Assodato che grazie alle scelte linguistiche e comunicative abbiamo una via percorribile per modulare la reazione al criticismo intergruppi, si rivelano interessanti le numerose ricerche compiute negli anni relative all'uso astratto oppure concreto del linguaggio. Le persone infatti utilizzano continuamente verbi o aggettivi per descrivere altre persone oppure eventi interpersonali. Ed proprio attraverso lo strumento del linguaggio infatti che possono essere veicolati stili tendenziosi di descrizione dell'ingroup e dell'outgroup a seconda del livello di astrazione con cui viene proposta la descrizione stessa. Secondo il modello del Linguistic Intergroup Bias (LIB) infatti i comportamenti positivi dell'ingroup e quelli negativi dell'outgroup tendono ad esssere descritti in termini relativamente astratti. Questa scelta linguistica veicola implicitamente un messaggio, ovvero quello che lo specifico episodio è la manifestazione di una più generale modalità di comportamento di chi compie l'azione. Avviene invece la condizione opposta quando si devono descrivere i comportamenti negativi dell'ingroup e quelli positivi dell'outgroup: in questo caso infatti la scelta ricade su una terminologia concreta. per escludere o rendere poco probabile una generalizzazione dell'episodio. Il Linguistic Category Model Gia Semin e Fiedler (1988, 1992) parlando di categorie linguistiche avevano messo in luce che il linguaggio non è un semplice canale attraverso il quale viaggiano informazioni ma è uno strumento che chi parla usa, in maniera non sempre consapevole, per suggerire interpretazioni ed assunzioni. L’utilizzo in prevalenza di determinate categorie linguistiche piuttosto che altre implica quindi una serie di inferenze che contribuiscono a suggerire differenti letture delle situazioni sociali. Il modello, denominato per l'appunto Linguistic Category Model, definisce cinque diverse categorie linguistiche che appartengono ad un continuum concreto-astratto, del quale i DAV costituiscono la categoria più concreta e gli aggettivi quella più astratta. Verbi descrittivi di azione (DAV): descrivono un'azione specifica che ha un inizio ed una fine chiari. Sono verbi che non hanno di per sé una valenza positiva o negativa e fanno riferimento ad un oggetto e ad una situazione specifici. es. chiamare, incontrare, baciare. Verbi interpretativi d'azione: hanno un’azione con inizio e fine chiari e descrizcono una situazione specifica. Danno però anche un’interpretazione di questa in termini di positività o negatività. Come i DAV fanno riferimento ad un oggetto e ad Verbi interpretativi di azione (IAV): ad esempio tradire, aiutare. Descrivono anch’essi una situazione specifici. Verbi di stato (SV): ad esempio odiare, amare, rispettare. Riferiti a stati mentali non direttamente osservabili, non necessitano di essere riferiti ad un contesto specifico. Si riferiscono a stati mentali ed emozionali o ai cambiamenti al loro interno: questi verbi si riferiscono sia a stati cognitivi che a stati affettivi. Aggettivi (ADJ): Sono scollegati da un comportamento specifico. Fortemente connotati in senso positivo o negativo, suggeriscono forti interpretazioni sui tratti della persona a cui si riferiscono. A differenza dei verbi di stato che sottolineano lo stato psicologico di una persona, questi ne richiamano le caratteristiche generali. Uno stesso episodio di interazione fra due personaggi (Anna e Luca) può essere quindi descritto in diversi modi:se Anna percuote fisicamente Luca, si può infatti asserire che "Anna colpisce Luca" utilizzando così un verbo descrittivo d'azione. Ma possiamo anche dire che "Anna fa male a Luca": in questo caso la scelta è rivolta ad un verbo interpretativo d'azione che rimanda ad una classe più generale di comportamenti. Facendo ricadere la scelta linguistica su un verbo di stato, l'azione diventa "Anna odia Luca": a questo livello il legame con l'azione concreta scema a discapito dello stato psicologico dell'agente, ovvero Anna. Descrivendo l'azione con il più alto livello più alto di astrazione, si dirà "Anna è aggressiva": attraverso l'utilizzo di un aggettivo, viene descritta una caratteristica della persona che si presume essere stabile ed il legame con l'episodio specifico è minimo. L'utilizzo di una categoria linguistica piuttosto di un'altra è in grado di stimolare una serie di inferenze da parte di chi le riceve (Semin, 2001). In particolare vi sono quattro aspetti implicati: in primis, il grado in cui si tende a fare inferenze disposizionali piuttosto che inferenze situazionali, attribuendo così la causalità di un evento a caratteristiche intrinseche della persona o a caratteristiche della situazione; il secondo aspetto riguarda invece la facilità con cui si può confermare o smentire le affermazioni costruite con queste parole. La categoria linguistica utilizzata è in grado di influenzare infine anche la percezione della durata dell’evento interpersonale descritto ed infine la probabilità che l’evento stesso si ripeta. Il bias linguistico intergruppi Ma come può aiutarci il modello delle categorie linguistiche aiutarci a comprendere le situazioni intergruppi? Maass (1989) ha dimostrato l'esistenza di un bias linguistico intergruppi (BIS): immaginiamo di trovarci di fronte ad un episodio, un soggetto potrà utilizzare diverse formula linguistiche per descriverlo e presumibilmente questa scelta sarà influenzata anche dalla desirabilità sociale del comportamento e della categoria di appartenenza di chi l'ha messo in atto. Immaginiamo quindi Anna che fa un prestito a Paolo. Se il comportamento viene descritto da un membro del gruppo di Anna, presumibilmente la descriverà asserendo che "Anna è altruista". Lo stesso comportamento descritto da un membro di un gruppo esterno diventerà "Anna ha dato temporaneamente del denaro ad un'altra persona". Come sottolineato da Arcuri (1998), nessuna di queste descrizioni dicono il falso o celano parti di verità: sono invece le implicazioni psicologiche che da esse derivano ad essere profondamente diverse. Infatti, come già espresso, tramite formule astratte vengono descritti i comportamenti positivi dell'ingroup e quelli negativi dell'outgroup per suggerire che essi esprimano delle caratteristiche stabili degli attori coinvolti. Attraverso le formule concrete, invece, vengono descritti i comportamenti negativi dell'ingroup e quelli positivi dell'outgroup per suscitare l'impressione che la condotta messa in atto sia dotata di poca stabilità e scarsamente predittiva di comportamenti futuri. Quest'utilizzo strategico del linguaggio, ci ricorda un altro processo molto caro alla psicologia sociale; mi riferisco all'errore fondamentale di attribuzione, ovvero quel processo indagato da Pettrigrew (1979) secondo cui quando un membro del proprio gruppo compie un comportamento positivo o di successo, questo viene attribuito a cause disposizionali del protagonista, mentre lo stesso comportamento positivo da parte di un membro dell’out-group viene spesso sminuito attribuendolo a fattori esterni. Il contrario si verifica per azioni negative, che vengono più facilmente attribuite a cause interne quando il protagonista appartiene all’outgroup che quando fa parte dell’ingroup. Maass, Corvino e Arcuri (1994) hanno dimostrato sperimentalmente il fenomeno attraverso l'analisi linguistica delle cronache pubblicate a seguito di un episodio di intolleranza avvenuto durante una partita di basket agli inizi degli anni '80. Durante la partita, che vedeva contrapposte l'italiana Ignis Varese e la squadra israelina Maccabi di Tel Aviv, gruppi di teppisti neofascisti hanno rivolto violenti slogan antisemiti ed esposto striscioni con simbologia nazzista. L'evento, ripreso in diretta Tv ha suscitato molto scalpore in tutta Europa e ne è seguito l'interessamento delle testate giornalistiche italiane. I ricercatori hanno quindi voluto confrontare il modo con cui questo episodio di intolleranza veniva descritto dalla stampa italiana non ebrea, e da quella sempre di lingua italiana, della comunità ebraica. Attraverso l'analisi delle frasi che si riferivano agli aggressori o alle vittime, classificandole quindi in base al loro grado di astrazione linguistica. Se tutte le testate giornalistiche prese in considerazione nello studio esprimevano solidarietà nei confronti egli atleti del Maccabi e sdegno e riprovazione verso i teppisti, una grossa differenza si è trovata esattamente nel grado di astrazione linguistica utilizzato: nelle testate ebree le frasi sull'aggressione erano espresse in forma astratta quattro volte di più rispetto alle testate non ebree. Ed inoltre anche l'inclinazione politica non portava grosse differenze nella descrizione dei comportamenti delle vittime, il livello di astrazioni utilizzato coincideva in larga parte. Questi dati secondo Arcuri (1998) suggeriscono quindi il forte legame che intercorre tra stereotipi, favoritismo intragruppo e linguaggio: quando emergono condizioni di confronto e si fanno pressanti le motivazioni che inducono alla protezione dell'immagine del proprio gruppi, le persone sono in grado di variare le formulazioni linguistiche in modo sottile, indiretto e non necessariamente consapevole. Wigboldus, Semin e Spears (2000) per spiegare il fenomeno hanno introdotto un ulteriore concetto, quello di bias linguistico d'aspettativa (LEB). Più generale rispetto al concetto di bias linguistico intergruppi, questo principio mette in luce come un comportamento che è coerente con le aspettative, viene descritto con un grado di astrazione maggiore rispetto ad un comportamento non conforme alle aspettative. E' interessante notare inoltre che il bias linguistico d'aspettativa opera anche al di fuori di uno specifico contesto intergruppo. Come già evidenziato quindi è importante tenere in considerazione che l'astrazione linguistica è correlata con le aspettative, sia nei confronti dei gruppi, sia nei confronti degli individui: in questa direzione è interessante notare quanto emerso da uno studio di Wenneker e Wigboldus (2005), dove i partecipanti presentavano un bias linguistico intergruppo e di aspettativa solo se l'informazione sull'appartenenza di gruppo o categoriale veniva data prima di quella comportamentale.