Introduzione
Introduzione alla tesina “ILLUSIONE”
Filosofia
Arthur Schopenhauer
Italiano
Giacomo Leopardi
Latino
Lucio Apuleio
Inglese
Oscar Wilde
Storia dell’arte
Renè Magritte
Scienze
Le costellazioni
Storia
I totalitarismi
Fisica
Riflessione totale
Conclusione
Bibliografia
ILLUSIONE
1. errore, inganno dei sensi per cui la falsa impressione viene creduta
realtà: la prospettiva dà l’illusione della profondità; illusione
ottica, caratteristica deformazione di immagini, puramente
soggettiva, dovuta alla struttura particolare dell’oggetto
osservato o alle condizioni di illuminazione.
2. ingannevole rappresentazione della mente che immagina la realtà
secondo i propri desideri e le proprie speranze, non quale essa è
effettivamente: vivere d’illusioni; farsi delle illusioni, sperare invano.
Da come si è ormai inteso, il tema della mia tesina è l’illusione; ho scelto proprio questo argomento in
quanto tutto intorno a noi è illusione. Noi magari non ce ne accorgiamo, o non vogliamo rendercene
conto, ma basta una visione più attenta per intuirlo.
 Chi non ha mai creduto di essere stato illuso magari perché si aspettava una determinata cosa che
poi non si è mai realizzata?
 Chi invece non ha mai pensato di illudersi, ingannando se stesso e ben sapendo che invece
purtroppo la realtà era ben diversa?
 Chi non ha mai visto un illusionista al lavoro, mentre cerca di strabiliare il pubblico con i suoi giochi di
magia?
 Chi altro non si è mai stupito vedendo una serie di illusioni ottiche, come ad esempio i miraggi, che
fanno percepire una realtà diversa da quella che si crede possibile?
 Chi infine non ha mai alzato gli occhi al cielo chiedendosi se le stelle che formano le costellazioni
siano davvero in quelle posizioni oppure no?
Le illusioni sono ovunque intorno a noi. Basta soltanto cercare!!
Arthur SCHOPENHAUER
Il mondo della rappresentazione come
“velo di maya”
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Per Kant il fenomeno
è la realtà, l’unica realtà accessibile alla mente umana; e il noumeno è un concetto-limite che serve per ricordarci i limiti
della conoscenza. Nella prima versione della “Critica della Ragion Pura” per Kant il fenomeno è rappresentazione, mentre
nella seconda versione, è l’oggetto della rappresentazione. Schopenhauer preferisce la prima e secondo lui, il fenomeno è
parvenza, illusione, sogno, ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana è detto “velo di Maya” (Maya: apparenza, termine
orientale in sanscrito); il noumeno invece è una realtà che si nasconde dietro l’ingannevole trama del fenomeno, e che il
filosofo ha il compito di scoprire. Schopenhauer quindi riconosce il concetto di fenomeno alla filosofia indiana e buddistica.
Mentre per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione, che esiste fuori dalla coscienza, il fenomeno di cui
parla Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo dentro la coscienza. Egli crede di poter esprimere l’essenza del
kantismo con la tesi, che apre il suo capolavoro, secondo cui “il mondo è una mia rappresentazione”. La rappresentazione
è il “velo di Maya”, quindi un inganno.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della
conoscenza: da un lato c’è il soggetto rappresentante (ciò che tutto conosce senza essere conosciuto da nessuno),
dall’altro c’è l’oggetto rappresentato (ciò che viene conosciuto). Soggetto e oggetto esistono soltanto all’interno della
rappresentazione e nessuno dei due precede o può esistere indipendentemente dall’altro. Il materialismo è falso perché
nega il soggetto riducendolo all’oggetto o alla materia. L’idealismo di Fichte è lo stesso scorretto perché compie il tentativo
opposto e ugualmente impossibile di negare l’oggetto riducendolo al soggetto.
La rappresentazione si basa su forme a priori, che per Schopenhauer, a differenza di Kant, sono solo tre: spazio, tempo e
causalità. Quest’ultima è l’unica categoria, in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa. La causalità assume forme
diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale. Il principio
di ragion sufficiente assume forme diverse in relazione al principio del divenire (che regola i rapporti fra gli oggetti naturali),
del conoscere (che regola i rapporti fra premesse e conseguenze), dell’essere (che regola i rapporti spazio-temporali e le
connessioni aritmetico-geometriche) e dell’agire (che regola le connessioni fra un’azione e i suoi motivi).
Schopenhauer considera la rappresentazione ingannevole, traendo la conclusione che la vita è “sogno”, cioè un tessuto di
apparenze o una sorta di “incantesimo”, che fa di essa qualcosa di simile agli stati onirici. La coscienza filosofica si accorge
di essere dentro a un sogno. L’idea che il mondo sia un’illusione è tipica delle filosofie indiane, con l’idea di Brama che si
addormenta e sogna il mondo. Se il mondo è un’illusione, non può esserci felicità, ma solo dolore.
Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi. Infatti Schopenhauer
sostiene che l’uomo è un “animale metafisico”, che a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria
esistenza e ad interrogarsi sull’essenza ultima della vita. Ciò avviene proporzionalmente alla sua intelligenza.
GIACOMO LEOPARDI
LA VISIONE PESSIMISTICA DI UNA
NATURA ILLUSORIA
Nel 1817 Leopardi scrive le proprie riflessioni su un quaderno che chiamerà “Zibaldone di pensieri”, a indicare un insieme
eterogeneo su argomenti vari. Non è un opera letteraria, ma un diario privato. Quest’opera è però molto importante per
costruire la formazione e l’evoluzione del suo pensiero. La scrittura è diretta e colloquiale con abbreviazioni e simboli, un
vero e proprio diario non destinato alla pubblicazione.
Nello “Zibaldone” troviamo molte citazioni sull’argomento delle illusioni:
<<La ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è
grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto più difficilmente sarà
grande, quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi possono esser grandi […] se non
sono dominati dalle illusioni […]. La natura dunque è quella che spinge i grandi uomini alle
grandi azioni. Ma la ragione li ritira: è però la ragione nemica della natura; e la natura è grande,
e la ragione è piccola […]. E queste e quelle derivano dai progressi della ragione e della civiltà,
e dalla mancanza o indebolimento delle illusioni, senza le quali non ci sarà quasi mai grandezza
di pensieri, né forza e impeto e ardore d’animo, né grandi azioni che per lo più sono pazzie […].
Non c’è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono le
barbarie, e un popolo oltremodo illuminato non diventa mai civilissimo, come sognano i filosofi
del nostro tempo […]. La più gran nemica della barbarie non è la ragione ma la natura […]: essa
ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile […].
Le illusioni sono in natura, inerenti al sistema del mondo, tolte via affatto o quasi affatto, l’uomo è
snaturato; ogni popolo snaturato è barbaro, non potendo più correre le cose come vuole il
sistema del mondo […]. Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni.>>
La prima fase del suo pensiero (quella appunto dello “Zibaldone”), viene definita “pessimismo storico” (Zibaldone anni 1718; Canzoni Civili e Idilli) perché l’infelicità umana è legata alla storia e al progresso. Leopardi concepisce la natura come
entità positiva, in quanto secondo lui essa fornisce all’uomo le illusioni che lo rendono capace di compiere azioni generose;
per questo gli antichi Greci e Romani erano più felici dei moderni, perché più vicini alla natura. La civiltà (il frutto della
ragione umana) ha allontanato gli uomini dalla natura, per cui gli uomini moderni non hanno più quelle illusioni che
rendevano felici gli antichi. La scienza e la filosofia hanno mostrato in chiave scientifica all’uomo la realtà delle cose,
togliendogli ogni illusione e mettendolo di fronte alla cruda verità. La vita dell’uomo moderno è quindi caratterizzata
dall’egoismo e dalla corruzione dei costumi. Il pensiero leopardiano si sviluppa con contrapposizioni tra la natura (positiva)
e il progresso (negativo).
LUCIO APULEIO
“LE METAMORFOSI”
L’ILLUSIONE DELLA MAGIA
Il capolavoro di Apuleio è il romanzo “Le Metamorfosi”, conosciuto anche come “L’asino
d’oro”, titolo non originario tramandato da Agostino in poi. Non si sa quando quest’opera sia
stata scritta, ma è posteriore al “De Magia”, perché nel “De Magia” non c’è alcun riferimento
a quest’opera. È l’unico romanzo della letteratura latina ad esserci arrivato completo (il
Satirikon di Petronio infatti ci è giunto in maniera frammentaria). Il romanzo era un genere
presente nella letteratura greca, caratterizzata da avventure e viaggi, ingredienti che
troviamo anche in questo romanzo. Oltre alla tradizione del romanzo greco, c’è un rapporto
anche con le “Fabulae Milesiae”, di argomento erotico, ma “Le Metamorfosi” sono più
complesse e ampie di una novella milesia.
Struttura. Ci sono 11 capitoli, che possono essere suddivisi in 3 sezioni.
1) (primi tre libri) – Il tema dominante è la curiosità nei confronti della magia. Il protagonista
Lucio che narra in prima persona la propria storia, ci dice che durante un viaggio in Tessalia,
regione nota per la presenza di famose maghe, è preso dalla curiosità nei confronti della
magia e vuole imparare quest’arte. Durante il viaggio giunge a Ipata, dove viene ospitato da
Milone, marito di una maga. Per cercare di venire a contatto diretto con lei, Lucio ha una
relazione con una serva (Fotide) e riesce a convincere la maga a provare su di lui gli effetti
della magia, chiedendole di trasformarlo in un uccello; qualcosa però non funziona e Lucio si
ritrova trasformato in asino.
2) (dal quarto al decimo libro) – Questa parte è più ampia e più ricca di avventure. Lucio,
diventato asino, comincia a vivere una serie di avventure. Una banda di briganti lo porta con sé; qui sente raccontare la
favola di “Amore e Psiche” da un’anziana donna che deve custodire una fanciulla rapita dai briganti: questa novella è
un’allegoria dell’intero romanzo. La donna racconta che in una città fantasiosa vivevano un re e una regina con tre figlie.
La più piccola si chiamava Psiche (in greco = anima), così bella da far ingelosire Venere. A causa di ciò, un oracolo diede
al re un responso secondo il quale la figlia sarebbe stata portata su una roccia per essere divorata da un drago. Ma per
fortuna di Psiche, il figlio di Venere, Amore, si innamorò di lei e la portò in un castello incantato per sposarla, ma con una
clausola: Amore avrebbe incontrato Psiche solo di notte e lei non avrebbe mai dovuto vederlo. Dato che la fanciulla
durante il giorno era sola nel castello, ebbe il permesso di portare con sé anche le due sorelle, che la istigarono a non
obbedire all’ordine di Amore e di cercare invece di vederlo. Una notte, mentre Amore
dormiva, Psiche iniziò a contemplarlo, innamorandosene. Una goccia d’olio della
lampada però, cadde su di lui, svegliandolo; Amore fugge e Psiche, per rintracciarlo,
dovette superare quattro prove, decise da Venere. L’ultima consisteva nello scendere nel
regno dei morti e chiedere a Proserpina un unguento che avrebbe permesso a Venere di
conservare per sempre la sua bellezza. Psiche riuscì ad ottenerlo, ma è vinta dalla
curiosità (stesso difetto di Lucio) e aprì la boccetta: il profumo che scaturì da essa la fece
cadere in un sonno profondo. A questo punto intervenne Amore, che riuscì a salvarla e i
due riuscirono a sposarsi (l’intervento di amore corrisponde all’intervento della dea Iside
che successivamente avrebbe salvato Lucio).
Le avventure dell’asino procedono: riesce a fuggire dai briganti ma passa di mano in
mano, prima da dei sacerdoti, poi da un mugnaio,da un ortolano, da un soldato, da un
cuoco, da un pasticcere…. Alla fine giunge in un anfiteatro dove avrebbe dovuto
congiungersi ad una donna condannata a morte. Ma mentre è condotto all’anfiteatro,
temendo di essere gettato in pasto alle belve, fugge gettandosi nel mare vicino Corinto.
Qui invoca la Luna, simbolo di Iside, che decide di aiutarlo, rivelandogli che per
riacquisire sembianze umane, dovrà mangiare delle rose.
Questa sezione è la più movimentata dell’opera, in cui le vicende di Lucio si susseguono senza ordine. Da quando egli è
stato trasformato infatti, è in balia delle volontà altrui: di qui il senso disordinato delle vicende. Perdendo la ragione, Lucio è
in balia del caos, incapace di dare un senso alla propria vita.
3) (undicesimo libro) – Questa sezione sembra distaccata rispetto alle altre parti ma in realtà spiega il senso di tutta l’opera.
Dopo l’intervento di Iside, Lucio diventa un suo devoto e viene iniziato ai misteri della
dea a Corinto. Per completare la sua iniziazione, si reca a Roma diventando un devoto
anche di Osiride. Il romanzo si conclude con un riferimento autobiografico: al sacerdote
di Osiride appare il dio in sogno, che gli comunica l’arrivo di un abitante di Madauro
(Apuleio appunto) che vorrà anche lui essere iniziato ai misteri di Osiride.
Lucio, a causa della sua curiosità per la magia è caduto in balia del caos, e solo grazie
ad Iside ha potuto riprendere le sue sembianze.
il romanzo ha un duplice fine: procurare divertimento (ci sono anche novelle erotiche) e
proporre una via di salvezza (intento edificante). Viene messo l’accento sul fatto che la
salvezza avviene solo per intervento della divinità. La conclusione benevola del romanzo
quindi non avviene per intervento dell’uomo, ma per un dono gratuito della divinità.
Stile e lingua. Lo stile di Apuleio è molto raffinato e anche artificioso, non è naturale. Il linguaggio è vario: utilizza parole
arcaiche, poetiche, rare, insolite, espressioni desuete, neologismi, accanto a parole volgari e di uso colloquiale. Ci sono
numerose figure retoriche come similitudini, metafore e perifrasi. È studiata la disposizione delle parole all’interno della frase
e sono presenti anche effetti fonici, allitterazioni, anafore, giochi di parole e omoteleuti (parole che hanno suoni simili). Lo
stile di Apuleio è molto ricercato ed originale.
OSCAR WILDE
“THE PICTURE OF DORIAN GRAY”
THE ILLUSION OF THE TRIUMPH OF ART OVER LIFE
Aestheticism. Wilde became particularly well known for his role in the
Aesthetic and Decadent movements.
Wilde was deeply impressed by the English writers John Ruskin and Walter
Pater, who argued for the central importance of art in life.
The Aesthetic movement can be traced back to the Renaissance but it
influenced especially the Romantic period, with its cult of beauty and the
awareness of the contrast art-life. This movement reflects the sense of
frustration of the artist, his reaction against materialism. The most famous
personality of the Aesthetic movement was Oscar Wilde. In the middle of
the 19th century John Ruskin protested against the indifference of the
materialistic Victorian society to art and the beautiful. Ruskin worshipped
beauty and insisted on the idea that a work of art is an expression of the
spirit. He supported the Pre-Raphaelites, a group of artist who rejected
academic art in favour of the spontaneity and the spirituality of Italian
painters before Raphael. Swinburne was influenced by them and by French
writers. Gautier advocated “Art for Art’s sake”, and believed in the power of
beauty. Baudelaire (Les Fleurs du Mal) created analogies between colours,
sounds and perfumes, so that he inspired the Symbolist movement. Walter
Pater is considered the high priest of the Aesthetic movement, but all these
artists were convinced that art hadn’t a didactic aim. Art didn’t explain life
but it was life that imitated it. Sensations are to be found in art. The
Aesthetes rejected the idea that art must be didactic, asserting the
superiority of art over life, and their supreme aim was the cult of beauty, to
reach a new creed: the spiritualization of the senses. The artistic values are
the only real values. Another important feature is the importance of the
individual experience of the artist.
Oscar Wilde.
Oscar Wilde is considered an “eclectic” author. Each of his works is full of
originality, of wit, brilliant expressions. His name is closely associated with the
Aesthetic Movement. He constantly challenged the conventions of his time
and cultivated an extravagant style of living (dandy). The work which best
expresses the Aesthetic creed is “The Picture of Dorian Gray”, a strange novel
that was greatly influenced by Huysmans’ “A Rebours” (the yellow book that
Lord
Henry
gives
Dorian).
The novel tells of a
young man named
Dorian
Gray,
the
subject of a painting
by
artist
Basil
Hallward. Dorian is
selected
for
his
physical beauty, and
Basil
becomes
strongly
infatuated
with Dorian, believing
that his beauty is
responsible for a new
mode of art. Talking in
Basil's garden, Dorian
meets
Lord
Henry
Wotton, a friend of
Basil's, and becomes
enthralled by Lord Henry's world view. Espousing a new kind of
hedonism, Lord Henry suggests that the only thing worth pursuing in
life is beauty. Realising that one day his beauty will fade, Dorian cries
out, wishing that the portrait Basil painted would age rather than
himself. The portrait is the mirror of his soul: what he does is reflected
in it.
The final stubbing of the picture and subsequent inversion of the roles
can be considered as the triumph of art over life, but it can also signify the impossibility of a life searching sensual and
intellectual delights with no acceptance of moral responsibility.
RENè MAGRITTE
Contrasto tra realtà e rappresentazione:
“La condizione umana II” e “Il tradimento delle immagini”
René Magritte (1898-1967), pittore belga, è una figura di spicco del movimento surrealista. Dopo gli studi all’Académie
Royale des Beaux-Arts di Bruxelles, si interessa al cubismo e al futurismo. Nel 1923 scopre la pittura di De Chirico, che
influenza profondamente la sua opera. Nel 1926 entra in contatto con André Breton e si unisce al gruppo surrealista
parigino.
Rappresentando soggetti tratti dalla realtà quotidiana in contesti insoliti, realizza dipinti pervasi da una sottile inquietudine.
Le sue composizioni, rese con molta precisione, suggeriscono talvolta interessanti nessi tra il mondo degli oggetti e quello
dei nomi: grazie a un’aura di umorismo e di assurdo, le opere di Magritte creano una sorta di “realismo magico”, dalle
implicazioni talvolta erotiche.
Partendo dalla convinzione che il linguaggio, abitualmente impiegato per descrivere la realtà, non può in effetti che dare
luogo a un’infinita serie di fraintendimenti, Magritte decide di porre in luce questo paradosso. Egli lo fa attraverso immagini
quanto più possibile esplicite: tanto più esse saranno riconoscibili quanto più sarà evidente la loro intrinseca insufficienza
rappresentativa.
Magritte ne “La condizione umana II” rappresenta un interno con un arco aperto sul mare; nella stanza c’è un cavalletto
con una tela, dove vi è dipinta una marina che continua la figura della spiaggia, delle onde, del cielo. A terra c’è una
palla; il piano del pavimento continua nella spiaggia. C’è ambiguità tra l’immagine della realtà (il quadro) e l’immagine
dell’immagine (il quadro nel quadro). Il dipinto è veristico e l’inganno ottico diventa inganno psicologico. La palla può
rotolare, su questi piani, dovunque, nello spazio reale e nell’illusorio. Il pittore gioca con il rapporto tra immagine
naturalistica e realtà come fanno i dadaisti, proponendo immagini dove il quadro nel quadro ha lo stesso aspetto della
realtà a tal punto che si confonde con essa.
Nel dipinto “Il tradimento delle immagini”, possiamo notare una tavola che raffigura una pipa, ma l'immagine è
accompagnata da una didascalia che recita “Ceci n'est pas une pipe” (questa non è una pipa). Il pittore intende con ciò
sottolineare l'estraneità tra oggetto, parola e immagine: l'oggetto sul dipinto non è una pipa, ma la sua rappresentazione; e
la stessa parola “pipa” non è una pipa. Ecco il contrasto tra le cose e segni nella vita di ogni giorno.
Magritte dichiara che i dipinti non sono realtà ma rappresentazione: toglie i punti fermi per far si che l’osservatore non sia
più sicuro di quello che vede.
IL TRADIMENTO DELLE IMMAGINI
LA CONDIZIONE UMANA II
LE COSTELLAZIONI
LA POSIZIONE APPARENTE DELLE STELLE NELLE VARIE COSTELLAZIONI
Quante volte ci siamo chiesti cosa si celasse dietro a quella sottile fascia di stelle che tutte le
sere ci affascina con il suo splendore?
Fin dall’antichità l’uomo immaginò di vedere nel cielo notturno le figure dei mitici eroi o dei leggendari animali di cui si
tramandavano le imprese. In realtà la disposizione delle stelle più brillanti (visibili ad occhio nudo), tale da dare l’impressione
di un preciso disegno, è un fatto puramente prospettico in quanto le stelle, nella maggior parte dei casi, si trovano a
distanze molto diverse e spesso alcune di loro appaiono particolarmente luminose per il solo fatto che si trovano più vicine
a noi. Si tratta quindi di raggruppamenti ideali, a cui in genere non corrisponde un legame di tipo fisico.
Tuttavia, l’uso di raggruppare le stelle in “costellazioni” si è rivelato molto utile ed è continuato nel tempo, e il fatto di
saperle riconoscere a colpo d’occhio (almeno le più importanti) è la prima cosa da imparare per chi si interessa di
astronomia per avere dei precisi punti di riferimento nel cielo.
Nella moderna astronomia, il cielo viene suddiviso in 88 costellazioni, la maggior parte delle quali ha mantenuto il nome che
era stato attribuito dagli antichi, generalmente ispirato alla mitologia greca e araba. Sin dai tempi più antichi hanno
sollecitato la fantasia dell'uomo che vi ha rintracciato delle forme e dei significati astrologici.
Sia le stelle che la Terra si muovono, ma le distanze sono tali che occorrono alcune decine di migliaia di anni perché una
costellazione si deformi, modificando sensibilmente il suo disegno schematico. Nel corso della sua vita l'uomo vede sempre
lo stesso disegno; una deformazione in realtà avviene, ma è troppo ridotta perché l’occhio umano sia in grado di coglierla.
L'espressione “stelle fisse”, coniata dagli antichi e ancor oggi usata molto spesso, si riferisce a questa caratteristica di
apparente indeformabilità delle costellazioni.
Tra le varie costellazioni ve ne sono 12 che rappresentano i segni dello
zodiaco a cui l'astrologia attribuisce delle influenze sul comportamento
e la vita dell'uomo che non hanno però nessun fondamento scientifico.
La variazione di posizione rispetto alla Terra delle costellazioni e il loro
moto sono molto lenti rispetto alla vita dell'uomo, tanto che la loro
posizione attuale è rimasta sostanzialmente la stessa dell'antichità.
La posizione delle costellazioni nel cielo non è uguale in tutti i periodi,
ma a causa della rotazione della Terra attorno al Sole essa cambia
leggermente di notte in notte, fino a compiere una rotazione completa
in un anno: abbiamo così le costellazioni primaverili (cioè visibili in
primavera), quelle estive, e così via. Ciò accade perchè, ad esempio
d’estate, le costellazioni invernali si trovano verso la faccia della Terra
illuminata dal Sole, cioè sarebbero visibili di giorno.
Ma anche nel corso di una sola notte, le costellazioni compiono l’intero
viaggio attraverso il cielo, sorgendo ad est e tramontando ad ovest,
allo stesso modo in cui si muovono nel cielo la Luna ed il Sole.
Il punto attorno a cui ruota apparentemente tutta la volta celeste, e
che quindi si trova sempre nella stessa posizione a qualunque ora e in
qualunque stagione, è il Polo Nord celeste e corrisponde
approssimativamente alla stella Polare, nella costellazione dell’Orsa
Minore.
In questa immagine si può vedere come gli astri si muovano
“circolarmente” sulla sfera celeste. La foto, infatti, è stata scattata
puntando la stella Polare (la stella più luminosa del piccolo carro ma non la
più luminosa del cielo), stella attorno alla quale si muove tutta la volta
celeste.
I TOTALITARISMI
HITLER: L’ILLUSIONE DI POTER CREARE UNA “RAZZA” ARIANA SUPERIORE
Documento: LA RAZZA PURA È IL BENE PIÙ PREZIOSO
Mentre il razzismo coloniale, pur convinto della superiorità della razza bianca, assegnava un ruolo ai popoli dominati, verso i
quali anzi si proponeva una missione “civilizzatrice”, il razzismo hitleriano si fonda sull’idea dell’eliminazione del diverso come
modalità unica per preservare la razza eletta: in questo consiste il senso e la missione dello Stato. Queste idee sono
all’origine non solo dei campi di sterminio, ma anche del “programma di eutanasia” che si calcola abbia condotto alla
morte oltre 70000 pazienti deformi e malati di mente. Il testo che segue è tratto dal “Mein Kampf”, il libro scritto da Hitler
durante i mesi di prigionia e pubblicato nel 1925.
<<Dobbiamo distinguere con la massima nettezza fra lo stato, che è un
recipiente, e la razza, che è un contenuto. Questo recipiente ha un senso solo se
è capace di contenere e salvaguardare il contenuto; in caso diverso non ha
valore […]. Lo stato nazionale deve mettere la razza al centro della vita generale.
Deve darsi pensiero di conservarla pura. Deve dichiarare che il bambino è il bene
più prezioso del popolo. Deve fare in modo che solo chi è sano generi figli, che
sia scandaloso mettere al mondo dei bambini quando si è malati o difettosi, e
che nel rinunziare a ciò consista il supremo onore […]. Il primo compito non è
quello di creare una Costituzione nazionale dello Stato, ma quello di eliminare gli
ebrei. Si pensi alle devastazioni che l’imbastardimento giudaico appresta ogni
giorno al popolo nostro, e si rifletta che questa intossicazione del sangue potrà
solo dopo secoli, e forse mai, essere eliminata dal corpo della nostra nazione. Si
consideri pure quanto questa decomposizione della razza abbassi gli ultimi valori
arii del popolo tedesco, e spesso li distrugga, cosicché la nostra forza di nazione
portatrice di civiltà va sempre retrocedendo e noi corriamo il pericolo di arrivare,
almeno nelle grandi città, al punto in cui si trova oggi l’Italia meridionale. Questi
avvelenamento del nostro sangue, di cui non si rendono conto centinaia di
migliaia di tedeschi, è oggi procurato sistematicamente dall’ebreo.
Sistematicamente questi neri parassiti del popolo corrompono le nostre giovani,
bionde, inesperte fanciulle, rovinando così qualcosa che è insostituibile. >>
Ai centri dei piani hitleriani c’era un’utopia nazionalista e razzista. Egli credeva nell’esistenza di una razza superiore e
conquistatrice, quella ariana, progressivamente inquinatasi dalle razze “inferiori”. I caratteri originari dell’arianesimo si erano
per lui conservati solo nei popoli nordici, in particolare nel popolo tedesco, che avrebbe dovuto dominare sull’Europa e sul
mondo. Per realizzare questo sogno, per prima cosa era necessario schiacciare i nemici interni, primi fra tutti gli ebrei,
considerati portatori del virus della dissoluzione morale, in quanto “popolo senza patria”.
Gli ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza, ed erano concentrati prevalentemente nella stessa Berlino. Pur
non facendo parte della classe dirigente tradizionale, occupavano le zone medio-alte della scala sociale: erano per lo più
commercianti, liberi professionisti, intellettuali e artisti. Nei confronti di questa minoranza la propaganda nazista riuscì a
risvegliare quei sentimenti di ostilità (contro la diversità etnica e religiosa e contro il presunto privilegio economico) che
erano largamente diffusi soprattutto fra le classi popolari.
La discriminazione fu ufficialmente sancita nel 1935 dalle Leggi di Norimberga che tolsero agli ebrei la parità dei diritti e
proibirono i matrimoni fra ebrei e non ebrei. Molti ebrei abbandonarono allora la Germania. Per chi invece era rimasto, la
vita divenne impossibile, finché, a guerra mondiale già iniziata, Hitler non concepì il progetto mostruoso di una soluzione
finale del problema: soluzione che prevedeva la deportazione in massa nei campi di concentramento (lager) e il
progressivo sterminio del popolo ebraico.
La persecuzione antiebraica fu certo la manifestazione più vistosa ed orribile della politica razziale nazista, ma non fu
l’unica. Essa si inquadrava in un più vasto programma di “difesa della razza” che prevedeva, fra l’altro, la sterilizzazione
forzata per i portatori di malattie ereditarie e la soppressione dei malati mentali classificati incurabili. Pratiche incompatibili
con i fondamenti dell’etica cristiana, ma che il nazismo considerava essenziali per mantenere la sanità e l’integrità del
“popolo eletto”.
Il mito della razza occupò un posto centrale nella teoria e nella prassi del nazismo. Ci sono numerose contraddizioni e
imprecisioni nella teoria razziale di Hitler. Già il concetto di base, la "razza ariana", è un'assurdità storica. Inoltre Hitler
confonde spesso "razza" con "popolo" o "nazione", confonde i concetti "tedesco", "germanico" e "ariano".
Ma probabilmente tutto questo non è molto importante per Hitler, dato che nel suo libro scrive con molta franchezza "La
propaganda non ha il compito di essere vera, ha invece l'unico compito di essere efficace."
Infatti, questa propaganda doveva rivelarsi molto valida. Sicuramente al disoccupato faceva piacere sentire che in fondo
apparteneva a una razza superiore. Parlando del suo futuro Reich Hitler promette: "Essere uno spazzino in un tale Reich sarà
onore più alto che essere un re in uno stato estero".
LA RIFLESSIONE TOTALE
MIRAGGIO
FATA MORGANA
Luce. La luce è una radiazione elettromagnetica, come il calore, le onde radio e i raggi X.
La luce consiste sostanzialmente di rapidissime oscillazioni del campo elettromagnetico, in
un particolare intervallo di frequenze che possono essere rivelate dall'occhio umano e che
costituiscono il cosiddetto campo del visibile. I diversi colori della luce corrispondono alle
diverse frequenze di vibrazione del campo elettromagnetico. Lo spettro della luce visibile si
definisce generalmente in termini di lunghezza d'onda, e va dalla lunghezza d'onda
minore, quella del violetto, a quella maggiore, cioè la lunghezza d’onda del rosso.
La luce si propaga in linea retta in tutte le direzioni, raggiungendo, man mano che si
allontana dalla sorgente che l'ha emessa, aree sempre più ampie. Quando colpisce un
oggetto, essa può essere riflessa, diffusa o assorbita. In relazione alla natura della superficie
su cui incide la radiazione, alcune frequenze vengono riflesse o diffuse meglio di altre, e
questo determina il colore con cui vengono percepiti i vari oggetti. Le superfici bianche
riflettono con la stessa intensità tutte le lunghezze d'onda della luce, mentre quelle che appaiono
praticamente tutta la radiazione incidente.
Luce:
scomposizione
della luce
bianca
nere assorbono
L’angolo limite. Nel caso in cui la luce passa da un mezzo più denso a un
mezzo meno denso (ad esempio dal vetro all’aria), il raggio incidente che
proviene dal vetro si rifrange nell’aria, allontanandosi dalla normale; perciò
l’angolo di rifrazione è maggiore dell’angolo di incidenza. All’aumentare
vedi figura 1) il raggio rifratto sarà radente alla
superficie di separazione dei due mezzi e l’angolo di rifrazione assumerà il
valore di 90°. L’angolo di incidenza a cui corrisponde un angolo di rifrazione di
90° si chiama angolo limite.
Figura 1: raggi incidenti (verdi);
riflessi (rossi); rifratti (blu)
La riflessione totale. Quando l’angolo di incidenza supera l’angolo limite il raggio incidente viene riflesso, come se la
superficie di separazione dei due mezzi fosse uno specchio, e non c’è rifrazione. Questo fenomeno si chiama riflessione
totale ; essa può avvenire solo quando la luce viaggia in un mezzo denso e cerca di passare in uno meno denso.
Esempi di riflessione totale sono il miraggio e la fata morgana.
Miraggio. Generalmente gli strati dell’aria atmosferica più
vicini alla Terra sono anche quelli più densi. Se però la Terra è
molto calda può accadere che gli strati più bassi, che sono a
S
O
più diretto contatto col suolo, siano meno densi degli strati
superiori. Questo avviene nelle giornate molto calde d’estate
e più frequentemente nei deserti.
Consideriamo un raggio luminoso che parte dalla cima S di un
albero propagandosi verso il suolo. Mentre il raggio SO, che si
propaga lungo uno strato d’aria caratterizzato da densità
costante, non subisce deviazioni, sara sei bellissima!!!! quello
che si propaga verso il basso, incontrando strati d’aria sempre
S’
Figura 2:
più caldi e quindi meno densi, si allontana dalla normale
Miraggio
finché si riflette totalmente e di conseguenza il raggio si
allontana dal suolo.
Se il raggio riflesso totalmente incontra l’occhio di un osservatore O, per l’osservatore è come se esso avesse avuto sempre
la stessa direzione, cioè come se fosse partito da S’ e non da S. Di conseguenza l’osservatore vede in S’ l’immagine di S,
proprio come se l’albero fosse riflesso in uno specchio d’acqua. In ciò consiste il fenomeno del miraggio, nel fatto cioè che
l’osservatore vede insieme l’oggetto e l’immagine.
Figura 3: Fata
Morgana
Fata Morgana. Se gli strati d’aria più alti sono molto meno densi di quelli più bassi,
un raggio luminoso che parte per esempio da una nave, va verso l’alto, segue
un percorso curvilineo allontanandosi sempre più dalla normale. A un certo
punto avviene la riflessione totale e il raggio ritorna nuovamente verso il basso.
Se l’osservatore intercetta il raggio, vede la nave in alto, talvolta ingrandita o
distorta, capovolta, come se volasse.
Questo fenomeno è noto con il nome di Fata Morgana.
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Sono stati spesso consultati per ulteriori chiarimenti e spiegazioni (ma non riportati nei testi), anche il sito http://it.wikipedia.org e
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