 248, il Cancelliere registrerà
i documenti costitutivi presentati e rilascerà un certificato di costituzione (o
certificato di registrazione)249. Esso attesta che la società è costituita e le
attribuisce un numero di registrazione; oltre ad indicare il nome della società,
il suddetto certificato contiene altresì la data di registrazione, la specificazione
se la società è una società limitata (e, in caso affermativo, in che modo essa lo
sia: “by shares/by guarantees”); il certificato deve indicare anche se si tratta di
società pubblica o privata e in quale giurisdizione si trova la sua sede sociale.
La Section 15 (4) stabilisce che il certificato è la prova conclusiva che i
247
Ai sensi del CA 2006, in gran parte per ragioni di convenienza del sistema informatico del
Companies House, è stato fissato un limite al numero di caratteri che possono comporre il
nome di una società (non più di 160) e i caratteri consentiti sono stati specificamente
prestabiliti dalla legge. Il centro di consultazione del DTI ha rilevato che il più lungo nome
registrato al momento ha 159 caratteri. Si tratta del lunghissimo toponimo gallese,
Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch, che è più una descrizione che
un nome.
248
Section 7 (2): “Una società non può perseguire un oggetto illecito”. Questo articolo viene
interpretato come divieto sia di svolgere attività per delinquere, sia di perseguire finalità
considerate contrarie all'ordine pubblico.
249
Section 15. Firmato dal cancelliere e autenticato dal timbro (sigillo) ufficiale del
Cancelliere (Sec. 15 (3)).
150
requisiti di legge previsti per la registrazione sono stati rispettati e che la
società è stata debitamente registrata (e costituita) ai sensi del CA 2006250.
L’effetto della costituzione è che “coloro che hanno stipulato e sottoscritto il
memorandum of association, insieme con le altre persone che, in futuro,
potranno di volta in volta diventare soci della società, costituiscono ora una
persona giuridica sotto la denominazione indicata nel certificato di
registrazione”251. Inoltre, gli stessi diventano i titolari delle azioni specificate
nell’indicazione relativa al capitale azionario e gli amministratori e il
segretario (eventualmente, se ce n’è uno), citati nella dichiarazione di nomina
degli organi sociali, sono nominati ai loro uffici.
Il certificato di costituzione costituisce esplicazione, dunque, della c.d. “regola
della prova conclusiva”, così come stabilito dalla Section 15, comma 4°, del
Companies Act.
L’ampio ambito di applicazione della presente disposizione è evidenziato dal
caso Jubilee Cotton Mills Ltd contro Lewis 252 in cui è stato dichiarato che il
certificato costituisce una prova conclusiva per quanto riguarda la data di
costituzione, anche se essa è sbagliata. Inoltre, in un caso precedente, Coutman
contro Broughmam253, la House of Lords ritenne che la portata di tale
“The certificate is conclusive evidence that the requirements of this Act as to registration
have been complied with and that the company is duly registered under this Act”.
251
Section 16(2): “The subscribers to the memorandum, together with such other persons as
may from time to time become members of the company, are a body corporate by the name
stated in the certificate of incorporation”.
252
In Appeal Cases, 1924, 958.
253
In Appeal Cases, 1918, 514.
250
151
disposizione fosse talmente rilevante da impedire alla stessa di vietare che i
soci
fondatori
inserissero
una
particolare
clausola,
all’interno
del
memorandum della società, che la medesima House of Lords non riteneva
conforme a legge254.
254
La clausola in questione considerava ogni punto facente parte della clausola oggetti come
un autonomo oggetto a sé stante ed è divenuta nota come la clausola Cotman v Brougham che
oggi compare nella maggior parte delle clausole oggetto dei memorandum. Per chiarire meglio
tale considerazione occorre prendere nuovamente in considerazione la teoria dell’eccesso di
potere (ultra vires doctrine), già esaminata in nota 3. L’obiettivo della teoria dell’eccesso di
potere, così come applicata alle società, consisteva nel tutelare gli investitori e i creditori nei
confronti di attività aziendali non autorizzate e tali da comportare inutili dispersioni del
patrimonio sociale. Nel senso stretto del termine, ogni operazione sociale che oltrepassava il
limite delle capacità giuridica della società, così come fissato nel memorandum dalla clausola
inerente all’oggetto sociale (c.d. clausola oggetti), sarebbe stata nulla e non avrebbe potuto
essere approvata dai soci. La forma comune delle organizzazioni imprenditoriali, prima della
nascita delle società per azioni nel 1844, era il partenariato, ma la teoria dell’eccesso di potere
non si applicava ai partenariati. La loro responsabilità era basata sul concetto di organismo
sotto un’autorità effettiva o apparente, e qualsiasi cambiamento della natura degli affari
compiuti richiedeva l’unanime consenso delle imprese.
La costituzione delle società per azioni sotto il Companies Act 1844 imponeva ad esse di
registrare la loro costituzione nella forma di un c.d. atto di incorporazione presso il Companies
House. L’atto di incorporazione ha rappresentato una forma di partenariato esteso e l’Act del
1844 richiedeva a cotali società di fornire una dichiarazione sulla natura e sullo scopo della
loro attività. Queste società non avevano personalità giuridica (o, per usare le parole dell’Act,
personalità corporativa) e, di conseguenza, la teoria dell’eccesso di potere non si applicava
nemmeno ad esse perché, sebbene l’Act del 1844 facesse riferimento al termine “società”,
l'atto di incorporazione, come detto, costituiva ancora solo una forma estesa di partenariato.
L’articolo 25 della predetta legge prevedeva che tra i principali poteri e privilegi previsti da un
atto di incorporazione delle società vi era il potere di compiere tutti gli altri atti necessari per
l’assolvimento delle finalità di tali imprese. La successiva legislazione, in particolare il Joint
Stock Companies Act del 1856, definì i limiti e i confini del concetto di capacità giuridica di
società nell’ambito dell’esercizio dell’attività sociale. Ciò è servito per costringere le imprese
registrate a rispettare il divieto di compiere atti che oltrepassassero il limite dell’esercizio
dell’attività sociale, la cui natura e la cui finalità non potevano nemmeno essere modificate
successivamente dai soci in assemblea, mediante una modifica dell’atto costitutivo. Infatti, in
diversi casi i giudici dichiararono che una società costituita ai sensi del Companies Act aveva
la capacità di impegnarsi solo per il compimento di quelle attività che erano state
espressamente o implicitamente autorizzate dal suo atto costitutivo. La House of Lords distinse
chiaramente le attività che costituivano un eccesso di potere degli amministratori perché
esorbitavano dall’esercizio dei poteri loro delegati dagli articoli dello statuto sociale, (e
pertanto suscettibili di ratifica da parte dei soci) da quelle attività che costituivano un eccesso
di potere della società perché esorbitavano dall’esercizio dell’attività sociale fissata dalla
clausola oggetti indicata nel memorandum. Queste ultime attività sono state correttamente
definite ultra vires e, quindi, non ratificabili dai soci in assemblea. Tuttavia, tale regola è stata
via via, per così dire, mitigata nei casi successivi, che hanno gradualmente limitato il campo di
152
D’altro canto, va specificato che il certificato è solo prova conclusiva del fatto
che le formalità sono state rispettate, ma non è anche prova conclusiva della
legittimità degli oggetti della società. Infatti in Bowman contro Secular
applicazione della teoria dell’eccesso di potere. Sintomatico, a tal proposito, è il caso A-G
contro Great Eastern Railway Co, in cui la House of Lords affermò che, oltre che esercitare i
poteri conferiti dal suo memorandum, una società aveva il potere implicito di compiere tutte
quelle attività, da considerarsi accessorie, che potevano ragionevolmente ritenersi utili per la
realizzazione dello scopo sociale. Inoltre, la teoria dell’eccesso di potere poteva d’altronde
essere agevolmente aggirata mediante quella che era ormai una diffusa prassi aziendale, vale a
dire indicare nel memorandum un ampio elenco di oggetti e poteri che garantissero alle
società la libertà di impegnarsi in una vasta gamma di attività, senza essere limitate in alcun
modo da quella teoria. La diffusione di tale prassi fu tristemente riconosciuta proprio nel caso
Cotman contro Brougham, in cui la House of Lords la definì come una “prassi pericolosa in
quanto confonde le finalità con i poteri”. Lord Wrenbury, manifestandone la oramai inevitabile
diffusione, aveva affermato “mi arrendo ad essa!”, ed esprimeva in tal modo la sua
insoddisfazione: “si è arrivati oggi ad un punto in cui la funzione del memorandum non è più
di precisare, di chiarire, di palesare, ma di seppellire sotto una massa di parole il vero oggetto e
le reali finalità della società, con la conseguenza che ogni concepibile forma di attività
dovrebbe considerarsi racchiusa da qualche parte entro i suoi termini”. Questo problema fu
inizialmente risolto dalla prassi giudiziaria attraverso l’analisi dei vari oggetti e delle varie
competenze previste all’interno del memorandum e mediante l’individuazione dell’oggetto
principale dell’attività sociale, in contrapposizione agli oggetti da considerarsi, al contrario,
accessori o secondari. Questa prassi è diventata nota come the main object rule. In particolare,
in Re Haven contro Gold Mining Co, il giudice dichiarò che “qualora siano indicati vari
oggetti della società in più punti del memorandum, occorrerà guardare a quei punti del
memorandum che contengono il principale o i principali oggetti della società. Tutti gli altri
oggetti sono da considerarsi accessori”. Alcune società, tuttavia, trovarono il modo di aggirare
la teoria della distinzione tra i poteri e gli oggetti e, quindi, si sottrassero all’applicazione della
regola dell’eccesso di potere. In particolare, esse svilupparono la prassi di includere una
disposizione alla fine della clausola oggetti, in cui si affermava che gli oggetti sociali non
potevano essere interpretati restrittivamente e che ciascuno dei punti doveva essere interpretato
come se contemplasse un oggetto separato ed indipendente. Questa prassi divenne poi nota,
per l’appunto, come la clausola Cotman v Brougham. Tuttavia, successivamente i giudici si
tutelarono e adottarono un’interpretazione restrittiva di questa forma di clausola. Sintomatico
il caso Re Introductions Ltd contro National Provincial Bank Ltd, in cui il Giudice Harman
affermò che non tutti i poteri coincidono, necessariamente, con l’oggetto e, sarcasticamente,
disse che: “Una società non può avere un oggetto tale da permetterle di compiere ogni
(ipotetica) attività mortale”. In un altro caso, Bell Houses Ltd contro City Wall Properties Ltd,
la Corte d’Appello applicò un “naturale e ragionevole significato” alla clausola oggetti
affermando che “solo nella misura in cui gli amministratori in buona fede hanno ritenuto che
un particolare affare sia stato concluso a vantaggio della società, tutte le ulteriori (secondarie)
attività, intraprese in dipendenza di tale affare, possono farsi rientrare appieno nell’ambito di
operatività sancito dalla clausola oggetti e la capacità giuridica della società può estendersi
anche al compimento di tali attività”.
153
Society255, la Corte d’Appello ha affermato che “la registrazione della società
non implica necessariamente (e definitivamente) che l’oggetto di quella
società sia lecito ma, dopo il rilascio del certificato di costituzione, la validità
della costituzione di una società non può più essere contestata se non
mediante una speciale procedura promossa in nome della Corona 256, volta ad
ottenere la cancellazione della registrazione”. In particolare si è affermato che
il Procuratore Generale può chiedere un certiorari per ottenere la
cancellazione della registrazione nel caso in cui l’oggetto sociale sia illecito 257.
L’effetto fondamentale della sezione in questione, che attribuisce al certificato
di costituzione il ruolo di prova conclusiva, è quello di escludere dal diritto
societario inglese la dottrina della nullità della costituzione di società, che
esiste negli ordinamenti giuridici continentali. Tale disciplina prevede
normalmente
l’annullamento
giurisdizionale
dei
vizi/irregolarità
di
costituzione e, a livello comunitario, è soggetta alla Sezione III della Prima
Direttiva CEE n. 151/1968.
Il cancelliere delle società, quindi, nel decidere se registrare o meno la società,
svolge sostanzialmente una funzione amministrativa, piuttosto che giudiziaria:
un eventuale rifiuto di registrazione può essere impugnato dinanzi al giudice,
anche se con scarse speranze di successo 258. Così, ad esempio, in R contro
Registrar of Joint Stock Companies ex parte More, alcuni Irlandesi volevano
255
In Appeal Cases, 1917, 406 (House of Lords).
Crown: Pubblica Accusa.
257
Sul significato del termine certiorari si veda la nota 30.
258
R. contro Registrar of Joint Stock Companies, in King’s Bench Report, 2, 1931, 197.
256
154
costituire una società inglese e introdurla nel mercato dei biglietti della lotteria
irlandese. Ora, costituire una società per tale finalità era considerato lecito in
Irlanda, ma non in Inghilterra. Il cancelliere di conseguenza rifiutò la
registrazione e gli irlandesi impugnarono la sua decisione. Il giudice tuttavia
rifiutò di disattendere la decisione del cancelliere e il ricorso presentato dagli
Irlandesi, per ottenere una decisione che obbligasse il cancelliere a registrare e
costituire la società, venne respinta con la motivazione che il cancelliere aveva
giustamente ritenuto che tali vendite fossero illegali in Inghilterra.
D’altro canto, se la finalità perseguita dalla società è lecita e tutte le condizioni
previste dalla legge sono state rispettate, il cancelliere deve rilasciare il
certificato di costituzione e in caso di diniego, può, per l’appunto, essere
presentato ricorso nei suoi confronti. Così, in R contro Registrar of
Companies, ex parte Bowen259, fu richiesta la registrazione di una società sotto
la denominazione Servizio Congiunto di Odontoiatria (United Dental Service
Ltd). Il memorandum of association fu sottoscritto da sette dentisti non iscritti
all’albo. Il cancelliere rifiutò di registrare la società a meno che il
memorandum non fosse stato modificato in modo tale da prevedere che
l’attività della società sarebbe stata esercitata solo da dentisti iscritti al relativo
albo, oppure a meno che la denominazione della società non fosse stata
corretta in modo tale da non comprendere la parola “odontoiatria” o
“odontoiatrico”. I dentisti fecero ricorso dinanzi al giudice affinché egli
259
In King’s Bench (Divisional Court), 1914, 3, 1161 ss.
155
ordinasse al cancelliere di registrare la società. E, in effetti, il giudice,
accogliendo il ricorso, affermò che il rifiuto del cancelliere era ingiustificato.
Nello specifico, il Giudice Reading affermò che: “A mio parere il problema
principale consiste nel chiedersi se l'uso delle parole ‘United Dental Service’
costituisca un illecito ai sensi del Dentists Act del 1878. Ritengo che queste
parole assolvano soltanto alla funzione di descrivere gli atti da compiere, ma
non implicano anche che le persone che compiranno tali atti siano persone
appositamente e specificamente qualificate ai sensi della Legge del 1878. Il
cancelliere avrebbe diritto a rifiutare la registrazione della società con quel
nome solo se l‘uso di tale denominazione integrasse un illecito ai sensi della
suddetta Legge. Ma, una volta ritenuto, come detto, che l’uso di tali parole
non costituisce un illecito, il cancelliere ha sbagliato nel rifiutare la
registrazione per quel motivo”.
Tuttavia, di norma, la registrazione di una società non può essere messa in
discussione in virtù dell’efficacia conclusiva svolta dal certificato di
registrazione. Tale espediente, fondamentalmente, ha reso il diritto societario
inglese immune dai problemi derivanti da quei vizi di costituzione delle
società che hanno invece interessato gli Stati Uniti e molti paesi dell’Europa
continentale260. Ma i casi giuridici decisi in relazione alla section 15 (4) del
Companies Act 2006 (ed alle corrispondenti sections dei precedenti Acts) e la
260
R. DRURY, Nullity of companies in English law, in Modern Law Review, 1985, vol. 48, 644
ss.
156
rivisitazione di essi da parte della Corte d’Appello, in R contro Registrar of
Companies, Ex parte Central Bank of India261 (relativo a un certificato di
registrazione di una spesa gravante sul patrimonio della società), dimostrano
che questa immunità non è assoluta.
Anche perché, come già rilevato, la section 15 e le corrispondenti Sections
delle Leggi precedenti sono formulate in modo tale da non vincolare la
Corona, per cui il Procuratore Generale262 può rivolgersi al giudice e può
ottenere un certiorari263 per annullare la registrazione264 .
Questa azione è stata esperita (con successo) in R. contro Registrar of
Companies, Ex parte HM’s Attorney General, in cui una prostituta era riuscita
a registrare una società per l’esercizio della sua attività sotto la denominazione
261
In Quarterly Bullettin, 1986, 1114. Rovesciando la decisione di primo grado, la Corte di
Appello dichiarò che, anche in sede di sindacato giurisdizionale, l’effetto della sezione 98 (2)
del CA 1948, in base alla quale il certificato di registrazione di una spesa “è la prova
conclusiva che i requisiti di registrazione sono stati soddisfatti”, era quello di rendere
inammissibile la prova di inadempienza, precludendo così al tribunale l’annullamento della
registrazione.
262
Sebbene l’espressione Attorney-General possa essere letteralmente tradotta in italiano con
“procuratore generale”, la traduzione rischia di essere fuorviante giacché le funzioni
dell'Attorney General e la sua posizione sono significativamente diverse da quelli dell'organo
che in Italia e in altri paesi di civil law è così denominato. Infatti, mentre quest'ultimo svolge
funzioni di pubblico ministero, l’Attorney General, pur avendo in alcuni paesi anche la
responsabilità della pubblica accusa, ha principalmente la funzione di consulente legale del
governo, con un ruolo, quindi, per certi versi analogo all'Avvocatura dello Stato italiana.
263
Nel sistema di Common Law il termine certiorari indica un particolare procedimento,
imperniato sull’ordine impartito da una corte superiore ad una corte inferiore di consegnare gli
atti di un giudizio dinanzi ad essa pendente, al fine di consentire alla corte superiore di
riesaminare il procedimento ed accertare la validità degli atti compiuti dai primi giudici
(osservanza delle norme sulla competenza e assenza di errori di diritto).
Salvo diversa disposizione di legge, l’emanazione del certiorari costituisce espressione di un
potere discrezionale della corte. Se la pronuncia dei primi giudici viene annullata, il processo è
rinviato nuovamente al giudice inferiore. In quanto finalizzata a risolvere esclusivamente
questioni di diritto e non anche di merito, il procedimento instaurato dal certiorari si svolge in
assenza della giuria.
264
GOWER and DAVIES, Principles of modern company law, 8th edition, Sweeth & Maxwell
Publications, London, 2008, 94 ss.
157
“Lindi St Claire (Personal Services) Ltd” (dopo che il Cancelliere aveva
rifiutato altre proposte denominazioni, quali: “Prostitute Ltd”, “Hookers Ltd”
e “Lindi St Claire (French Lessons) Ltd”) e, con “scrupolosa franchezza”, la
stessa aveva specificato che l’oggetto principale di tale società era quello di
“esercitare l’attività di prostituzione”265. Il giudice, in sede di sindacato
giurisdizionale su istanza del procuratore generale, annullò la registrazione
ritenendo che l’attività così dichiarata era illecita in quanto contraria all’ordine
pubblico266. È improbabile, tuttavia, che, in futuro, il procuratore generale (o
qualsiasi altro organo dell’Accusa) agirà in giudizio, attivando nuovamente la
procedura appena descritta, a meno che non si ritenga che l’ordine pubblico (o,
ancor di più, la Politica stessa) sia direttamente coinvolto; e, di sicuro, “egli
non si scomoderà a farlo se tutto ciò che è accaduto non è altro che un
inadempimento tecnico delle formalità di costituzione”267.
Tuttavia, vi è un’altra situazione in cui il certificato non sembra essere prova
conclusiva di una valida costituzione. Ciò risulta dalla section 10 (3) del Trade
Union and Labour Relations (Consolidations) Act 1992, che stabilisce che la
registrazione di un’organizzazione sindacale in forma di una società, così
265
Se fosse stata meno schietta, per esempio indicando come oggetto principale, quello di
“esercitare l'attività di massaggiatrici e fornire i servizi connessi”, probabilmente avrebbe
potuto evitare ogni problema.
266
Fermo restando che, come lei ha protestato, aveva pagato le imposte sul reddito per i suoi
guadagni. Dal momento che la prostituzione può essere esercitata senza necessariamente
commettere alcun reato e che lei ha continuato, senza alcuna società registrata, a praticare la
sua professione, alcuni potrebbero pensare che questo sia stato un esempio di “cavallo
indisciplinato di ordine pubblico che ha disarcionato i suoi cavalieri giudiziari”.
267
GOWER and DAVIES, Principles of modern company law, op. cit., 96.
158
come prevista e regolata dal Companies Act, è nulla. Si ricorda, a tal
proposito, il caso di una società costituita da giovani medici ospedalieri per
rappresentare i loro interessi. Ebbene, dopo che quella “società” venne
costituita, fu realizzato che i suoi oggetti la rendevano un sindacato secondo la
definizione giuridica. Il Dipartimento del Commercio ritenne che la
disposizione del diritto del lavoro superava i limiti e la portata dell’attuale
section 15 (4) del CA 2006 e, di conseguenza, il Cancelliere cancellò la società
dal registro delle imprese per “registrazione nulla”. Questo caso giuridico è
considerato “storico” perché rappresenta il primo e l’ultimo esempio di
cancellazione di una società senza alcuna decisione giurisdizionale. Infatti, a
quanto pare, in quel caso la cancellazione fu disposta senza alcun ordine del
tribunale268 e senza contestazione alcuna da parte dei medici. Tuttavia, è pur
vero che l’interpretazione dominante ha ritenuto che tale azione, instaurata (e
conclusa) su iniziativa del cancelliere, deve essere considerata come un’azione
intrapresa “in nome della Corona (Pubblica Accusa)” e allo scopo di
correggere un errore che lui stesso (o i suoi predecessori) aveva fatto269.
Pertanto, sembra ormai improbabile (anche se non certo) che in ogni caso
qualcuno, a parte la Pubblica Accusa, possa invocare la nullità di una società
registrata, a meno che e finché essa non sia stata cancellata dal registro delle
268
Nonostante il fatto che la Prima Direttiva in materia di Diritto Societario all'art. 11,1 (a)
prevedeva che "la nullità deve essere dichiarata in giudizio".
269
Ma, presumibilmente, a meno che la società non era d’accordo, non avrebbe potuto
intraprendere questa azione senza che la costituzione fosse nulla (come nel caso di un
sindacato o di finalità illecita), piuttosto che annullabile (che si ha nel caso in cui, per esempio,
la registrazione è stata ottenuta con falsa rappresentazione).
159
imprese a seguito di un’azione intrapresa da parte, o in nome e per conto, della
Corona: cancellazione, come conseguenza di tale azione, che equivale a una
dichiarazione che attesti che la società non sia mai esistita in quanto ente
giuridico270.
L’opinione dominante, tuttavia, non la ritiene la migliore soluzione: cioè,
affermare che la società non è mai esistita non ha alcun senso, considerato che
“paradossalmente, anche non esistendo, la società ha continuato a svolgere
l’attività sociale come se si trattasse di una società registrata e sia i suoi soci,
sia i suoi creditori l’hanno erroneamente ritenuta tale” 271. Essa dovrebbe essere
posta in liquidazione272, piuttosto che essere dichiarata mai esistita273.
3. (Segue): I documenti costitutivi (Articles of Association e Memorandum
of Association).
Il documento costitutivo più importante è rappresentato dagli Articles of
Association (ovvero lo statuto sociale), documento per il quale il legislatore ha
predisposto alcuni modelli. Gli articoli dello statuto prevedono, di norma, gran
parte delle regole che disciplinano il funzionamento interno della società e
270
GOWER & DAVIES, Principles of modern company law, op. cit., 92 ss.
GOWER & DAVIES, op. cit., 97.
272
Ma a che titolo? Come una società registrata, che apparentemente non è? O come una
società non registrata ai sensi della Parte V della legge fallimentare inglese (la Parte V
dell’Insolvency Act del 1986 è rubricata “Winding up of unregistered companies”)?
273
Come la Prima Direttiva pare prevedere all’art. 12.2, secondo cui “La nullità comporta la
liquidazione della società, come può comportarla lo scioglimento”.
271
160
rivestono un ruolo particolarmente importante nel quadro della legge
britannica, in funzione della vasta gamma di questioni che la legge stessa
lascia che siano disciplinate dallo statuto.
Ora, ci sono due fondamentali documenti costitutivi, la registrazione dei quali
è obbligatoria: il Memorandum of Association e il già menzionato Articles of
Association.
a) Memorandum of Association.
Un cambiamento significativo nel quadro della legge 2006 è consistito nella
retrocessione a un ruolo residuale del Memorandum of Association (atto
costitutivo), che, prima delle modifiche introdotte dall’attuale Legge sulle
società, conteneva al suo interno le informazioni più importanti sulla società e,
in origine, rimaneva in gran parte immutato dopo la registrazione della
società274. Ai sensi della Legge 2006 il memorandum, che, ad ogni modo, deve
ancora oggi essere depositato presso il registro delle imprese in quanto
costituisce pur sempre un passo obbligato del processo di formazione, ha
semplicemente la funzione di far rilevare che i soci fondatori desiderano
costituire una società ai sensi dell’Act e decidono di diventare soci della
società al momento della sua costituzione; e, nel caso di una società con un
capitale azionario, essi si obbligano a detenere almeno una azione ciascuno 275.
274
Il CLR (Company Law Review) aveva suggerito di abolire del tutto il memorandum
(Relazione finale I, par. 9.4), ma poiché sono state eliminate solo alcune parti di esso, ci si è
chiesti se tale modifica abbia alterato la natura della società come una associazione
incorporata. Da qui, apparentemente, l’idea di un ruolo residuale del memorandum.
275
Section 8 (1) of the 2006 Companies Act.
161
La section 8 (1) del CA 2006 infatti statuisce che “A memorandum of
association is a memorandum stating that the subscribers: (a) wish to form a
company under this Act; (b) agree to become members of the company and, in
the case of a company that is to have a share capital, to take at least one share
each”.
Come s’è detto, però, il ruolo e la funzione del memorandum hanno
gradatamente perso la rilevanza che le veniva conferita sotto la vigenza del CA
1985.
Infatti, il memorandum, in conformità con le intenzioni di semplificazione, è
un documento che è stato significativamente abbreviato nel CA 2006. Nella
section 2 del CA 1985, il memorandum prevedeva varie parti al suo interno in
cui dovevano essere inserite varie informazioni, tra cui: l’indicazione del nome
della società; se la sua sede sociale era situata in Inghilterra, nel Galles o in
Scozia; l’indicazione dell’oggetto sociale, che rappresentava l’informazione
più
importante.
Altre
parti
del
memorandum
contenevano
ulteriori
informazioni sulla società e, in particolare, sul tipo sociale prescelto dai soci.
Tali questioni sono ora disciplinate come parte dei requisiti di registrazione
richiesti ai sensi degli articoli 9-13 del CA 2006.
Questa attenuazione del memorandum riflette le raccomandazioni del Progetto
di Revisione della Legge sulle Società, al paragrafo 9.4., secondo cui ci dovrà
essere, in futuro, un unico documento di costituzione per le società. Il
162
memorandum quindi, come detto, ora svolge la funzione di evidenziare
l’intenzione dei soci di formare una società.
Il memorandum deve essere autenticato da ciascun socio, (il cancelliere la
facoltà di specificare il metodo di autenticazione, ma non in modo tale da
impedire l’invio elettronico del memorandum e degli altri documenti
costitutivi)276.
b) Articles of Association.
Che lo Statuto sociale (Articles of Association) rappresenti nell’Act 2006 il
documento costitutivo più importante si evince, innanzitutto, dalla sua
collocazione rispetto all’Atto costitutivo (Memorandum of Association)
all’interno della stessa Legge del 2006.
Infatti, il Memorandum viene previsto, come già specificato, dalla Section 8
della Parte Seconda dell’Act, rubricata “Company formation”: questa parte
riguarda “tutto ciò che è preparatorio alla costituzione di una società”277 e, in
tale ambito, come si è già avuto modo di rilevare, la nuova funzione del
Memorandum consiste nell’evidenziare quale sia la volontà dei contraenti,
vale a dire quella di costituire una società e di diventarne soci. Gli Articles of
association, invece, è un documento che viene collocato dal legislatore inglese
nella Section 18 della Parte Terza, rubricata “A company’s constitution”.
Quindi, si tratta di un documento che ha sostanzialmente preso il posto del
276
Section 1068 (3), (5).
DINE & KOUTSIAS, Company law, Palgrave MacMillan Publications, New York, 2007, p.
46.
277
163
memorandum of association nell’ambito del processo costitutivo di una
società.
La legge inglese tende a classificare i documenti costitutivi delle società come
atti aventi natura contrattuale. Lo Statuto sociale non fa eccezione a questo
principio e ciò lo si ricava dal Companies Act. Infatti, la section 33 della
Legge del 2006 prevede che “le disposizioni relative alla costituzione della
società obbligano la società e i suoi soci come se tra la società ed ogni socio
vi fosse un contratto che obbliga ambedue le parti al rispetto delle disposizioni
medesime”. La formulazione di questa sezione può essere fatta risalire, con
tutte le dovute variazioni, al primo Act del 1844 che adottava il metodo, allora
esistente, di formare una società per azioni sulla base di un “accordo di
incorporazione” (deal of settlement) che, con riguardo alla natura di esso,
costituiva un contratto tra i soci che lo stipulavano. Quindi, lo statuto
costituisce un contratto tra la società e i suoi soci.
Anche se lo Statuto sociale ha natura contrattuale, esso chiaramente è più di un
accordo privatistico tra la società e i suoi soci. Lo Statuto diventa un atto
pubblico al momento della costituzione della società e il relativo modello di
articoli, a sua volta un documento pubblico, dovrà essere depositato dalla
società, così come da essa modificato278,
presso il registro delle imprese,
278
Infatti il contenuto degli Articles of Association non è obbligatoriamente previsto dal
Companies Act e, in base alla section 20, una società può anche non registrare alcun Articles
of Association, nel qual caso si applica il modello di Articles redatto dal Segretario di Stato. Se
invece la società ha predisposto e registrato il proprio modello di Articles, prevarrà
164
affinché il cancelliere delle società provveda alla relativa registrazione (e agli
adempimenti di pubblicità). La pubblicità della costituzione della società è
sempre stato un obbligo previsto dal diritto societario britannico ed è anche un
obbligo comunitario di diritto societario279.
Lo statuto sociale costituisce, quindi, il principale strumento di regolazione del
rapporto tra l'azionista e la società nonché lo strumento che garantisce
l’equilibrio dei poteri tra gli azionisti stessi. Un altro aspetto importante, che
viene normalmente regolato dagli Articles of association, è rappresentato dai
diritti di voto relativi alle varie categorie di azioni. Ancora, altre questioni
importanti, regolate dagli Articles, sono: i poteri esercitabili dal consiglio di
amministrazione, il pagamento dei dividendi, la modificazione della struttura
del capitale della società, ecc.
Oltre a questi documenti, la domanda di registrazione deve riportare,
specificandole, le seguenti indicazioni:
a) il nome della futura società;
b) se la sede sociale si trovi in Inghilterra, nel Galles, nella Scozia o
nell’Irlanda del Nord;
c) se la responsabilità dei soci è limitata e, in tal caso, occorrerà
aggiungere la specificazione “limited by shares” o “limited by
guarantees”. E, ancora, in quest’ultimo caso, occorre aggiungere nella
quest’ultimo, ma solo “nella misura in cui esso non sia tale da escludere o modificare” il
modello previsto dalla Legge.
279
Direttiva Comunitaria 151/1968, art. 2 (1) (b)
165
domanda di registrazione una c.d. “dichiarazione di garanzia” : essa
deve indicare l’importo che ciascun membro della società si impegna a
conferire alla società (in eventuale liquidazione) 280 e deve contenere i
nomi e le residenze di ogni sottoscrittore di cui al memorandum;
d) nel caso di una società con un capitale azionario, occorre invece
indicare nella domanda l’ammontare del capitale e delle iniziali
partecipazioni. La domanda inoltre deve contenere l’indicazione del
valore nominale e l’importo versato sulle azioni possedute dai soci al
momento della costituzione;
e) se la società è pubblica o privata;
f) l’indicazione delle persone proposte per l’amministrazione della società,
contenente il consenso di ogni persona ad amministrare.
Queste sono le più importanti informazioni che rappresentano il contenuto
della domanda di registrazione281.
Ogni altra informazione, ad esempio sulle partecipazioni e sugli organi sociali,
costituisce la più importante espressione di quell’obbligo (che perdurerà per
tutta la vita della società) che consiste nell’informare periodicamente il
cancelliere in merito ad eventuali modifiche relative a tali informazioni. Solo
se la società è una società di interesse collettivo occorrerà indicare ulteriori
informazioni. In primo luogo, al fine di rispettare le restrizioni che l’Act del
280
Si veda, per maggiori chiarimenti, la section 11 del CA 2006.
Ci deve essere anche una “dichiarazione di conformità” consegnata al cancelliere che
certifichi che i requisiti di registrazione sono stati rispettati, e tale dichiarazione può essere
accettata dal cancelliere come prova sufficiente di conformità.
281
166
2004 ha previsto per tali imprese, in particolare in relazione ai trasferimenti di
beni aziendali, la libertà di azione della società, in relazione al suo statuto, è
limitata. Essa infatti deve includere tra gli articoli del proprio statuto le
disposizioni contenute nel Community Interest Company Regulations del
2005. Inoltre, tale società può essere registrata come una CIC solo se il
Cancelliere riconosce che i suoi obiettivi consistono nella promozione di un
interesse collettivo. A tale scopo, coloro che richiedono la registrazione
devono fornire un ulteriore documentazione al Cancelliere, vale a dire una c.d.
“dichiarazione di interesse collettivo”, che deve essere firmata da ogni (futuro)
amministratore della società e che attesti che la società svolgerà le sue attività
allo scopo di perseguire il benessere della comunità, illustrando brevemente in
che modo l’attività della società andrà a vantaggio della comunità stessa. Solo
se il Cancelliere ritiene che la costituenda società soddisfi i requisiti previsti
dalla legge, egli registrerà la società come una CIC. Si tratta tuttavia di
requisiti, in realtà, non ben specificati dalla legge (è stabilito, infatti, che “una
società può essere definita ‘di interesse collettivo’ se una qualunque persona
potrebbe ragionevolmente ritenere che le sue attività siano svolte a vantaggio
della collettività”) e così è ben possibile che possano sorgere diverse dispute in
ordine alla costituzione di una CIC (con conseguenti proposizioni di ricorsi nei
confronti di CIC di tal guisa costituite).
167
4. La nullità delle società: la soluzione inglese e la funzione di definitività
assolta dal Certificato di costituzione (Certificate of incorporation).
In che modo l’ordinamento inglese è riuscito a risolvere i problemi descritti (§
2), senza la necessità di una teoria della nullità? In primo luogo il sistema di
costituzione prescritto dal Companies Act richiede che i documenti relativi alla
costituzione di una società siano iscritti nel Registro delle Imprese e inviati al
Cancelliere delle Società. Il cancelliere, mediante il controllo di questi
documenti, esercita quindi un funzione “quasi-giurisdizionale” e non deve
procedere alla registrazione della società “a meno che non abbia accertato che
tutti i requisiti di legge in materia di registrazione e di questioni precedenti e
inerenti ad essa
siano stati rispettati”. È in questa fase, pertanto, che i
problemi relativi alla illiceità dell’oggetto, alla mancanza delle necessarie
indicazioni all’interno dell’atto costitutivo, alla presenza di irregolarità degli
atti,
devono
essere
eliminati.
La
registrazione
verrà
rifiutata
(e,
conseguentemente, la costituzione della società non consentita), salvo che gli
eventuali difetti siano stati corretti. I problemi relativi alla incapacità o al
consenso viziato dei soci fondatori o di altri soci sono stati risolti dal
legislatore inglese, ritenendo che tali vizi abbiano rilevanza intrinseca solo per
la società, e non possano pregiudicare i diritti dei terzi.
Questo orientamento di “internalizzazione del consenso” emerge dalla section
8 (1)(a) del CA 2006. Tale section sottolinea il fatto che coloro che hanno
sottoscritto il memorandum of association hanno chiaramente espresso la
168
volontà di diventare soci della società. In questo modo si evita qualsiasi
rivendicazione della loro mancanza di consenso tale da inficiare la validità
della costituzione.
Ugualmente, anche il vizio di incapacità ha presentato pochi problemi nel
diritto inglese. Se, ad esempio, una o più persone che firmano il memorandum
sono minorenni, ciò non significa che le loro firme sono inefficaci ai fini della
costituzione della società. I minori, infatti, possono diventare azionisti della
società, e il loro status di soci è valido anche se essi possono rifiutare le azioni
prima o al raggiungimento della maggiore età. I contratti dei minori e, nella
maggior parte dei casi, di pazienti affetti da malattia mentale, sono annullabili
e non nulli. Dal momento in cui tali contratti sono validamente stipulati fino
alla loro rescissione, si può ritenere che sussista il numero sufficiente di
persone per la firma del memorandum. Quindi, se al cancelliere si presenta una
qualche questione di incapacità, tutto quello che egli deve fare è verificare se il
contratto che vincola la persona dichiarata incapace sia stato annullato. Se così
non è, si può procedere alla registrazione. Se è stato annullato, il cancelliere
deve rifiutare la registrazione in quanto non sussiste il numero sufficiente di
persone per la sottoscrizione del memorandum. Tuttavia, come già si è messo
in luce nel paragrafo precedente, per scongiurare ogni dubbio su questa e su
tutte le altre potenziali cause di nullità relative alla costituzione, il diritto
inglese ha previsto una disposizione che ricade nell’alveo delle prove
169
conclusive, inerenti alla costituzione di società, e che disciplina il c.d.
Certificato di Costituzione (o Certificato di Registrazione).
Il certificato di costituzione è un documento sconosciuto nella maggior parte
delle giurisdizioni continentali, ed è la più importante ragione per cui il diritto
inglese non s’è molto interessato dei problemi relativi alla disciplina della
nullità282.
I vari Companies Acts, almeno a partire da quello del 1862, hanno
contemplato, di volta in volta, disposizioni che, in un modo o nell’altro, hanno
definito questo certificato di incorporazione come la prova conclusiva del
rispetto dei requisiti di registrazione imposti dalla legge.
Il frasario è cambiato tra la Legge del 1862 e quella del 1900 (ed è rimasto
invariato dal CA del 1985 fino ad oggi). Infatti la section 192 del Companies
Act del 1862 prevedeva che il certificato era “prova conclusiva che tutti i
requisiti contenuti nel presente documento in materia di registrazione sono
stati rispettati e che, ai sensi della presente Legge, la società è stata autorizzata
alla registrazione...”.
Questa section, tuttavia, non è stata vista di buon occhio dai giudici ed è
contestata in molti casi, in quanto la sua generica formulazione sembrava
attribuire al Cancelliere delle Società un vero e proprio potere di costituire una
società, semplicemente tramite il rilascio del certificato di costituzione.
Negli Stati Uniti (e in molti paesi dell’UE), la maggior parte delle giurisdizioni non
contempla la regola della prova conclusiva descritta. Vi è una vasta giurisprudenza in materia
società nulla, e per le grandi operazioni molte aziende sono obbligate ad ottenere un parere che
attesti che la società è stata correttamente registrata.
282
170
Significativo, a tal proposito, è il caso In Re National Debenture and Assets
Corporation283,
in cui fu affermato che il rilascio del certificato di
registrazione non dimostrava, in modo definitivo, che sussistesse il numero
necessario di persone previsto dalla legge per la firma del memorandum. La
Legge del 1862 fissava a sette il numero minimo di soci fondatori i quali, una
volta sottoscritto il memorandum e depositati i documenti costitutivi presso il
Registro delle Imprese, potevano richiedere la registrazione della società. Ma,
in quel caso in particolare, era successo che uno dei sei sottoscrittori aveva
firmato il memorandum due volte con nomi differenti. Nonostante questa
irregolarità, il cancelliere aveva rilasciato il certificato di registrazione.
Ebbene, la Corte d’Appello ritenne che una rigorosa applicazione della regola
della prova conclusiva sembrava conferire al cancelliere il potere di creare
società con meno di 7 soci fondatori: competenza che egli non aveva in virtù
della legge. Così la Corte d’Appello affermò che quella regola non poteva
trovare applicazione in ordine a tale questione.
Così il testo della summenzionata section 192 del CA 1862 è stato modificato
dalla Legge del 1900, section 1 (1)284 (e riportato nel successivo Act del 1948,
section 15): il certificato veniva perciò più specificamente definito come “ la
prova conclusiva del fatto che tutte le condizioni del Companies Act in materia
283
In Law Reports: Chancery Division, 2, 1891, 505 ss.
Rubricata Conclusiveness of certificate of incorporation: “A certificate of incorporation given by
the registrar in respect of any association shall be conclusive evidence that all the requisitions of the
Companies Acts in respect of registration and incorporation, of matters precedent and incidental
thereto have been complied with, and that the association is a company authorised to be registered
and duly registered under the Companies Acts”.
284
171
di registrazione e costituzione nonché tutte le questioni precedenti e incidentali
alla costituzione sono state rispettate, e che l’associazione è una società, che è
stata autorizzata ad essere registrata, ed è stata debitamente costituita ai sensi
del Companies Act”285.
In tal modo, l’intento del legislatore era quello di consentire il rilascio del
certificato di registrazione solo se, oltre a rispettare tutti i requisiti… in
materia di registrazione, i soci fondatori avessero altresì rispettato tutte quelle
condizioni ritenute incidentali alla costituzione stessa (quale, ad esempio, il
rispetto del numero minimo di soci fondatori previsto dalla legge ai fini della
sottoscrizione del memorandum).
Non era del tutto chiaro, però, se questa nuova definizione del certificato di
costituzione potesse risolvere tutti i problemi inerenti alla nullità. Problemi che
sembravano senza dubbio superati per il Giudice Eve, così come evidenziato
nel caso Hammond contro Prentice Brothers Ltd286. Egli, infatti, nel valutare
se un’associazione potesse costituirsi in forma di società in considerazione
della vecchia section 192 del CA 1862, affermò che, “sebbene, così come
affermato dalla Corte d’Appello in In Re National Debenture and Assets
Corporation, la conclusività del certificato possa essere messa in discussione,
ritengo che è in questo caso non è del tutto chiaro se l’attore possa impugnare
il certificato”.
L’attuale formulazione della section 15(4) del CA 2006 è molto simile: essa tuttavia non
comprende più le parole “…e che l’associazione è una società che è stata autorizzata ad es sere
registrata …“.
286
In Law Reports: Chancery Division, 1, 1920, 201 ss.
285
172
Anche in Cotman contro Brougham287, come già visto (§ 3, pag. 9), la Corte
affermò che la portata della regola della prova conclusiva era tale da impedirle
di contestare una clausola oggetti ritenuta piuttosto esagerata nel suo
contenuto, e per questo non conforme alla legge, in quanto contemplava una
vasta gamma di attività esercitabili dalla società.
Vi erano quindi diversi elementi che facevano dubitare sul fatto che il nuovo
testo della section 1 del CA 1900 fosse stato formulato allo scopo di limitare la
portata della regola della prova conclusiva.
A tal proposito, Palmer288 scriveva “Dopo l’approvazione della Legge del
1862, si è constatato che le parole ‘i requisiti del presente atto in materia di
registrazione’ significavano, in senso più ampio, ‘i requisiti e le condizioni
precedenti e connessi alla registrazione’ ”. Tuttavia, paradossalmente,
nonostante la citata interpretazione giudiziaria attribuisse a queste parole un
significato più ampio rispetto a quello che avrebbero poi assunto nella Legge
del 1900, residuavano ancora decisioni che affermano che il certificato non era
da considerarsi prova conclusiva in ordine a tutte le questioni relative alla
costituzione di una società.
Infatti, come visto, anche in In Re National Debenture and Assets Corporation
si è ritenuto che il certificato non era da considerarsi decisivo in relazione alla
sussistenza del numero minimo di sottoscrittori del memorandum.
287
In Appeal Cases, 1918, 514 ss.
Palmer’s Company Law, Annoted guide to the Companies Act 2006, 2008, Thompson
Sweet & Maxwell, 178.
288
173
Ci sono altri casi che hanno limitato l’efficacia della regola della prova
conclusiva: fra tutti, si ricorda Bowman contro Secular Society Ltd, relativo
alla questione della liceità di una clausola oggetti. In particolare l’attore, Mr.
Bowman junior, contestava la validità di una donazione, così come risultava
dal testamento di Mr. Bowman senior, fatta a favore della Secular Society Ltd,
sulla base del fatto che l’oggetto di essa era illecito e, quindi, tale da inficiare
la validità della donazione stessa.
Il giudice di primo grado affermò, al contrario, che, in relazione alla Legge del
1900, “il problema che il legislatore ha voluto affrontare è stato quello della
validità della costituzione della società: perciò, è allo scopo della costituzione
di una società, e solo e soltanto per questo scopo, che il certificato di
registrazione è stato reso prova conclusiva”. Conseguentemente, il giudice,
anche in questo caso, non poté fare a meno di riconoscere la rilevanza e
l’efficacia pratica del certificato di registrazione, ritenendo che “la
registrazione della società non implica necessariamente (e definitivamente)
che l’oggetto di quella società sia lecito ma, dopo il rilascio del certificato di
costituzione, la validità della costituzione di una società non può più essere
contestata se non mediante una speciale procedura promossa in nome della
Corona, volta ad ottenere la cancellazione della registrazione”289.
Nel caso di specie, l’oggetto principale della società era quello di “promuovere il principio
secondo cui l’uomo deve fondare la propria condotta sulla base della conoscenza terrena, e non
sulla base di convinzioni soprannaturali, e che il benessere umano in questo mondo è il fine
primario di ogni pensiero e di ogni azione”. La parte attrice sostenne che questo oggetto, non
essendo altro che una negazione del Cristianesimo, fosse contrario all’ordine pubblico: di
289
174
conseguenza la donazione fatta in favore della società non era valida. La House of Lords
accolse l’opinione del giudice di primo grado secondo cui tale oggetto non era da considerarsi
illecito. Esaminiamo la vicenda più nello specifico. I fatti erano i seguenti: un testatore aveva
fatto donazione del suo restante patrimonio alla Secular Society: la questione affrontata
riguardava proprio la validità di questa donazione. Non vi era alcun dubbio in ordine alla
capacità del testatore o alla validità del suo testamento. In relazione alle condizioni essenziali
per la validità della donazione, l’unica questione sollevata da parte attrice era quella
dell’incapacità del donatario. La Secular Society era stata costituita come società limited by
guarantee, ed era in grado di esercitare tutte le funzioni di una società registrata. A prima
vista, quindi, la società era un ente giuridico con il potere di acquisire la proprietà a seguito di
donazione fatta sia con atto inter vivos sia con disposizione testamentaria. Il ricorrente tentò di
contestare la validità della capacità giuridica della società secondo il seguente ragionamento:
“se si guarda all’oggetto per il quale la società è stata costituita, così come espresso nel suo
memorandum, non si può fare a meno di notare come tale oggetto sia effettivamente illecito o,
in ogni caso, in contrasto con le norme di legge, in quanto contrario all’ordine pubblico.
Stando così le cose, la società non era un’associazione in grado di essere costituita, quale
società limited by guarantee, ai sensi del Companies Act: tale società, in quanto costituisce
una associazione illecita, è incapace di acquisire la proprietà a seguito di donazione”.
Tuttavia, Lord Parker of Waddington, componente della House of Lords, così argomentava:
“Non credo che questo aspetto sia ben chiaro al ricorrente, anche se la premessa da lui fatta è
corretta. Infatti, con la section 1 del CA 1900 (CA 2006, s. 15 (4)), il certificato di
costituzione di una società viene considerato la prova conclusiva del fatto che la società è
un’associazione che è stata autorizzata ad essere registrata: id est un’associazione con non
meno di sette persone che si uniscono in società per il perseguimento di una finalità lecita.
Tale section però non implica che, se tutti o uno qualsiasi degli oggetti indicati nel
memorandum sono illeciti, essi diventano, per così dire, automaticamente leciti in virtù del
rilascio del certificato. Al contrario, se gli amministratori della società utilizzano il patrimonio
sociale per fini illeciti, essi sono responsabili per avere sperperato con negligenza il patrimonio
della società e sono costretti a risarcire il danno, anche se l’oggetto per il quale il patrimonio
sociale è stato sperperato era espressamente previsto dal memorandum. Allo stesso modo un
contratto stipulato con una società il cui oggetto sia illecito e, tuttavia, previsto dal
memorandum, non può essere fatto valere. La section, però, preclude a tutti i sudditi di Sua
Maestà di impugnare il certificato di registrazione o di affermare che la società non è un ente
giuridico avente lo status e la capacità conferiti dalla Legge. Anche se tutti gli oggetti indicati
nel memoradum siano illeciti, non ne consegue che la società non possa utilizzare i suoi fondi
per un determinato affare o stipulare un contratto con oggetto lecito”.
La parte attrice prospettava successivamente l’ipotesi estrema, definita dalla stessa
un’anomalia, in cui i giudici un giorno potevano arrivare ad ammettere l’esistenza di una
società di cui tutti gli oggetti, indicati nel suo memorandum, fossero stati palesemente illeciti.
Ed è proprio controbattendo a tale considerazione che lo stesso Lord Parker of Waddington
illustrava le funzioni del certificato di registrazione e il ruolo svolto dal cancelliere in seno alla
costituzione di una società. A tal proposito egli riteneva che fosse improbabile che si
verificasse l’ipotesi prospettata dalla parte attrice, considerato che il cancelliere svolgeva una
funzione quasi-giudiziaria (anche se l’espressione per gran parte della dottrina era fuorviante,
in quanto il cancelliere non esercitava alcun potere discrezionale, né tanto meno aveva il
potere di dirimere le controversie) e il suo dovere era quello di determinare se la società che
avesse richiesto la registrazione potesse essere autorizzata ad essere registrata ai sensi della
Legge. Una società i cui oggetti fossero tutti illeciti avrebbe potuto ottenere la registrazione
solamente in caso di colpa o di grave negligenza del cancelliere. E in un tale caso solo il
giudice avrebbe potuto disporre d’ufficio la sospensione dell’esecutività del certificato, in
175
E seppure si affermava sarcasticamente “è possibile notare qualche
ammaccatura nell’armatura costituita dalla regola della prova conclusiva” 290,
tuttavia, con gran ottimismo, la dottrina maggioritaria affermava ugualmente
che “Nel diritto del Regno Unito, il problema se la costituzione di una società
sia nulla o annullabile non può più porsi una volta che il certificato di
registrazione è stato rilasciato. Questo sostanzialmente è il motivo per cui il
Regno Unito giustamente non ha fatto nulla per attuare quelle disposizioni
della Prima Direttiva relative alle procedure che devono essere previste nei
casi di nullità”.
Tuttavia, quella fin’ora descritta è la situazione esistente nell’ordinamento
societario inglese prima della adesione del Regno Unito alla Comunità
Europea. Successivamente diverse disposizioni del Diritto Societario Inglese
sono state modificate in modo tale che possiamo procedere a una
riconsiderazione dell’affermazione appena citata.
attesa che venisse intrapresa la procedura specifica per l’annullamento del certificato stesso. E,
considerato che la section 1 del CA del 1900 non era vincolante per la Corona, tale procedura
poteva essere attivata mediante una richiesta di certiorari, avanzata al giudice da parte del
Procuratore Generale in nome e per conto della Corona, e volta a ottenere l’annullamento della
costituzione della società. Quindi, continuava Lord Parker of Waddington, l’unica ipotesi
possibile in cui si poteva attivare la procedura fondata sul certiorari, ai fini dell’annullamento
di una società, era quella in cui tutti gli oggetti della società stessa fossero illeciti. Ipotesi non
rinvenibile nel caso in esame. Quindi fu stabilito che la donazione effettuata in favore della
Secular Society Ltd era perfettamente valida.
290
R. DRURY, op. cit., 648.
176
5. I casi di nullità nel diritto societario inglese: sindacati registrati in
forma di società ed illiceità dell’oggetto sociale.
Il legislatore inglese, nel concepire e interpretare le regole del diritto societario
inglese relative alla costituzione delle società, ha fatto in modo di evitare che
qualsiasi problema legato alla nullità delle società potesse in qualche modo
minare le aspettative e gli interessi degli azionisti e dei terzi. Tale scelta è
risultata estremamente efficace (visto che, effettivamente, l’intenzione di
escludere dal diritto inglese l’applicazione della disciplina delle nullità della
società ha avuto successo), e quindi la disciplina inglese dei vizi costitutivi di
società, per così dire, regge decisamente il confronto con le corrispondenti
discipline degli altri paesi. Gran parte del merito va attribuito senz’altro ai
“Cancellieri delle Società” i cui sforzi hanno fatto sì che pochi casi, aventi ad
oggetto costituzioni viziate, siano mai stati trattati dinanzi ai tribunali.
Tuttavia, allo stato attuale, residuano ancora due situazioni in cui la
registrazione di una società può essere contestata e che possono dare luogo ad
una dichiarazione di nullità. Esaminiamole più nello specifico.
La prima di esse riguarda la richiesta di registrazione di un sindacato in forma
di società. La section 5 del Trade Union Act del 1871 dichiarava che “I vari
Companies Act non si applicano ad alcun sindacato, e la registrazione di un
sindacato ai sensi di un qualsiasi Companies Act è nulla”. Questa section fu
applicata nel caso Edinburgh and District Aerated Water Manufacturers
177
Defence Association contro James Jenkinson & Company 291. Il giudice
dichiarò che gli attori avevano dato vita ad un sindacato, ma che la
registrazione di esso alla stregua di una società, effettuata sulla base delle
regole stabilite dal CA, era da considerarsi nulla. Pertanto, gli attori non
avevano alcun titolo per proporre un ricorso in nome e per conto della società
(non esistente in quanto tale). Analogamente, nel caso British Association of
Glass-Bottle Manufacturers Ltd contro Nettlefold, si affermò che il certificato
di costituzione di cui alla section 1 del CA 1900 non era da considerarsi
conclusivo, ai fini della validità della registrazione, fintanto che si rilevava che
la società costituiva in realtà un sindacato.
Il problema esiste ancora oggi, nonostante varie revisioni e modifiche
legislative. Un caso più recente ha riguardato una società costituita da alcuni
medici pediatrici ospedalieri allo scopo di rappresentare i loro interessi. Avuto
riguardo al Trade Union and Labour Relations Act del 1974, ci si accorse che
le principali finalità di quella società, così come descritte nel suo
Memorandum, rientravano nella nozione di sindacato di cui alla section 28 (1)
della citata legge del 1974. La section 2 (2) di quella legge stabiliva (e la stessa
disposizione ricorre nella section 10 dell’attuale Trade Union and Labour
Relations Act del 1992) che, ogniqualvolta un sindacato fosse stato costituito
in forma di società, la costituzione di esso avrebbe dovuto considerarsi nulla.
291
In Session Cases, 5, 1903, 1159.
178
Il Dipartimento del Commercio ritenne che la section 2 (2) del Trade Union
and Labour Relations Act del 1974 non poteva tenere conto della regola della
prova conclusiva: cioè, un sindacato, costituito in forma di società, non poteva
beneficiare dell’efficacia conclusiva svolta dal certificato di registrazione, in
quanto non si trattava di una società, bensì di una organizzazione sindacale la
cui costituzione in forma di società era nulla.
Si tratta quindi di un esempio in cui la cui registrazione di una “società” è stata
annullata dall’applicazione di una disposizione legislativa: si tratta in effetti di
una nullità ai sensi della legge inglese.
La seconda situazione, decisamente più frequente, in cui può verificarsi un
caso di nullità nel diritto inglese riguarda la questione della illiceità
dell’oggetto sociale. La section 7(2) del Companies Act 2006 vieta la
costituzione di una società con oggetto illecito (o, aggiungerei, contrario
all’ordine pubblico).
La questione dell’illiceità dell’oggetto sociale, come visto, ha assunto grande
rilevanza nel caso Bowman contro Secular Society Ltd 292, in cui un parente
prossimo di un testatore contestava la validità di una donazione, all’interno del
testamento, alla Secular Society Ltd, sulla base del fatto che la società
perseguiva un oggetto illecito. Anche se la House of Lords rilevò che l’oggetto
sociale della Secular Society Ltd era effettivamente illecito, i Lords, a
maggioranza, stabilirono una procedura da seguire in casi del genere.
292
In Appeal Cases, 1917, 406 ss.
179
Lord Parker of Waddington per primo affermò che la regola della prova
conclusiva non rende automaticamente leciti gli oggetti illeciti di una società e,
di conseguenza, gli amministratori che utilizzano i fondi della società per
attività illecite sono colpevoli di abuso di potere, e i contratti conclusi in virtù
di un simile oggetto sociale devono considerarsi inefficaci. Inoltre egli
aggiunse che, sebbene la section 1 del CA del 1900 vietasse a tutti i sudditi di
Sua Maestà di contestare la costituzione di una società, una volta che la società
avesse ottenuto il certificato, tuttavia era ben possibile che il cancelliere delle
società potesse qualche volta commettere errori nell’esercizio delle sue
funzioni
e consentire, quindi, la registrazione di una società con oggetto
illecito. In casi del genere, poiché “né la section 1 del CA 1900, né la
corrispondente section del Companies (Consolidation) Act del 1908, sono
formulate in modo tale da vincolare la Corona, il Procuratore generale, in
nome della Corona, può attivare un procedimento fondato sul certiorari per
ottenere
l’annullamento
della
registrazione
che
il
cancelliere,
nell’espletamento delle sue funzioni quasi-giudiziari, ha impropriamente o
erroneamente consentito”.
Un’altra soluzione scelta per affrontare il problema dell’illiceità dell’oggetto
sociale, prospettata nel famoso caso Salomon contro Salomon & Co. 293, è
293
In Appeal Cases, 1897, 22, 30.
180
quella che si basava sul c.d. atto di scire facias294, volto a revocare il
certificato di costituzione. Tuttavia la House of Lords ha ritenuto, in Princess
294
È il c.d. scire facias writ: un atto che richiede alla parte nei cui confronti esso è rilasciato di
comparire dinanzi al giudice e di mostrare i motivi per cui un atto giudiziario non dovrebbe
essere nei suoi confronti applicato, abrogato, o annullato. Writ è il vecchio termine inglese per
atto giudiziario. Alcuni paesi ancora utilizzano il termine. Un atto di scire facias, quindi, è un
ordine a comparire dinanzi al tribunale e a dimostrare il motivo per il quale l’atto in questione
non deve essere deliberato in favore della parte che ha richiesto il writ. L’atto di scire facias è
nato in Inghilterra, e il suo uso è stato introdotto dai coloni americani. Nell'Inghilterra del
XVIII secolo l’atto è stato utilizzato per abrogare le autorizzazioni dei brevetti. Tali
autorizzazioni venivano rilasciate mediante lettere scritte del Re o della Regina e garantivano
agli inventori i diritti di brevetto (oggi si direbbe diritti d’autore) sulle loro invenzioni.
Qualsiasi persona che riteneva che un brevetto non fosse valido o perché era stato richiesto ed
ottenuto dall’inventore fornendo false informazioni, o perché esisteva già una precedente
uguale invenzione, poteva rivolgersi alla Royal Cort of Chancery (Reale Corte d’Equità) e
richiedere la presenza dell’inventore dinanzi alla Corte affinché egli giustificasse il brevetto. E
se nasceva una vera e propria controversia sulla validità del brevetto, l’inventore poteva
richiedere l’instaurazione di un processo davanti ad una giuria presso la Corte del Tribunale
Reale (Court of King’s Bench). La giuria così risolveva ogni questione di fatto, e il caso
veniva inviato nuovamente alla Royal Cort of Chancery. Ad essa infatti competeva il giudizio
finale in merito alla revoca del brevetto. L’atto di scire facias non è sopravvissuto nel moderno
diritto industriale. Nel diritto moderno, solo una persona che direttamente si ritenga lesa da un
determinato brevetto può contestare il brevetto stesso. Inoltre, un’eventuale domanda di nullità
del brevetto non può essere prima avanzata dinanzi alla Corte Reale, ma dinanzi al Tribunale
Federale dei Brevetti competente.. Nell’odierna prassi, l’atto di scire facias è utilizzato per
l’esecuzione delle sentenze che comportano una condanna pecuniaria. Quando un attore in una
causa civile ottiene una condanna pecuniaria nei confronti di un convenuto, l’ordine del
giudice che impone alla parte soccombente di corrispondere alla controparte la somma stabilita
può decadere (passare in giudicato) se, dopo alcuni anni, il debito derivante da sentenza resta
ancora insoluto. Per questo motivo la legge consente all’attore di presentare una mozione al
tribunale, prima della scadenza del termine per il pagamento della somma stabilita (prima del
passaggio in giudicato della sentenza), allo scopo di prolungare il termine dell’ordine di
pagamento del tribunale. Se l’attore si vede respinta tale mozione, egli può depositare un atto
di scire facias per far valere (to revive) la sentenza di condanna. Il convenuto deve poi
comparire dinanzi al giudice e spiegare il motivo per cui l’obbligo di pagamento non è stato
adempiuto. Se invece il convenuto ha già pagato all’attore, o se il convenuto ha la prova che
egli non deve nulla all’attore, lo stesso può presentare nuovi elementi di prova e spostare
l’onere della prova in capo all’attore. Se il convenuto non è in grado di giustificare il mancato
pagamento, il giudice ordina l’esecuzione della sentenza. Il giudice può ordinare al convenuto
di presentare una documentazione attestante la sua situazione finanziaria, per la vendita
eventuale dei propri beni, allo scopo di adempiere all’obbligo di pagamento, o per l’adozione
di altre misure. L’atto di scire facias (o la citazione per scire facias) è stato abolito a livello
federale e nella maggior parte degli Stati. I ricorrenti possono fare valere una sentenza passata
in giudicato mediante il deposito di un ricorso, presso il tribunale di una giurisdizione
generale. Le Corti che hanno abolito l’atto di scire facias, lo hanno ritenuto, per la complessità
delle sue procedure, inadeguato alle esigenze della società moderna. In alcune giurisdizioni
che ancora pur contemplano tale disciplina, l’atto è ormai caduto in disuso.
181
of Reuss contro Bos295, che la liquidazione della società fosse la soluzione più
efficace con cui “ci si sarebbe potuti sbarazzare di un simile vizio (oggetto
illecito) senza che fosse necessario passare attraverso la lunga e complessa
procedura dello scire facias”.
La questione, come già ricordato, si è ripresentata nel caso R. contro Registrar
of Companies, ex p. H.M. Attorney General, che rappresenta certamente uno
dei casi più rilevanti in cui i giudici hanno affrontato il problema della illiceità
dell’oggetto sociale.
La vicenda, per così dire, fu provocata da una lettera dell’Agenzia delle
Entrate (Policy Division), nella quale la stessa considerava la prostituzione
come un vero e proprio lavoro296 e, come tale, perfettamente tassabile. Alla
destinataria della lettera, Miss Lindi St. Claire, fu pertanto consigliato, dai suoi
commercialisti, di organizzare la propria attività in forma di società (a
responsabilità) limitata. Dopo le varie trattative con il cancelliere delle società,
durante le quali le denominazioni sociali “Prostitute Ltd”, “Hookers Ltd”, e
“Lindi St. Claire (French Lessons) Ltd” furono respinte, la società fu
Gli Stati che continuano a mantenere l’atto di scire facias richiedono che esso sia depositato
entro un certo periodo di tempo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. In Texas, per
esempio, il Codice di Procedura Civile specifica che un atto di scire facias può essere proposto
entro e non oltre due anni successivi alla data in cui la sentenza è passata in giudicato (Tex
Civ. Materia. Rem &. Code Ann. § 31,002 [ West 1995]). Il termine scire facias è anche usato
nel diritto civile inglese per descrivere una particolare forma di esclusione giudiziaria da
ipoteca. Se il debitore ipotecario di un bene immobiliare non ha pagato il proprio debito, il
creditore ipotecario può richiedere e ottenere un atto di scire facias, che è un comando per il
convenuto debitore a comparire e spiegare il motivo per cui l’immobile ipotecato non
dovrebbe essere venduto per soddisfare il debito ipotecario.
295
In Law Reports, 1871, 5, 176.
296
Forse la parola 'professione' avrebbe potuto essere più adatta, in virtù dei numerosi
precedenti di questo tipo di attività.
182
finalmente costituita e registrata sotto il nome di “Lindi St. Claire (Personal
Services) Ltd”. L’oggetto primario di questa società era quello di “Esercitare
l’attività di prostituzione”. Miss St. Claire, con convincenti motivazioni 297,
ritenne che tentare di annullare l’iscrizione della sua società sulla base del fatto
che la prostituzione fosse illecita era alquanto ingiusto, considerato il fatto che
lei stessa veniva tassata “per l’esercizio di quella particolare forma di
commercio”298. Tuttavia, fu seguita la procedura suggerita nel caso Bowman
contro Secular Society Ltd299, e il Procuratore Generale azionò la procedura
del certiorari per annullare l’iscrizione e la costituzione della società.
Nello spiegare le ragioni che lo indussero ad azionare tale procedura egli
affermò che, nell’attestare e nel registrare la costituzione di quella società, il
cancelliere delle società aveva agito al di là delle funzioni attribuitegli dalla
legge o, quanto meno, aveva male interpretato la section 1 (1) del CA del
1948, in quanto la società in questione non era stata costituita per uno scopo
lecito. Il Giudice Ackner, che approvò la procedura adottata nel caso di specie,
dichiarò che “la società è nata allo scopo di esercitare un’attività che
“Voglio dire che la prostituzione non è del tutto illecita, come Voi avete affermato, e
ritengo che questa Vostra decisione sia molto ingiusta, soprattutto considerato che ho pagato
all’Agenzia delle Entrate l’imposta sul reddito per i miei guadagni derivanti dalla
prostituzione. Inoltre, ritengo che sia ancora più ingiusto che Voi insinuate che io abbia agito
in maniera scorretta, dal momento che sono stata sempre molto chiara ed esplicita su quale
fosse l’unica attività della società, vale a dire l’attività di prostituzione e nulla più. Se la mia
società, ora, non deve essere considerata valida, allora, a rigor di logica, essa non avrebbe
dovuto nemmeno essere sovvenzionata dal Comitato di Commercio. È più ingiusto il fatto che
il governo mi abbia prima permesso di costituire la mia società e poi l’abbia annullata”.
298
R. DRURY, op. cit., 651.
299
Anche se, come visto, in quel caso non ci fu alcuna richiesta di certiorari, ma da parte di
Lord Parker of Waddington venne solo prospettata, a scopo esemplificativo, la relativa
procedura da seguire.
297
183
comporta la stipulazione di contratti illeciti, in quanto la finalità di essa è una
finalità sessuale immorale e, come tale, contraria all’ordine pubblico”. La
Corte decise così di annullare la registrazione e la costituzione della società.
Dopo quella decisione, la normativa in materia di sindacato giurisdizionale,
incluso il certiorari, è stata riesaminata dalla House of Lords. Significativo, al
proposito, è il caso IRC contro National Federation of Self-Employed and
Small Businesses Ltd.300, in cui i criteri per la legittimazione ad agire furono
ridefiniti e ampliati. L’effetto pratico dell’ampliamento dei confini della
legittimazione ad agire può essere riscontrato, innanzitutto, nella decisione del
caso R. contro Registrar of Companies, ex p. Esal (Commodities) Ltd301.
Questo caso ha ribadito l’applicabilità del sindacato giurisdizionale, fondato
sul certiorari, nei confronti di un certificato rilasciato dal cancelliere delle
società, nonostante la regola della prova conclusiva. Il certificato in questione
era stato rilasciato ai sensi della section 98 (2) del CA 1948 e costituiva prova
conclusiva dell’avvenuta registrazione di una tassa prevista dalla section 95302
300
In English Report, 1981, 2, 93 ss.
In English Report, 1985, 1, 79 ss.
302
“Subject to the provisions of this Part of this Act, every charge created after the fixed date
by a company registered in England and being a charge to which this section applies shall, so
far as any security on the company's property or undertaking is conferred thereby, be void
against the liquidator and any creditor of the company, unless the prescribed particulars of the
charge together with the instrument, if any, by which the charge is created or evidenced, are
delivered to or received by the registrar of companies for registration in manner requi red by
this Act within twenty-one days after the date of its creation, but without prejudice to any
contract or obligation for repayment of the money thereby secured, and when a charge
becomes void under this section the money secured thereby shall immediately become
payable”. Fatte salve le disposizioni della presente parte del presente Atto, ogni carica creata
dopo la data fissata da una società registrata in Inghilterra e di essere un addebito di cui alla
presente sezione si applica, per quanto riguarda la sicurezza sui beni della società o impresa è
301
184
di quella legge. Nel caso di specie, una richiesta di registrazione di una tassa,
presumibilmente introdotta il 9 febbraio 1984, fu inviata al Registro delle
Imprese il 29 febbraio 1984, accompagnata da un Modulo 47 303 viziato. Il
modulo infatti ometteva di specificare sia quale fosse il documento o l’atto da
cui si potesse evincere l’esistenza di quella tassa, sia le attività cui essa si
riferiva. Il modulo fu così rimandato indietro dal cancelliere e ripresentato
correttamente allo stesso il 29 marzo 1984. La tassa fu successivamente
registrata con effetto a decorrere dalla data di presentazione originaria.
L’importanza di questo caso nel contesto della nullità delle società è duplice.
In primo luogo, la Corte ha dichiarato che essa era competente ad annullare il
certificato di registrazione, nonostante la regola della prova conclusiva. In
secondo luogo, essa ha dichiarato che sia le società in questione sia i creditori
di quella società avevano legittimazione ad agire per contestare la
registrazione.
In termini di competenza, è interessante notare che il caso Lindi St. Claire fu
portato dinanzi alla Corte (apparentemente senza disapprovazione) sulla base
così conferite, essere nulla contro il liquidatore e qualsiasi creditore della società, a meno che
le indicazioni prescritte della carica insieme con lo strumento, se presenti, con il quale la tassa
è creato o attestato, vengono consegnate o pervenute alla cancelleria della società per la
registrazione in modo richiesti dalla presente legge entro ventuno giorni dalla data della sua
creazione, ma senza pregiudizio di qualsiasi obbligo di contratto o per il rimborso del denaro
così garantiti, e quando diventa un costo nullo ai sensi della presente sezione i soldi depositati
in tal modo è immediatamente esigibile.
303
Tale Modulo è “Application to correct a corporate register” (Richiesta di correzione di una
società registrata). La domanda per correggere una società registrata viene utilizzata per
correggere alcuni tipi di informazioni di un atto che è stato depositato presso la cancelleria. Se
l’atto di registrazione non ha ancora prodotto effetti (perché è previsto che entrerà in vigore a
partire da una certa data futura) e viene scoperto un errore prima della data (e dell'ora) del
deposito, esso deve essere ritirato, corretto e ri-presentato.
185
del fatto che un certiorari era stato proposto contro la decisione di
registrazione di quella società da parte del cancelliere. Tuttavia il giudice,
Mervyn Davies, preferì basare la sua decisione su principi più generali. Egli si
basò sulla sentenza di Lord Diplock nel caso O'Reilly contro Mackman304, e
dichiarò che i criteri ivi enunciati dovevano essere applicati nei confronti del
cancelliere nel caso in questione. Dopo aver deciso che, in linea di principio, il
certiorari era stato sollevato contro il cancelliere per un errore di diritto (un
motivo richiamato anche per la richiesta di certiorari nel caso Lindi St.
Claire), il giudice esaminò se il sindacato giurisdizionale avesse potuto essere
utilizzabile alla luce della previsione della prova conclusiva di cui alla section
98 (2). Nel trattare tali questioni, egli affermò che: “Il danno che si vorrebbe
evitare con la section 98(2), vale a dire quello causato dall’incertezza dei
traffici commerciali, sarà al contrario effettivamente commesso se il sindacato
giurisdizionale continuasse ad essere consentito. Questa è una conseguenza
che, si auspica, verrà eliminata”. Tuttavia nonostante tali considerazioni, egli
ritenne che il sindacato giurisdizionale poteva e doveva essere utilizzato per
controllare l'eventuale eccesso di competenza da parte del cancelliere. Ad ogni
modo l’esigenza della certezza dei traffici commerciali non sarebbe stata
seriamente compromessa, in quanto il sindacato giurisdizionale è soggetto a un
termine di tre mesi, e anche perché la Corte ha il potere discrezionale di
304
In English Reports, 1982, 3, 1124 ss.
186
rifiutare una richiesta di certiorari se da esso possa derivarne un sostanziale
pregiudizio305.
Il giudice esaminò la questione della legittimazione ad agire sotto due profili.
In primo luogo, egli tenne conto del fatto che la società era in liquidazione e su
tale base ritenne che essa dovesse agire per contestare la validità del certificato
di cui alla section 98 (2). Allo stesso modo egli ritenne che i creditori bancari
avessero un “sufficiente interesse” ad agire, ai sensi dell’Ord.53 R.3 (7), per il
fatto che, dopo l’ordine di liquidazione, “i diritti dei creditori, in un certo
senso, hanno cristallizzato le attività della Esal”. In secondo luogo, oltre alla
questione delle spese, il giudice esaminò la questione della legittimazione ad
agire vigente prima che la società fosse posta in liquidazione. Egli considerò
che la società era stata chiaramente influenzata dal fatto che la validità della
tassa aveva costituito un fattore significativo nella presentazione dello schema
di accordo, e dal fatto che la società sarebbe stata accusata in ogni caso per
l'iscrizione tardiva della tassa (in base alla section 101 del CA 1948).
È
incerto se egli sarebbe giunto alla stessa decisione in assenza di questi fattori.
Ancora più importante è il fatto che il giudice ritenne che i creditori della
società prima della sua liquidazione, avevano legittimazione ad agire sulla
base del fatto che, se la tassa non fosse stata valida nei loro confronti,
sarebbero stati disponibili più soldi per soddisfare i loro debiti. Si può
305
Potere discrezionale che prima era previsto dal Supreme Court Act del 1981, ma è ormai
scomparso con l’Administration of Justice Act del 1985, lasciando il limite di tempo come
l'unico meccanismo di protezione.
187
certamente affermare che vi sono fattori analoghi a quello da ultimo
menzionato, fattori che operano nel caso di una domanda relativa alla illiceità
dell’oggetto in relazione ad un certificato di costituzione. Certo, si potrebbe
dire che un creditore o un debitore avrebbe “un sufficiente interesse nella
questione a cui la domanda si riferisce” se ci fosse la possibilità che la società,
con la quale egli si era impegnato, “scomparisse tutto a un tratto” 306. Il modo
in cui queste parole sono state interpretate in IRC contro Naitonal Federation
of Self-Employed and Small Businesses Ltd., indica che non vi è più alcuna
necessità di limitare la legittimazione ad agire unicamente al Procuratore
generale sulla base del fatto che il Companies Act non vincola la Corona.
Pertanto, sebbene la regola della prova conclusiva rimane valida per “il
contenzioso ordinario”, sembra che la domanda di sindacato giurisdizionale
volta ad annullare un certificato di registrazione possa essere avanzata
direttamente da qualsiasi creditore o debitore di una società la cui costituzione
sia di dubbia validità.
Riassumendo. Il Companies Act 2006 prescrive, alla section 7(2), che una
società non può essere costituita per il perseguimento di un oggetto illecito. Il
Companies House ha il diritto di rifiutare la registrazione di una società
costituita per uno scopo illecito. Prima del CA 2006 il Companies House
aveva l'opportunità di ben discernere lo scopo per il quale una società era stata
registrata perché ogni società era obbligata ad indicare i suoi oggetti all’interno
306
R. DRURY, op. cit., 653.
188
del memorandum of association, secondo il suo vecchio modello. Ora ai sensi
del CA 2006, invece, è facoltativa l’indicazione degli oggetti (peraltro,
all’interno degli articles of association). Il rifiuto del Companies House di
registrare una società è soggetto a sindacato giurisdizionale. A tal proposito si
è indicato, come esempio, il caso R contro Registrar of Joint Stock Companies,
ex parte More, in cui il cancelliere rifiutò di registrare la società perché il suo
obiettivo principale era quello di vendere in Inghilterra
i biglietti di una
lotteria (conosciuta come la Irish Sweep). I promoters di quella società
tentarono la strada del sindacato giurisdizionale di tale decisione. La Corte
d'appello però ritenne che la vendita di tali biglietti in Inghilterra costituiva un
reato ai sensi delle norme di legge allora in vigore (e ancora oggi è un reato ai
sensi
del
Lotteries
and
Amusements
Act
1976,
section
2 307),
e,
307
General lottery offences: (1) Subject to the provisions of this section, every person who in
connection with any lottery promoted or proposed to be promoted either in Great Britain or
elsewhere: (a) prints any tickets for use in the lottery;
or (b)sells or distributes, or offers or advertises for sale or distribution, or has in his possession
for the purpose of sale or distribution, any tickets or chances in the lottery;
or (c) prints, publishes or distributes, or has in his possession for the purpose of publication or
distribution — (i) any advertisement of the lottery; or (ii) any list, whether complete or not, of
prize winners or winning tickets in the lottery; or (iii) any such matter descriptive of the
drawing or intended drawing of the lottery, or otherwise relating to the lottery, as is calculated
to act as an inducement to persons to participate in that lottery or in other lotteries;
or (d) brings, or invites any person to send, into Great Britain for the purpose of sale or
distribution any ticket in, or advertisement of, the lottery;
or (e) sends or attempts to send out of Great Britain any money or valuable thing received in
respect of the sale or distribution, or any document recording the sale or distribution, or the
identity of the holder, of any ticket or chance in the lottery;
or (f) uses any premises, or causes or knowingly permits any premises to be used, for purposes
connected with the promotion or conduct of the lottery;
189
conseguentemente, il cancelliere aveva fatto bene a rifiutare la registrazione
della società, in quanto non era stata costituita per uno scopo lecito.
Ovviamente ci sono pure casi in cui la richiesta di sindacato giurisdizionale
sulla decisione del Cancelliere delle Società (in merito alla negata
registrazione) vada a buon fine. In R contro Registrar of Companies, ex parte
Bowen308, il giudice ritenne che il rifiuto del cancelliere di registrare la società
era sbagliato: il cancelliere aveva dubitato che il nome della società, 'United
Dental Service Ltd' (una società di dentisti), fosse lecito a causa di alcune
restrizioni di legge sulla pubblicità relativa ai dentisti ; tuttavia, il giudice, in
quel caso, dichiarò che il nome era assolutamente lecito. Oggi è stata introdotta
una procedura per vagliare i nomi delle società prima della loro registrazione e
se Mr Bowen avesse voluto registrare oggi la società ‘United Dental Service
Ltd’, egli avrebbe dovuto seguire questa procedura. Mr Bowen costituì la sua
or (g) causes, procures or attempts to procure any person to do any of the above-mentioned
acts, shall be guilty of an offence.
(2)In any proceedings instituted under subsection (1) above, it shall be a defence to prove
either:
(a) that the lottery to which the proceedings relate was a lottery declared not to be unlawful by
section 3, 4 or 25(6) below, and that at the date of the alleged offence the person charged
believed, and had reasonable ground for believing, that none of the conditions required by the
relevant enactment to be observed in connection with the promotion and conduct of the lottery
had been broken;
or (b) that the lottery to which the proceedings relate was a society’s lottery or a local lottery,
and that at the date of the alleged offence the person charged believed, and had reasonable
ground for believing, that it was being conducted in accordance with the requirements of this
Act;
or (c) that the lottery to which the proceedings relate was not promoted wholly or partly
outside Great Britain and constituted gaming as well as a lottery.
308
In King’s Bench Report, 1914, 3, 1161.
190
società allo scopo di esercitare l'attività di odontoiatria. Oggi non è più ritenuto
lecito costituire una società a tal fine, ai sensi del Dentists Act del 1984,
section 42309.
Si è ulteriormente messo in evidenza che l’obbligo delle società di perseguire
un oggetto lecito offre ai giudici la possibilità di escludere (dal ‘giuridicamente
lecito’) quelle attività che, non solo costituiscono reati penali o illeciti civili,
ma che anche violano un complesso di regole morali più generali, soprattutto
in materia sessuale. Quindi, anche se “concludere affari in qualità di prostituta
non è un reato penale e i guadagni di questa attività sono soggetti a imposta sul
reddito”, l’esercizio dell'attività di prostituzione non è una finalità lecita per la
quale una società può essere costituita e registrata.
Una decisione positiva del Companies House in merito alla registrazione di
una società è meno assoggettabile a sindacato giurisdizionale rispetto a un
rifiuto di registrazione del Cancelliere delle Società, in quanto il ricorrente, nel
procedimento inerente al sindacato giurisdizionale, dovrebbe presentare al
tribunale la prova che dimostri che le disposizioni del CA 2006 in materia di
registrazione non sono stata rispettate, mentre il certificato di costituzione
309
Restriction on bodies corporate: (1) No body corporate, other than one exempted under
section 43 below, shall carry on the business of dentistry.
(2)Any body corporate contravening this section shall be liable on summary conviction to a
fine not exceeding the third level on the standard scale.
(3)Where a body corporate is convicted of an offence under this section, every director and
manager of the body shall, unless he proves that the offence was committed without his
knowledge, be guilty of the like offence.
191
costituisce prova definitiva che le medesime disposizioni sono state rispettate
(CA 2006, section 15). Di conseguenza, il giudice non può accogliere qualsiasi
richiesta per il riesame (sindacato giurisdizionale) della decisione di registrare
una società a meno che il ricorrente non sia il procuratore generale, la cui
prova deve essere esaminata dal giudice, in
quanto la section 15 non è
vincolante per la Corona. È importante per coloro che fanno affari con una
società confidare sul fatto che l'esistenza della società non può facilmente
essere messa in discussione. Il potere del Procuratore Generale di chiedere
l'annullamento della decisione di registrazione di una società è stato esercitato,
come s’è visto, in R contro Registrar of Companies, ex parte AttorneyGeneral.
Una volta stabilito che non sussiste alcun dubbio sulla sua costituzione, la
liceità dell’oggetto di una società può tuttavia essere contestata in giudizio e il
suo certificato di incorporazione non è più prova conclusiva del fatto che tale
oggetto sia lecito (Bowman contro Secular Society Ltd).
192
6. Le conseguenze di tale disciplina e le implicazioni per la legge inglese.
Dagli esempi appena fatti si ricava che nel diritto societario inglese esiste,
come detto, una quasi-disciplina310 di nullità delle società. In ciascuno di tali
esempi la registrazione della società è stata evitata o annullata, e il risultato,
alla fin fine, potrebbe essere descritto correttamente come una costituzione
invalida o nulla. In ogni ordinamento giuridico le conseguenze di una
disciplina di nullità delle società possono essere regolate almeno secondo tre
modalità. La società può essere nulla ab initio, un fatto che potrebbe essere
invocato da o nei confronti di terzi, senza la necessità di una decisione del
giudice. Ma i problemi derivanti dall’incertezza dei traffici commerciali
suggeriscono di evitare una tale soluzione. In secondo luogo, l'esistenza o la
registrazione della società possono essere impugnate mediante ricorso
giurisdizionale e con una decisione giudiziaria, ma tale decisione, una volta
adottata, avrà effetto retroattivo, il che renderà la società nulla, anche in questo
caso, ab initio (vale a dire, partire dal momento della sottoscrizione, da parte
dei soci, del memorandum e degli articles of association). Una tale disciplina
potrebbe creare problemi sia per gli azionisti che per i terzi. I primi potrebbero
divenire improvvisamente responsabili per quei contratti dai quali essi stessi
credevano di essere agevolmente protetti per via della responsabilità limitata. I
secondi potrebbero scoprire che l'altra parte (la società) è improvvisamente
scomparsa, ed è stata sostituita, se non del tutto, da numerose persone, contro
310
R. DRURY, op. cit., 653.
193
le quali possono essere promosse singole azioni individuali. Affinché un tale
sistema possa funzionare, la legge dovrebbe fornire un qualche meccanismo
per la ripartizione dei diritti e della responsabilità della società nulla (in regime
di società nulla). Pertanto, concetti come la francese société de fait, la tedesca
faktische gesellshaft o la società americana de facto dovrebbero svilupparsi
anche in Inghilterra311. La terza modalità richiede ugualmente una decisione
giudiziaria, ma essa avrà solo effetti futuri (efficacia ex nunc), riconoscendo
che, fino al momento della decisione, la società è esistita. In tal modo, i beni
della società dovrebbero essere utilizzabili per soddisfare i suoi debiti attuali, e
i suoi azionisti potrebbero essere chiamati a contribuire sulla base
dell’ammontare (del valore) delle loro azioni. Anche se la società sarà
dichiarata nulla, i suoi affari (le questioni ad essa relative) possono essere
risolti con la messa in stato di liquidazione. È quest’ultima soluzione che pare
provocare il minor numero di problemi, ed è proprio la soluzione richiesta per
gli Stati Membri dagli articoli 11 e 12 della Prima Direttiva.
Se esaminiamo i due casi di nullità sopra esposti, sembra che per il primo,
quello del sindacato, non vi era alcuna necessità di un’azione giudiziaria: la
questione si poneva, infatti, tra la “società” e il Cancelliere. Inoltre,
probabilmente questo è il caso in cui una tale de-registrazione ha l’effetto di
rendere la “società” nulla ab initio. Nel secondo caso, quello di un ordine di
Alcuni ti questi concetti, in ogni caso, rinnegano l’effetto retroattivo della dichiarazione di
nullità. Si veda VON BODUNGEN, La società viziata nel diritto americano e tedesco, in
American Journal of Comparative Law, 1967, 15, 313.
311
194
certiorari, nel caso di società con oggetto illecito, Pennington ha sottolineato
che: “Il certiorari annulla il certificato di registrazione come se esso non fosse
mai stato rilasciato: pertanto, si dovrebbe intendere la società come se essa non
avesse mai avuto alcun patrimonio o non avesse mai contratto debiti e
obblighi, in modo che nessun bene, apparentemente in suo possesso, possa
essere disponibile a soddisfare i debiti sostenuti in nome e per conto di
essa”312. Egli mostra di preferire una soluzione basata sull’atto di scire facias
che produrrebbe effetti ex nunc, sciogliendo la società a partire dal giorno della
pronuncia.
Nei casi in cui è ammessa la nullità, il diritto inglese ha apparentemente
adottato la prima e la seconda delle possibilità sopra menzionate, ma senza
adottare il concetto di società de facto per colmare le lacune. Quali sono le
conseguenze di un tale approccio? Come, per esempio, affrontare il caso di
colui che ha dato credito a un sindacato registrato? Sicuramente non è di alcun
aiuto per lui sentirsi dire: “Mi dispiace, ma avresti dovuto fare più attenzione
nel fare affidamento sul certificato di costituzione del Cancelliere”. Eppure, la
legge inglese non sembra fornire una risposta efficace laddove, non è tanto il
contratto stesso, quanto l’altra parte del contratto, vale a dire la società, che
diventa nulla. Può essere che, in quanto “società” viziata rientrante nella
definizione di sindacato di cui alla section 28 (1) del Trade Union Labour
Realations Act of 1974, essa mantenga sempre quello status, nonostante la sua
312
Pennington’s Company Law, op. cit. 36.
195
mancata registrazione. Ora la section 2 (1) di tale Act prevede che un sindacato
è in grado di stipulare contratti ed è in grado di essere citato in giudizio in
nome proprio. Ciò può permettere l'accesso al patrimonio del sindacato, che
dovrebbe in ogni caso essere stato investito nell’amministrazione fiduciaria.
(Tuttavia, ciò non sarà di grande conforto per i terzi, perché gli ex azionisti che
hanno sottoscritto le azioni in una “società” invalida possono di certo
pretendere un ritorno del loro denaro.) Tutte gli altri beni della “società” sono
stati ugualmente ottenuti sulla base di contratti invalidi. Quindi la terza parte
non può vantare altro che un credito nei confronti di un sindacato senza beni, e
dove non esiste alcuna procedura per rendere i soci responsabili per i suoi
debiti. Sarebbe meglio per il terzo potere pretendere che ciò che è rimasto
dopo la nullità sia una associazione senza personalità giuridica, i cui membri
possono essere resi responsabili con l'applicazione delle norme in materia di
agenzia. Ma un simile approccio presenta i suoi problemi, dal momento che, in
ambito societario, l'autorità conferita agli amministratori deriva dalla società
stessa, e non direttamente dai soci.
Un soggetto che ha fatto affari con una società con oggetto illecito che poi è
stata annullata non si trova molto meglio. Ci sono alcune indicazioni, nei vari
casi giuridici, che suggeriscono ai giudici di considerare tali società viziate alla
stregua di una associazione (società di persone) o, forse, di una società senza
personalità giuridica. I contratti stipulati con tale società probabilmente
possono essere fatti valere nei confronti degli azionisti, trattandoli come una
196
sorta di soci con responsabilità illimitata (soci accomandatari), se si dimostra
che, in qualità di azionisti essi hanno continuato a esercitare l’impresa.
Tuttavia, la persona che ha stipulato il contratto probabilmente è stato
l’amministratore della società, e il terzo invece, secondo tale logica,
rivendicherebbe il suo credito nei confronti degli azionisti in qualità di soci.
Tuttavia è possibile proporre un ricorso nei confronti di chi aspira a essere
amministratore. Ugualmente è stato notato che la formulazione della section
36 (4) del CA 1985 potrebbe risolvere il problema se si potesse affermare che
il contratto si presume essere stato stipulato da una società in un momento in
cui tale società non era stata costituita. Così l’amministratore o altro organo
della presunta società diventa personalmente responsabile. Tuttavia, se
l’oggetto della società era illecito, e il principio della conoscibilità presunta (o
legale) opera nei confronti di una società di fatto, qualsiasi persona che abbia
fatto affari con quella società può ritenere che il contratto è illecito, e quindi
viziato, e inefficace per tale motivo.
Lo scopo di questo excursus è stato solo quello di dimostrare che finché il
diritto inglese non ammetterà al suo interno una disposizione sulla nullità delle
società, non potrà iniziare ad adottare misure adeguate volte a regolare gli
effetti di tale nullità. Il diritto inglese, attualmente, viola le disposizioni della
Prima Direttiva. L'articolo 11 stabilisce infatti che gli Stati Membri non
devono necessariamente uniformarsi alle regole sulla nullità delle società, così
come contemplate dalla Direttiva, tranne che in determinati aspetti. Il primo di
197
questi è che la nullità deve essere pronunciata da un tribunale. In nessuna parte
del Trade Union and Labour Relations Act 1992 possiamo trovare un qualche
requisito che richieda una decisione del tribunale che dichiari che l’aspirante
società è un sindacato e che la registrazione è quindi da annullare. In quella
legge non sembra esserci nulla che impedisca al terzo di fare affidamento sul
fatto che la registrazione di una tale società è nulla, specialmente considerato
che la regola della prova conclusiva non è stata creata per disciplinare questa
situazione.
L’articolo 11 (2) delimita i casi in cui la nullità può essere pronunciata. Anche
se al paragrafo b troviamo il riferimento alla natura illecita dell’oggetto
sociale, compreso il riferimento alla contrarietà all'ordine pubblico, è una
storpiatura l’espressione utilizzata per dire piuttosto che è (anche) un sindacato
che può essere illecito o contrario all'ordine pubblico. Nessun’altra ragione
potrebbe colmare (coprire) adeguatamente il caso del sindacato nel diritto
inglese. L'articolo 11 conclude stabilendo che “Fuori di questi casi di nullità, le
società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta,
nullità relativa o annullabilità”. Conseguentemente la section 10 (2) e (3) del
Trade
Union and Labour Relations Act 1992 313 potrebbe sembrare in
contrasto con la Direttiva.
“Un sindacato non può essere disciplinato come se si trattasse di una persona giuridica... Un
sindacato non deve essere registrato come se fosse una società: (a) ai sensi del Companies Act
1985, o successivo; (b), ai sensi del Friendly Societies Act del 1974, o dell’Industrial and
Provident Societies Act 1965, e qualsiasi registrazione di un sindacato (se effettuata) è nulla”.
313
198
Se passiamo a esaminare l'articolo 12, la situazione non migliora. Il comma 2°
precisa che “La nullità comporta la liquidazione della società, come può
comportarla lo scioglimento”. Questa previsione risulta chiaramente violata da
entrambi i casi di nullità presenti nel diritto inglese, visto che nessuno di essi
sembra richiedere la liquidazione della società.
Il terzo comma prevede che “La nullità non pregiudica la validità degli
obblighi della società o degli obblighi assunti nei confronti di essa, salvi gli
effetti dello stato di liquidazione”. Questa disposizione, che prevede, quindi,
l’efficacia ex nunc delle dichiarazioni di nullità, risulta anch’essa palesemente
violata dalle disposizioni che disciplinano i sindacati, nonché dalla scelta di
accordare all’azione basata sul certiorari efficacia retroattiva. A sottolineare
questa efficacia ex nunc è il comma 5° dello stesso articolo, laddove stabilisce
che “I possessori di quote o di azioni sono tenuti a versare il capitale
sottoscritto e non liberato quando le obbligazioni assunte verso i creditori lo
esigano”. Inutile dire che la legge inglese non prevede tale obbligo. Pertanto,
la Direttiva, pur manifestando il suo disappunto per il concetto di nullità
limitando i motivi in base ai quali essa può essere fatta valere, tuttavia, fa in
modo di contemplare adeguate conseguenze di tale nullità per quegli Stati
membri che vogliano mantenerla.
Se si dovesse decidere conformare il diritto societario inglese alla presente
direttiva, sarebbe necessaria un’apposita legge per due motivi: in primo luogo,
per introdurre disposizioni alternative per i sindacati; in secondo luogo, per
199
disciplinare gli effetti della nullità nei casi di oggetto illecito. È stato affermato
che il fatto che gli oggetti di una società possano rientrare nella definizione di
sindacato contenuta nella section 1 del Trade Union and Labour Relations Act
1992 possa essere una ragione per la liquidazione coatta della società ai sensi
del CA 2006, e che possa essere presentata un’istanza da parte sia del
Dipartimento del Commercio sia del Segretario di Stato. Tale iter
soddisferebbe gli obiettivi della section 10 dell’Act del 1992, pur non
richiedendo alcuna ragione (giustificazione, motivo) di nullità sulla base del
fatto che, essendo un sindacato, esso persegue un oggetto sociale illecito.
Evitando la nullità in favore di procedure di liquidazione obbligate, l’obbligo
della direttiva di una decisione del tribunale è aggirato. Inoltre, tale Act del
1992 avrebbe bisogno di precisare che la registrazione di una società può
solamente essere revocata o annullata (in quanto l’oggetto della società è stato
illecito o contrario all'ordine pubblico) da un procedimento giudiziario avviato
ai sensi della stessa legge del 1992. L'effetto della decisione del giudice
dovrebbe essere quello di annullare la registrazione per il futuro (a partire da
questo momento) e di porre immediatamente la società in stato di liquidazione.
Questa decisione dovrebbe essere iscritta sia nel Registro delle Imprese sia
nella Gazzetta ufficiale, conformemente al disposto degli articoli 12 comma
1314, 3 comma 2315 e 4316 della Prima Direttiva. Per motivi di trasparenza, la
“L'opponibilità ai terzi di una sentenza di nullità è disciplinata dall'articolo 3. L'oppos izione
di terzo, quando prevista dalla legge nazionale, non è proponibile oltre sei mesi dalla data di
314
200
legge, di cui si auspica l’emanazione, potrebbe precisare che la validità degli
atti compiuti in nome della società non deve essere colpita da nullità. Inoltre,
tale legge potrebbe prevedere che gli azionisti della società siano obbligati a
contribuire con ogni importo non pagato sulle loro azioni nella misura richiesta
dai debiti della società. Infine, la legge potrebbe utilizzare il precedente del
Netherlands Civil Code317 e prevedere che le persone che hanno agito in nome
di una società che è stata dichiarata nulla sono responsabili in solido nei
confronti dei terzi per le loro azioni.
pubblicazione della sentenza”.
315
“Tutti gli atti e indicazioni soggetti all'obbligo della pubblicità a norma dell'articolo 2 sono
inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro ; dal fascicolo deve in ogni caso risultare l'oggetto
delle trascrizioni fatte nel registro”.
“Gli Stati membri prescrivono che la corrispondenza e gli ordinativi indichino: - un
ufficio del registro presso il quale sia costituito il fascicolo menzionato all'articolo 3, nonché
il numero d'iscrizione della società nel registro; - il tipo di società, la sede sociale e, se del
caso, lo stato di liquidazione della società. Quando nei documenti suddetti è indicato il
capitale della società, tale indicazione deve riguardare il capitale sottoscritto e versato”.
316
317
Article 71(5) of NCC 1996.
201
PARTE SECONDA
L’INDIVIDUAZIONE DEI CASI DI NULLITA’
MEDIANTE L’ANALISI DELL’ARTICOLO 2379
DEL CODICE CIVILE
202
CAPITOLO I
LA SPECIALITA’ DELLA
DISCIPLINASOCIETARIA
RISPETTO A QUELLA NEGOZIALE
203
1. I confini dell’istituto
Il legislatore della riforma, stabilendo l’applicabilità alle delibere assembleari
nulle degli artt. 2379 e 2379 bis (così come integrati, per le delibere ricadenti
nei rispettivi ambiti di applicazione, dagli artt. 2379 ter e 2434 bis c.c.), ha
inteso delineare, per tale categoria di atti, uno statuto speciale di nullità che si
distacca dalla normativa generale sulle invalidità contrattuali e che limita la
possibilità di pervenire a una caducazione giudiziale delle delibere viziate al
fine di tutelare in maniera particolarmente forte l’interesse alla stabilità e alla
certezza dell’attività sociale.
Anche nei casi più gravi di invalidità si è così inteso impedire l’applicazione,
alle delibere assembleari, degli artt. 1418 ss. c.c., che in materia contrattuale
consentono di procedere alla declaratoria di nullità senza limiti di tempo e di
travolgere, in tal modo, i diritti di tutti i terzi, compresi quelli di buona fede.
L’efficienza di tale costruzione va tuttavia verificata esaminando se vi siano
casi in cui i principi che caratterizzano la disciplina delle invalidità negoziali
possano comunque trovare applicazione alle delibere assembleari in virtù della
riconducibilità di queste ultime a categorie dogmatiche diverse dalla nullità e
dall’annullabilità,
quali
l’inesistenza
e
l’inefficacia,
o
della
loro
assoggettabilità, in via analogica, agli artt. 1418 ss. c.c., per la presenza di vizi
diversi da quelli contemplati dall’art. 2379 c.c.
Una verifica di questo tipo consentirà di individuare quali siano i confini tra
l’impianto normativo delle delibere assembleari nulle e l’insieme delle regole
204
che disciplinano la nullità del contratto, mettendo in luce i casi in cui la
disciplina speciale delle delibere deve far posto ai principi generali
dell’ordinamento in materia di invalidità negoziale.
L’intenzione di operare un compiuta delimitazione dell’ambito applicativo
degli artt. 2379-2379 ter c.c. impone, peraltro, di tracciare un discrimine tra le
fattispecie riconducibili all’istituto della nullità e quelle ricadenti nel novero
delle deliberazioni annullabili.
In questa prospettiva, si cercherà di comprendere l’esatto significato
dell’espressione “impossibilità o illiceità dell’oggetto”, prendendo posizione
sul trattamento giuridico da riservare alle delibere affette da vizi di contenuto,
e di tracciare con precisione i confini delle due cause di nullità introdotte dal
legislatore del 2003: la mancata convocazione dell’assemblea e la mancata
verbalizzazione della delibera.
Ciò in considerazione del fatto che, qualora una delibera sia affetta da vizi di
contenuto o da vizi procedimentali diversi da quelli individuati dall’art. 2379
c.c., deve essere considerata, in linea di massima, annullabile, e dunque
ricadente nella previsione dell’art. 2377 c.c.
Poiché, tuttavia, l’individuazione di un preciso discrimine fra delibere nulle e
annullabili impone di passare in rassegna, specificamente, il contenuto dell’art.
2379 c.c., addentrandosi nell’universo normativo dedicato all’invalidità delle
delibere assembleari, pare opportuno indagare, preliminarmente, sui rapporti
fra tale sistema e quello delle invalidità negoziali.
205
Compiuta tale indagine, sarà necessario passare in rassegna le posizioni della
dottrina e della giurisprudenza in ordine alla nozione di nullità ex art. 2379
c.c., analizzando il dibattito dottrinale in merito all’attuale rilevanza della
nozione di nullità deliberativa, riservando lo studio delle cause di nullità ad un
secondo momento, prodromico ad una compiuta analisi della disciplina dettata
dagli artt. 2379-2379 ter.
2. Gli artt. 1324 e 1418 c.c.
È possibile estendere il regime delle invalidità contrattuali oltre i limiti
tracciati dall’art. 2379 c.c., configurando, in tal modo, ipotesi di nullità delle
delibere estranee alla previsione contenuta in detto articolo?
Ai sensi dell’art. 1418 c.c., il contratto è nullo non solo quando risulti contrario
a norme imperative di legge, ma anche nei casi in cui manchi uno dei requisiti
previsti dall’art. 1325 c.c.318, sia configurabile l’illiceità della causa o del
motivo che ha indotto le parti a stipulare il contratto, o l’oggetto sia carente dei
requisiti richiesti dall’art. 1346 c.c.319.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1324 c.c. “le norme che regolano i contratti si
osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi
contenuto patrimoniale”.
Si tratta dell’accordo delle parti, della causa, dell’oggetto e della forma, se prescritta dalla
legge a pena di nullità.
319
A norma del quale “L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o
determinabile”.
318
206
Orbene, dalla lettura di tali norme non può sorgere alcun dubbio che, al di là
dei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancata verbalizzazione
della delibera o di impossibilità o illiceità dell’oggetto, le deliberazioni
assembleari possano essere dichiarate nulle in presenza delle ulteriori cause di
invalidità contemplate dall’art. 1418 c.c.
Il problema non è nuovo, poiché è stato autorevolmente sollevato anche
durante il sistema previgente, quando peraltro la disciplina delle delibere nulle
richiamava testualmente alcune delle norme sulla nullità dei contratti 320 e
lasciava il dubbio circa la possibilità, se non addirittura la necessità, di essere
integrata dalla normativa sui contratti nulli, rispetto alla quale presentava
numerosi punti di contatto.
Infatti, prima dell’entrata in vigore della riforma societaria, in particolare, il
combinato disposto degli artt. 1418 e 1324 c.c. aveva indotto a sostenere che le
deliberazioni assembleari fossero nulle, oltre che nei casi di impossibilità o
illiceità dell’oggetto321, anche nelle ipotesi di illiceità della causa, illiceità del
motivo determinante e comune ai soci, indeterminatezza o indeterminabilità
dell’oggetto, o addirittura contrarietà a norme imperative dettate a tutela di
interessi generali322.
320
E, in particolare, gli artt. 1421, 1422 e 1423 c.c.
Le uniche ipotesi che, prima della riforma, erano comprese nella previsione dell’art. 2379
c.c.
322
G. ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per
azioni diretto da Colombo e Portale, Vol. 3, 1993, 465. L’Autore, in particolare, sosteneva che
ricadessero nell’ambito di applicazione dell’art. 1324 c.c. i casi di violazione di norme
imperative poste a tutela di interessi generali o di terzi (esclusi dal novero dei soggetti
321
207
E tale ricostruzione, in taluni casi, era stata accolta anche dalla
giurisprudenza323, che pure aveva talora differenziato la disciplina applicabile
alle delibere nulle per contrasto con l’art. 2379 c.c. da quella applicabile alle
deliberazioni nulle per contrasto all’art. 1418 c.c.324.
Tali opinioni anche nel sistema previgente erano fortemente discutibili, non
solo per la difficoltà di riferire l’art. 1324 c.c. alle delibere assembleari, ma
anche per l’autonomia che, seppure in misura molto più attenuata di ora,
caratterizzava il sistema normativo dettato dagli artt. 2377-2379 rispetto alla
disciplina delle invalidità negoziali e che conduceva, quindi, a dubitare della
conformità fra i due sistemi325.
Dopo la riforma del 2003, la dottrina pressoché unanime ritiene che la
possibilità di configurare deliberazioni assembleari nulle, estranee alla
legittimati all’azione di annullamento): ipotesi che, a suo avviso, dovevano ritenersi estranee
all’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c. giacché, altrimenti, non si sarebbe permesso ai
soggetti lesi dalla delibera di chiederne la rimozione. In realtà, tali considerazioni non sono
oggi condivisibili. In particolare, si deve rilevare che il nuovo art. 2377, consentendo
l’impugnativa solo ai soci che possiedano i quorum di cui al 3° comma, mostra chiaramente
come non sempre l’ordinamento tuteli l’interesse alla caducazione della delibera per iniziativa
di coloro che dalla stessa abbiano subito un pregiudizio: soggetti che possono ricevere tutela
unicamente mediante rimedi risarcitori.
323
In particolare, Cass., 10/03/1983, n° 1794, in Giur. Comm., 1984, I, 1, 383; Trib. Milano,
28/06/1992, in Giur. it., 1993, I, 2, 597; Cass., 13/06/2000, n° 8036, in Dir. e Prat. Soc., 2000,
23, 98; Trib. Catania, 18/01/2001, in Società, 2001, 704.
324
Si veda, in particolare, Cass. 10/03/1983, n° 1794 e Trib. Milano, 28/06/1992 (nota prec.),
secondo cui la possibilità di sostituire, ex art. 2377 c.c., le delibere nulle andava negata
unicamente nei casi di impossibilità o illiceità dell’oggetto.
325
Si veda, a tal proposito, in giurisprudenza, Cass. 27/07/2005, n° 15721, in Foro it., 2006, 1,
1849; Cass, 24/07/2007, n° 16390, Cass., 02/04/2007, n° 8221, in Società, 2007, 846; Cass.,
27/10/2006, n° 23174, tutte e tre riferite a fattispecie ricadenti nell’ambito di applicazione
della normativa previgente, per le quali la Suprema Corte ha escluso la possibilità di
configurare quali cause di nullità violazioni di norme imperative estranee alla fattispecie
dell’impossibilità o dell’illiceità dell’oggetto.
208
previsione dell’art. 2379 c.c. e sottoposte alla disciplina della nullità dei
contratti, deve essere negata326.
Si parla, a tal proposito, di “autosufficienza” del sistema normativo dettato
dagli artt. 2377-2379 ter c.c. rispetto alla disciplina delle invalidità
negoziali327.
Il d.lgs. 6/2003 ha modificato, innanzitutto, la rubrica degli artt. 2377 e 2379
c.c., nel senso che il primo disciplina la “annullabilità”, il secondo la “nullità”
delle delibere assembleari.
Esaurite le ipotesi previste da tali disposizioni, riferite alle due specie di
invalidità note al nostro sistema giuridico, non sembra residuare spazio per
ulteriori casi di delibere invalide, e in particolare nulle.
Ciò comporta che “le molteplici differenze che caratterizzano oggi la
disciplina della nullità dettata dall’art. 2379 c.c. rispetto a quella delineata,
per i contratti, dagli artt. 1418 ss. c.c., suggeriscono l’idea per cui, in materia
di delibere assembleari, opera una nullità di diritto speciale difficilmente
integrabile con la disciplina generale dell’istituto”328.
326
G. CONTE, Osservazioni sul nuovo regime di disciplina delle invalidità delle deliberazioni
assembleari, in Contr. e Impr., 2003, 646 ss.; A. SPENA, Art. 2379, in Sandulli, Santoro (a cura
di), La riforma delle società, Torino, 2003, 371; G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle
deliberazioni assembleari nella s.p.a., in Società, 2003, 536; R. LENER, Invalidità delle
delibere assembleari di società per azioni, in Riv. dir. comm., 2004, I, 92; A. STAGNO
D’ALCONTRES, L’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea di s.p.a. La nuova disciplina, in
Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Vol. 2, Torino,
2007, 203.
327
G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni, Giuffrè,
Milano, 2009, 34
328
G. GUERRIERI, La nullità, op. cit., 34
209
Infatti, è evidente che eventuali cause di nullità delle delibere diverse da quelle
previste dall’art. 2379 c.c. sarebbero soggette alla disciplina dettata dagli artt.
1421 e 1422 c.c.: norme che, prevedendo l’imprescrittibilità dell’azione di
nullità e la possibilità, per il giudice, di rilevare d’ufficio tale specie di
invalidità senza limiti di tempo, mal si concilierebbero con la disciplina dettata
in materia dall’art. 2379 c.c.
Invero, l’evolversi, nel sistema giuridico italiano, di nullità speciali,
difficilmente riconducibili al sottosistema normativo di cui agli artt. 1418 ss.
c.c., è ormai un fenomeno piuttosto diffuso.
E il fatto che molte cause di nullità previste dagli artt. 1418 ss. c.c. in materia
contrattuale siano espressamente o implicitamente richiamate dagli artt. 2377 e
2379 c.c.329 induce a ritenere che il mancato richiamo delle altre ipotesi non sia
causale, ma è indice della volontà del legislatore di limitare al massimo
l’applicabilità, alle deliberazioni assembleari, della disciplina contrattuale della
nullità.
Sarebbe, infatti, un controsenso che il legislatore avesse inteso, da un lato,
assoggettare alla disciplina dell’art. 2379 c.c. le delibere affette dai vizi ivi
previsti e, dall’altro, consentire l’applicabilità, nelle altre ipotesi riconducibili
alla previsione dell’art. 1418 c.c., degli artt. 1421, 1422 e 1423 c.c., il cui
Si pensi all’ipotesi dell’oggetto illecito o impossibile, espressamente contemplato dall’art.
2379, 1° comma, c.c.; della mancanza della forma dell’atto imposta dalla legge a pena di
nullità, in cui può forse essere fatta rientrare la mancanza del verbale prevista dall’art. 2379
c.c.; dell’oggetto mancante, indeterminato o indeterminabile, probabilmente riconducibile
all’ipotesi di verbale mancante dell’oggetto, ex art. 2379 c.c.
329
210
richiamo, nel contesto dell’art. 2379 c.c., è stato oggetto di una abrogazione
espressa.
3. Le singole fattispecie. La contrarietà a norme imperative e l’oggetto
mancante, indeterminato o indeterminabile.
A supporto della tesi che non ritiene configurabili ulteriori ipotesi di nullità
rispetto a quelle previste dall’art. 2379 c.c., può procedersi ad un’analisi delle
singole fattispecie elencate dall’art. 1418 c.c., e delle conseguenze a cui
potrebbe condurre, per ciascuna di esse, la tesi opposta.
L’art. 1418 c.c. prevede, tra le altre, la nullità dei contratti che risultino
contrari a norme imperative di legge, o caratterizzati da illiceità della causa, da
illiceità del motivo determinante, comune alle parti, o da impossibilità, illiceità
o indeterminabilità dell’oggetto.
Ponendo a confronto tale disciplina col disposto dell’art. 2377 c.c. risulta
chiara l’impossibilità di ricondurre alla categoria della nullità le delibere
contrarie a norme imperative di legge, rientranti nella previsione dell’art. 1418,
1° comma, c.c.
Infatti, in materia di delibere assembleari, la non conformità alla legge (alle
norme imperative di legge) determina, in linea di principio, la mera
annullabilità dell’atto, come espressamente previsto dall’art. 2377, 2° comma,
c.c.
211
Conseguentemente, la possibilità di configurare cause di nullità delle delibere
ulteriori rispetto a quelle contemplate dall’art. 2379 c.c. rimane in astratto
confinata alle ipotesi specificamente previste dall’art. 1418, 2° comma, c.c.,
diverse rispetto a quella di impossibilità o illiceità dell’oggetto.
È il caso in cui, innanzitutto, l’oggetto della delibera manchi, oppure sia
indeterminato o indeterminabile: ipotesi che, tuttavia, possono essere fatte
rientrare nella previsione relativa alla mancata indicazione dell’oggetto nel
verbale d’assemblea, e dunque ricondotte all’ambito di applicazione dell’art.
2379 c.c.
Che l’oggetto di una delibera possa mancare del tutto è ipotesi, per così dire,
scolastica, essendo evidente che, se c’è una decisione assembleare, di regola
c’è anche una materia all’ordine del giorno su cui l’assemblea è stata chiamata
ad esprimersi.
Tuttavia, anche a volere ammettere la possibilità di configurare come
deliberazione un atto mancante addirittura di oggetto, pare da escludere che la
legge intenda riservare a tale deliberazione un trattamento diverso da quello
previsto, dall’art. 2379 c.c., per il caso in cui l’oggetto non sia indicato nel
verbale d’assemblea.
In altri termini, il suddetto articolo, nel riferirsi ai casi di mancata indicazione
dell’oggetto all’interno del verbale, è idoneo a ricomprendere, in linea di
principio, anche l’ipotesi in cui l’oggetto della delibera manchi totalmente.
212
Infatti, “il legislatore, nel prevedere la nullità delle deliberazioni assembleari
per mancata verbalizzazione degli elementi previsti dall’art. 2379 c.c., ha
voluto consentire la ricostruzione dei requisiti essenziali della delibera sul
presupposto che, altrimenti, verrebbe compromesso l’interesse generale alla
trasparenza dei processi decisionali dell’impresa in forma di s.p.a.: interesse
la cui tutela è spinta al punto di considerare invalide le delibere assembleari
che, per quanto in sé e per sé conformi alla legge e allo statuto, siano
verbalizzate in modo da non consentire di accertarne la validità”330.
In quest’ottica, la mancata indicazione nel verbale dell’oggetto della delibera,
impedendo addirittura la ricostruzione degli argomenti dell’adunanza
assembleare, rappresenta un vulnus talmente grave al principio di legalità
dell’agire sociale da potere essere equiparato alla mancanza assoluta
dell’oggetto.
Ai fini della declaratoria di nullità, in definitiva, è l’atto (viziato) verbalizzato
che viene in rilievo, sì che, nel disegno del legislatore, la circostanza che
l’oggetto della delibera manchi del tutto pare indifferente: in ogni caso, la
delibera dovrà venire dichiarata nulla, ma sarà soggetta alla disciplina dettata
dall’art. 2379 c.c.
Lo stesso vale per le ipotesi di oggetto indeterminato o indeterminabile,
assorbite nella previsione dell’art. 2379, laddove tale articolo si riferisce alla
330
A. ASQUINI, Nullità ed annullabilità delle deliberazioni assembleari, in Scritti giuridici, III,
Padova, 1961, 302
213
mancata verbalizzazione dell’oggetto della delibera, senza che abbia alcun
rilievo la circostanza che, da fonti esterne al verbale, l’oggetto risulti o meno
determinabile.
4. (Segue): La forma imposta dalla legge a pena di nullità.
Certamente non può essere applicata alle delibere assembleari la disciplina
dettata dall’art. 1418 c.c., nella parte in cui prevede, quale causa di invalidità
dei contratti, la mancanza della forma imposta dalla legge a pena di nullità.
Più precisamente, o si sostiene che la delibera è un atto a forma vincolata,
dovendo essere verbalizzata nei modi previsti dall’art. 2375 c.c., per cui è
evidente che il suddetto vizio dovrà ritenersi assorbito dalla previsione dell’art.
2379 c.c. relativa alla mancanza di verbale; o si deve ritenere che, essendo il
verbale “elemento del procedimento assembleare, e non forma della
delibera”331, quest’ultima sia un atto a forma libera, dovendo in tal caso
escludersi la possibilità di applicare l’art. 1418 c.c.
331
Così testualmente Trib. Lecce, 16/11/1990, in Società, 1991, 1065; si veda anche, in
dottrina, C. BAVETTA, La deliberazione assembleare non verbalizzata, Milano, 2008, 6 ss.; P.
FERRO LUZZI, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo,
Milano, 1976, 67
214
5. (Segue): La mancanza di accordo tra le parti.
Va altresì esclusa la possibilità di configurare un’ipotesi di nullità delle
delibere per mancanza di accordo delle parti, ai sensi degli artt. 1418 e 1325
c.c.
Infatti, pur a volere accogliere la tesi per cui le delibere, come i contratti,
richiedono l’incontro di due o più volontà332 sino al raggiungimento del
quorum deliberativo richiesto dalla legge, l’ipotesi di mancanza di accordo fra
i soci è assorbita dalla previsione dell’art. 2377, 5° comma, c.c. (nn. 1 e 2),
laddove è previsto che la partecipazione all’assemblea di soggetti non
legittimati e l’errore compiuto nel computo dei singoli voti comportino
l’annullabilità della delibera.
In queste ipotesi, infatti, manca il consenso di tutti i soggetti il cui accordo è
richiesto dalla legge perché la delibera possa venire adottata validamente; e se
in tali circostanze l’art. 2377 c.c. sancisce esplicitamente la mera annullabilità
della delibera, non può di certo configurarsi una diversa regola in tutte le altre
ipotesi in cui manchino i quorum costitutivi e deliberativi previsti dagli artt.
2368 e 2369 c.c.
Così ad esempio, per essere più precisi, si può correttamente sostenere che
l’art. 2377, 5° comma, n° 1, c.c. trova applicazione anche nel caso in cui i
soggetti presenti in assemblea, pur essendo tutti legittimati a prendervi parte,
332
Favorevolmente si veda V. CHIOMENTI, Esiste un potere di impugnativa delle deliberazioni
viziate di un consiglio di amministrazione di società di capitali fuori dall’ipotesi dell’art. 2391
cod. civ.?, in Riv. dir. comm., 1983, II, 182; F. FERRARA, F. CORSI, Gli imprenditori e le
società, Milano, 2006, 514
215
vengono conteggiati erroneamente: ipotesi in cui, qualora l’errore sia stato
determinante ai fini della verifica del quorum costitutivo (cioè qualora venga
accertato che il quorum costitutivo, erroneamente ritenuto sussistente, in realtà
mancava), la deliberazione dovrà essere pertanto considerata annullabile 333.
Alla medesima conclusione sembra doversi pervenire, ex art. 2377, 5° comma,
n° 2, c.c., nell’ipotesi in cui, pur non essendo raggiunto il quorum deliberativo,
se ne attesti falsamente l’esistenza per effetto di dolo, invece che di un errore
di conteggio.
Quindi, dalla lettura dell’art. 2377 c.c. emerge come, nell’ottica del legislatore,
la mancanza dei quorum richiesti dagli artt. 2368 e 2369 c.c., che pure
rappresenta un vizio genetico di considerevole gravità, comporti unicamente
l’annullabilità dell’atto, essendo esclusa la possibilità di farne derivare la
nullità a norma dell’art. 2379 c.c. E ciò si oppone a una lettura degli artt. 1418
e 1324 c.c., volta ad applicare, alle ipotesi di mancato accordo delle parti non
ricomprese nell’ambito di applicazione dell’art. 2377, 5° comma, c.c., ma del
tutto assimilabili alle fattispecie ivi previste, la disciplina della nullità dei
contratti, per sua natura ancor più rigida di quella dettata dall’art. 2379 c.c.
333
G. GUERRIERI, op. cit., 41
216
6. La mancanza, o illiceità, della causa.
In base a quanto detto fino ad ora, si evince chiaramente che i soli vizi
contemplati dall’art. 1418 c.c., che astrattamente possono applicarsi alle
delibere assembleari ai sensi del rinvio operato dall’art. 1324 c.c. (in quanto
estranei alle previsioni contenute negli artt. 2377 e 2379 c.c.), sono
rappresentati dalla mancanza, o illiceità, della causa e dall’illiceità del motivo
determinante e comune a tutti i soci che abbiano votato a favore della delibera.
Anche se, invero, parte della dottrina esclude che tali vizi siano applicabili a
tale tipologia di atti334.
Orbene, la possibilità che una delibera possa essere adottata dai soci per un
motivo illecito è innegabile: si pensi, ad esempio, al caso in cui l’assemblea di
una società assicurativa deliberi di rinunciare all’autorizzazione all’esercizio
della propria attività per evitare un provvedimento di revoca della stessa da
parte dell’Isvap e l’applicazione della disciplina della liquidazione coatta
amministrativa335. Si pensi, altresì, all’ipotesi in cui i soci autorizzino
determinati atti di gestione per consentire unicamente agli amministratori di
violare norme imperative poste a presidio dei principi fondamentali
dell’ordinamento, o dettate a tutela dell’ordine pubblico o del buon costume.
Più precisamente, pare corretto affermare che, quanto meno da un punto di
vista teorico, anche una deliberazione, al pari di quanto previsto dall’art. 1344
334
F. FERRO LUZZI, La conformità, op. cit., 121 ss.
Caso recentemente sottoposto all’attenzione della Suprema Corte. Si veda Cass.
27/07/2005, n° 15721, in Foro it., 2006, 1, 1849
335
217
c.c. in materia di contratti, possa rappresentare il mezzo per eludere una norma
imperativa e, quindi, debba essere considerata in frode alla legge.
Si pensi, ad esempio, all’art. 2400 c.c. che, al 2° comma, parla di revoca dei
sindaci. In tal caso può senz’altro configurarsi illecita una delibera con cui
l’assemblea decida di mutare il sistema di amministrazione e controllo, al fine
di aggirare il divieto di revoca dei sindaci senza giusta causa; si pensi, ancora,
all’art. 2409 c.c., rubricato “Denunzia al Tribunale”: più precisamente,
all’ipotesi in cui i soci decidano di trasformare la s.p.a. in una società di
persone per impedire che una denuncia di gravi irregolarità, presentata ai sensi
del suddetto articolo, possa dar luogo ad un procedimento giudiziario ivi
previsto336.
Tuttavia, si ritiene che l’applicazione, a tali fattispecie, dell’art. 1418 c.c.
condurrebbe a sottoporre tali delibere, mediante le quali la violazione di norme
imperative viene posta in essere solo indirettamente, ad una disciplina molto
più rigida di quella che l’art. 2377 c.c. prevede per l’ipotesi in cui la norma
imperativa venga violata in maniera diretta, e che l’art. 2379 c.c. detta per
l’ipotesi di illiceità dell’oggetto337.
336
337
G. ZANARONE, Invalidità, op. cit., 468
G. GUERRIERI, op. cit., 44
218
Ne consegue che, nei casi di illiceità della causa sopra menzionati, la relativa
delibera dovrà essere considerata annullabile, per mancata conformità alla
legge338, e assoggettata alla disciplina di cui all’art. 2377 c.c.
In tal modo risulta confermato che, all’interno del microsistema delle
invalidità delle delibere assembleari, non v’è spazio, quantomeno in linea di
principio, per l’applicazione delle norme sulle cause di invalidità dei
contratti339.
338
In tal senso anche la giurisprudenza. Si veda, a tal proposito, Cass., 25/05/1966, n° 1358, in
Dir. fall., 1966, II, 590; Cass., 07/02/1963, n° 195, in Foro it., 1963, I, 685; Cass., 04/03/1963,
n° 511, in Foro it., 1963, I, 684
339
Si veda Cass. 07/11/2008, n° 26842, che ha escluso, in un’ipotesi più particolare, che
l’illiceità del motivo che ha indotto i soci di maggioranza ad adottare una determinata delibera
possa comportare la nullità, e non l’annullabilità.
219
CAPITOLO II
LA NULLITA’ DELLA DELIBERAZIONE
220
1. L’articolo 2379 c.c.: la fattispecie di nullità
Prima di addentrarmi nei meandri della disciplina attinente all’istituto delle
delibere assembleari nulle, si rende necessaria una premessa. Vale a dire, non è
mio intento condurre un dettagliato esame di tutte le norme dettate in materia
di invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, ma solo svolgere
alcune riflessioni sulla disciplina in esame, alla luce delle novità introdotte
dalla Riforma del 2003. Per esprimere, in altri termini, tale concetto, mi
sembrano quanto mai adatte le parole di un autorevole studioso del diritto che,
nell’approcciarsi alla materia dell’invalidità delle delibere assembleari, così
diceva: “Mi sento un po’ come colui che si trova dinanzi alle mille tessere di
un imponente mosaico, che allo stato, perciò, riesce a vedere solo colori
confusi e segni indecifrabili e tuttavia tenta di intraprendere l’impegnativo
lavoro di ricostruzione, per verificare se riuscirà poi, quanto meno, a scorgere
l’armonia cromatica e le linee del disegno da comporre”340.
L’articolo 2379 del codice civile stabilisce che:
“Nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e
di impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata
da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito
nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla
trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è
340
A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in Riv.
dir. comm., 2004, I, 55
221
soggetta né a iscrizione né a deposito. Possono essere impugnate senza limiti
di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività
illecite o impossibili [disp.att. 223sexies].
Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l’invalidità può essere
rilevata d’ufficio dal giudice.
Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera
mancante nel caso d’irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un
componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è
idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere
preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea. Il
verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il
suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente
del consiglio d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal
segretario o dal notaio.
Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma dell’articolo
2377”.
II nuovo art. 2379 c.c. rende meno contestabile la soluzione della tassatività
delle fattispecie di nullità delle deliberazioni anche alla luce della lettura dei
lavori preparatori e, allo stesso modo, l’assoggettamento ad una disciplina ad
hoc341.
341
Relazione che accompagna il decreto legislativo n. 6, in Giur. Comm., 2003, suppl. al n. 4,
con commento di Buonocore.
222
La disposizione in esame detta un’autonoma regolamentazione dell’azione di
impugnazione delle delibere nulle, omettendo ogni richiamo alla disciplina
generale degli artt. 1421 e segg. del codice civile; invero, sono state dettate
specifiche norme differenziatrici prevenendo:
a) un termine decadenziale per la proposizione dell’azione nella prevalenza
delle fattispecie;
b) il coordinamento con le fattispecie di sanatoria previste dal successivo ari.
2379-bis c.c.;
c) il richiamo, nei limiti della compatibilità, alla disciplina degli effetti
dell’annullamento e della sostituzione della delibera impugnata sancita
dall’art. 2377.
Quindi è da escludere la richiamabilità della disciplina generale degli artt.
1418-1424 c.c. in quanto il legislatore ha previsto una nullità speciale delle
delibere assembleari342, “difficilmente integrabile con la disciplina generale
dell’istituto”343.
Pertanto, eventuali ulteriori violazioni di una norma imperativa non possono
comportare la nullità, ma soltanto la sanzione meno grave dell’annullabilità,
342
G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari di s.p.a. (seconda
parte): l’impugnazione, in Soc., 2003, 676.
343
G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni assembleari di s.p.a.: la fattispecie, in Giur.
Comm., 2005, 63.
223
consentendo alla deliberazione di produrre legittimamente i suoi effetti sino
alla definitiva declaratoria di annullamento344.
In particolare non sono richiamabili nella loro accezione generale le altre cause
di nullità previste dall’art. 1418, quali la mancanza di uno dei requisiti previsti
dall’art. 1325 c.c., mentre sono riconducibili all’annullabilità, ossia all’illiceità
dell’oggetto, correttamente inteso, i vizi di illiceità della causa345 e, inoltre, si
ha soltanto annullabilità per il motivo illecito ex art. 1345 c.c.346; infine, con
riguardo all’indeterminatezza dell’oggetto, per la quale non si riscontrano
effettive emersioni giurisprudenziali, non è apparsa difficile la riconduzione
all’illiceità dell’oggetto347.
Per quanto riguarda la disciplina generale non applicabile deve essere fatto
riferimento all’art. 1419 sulla nullità parziale348.
Deve rilevarsi che la scelta riformatrice di tipizzare le fattispecie di nullità, e
di conseguenza, dare minore rilievo all’istituto attribuendogli un ambito più
ristretto dell’art. 2377, si coniuga con la compressione in punto di
legittimazione dell’impugnativa e dei vizi di annullamento; tali interventi sono
stati giustificati ribadendo che le necessità dell’organizzazione attraverso la
Salvo l’eventuale sospensione ai sensi dell’articolo 2378 c.c., v. G. FERRI, Le
impugnazioni di delibere assembleari. Profili processuali, in Riv. Trim. dir. e proc. Civ., 2005,
52.
345
F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, Padova, 2006, 226.
346
Cass., 27/07/2005, n. 15721; G. GRIPPO, L’assemblea nelle società per azioni, in Trattato
Rescigno, Torino, 1985, 426.
347
G. FERRI, Le società, in Trattato Vassalli, Milano, 1987, 684; P. FERRO-LUZZI, La
conformità delle deliberazioni assembleari alla legge ed all’atto costitutivo, Milano, 1976,
176.
348
Trib. Cassino, 09/06/1993, in Soc., 1993, 1374; Trib. Cassino, 20/03/1992, in Giur. It.,
1993, 145.
344
224
quale si esercita l’attività di impresa non sono compatibili con la precarietà: il
mercato deve garantire traffici sicuri, insuscettibili di dubbi che ne attentino la
definitività.
A tal riguardo, è stato affermato che la nuova disciplina tende al
riconoscimento dell’efficacia immediata della delibera349; in altri termini,
l’interesse protetto è “che le deliberazioni assembleari - anche quelle contrarie
a norme imperative - non siano in perpetuo esposte all’azione di nullità di un
qualsiasi interessato e restino, quindi, in una condizione di perenne incertezza,
prestandosi anche a tattiche dilatorie, se non addirittura ricattatorie, della
minoranza”350. Se questa tendenza alla stabilità è idonea a garantire l’esigenza
del mercato di certezza dei rapporti giuridici ed anche l’interesse dei terzi che
negoziano con la società (compresi i creditori), è anche evidente che essa rende
recessiva la protezione dei singoli soci di minoranza lesi da illegittime
deliberazioni assembleari: gli interessi di tali soggetti sono soddisfatti solo con
l’azione di risarcimento del danno351. Si tratta di una tappa del progressivo
passaggio dalla tradizionale tutela reale a quella obbligatoria, accentuandosi
l’opzione a suo tempo propugnata con l’art. 2504-quater, in tema di invalidità
S. PIAZZA, L’impugnativa delle delibere nel nuovo rito societario: prime riflessioni di un
civilista, in Corr. Giur., 2003, 965.
350
G. GRIPPO, Deliberazioni inesistenti e metodo assembleare, in Riv. Soc., 1971, 887.
351
GALGANO, GENGHINI, op. cit., 227.
349
225
della fusione, che peraltro già aveva suscitato censure da chi discorreva di un
declassamento delle garanzie352.
Ciò premesso è da sottolineare che tale scelta di valore deve essere ben intesa e
tenuta presente dall’interprete anche nella delimitazione della categoria della
nullità, poiché resterebbe superata da interpretazioni estensive dell’art. 2379 e,
in particolare, da orientamenti che qualificano tutte le violazioni di norme
imperative poste a protezione di interessi che trascendono la posizione del
singolo socio in chiave d’illiceità dell’oggetto della delibera.
La voluntas legis esprime anche il rifiuto del ruolo assunto in precedenza dalla
nozione di inesistenza nell’ambito del sistema della patologia della
deliberazione assembleare; ciò è palesemente manifestato dal fatto che l’art.
2379 disciplina anche i vizi più radicali di convocazione e verbalizzazione,
sottraendo significativa materia a tale categoria di invalidità e superando la
tradizionale impostazione che “conciava la nullità al valore espresso dalla
delibera e non alle modalità con cui essa si era formata”353.
Il vizio di inesistenza è considerato superfluo dalla Relazione al d.lg. n. 6, e
coerentemente appare espunto dal sistema degli artt. 2377-2379. Ciò ha avuto
la piena approvazione di parte della dottrina354, anche se da più parti si è però
352
S.A. VILLATA, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006, p.
97.
C.E. PUPO, Invalidità del procedimento deliberativo e dinamiche dell’investimento
azionario, in Giur. Comm., 2004, 613.
354
S. PESCATORE, Istituzioni di diritto commerciale, Torino, 2003, 181.
353
226
considerato che, in realtà, la riforma preluda soltanto a un ridimensionamento
dell’istituto355.
A tal proposito, il superamento del chiaro dettato normativo potrebbe
provocare ancora il ricorso all’inesistenza al fine di sfuggire alle limitazioni
introdotte sia per l’impugnativa di annullamento che di nullità356.
Problema analogo si pone in relazione ad una possibile inefficacia delle
deliberazioni assembleari, in quanto anche questa ulteriore categoria generale
del sistema civilistico non può essere esclusa dalla materia in esame, e per sua
natura conduce all’imprescrittibilità, ovvero non assoggettabilità a decadenza
dell’azione. Tale patologia, che già in chiave strettamente negoziale presenta
difficoltà interpretative, in assenza di una compiuta disciplina generale 357,
comunque, appare ineliminabile per le delibere assembleari che incidono
illegittimamente su diritti dei terzi.
È opinione consolidata, sia in dottrina che in giurisprudenza, che l’azione di
nullità dei contratti rappresenta un esempio tipico di pronuncia dichiarativa
poiché l’atto nullo non è idoneo a produrre effetti e, quindi, la sentenza che
accoglie la domanda si limita ad accertare l’esistenza di tale vizio radicale, e la
G. CONTE, Osservazioni sul nuovo regime di disciplina dell’invalidità delle deliberazioni
assembleari, in Contr. e Impresa, 2003, 661; M. CIAN, Invalidità ed inesistenza delle
deliberazioni e delle decisioni dei soci nel nuovo diritto societario, in Riv. Soc., 2004, 759.
356
S.A. VILLATA, op. cit., 103; R. BERNABAI, Le impugnative di delibere assembleari e
degli atti di amministrazione (I parte), in Soc., 2006, 152.
357
A. GENTILI, Nullità, annullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in
Contratti, 2003, 200.
355
227
conseguente mancata produzione degli effetti che in astratto esso avrebbe
potuto produrre.
Allo stesso modo, è stata sottolineata la peculiarità di questa azione rispetto a
quelle tradizionali in materia di diritti reali che accertano l’esistenza o
inesistenza di un diritto, attesa anche la possibilità che in determinate
fattispecie sono attribuibili alcuni effetti al negozio nullo358.
Se, quindi, anche il riferimento alle vicende storiche di formazione del sistema
vigente e le riflessioni comparatistiche359 inducono a sottolineare una certa
relatività
delle
distinzione
con
la
natura
costitutiva
dell’azione
di
annullamento360, in via di estrema semplificazione può comunque ritenersi che
con la domanda di nullità si chiede l’accertamento dell’esistenza di una
fattispecie impeditiva dell’efficacia del negozio, mentre con l’annullamento si
chiede la caducazione del rapporto.
Ricollegandosi al dibattito si è poi affermata la natura dichiarativa dell’azione
di nullità delle deliberazioni assembleari, ma atteso che anch’essa risulta
diretta all’eliminazione del valore organizzativo per la società adottato con il
procedimento deliberativo361, la dottrina ha sollevato motivati dubbi
358
R. SACCO, Nullità e annullabilità, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1995, 303; E.F.
RICCI, Sull’accertamento della nullità e della simulazione dei contratti come situazione
preliminare, in Riv. Dir. pr., 1994, 665.
359
A. GUARNIERI, L’azione di nullità (riflessioni sistematiche e comparatistiche), in Riv.
Dir. Civ., 1993, 41.
360
A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 373; A. PROTO PISANI, Appunti
sulla tutela di mero accertamento, in Riv. Trim. dir. proc. Civ., 1979, 620 e 665.
361
C. ANGELICI, Vicende associative e attività giuridiche, in Ferri, Angelici, Studi
sull’autonomia privata, Torino, 1997, 383.
228
sull’accoglimento integrale di tale impostazione, e sulla conseguente chiarezza
nella distinzione con l’azione di annullamento362.
L’azione di nullità della delibera non è più imprescrittibile ed insanabile, in
quanto il nuovo art. 2379 richiama l’art. 2377. La sentenza che dichiara la
nullità non è più idonea a provocare la caducazione di tutti gli effetti della
deliberazione, poiché sono fatti salvi i diritti acquisiti in buona fede dai terzi e,
infine, si è previsto che anche la sostituzione di una deliberazione nulla con
una deliberazione legittima rende superfluo l’accoglimento dell’impugnazione.
Dinanzi a tale nuovo contesto da alcuni si è preferito confermare,
l’impostazione tradizionale, assumendo che l’atto impugnato è da considerare
ab origine inefficace, anche se sono fatti salvi i diritti dei terzi acquistati in
buona fede per effetto di atti compiuti in esecuzione della deliberazione e
quindi la sentenza di nullità è pur sempre di mero accertamento; invero,
sarebbe incompatibile che l’ordinamento recepisse, anche se provvisoriamente,
atti a contenuto contrastante con le proprie norme imperative 363.
Invece, l’opinione più diffusa sostiene che la riforma ha espunto i fattori di
differenziazione fra azione di nullità e annullamento nella materia in esame,
atteso che ormai anche la deliberazione nulla produce degli effetti, in contrasto
362
E.F. RICCI, Gli effetti delle sentenze sulle impugnazioni delle deliberazioni assembleari, in
Processo civile e società commerciali, Atti del XX Convegno dell’Associazione fra gli
studiosi del processo civile, Milano, 1995, 9.
363
AA.VV., Diritto societario, Manuale breve, Milano, 2004, 118.
229
con i c.d. principi generali negoziali, ed opinare diversamente sarebbe
inconciliabile con il più “principio di stabilità”364.
Seguendo tale impostazione si possono evidenziare significative ricadute sulla
disciplina processuale dell’azione, in quanto un’efficacia della delibera nulla è
al fondamento dell’orientamento che riconosce l’applicabilità dell’istituto della
sospensione dell’efficacia previsto dall’art. 2378, nonché della cessazione
della materia del contendere a seguito di sostituzione della delibera viziata. In
tale ottica si è giunti al riconoscimento della natura costitutiva dell’azione di
nullità, o quantomeno alla necessità di riguardarla unitariamente con
l’impugnativa per annullamento365.
A tal proposito, va detto che una ricostruzione sistematica non può sacrificare
le differenze emergenti da una voluntas legis che continua a diversificare le
categorie di invalidità; invero, deve dubitarsi che l’effetto della nullità sia
richiamabile solo a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione e che le
conseguenze
della
declaratoria
siano
del
tutto
analoghe
a
quelle
dell’annullamento366. Aderire ad una compiuta assimilazione renderebbe
attuale anche per la dichiarazione di nullità la questione di una possibile
esecuzione provvisoria della sentenza costitutiva di primo grado, mentre
364
G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma del diritto e la società per azioni, in Le grandi
opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Cedam, Padova, 2004, 18.
365
D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario. Autonomia privata e norme
imperative dei DD.Lgs. 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6, Milano, 2003, 127; M. SANDULLI, V.
SANTORO (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003,
375; A. PISANI
MASSAMORMILE, Statuti speciali di nullità ed “illegalità” delle delibere assembleari di
s.p.a., in Giur. It., 2003, 403.
366
Cass., 04/05/1998, n. 4441, in Vita not., 1998, 994.
230
continuando a preferire la qualificazione di pronuncia di accertamento non
dovrebbe dubitarsi che essa produce effetti soltanto a seguito del passaggio in
giudicato.
2. La nozione di nullità e i mutamenti del quadro normativo.
La nuova disciplina sulla annullabilità e nullità delle deliberazioni assembleari
(artt. 2377-2379 ter) ha cercato di contemperare le esigenze di stabilità dei
rapporti in capo alla società con la tutela dell’interesse dei singoli soci.
A tal proposito la legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366, in vista della
novellazione delle norme in tema di invalidità delle delibere societarie, ha
indicato, quale primaria finalità, quella di: «Disciplinare i vizi delle
deliberazioni in modo da contemperare le esigenze di tutela dei soci e quelle
di funzionalità e certezza dell’attività sociale, individuando le ipotesi di
invalidità, i soggetti legittimati alla impugnativa e i termini per la sua
proposizione, anche prevedendo la possibilità di modifica e integrazione delle
deliberazioni assunte, e l’eventuale adozione di strumenti di tutela diversi
dalla invalidità».
La nuova disciplina sulla “annullabilità delle deliberazioni” e sulla “nullità”
delle medesime è ispirata alle esigenze di stabilità e certezza dei rapporti
facenti capo alla società di capitali e nello stesso tempo di tutela della
posizione del socio. È stato osservato che, in questo modo, si è trovato il giusto
231
punto di equilibrio fra gli antagonisti interessi in gioco: da un lato,
l’aspirazione della società alla stabilità delle proprie deliberazioni (non più
esposte all’azione di nullità di un qualsiasi interessato), strettamente connessa
con l’esigenza del mercato alla certezza dei rapporti giuridici e, dal lato
opposto, l’interesse dei singoli soci a non subire pregiudizio per l’illegalità
delle deliberazioni sociali367.
Dunque, gli strumenti giuridici utilizzati dal legislatore, in materia di delibere
viziate, sono quelli della invalidità, dell’annullabilità e della nullità delle
deliberazioni assembleari. Si tratta di strumenti ereditati dal diritto privato, ma
la loro applicazione nell’ambito del diritto societario risulta ispirata a principi
per certi versi totalmente opposti rispetto a quelli contemplati dalla disciplina
civilistica e che, come detto, è orientata al consolidamento della stabilità degli
assetti societari.
Delle tre categorie sopra citate, quella più convincente ed effettivamente
utilizzata è la categoria della annullabilità, nella configurazione che di essa è
stata di recente proposta dalla dottrina civilistica. In effetti, i riformatori si
sono ispirati più alla disciplina dell’annullabilità del contratto che non a quella
dettata dall’art. 2377 c.c. (vecchio testo) la cui rubrica si intitolava
genericamente “Invalidità delle deliberazioni” e non già “Annullabilità delle
367
F. GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto
pubblico dell’economia, XXIX, Padova 2003, 221
232
deliberazioni” come invece ora con linguaggio tecnico più appropriato si legge
nel nuovo testo.
Alla luce di quanto detto, risulta pertanto necessario compiere una breve
digressione volta a offrire alcune precisazioni generali in tema di nullità ed
annullabilità del contratto, che servono a chiarire meglio il nuovo tessuto
normativo che involge le delibere impugnabili.
Orbene, secondo la concezione tradizionale, esiste una unica categoria
generale “la invalidità” in cui rientrerebbero la “nullità” e “l’annullabilità”;
queste ultime sarebbero dunque species di un unico genus: l’invalidità.
Orbene, si ritiene che questa configurazione esprime una falsa unità, non
corrisponde ai dati normativi ed è frutto di sovrastrutture concettuali create
dalla dogmatica civilistica degli anni ‘50 e ‘60368.
Ciò, peraltro, trova conferma proprio nel Codice Civile, laddove, al Libro IV,
con riferimento al “Contratto in generale”, disciplina, distintamente e con pari
rango normativo, al capo XI “La nullità del contratto” (artt. 1418 - 1424) ed al
successivo capo XII “L’annullabilità del contratto” (artt. 1425 - 1446).
Orbene, la circostanza che non esiste, a livello normativo, una categoria
generale di invalidità, rende più agevole capire come questa unica categoria
possa comprendere due sotto-categorie dai caratteri così disomogenei, se non
addirittura confliggenti, come la nullità e l’annullabilità. Il contratto “nullo” è
giuridicamente irrilevante e come tale improduttivo di effetti giuridici. Il
368
G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 966
233
contratto “annullabile” è giuridicamente rilevante in quanto è produttivo di
effetti giuridici. Solo una successiva vicenda eliminativa provocata dal
tempestivo esercizio del diritto di impugnativa, può determinare la
caducazione della sua rilevanza ed efficacia.
Ma se tale diritto di impugnativa si prescrive o viene rinunziato, l’atto resta
definitivamente valido ed efficace.
“Il pregiudizio da cui faticosamente va liberandosi la civilistica moderna è
quello di considerare “nullità” ed “annullabilità” sullo stesso piano
concettuale, come condizioni impeditive alla stessa rilevanza definitiva della
fattispecie negoziale ed interne a quest’ultima. La contraddizione logica,
prima che giuridica, è evidente. Se l’atto non ha gli elementi richiesti dalla
legge è giuridicamente irrilevante e perciò nullo, inidoneo a produrre
qualsiasi effetto giuridico se non meri effetti di fatto (solo apparenti
giuridicamente).
Per contro, se l’atto - come quello che si definisce annullabile - è in grado di
produrre tutti i suoi effetti giuridici finali vuol dire che esso è stato qualificato
siccome rilevante dall’ordinamento giuridico. Tra rilevanza ed irrilevanza
giuridica dell’atto, non vi è spazio per una categoria intermedia che sarebbe
carica di contraddizione”369.
La ratio del vizio dell’annullabilità può essere compresa laddove si guardi, più
che alla fattispecie negoziale in sé considerata, alle circostanze che
369
G. PIAZZA, cit., 966
234
accompagnano la sua formazione e costituiscono il presupposto del sorgere del
distinto diritto di annullamento.
L’ordinamento giuridico in realtà compie una doppia valutazione: una riguarda
il contratto regolatore degli interessi che, come tale, è considerato
giuridicamente rilevante ed efficace; l’altra riguarda le circostanze ed i
comportamenti concomitanti alla sua formazione o incidenti sul suo contenuto,
che vengono valutati nel loro insieme come presupposto idoneo al sorgere di
un potere del privato di far caducare quel negozio.
Esempio di scuola è quello del contratto di compravendita in cui il venditore
sia stato ingannato dal dolo della controparte attraverso artifici e raggiri.
L’ordinamento giuridico, considerando isolatamente la compravendita quale
negozio che presenta gli elementi essenziali di validità, la valuta di per sé
come una fattispecie negoziale giuridicamente impegnativa ed efficace.
Al contempo, considerando l’insieme di comportamenti, fatti e circostanze (gli
artifici e raggiri previsti dall’art. 1439 c.c.) concomitanti con la formazione di
quel regolamento contrattuale, valuta questi ultimi come costituenti una
distinta fattispecie non negoziale, quale presupposto idoneo al sorgere di un
diritto di annullamento, al sorgere cioè di un diritto del privato contraente di
valutare se rimanere impegnato o sciogliersi da quel contratto esercitando
l’impugnativa in via giudiziale.
235
Come è stato affermato l’annullabilità costituisce “una situazione risultante
dalla coesistenza accanto a diritti o ad effetti giuridici normali, di poteri
negativi dei medesimi”370.
Il baricentro della nozione di annullabilità si sposta dunque, dalla
qualificazione giuridica dell’unica fattispecie dell’atto negoziale siccome
difettosa a quella di un’altra distinta fattispecie materiale, che rappresenta il
presupposto per l’attribuzione di un potere, spettante solo a determinati
soggetti, di far eliminare con il suo esercizio la rilevanza ed efficacia giuridica
dell’atto.
Orbene, le considerazioni fin qui svolte vanno riportate nell’ambito del diritto
societario e, nello specifico, nel campo delle delibere assembleari. Tuttavia,
prima di entrare nel vivo del dibattito dottrinale in merito alla corretta
qualificazione da attribuirsi alla fattispecie di cui all’art. 2379 c.c., si rendono
necessarie ulteriori considerazioni ai fini della ricostruzione del sistema
legislativo in cui ci stiamo muovendo.
Già prima della riforma del diritto societario, la nullità della deliberazione
assembleare, nell’ambito di autonomia della relativa disciplina, discostandosi
pur sempre dalla generale normativa sui contratti, era costruita attorno a una
G. MESSINA, Sui cosiddetti “diritti potestativi”, in Studi giuridici in onore di Carlo Fadda,
Napoli 1906, 284
370
236
propria tipologia di casi (impossibilità e illiceità dell’oggetto) ritenuti
tassativi371.
Si trattava di una disciplina completa ed autonoma rispetto a quella prevista in
materia contrattuale dagli artt. 1418 ss. c.c. e l’illiceità dell’oggetto ricorreva,
ai sensi dell’art. 2379 c.c., solo quando “… il contenuto della deliberazione
fosse risultato in contrasto con norme dettate a tutela di interessi generali,
trascendenti l’interesse del singolo socio o gruppi di soci, e dirette a impedire
deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società” 372.
Inoltre, prima della riforma, l’art. 2379 c.c. espressamente richiamava alcune
disposizioni dettate in riferimento alla nullità del contratto, e segnatamente gli
art. 1421, 1422 e 1423 c.c.
Ciò comportava che il regime del vizio venisse ricostruito sulla scorta delle
relative implicazioni, quali in particolare l’attribuzione della legittimazione
attiva a chiunque vi avesse interesse, la rilevabilità d’ufficio della causa di
nullità, e soprattutto la non assoggettabilità a prescrizione e l’inammissibilità
di convalida.
A fronte di tale quadro normativo, la disciplina della nullità deliberativa, come
ricavabile dal nuovo testo dell’art. 2379 c.c., presenta profili di radicale
differenziazione, non soltanto in ragione del fatto di essere state ampliate le
specifiche fattispecie, nel contesto di un’elencazione tassativa chiaramente
371
Cfr. per tutte, nel quadro di un orientamento consolidato, Cass., 23/03/1993, n° 3458, in
Giur. it., 1994, I, 1, 10)
372
Cass. 09/04/1999, n° 3457 in Foro It., 1999, I, 2248
237
volta a contrastare le declaratorie di inesistenza 373, ma anche per la scelta di
non ripetere il richiamo alle succitate disposizioni in materia contrattuale.
“Una scelta di sicuro impatto sistematico… quasi a voler chiarire, anche sul
piano esteriore, di volere emancipare l’invalidità delle delibere assembleari
dalla nullità negoziale, di volere recidere il cordone ombelicale che in qualche
modo riportava la prima alla seconda, così liberando poi l’interprete
dall’impaccio che quelle norme gli procuravano”374.
Sul piano degli effetti, il mutamento è notevole. In prima battuta può rilevarsi
che, rispetto alla imprescrittibilità dell’azione di nullità dei contratti, la
disciplina della deliberazione assembleare nulla è oggi contenuta all’interno di
un termine triennale, variamente decorrente, oltre il quale essa resta sanata.
È rimasta confermata la legittimazione ad agire di chiunque vi abbia interesse,
ma tale legittimazione rileva, per la nuova normativa, non già di riflesso alla
disciplina negoziale, sebbene in virtù di un positivo riferimento contenuto
nell’art. 2379, 1° comma, c.c.
Così come è rimasta confermata la rilevabilità d’ufficio in forza della testuale
previsione, ex art. 2379, 2° comma c.c., sebbene siffatta rilevabilità sia oggi
ancorata alla fruttuosità del termine triennale, decorso il quale spira il potere
attribuito al giudice.
Oltre alle mantenute situazioni di impossibilità o illiceità dell’oggetto, le cause di nullità
sono state implementate da quelle di mancata convocazione dell’assemblea e di mancanza del
verbale.
374
A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità delle delibere assembleari. Stabilità ed effetti, in
RDCo, 2004, 56
373
238
Inoltre, a fronte della tradizionale impossibilità di sanatoria della nullità
contrattuale, l’attuale regime della nullità delle delibere assembleari è stato
costruito sulla previsione di specifiche ipotesi di sanatoria automatica (si veda
l’art. 2379, 3° comma, c.c.), nonché con l’aggiunta, in primo luogo, dell’art.
2379 bis c.c. che prevede ulteriori fattispecie sananti esplicite e formali e, in
secondo luogo, di fattispecie implicitamente correlate al meccanismo di
sostituzione della deliberazione impugnata (art. 2379, ult. comma, c.c.).
A livello di insieme va rilevata, infine, l’importanza del richiamo, di cui all’art.
2379, ult. comma, c.c., alle previsioni dell’art. 2377, 7° comma, c.c., che detta
una disposizione volta a estendere alla declaratoria di nullità della delibera
assembleare il principio di salvezza dei diritti acquistati in buona fede dai terzi
in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.
Tutte le considerazioni svolte finora portano a delineare un sistema codicistico
della nullità delle delibere assembleari che chiaramente si allontana dalla
corrispondente disciplina contrattuale, con riflessi sulla stessa portata
retroattiva della statuizione di nullità, alla quale, peraltro, conseguirebbe
l’ulteriore diverso canone del travolgimento di qualsiasi atto avente come
presupposto quello della cui nullità si tratta.
239
3. Il dibattito dottrinale sulla attuale rilevanza della nozione di nullità
deliberativa.
Proprio tali considerazioni hanno portato dottrina e giurisprudenza ad
interrogarsi sul fatto se si possa continuare a parlare dei vizi di cui all’art. 2379
c.c. in termini di fattispecie di nullità, dovendo, in tal caso, le delibere nulle
essere considerate inefficaci fin dall’origine.
Di contro, si è fatto leva sul principio di stabilità degli atti societari, rilevando
che: “affermare che queste deliberazioni possano dirsi inefficaci fino al
compimento dei tre anni, decorsi i quali il vizio non può più essere fatto
valere, è invero assolutamente inconciliabile con il principio di stabilità”375.
Altra dottrina ha sostenuto che dall’attuale quadro normativo esulerebbe ogni
possibilità di retroattività della relativa declaratoria, posto che la deliberazione
nulla sarebbe in quanto tale produttiva di specifici effetti dettati dall’art. 2377,
7° comma, c.c.376.
Da tali premesse, si è giunti alla conclusione di un improprio riferimento del
legislatore alla struttura del vizio di nullità come comunemente accolto, posto
che la formulazione normativa induce a confermare, secondo tali tesi, la non
rispondenza dell’istituto alla tradizionale classificazione dei vizi dell’atto,
375
376
R. LENER, Invalidità delle delibere assembleari di società per azioni, in RDCo, 2004, 92
A. PISANI MASSAMORMILE, Invalidità, op. cit. 56
240
essendo la fattispecie in esame meglio annoverabile nella categoria della
deliberazione annullabile377.
Pertanto, si afferma: “Quella, dunque, che il codice civile, pur dopo la riforma,
si ostina a chiamare “nullità” delle delibere dell’assemblea di società per
azioni, è sì una forma di patologia grave che affligge le delibere stesse, ma è
una patologia radicalmente diversa, per fattispecie e per disciplina, da quella
che la legge tradizionalmente individua con lo stesso nomen che affligge il
contratto”378.
Sulla scorta di tale linea di pensiero si è, in particolare, cercato di indagare se,
dalla lettura delle disposizioni normative contenute nell’art. 2379 c.c.,
effettivamente ci si trovi di fronte a tre ipotesi tassative di nullità della
deliberazione ovvero pur sempre di fronte a ipotesi di delibere annullabili e s’è
posto l’accento sul termine di prescrizione per far valere in giudizio queste tre
ipotesi di nullità (tre anni): che cosa accade una volta che siano trascorsi i tre
anni senza che alcuno abbia impugnato tali delibere?
In prima battuta si potrebbe rispondere che queste delibere o si considerano sin
dall’inizio efficaci al pari di quelle annullabili, oppure dovrebbero diventarlo
allo scadere dei tre anni, permanendo medio tempore in una situazione di
giuridica irrilevanza.
377
B. LIBONATI, Assemblea e patti parasociali, in RDCo, 2002, 477;R. LENER, op. cit., 93; G.
PIAZZA, L’impugnativa, 965 e ss.
378
A. PISANI MASSAMORMILE, op. cit. 57
241
Tuttavia,
a
ben
vedere,
quest’ultima
soluzione
sarebbe
veramente
inconciliabile con il principio di stabilità delle delibere per esigenze di tutela
del mercato e di affidamento dei terzi.
Avremmo una sorta di delibera con termine iniziale di efficacia differito a tre
anni, con tutte le conseguenze negative che ciò comporterebbe in ordine alla
certezza dei rapporti e all’affidamento di chi entra in contatto o in relazione di
affari con la società.
Perché, invece, non ritenere più coerentemente che anche queste delibere siano
annullabili nel senso cioè che esse sono immediatamente efficaci sin dal
momento della loro adozione e che soltanto il termine di impugnazione sia
stato ampliato dal legislatore della riforma, consentendosi l’esercizio del
potere di caducazione fino a tre anni dalla loro assunzione (o iscrizione o
deposito)?
Più specificamente l’allargamento della platea dei legittimati all’impugnativa
consente di definire questa fattispecie come una annullabilità assoluta.
Per di più sembra corroborare questa interpretazione anche il successivo art.
2379 bis c.c. (rubricato Sanatoria della nullità).
Tale disposizione prevede che la deliberazione invalida per mancata
convocazione non può essere impugnata da chi anche successivamente abbia
dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea. Questa, a ben
vedere, più che una sanatoria mediante integrazione della fattispecie nulla, si
riduce ad una semplice rinunzia indiretta all’impugnazione della delibera.
242
Ancora, il comma 2 dell’art. 2379 bis prevede che l’invalidità della
deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata mediante
verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva.
Anche qui però, si afferma, non si interviene sulla precedente fattispecie
deliberativa, bensì si pone in essere un atto di ripetizione della stessa (con
retroattività non reale ma obbligatoria per i soci e la società e con salvezza dei
diritti dei terzi in buona fede), che non ha nulla a che vedere con l’eccezionale
sanatoria dell’atto nullo.
Conseguentemente, prendendo spunto da tali riflessioni, sembra che, sulla base
del dettato normativo dell’art. 2379 c.c., l’ipotesi di vera e propria nullità della
delibera assembleare si restringa soltanto a quelle che “modificano l’oggetto
sociale prevedendo attività illecite o impossibili”: solo per queste l’art. 2379
c.c. prevede che esse “possono essere impugnate senza limite di tempo” e
rilevate “di ufficio” dal Giudice pure senza limite di tempo. Si tratta di delibere
la cui contrarietà a norme imperative è di particolare gravità riguardando
proprio la modifica dell’oggetto sociale perseguito.
Non si tratta qui di impossibilità o di illiceità dell’oggetto della singola
delibera come nel terzo caso di ipotesi di “nullità” sopra contemplato (ad
esempio: delibera che approva un bilancio falso e dispone la distribuzione di
utili fittizi, delibera che statuisce la presentazione del bilancio oltre i termini di
legge, ancora, delibera che autorizza la società ad emettere azioni a voto
243
plurimo, e così via) bensì di delibera che propone alla società di perseguire un
nuovo e diverso oggetto sociale prevedendo
a tal fine attività illecite o impossibili protratte e ripetute nel tempo. Ad
esempio, la società che ha per oggetto sociale la produzione di giocattoli in
plastica con la delibera assunta, si propone successivamente di produrre
materiale pornografico e smerciarlo illegalmente; ancora, una società che
svolge esercizio di attività alberghiera, delibera di utilizzare l’albergo per
attività di favoreggiamento della prostituzione, e così via.
Pertanto, “solo quest’ultimo tipo di deliberazioni si fermano alla soglia del
diritto, sono cioè nulle, non acquistano rilevanza giuridica e gli eventuali
effetti che dovessero comunque produrre sono solo effetti di fatto, tanto è vero
che in qualunque momento è possibile far pronunciare da chiunque vi abbia
interesse la loro nullità o rilevarla di ufficio dal giudice, sfociando in una
sentenza di mero accertamento”379.
Le predette considerazioni riflettono quindi l’intenzione del legislatore della
riforma che ha accolto soluzioni che privilegiano soprattutto le esigenze di
funzionalità e certezza dell’attività sociale e dell’affidamento dei terzi che
entrano in contatto con la società a discapito forse di una più intensa tutela
dell’interesse dei soci.
Lo strumento tecnico-giuridico di cui si è avvalso il legislatore della riforma
per raggiungere tali finalità è senza dubbio in maniera preponderante quello
379
G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 2003, 969
244
dell’annullabilità, intesa come riconoscimento della validità ed efficacia della
delibera ma con contestuale sorgere di un potere di annullamento in capo ad un
soggetto o ad una cerchia di soggetti che ha ben individuato in categorie
predeterminate. L’esercizio o il non esercizio di questo potere di far caducare
con sentenza costitutiva la delibera è stato rimesso alla volontà del legittimato
ma limitato in termini temporali assai ristretti.
La categoria della “nullità” risulta, ad onta della terminologia usata all’art.
2379 c.c., limitata ad una sola ipotesi che è quella prevista dall’inciso finale
del 1° comma di tale articolo.
Pertanto c’è chi ritiene che sarebbe stato più corretto, proprio alla luce di
queste constatazioni, riportare sotto un’unica nomenclatura di “delibere
annullabili”, ferma la loro tassatività, sia quelle annullabili ex art. 2377 c.c.
che quelle nulle nelle tre ipotesi contemplate dalla prima parte dell’art. 2379
c.c., distinguendo fra annullabilità relativa per le prime e annullabilità
assoluta per le seconde. Solo a quella dell’inciso finale del predetto articolo
sarebbe stato coerente riservare la denominazione tecnicamente appropriata di
nullità380.
Inoltre, sotto altro aspetto, dal mutato regime di efficacia della deliberazione
nulla, una parte della dottrina ha poi ritenuto di trarre conseguenze di ordine
definitorio processuale, con specifico riferimento alla natura della sentenza. In
particolare si è sostenuta le tesi della concezione costitutiva della pronuncia di
380
G. PIAZZA, L’impugnativa, op. cit., 2003, 970
245
nullità, “che inibisce gli effetti prodotti dalla deliberazione, in ragione della
specialità del diritto societario e della considerazione della giurisprudenza
che estendeva alla fattispecie della nullità le norme ex art. 2378 c.c., e quella
sulla sospensione di efficacia”381.
Tale orientamento costituisce un’occasione per un altro spunto di riflessione,
laddove si consideri che il problema sollevato (in merito alla natura della
sentenza dichiarativa della nullità della delibera) potrebbe avere un notevole
riflesso
pratico
ove,
per
contro,
si
condividesse
l’orientamento
giurisprudenziale, invero minoritario, secondo il quale la natura dichiarativa
dell’azione di nullità sarebbe di ostacolo alla estensione della sospensione ex
art. 2378 c.c. alle delibere nulle382.
Al riguardo, va evidenziato che la giurisprudenza maggioritaria, prima della
riforma, era orientata a ravvisare piena compatibilità tra la sospensione ex art.
2378 c.c. e l’azione di nullità di cui all’art. 2379 c.c., sul presupposto della
produzione di effetti della delibera nulla anche nel vigore del cessato testo
della disposizione da ultimo richiamata383. Ciò comporta la irrilevanza, sotto
381
D. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano 2003, 127; A. SPENA, La
riforma delle società, 2003, 375
382
In particolare, è da tempo dibattuta in giurisprudenza la questione se sia possibile disporre
la sospensione delle delibere di approvazione del bilancio. La tesi contraria a questa possibilità
si basa proprio sul fatto che queste delibere sono sostanzialmente dichiarative e quindi non
suscettibili di una vera e propria attività di attuazione. Le tesi, maggioritarie, opposte invece
affermano la possibilità di sospendere l’efficacia della delibera di approvazione del bilancio, in
quanto questa funge da riferimento per ulteriori successive delibere, come quella di
distribuzione degli utili o di modifica di consistenza del capitale.
383
Cfr. Trib. Biella, 16/11/1999, in Giur. Comm., 2001, II, 385; Trib. Roma, 02/11/1999, in
Dir. fall., 2000, II, 806; Trib. Napoli, 23/06/1995, in Dir. e giur., 1995, 436; Trib. Roma,
20/03/1995, in Dir. fall., 1995, II, 910
246
tale profilo, della modificazione normativa nel senso di un positivo
riconoscimento, nel sistema attuale, di ciò che anche in precedenza non si
poteva negare: vale a dire che la deliberazione nulla produce effetti, ancorché
contra jus. Come è stato affermato, “Se può certamente convenirsi a proposito
dell’affermazione circa la sostanziale destrutturazione del significato pratico
della classificazione tradizionale nullità-annullamento, in esito al rinnovato
regime delle invalidità deliberative assembleari ex artt. 2377 e 2379 c.c., al
punto che, forse, in seno a codesto specifico regime, meglio sarebbe stato
parlare, in effetti, di mera impugnabilità della deliberazione; se questo è, non
pare tuttavia sostenibile, a livello di diritto positivo, la deduzione concettuale
in ordine alla generalizzata efficacia della deliberazione nulla e alla natura
dell’azione di nullità così come disciplinata, fino all’estremo assunto di una
natura costitutiva di una simile azione”384. Deve dunque trovare conferma, pur
nell’attuale sistema, la soluzione che vuole la deliberazione nulla inefficace
salvo che venga retroattivamente sanata.
Ad ogni modo, a prescindere dalla tesi che si intenda condividere (quella della
natura costitutiva della dichiarazione di nullità della delibera o, viceversa,
quella della natura dichiarativa della stessa), va rilevata l’ininfluenza, sotto il
profilo pratico, di una distinzione concettuale postuma rispetto alla pronuncia
di invalidità.
384
F. TERRUSI, L’invalidità delle delibere assembleari della SPA, Milano, 2007, 324
247
Infatti, in base alle pregresse considerazioni trova conferma il fatto che, anche
a seguito della riforma del diritto societario, alle categorie di vizi
rispettivamente contemplate dagli artt. 2377 e 2379 c.c. corrispondono azioni e
decisioni giurisprudenziali diverse. Al riguardo, va rilevato che secondo la
giurisprudenza la puntuale distinzione tra i vizi che determinano la nullità della
delibera e i vizi che ne determinano l’annullabilità non rileva più una volta che
l’interessato sia riuscito ad ottenere, in ogni caso, una pronuncia determinativa
dell’effetto invalidante385.
In particolare la Corte di legittimità ha così affermato: “Pur essendo
indubitabile che alle due suindicate categorie di vizi della deliberazione
corrispondano azioni e decisioni giudiziali di natura diversa, e che ne possano
conseguire effetti almeno in parte dissimili, resta che, nell’essenziale, tanto la
pronuncia giudiziale di nullità quanto quella di annullamento rispondono
all’interesse dell’attore di far venir meno la deliberazione viziata. Quando
perciò entrambe le azioni siano state esercitate, onde non si ponga
un’eventuale questione di corrispondenza tra il richiesto ed il pronunciato, né
si metta in dubbio la tempestività della domanda con riguardo al termine di
decadenza stabilito per l’esercizio delle azioni di annullamento dal primo
capoverso dell’art. 2377 c.c., l’eventuale errore nel quale il giudice sia
incorso nell’individuare la natura del vizio da cui la deliberazione è affetta e
la conseguente imprecisa definizione nella formula della pronuncia giudiziale
385
Cass., 13/04/2005, n° 7663, in Foro it., 2006, I, 1170
248
emessa possono risultare privi di ogni reale incidenza. La parte che quella
decisione impugni sotto questo profilo è tenuta, pertanto, a chiarire le ragioni
per cui lo fa, non potendo l’impugnazione essere retta dal solo teorico scopo
di conseguire una decisione formulata in termini giuridicamente più
corretti”386.
4. Le ipotesi codificate di nullità deliberativa. La nullità per impossibilità
o illiceità dell’oggetto.
Definita la cornice teorica, è possibile spostare l’attenzione sulle ipotesi
codificate di nullità della deliberazione assembleare.
Innanzitutto, va rilevato che nel novellare l’art. 2379 c.c. introducendo,
accanto all’ipotesi di illiceità o di impossibilità dell’oggetto, due ulteriori
cause
di
nullità
delle
delibere
assembleari
(mancata
convocazione
dell’assemblea e mancata verbalizzazione della delibera), il legislatore della
riforma ha inserito, al terzo comma, una serie di precisazioni volte a chiarire
quando tali due fasi del procedimento assembleare, nonostante la presenza di
irregolarità, non possano dirsi mancanti, di modo che la delibera, seppur non
conforme alla legge o allo statuto, non può venire dichiarata nulla, ma deve
essere ritenuta annullabile.
386
V. nota precedente
249
Tale tecnica legislativa si propone di dare vita ad una netta linea di discrimine
fra delibere nulle e delibere annullabili, circoscrivendo con precisione l’ambito
di applicazione degli artt. 2377 e 2379 c.c.
Tuttavia, il proposito del legislatore di definire, seppur in negativo, le due
fattispecie di nullità introdotte ex novo con la riforma non ha dato, in termini di
certezza del diritto, i risultati sperati, essendo varie le ambiguità che affiorano
dal nuovo art. 2379, 3° comma, c.c., e rendono complesso distinguere i casi in
cui la convocazione o la verbalizzazione debbano dirsi mancanti da quelli in
cui debbano venire ritenute semplicemente irregolari.
Inoltre,
l’assenza
di
ogni
chiarimento
in
merito
all’esatta
portata
dell’espressione “impossibilità o illiceità dell’oggetto” non fa che alimentare
tale situazione di incertezza che già, prima della riforma, aveva caratterizzato
l’interpretazione dell’art. 2379 c.c. e aveva reso problematica la sorte delle
delibere assembleari affette da vizi di contenuto.
Tali considerazioni impongono, pertanto, la necessità di analizzare nel
dettaglio le tre fattispecie di nullità delle delibere assembleari, in modo da
delimitare correttamente l’ambito di applicazione degli artt. 2377 e 2379 c.c.
Il nuovo primo comma dell’articolo 2379 c.c., recita che “Nei casi di
impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata da
chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel
registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel
250
libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a
iscrizione né a deposito”.
Inoltre, la disposizione sancisce che nell’ambito di questa categoria “le
deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o
impossibili» sono assoggettate ad un regime più severo, in quanto «possono
essere impugnate senza limiti di tempo”.
La categoria della nullità per impossibilità o illiceità dell’oggetto era l’unica
già richiamata dalla precedente formulazione dell’art. 2379, ma la ben diversa
disciplina introdotta dalla riforma ha ampliato la divaricazione tra la
regolamentazione di tale nullità della delibera e quella del contratto.
La possibilità di distinguere oggetto e contenuto del contratto e del negozio
giuridico è stata molto dibattuta nella dottrina civilistica387, mentre per le
deliberazioni assembleari la giurisprudenza e la prevalente opinione dottrinale
hanno interpretato il previgente art. 2379 preferendo un’ampia accezione della
prima nozione, cioè facendo riferimento al contenuto sostanziale della delibera
quale complesso delle determinazioni concrete in essa dedotte e non al solo
oggetto astrattamente considerato388.
E. GABRIELLI, Il contenuto e l’oggetto, in Trattato dei contratti, I contratti in generale,
Torino, 1999, 633.
388
Cass., 24/07/2008, n° 16390; Cass., 02/04/2007, n° 8221; Cass., 22/01/2003, n. 928; Cass.,
15/11/2000, n. 14799; Cass., 09/04/1999, n. 2457; Cass., 21/11/1998, n. 11801, in Giur. It.,
1999, 563; M. BIANCA, Diritto civile, III, Milano, 1984, 316; R. ZANZARONE, L’invalidità, op.
cit., 437; C. VASELLI, Deliberazioni nulle e annullabili delle società per azioni, Padova, 1947,
34 ss.; P. TRIMARCHI, Invalidità, 27 ss.
387
251
Quindi, secondo tali premesse, è nulla una deliberazione relativa ad un oggetto
di per sé lecito, ma il cui contenuto sia viziato dall’illiceità.
Inoltre, un’autorevole parte della dottrina si è opposta a tale impostazione,
opinando per una necessaria distinzione fra l’oggetto effettivo del deliberato
assembleare ed il contenuto della manifestazione dì volontà su di esso; in tale
ottica è sanzionato con la nullità soltanto il vizio del primo e quindi non ricorre
l’invalidità se la materia dell’attività assembleare è in «concreto» conforme a
quella tipizzata dal legislatore, ossia non è illecita l’alternativa sulla quale
l’organo assembleare è stato chiamato ad esprimersi 389.
Una scelta fra tali opzioni in tema di oggetto della delibera, anche nel contesto
della nuova disciplina, non può essere compiuta in sede preliminare in quanto
la questione è intrinsecamente collegata alla ampiezza del concetto di illiceità
della stessa.
In sintesi si ha una causa di nullità nel momento in cui l’oggetto della
deliberazione è vietato dalla legge390.
L’orientamento giurisprudenziale consolidato sotto la vecchia disciplina
assume che si ha la nullità soltanto se la norma cogente violata è a tutela di un
interesse generale che trascenda quello del singolo socio, ovvero è volta ad
impedire una deviazione di quello che è lo scopo economico pratico del
389
F. GALGANO, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 1995, p. 247; App. Genova
23.10. 1990, in Giur. Comm., 1992, 270.
390
G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993.
252
contratto di società; di conseguenza, in tutti gli altri casi l’illiceità della
deliberazione è soltanto causa di annullabilità.
In altri termini, tale teorizzazione391 ha distinto gli interessi generali esterni
all’organizzazione societaria e gli interessi generali nell’ambito della stessa
dagli interessi particolari e individuali dei singoli soci 392.
Questa accezione di illiceità è stata applicata ad un oggetto della delibera
inteso come contenuto sostanziale della stessa, e quindi ne è derivata la
molteplicità delle ipotesi di nullità in discorso, come dimostra l’esame dei
repertori di giurisprudenza. Oltre a tale materia, rappresentata dalle
impugnative di bilancio393, ed dall’ipotesi classica della distribuzione di utili
fittizi, si riscontrano numerose fattispecie in tema di delibere che violano i
diritti individuali inderogabili ed irrinunciabili dei soci, ossia che trascendono i
limiti oggettivi del potere di disposizione del singolo socio 394, ed altresì di
delibere di modificazione del capitale sociale 395, ovvero aventi ad oggetto
operazioni vietate sulle proprie azioni ai sensi dell’art. 2358 c.c.396
Tale impostazione era stata criticata, sottolineando che la nozione di illiceità
adottata dalla giurisprudenza, con l’avallo della dottrina, era conseguenza della
391
G.E. COLOMBO, Il bilancio di esercizio, in Trattato Colombo e Portale, Torino, 1994,
442.
392
Cass., 20/04/1961, n° 883, in Dir. fall., 1961, 783; Cass., 15/11/2000, n° 14799; Cass.,
22/07/1994, n° 6824.
393
Cass., 24/12/2004, n. 23976; Cass., 22/01/2003, n. 928.
394
App. Genova, 14/05/2004, in Giur. It., 2004, 2340.
395
Cass., 02/03/2001, n. 3052, in Foro it., 2002, 211; Cass., 15/11/2000, n. 14799, in Giust.
Civ., 2001, 1307; Cass., 06/11/1999, n. 12347.
396
Cass., 21/01/1970, n. 123, in Giur. It., 1970, 1570.
253
preferenza per la nozione «contenutistica» dell’oggetto della delibera, di
evidente derivazione negoziale, che diviene l’equivalente del contenuto
«illecito»; è proprio la scelta di amplificare la materia che può dar luogo alla
nullità a giustificare l’esigenza di procedere poi ad una difficile distinzione tra
le tipologie di interesse lese dalla antigiuridicità al fine di non arrivare ad
un’estensione del vizio più grave397, il che ha provocato una riduzione
dell’ambito applicativo dell’art. 2377, cui è stato affidato prevalentemente il
ruolo di sanzionare le violazioni procedimentali meno gravi.
La maggior parte degli interpreti non sembra aver ricavato dirette conseguenze
della ratio del nuovo sistema dell’invalidità delle delibere assembleari, che ha
originato il vigente testo dell’art. 2379, sulla materia della nullità per
impossibilità o illiceità dell’oggetto della delibera 398.
A tal proposito appare opportuno sottolineare che quella indeterminatezza
dell’orientamento invalso nella disciplina previgente potrebbe essere ancor
meno condivisibile nel momento in cui la contigua regolamentazione
dell’annullabilità della deliberazione ha visto prevalere l’attribuzione della
tutela risarcitoria in luogo di quella reale per i soci che non siano in possesso
delle quote azionarie determinate dall’art. 2377; tale scelta per la stabilità dei
deliberati societari rischia di essere vanificata da una interpretazione dell’art.
2379 che qualificasse in chiave di illiceità dell’oggetto tutte le violazioni di
397
G. GRIPPO, Deliberazione e collegialità nelle società per azioni, Milano, 1979, 62.
G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle s.p.a. (prima
parte): cause ed effetti dell’invalidità dell’atto, in Soc., 2003, 540.
398
254
norme imperative poste a protezione di interessi che trascendono la posizione
del singolo socio.
In tal senso, alcune proposte interpretative hanno evidenziato che la
consolidata interpretazione è meno compatibile con la novellata disciplina 399 e
ciò, anche se il legislatore non ha preso alcuna posizione sulla differenziazione
fra oggetto e contenuto della deliberazione.
Pertanto, si è proposto di intendere in senso restrittivo la nullità per illiceità
delle delibere che hanno oggetto tipico, limitandola soltanto alle violazioni dei
principi fondamentali del diritto societario, che snaturino la funzione tipica di
tale oggetto, inteso nel senso «concreto», ovvero di precetti fondamentali
dell’ordinamento; opinando in tal senso, al di là di queste ipotesi, la contrarietà
del contenuto della deliberazione rispetto a norme imperative provoca
l’annuìlabilità a prescindere dal tipo di interesse tutelato 400.
Ad ogni modo, il discorso relativo all’impossibilità e all’illiceità comporta
l’analisi di concetti la cui definizione è certamente problematica, ma che non
possono essere allargati a dismisura fino a ricomprendere qualsiasi ipotesi di
contrarietà a norme imperative. Il punto è pacifico per quanto concerne
l’illiceità: categoria normativa utilizzata per sanzionare i negozi contrari, oltre
che all’ordine pubblico e al buon costume, alle sole norme imperative poste a
399
400
S.A. VILLATA, op. cit., 108.
S.A. VILLATA, op. cit., 81.
255
presidio dei valori fondamentali del sistema, la cui violazione è giudicata dal
legislatore particolarmente riprovevole.
L’istituto dell’illiceità, pertanto, grazie alle numerose elaborazioni dogmatiche
che gli sono state dedicate dalla dottrina civilistica 401, ha confini
sufficientemente nitidi.
Più
dubbia
l’interpretazione
del
termine
impossibilità,
riferito
dalla
maggioranza dei civilisti, oltre che ai casi di impossibilità materiale, alle
ipotesi di impossibilità giuridica: istituto i cui confini appaiono piuttosto
incerti e che, a seconda degli autori, sembrerebbe idoneo a ricomprendere una
serie di fattispecie difficilmente riconducibili ad unità402.
In realtà, lungi dal ripercorrere dettagliatamente le singole interpretazioni della
dottrina in ordine al significato di impossibilità dell’oggetto, da una
ricognizione delle teorie dalla stessa elaborate con riferimento a tale istituto,
nonché sulla base di un’interpretazione letterale e sistematica degli artt. 2377 e
2379 c.c., si può ritenere che l’oggetto della delibera deve essere ritenuto
giuridicamente impossibile nei soli casi in cui è sottratto alla competenza
dell’assemblea (nel qual caso, oltre che nulla, la delibera potrà essere
401
F. CARRESI, Il contenuto del contratto, in Riv. dir. civ., 1963, I, 233 ss.; A. GUARNERI,
Ordine pubblico, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, Vol. XIII, Torino,
1995, 154 ss.; M. BIANCA, Diritto civile. Il contratto, Vol. III, Milano, 2000, 326; F.
GALGANO, Diritto civile, Vol II, 1, 273; R. SACCO, Le invalidità, in Trattato di diritto privato,
Vol 10, Tomo II, Torino, 2002, 402 ss.; A. CAPUTO, Sui criteri di determinazione del carattere
imperativo di una norma, in Gius. civ., 1978, I, 903; G. DE NOVA, Il contratto contrario a
norme imperative, in Riv. crit. Dir. priv., 1985, 434 ss.
402
P. FERRO LUZZI, La conformità delle delibere assembleari alla legge e all’atto costitutivo,
Milano, 1976, 181; F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Vol. XXIX, Padova, 2006, 391.
256
dichiarata inefficace) e che, altrimenti, anche se vietato dall’ordinamento, deve
venire giudicato non conforme alla legge e, come tale, ricondotto all’ambito di
applicazione dell’art. 2377 c.c.
Ne consegue che, anche volendo ricomprendere nell’ambito dei applicazione
dell’art. 2379 c.c. non solo l’impossibilità materiale, ma anche l’impossibilità
giuridica403,
si può ipotizzare che quest’ultima espressione debba venire
riferita, come suggerito dal suo tenore letterale, ai soli casi in cui l’argomento
concretamente posto all’o.d.g non possa, per il nostro ordinamento, costituire
l’oggetto di una delibera assembleare.
In tali ipotesi è corretto affermare che ci si trova di fronte a fattispecie nelle
quali, per l’assemblea, era giuridicamente impossibile deliberare sull’oggetto
circa il quale, invece, si è espressa.
In ogni altro caso di contrarietà della deliberazione a norme imperative,
invece, l’oggetto concreto, lungi dal risultare impossibile, deve più
correttamente venire considerato non conforme alla legge: in tali casi la
delibera deve essere ricondotta all’ambito di applicazione dell’art. 2377 c.c.
La tesi secondo cui l’art. 2379 c.c. riguarderebbe i soli casi di impossibilità materiale è stata
autorevolmente sostenuta da P. FERRO LUZZI, La conformità, 181 e F. GALGANO, R. GENGHINI,
Il nuovo diritto, 391. Fra i privatisti, sostiene che l’impossibilità giuridica si risolva
nell’illiceità P. RESCIGNO, Obbligazioni, 187 e, in particolare, E. BETTI, Teoria generale del
negozio giuridico, Torino, 1952, 230 ss., che riconduce illiceità e impossibilità giuridica alla
categoria della “inidoneità” dell’oggetto.
403
257
5. L’applicazione dell’art. 2379 c.c. alle delibere affette da vizi di
contenuto.
Passiamo, ora, in rassegna, a titolo esemplificativo, una serie di ipotesi in cui è
configurabile l’illiceità o l’impossibilità dell’oggetto di una delibera
assembleare.
Innanzitutto, rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2379 c.c. le
delibere il cui oggetto e il cui contenuto sono materialmente impossibili: atti la
che consentono all’interprete di dare libero sfogo, per così dire, alla propria
fantasia.
Allora si può pensare a deliberazioni con cui l’assemblea autorizzi gli
amministratori ad andare su Marte, o a lanciare una nuova linea di prodotti per
gli abitanti di Saturno. Oppure, volendo escludere casi di scuola, a delibere
assembleari dirette ad autorizzare atti di gestione relativi a beni che,
all’insaputa dei soci, alla data della riunione assembleare sono già periti 404.
In tali casi, l’oggetto e il contenuto della deliberazione, riguardando attività
impedite al genere umano, o cose non più esistenti in rerum natura, sono
impossibili dal punto di vista materiale: con la conseguenza che l’applicabilità
dell’art. 2379 c.c. non potrà essere discussa.
Circa l’impossibilità giuridica, se si accoglie la tesi per cui tale espressione
deve essere riferita ad ipotesi di incompetenza assembleare, si possono
prospettare i seguenti esempi: quello dell’assemblea che pretenda di decidere
404
G. GUERRIERI, La nullità, 129
258
su atti di gestione, o di invadere la sfera di competenza dell’organo di
controllo, deliberando di agire in giudizio ai sensi dell’art. 2409 c.c., o di
redigere essa stessa la relazione di accompagnamento del bilancio prevista
dall’art 2429, 2° comma, c.c.; oppure, quello delle delibere con cui vengano
compressi diritti indisponibili di soci o di terzi: diritti, cioè, sui quali l’organo
assembleare non abbia, neppure astrattamente, la competenza a deliberare405.
In tali casi, poiché l’ordinamento non consente all’assemblea di decidere sui
temi dell’o.d.g., l’oggetto della delibera deve essere ritenuto giuridicamente
impossibile.
È, invece, più complesso individuare ipotesi di illiceità dell’oggetto,
soprattutto se si vuole tracciare una linea di demarcazione tra questa serie di
ipotesi e quella delle delibere non conformi alla legge, rientranti nell’ambito di
applicazione dell’art. 2377 c.c.
Fra i criteri indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per individuare le
disposizioni la cui violazione determini illiceità, vi sono la natura pubblica
dell’interesse protetto dalle stesse, il carattere proibitivo, oggettivo e
incondizionato della norma violata, il rango costituzionale della stessa, la
405
Si fa riferimento ad alcune posizioni giuridiche soggettive riconosciute ai soci quali, ad
esempio, il diritto del socio a vedere limitato il proprio rischio al capitale conferito; il diritto a
conservare lo status di socio; il diritto di recesso previsto dall’art. 2437, 1° comma, c.c. Ne
deriva che devono essere considerate nulle, in quanto aventi oggetto impossibile dal punto di
vista giuridico, le delibere che pretendano di ledere tali diritti, ad esempio obbligando il socio
a nuovi conferimenti, o escludendolo dalla società, o impedendogli di esercitare il diritto di
opzione. Se, invece, l’assemblea intenda comprimere, oltre i limiti consentiti dalla legge, diritti
di soci o di terzi su cui abbia in astratto il potere di incidere negativamente, si deve escludere
che si possa parlare di impossibilità dell’oggetto, potendo essere configurata, a seconda del
rango della norma imperativa violata, un’ipotesi di illiceità o di non conformità alla legge.
259
previsione di una sanzione di carattere penale, amministrativo o fiscale, per
l’ipotesi di una sua trasgressione.
Sulla base di questi criteri si possono ricomprendere, fra le delibere aventi
oggetto o contenuto illecito: quelle con cui l’assemblea intervenga sui criteri di
partecipazione agli utili e alle perdite violando il patto leonino406; quelle che
contrastino con i principi fondamentali su cui si fonda la disciplina del capitale
sociale, prevedendo, ad esempio, la distribuzione di utili anche quando le
perdite degli esercizi precedenti non siano state interamente ripianate, o un
aumento del capitale in misura dichiaratamente superiore all’importo
complessivo dei conferimenti richiesti ai soci 407; le deliberazioni che
pretendano di alterare l’assetto corporativo della società, o i principi sulla
personalità giuridica, sopprimendo alcuni organi sociali, modificando le loro
competenze, o sancendo la responsabilità personale dei soci per le obbligazioni
sociali408.
Risulta chiaro che il rigoroso tenore letterale dell’art. 2265 c.c., secondo cui “E’ nullo il
patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”,
sancendo immediatamente la nullità del patto, ha di certo carattere proibitivo.
407
Si vedano gli artt. 2433, 3° comma, c.c. (secondo cui “Se si verifica una perdita del capitale
sociale, non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o
ridotto in misura corrispondente”) e 2346, 5° comma, c.c. (per il quale “In nessun caso il
valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del
capitale sociale”), che vietano decisioni di tal genere.
408
Le delibere che pretendano di alterare la struttura corporativa, o di scardinare la personalità
giuridica della società esulano, peraltro, dalle competenze dell’assemblea e devono essere
ritenute, oltre che illecite, anche ad oggetto impossibile: con la conseguenza che, anche nel
caso in cui non vengano dichiarate invalide, dovranno essere ritenute inefficaci. Inoltre, in
un’ipotesi, la Suprema Corte ha dichiarato nulla la delibera con cui l’assemblea straordinaria
ha attribuito all’assemblea ordinaria il potere di modificare l’atto costitutivo: si veda Cass.,
04/05/1998, n° 4441, in Riv. not., 1998
406
260
Altre delibere con oggetto illecito sono quelle dirette a introdurre nello statuto
clausole a contenuto illecito. Si pensi alle delibere che modificano l’oggetto
sociale prevedendo l’esercizio di attività contrarie all’ordine pubblico, al buon
costume, o alle norme imperative di legge di un rango talmente elevato che la
loro violazione deve essere valutata in termini di illiceità.
Ulteriori e più specifici esempi potrebbero essere fatti. Ma occorre tenere
presente che una compiuta verifica relativa al rango delle norme imperative
violate e all’eventuale inclusione della delibera impugnata nell’ambito di
applicazione delle norme sulla nullità dovrà di volta in volta essere effettuata
dall’organo giudicante in relazione alla fattispecie concreta sottoposta alla sua
attenzione.
6. La nullità per mancata convocazione dell’assemblea e mancanza del
verbale
L’attuale testo dell’articolo 2379 c.c. sancisce la nullità delle deliberazioni
anche per mancata convocazione dell’assemblea e mancanza del verbale.
In tali fattispecie, la deliberazione è attentata “dalla radicale carenza nell’avvio
del
procedimento
assembleare”,
ossia
“dall’insuperabile
difficoltà
di
ricostruire l’andamento della riunione”409, tanto da suggerire una sua lettura in
senso restrittivo, in quanto la volontà legislativa appare quella di “limitare la
409
S. PESCATORE, op. cit., p. 181.
261
nullità delle deliberazioni assembleari alle sole ipotesi in cui il vizio di
procedimento sia macroscopico, e impedisca ai soci di essere informati, con un
minimo di precisione e di credibilità circa lo svolgimento dell’assemblea”410.
La norma incide su tali orientamenti giurisprudenziali e con la qualificazione
espressa di nullità è volta a superare la propensione ad utilizzare per tali
fattispecie la categoria dell’inesistenza.
Tuttavia, è ben evidente che il regime attualmente previsto è meno severo di
quello dell’articolo 2379 previgente; a conferma delle scelte operate in via
generale per la riduzione dell’ambito della nullità in materia societaria, il 3°
comma prevede alcune fattispecie in cui convocazione e verbale non possono
essere considerate mancanti; l’azione è assoggettata al termine triennale di
proponibilità e l’articolo 2379-bis regola possibilità di sanatorie.
L’esame della giurisprudenza dimostra che per le impugnazioni delle delibere
assembleari, dopo la contestazione del bilancio, la materia oggetto di
contestazione più frequente è rappresentata dalla legittimità di convocazione.
Nel sistema previgente alla riforma la mancata convocazione era la fattispecie
in cui con maggiore certezza si concludeva per la sanzione di inesistenza411.
L’ampiezza del 1° comma della disposizione in esame comporta che sussiste
nullità nell’ipotesi di totale omissione della convocazione, salva poi
l’applicabilità della sanatoria di cui all’articolo 2379-bis.
410
F. GUERRIERI, op. cit., p. 82.
Cass.. 11/06/2003, n. 9364, in Giust. Civ., 2004, p. 2765; Cass., 22/10/2001, n. 11186, in
Giur. It., 2002, p. 550
411
262
L’ampiezza della formulazione letterale non consente di assumere distinzioni
fra i soggetti che hanno facoltà di partecipazione all’assemblea; pertanto, si
avrà nullità per omessa convocazione con riferimento sia ai soci il cui voto
sotto il profilo quantitativo non è idoneo ad incidere sull’approvazione412, e sia
a soggetti abilitati ad intervenire ma che non sono soci e non hanno diritto di
voto.
Invece, in relazione all’ipotesi in cui sussistano le formalità di convocazione,
ma esse violino la disciplina di cui all’art. 2366 (Formalità per la
convocazione), la disposizione in esame delimita il principio dettato al 1°
comma, prevedendo al 3° comma che «la convocazione non si considera
mancante nel caso d’irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un
componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è
idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere
preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea».
Di notevole importanza per l’esegesi della norma è comprendere se e quando
la convocazione debba considerarsi «non mancante» ai sensi della disposizione
in commento. Per l’esame di tale profilo si devono prendere in considerazione
anche gli artt. 2366 e 2377, poiché la questione involge profili generali del
sistema dell’invalidità delle delibere, nonché del funzionamento del
meccanismo assembleare e della cogenza delle norme, anche statutarie, ad esso
412
Cass., 22/08/2001, n. 11186.
263
dedicate, ma è da rilevare che molti interpreti si sono espressi in favore della
permanenza di un’azione di annullabilità413.
Non v’è dubbio che il legislatore, nell’art. 2379, al fine di tutelare i legittimati
ad intervenire e partecipare alla formazione della volontà sociale, utilizza un
meccanismo «non formalistico» volto a privilegiare il raggiungimento dello
scopo, sanzionando quelle omissioni nella convocazione che non rendono ex
se se possibile gli azionisti di intervenire414.
Tale «scopo», che esclude la nullità, potrebbe intendersi costituito soltanto
dalla mera notizia preventiva di una convocazione assembleare che consente
comunque al soggetto legittimato di verificare la legittimità procedimentale
della fase pre-assembleare nel caso in cui dovesse proporre domanda di
annullamento.
In modo più innovativo, è possibile anche pensare che lo «scopo» di cui si
discute sia quello di assolvere in concreto alla funzione partecipativa e che,
una volta esso si sia realizzato, ciò preclude ogni impugnativa per i vizi
indicati dall’art. 2379415.
In tal senso depongono l’assenza di ogni richiamo sul punto nell’art. 2377,
l’utilizzazione del termine «irregolarità», nonché l’esistenza della ulteriore
specifica sanatoria dell’art. 2379-bis; tanto più che con riferimento all’omessa
convocazione del socio di minoranza, il presidio dell’art. 2377 potrebbe avere
413
G. MUSCOLO, Il nuovo regime dei vizi delle deliberazioni assembleari nelle s.p.a. (prima
parte), cit., p. 541.
414
S. SANZO, Commento all’art. 2379, in Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, p. 654.
415
S.A. VILLATA, op. cit., p. 104.
264
di fatto ben poco significato quando questi non sia possessore del quorum
azionario di cui all’art. 2377.
Alla luce di una tale opzione dovrà essere identificato il lasso di tempo
necessario ai sensi dell’art. 2379, per considerare «preventivamente avvertiti» i
legittimati a partecipare. Nell’ottica che ammette la possibilità di esercitare
anche per tale profilo l’azione di annullamento, si è detto che sarà «non
mancante» la convocazione, anche se essa giunga pochi istanti prima
dell’apertura dell’assemblea 416; diversamente, premesso che il termine non
potrà che essere inferiore a quello previsto ex lege per la regolarità dell’avviso,
per riconoscere alla norma una ragionevolezza, il «preavviso» dovrebbe essere,
comunque,
valutato
con
riferimento
ad
un’effettiva
possibilità
di
partecipazione417.
Il principio del raggiungimento dello scopo di un’effettiva possibilità di
partecipazione fa ritenere che si ha nullità, ove l’avviso taccia sul luogo e poi
l’assemblea si svolga in un luogo diverso da quello abituale o ricavabile da
altri indici dell’attività sociale418.
Sotto altro profilo, con riferimento alla legittimazione alla convocazione, è
evidente che ad evitare la nullità basta la provenienza dell’avviso da un
Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi
numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, nonché al testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1°
settembre 1993, e al testo unico dell’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n.
58 del 24 febbraio 1998”, in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 Febbraio 2004.
417
S.A. VILLATA, op. cit., p. 104.
418
Cass., 14/01/1993, n. 403, in Soc., 1993, p. 484; MUSCOLO, Il regime dei vizi, cit., p. 542.
416
265
componente
dell’organo
di
amministrazione
o
di
controllo
anziché
direttamente dall’uno o dall’altro dei predetti organi, secondo i casi previsti
dalla legge.
Pertanto, si è esclusa tale sanzione per il vizio dell’avviso più frequentemente
dibattuto in precedenza, cioè la sottoscrizione soltanto di un componente del
consiglio di amministrazione, a tanto non legittimato da solo 419.
Invece, deve ritenersi assoggettata a nullità la peculiare fattispecie in cui la
convocazione provenga da uno o più soci, per la quale, da ultimo, la Suprema
Corte aveva opinato per la meno grave sanzione dell’annullabilità.
La determinazione nella fattispecie concreta dell’«idoneità» dell’avviso a
consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente
avvertiti della convocazione dell’assemblea di certo si presta a divergenze
interpretative relative a tale discrezionalità del giudice.
Per quanto concerne la mancanza del verbale, ai sensi dell’articolo 2379,
comma 1, in caso di totale omissione delle formalità di verbalizzazione,
sussiste nullità della delibera assembleare. Si tratta di una patologia radicale
che in realtà nella pratica ha interessato nel previgente sistema l’omissione di
verbalizzazione della delibera in prima convocazione, la cui mancanza veniva
posta a base della successiva impugnazione della deliberazione presa in
seconda convocazione con le relative maggioranze.
419
Trib. Milano, 25/02/2004, in Soc., 2004, p. 1290; Trib. Milano, 11/12/2003, in Giur. It.,
2004, p. 2348; Trib. Trento, 28/09/1999, in Soc., 2000, p. 326; Trib. Cassino, 14/05/1990, in
Vita not., 1991, p. 635.
266
Limitandosi agli ultimi anni, è possibile notare che la questione, anche se
spesso risolta riconoscendo un vizio della deliberazione di seconda
convocazione420, aveva poi visto prevalere l’orientamento che escludeva ogni
invalidità, in quanto nel verbale in discorso si tratta soltanto di far constatare la
mancanza del quorum deliberativo in prima convocazione, e quindi non si è in
presenza di un atto deliberativo assembleare, e, comunque, il suddetto verbale
documenta un fatto che è estraneo alla fattispecie rappresentata dalla
deliberazione adottata in seconda convocazione421.
Tale soluzione può di ribadirsi anche nel contesto dell’attuale disciplina.
Chiarito ciò, va sottolineato che riguardo alla formazione del verbale
assembleare la riforma ha creato un sistema di invalidità piuttosto complesso.
Già l’art. 2377 prevede che «la deliberazione non può essere annullata ... per
l’incompletezza
o
l’inesattezza
del
verbale,
salvo
che
impediscano
l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione».
L’art. 2379, nella seconda parte, dispone che: “Il verbale non si considera
mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è
sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente del consiglio
d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza o dal segretario o dal
notaio”.
420
Cass., 04/12/1990, n° 11601, in Riv. Dir. comm., 1990; A. MISEROCCHI, La
verbalizzazione nelle società per azioni, Padova, 1969, p. 244; Trib. Prato, 17/07/1996, in
Soc., 1997, p. 674.
421
Cass., 26/11/1998, n. 12008, in Riv. Giur. Sarda, 1998; Cass., 07/03/1992, n. 2764, in Giur.
Comm., 1994, p. 588; Trib. Napoli, 02/07/1996, in Soc., 1996, p. 1203; Trib. Reggio Emilia,
27/04/1994, in Giur. Comm., 1995, p. 741.
267
Tale contenuto minimo impedisce la dichiarazione di nullità, poiché per il
legislatore esso è in grado di informare circa le materie che sono state poste
all’attenzione e alla decisione dei soci, ma è indubbio che la legge si
accontenta di elementi che non sono idonei a consentire la compiuta
ricostruzione del contenuto della delibera e la correttezza dell’iter decisionale
seguito dall’assemblea; in tale caso soccorrerà l’invalidità relativa disciplinata
dall’art. 2377422.
Al fine di evitare la nullità, la lettera della disposizione richiede sia la
sottoscrizione del presidente dell’assemblea, sia quella del segretario (o del
notaio).
7. La legittimazione attiva. L’interesse in funzione legittimante.
L’attuale formulazione dell’art. 2379 c.c., rispetto al testo anteriore, non
contiene riferimenti alla disciplina negoziale. Infatti, non compare il pregresso
richiamo all’art. 1421 c.c.
Ciò nonostante, non è controverso che anche la nuova formulazione normativa
continua a disciplinare l’azione di nullità della delibera assembleare come
proponibile da chiunque vi abbia interesse.
V. SALAFIA, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Soc.,
2003, p. 1179.
422
268
Conseguentemente, ne deriva che, anche nell’attuale sistema, ai fini dell’art.
2379 c.c., è l’interesse ad assurgere a criterio di legittimazione: un interesse
che, peraltro, non è definito dalla norma e che resta annoverato anche tra le
condizioni dell’azione giudiziale in genere, ex art. 100 c.p.c. (ai sensi del quale
per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario “avervi
interesse”).
Se, dunque, non c’è dubbio che, per effetto di una formulazione che
sostanzialmente replica il testo dell’art. 1421 c.c, anche la sfera dei soggetti
legittimati all’azione di nullità della delibera assembleare è più ampia rispetto
a quella dei soggetti legittimati all’azione di annullamento, tuttavia l’incertezza
sulla portata dell’espressione “chiunque vi abbia interesse” e, in particolare,
sulla nozione stessa di “interesse” giuridicamente rilevante, non consente una
immediata definizione della categoria di soggetti legittimati all’azione de qua.
Orbene, sia in dottrina che in giurisprudenza sono state prospettate svariate
soluzioni concettuali sulla falsariga delle dispute concernenti l’ambito di
riferimento dell’art. 1421 c.c.423.
Tuttavia, lungi dal procedere ad un’analisi particolareggiata di tali soluzioni
dottrinali, ai fini pratici, pare più opportuno indicare come il principio di cui
423
Si veda M.C. BARTESAGHI, Validità e invalidità delle delibere assembleari di società,
Torino, 1999; B. QUARTRARO - A. FUMAGALLI - S. D’AMORA, Le deliberazioni assembleari e
consiliari, Milano, 1996; P. LUCANTONI, Osservazioni sulla legittimazione ad agire per
l’accertamento della nullità di una deliberazione assembleare di società a responsabilità
limitata, in Giur. comm., II, 1996; G. ZANARONE, L’invalidità, op. cit., 1993
269
all’art. 2379 c.c., contenente il rinvio alla disciplina negoziale, sia stato
interpretato in funzione applicativa in seno alla giurisprudenza.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, “L’azione di nullità delle
deliberazioni di una società, pur essendo svincolata dai presupposti, nonché
dalle condizioni temporali e di legittimazione stabilite dall’art. 2377 c.c. per
l’azione di annullamento, postula l’interesse dell’istante (art. 1421 c.c.,
richiamato dall’art 2379 c.c.), cioè la sua esigenza di rimuovere una
situazione pregiudizievole su determinate situazioni giuridiche, e, pertanto,
non può essere promossa, nemmeno dal socio, sulla sola base della denuncia
di irregolarità, occorrendo la specifica deduzione e dimostrazione della loro
incidenza negativa nella sfera del socio stesso”424.
La giurisprudenza fonda il menzionato principio sulla constatazione che, nelle
società di capitali, dotate di distinta personalità e titolari del proprio
patrimonio, l’interesse del socio alla conservazione della consistenza
economica della società è tutelato esclusivamente con strumenti interni
(potendo egli influire sulla vita sociale, impugnare le deliberazioni, far valere
la responsabilità degli amministratori), mentre non implica, ad esempio, la
legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni, la cui validità resta
contestabile da parte della società stessa425.
424
Cass., 13/04/1989, n° 1788, in Gius. civ., 1989, I, 1, 1111
F. TERRUSI, L’invalidità, 242; in giurisprudenza si veda Cass., 04/03/2003, n° 5323, in
Mass. Gius. Civ., 2003, 4; Cass., 07/01/2000, n° 82, in Mass. Gius., civ., 2000, 26
425
270
Pertanto, l’interesse idoneo a determinare la legittimazione all’azione di nullità
deve consistere, per il suddetto orientamento, nella necessità di rimuovere una
specifica situazione pregiudizievole derivante dall’atto interno contro cui si
agisce, “non potendo consistere nell’esigenza di astratta legalità dell’agire
sociale”426.
Cass., 08/06/1988, n° 3881, in Foro it., 1989, I, 2925, second cui “L'azione di nullità non è,
di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare svolgimento del rapporto sociale.
Pur se la legittimazione all'impugnativa per nullità spetta anche a soggetti diversi da quelli
indicati come legittimati all'azione di annullamento (spetta in particolare anche ai soci che
furono presenti e non espressero dissenso nell'assemblea che adottò la delibera), poiché
tuttavia normalmente il pregiudizio derivante da una delibera sociale colpisce di regola chi
opera nell'ambito della società, e cioé in prevalenza i soci, sono costoro i soggetti solitamente
interessati all'impugnazione. E si intende che in tale ipotesi la legittimazione all'azione (in sé
concettualmente distinta dall'interesse ad agire) che si riconnetta allo "status" di socio
coincide con l'interesse ad agire, nel senso che l'interesse ad agire (e cioé ad impugnare di
nullità la delibera) diviene requisito di legittimazione e quindi condizione di proponibilità
della domanda giudiziale. La qualità di socio, pertanto, con il connesso interesse ad agire,
quando sia il socio a chiedere l'intervento del giudice al fine di evitare, attraverso la
dichiarazione di nullità della delibera, la lesione (anche potenziale della sua sfera giuridica e
alleghi il timore di un pregiudizio attuale e concreto derivante da detta delibera, deve
ricorrere, necessariamente (in quanto si tratta appunto di una condizione per la proponibilità
dell'azione), al momento in cui l'impugnativa per nullità viene proposta, non essendo dall’art.
2379 c.c. specificatamente richiesta, sia pure in modo indiretto o implicito, la partecipazione
all'assemblea che adottò la delibera impugnata o il voto contrario, né la preesistenza ad essa
della qualità di socio (come invece per l'azione di annullamento, che riserva a determinati
soggetti della società l'impugnativa entro un termine breve, al fine di conseguire, a termine
scaduto, la stabilizzazione delle delibere sociali inficiate da meri vizi procedimentali ”.
Più recentemente, Cass., 21/02/2003, n° 2637, in Foro it., 2003, I, 2768, in relazione ad una
situazione nella quale era stato impedito illegittimamente ad un socio di partecipare
all'adunanza dell'assemblea, ha statuito che: “… è impossibile negare a quel medesimo socio
l'interesse ad impugnare i deliberati dell'assemblea proprio in relazione al suddetto motivo di
illegittimità. Il suo interesse, in tal caso, non si identifica con un'esigenza di astratta legalità,
ma discende, per un verso, dal fatto che egli ha diritto a poter concorrere alla formazione
della deliberazione dell'organo assembleare (e ciò non sola attraverso l'esercizio del voto, ma
anche con la partecipazione alla discussione e con l'eventuale richiesta di informazioni e
chiarimenti), per altro verso dal rilievo che la deliberazione assunta con il concorso d ei soli
soci formanti la maggioranza in tanto vincola legittimamente anche gli assenti ed i
dissenzienti in quanto sia stata assunta "in conformità della legge e dell'atto costitutivo", come
espressamente indica l’art. 2377, primo comma, c.c. Donde consegue che il socio assente o
dissenziente da una qualsivoglia deliberazione idonea a spiegare nei suoi riguardi un qualche
effetto ha pieno titolo ed indubbio interesse a far accertare che quella deliberazione, in quanto
non rispettosa della legge e perciò invalida, non è in grado di vincolarlo. Ed, a questo
specifico fine, è irrilevante stabilire di qual natura sia il vizio di legittimità da cui la
426
271
In base alle pronunce giurisprudenziali (si veda, in particolare Cass.,
21.02.2003, n° 2633, già riportata in nota 86), emerge con chiarezza quanto
delicato possa diventare il profilo che ne occupa laddove sia in discussione il
rapporto tra l’interesse contemplato dall’art. 2379 c.c. e la qualità di socio del
soggetto esercente l’azione di nullità.
In definitiva, il menzionato orientamento ritiene che la suddetta qualità,
sebbene non sufficiente agli specifici fini della dimostrazione dell’interesse
concreto e attuale427, non può neppure essere ritenuta completamente
irrilevante.
deliberazione è affetta, perché quanto osservato vale sia per le deliberazioni meramente
annullabili, cui più specificamente si riferisce il citato art. 2377 c.c., sia, a maggior ragione,
per quelle affette da nullità assoluta ex art. 2379 c.c. o addirittura giuridicamente inesistenti ”.
427
Cass., 25/02/2002, n° 2721, in Mass. Gius. civ., 2002, 300, ha affermato che: “La
disposizione dell’art. 1421 c.c., la cui applicazione gli originari attori hanno invocata
nell'introdurre il presente giudizio, in virtù della quale la nullità del negozio può esser fatta
valere da chiunque vi abbia interesse, non esime, in vero, il soggetto che propone la relativa
azione dal dimostrare la sussistenza d'un proprio interesse ad agire concreto ed attuale,
secondo le norme generali e con riferimento anche all’art. 100 c.p.c.; pertanto, l'azione stessa
non è proponibile in difetto della dimostrazione, da parte dell'attore, della necessità di
ricorrere al giudice onde evitare il verificarsi d'una lesione del proprio diritto ed il
conseguente danno alla propria sfera giuridica, mentre non rileva l'intento di perseguire un
fine generale d'attuazione della legge né è sufficiente dedurre l'esigenza di rimuovere una
situazione d'incertezza, occorrendo pur sempre dimostrare che questa produce un danno
giuridicamente rilevante (ex pluribus: Cass., 11 gennaio 2001 n. 338, 1 luglio 1993 n. 7197,
12 luglio 1991 n. 7717, 17 marzo 1981 n. 1553, 7 luglio 1977 n. 3024). Non diversamente,
l'interesse ad agire, previsto quale condizione dell'azione dall’art. 100 c.p.c., con disposizione
che consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a
conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in
ordine alla sussistenza d'un determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere
oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che senza
il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe il pregiudizio d'una propria
situazione giuridica protetta; ond'è ch'esso deve avere necessariamente carattere attuale,
poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a
giuridica ed oggettiva consistenza, viceversa restando escluso ove il giudizio sia strumentale
alla soluzione soltanto in via di massima od accademica d'una questione di diritto in vista di
situazioni future o meramente ipotetiche”.
272
A tal proposito, la non irrilevanza della qualità di socio è affermata, ad
esempio, nelle fattispecie di nullità delle deliberazioni assembleari di
approvazione del bilancio e assume rilevanza ai fini della dimostrazione
dell’interesse all’impugnazione della delibera.
In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha così affermato: “Si deve
premettere, come sopra si è ricordato, che la legittimazione ad impugnare le
deliberazioni nulle per impossibilità o illiceità dell'oggetto spetta, ai sensi
degli artt. 2379 e 1421 c.c., a chiunque vi abbia interesse. Ciò, tuttavia, non
rende irrilevante la qualità di socio, atteso che l'interesse connesso alla
qualità di socio spazia dall'interesse meramente ed immediatamente
patrimoniale all'interesse derivante "dal fatto stesso che la poca chiarezza o la
scorrettezza del bilancio non permette al socio di avere tutte le informazioni destinate ovviamente a riflettersi anche sul valore della singola quota di
partecipazione - che il bilancio dovrebbe invece offrirgli, ed alle quali,
attraverso la declaratoria di nullità e la conseguente necessaria elaborazione
di un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente, il socio impugnante
legittimamente aspira" (così Cass. 3 settembre 1996, n. 8048; nello stesso
senso Cass. 30 marzo 1995, n. 3774). Comunque, anche in tale più ampia
prospettazione, l'attore deve pur sempre allegare l'esistenza di un proprio
interesse concreto ed attuale, non essendo necessariamente sufficiente il fatto
che sia socio e non abbia concorso con il proprio voto alla formazione della
decisione assembleare nulla (v., oltre Cass. 3774/1995 cit., Cass. 28 maggio
273
1993, n. 5959; Cass. 18 marzo 1986, n. 1839), anche se la qualità di socio
rende la prova più agevole ed in larga misura ricavabile attraverso
presunzioni. Inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, la
qualità di socio, quando ad essa è collegato l'interesse ad agire, oltre a
sussistere al momento della proposizione della domanda, deve permanere per
tutto il giudizio sino alla decisione della controversia (Cass. 8 giugno 1988, n.
3881). La ragione sta nel fatto che quando l'interesse ad agire è collegato alla
qualità di socio, la perdita di tale qualità determina normalmente anche la
perdita dell'interesse ad agire. Tale regola non opera e l'interesse ad agire
sopravvive alla perdita della qualità di socio, soltanto quando l'attore vanta
un diritto in relazione alla sua passata partecipazione e tale diritto dipenda
dall'accertamento della legittimità di una delibera assembleare presa quando
egli
era
ancora
socio
(Cass.
13
gennaio
1988,
n.
181,
che
fa
esemplificativamente riferimento al diritto alla liquidazione della quota, la cui
valutazione può risentire degli effetti di una delibera nulla di approvazione del
bilancio)”.
Sotto altro profilo, va precisato che l’interesse ad agire ex art. 2379 c.c. è cosa
ben diversa dall’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.
In particolare, secondo l’impostazione prevalente, la previsione in tema di
nullità delle delibere assembleari imporrebbe la dimostrazione di un interesse
dissociato dalla figura dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., di modo che
“La dimostrazione della sussistenza dell’interesse sostanziale (id est,
274
dell’interesse di cui all’art. 2379 c.c. in funzione della legittimazione attiva)
non esaurirebbe l’ambito degli oneri processuali dell’impugnante, avendo egli
anche l’onere – previsto in via generale dall’art. 100 c.p.c. – di far emergere
l’ulteriore interesse ad agire quale condizione dell’azione di accertamento in
sé e per sé considerata”428.
In altri termini, si ritiene che l’esercizio dell’azione di nullità di cui all’art.
2379 c.c. non esime il soggetto che la propone dal dimostrare in concreto la
sussistenza di un proprio interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., consistendo
quest’ultimo nell’interesse, concreto e attuale, ad evitare la lesione di un suo
diritto, per il termine che dalla delibera impugnata per impossibilità o illiceità
dell’oggetto possa derivargli un danno alla propria sfera giuridica. Di seguito
quanto affermato, al riguardo, dalla Suprema Corte: “L’azione di nullità non è,
di regola, rimedio diretto ad un fine generale al regolare svolgimento del
rapporto sociale. Pur se la legittimazione all'impugnativa per nullità spetta
anche a soggetti diversi da quelli indicati come legittimati all'azione di
annullamento (spetta in particolare anche ai soci che furono presenti e non
espressero dissenso nell'assemblea che adottò la delibera), poiché tuttavia
normalmente il pregiudizio derivante da una delibera sociale colpisce di
regola chi opera nell'ambito della società, e cioè in prevalenza i soci, sono
costoro i soggetti solitamente interessati all'impugnazione. E si intende che in
tale ipotesi la legittimazione all’azione (in sé concettualmente distinta
428
F. TERRUSI, L’invalidità, 245
275
dall’interesse ad agire) che si riconnetta allo “status” di socio coincide con
l'interesse ad agire, nel senso che l'interesse ad agire (e cioè ad impugnare di
nullità la delibera) diviene requisito di legittimazione e quindi condizione di
proponibilità della domanda giudiziale”429. La Cassazione, quindi, parte con
l’affermare il principio dell’autonomia tra interesse in funzione legittimante, ex
art. 2379 c.c., e interesse ad agire, ex art. 100 c.p.c., per poi negarne la
concludenza al cospetto di interessi connessi allo stato di socio. Il che sembra
confermato anche dalla giurisprudenza di merito laddove s’è affermato che:
“L’impugnativa per nullità di una delibera assembleare, nella specie di
approvazione del bilancio, presuppone l’esistenza e la prova dell’interesse ad
agire dell’impugnante, cioè di un pregiudizio concreto ed attuale dei suoi
diritti (che pertanto non sussisterebbe qualora la delibera contenesse mere
inesattezze di conto che non influiscono minimamente sulla rappresentazione
patrimoniale della società e, soprattutto, sulla posizione patrimoniale del
socio)”430.
In linea con tale impostazione, la dottrina, tuttavia, ritiene che la disputa sul
rapporto tra l’interesse ex art. 2379 c.c. e l’interesse ex art. 100 c.p.c. si riveli
assolutamente irrilevante da un punto di vista pratico 431.
Infatti, “Se da un lato non si discute sul fatto che il principio di cui all’art. 100
c.p.c. opera su un piano distinto da quello della valutazione dell’esistenza del
429
Cass., 08/06/1988, n° 3881, in Foro it., I, 2925
Trib. Torino, 28/07/1999, in Gius. civ., 2000, 117
431
Si veda, fra tutti, A. ATTARDI, voce “Interesse ad agire”, in Dig. Civ., vol. IX, Torino,
1993, 515 ss.; F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2000, 205 ss.
430
276
diritto sostanziale vantato, ovvero da quello della valutazione della
legittimazione attiva ad causam, dall’altro, tuttavia, è ozioso continuare a
dibattere sull’argomento de quo, per la ragione che è difficile ipotizzare
situazioni di nullità della delibera assembleare in cui la dimostrazione
dell’esigenza di rimuovere una condizione pregiudizievole su determinate
posizioni giuridiche dell’impugnante non finisca con l’esaurire, nel contempo,
entrambi gli ambiti di rilevanza dell’interesse soggettivo, quello in funzione
legittimante e quello dettato dalla concreta utilità del provvedimento
giurisdizionale richiesto. In particolare, è difficile ipotizzare che, in situazioni
in cui risulti comprovata l’esistenza di un interesse leso dalla deliberazione
nulla, rilevante ai fini della attribuzione della legittimazione all’azione di
accertamento della nullità, si possa poi concretamente sostenere, in vista della
negazione della condizione generale dell’azione ex art. 100 c.p.c., l’inutilità
dell’attività processuale correlata alla proposizione della domanda di nullità,
in vista dell’ottenimento della tutela tipica predisposta dal legislatore”432.
8. Il termine di impugnazione delle delibere nulle.
L’art. 2379, 1° comma, c.c., contiene una disposizione assolutamente
innovativa, prevedendo la sottoposizione a termine dell’azione di nullità delle
delibere assembleari.
432
F. TERRUSI, L’invalidità, 244 ss.
277
Tale termine decorre dalla data di iscrizione o deposito nel registro delle
imprese, per le deliberazioni soggette a pubblicità commerciale; dalla
trascrizione della deliberazione nel libro delle adunanze assembleari, per tutte
le altre non soggette a iscrizione o deposito.
Possono essere impugnate senza limiti di tempo solo le delibere che
modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.
La suddetta disciplina è molto significativa, poiché conferma che, salvo le
modifiche che incidono sull’oggetto sociale, tutte le altre (anche quelle che
possano incidere perfino sull’atto costitutivo, previa introduzione di clausole
contra legem) sono suscettibili di acquisire stabilità in carenza di tempestiva
impugnazione.
Vi sono, inoltre, specifiche ipotesi in cui il termine di impugnazione è stato
ulteriormente ridotto dal legislatore: si fa riferimento alle delibere di aumento
e di riduzione del capitale sociale, alle delibere di emissione di obbligazioni (il
termine è di 180 giorni dall’iscrizione della delibera nel registro delle
imprese); alle delibere di trasformazione, fusione e scissione della società, in
relazione alle quali sono dettate specifiche regole nell’ottica di una limitazione
dei poteri di impugnativa.
Al di là delle singole disposizioni, va rilevato che la funzione di tutte queste
regole, a partire dalla previsione generale di cui all’art. 2379, 1° comma, c.c.,
che, come detto, prevede il termine triennale di impugnazione, è quella di
garantire il principio della stabilità degli atti societari, in una ricostruzione del
278
sistema che identifica nella certezza dell’attività delle società un interesse del
mercato433.
Di certo non mancano, in dottrina, critiche alla nuova formulazione dell’art.
2379 c.c., sotto il profilo del termine per l’impugnazione. S’è affermato,
infatti, che: “La regolamentazione riformata della nullità delle delibere
assembleari consente di derogare statutariamente tutte le norme di legge
inderogabili: sia che tutelino interessi dei soci, sia che tutelino interessi di
terzi
estranei
alla
società.
Anzi,
poiché
secondo
un’interpretazione
consolidata, nulle per illiceità dell’oggetto sono anzitutto le delibere che
introducono nell’atto costitutivo clausole contrarie a norme inderogabili, ne
segue che, decorso il termine di tre anni, la nullità di tali delibere non potrà
più essere pronunciata e le clausole statutarie illecite diventeranno dunque
valide, sostituendosi alle norme inderogabili”434.
Sotto altro profilo, quello concettuale, ci si può chiedere se il termine in
questione debba essere ritenuto termine di decadenza o di prescrizione. È stato
osservato che: “La soppressione del rinvio all’art 1422 non ha un significato
univoco: da un lato può ritenersi che all’imprescrittibilità sia subentrata
l’introduzione di un termine di prescrizione breve, triennale; dall’altro si può
pensare alla previsione, anche per la fattispecie di nullità, di un termine di
decadenza triennale, analogamente a quanto prescritto per impugnazione
433
G. MUSCOLO, La riforma del diritto societario, in AA. VV., Milano, 2003, 419
E. GLIOZZI, Le condonabili deroghe a norme inderogabili nel nuovo diritto societario, in
Giur. comm., I, 16 ss.
434
279
quale
l’annullamento,
sottoposta
a
un
termine
trimestrale,
ormai
pacificamente definito dalla giurisprudenza come termine di decadenza”435.
Pare dunque prevalere la tesi che considera il termine de quo quale termine di
decadenza436. In questo senso milita soprattutto il fatto che la limitazione di cui
si discute è stata inserita in un apposito comma dell’art. 2379 c.c., esattamente
in sintonia con la tecnica sperimentata sul tema della decadenza dell’azione di
annullamento, anziché nella sede propria delle prescrizioni brevi qual è quella
di cui alla sezione IV del capo I del titolo V del libro VI del codice civile
(“Della tutela dei diritti”).
Inoltre, secondo altro ragionamento che perviene alla medesima conclusione,
su un piano pratico la decadenza suole per lo più inserirsi quale atto iniziale di
una serie procedimentale, che può incidere sul positivo promovimento
dell’azione, a differenza della prescrizione nella quale viene in rilievo la
mancata realizzazione di una situazione di vantaggio 437.
La giurisprudenza prevalente ha, peraltro, ritenuto che: “L’affermata natura
decadenziale del termine ex art. 2379 c.c. sembra potersi coniugare con una
possibile qualificazione dello stesso come di natura processuale in quanto atto
iniziale del giudizio volto all’accertamento della nullità della deliberazione,
435
G. MUSCOLO, La riforma, 420
In linea con tale orientamento si vedano pure G. PRESTI – M. RESCIGNO, L’invalidità, 2003,
161; R. BERNABAI, Le impugnative di delibere assembleari e degli atti di amministrazione, in
Soc., 2006, 145; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2. Diritto delle società, Torino,
2006, 351.
437
Così argomenta F. ROSELLI – P. VITUCCI, La prescrizione e la decadenza, in Trattato di
diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. XX, Torino, 1985, 483.
436
280
costituente unico strumento a tutela dei diritti dell’impugnante, esattamente
allo stesso modo in cui viene ordinariamente inteso il termine ex art. 2377
c.c.”438.
9. L’articolo 2379-bis c.c.: sanatoria della nullità.
L’articolo 2379-bis del codice civile stabilisce che:
L’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non
può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo
assenso allo svolgimento dell’assemblea.
L’invalidità della deliberazione per mancanza del verbale può essere sanata
mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva. La
deliberazione ha effetto dalla data in cui e’ stata presa, salvi i diritti dei terzi
che in buona fede ignoravano la deliberazione.
La disposizione in esame, «sanatoria della nullità», rappresenta uno degli
interventi della nuova disciplina generale dell’azione di nullità delle
deliberazioni assembleari, ad integrazione dei precetti sanciti dall’alt. 2379.
Il legislatore, nell’ottica di favorire la stabilità delle delibere societarie, ha sia
tipizzato il vizio di nullità e sia dettato un’autonoma regolamentazione della
relativa impugnazione.
438
Cass., 18/04/1997, n° 3351, in Mass. Gius. civ., 1997, 605. Conformemente si veda anche
Cass., 28/05/1991, n° 6041, in Foro it., 1991, I, 2368; Cass., 16/06/1990, n° 6097, in Foro it.,
1990, 456.
281
A tal fine è stato sostituito ogni richiamo alla disciplina generale degli artt.
1421 e segg. c.c., con specifiche norme differenziatrici, che essenzialmente
prevedono:
a) un termine di decadenza per la proposizione dell’azione nella prevalenza
delle fattispecie richiamate;
b) il coordinamento con le fattispecie di «sanatoria» previste dall’art. 2379 bis;
c) il richiamo, nei limiti della compatibilità, alla disciplina sugli effetti
dell’annullamento e della sostituzione della delibera impugnata ex art. 2377.
Ciò ha consentito di ritenere che il legislatore ha previsto una nullità
«speciale» delle delibere assembleari, che esclude la richiamabilità della
disciplina generale degli artt. 1418-1424 c.c.
Inoltre, nello specifico, una limitata vitalità dell’azione di nullità correlata al
decorso del tempo ovvero alla effettuazione di ulteriori adempimenti
dell’attività sociale, si riscontra anche in altre disposizioni speciali: art. 2379ter; art. 2434-bis; art. 2500-bis.
Tra tali ipotesi e la disposizione in commento è evidente la distinzione:
quest’ultima prende in considerazione lo svolgimento di specifiche attività
finalizzate ad impedire che il vizio della delibera possa esplicare i suoi effetti
invalidanti439.
V. SALAFIA, L’invalidità delle deliberazioni assembleari nella riforma societaria, in Soc.,
2003, p. 1180; S. SANZO, Commento all’art. 2379, in Il nuovo diritto societario, Bologna,
2004, p. 656.
439
282
Sotto il profilo formale il legislatore non è esente da critiche, in quanto poteva
essere più funzionale introdurre le previsioni in esame già nell’art. 2379 440.
L’attuale disposizione sancisce la nullità delle deliberazioni anche per mancata
convocazione dell’assemblea e mancanza del verbale. La ratio della norma è
quella di incidere sugli orientamenti giurisprudenziali contrastanti, e la
qualificazione espressa di nullità è tesa a superare la tendenza ad utilizzare per
tali fattispecie la categoria dell’inesistenza.
In tali ipotesi, la deliberazione è “attentata dalla radicale carenza nell’avvio del
procedimento assembleare, ossia dall’insuperabile difficoltà di ricostruire
l’andamento della riunione”441, tanto da suggerire una lettura restrittiva, in
quanto la volontà legislativa appare quella di “limitare la nullità delle
deliberazioni assembleari alle sole ipotesi in cui il vizio di procedimento sia
macroscopico, e impedisca ai soci di essere informati - con un minimo di
precisione e di credibilità circa lo svolgimento dell’assemblea” 442.
È evidente che il regime attualmente previsto è meno severo di quello dell’art.
2379 previgente; a conferma delle scelte operate in via generale per la
riduzione dell’ambito della nullità in materia societaria, il 3° comma, in
particolare, prevede alcune fattispecie in cui convocazione e verbale non
possono essere considerati mancanti, l’azione è assoggettata al termine
R. LENER, Commento all’art. 2379-bis, in Società di capitali, Napoli, 2004, p. 572.
V. BUONOCORE, (a cura di), Istituzioni di diritto commerciale, Torino, 2003, p. 181.
442
G. GUERRIERI, La nullità delle deliberazioni, op. cit., 82.
440
441
283
triennale di proponibilità, ed infine l’art. 2379-bis regola alcune possibilità di
sanatoria.
In tale contesto, deve essere inquadrata la disposizione in esame; è evidente
che solo dall’esame del combinato disposto con l’art. 2379, l’interprete può
ricavare soluzioni ragionevoli per la nuova disciplina della nullità delle
deliberazioni assembleari443.
In relazione all’art. 2379-bis alcuni hanno addirittura richiamato l’istituto della
convalida di cui all’art. 1444 c.c.444.
10. L’articolo 2379-ter c.c.: invalidità delle deliberazioni di aumento o
riduzione del capitale sociale e dell’emissione di obbligazioni.
L’articolo 2379-bis del codice civile stabilisce che:
Nei casi previsti dall’articolo 2379 l’impugnativa dell’aumento di capitale,
della riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o della emissione di
obbligazioni non può essere proposta dopo che siano trascorsi centottanta
giorni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese o, nel caso
di mancata convocazione, novanta giorni dall’approvazione del bilancio
dell’esercizio nel corso del quale la deliberazione è stata anche parzialmente
eseguita.
443
F. DI SABATO, Diritto delle società, Milano, 2005, p. 272; R. BERNABAI, Le
impugnative di delibere assembleari e degli atti di amministrazione (I parte), in Soc., 2006, p.
154.
444
V. SALAFIA, op. cit., p. 1180.
284
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio l’invalidità
della deliberazione di aumento del capitale non può essere pronunciata dopo
che a norma dell’articolo 2444 sia stata iscritta nel registro delle imprese
l’attestazione che l’aumento e’ stato anche parzialmente eseguito; l’invalidità
della deliberazione di riduzione del capitale ai sensi dell’articolo 2445 o della
deliberazione di emissione delle obbligazioni non può essere pronunciata
dopo che la deliberazione sia stata anche parzialmente eseguita.
Resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci
e ai terzi.
La disciplina della nullità delle deliberazioni assembleari di società per azioni
viene ad essere ancora più mortificata 445 dall’articolo 2379-ter c.c.,
che
contiene due distinte previsioni, una dettata per la generalità delle società per
azioni, ed un’altra di specifica applicazione per le sole società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio.
La prima sostanzia una mera riduzione del limite temporale dettato dall’art.
2370 c.c. per l’impugnativa delle deliberazioni assembleari nulle. Ed infatti ci
si deve limitare a ridurre il termine entro cui può essere promossa l’azione di
nullità, ordinariamente fissato in tre anni dall’art. 2379 c.c., ove la
deliberazione abbia ad oggetto uno di questi argomenti446: aumento di capitale,
riduzione del capitale volontaria ed emissione di obbligazioni.
445
446
F. DI SABATO, op. cit., 323.
F. GALGANO, R. GENGHINI, Il nuovo diritto societario, op. cit., 233.
285
Si tratta di ipotesi particolari, in cui quali il legislatore, alla luce della
possibilità che l’invalidità incida sui diritti di terzi che hanno sottoscritto o
acquistato i titoli di massa risultanti dall’operazione pur potendo essere
all’oscuro dei vizi specifici della deliberazione, comprime l’ambito di rischio
di questi ultimi e, dunque, di turbativa del mercato in generale447.
Inoltre, rileva il fatto che la norma non esaurisce la sua applicabilità alle
situazioni in cui le nuove azioni o obbligazioni emesse siano pervenute nelle
mani di terzi non soci, e, comunque, la spiegazione non riguarda il caso di
riduzione volontaria del capitale.
In particolare, per i casi di nullità diversi dalla mancata convocazione
dell’assemblea, il termine per l’impugnativa è ridotto a 180 giorni
dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese.
Nel caso, invece, la nullità sia collegata proprio alla mancata convocazione
dell’assemblea, essa può essere fatta valere nei 90 giorni successivi
all’approvazione del bilancio dell’esercizio durante il quale la deliberazione è
stata anche soltanto parzialmente eseguita.
Trattandosi di una previsione speciale che riduce i diritti amministrativi degli
interessati, essa dovrebbe essere interpretata in maniera del tutto restrittiva,
senza alcuna possibilità di farvi rientrare fattispecie dubbie448.
R. LENER, Commento all’art. 2379, op. cit., 575; D. SPAGNUOLO, Commento all’art.
2379-ter, in La riforma delle società, Torino, 2003, p. 384.
448
G. GUERRIERI, Commento agli artt. 2379-2379-ter, in Il nuovo diritto delle società,
Padova, 2005, p. 614.
447
286
Si pensi, ad esempio al caso di emissione di strumenti finanziari o di riduzione
obbligatoria del capitale per perdite: la mancata esplicita individuazione anche
di queste tra le ipotesi per le quali non si determina una riduzione del periodo
di impugnativa impone dì escluderle e di ritenere ad esse applicabile
l’ordinario termine triennale.
D’altronde, è ben comprensibile la ragione per la quale viene diversamente
definito il periodo di tempo concesso per l’impugnativa qualora il vizio
riguardi la mancata convocazione dell’assemblea, specie nell’ottica dei soci: in
questo caso, i soci non sono a conoscenza della stessa circostanza che
un’assemblea sia stata convocata; e, d’altro canto, i terzi non potrebbero
comunque comprendere dal contesto letterale dell’atto l’esistenza di questo
specifico vizio.
Dunque, sembra preferibile ritenere che, affinché il termine di 90 giorni
decorra
effettivamente
dall’approvazione
del
bilancio
dell’esercizio
successivo, occorrerà che dalla lettera di quel bilancio risultino elementi
sufficienti a desumere che la deliberazioni in parola sia stata assunta; in caso
contrario, il termine decorrerà dall’approvazione del bilancio dell’esercizio
ancora successivo nel quale tali dati risultano finalmente inseriti, fermo
restando il termine massimo triennale stabilito dall’art. 2370 c.c.
287
11. (Segue): Nullità delle delibere di approvazione del bilancio.
La nullità delle deliberazioni di approvazione del bilancio costituisce, nella
pratica, l’ipotesi più frequente.
È oramai orientamento consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza,
quello di ritenere che la delibera di approvazione del bilancio sia affetta da
nullità sia nel caso in cui abbia ad oggetto un bilancio falso, sia nel caso in cui
abbia ad oggetto un bilancio privo di chiarezza.
I principi e le finalità in materia di bilancio sono specificamente stabiliti dal
codice civile agli artt. 2423 e 2423-bis. In particolare, quest’ultimo fissa i
principi di redazione del bilancio, mentre l’art. 2423, 2° comma, c.c., fissa la
clausola generale secondo cui il bilancio deve essere redatto con chiarezza e
deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e
finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Da tali
disposizioni legislative la giurisprudenza ne ha tratto il principio per cui la
funzione del bilancio consiste non soltanto nel misurare gli utili e le perdite
dell’impresa al termine dell’esercizio, ma anche nel fornire ai soci e al mercato
tutte le informazioni che il legislatore ha ritenuto al riguardo di prescrivere 449.
In tale contesto, la giurisprudenza è progressivamente giunta ad affermare la
centralità del principio di chiarezza del bilancio ex art. 2423, 2° comma, c.c.,
449
Cass., 24/12/2004, n° 23976, in Mass. Gius. civ., 2004, 12; Cass., 09/06/2004, n° 10895, in
Mass. Gius. civ., 2004, 6; Cass., 27/04/2004, n° 8001, in Dir. e Gius., 2004, 104.
288
nonché a riconoscerne la piena autonomia rispetto al principio di verità, del
quale, in passato, si affermava esserne principio subordinato e strumentale.
L’orientamento prevalente oggi riconosce, da un lato, che il principio di
chiarezza è posto a tutela dell’interesse generale all’informazione sulla
situazione economica dell’impresa e, come tale, è volto a garantire l’ordine
pubblico economico per la considerazione che è conforme all’interesse dei
terzi conoscere anche come sia stato raggiunto il risultato di gestione;
dall’altro, che, nella stessa prospettiva, non essendo il principio di chiarezza né
strumentale, né secondario rispetto a quello di verità, la sua violazione rende
illecito il bilancio e nulla la deliberazione che l’ha approvato450.
Conseguentemente, si può affermare che il bilancio è contrario alla legge, per
violazione del principio di chiarezza, non solo quando tale infrazione abbia
cagionato una discrepanza tra risultato contabile esposto in bilancio e risultato
effettivo, vale a dire una correlata violazione del principio di verità, ma anche
quando semplicemente dal bilancio non sia possibile desumere l’intera gamma
delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle poste
iscritte. Tale soluzione, peraltro, è stata espressa dalle Sezioni Unite della
Secondo Cass., 29/04/2004, n° 8204, in Gius. civ., 2004, 1877, “Il principio di chiarezza
nella disciplina legale del bilancio di società non è affatto subordinato a quello di correttezza
e veridicità del bilancio medesimo. Esso, invece, è dotato di autonoma valenza, essendo
obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza
dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei
risultati conducono, in un sistema d'informazione che postula, appunto, l'idoneità dal bilancio
a rendere effettivamente fruibili per i soci e per i terzi tutte le informazioni che legge impone
di fornire loro”. Di tale avviso pure Cass., 08/08/1997, n° 7398, in Gius. civ., 1998, I, 465;
Cass., 03/09/1996, n° 8048, in RDCo., 1997, II, 103. Tra i giudici di merito, di recente, Trib.
Catania, 13/07/2004, in Gco., 2006, II, 185.
450
289
Corte di Cassazione in una pronuncia del 2000451. Si riporta di seguito un
passaggio della sentenza: “Invero, può in via di principio condividersi
l'affermazione secondo cui la violazione delle disposizioni relative alle
modalità di redazione del bilancio (nella specie, art. 2424, vecchio testo)
rende nulla la delibera di approvazione quando risultino in concreto
pregiudicati gli interessi generali tutelati dalla norma, e non anche quando
l'incidenza su di essi sia insignificante o trascurabile. Ma questo è profilo
diverso dal tema qui in trattazione. Esso concerne le ipotesi in cui la
violazione sia nella sostanza irrilevante, perché priva di reale consistenza,
meramente formale, di immediata percezione o di agevole correzione tramite
appunto le informazioni rese in assemblea. Il che può avvenire sia per il
principio di chiarezza sia per il principio di verità, prescinde dunque da
qualsiasi forma di subordinazione del primo al secondo e presuppone sempre
un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito, sulla sostanziale
inconsistenza o irrilevanza della violazione Non può esser seguito, invece,
l'indirizzo che, muovendo da un rapporto di strumentalità tra il principio di
chiarezza e quello di verità, finisce col subordinare il primo al secondo. Una
simile tesi, insostenibile dopo l'emanazione del decreto legislativo n° 127 del
1991 (v., in proposito, le puntuali osservazioni contenute nella sentenza di
questa corte n. 8048 del 1996, che si condividono), non appare accettabile
neppure alla stregua della normativa pregressa, vigente all'epoca della
451
Cass., S.U., 21/02/2000, n° 27, in Foro it., 2000, I, 1521.
290
redazione del bilancio in esame. Al riguardo si deve sottolineare che l’art.
2423, secondo comma, c.c. (vecchio testo) attribuisce specifica ed autonoma
rilevanza al principio di chiarezza, che dunque non può essere ridotto al
rango di mero elemento di supporto al principio di verità. Chiarezza, secondo
parte della dottrina, significa evidenza (v. anche l’art. 2217 c.c.) e significa
soprattutto trasparenza, intelligibilità delle strutture, analiticità delle voci in
misura adeguata alle esigenze di comprensione della composizione del
patrimonio, dell'origine del risultato e delle ragioni per le quali una certa
posta di bilancio ha acquistato la consistenza e la qualificazione che le sono
state attribuite nel documento. Peraltro, come sopra si è notato, tra le funzioni
dei bilancio c'é quella di fornire ai soci e al terzi tutte le informazioni
prescritte dalla legge, non soltanto con riferimento ai dati conclusivi ma anche
alle singole poste e al modo della loro formazione. Orbene, un bilancio poco
chiaro elude tale finalità e pregiudica, quindi, gli interessi generali tutelati
dalla normativa in materia, ancorché i dati in esso riportati non risultino,
nella loro espressione contabile, contrari al vero. D'altro canto il semplice
dato numerico é di per sé insufficiente a fornire una informazione leggibile, se
non
è accompagnato
dalla
univocità
e dalla
comprensibilità
delle
denominazioni delle voci dei conti, non meramente assertive ma dotate di
adeguata capacità dimostrativa. Non a caso, del resto, ai sensi dell’art. 2423,
terzo comma, c.c. (vecchio testo), il bilancio deve essere corredato da una
relazione degli amministratori sull'andamento della gestione sociale, il cui
291
contenuto è indicato nell'art. 2429 bis, sempre nel testo precedente alla
riforma attuata con il citato decreto legislativo n° 127/91. La funzione
illustrativa di tale documento può definirsi in re ipsa ed attesta il rilievo
attribuito dalla legge all'esigenza - rispondente ad un interesse generale e non
già del singolo socio - che le informazioni desumibili dal bilancio debbano
essere
chiare,
così
confermando
l'insostenibilità,
anche
nel
sistema
precedente, di una collocazione del principio di chiarezza in posizione di
minor importanza rispetto al principio della rappresentazione veritiera (la cui
analoga importanza non è qui in discussione)”.
Quindi, in virtù delle pregresse considerazioni e del consolidato panorama
giurisprudenziale, il bilancio di esercizio di una società di capitali, che violi i
precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, 2° comma, c.c., è
illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato
approvato, non solo quando la violazione della normativa in materia finisca per
determinare una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello
del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal
bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni
che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.
292
Considerazioni conclusive.
Il principio guida su cui ho impostato il presente lavoro, e che ho tenuto sempre in
mente quale monito per affrontare un argomento talmente ostico qual è quello della
nullità, è quello ben espresso dal brocardo latino “Omnis definitio in iure periculosa
est, parum est, enim, ut subverti possit” (Dig.50.17.202., Jovel. 1. XI Ep.).
La presente ricerca si inserisce in un contesto temporale in cui il diritto societario ha
subito un’autentica rivoluzione nella produzione di talune norme giuridiche ispirate a
criteri profondamente innovativi.
L’attuale diritto societario, disciplinante molteplici e variegati aspetti relazionali
nell’ambito dei rapporti fra le società ed al loro interno, apre nuovi scenari sinora
poco esplorati al sistema giuridico italiano, le cui dinamiche impongono il
ripensamento di alcune categorie consolidate.
E’ pur vero che le società reclamano costantemente un diritto nuovo, ma non sempre
le tecniche interpretative consentono di chiarire efficacemente l’evoluzione creativa
del diritto. E così accade, ad esempio, quando il diritto non pone nel giusto risalto la
problematica della invalidità, ingenerando, quasi, in chi si accinge ad occuparsi della
stessa, la preoccupazione di tentare di risolvere i nodi giuridici che il fenomeno della
nullità (e della annullabilità) produce all’interno del diritto societario.
In primo luogo mi si è posto il problema della qualificazione del concetto di nullità
nel diritto societario. Problema, questo, di non facile soluzione in quanto il
significato, la rilevanza e la reale portata da attribuire a tale concetto sono sempre
stati oggetto di grande dibattito tra i giuristi e gli studiosi di diritto civile.
293
Indubbiamente un approccio analitico ed un’indagine giuridica hanno comportato, in
via preventiva, l’analisi della domanda alla quale ho cercato di dare una risposta:
cos’è la nullità nel diritto societario?. Ed ancora, in che modo si può definire la
nullità e, più precisamente, la nullità societaria? “Definire” significa formulare per
mezzo di altri termini, le condizioni di applicazione di un termine452.
In vista di una simile indagine, quanto mai adatto mi è parso il brocardo sopracitato.
Ben vero, ogni definizione nel diritto civile è definibile “periculosa” e, a maggior
ragione, se si vuole indagare su di un istituto, quale è quello della nullità che, in
ambito societario, raggiunge il suo apice, per così dire, di “sovvertimento
concettuale”, rispetto alla disciplina negoziale di diritto civile, in relazione alla
tematica dell’invalidità delle delibere assembleari di S.p.A. Infatti, in tale settore
l’ordine della nullità e dell’annullabilità in relazione alla loro concreta applicazione
risulta capovolto in quanto ispirato all’esigenza di assicurare la stabilità degli assetti
societari o, in ambito di delibere assembleari, un certo grado di fermezza delle
decisioni adottate dalla maggioranza dei soci e, conseguentemente, delle situazioni
giuridiche che da tali decisioni possano derivare.
Indubbiamente in sede teorica e, avendo adottato, quale principio cardine, il succitato
brocardo latino, ho dovuto pormi il limite dell’esigenza di evitare eccessi di natura
interpretativa. Ed un eccesso, di sicuro, poteva essere quello di cedere alla tentazione
di prospettare una disciplina della nullità del diritto societario che escludesse le
U. SCARPELLI, La definizione nel diritto, in L’etica senza verità, il Mulino, Bologna, 1982,
p.206.
452
294
regole contenute negli articoli 1418 ss. del codice civile. Sarebbe stata, questa, una
interpretazione astorica: infatti la direzione della disciplina della nullità e/o
annullabilità (o, più generalmente invalidità) sono variate nel tempo senza che le
stesse siano venute meno.
Invece, un prioritario aspetto sul quale questa indagine è stata fondata è data
piuttosto dalla disciplina giuridica della nullità nel sistema del diritto societario e
della conseguente esclusione, in via di principio, di una dimensione ottimale di
regolazione di tale istituto destinata a valere in ogni tempo ed in ogni contesto
storico.
Basti pensare che l’ultimo decennio registra le novità apportate dal nuovo diritto
societario che rappresenta, sotto vari aspetti, una terapia d’urto contro le rigidità
accumulatesi nei decenni passati che sono state riviste ed alcune rimosse.
Le norme societarie dettate dal legislatore servono a scandire le modalità di condotta,
laddove vi siano interessi collettivi distinti da quelli dei soci e degli azionisti e vi
siano esigenze di garanzia degli interessi generali. Quanto detto ha comportato la fine
delle nozioni, concettualmente autonome di nullità e di annullabilità, specialmente in
seguito all’adesione del diritto interno alla concezione comunitaria di nullità (si
ricorda a proposito la Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968,
“Intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli
Stati Membri, alle società, a mente dell'articolo 58 secondo comma del Trattato, per
proteggere gli interessi dei soci e dei terzi”: la Sezione III è rubricata “Nullità della
società” e l’art. 11 della suddetta sezione prevede le cause di nullità). La riforma del
295
diritto societario (d. lgs. 17/1/2003 n.6) è abbastanza ampia da consentire
di
rideterminare il sistema di regole e di procedure attraverso il quale le imprese
vengono gestite e controllate. Il punto di partenza è il riconoscimento
dell’accentuazione dell’autonomia societaria, che è alla base della libertà contrattuale
ed è estesa fino a comprendere il suo intervento anche di fronte a cause di nullità e di
annullabilità determinate legislativamente.
Quindi, indagando sulle ragioni di questi principi e delle diverse esigenze di tutela,
rispetto alla disciplina negoziale, che stanno alla base della disciplina societaria, il
mio obiettivo primario è stato quello di comprendere se ancora oggi è possibile
parlare di nullità nel diritto societario e, più precisamente, se gli elementi che
caratterizzano la disciplina dell’invalidità nel diritto societario consentano di poter
giungere ad una determinazione del concetto di nullità senza, mi si passi il termine,
“storpiature” che lo possano allontanare drasticamente a quella che ne rappresenta la
tradizionale qualificazione giuridica.
In tale contesto ha preso forma anche la mia intenzione di ampliare i confini della
presente ricerca.
Si sa, infatti, che le regole giuridiche frequentemente non rispettano i confini
nazionali. Di conseguenza mi è sembrato opportuno, onde configurare nella
dimensione migliore, la fattispecie della nullità all’interno del diritto societario
italiano, svolgere la mia analisi e sviluppare le mie riflessioni anche guardando allo
scenario offerto da un ordinamento giuridico di Common Law, quale risulta
dall’esame del Companies Act inglese che, lungi dall’inquadrare la tematica in rigide
296
sistematiche posizioni, offre pratiche soluzioni ispirate alle esigenze dinamiche che
la materia postula.
Certamente il mio obiettivo non è stato quello di intraprendere la via della
comparazione giuridica (anche perché il nuovo ed imprescindibile termine di
raffronto fra ordinamenti è il diritto dell’Unione Europea), bensì accertare, da un
lato, se le figure di nullità abbiano nel diritto societario italiano la classica
tradizionale qualificazione giuridica e, dall’altro, se via sia una coincidenza di
significati nel diritto societario di tradizione latina e quello di Common Law; cioè,
più precisamente, elaborando il diritto di due ordinamenti giuridici così diversi,
mettere in rilievo se “stesse figure giuridiche” abbiano, o meno, lo stesso significato
e la stessa finalità nel diritto societario.
In definitiva, attraverso il lavoro intrapreso, sono state poste in rilievo luci e,
soprattutto, ombre di un impianto normativo che allo stato attuale non convince
affatto la maggior parte degli studiosi di diritto e che risulta ancora permeato da
quello stato di incertezza che il legislatore, mediante la Riforma del 2003, aveva
cercato di eliminare proprio con l’introduzione del sistema di invalidità delineato
dagli art. 2377 ss. del codice civile.
297
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Edinburgh and District Aerated Water Manufacturers Defence Association vs.
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Hammond vs. Prentice Brothers Ltd, in Law Reports: Chancery Division, 1,
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In Re National Debenture and Assets Corporation, in Session Cases, 1923.
IRC vs. National Federation of Self-Employed and Small Businesses Ltd, in
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Jubilee Cotton Mills Ltd vs. Lewis, in Appeal Cases, 1924.
O'Reilly vs. Mackman, in English Report, 1982.
Princess of Reuss vs. Bos, in Appeal Cases, 1871.
R. vs. Registrar of Companies, ex parte Bowen, in King’s Bench (Divisional
Court), 1914.
R. vs. Registrar of Companies, ex parte Central Bank of India, in Quarterly
Bullettin, 1986.
R. vs. Registrar of Companies, ex parte Esal (Commodities) Ltd, in English
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R. vs. Registrar of Companies, ex parte HM’s Attorney General, in Appeal
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R. vs. Registrar of Joint Stock Companies, in King’s Bench Report, 2, 1931.
Salomon vs. Salomon & Co., in Appeal Cases, 1897
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Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385, “Testo Unico delle Leggi in materia
Bancaria e Creditizia”, in Gazzetta Ufficiale n. 230 del 30 settembre 1993.
Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, “Testo Unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6
febbraio 1996, n. 52”, in Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 1998, n. 71.
Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, “Definizione dei procedimenti in materia
di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e
creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366”, in
Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003.
Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, “Modifiche ed integrazioni ai
decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del
diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo
unico dell’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24
febbraio 1998”, in Gazzetta Ufficiale n. 37 del 14 Febbraio 2004.
Legge 24 novembre 2000, n. 340, “Disposizioni per la delegificazione di norme e per
la semplificazione di procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1999”,
in Gazzetta Ufficiale n. 275 del 24 novembre 2000.
Legge 3 ottobre 2001, n. 366, “Delega al Governo per la riforma del diritto
societario”, in Gazzetta Ufficiale n. 234 dell’8 ottobre 2001.
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323
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