Aprea - Progetto Culturale

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RELAZIONE ON. VALENTINA APREA
Scopo dichiarato dell’Accordo di revisione del Concordato Lateranense (18 febbraio
1984) tra la Repubblica Italina e la Santa Sede nonché dell’Intesa (14 dicembre 1985)
fra il Ministero dell’Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana è la volontà dei
contraenti di collaborare per stabilire patti di rispetto reciproco nell’agire “a favore
della promozione dell’uomo e il bene del Paese”. Ciò è stato ritenuto talmente
importante che ad “assicurare” l’IRC nella scuola è la stessa Repubblica Italiana, la
quale si assume l’impegno a garantirlo a motivo del fatto che “riconosce il volare
della cultura religiosa”. Tale riconoscimento obbligatoriamente pone l’IRC “nel
quadro delle finalità della scuola” il cui compito specifico consiste, appunto, nella
elaborazione e nella trasmissione della cultura.
Se la Chiesa, con estrema correttezza e lealtà, si è impegnata a trasformare l’IRC nel
senso voluto dal Concordato, la Repubblica Italiana ha attivamente operato per
assicurarsi la pari dignità con gli altri insegnanti scolastici, fino all’equiparazione
della stato giuridico dei docenti di religione a quello degli altri docenti della scuola
italiana, con la legge 186/2003.
Che quella religiosa sia una dimensione da sviluppare opportunamente, perché la
persona sia pienamente e integralmente umanizzata attraverso l’educazione, è
esplicitamente affermato anche nella Legge di riforma n.53/2003 art. 2, c.e, che
recita: “La scuola dell’infanzia (…) concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo,
psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale …e contribuisce alla formazione
integrale delle bambine e dei bambini…”
Anche per i cicli successivi, il principio resta valido: anche per essi, infatti, si parla di
crescita e di sviluppo della personalità da promuovere nella continuità educativa. Ciò
sta a significare che la naturale apertura dei bambini all’orizzonte religioso, non
sembra lecito cessare di porvi adeguata attenzione via via che essi proseguono nel
cammino scolastico, in vista dello sviluppo di questa capacità, accanto e insieme a
tutte le altre capacità, di cui la persona è dotata, mediante una formazione culturale
che comprenda l’approccio a tutti i sistemi simbolico-culturali, compreso, appunto
quello della Religione. Ogni conoscenza e abilità, per quanto semplice, rimanda
sempre all’unità della cultura umana e mostra, perciò, “sempre visibili segni di
relazione con dimensioni non solo logico-formali (pluri e interdisciplinari), ma anche
affettive, estetiche, etiche, sociali, religiose”. Pertanto la consapevolezza critica, a cui
la scuola, attraverso la cultura, ha compito di condurre gli allievi, per una
elaborazione autonoma del proprio progetto di vita, non è raggiungibile mediante
analisi parziali o univoche della realtà, ma soltanto mediante la sintesi personale che
scaturisce dalla riflessione e dal progressivo e dinamico confronto delle disponibilità
culturali nella loro complessa, interconnessa totalità.
Appare, quindi, ovvio e naturale che la religione sia inserita a pieno titolo fra gli altri
insegnamenti, perché, nell’interazione dialettica con questi, essa contribuisce, in
maniera non certo marginale, alla creazione e alla dilatazione di quell’orizzonte di
senso entro cui possono maturare decisioni e scelte degne dell’uomo integralmente
considerato e formato.
Il fatto poi che l’insegnamento della religione nella scuola si concretizzi con questa o
quest’altra connotazione confessionale, in dipendenza delle circostanze e dalle
ragioni storiche e sociali che ne determinano di volta in volta l’opportunità (e, almeno
fino ad oggi, nel nostro Paese– la cui civiltà ha radici profonde nella tradizione
giuridico – cristiana- le ragioni depongono a favore del cattolicesimo) non fa che
avvalorare le considerazioni precedenti: l’abito critico nei confronti della più ampia
cultura umana, si acquisisce, infatti, a partire dalla intelligente comprensione di tutti
gli aspetti che, intrecciandosi, danno vita alla cultura in cui si è più direttamente
immersi.
Pertanto, la Religione cattolica, rientra, con “l’arte, la filosofia, la matematica, la
cosmologia, l’antropologia, la linguistica, la storia, la geografia”, tra le prospettive
disciplinari da prendere in considerazione nel processo di unificazione e di
ricapitolazione della nostra tradizione culturale da condursi all’interno dell’attività di
insegnamento/apprendimento.
Da questo punto di vista, l’IRC contribuisce in maniera significativa, nella sinergica
integrazione con le altre discipline di studio e con le altre “educazioni”, a promuovere
unitariamente, l’educazione alla convivenza civile, sintesi pedagogica di tutta l’
attività scolastica volta all’educazione integrale di ogni allievo, trasformando
conoscenze, abilità e valori in esercizio personale e sociale.
Nella società multietnica, multiculturale, multireligiosa di oggi, è indispensabile
“convivere civilmente non solo con chi ha ed esercita la cittadinanza, ma anche con
chi non ce l’ha, non gode dei diritti politici e spesso fatica a realizzare perfino le
condizioni minime di esercizio dei diritti umani più elementari”. Si tratta di educare a
riconoscere la dignità della persona umana a cominciare dalla propria. Ciò non vale,
però, solo per l’educazione alla cittadinanza, ma per tutti i campi d’azione
dell’esperienza
umana,
dai
comportamenti
pubblici
a
quelli
privati,
dall’alimentazione, all’igiene, al rispetto dell’ambiente, alla cura delle relazioni
interpersonali. Occorre, pertanto, cercare e mantenere un giusto equilibrio fra un’idea
di convivenza civile basata sulla nozione di cittadinanza cosmopolita e universalistica
disegnata attorno al principio dell’identità multipla e un idea di convivenza civile
basata sulla nozione di cittadinanza disegnata al principio di identità comunitaria. Nel
primo caso, nella comunicazione e nella contaminazione fra culture diverse, nella
pluralità delle appartenenze prevale l’attenzione a sviluppare capacità di controllo e
autocontrollo delle appartenenze particolari, relativizzandole sul paino della storia,
del tempo, dello spazio e a sviluppare atteggiamenti di tolleranza, reciprocità,
valorizzazione delle diversità nell’orizzonte di quella che si chiama identità terrestre.
Nel secondo caso prevalgono paradigmi educativi riferibili alla coltivazione della
“memoria collettiva”, in cerca del senso della propria storia, del senso do
appartenenza alla civiltà del proprio paese, a alla maturazione di una sicurezza legata
al luogo dove si è nati e cresciuti.”Non si diventa cittadini senza la lealtà verso la
propria identità” conoscere la lingua, la storia, la religione, le abitudini, i costumi, le
norme, la geografia locale significa rinsaldare le radici nella consapevolezza di essere
uomini di una certa terra e una certa storia. Pertanto dalla propria esperienza e
dall’identità comunitaria ad essa intrinseca, si impara anche a diventare responsabili e
si sperimentano di persona i “costi” della convivenza.
La lealtà alla propria identità, se manca la solidarietà verso chi ha altre storie, altre
condizioni di vita, altri destini umani, rischia di attivare solo meccanismi difensivi e
protettivi. Il principio di solidarietà riconosce anche alle esperienze diverse dalla
propria la stessa importanza e lo stesso valore dell’appartenenza.
Convivenza civile è dunque quella che non vuole assimilazione, ma accoglienza nella
consapevolezza che si può essere se stessi pur aprendosi al se stessi degli altri.
Con insistenza poniamo dunque l’accento sulla necessità di sviluppare nella nostra
scuola attività educative volte a promuovere la costruzione di una dimensione italiana
ed europea di valori etici e civili che, pur fondandosi sulle peculiarità culturali di
ciascun paese, aiutino le nuove generazioni a mettere in atto comportamenti adatti a
prevenire discriminazione, razzismo, disagio e devianza e a sviluppare, invece,
atteggiamenti di tolleranza e di rispetto per i diritti umani.
Per tutto questo si richiede ai docenti un forte impegno ai fini dell’educazione alla
convivenza civile. Essi, onde evitare inutili forzature dispersive frammentazioni,
devono concordare collegialmente sia gli interventi didattici e educativi necessari, sia
lo stile relazionale, a cui intendono ispirarsi nella vita quotidiana all’interno della
scuola, tra adulti e ragazzi e tra adulti stessi: ciò al fine di trasmettere, anche e
soprattutto attraverso l’esempio dei comportamenti personali, messaggi impliciti
coerenti con i valori espressi dalla convivenza civile.
Nelle nuove condizioni di maggior stabilità dovuta alla prevista loro assunzione nel
ruolo statale, anche gli insegnanti di religione, potranno stabilire legami di maggior
collegialità con tutti i docenti dell’èquipe pedagogica che agisce nello stesso gruppo
classe, collaborando alla progettazione e alla realizzazione di unità di apprendimento
non aggiuntive o giustapposte a quelle degli altri docenti, ma efficacemente e
unitariamente orientate a costituire Piani di studio personalizzati. Quanto più i Piani
di studio saranno predisposti con sollecitudine educativa comune a tutti i docenti,
tutor e non tutor, nelle attività di classe o di laboratorio, in dialogo cooperativo con
gli studenti e le loro famiglie, tanto più i ragazzi potranno trovare la strada a ciascuno
più confacente per diventare l’uomo e il cittadino che è giusto attendersi da lui al
termine del ciclo di studi:un uomo e un cittadino capace di affrontare con
responsabilità e indipendenza i problemi quotidiani ed esistenziali che riguardano la
propria persona e le persone che formano la più ampia comunità civile.
Il piano dell’offerta formativa dovrà dunque creare le condizioni perché in ogni
scuola si realizzi un’educazione volta a promuovere la costruzione di una dimensione
italiana ed europea di valori etici e civili, che, pur fondandosi sulle peculiarità
culturali di ciascun Paese, aiuti le nuove generazioni a mettere in atto comportamenti
atti a prevenire discriminazione, razzismo, disagio e devianza e a sviluppare, invece,
atteggiamenti di tolleranza e di rispetto per i diritti umani. Tra le condizioni va
sottolineata come indispensabile quella di rendere possibile agli alunni la scelta di
valide attività alternative alla religione cattolica, abolendo la scelta diseducativa del
vuoto. Perché- ci ricorda il Wallon – ciò che non educa, diseduca.
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