Centro Volontari della Sofferenza
Relazione: La figura dei Fratelli e Sorelle degli Ammalati nello statuto del CVS
Pasquale Caracciolo Delegato nazionale CVS Italia
Con la nascita della Confederazione internazionale, decretata il 21 gennaio 2004 dal
Pontificio Consiglio dei laici, il CVS ha raggiunto una tappa di straordinaria importanza.
Punto di arrivo di un lungo cammino iniziato nel 1947 quando l’allora don Novarese,
facendo tesoro della sua personale esperienza di sofferente e riflettendo sul Messaggio
mariano a Lourdes e a Fatima, diede inizio all’apostolato dei Volontari della Sofferenza.
Già quattro anni prima Egli aveva fondato la Lega Sacerdotale Mariana nell’intento di
recare sollievo spirituale e materiale ai sacerdoti ammalati.
Punto di partenza di quella Unione mondiale degli Ammalati, tanto cara al cuore e alla
mente di mons. Novarese, annunciata a Lourdes nel luglio 1965, davanti alla Grotta di
Massabielle.
Un solenne Atto, come pratica accoglienza della proclamazione della Madonna a “Madre
della Chiesa” fatta da Paolo VI a chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II.
E’ scritto nel n° 7/65 de “L’Ancora”: “Gli ammalati vogliono costituire nello spirito di questo
universale richiamo del Papa l’Unione Mondiale dei Sofferenti. Ammalati di tutte le Nazioni
che si pongono accanto alla Vergine Santa per averla vicino come Gesù sulla Croce nella
valorizzazione del proprio Calvario…Un piccolo seme ora è gettato. Un grande lavoro ci
attende”.
Un grande lavoro portato avanti in oltre sessanta anni di attività che ha raggiunto il
traguardo sognato e voluto da mons. Novarese.
Io nel 1964 ho conosciuto il CVS, invitato ad aderire da un Ammalato e una Sorella degli
Ammalati con i quali avrei a lungo collaborato negli anni a venire a livello diocesano di
Terni (il CVS fondato da Giunio Tinarelli) e a livello regionale.
Porto con me la bellezza, la ricchezza e il privilegio di aver incontrato e frequentato mons.
Novarese a Re in occasione degli annuali esercizi spirituali e a Roma, presso la sede
centrale di via dei Bresciani, quando Egli riuniva la Commissione “Fratelli degli Ammalati”
per meglio impostare ed organizzare questo importante settore dell’apostolato del CVS.
Nella vita di ciascuno di noi, specie quando si ha la fortuna di incontrarle negli anni della
giovinezza, vi sono figure che lasciano il segno. Questo è stato per me mons. Novarese.
Ricordo ancora il mio primo incontro con Lui a Re nel 1966.
I giovani amano chi sa essere di guida e sa esserlo in modo amorevole ed esigente. Ho
subito percepito la Sua personalità forte e incisiva. Il Suo essere sacerdote dinamico,
fermo, deciso, schietto, pieno di entusiasmo e di fervore, sempre sereno, non amante
delle mezze misure. Uomo di fede, parlava in modo convincente. Al primo approccio ho
1
avuto timore di lui, ma poi ho notato che sorrideva con gli occhi e aveva una predilezione
speciale per noi giovani. Non ho più conosciuto nella mia vita una persona come Lui che
abbia amato gli ammalati con un amore così soprannaturale e disinteressato. Egli mi ha
insegnato a non scherzare con gli ammalati e i sofferenti. Mi ha insegnato a prendere sul
serio la mia vita.
Rammento anche perché fui immediatamente interessato alla proposta di collaborare con
gli ammalati del CVS. Fu una sensazione a pelle. Io allora ero responsabile del Gruppo
GIAC della mia parrocchia (Gioventù italiana di azione cattolica). Fu chiesto al mio Gruppo
di dare una mano per organizzare una giornata promossa dal CVS. Collaborammo con
l’entusiasmo tipico dei giovani con la convinzione di prestare un servizio occasionale.
Ascoltai poi i discorsi e le testimonianze degli ammalati. Percepii la novità della proposta.
Non si trattava tanto di assistere gli ammalati. Essi erano i protagonisti assoluti, Essi
erano i titolari. La cosa mi piacque. Non ho mai amato che le persone siano condannate
ad essere assistite per sempre. Forse è per questo che nella vita ho scelto di fare la
professione del sindacalista a tempo pieno.
Ho apprezzato il fatto che come Fratello degli Ammalati non avrei fatto solo il trasportatore
o l’accompagnatore, ma che, insieme al necessario sostegno logistico ed organizzativo
affinché gli ammalati fossero messi in grado di svolgere il loro compito, mi fosse richiesto
di condividere in tutto e per tutto lo stesso apostolato.
Mons. Novarese era ben determinato nel contrastare ogni qualsiasi idea difforme da
questa impostazione. Arrivò persino a definire “vecchia ideologia sorpassata” (L’Ancora n°
2/68) la visione paternalistica che concepiva l’Ammalato unicamente come oggetto di
carità, persona che doveva ricevere e basta, che non doveva essere impegnata, che
doveva essere lasciata tranquilla.
Tale errata concezione – Egli sosteneva – “fa doppiamente sentire a chi soffre il disagio
del dolore, togliendogli anche ciò che di più bello egli può ancora avere nella sua vita di
sofferente e cioè l’azione apostolica” (L’Ancora, n° 2/68).
Sulla base della mia esperienza, ormai pluridecennale, posso testimoniare che i Fratelli
non sono quelli che fanno coraggio agli Ammalati, ma che ne ricevono, non sono dei
benefattori ma dei beneficati; che i Fratelli non debbono tanto considerarsi dei soccorritori
degli Ammalati bensì umili e riconoscenti collaboratori.
Giustamente mons. Novarese pretendeva che nelle finalità del CVS si conservasse la
massima chiarezza di azione: “L’apostolato è dell’Ammalato con la collaborazione dei
Fratelli e Sorelle degli Ammalati, ma non è un apostolato dei sani svolta a favore degli
ammalati”. (L’Ancora, n 8-9/69).
Ritornando all’oggi, possiamo confermare che lo statuto del CVS corrisponde fedelmente
a questa impostazione. Ciò che viene proposto agli aderenti, pur confermando le
denominazioni originarie di “Volontari della Sofferenza”, “Fratelli degli Ammalati” e “Lega
Sacerdotale Mariana”, è la fondamentale convergenza, la grande unità nel medesimo
impegno apostolico, animato dalla medesima spiritualità.
2
Il riferimento è la persona. “Ogni persona, consapevole dei propri impegni battesimali, è
soggetto attivo e responsabile dell’attività svolta dal CVS” (art. 8)
Chiarita questa impostazione, possiamo approfondire ulteriormente chi sono i Fratelli e
Sorelle degli Ammalati.
Come già detto, sono coloro che danno la loro adesione al CVS perché intendono
mettersi a disposizione degli Ammalati, affinché essi possano svolgere il loro apostolato.
Questa loro adesione comporta l’impegno a perseguire le stesse identiche finalità e ad
accettare la stessa spiritualità. Senza limitarsi ad alcuni aspetti, a solo alcune
incombenze.
Il programma è in tutto e per tutto uguale a quelli degli ammalati.
Con alcune sottolineature e alcune peculiarità che ora cercherò di illustrrare..
Ci si chiama Fratelli e Sorelle degli Ammalati per esprimere e vivere la dimensione della
fraternità. Una fraternità fondata su legami umani: dal vivere assieme lo stesso
programma, nel condividere le stesse esperienze, le stesse difficoltà, gli stessi successi,
nella vicendevole comprensione, nel mutuo sostegno, accettando anche i personali limiti
e difetti.
Una fraternità fondata su legami spirituali. Quali credenti in Gesù Cristo e battezzati,
appartenenti alla Chiesa da Lui fondata, siamo Figli dello stesso Padre e quindi fratelli e
sorelle. Una fraternità spirituale fondata sull’adesione al medesimo programma che
costituisce un vero e proprio ideale di vita quale quello proposto dal CVS.
Sono principalmente tre gli impegni che il CVS propone ai Fratelli e Sorelle degli
Ammalati per la completa attuazione del programma.
1) Vivere in grazia di Dio per essere spiritualmente produttivi.
Vivere in Grazia di Dio significa riconoscere i propri limiti e i propri peccati e fare del tutto
per superarli.
Vivere in Grazia di Dio significa desiderare ardentemente l’amicizia di Dio come unico e
vero bene e sentire forte la nostalgia quando questa dovesse venire a mancare.
Vivere in Grazia di Dio significa essere tralci uniti alla vite che sono vivi e producono molto
frutto (Gv. 15, 5).
Vivere in Grazia di Dio significa affidarsi totalmente a Cristo coscienti che senza di Lui non
possiamo fare niente (Gv 15, 6).
Mons. Novarese fu sempre molto determinato, direi quasi intransigente, contro ogni
spirituale contraddizione, circa l’impegno dei Fratelli e Sorelle degli Ammalati nel vivere “la
pienezza di grazia che sia non solo di conforto ai sofferenti, ma di sollievo dall’impegno di
riparazione: essi non devono gravare sui sofferenti con il peso delle proprie
manchevolezze” (L’Ancora, n° 8-9/76).
3
Mons. Novarese aveva chiaro il “bilancio” (entrate = riparazioni; uscite = peccati) di
questa “economia della salvezza”.
2) Comprendere e tradurre in pratica reale di vita le richieste fatte dalla Madonna a
Lourdes e a Fatima di preghiera e penitenza.
Ogni Fratello o Sorella deve avere una propria vita spirituale alimentata dalla preghiera
quotidiana, dalla partecipazione anche feriale, quando è possibile, alla S. Messa, dai
sacramenti dell’Eucaristia e della Confessione frequenti, dalla lettura e dalla meditazione
della Parola di Dio.
“Nella mente dell’Immacolata – sosteneva mons. Novarese – la preghiera è l’azione più
sociale che può compiere una creatura” (L’Ancora, n° 9/71).
Anche i Fratelli e Sorelle degli Ammalati, come i Volontari della Sofferenza, hanno
l’impegno di valorizzare cioè dare valore alla propria sofferenza : il lavoro, i disagi, i
doveri, le preoccupazioni, le responsabilità familiari e sociali, i sacrifici morali che talvolta
superano quelli fisici.
“La sofferenza – puntualizza Giovanni Paolo II nell’enciclica Salvifici doloris (n° 5) – è
qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme ancor più
profondamente radicato nell’umanità stessa. .La sofferenza fisica si verifica quando in
qualsiasi modo “duole il corpo”, mentre la sofferenza morale è “dolore dell’anima”.
In particolare va valorizzato il proprio lavoro. Il libro della Genesi esprime chiaramente il
legame esistente tra lavoro e fatica quale maledizione frutto del peccato originale :
maledetto sia il suolo per causa tua : con il dolore ne trarrai il cibo per tutto il giorno della
tua vita (Gn 3, 17).
Il sudore e la fatica che necessariamente il lavoro comporta sono quindi la penitenza
imposta da Dio dopo il peccato. Eseguito in Grazia di Dio il lavoro diventa espiazione,
riparazione dell’offesa fatta a Dio dai peccati nostri e altrui.
Sempre il Papa nella Salvifici doloris (n° 27) afferma che: “ Sopportando la fatica del
lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio
di Dio alla redenzione dell’umanità”.
Lavorare bene, con coscienza, con competenza, insieme con gli altri, con una
testimonianza cristiana incisiva, facendosi carico anche delle problematiche del proprio
ambiente di lavoro è il modo efficace di vivere intimamente in unione alla croce di Cristo.
Mons. Novarese, riferendosi ai Fratelli e Sorelle degli Ammalati, più volte ebbe a scrivere
che il Calvario storico di Cristo era composto dalle sofferenze di Cristo stesso, dal
martirio della sua Mamma, dalla presenza dell’apostolo Giovanni, dalla partecipazione
delle Pie donne e del Cireneo, mentre il Calvario del Cristo mistico è composto dalle
sofferenze del malato, della sua famiglia e di quanti sono accanto a lui.
3) Aiutare chi soffre
4
Il Papa ha richiamato nella lettera apostolica Salvifici doloris (n. 30) che Cristo ha
insegnato all’uomo :
- a far del bene con la sofferenza ;
- a far del bene a chi soffre.
Ad imitazione di Gesù i Fratelli e Sorelle degli Ammalati sono coloro che :
* sanno essere vicini a chi soffre, con Amore, accostando l’Ammalato con grande
rispetto, in punta di piedi, senza troppo abituarsi a trattare con lui avendo sempre
presente che il dolore del corpo e dell’anima è un peso duro da portare.
Scrive Giovanni Paolo II (Salvifici doloris): “La sofferenza sembra appartenere alla
trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in un certo senso
“destinato” a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso” (n°2),
“L’uomo, nella sua sofferenza, rimane un mistero intangibile” (n°4).
* sanno essere vicini a chi soffre, col desiderio di sollevarlo, di aiutarlo, di confortarlo,
studiando ogni possibile occasione per stare vicino a colui che soffre, dedicando a tale
scopo tutto il tempo reso disponibile dagli impegni professionali e di famiglia.
Viviamo in un tempo frenetico d’impegni, di tante cose da fare e a cui far fronte : donare il
proprio tempo, mettere a disposizione parte della propria vita per servire i fratelli sofferenti
è oggi in modo particolare segno distintivo di carità autentica.
* sanno essere vicini a chi soffre, vedendo in lui Gesù Crocifisso.
Gesù lo ha detto : ero ammalato e mi avete visitato...Ciò che avete fatto ad uno di questi
fratelli più piccoli, voi lo avete fatto a me (Mt 25, 36-40).
Il servizio prestato da Fratelli e Sorelle nei confronti degli Ammalati nasce innanzitutto da
una grande umanità. E’ un servizio da uomo a uomo che scaturisce da una sana
antropologia cristiana che è innanzitutto riconoscimento e promozione della dignità
dell’uomo “bene prezioso che l’uomo possiede...l’uomo non vale per quel che “ha”,
quanto per quello che “è”. La dignità personale è proprietà indistruttibile di ogni essere
umano unico e irripetibile” (Christifideles laici. n.37).
Ma i Fratelli e Sorelle vanno oltre la pur sana antropologia. Sollevare e servire l’Ammalato
è sollevare e servire Cristo che nel sofferente continua e completa la Sua Passione.
“Tutti sono chiamati alla santità nell’amore che serve” – ci insegna il Concilio Vaticano II.
Ma l’amore che serve con maggiore disinteresse e con maggiore generosità è sempre
l’amore degli ammalati.
Molto efficacemente Giovanni Paolo II nel suo discorso ai Volontari della Sofferenza nel
40° di Fondazione del CVS ebbe a definire la sofferenza “una vocazione ad amare di più”.
5
S. Camillo di Lellis si inginocchiava al letto di coloro che assisteva vedendo nell’ammalato
la presenza sacramentale di Gesù sofferente.
* sanno essere vicini a chi soffre con serietà, con discrezione, con umile delicatezza,
non spinti da sentimenti di curiosità, da sentimentalismi inopportuni, da compatimenti
sterili, ma per vivere e testimoniare Cristo e aiutare i malati a fare altrettanto.
S. Pietro, incontrando lo storpio sulla porta del tempio lo fissò negli occhi e disse : Soldi
non ne ho, ma quello che ho te lo do volentieri (At 3,4). Anche i Fratelli e Sorelle degli
Ammalati sono cristiani che debbono avere la capacità di fissare negli occhi gli ammalati
cioè sapere essere attenti, capire cosa passa per la testa, capire le sofferenze vissute e,
come Pietro, non avere la pretesa di risolvere tutto ma di dare con amore quello che si
possiede : l’attenzione, la sensibilità, la disponibilità, la condivisione.
L’ammalato va avvicinato sempre su un piano di amicizia e di cordiale simpatia, con
l’intento non solo di prestare un servizio pratico ma anche di ascoltare, di capire chi
magari si sente isolato dal mondo e dagli amici, si sente inutile e di peso, diverso dagli
altri ; con il desiderio di condividere, di vivere insieme, fare esperienza di vita, portare
avanti le attività apostoliche del CVS.
Si può essere vicini a chi soffre per sensibilità umana, per spiccata umanità. Sono valori
positivi, essenziali. Però i Fratelli e Sorelle vanno oltre.
Per essi essere vicini a chi soffre :
- è segno dell’amore paterno di Dio. Dio ama attraverso i Fratelli e Sorelle il cui servizio
disinteressato diviene segno della bontà di Dio ;
- è segno della comunione ecclesiale : i Fratelli e Sorelle non sono cristiani che
agiscono individualmente, ma in quanto appartenenti alla Chiesa “Comunità che si fa
serva degli uomini e in essa i fedeli laici partecipano alla missione di servire la persona e
la società” (Christifideles laici, n° 36).
Nell’enciclica Salvifici doloris (n. 3) il Papa esprime un pensiero importante per noi del
CVS:
” Ogni uomo diventa la via della Chiesa. Si può dire che l’uomo diventa in modo speciale
la via della Chiesa, quando nella sua vita entra la sofferenza”.
Il CVS è un’associazione ecclesiale che opera nella Chiesa e nella società e, in quanto
tale, partecipa all’opera di evangelizzazione che è propria di tutta la Chiesa ;
- è sostenere l’ammalato nel suo lavoro concreto di apostolato, avendo ben chiaro la
spiritualità, le finalità, il metodo proprio del CVS oggi confermato dallo stesso magistero
pontificio.
Il Papa, infatti, nella Christifideles laici (n° 54) afferma la necessità di: “ una ripresa e un
rilancio deciso di un’azione pastorale per e con i malati e i sofferenti… Uno dei
fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale…è di
considerare il malato, il portatore di handicap, il sofferente non semplicemente come
6
termine dell’amore e del servizio della chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile
dell’opera di evangelizzazione e di salvezza”.
Strumento importante di questa pastorale rinnovata della Chiesa è il Gruppo di
Avanguardia del CVS in cui ogni Fratello e Sorella degli Ammalati deve essere inserito.
In una omelia del 1982 ai Fratelli degli Ammalati mons. Novarese così ha presentato il
dinamismo apostolico del Gruppo di Avanguardia : ”Se volete che il vostro incontro con gli
ammalati sia un incontro costruttivo, vivete insieme. E’ nella vita di gruppo che bisogna
pregare per non deludere le attese dell’Immacolata. E’ nella vita di gruppo che bisogna
guardare fuori e vedere le necessità parrocchiali, le necessità della propria zona, vedere
quanti ammalati ci sono, quanti hanno la fortuna di aver capito che la propria vita di
sofferenti è una vocazione; ed allora, ad uno ad uno, dopo averlo consacrato
all’Immacolata, avvicinare l’ammalato usando tutte le doti umane, avvicinarlo con
pazienza, con giocosità, con carità, con calma, con l’attesa dell’azione dello Spirito Santo.
Avvicinarlo perché il gruppo aumenti, pronti a scindere il gruppo stesso non appena
raggiunge il numero di dieci componenti. Se non fate così siete stagnanti, realmente non
costruite niente né nella vita personale, né nella vita parrocchiale, né nella diocesi, quindi
nella Chiesa”
Per questo le doti che ogni Fratello e Sorella degli Ammalati deve impegnarsi ad
esercitare sono :
- coltivare buone relazioni umane favorendo genuini valori umani come :
* l’arte del convivere cioè del vivere bene con chi richiede dolcezza, tatto, delicatezza ;
* l’arte del cooperare cioè del lavorare fraternamente con gli altri, con dedizione
generosa, con zelo, con umiltà convinta e concreta ;
* l’arte dell’instaurare un dialogo cioè di aprirsi, ascoltando e comunicando in modo
semplice, gioioso, rasserenante, costante, con tatto, comunicando sempre per primi
senza attendere l’iniziativa dell’altro.
E, infine, vivere da Fratello e Sorella degli Ammalati sull’esempio del Cireneo
Il Vangelo narra di un uomo, un Cireneo, che ritornando dai campi a lavoro concluso si
imbatte sulla via dolorosa.
Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che ritornava dalla
campagna, padre di Alessandro e di Rufo, a portare la croce (Mc 15, 21).
L’incontro con Gesù lungo la via della croce è stato per lui del tutto casuale. Egli aveva
fretta di tornare presto a casa, con la sua famiglia, per il meritato riposo e, quindi, non
aveva voglia, non se la sentiva di aiutare un condannato. Fu costretto a portare la croce.
Due brevi considerazioni :
- è naturale voler scansare la croce quando arriva inaspettatamente. L’uomo è fatto
per la felicità, per la gioia di ogni giorno : il riposo, la casa, la famiglia... Ma è inevitabile
7
che presto o tardi si incontri la sofferenza - che si può presentare con tante e diverse
modalità - e che si debba allora portare la croce con Gesù ;
- l’incontro con la croce, anche se inaspettato, non è mai casuale e ha un preciso
significato nella vita dell’uomo.
Nel caso del Cireneo egli fu costretto a mettere a disposizione, pur malvolentieri, un po’
del suo tempo e delle sue energie fisiche per aiutare Gesù a portare la croce, ma questo
evento è stato la sua salvezza.
L’evangelista Marco scrive che Simone di Cirene è il papà di Alessandro e Rufo, due
persone, dunque, ben note ai primi cristiani.
Ciò significa che l’incontro con Gesù ha fruttato al Cireneo la scoperta della fede per sé e
la salvezza per la sua famiglia.
Ultima considerazione : il Cireneo dopo aver aiutato Gesù a portare la croce è ritornato ai
suoi impegni familiari e di lavoro.
Gesù nella nostra attività di servizio, di aiuto e di sostegno agli ammalati non chiede ai
Fratelli e Sorelle di venire meno agli impegni familiari, professionali e sociali.
Ma c’è un tempo della nostra vita che appartiene al nostro prossimo, tempo che
dobbiamo saper dare. Tutto è donato : il tempo, la salute, i soldi ; ma non siamo i padroni,
siamo solo amministratori.
Dobbiamo saper condividere il nostro tempo e se c’è qualcuno che ha bisogno di un
servizio essenziale, noi non possiamo non renderglielo. Davanti a Dio gli spetta di diritto e
noi dobbiamo darglielo.
Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata Mondiale del Malato 1997 afferma : una
società si qualifica per lo sguardo che rivolge ai sofferenti e per l’atteggiamento che adotta
nei loro confronti. Impegno dei cristiani è quello di annunciare il Vangelo attraverso la
testimonianza del servizio a coloro che soffrono.
Parlando ad un incontro con l ‘Unitalsi nel 1979 il Papa afferma ancora : Gesù vuole che
dalla sofferenza e attorno alla sofferenza cresca l’amore, la solidarietà d’amore, cioè la
somma di quel bene che è possibile nel nostro mondo umano. Bene che non tramonta
mai. Il Papa che vuole essere servo di questo amore, bacia la fronte e bacia le mani di
tutti coloro che contribuiscono alla presenza di questo amore e alla sua crescita nel nostro
mondo. Egli sa, infatti, e crede di baciare le mani e la fronte di Cristo in coloro che
soffrono e in coloro che, per amore, servono chi soffre.
8