Arcidiocesi di Trento Ufficio Laici - Coordinamento Pastorale Convegno diocesano Consigli pastorali parrocchiali Trento - Collegio Arcivescovile 19 gennaio 2008 Il convegno di Verona ci viene consegnato nella nota pastorale C.E.I. Quali sono i punti centrali ?” Intervento della dott.ssa Paola BIGNARDI Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore. Introduzione La nota pastorale della C.E.I. “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3) : testimoni del grande SI di Dio all’uomo” è il documento che riconsegna alle nostre comunità l’esperienza del IV Convegno Ecclesiale che ha avuto a tema “Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo”. Un momento bello, partecipato, vivo, maturo di una Chiesa in dialogo in cui tutte le vocazioni hanno fatto la loro parte. Questo intervento ha lo scopo di introdurre alla lettura del documento che ha raccolto i risultati del dibattito e della riflessione di Verona segnalando alcuni “numeri” della nota C.E.I. che ritengo fondamentali, per capire le scelte di fondo. Per conoscere un documento, è importante avere un contatto diretto con il testo, soprattutto per chi ha responsabilità pastorale nelle comunità, perché poi questo lavoro venga ripetuto e svolto anche li, è comunque utile leggere il documento nella sua forma integrale.. Il documento e le sue scelte Nella nota C.E.I. sono indicate le “scelte di fondo” che dopo il Convegno vengono consegnate ai credenti ed alle comunità cristiane in primis. Scelte che non sono “argomenti da studiare” ma sono “orientamenti da maturare”, direzioni lungo le quali le nostre comunità si dovrebbero incamminare. L’importante è non scambiare le “scelte di fondo” per degli “argomenti” per cui discutere. Le scelte di fondo (indicate al n° 4) sono tre : 1. Riconoscere il primato di Dio nella vita e nella pastorale della chiesa 2. Fare della testimonianza la forma dell’esistenza cristiana capace di far vedere Dio 3. Operare per un rinnovamento della pastorale, che in continuità con la scelta missionaria che caratterizza questi dieci anni, tuttavia converga sull’unità della persona (e questo è l’elemento del rinnovamento) Si possono qui riassumere con parole “chiave” : 1. Primato di Dio 2. Testimonianza 3. Rinnovamento della pastorale Riprendiamo queste scelte e proviamo a commentarle. 1. Il primato di Dio Il n° 6 della nota C.E.I., si interroga su come le nostre comunità possono vivere “l’appartenenza al 1 Signore Gesù” a partire da una espressione utilizzata da Papa Benedetto XVI nel suo discorso al Convegno Ecclesiale in cui ebbe a dire che : “per essere testimoni bisogna in qualche modo appartenere al Signore Risorto”. E l’indicazione per vivere la nostra appartenenza al Signore Risorto è quella che riguarda la Parola di Dio, l’Eucaristia e un cammino di dedizione e impegno soprattutto di particolare attenzione e servizio ai poveri. La nota della C.E.I. è un documento “pastorale” e quindi potrebbe essere scontato che parli di Dio e ci ricordi che la fede è importante ! Per questo motivo potrebbe sembrare che anche questa riflessione introduttiva al documento sia in qualche modo scontata : solo un riferimento formale . L’intenzione del documento, ma soprattutto la viva intenzione del Convegno, è quella di fare in modo che il “discorso” su Dio non sia un discorso scontato, e la questione della “fede” non sia una questione da dare per risolta. Il documento ci invita a riflettere sul fatto che nella nostra vita personale, ma anche nella vita delle nostre comunità, proprio in quanto comunità, la questione della fede non è una questione da dare per scontata. E ci possono essere tante manifestazioni che ci convincono della verità di questa affermazione. Lascio a ciascuno cercare, nel proprio contesto ecclesiale, se la fede è data troppo per scontata oppure che la fede appartiene più alla nostra cultura che alla nostra vita. Mi limito a fare qualche considerazione su quali dovrebbero essere, oggi, le caratteristiche per vivere nelle nostre comunità il “primato di Dio”. Credere oggi : la scelta dell’essenziale. Ogni tempo ha il suo modo di credere. Dobbiamo chiederci senza darlo per scontato : quale è il modo di credere che si intreccia in maniera coerente, in maniera evangelica con questo nostro tempo ? Questo è un “esercizio” che i Consigli Pastorali dovrebbero fare in modo comunitario e il consigliere in modo personale. Oggi è tempo per scoprire che il cuore della fede è la relazione con il Signore Gesù : il riferimento della nostra vita di Cristiani è il Signore Gesù, ma noi sappiamo che credere nel Signore Gesù non significa solo credere che il Signore Gesù è esistito, significa farne il riferimento della nostra vita, significa consentire che il nostro rapporto con lui cambi qualcosa nella nostra vita, significa vivere da discepoli del Signore, e questo è molto, molto di più che essere convinti senza ombra di dubbio che Gesù Cristo esiste. Significa trovare nella nostra vita il valore che ha il fatto che Gesù Cristo non solo è esistito ma che è morto e risorto e fare del mistero della Sua Pasqua il centro della nostra fede e della fede delle nostre comunità. Si crede perché si consente al Signore di posare su di noi il suo sguardo di misericordia; e questo cambia la vita, mette in cammino, trasforma in donne e uomini liberi, capaci di vivere e di contagiare speranza. Oggi è tempo per scoprire che la fede si alimenta di Parola e dei Sacramenti soprattutto dell'Eucaristia. Forse possiamo essere più familiari al fatto che la fede si alimenta di Sacramenti. Ma perché anche la celebrazione della Eucarestia della domenica sia viva esperienza che ci coinvolga nel mistero della Pasqua del Signore, c’è bisogno - con decisione maggiore - di fare della Parola di Dio il riferimento anche delle nostre comunità cristiane. La Parola di Dio è come l’esperienza che ci fa familiare la persona del Signore che ci parla, si fa compagno di viaggio, ci indica la strada. II Concilio ha indicato proprio nella parola di Dio ascoltata, compresa, approfondita, meditata, resa personale, il segreto per vivere da cristiani. Chi è assiduo all' ascolto della Parola, sente crescere la familiarità con la persona del Signore e si rende conto che a poco a poco questa lo trasforma. Ascoltare la Parola è esercitarsi a ricevere da Dio la vita; è stare in contatto con il mistero, senza pretendere di capirlo o di possederlo; è cercare la chiave del cuore di Dio per penetrare il mistero della vita. Ascoltare è atteggiamento del cuore; è esercizio disciplinato, è affinamento continuo dell'anima per capire più in profondità. Oggi è tempo di non concedere nulla agli spiritualismi dai quali potremo essere tentati in un 2 tempo difficile, ma vivere una fede incarnata : perché ha preso carne umana il Dio in cui crediamo rendendo la nostra storia sua casa, suo villaggio, sua terra; facendosi così vicino da diventare come noi. Un Dio che è entrato nella storia umana, la sua, quella di 2000 anni fa, ne meglio ne peggio di quella di oggi : la storia umana, fatta di concretezza, fatta di semplicità. Spesso dimentichiamo che Gesù ha vissuto per 30 anni a Nazareth una vita ordinaria, da bambino, da ragazzo, da giovane, da lavoratore, ha fatto le cose comuni. Oggi il mondo ha bisogno di cristiani capaci di una spiritualità non intimista ma concreta; che mostra alla fine il valore e la dimensione spirituale della vita, e ci rende familiari con l’idea che anche la vita racchiude un mistero, che il mistero di Dio è dentro alla vita e dunque la vita ha la grandezza del mistero di Dio presente. Una vita giocata in una relazione personale e profonda con il Signore ma anche in un rapporto libero e creativo con la vita e la sua concretezza. Questo è tempo per una fede che sa riconoscere il valore della comunità e sa abitarla con gratuità, nel dono di sé, spesso silenzioso e nascosto soprattutto quando si rivolge ai poveri, che non hanno da restituire ... Mi fermo qua : sono già tante queste caratteristiche per una fede per questo tempo. Se nelle nostre comunità riuscissimo a fare un lavoro di essenzialità, quasi una rimessa in discussione di ciò che facciamo, delle iniziative che portiamo avanti vagliandole alla luce di questi criteri, forse si stabilirebbero delle nuove gerarchie, delle nuove priorità e questo primato della fede potrebbe essere ravvivato e riscoperto nella forma esistenziale di cui esso ha bisogno 2. La testimonianza La scelta della testimonianza viene presentata nel n° 11 e 12 della nota C.E.I. Al n° 11 si dice che la testimonianza è la via privilegiata della missione oggi La testimonianza è una scelta per tempi difficili, quando non basta essere missionari attraverso la chiarezza della parola o la ricchezza delle argomentazioni. Oggi c'è bisogno di mostrare (far vedere) come cambia la vita, quando è vissuta nella prospettiva della morte e risurrezione del Signore Gesù. Mostrarlo, non esibirlo. Mostrarlo non con la logica del buon esempio : ti faccio vedere come …. ma mostrare nel senso che il mistero della Pasqua si incontra talmente profondamente con la nostra vita che tutta la nostra vita ne è trasformata, e dunque si vede, si vede nel nostro modo di vivere gli affetti, la famiglia, il lavoro, la cittadinanza, le nostre fragilità. Siamo chiamati a questa forma di testimonianza che è reinterpretazione profonda della nostra umanità, della nostra vita, nella luce della Pasqua del Signore. Ognuno di noi, prenda alcuni capitoli della sua esistenza, quelli che sente che sono stati toccati dall’incontro con il Signore, e provi a vedere che cosa - il credere al Vangelo - cambia al suo modo di pensare il lavoro o il dolore (ad esempio) e veda come è cambiato, come alcuni aspetti personali e profondi sono toccati dalla fede e diventano il punto di forza attraverso il quale interpretiamo tante esperienze della nostra esistenza. La nostra fede nel Signore Gesù risorto diventa visibile nel mondo, nel tempo, nelle cose della vita, attraverso il modo in cui ciascuno di noi interpreta la sua umanità, le sue responsabilità i suoi compiti, ma prima di tutto per la persona che è il suo modo di rapportarsi a se stesso, il suo atteggiamento nel confronto alla realtà, a quello che accade nella vita. La testimonianza, alla fine, passa attraverso la nostra umanità. La nostra umanità formata nel Vangelo attraverso un lavoro continuo su noi stessi, ma un lavoro continuo dove anche lo Spirito è protagonista perché è un lavoro dentro di noi. L’alfabeto della vita è il linguaggio più comune che noi abbiamo a disposizione per dire la bellezza della vita quando si incontra con il Vangelo. Potremo anche dire la bellezza del Vangelo, ma questo resterebbe un linguaggio che forse capiremmo solo tra di noi. Se non è cambiato è segno che non c’è niente di originale, di originalmente cristiano nel nostro modo di assumere delle esperienze che sono di tutti. Come può diventare il linguaggio che racconta la bellezza del Vangelo, un linguaggio universale 3 che parla a tutti ? La bellezza della nostra umanità - che certamente è trasformata dal Vangelo - parla a tutti del Signore Gesù, o comunque di una strada che può portare a ad una vita che prende risalto in tutte le sue dimensioni più belle e intense. Benedetto XVI al Convegno ecclesiale di Verona ha usato un' espressione sintetica e molto felice: “l'invito a rendere visibile il grande "sì" della fede: quel grande “si” che in Gesù Cristo Dio ha detto all'uomo e alla sua vita, all'amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo”. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. La Chiesa di oggi interpreta così il suo compito: favorire nel tempo presente un nuovo incontro dell'uomo con il mistero del Dio-Amore, un inedito e fecondo rapporto tra la fede e la vita di oggi, così che i credenti possano mostrare a tutti come la proposta cristiana sia una via di vera umanizzazione e non soffochi l'anelito profondo di vita e di libertà, di giustizia e di amore presente nel cuore delle persone. Al "sì" di Dio, dunque, deve corrispondere il "sì" della Chiesa e di ogni credente attraverso la fede nella Parola di verità, la speranza della definitiva sconfitta del male e della morte, l’amore nei confronti della vita, di ogni persona, del mondo uscito dalle mani di Dio. Il compito educativo appartiene a questo "sì" della Chiesa e del cristiano. Ne è una delle espressioni più alte ed eloquenti. Attraverso l'educazione, infatti, l'uomo si affianca al Dio creatore, si prende cura dei suoi figli, svela loro l'altissima dignità e vocazione che è in essi. Educare significa compiere un atto di fede; vedere oltre la fragilità e il limite dell' esistenza umana; nel rispetto della libertà di ciascuno, orientare la persona, ossia aiutarla a rivolgersi verso la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9). Solo così ciascuno potrà riconoscere i doni che porta in sé, accettare se stesso fino in fondo e realizzare il capolavoro della propria umanità. A questa pedagogia del “si” appartiene la strada della missione, dell’evangelizzazione. E qui bisognerebbe chiederci – con un esame di coscienza - se gli stili formativi delle nostre comunità riescono a trasmettere questo “senso della bellezza della vita”. Chiedersi se la pedagogia delle nostre comunità è quella dei “si” o piuttosto quella dei divieti, delle proibizioni o se da l’idea di qualcosa di angusto, che chiude dentro confini. Dunque no alla religione dei divieti e delle regole, sì ad una fede che affascina, che ha il coraggio di mostrare la bellezza dell'umanità, una testimonianza che passa attraverso la nostra umanità e che parla del “si” che Dio ha pronunciato sull’uomo e sulla sua vita attraverso al Signore Gesù. Il n° 12 della nota C.E.I. fa vedere come la testimonianza passa attraverso le dimensioni più comuni della vita, e quindi si riprendono i 5 ambiti presentati al Congresso che sono poi grandi dimensioni della vita. Questo capitolo cerca di dimostrare come un certo modo di vivere la vita con queste dimensioni può costituire una testimonianza, possa essere quella forma che oggi noi abbiamo a disposizione per fare vedere Dio. Perché in fondo la testimonianza questo è : far vedere Dio, il Padre. Viene in mente un passaggio del vangelo di Giovanni (Gv 14,8) dove Filippo chiede a Gesù “Signore mostraci il Padre e ci basta” : lo aveva li, lo aveva ascoltato, non gli bastava, ma questo “vedere” ha quasi un sapore di “fare esperienza” . Noi dobbiamo sentire che questo nostro tempo è un tempo che non è indifferente – come talvolta può sembrare – alle dimensioni interiori religiose degli uomini che ci chiedono di vedere Gesù. 3. La pastorale Sono due gli aspetti che vengono toccati al n° 21 della nota C.E.I.: 4 ….. e il suo rinnovamento 1. si conferma che oggi la pastorale non può che avere un orientamento missionario, e su questo il documento non si sofferma perché questo argomento è già stato toccato. 2. oggi c’è bisogno di una pastorale più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria. Una pastorale più vicina alla persona : verrebbe da dire una Chiesa più vicina alla vita. Più vicina alla vita delle persone. Quindi la persona cuore della pastorale ! Noi siamo abituati ad una Chiesa che pensa alla sua pastorale articolandola nelle sue grandi dimensioni : parola : il servizio alla Parola di Dio che nelle nostre comunità diventa soprattutto catechesi liturgia : che diventa soprattutto sacramenti, iniziazione cristiana, celebrazione carità : tutto quello che una comunità cristiana è chiamata a fare. dunque una pastorale impostata a partire dal modo in cui la Chiesa pensa a se stessa. Al Convegno di Verona si è pensato che forse la pastorale dovesse avere come centro di riferimento non la Chiesa e la sua realtà, ma la persona in cammino. Ciascuna persona, le persone concrete con la loro esistenza ed il loro impegno a camminare nella vita nella prospettiva della Parola di Dio, nei Sacramenti e nella Carità. Proprio per questo, a Verona, a differenza del passato, il convegno è stato articolato a partire da 5 grandi ambiti, che sono quelli a cui si ritiene oggi (e forse sempre) la vita umana si esprime : Vita affettiva : quindi l’ambito della famiglia Lavoro e festa : sono due dimensioni inscindibili Fragilità umana : è una esperienza che poco o tanto prima o poi la facciamo tutti, la facciamo dentro di noi e attorno a noi Tradizione : la consegna alle nuove generazioni del tesoro della fede, in senso più vasto, l’educazione come aiuto a far emergere attraverso la trasmissione della fede dei valori nei quali crediamo, a far emergere l’umanità di ciascuno perché cresca Cittadinanza : tutte le responsabilità di questa difficile testimonianza dei cristiani La sfida è quella di abituarci a pensare la vita delle nostre comunità e l’azione pastorale a partire dalle PERSONE dalle loro domande, dallo loro esperienza, dai cambiamenti che questa esperienza conosce nella società e nel contesto di oggi : dunque una pastorale che diventa servizio ad un cammino di fede Nel “rinnovamento della pastorale” c’è poi una esperienza particolarmente importante e se ne parla al n° 24 della nota C.E.I. ….. la corresponsabilità Una delle parole che più frequentemente sono corse a Verona è corresponsabilità. Che fa riferimento ad uno stile di vita ecclesiale reso necessario anche dal criterio indicato prima. Cioè una pastorale che ha al centro la persona, che cerca di ricostruire anche nella pastorale l’unità che è anche nella persona, non può che essere una pastorale che si pensa e si organizza attraverso dei processi di corresponsabilità. Corresponsabilità è uno stile di vita ecclesiale che sa valorizzare le persone nel loro essere soggetti e non semplicemente destinatari dell’azione pastorale. L’insistenza con cui se ne è parlato a Verona dice due cose : 5 1. E’ una esperienza tutt’altro che consueta nelle nostre comunità, è una esperienza che fa fatica a diventare “stile” di condivisione, comunicazione, dialogo, confronto per arrivare insieme a compiere delle scelte 2. Dall’altra dice che è maturo il tempo per un modo di pensare la Chiesa non solo in termini di collaborazione, che pure è una nobile esperienza di un impegno assunto insieme. Ma la corresponsabilità è molto più che lavorare insieme, è – oltre che lavorare insieme - pensare insieme, arrivare insieme a compiere delle scelte. Chiunque poi prenda le decisioni dal punto di vista formale è lo stesso, l’importante è che alle decisioni ci si arrivi maturando insieme degli orientamenti, condividendo le ragioni, ascoltando ragioni pro e contro … Questo ha bisogno di conoscenza della realtà e se la pastorale parte dalla persona non può più essere solo la realtà interna della comunità ecclesiale, ma deve essere la realtà umana delle persone che vivono in tutti i luoghi del mondo e che forse non si interessano nemmeno della comunità e non si interessano nemmeno delle sue iniziative. Perché dobbiamo pensare che una pastorale missionaria non è una pastorale che si pensa per quelli che vanno a messa la domenica. Una pastorale della corresponsabilità è una pastorale che si interroga su come entrare in comunicazione con tutti, su come far capire che il Vangelo è un tesoro offerto a tutti e su come può essere a disposizione di tutti. Allora la corresponsabilità è necessaria se ci si pone dal punto di vista dei LAICI cristiani che solo in una prospettiva di corresponsabilità possono veramente offrire alla chiesa il dono della loro laicità. Diversamente possono offrire il dono della disponibilità - del loro tempo, delle loro energie, e questo va benissimo - ma non il dono della loro vocazione perché il carattere tipico del loro essere laici cristiani è quello fare un certo tipo di esperienza del mondo, è quello che il Concilio ha chiamato secolarità, che non è una idea, è una esperienza che si fa in famiglia, nel lavoro, nella politica, nella professione… e così via. Occorre che questo patrimonio di esperienza entri nella comunità cristiana, entri nei discorsi che la comunità cristiana va facendo e diventi tesoro di tutta la comunità. Solo in questo modo allora la pastorale può partire dalla persona e fare unità intorno alla persona, e solo in questo modo la corresponsabilità sarà una esperienza vera e utile. Accelerare l'ora dei laici (cfr n° 26) Il Convegno di Verona all’origine era partito come un ipotetico convegno sui laici (e sarebbe stata una scelta molto coraggiosa), perché quello dei “laici” è uno dei temi in cui i punti critici di una esperienza di Chiesa si toccano con mano, anche gli aspetti che sono più nascosti. Di come la Chiesa pensa se stessa, il suo rapporto con il mondo, la vita cristiana da discepoli. Il convegno ha parlato molto dei laici, è stato dato loro spazio di parola e opinioni, e alla fine si è espresso con delle affermazioni impegnative a proposito dei laici. E, dopo il Concilio, non può che essere così, perché il cammino della Chiesa italiana di questi 40 anni ha visto crescere un laicato numeroso, consapevole, che si impegna – anche molto – nella vita pastorale nella comunità. Parlare dei laici è quindi un esito naturale di un certo percorso Tuttavia credo che esista oggi… La questione dei laici cristiani L’esperienza e la vita dei laici è uno di quegli aspetti in cui tante delle riflessioni che abbiamo fatto fino a qui convergono e trovano un loro punto sensibile. La nota della C.E.I. non rende quella abbondanza di riflessioni che invece è stata fatta al Convegno 6 sul tema dei laici. Ho pensato di riassumere in alcune affermazioni sintetiche (7) gli aspetti critici che ritengo oggi costituiscano la “questione dei laici”. Tocco solo i punti critici. 1. La dimensione secolare della vocazione dei laici cristiani è vissuta in modo troppo debole. Quella dei laici mi sembra che sia una vocazione giocata troppo sulla dimensione pastorale e troppo poco su quella secolare che è poco vissuta, poco capita e poco valorizzata. La nostra presenza di laici cristiani nella famiglia, nella scuola, nelle professioni, nella politica, nella cultura non sono questioni private e non sono questioni che si giocano solo sulla coerenza della nostra testimonianza personale, ma costituiscono il nostro modo di contribuire alla missione della Chiesa di cui siamo parte. Questa comprensione del valore missionario della nostra vocazione vissuta nel mondo mi pare che sia troppo poco presente nella coscienza delle nostre comunità e nella nostra stessa coscienza di laici. 2. La vocazione laicale, vissuta nel mondo, ha una scarsa rilevanza ecclesiale. Quanto conta per le nostre comunità che noi cerchiamo di vivere intensamente la nostra vocazione nella "dispersione" della vita quotidiana? Questa espressione, che è risultata fra le più citate, credo che sia stata colta come una questione difficile anche da districare dal punto di vista della stessa riflessione pastorale. La conseguenza viene nella terza affermazione: 3. Laici che non sono impegnati nella pastorale rischiano di essere "invisibili". Essi sono percepiti come presenze che non sono così decisive, così importanti per la realizzazione della vita della comunità. E' chiaro che questo dipende anche dal fatto che il rapporto della Chiesa con il mondo di cui la Chiesa è parte è troppo debole. 4. Una delle ragioni della debolezza dei laici sta anche nell'attuale frammentazione delle esperienze aggregate. Esse che sono ognuna per se stessa, ognuna chiusa sulle proprie attività, sui propri progetti, così impegnata ad esprimere la propria identità da faticare a cogliere il valore della relazione, del mettersi in relazione tra realtà aggregative diverse. 5. La presenza dei laici è troppo esecutiva. Essi fanno molte cose e portano avanti molte attività, ma con scarso coinvolgimento corresponsabile nella vita della comunità che pensa globalmente l'esperienza della Chiesa e della propria Chiesa particolare. Credo che qui si aprano un paio di capitoli: quello ad esempio degli organismi di partecipazione e di corresponsabilità nella vita della Chiesa e quello dei luoghi di discernimento, che oggi mancano, relativi ai problemi della vita sociale. 6. Laici hanno scarsa possibilità di prendere la parola nella Chiesa. Dopo la riflessione veronese in cui più volte è tornato il tema della corresponsabilità, ho avuto l'impressione che mancasse qualcosa; mi sembra di aver trovato questo "qualcosa" che sta prima della corresponsabilità. Mi pare che oggi nella Chiesa quello che manca siano i luoghi effettivi in cui fra cristiani si possa parlarsi. Nelle nostre comunità, soprattutto per i laici che non sono coinvolti nella vita pastorale, le opportunità per parlarsi, per esprimersi, per portare i loro problemi, le loro domande, ma anche semplicemente il racconto dei loro vissuti, questi luoghi o sono scarsi o nella maggioranza dei casi non esistono. 7. I laici hanno scarsa possibilità di sperimentare dei percorsi di spiritualità che diano valore alla vita quotidiana. Oggi per i laici i percorsi di spiritualità sono segnati o da nostalgie per forme di vita cristiana che sono diverse dalla loro, che sono meno toccate dalla complessità della vita di ogni giorno, oppure sono percorsi di spiritualità che sono segnati da vocazioni diverse dalla nostra. Ma fino a quando la spiritualità non saprà essere veramente originale, tipica, cioè espressione di un cammino di fede che tenga insieme Vangelo e vita quotidiana senza pensare che bisogna uscire dalla vita quotidiana per essere fedeli al Vangelo, finché non ci sarà questo, probabilmente anche tutte le altre questioni 7 difficilmente potranno essere impostate e affrontate come si deve. E' una riflessione molto problematica, che tuttavia non tocca tutta la realtà dei laici, ma piuttosto i punti critici che compromettono la possibilità del laicato di vivere in maniera piena la propria vocazione, con quella pienezza che possa fare sì che la comunità cristiana si avvantaggi in maniera positiva e ricca di una vocazione che è difficile ma non meno grande di altre vocazioni. Ma è chiaro che non ci basta prendere atto degli aspetti problematici: ci chiediamo: come dare un futuro significativo ad una vocazione che il Concilio ha riconosciuto ma che a poco a poco era cresciuta nella coscienza di sé nel corso degli anni. Quest’ultimo probabilmente è quello che genera gli altri punti critici. La domanda è : si può uscire da questa situazione ? come se ne esce ? C'è un futuro per i laici cristiani? Per rispondere a questa domanda servono due ordini di considerazioni: la prima : tornare a riflettere in termini meno teologici e più esistenziali sulla vita dei laici cristiani. Credo sia necessario delineare un profilo del laico cristiano possibilmente scritto con un linguaggio comune, meglio comprensibile. la seconda : individuare alcune vie possibili e praticabili, benché esigenti, perché questo profilo di laico cristiano possa diventare un'esperienza positiva e feconda per tutte le nostre comunità. Questa via richiede una serie di “passi” che possono essere : o il recupero nella Chiesa e nella comunità cristiana del valore vero, corretto, della secolarità, cioè dell’essere della Chiesa nel mondo o attraverso percorsi di comunicazioni e di dialogo : nella Chiesa anche nelle dimensioni più ordinarie ci parliamo troppo poco. Non mancano occasioni in cui c’è una comunicazione, ma “parlarsi” non “parlare” è un’altra cosa o luoghi di esperienze di discernimento, una formazione in cui non ci si accontenti della esattezza della dottrina ma in cui si assuma la problematicità ambigua e talvolta confusa della nostra vita di tutti i nostri giorni perché le domande sono li. Fra i credenti il dubbio non è su Dio, ma il dubbio è : “su quello che mi è successo, Dio cosa centra ?”. Luoghi per capire la vita da cristiani oggi, perché oggi rispetto a 50 anni fa dove bastava sapere come sia essere cristiani poi lo “applico”, è cambiata la cultura. o Corresponsabilità che fra le altre cose implica relazioni adulte all’interno della comunità o Percorsi di convergenza fra le aggregazioni, fra le espressioni organizzate del laicato perché nel rispetto e nella fedeltà di ciascuno alla propria identità e al proprio carisma si viva in primo luogo ciò che è comune e non si viva ciò che è tipico come un elemento così esclusivo da essere un tutto In questo intervento ho segnalato i “numeri” della nota C.E.I. che ritengo utili e che allego, poi ognuno legga di prima mano quello che c’è scritto nel documento. Buon lavoro. Paola Bignardi Relatrice al IV Convegno Ecclesiale di Verona 8