Correzione risposte - Colori dei bambini

Traduzione dal sito http://www.perseus.tufts.edu/Olympics/index.html
Il contesto dei giochi e lo spirito olimpico
Oggi i giochi olimpici sono il più grande spettacolo al mondo di abilità atletica e di spirito
competitivo. Ma sono anche manifestazione di nazionalismo, commercio e politica. Questi due
aspetti delle olimpiadi non sono un’invenzione moderna: il conflitto tra gli alti ideali del movimento
olimpico e le scelte commerciali o politiche, che accompagnano i Giochi, è stato notato fin dai
tempi antichi.
Secondo gli organizzatori delle Olimpiadi di Atlanta, 10.700 atleti provenienti da 197
nazioni hanno partecipato all’edizione del 1996, e oltre 2 milioni di spettatori le hanno viste sul
posto. Gli spettatori televisivi sono stati stimati intorno ai 3,5 miliardi. Con una tale risonanza, il più
grande evento internazionale del mondo è il terreno adatto per ospitare controversie.
I Giochi antichi, che erano parte di una più grande festa religiosa in onore di Zeus,
costituivano l’evento più importante del mondo di allora, quindi erano l’occasione per esprimere
rivalità politiche tra popoli di parti diverse della Grecia ed il luogo ideale per litigi, vanterie,
annunci ed umiliazioni pubbliche.
Le città-stato della Grecia e le feste religiose
Una differenza tra i Giochi Olimpici antichi e moderni è che quelli antichi si tenevano nel
contesto di una festa religiosa. I Giochi venivano disputati in onore di Zeus, re degli dei, al quale
venivano sacrificati 100 buoi nel giorno centrale della festa. Gli atleti pregavano gli dei per la
vittoria ed offrivano in dono animali, prodotti, piccoli dolci, quale ringraziamento per il loro
successo. Secondo la leggenda, l’altare di Zeus si ergeva nel punto colpito dal fulmine, che era stato
scagliato dal dio, seduto sul suo trono sulla cima del Monte Olimpo, dove gli dei si riunivano.
Alcune monete riportavano l’immagine di un fulmine sul retro, proprio in ricordo di tale leggenda.
Col passare del tempo i Giochi si affermarono sempre più e Olimpia divenne il luogo
principale del culto di Zeus. Singoli e comunità donarono costruzioni, statue, altari e altre dediche al
dio. La visione più spettacolare a Olimpia fu la statua d’oro e avorio di Zeus seduto sul trono, fatta
dallo scultore Fidia e collocata nel tempio (vedi fig.). La statua era una delle 7 meraviglie del
mondo antico ed era alta 42 piedi. Una scala a spirale portava i visitatori al piano superiore del
tempio per vedere meglio la statua.
Solo i Greci potevano gareggiare nei giochi, e gli atleti giungevano dalle colonie delle città
stato viaggiando per centinaia di miglia, praticamente dalle regioni che oggi sono la Spagna, l’Italia,
la Libia, l’Egitto, l’Ucraina e la Turchia.
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Una città-stato, la cosiddetta polis, possedeva una cittadella fortificata e difendibile al
centro del territorio, e poteva includere altri villaggi. Ad esempio, la polis dell’Attica era Atene e la
parte fortificata era l’Acropoli. Le città-stato cominciarono a fondare delle colonie dalla metà
dell’ottavo secolo. Dopo il 200 d.C. l’impero romano portò ancora più atleti ai Giochi olimpici, ma
le differenze regionali diedero sempre alle Olimpiadi un sapore internazionale.
Eccellenza e spirito di competizione
Gli antichi atleti gareggiavano individualmente, e non come squadre nazionali (come nei
giochi moderni). Il desiderio di affermazione in competizioni pubbliche aveva a che fare con
l’ideale greco di “eccellenza”, chiamato aretè. Coloro che raggiungevano questo ideale, attraverso i
loro discorsi rilevanti o le loro imprese, avevano eterna gloria e fama. Coloro che non si
dimostravano all’altezza di questo codice di eccellenza temevano la pubblica infamia e la disgrazia.
Non tutti gli atleti si attenevano al codice di eccellenza. Coloro che venivano scoperti a
barare erano multati, ed il denaro veniva usato per fare statue di bronzo a Zeus, che venivano erette
sulla strada che portava allo stadio. Le statue portavano iscrizioni che descrivevano le colpe, per
dissuadere gli altri dal commettere analoghi imbrogli, e ricordavano agli atleti che il successo
andava guadagnato con l’abilità e non col denaro, ed enfatizzavano lo spirito olimpico del rispetto
verso gli dei e della competizione leale.
Il più antico imbroglione di cui si ha testimonianza fu Eupolo dalla Tessaglia, che corruppe i
pugili nella 98esima Olimpiade. Calippo di Atene comprò i suoi avversari nel pentathlon durante la
112esima edizione. Due pugili egiziani, Didas e Sarapammon, furono multati per aver concordato il
risultato del loro incontro nella 226esima edizione. Tutti questi uomini furono immortalati come
imbroglioni nella “Guida alla Grecia” dello scrittore Pausania nel 200 d.C.: egli descrive le statue a
Olimpia e racconta i misfatti dei protagonisti.
La tregua delle Olimpiadi
Una tregua (in greco, ekecheirìa, che letteralmente significa “avere la mano tesa per
prendere”) veniva annunciata prima e durante ciascuna festa olimpica, per permettere ai visitatori di
viaggiare in sicurezza fino a Olimpia. Un’iscrizione che descriveva la tregua era incisa su un disco
di bronzo che veniva esposto a Olimpia. Durante la tregua, le guerre venivano sospese, le armi non
dovevano entrare nell’Elide o costituire una minaccia per i Giochi, ed erano proibite le dispute
legali e le esecuzioni delle pene di morte.
La tregua olimpica veniva, di solito, rispettata fedelmente, sebbene lo storico Tucidide
racconti che ai Lacedemoni fu proibito di partecipare ai giochi, dopo che attaccarono la fortezza di
Lepreo, una città dell’Elide, durante la tregua. I Lacedemoni lamentarono che la tregua non era stata
ancora annunciata al momento del loro attacco. Ma gli abitanti dell’Elide li multarono di 2000
mine, 2 per ogni soldato, secondo quanto stabilito dalla legge. Una mina equivaleva a 100 dracme, e
una dracma era il compenso giornaliero medio di un lavoratore, o il costo di una pecora. Perciò la
multa fu davvero pesante, corrispondendo a 200.000 dracme.
Un’altra tregua internazionale era imposta durante i Misteri annuali, un rito religioso che si
teneva nel maggior santuario di Eleusi. Le tregue di Olimpia e di Eleusi non solo permettevano a
fedeli e atleti di viaggiare più sicuri, ma offrivano anche ai Greci una base comune per la pace.
Lisistrata, personaggio di una commedia di Aristofane, usa questo argomento quando tenta di
convincere Ateniesi e Spartani a porre fine alla loro guerra.
L’atleta antico: dilettante o professionista?
L’allenamento sportivo era parte dell’educazione di ogni ragazzo greco e ogni ragazzo che
eccelleva nello sport poteva mettersi in mostra gareggiando nelle Olimpiadi. Le gare olimpiche
comprendevano delle qualificazioni per selezionare gli atleti migliori per la competizione finale.
Gli scrittori antichi raccontano storie di atleti che svolgevano i loro normali lavori e non
trascorrevano tutto il loro tempo negli allenamenti. Per esempio, uno dei corrieri di Alessandro il
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Grande, Filonide, che veniva da Creta, una volta vinse il pentathlon, che comprendeva disco,
giavellotto, salto in lungo e wrestling, così come la corsa. Tuttavia, come nelle Olimpiadi moderne,
un atleta antico necessitava di dedizione mentale, di preparazione ottimale e di notevole abilità
atletica per riuscire.
Inoltre la fiducia in se stessi era un vantaggio. Un atleta della Libia, Eubota, era così sicuro
della sua vittoria nella corsa che si fece fare la statua di vincitore prima ancora che si svolgessero i
Giochi. Quando vinse, potè offrire la sua statua immediatamente, in quello stesso giorno.
Molti atleti assumevano degli allenatori professionisti che li seguivano, e si sottoponevano
ad allenamenti e diete alimentari proprio come gli atleti di oggi. I Greci discutevano sui metodi più
adeguati per l’allenamento. Aristotele scrisse che si doveva evitare un iperallenamento, affermando
che se i ragazzi si allenano quando sono troppo giovani, finiscono col minare le fondamenta della
loro forza. Egli pensava che dopo la pubertà i giovani avrebbero dovuto studiare per tre anni e solo
dopo dedicarsi agli esercizi sportivi, in quanto lo sviluppo del fisico e della mente non avvengono
nello stesso tempo.
Gli atleti vittoriosi erano professionisti nel senso che vivevano per sempre grazie alla gloria
ottenuta con la loro impresa. La loro città poteva ricompensarli con pasti gratuiti per il resto della
vita, con denaro, esenzione di tasse, cariche onorarie, o incarichi di potere nella comunità. I
vincitori erano immortalati in statue ed anche in odi commissionate a famosi poeti.
Che rapporto esisteva tra i giochi antichi e i politici?
I politici furono presenti nelle Olimpiadi antiche in varie maniere. Nel 365 a.C., gli Arcadi e
i Pisani conquistarono l’Altis (la zona sacra di Olimpia), e presiedettero l’anno dopo la 104esima
Olimpiade. Quando gli Elei finalmente ripresero il controllo di Olimpia, dichiararono che la
104esima edizione non era valida. Alcune straordinarie imprese politiche furono registrate a
Olimpia. Un’iscrizione su una statua della vittoria rendeva onore a Pantarco dell’Elide, non solo per
la vittoria nella corsa coi cavalli, ma anche per la mediazione nella pace tra Achei ed Elei e la
negoziazione per il rilascio da entrambe le parti dei prigionieri di guerra.
Mentre si celebravano i Giochi Olimpici, Alessandro proclamò in Olimpia che tutti gli esuli
avrebbero potuto tornare nelle loro città, tranne quelli che si erano macchiati di sacrilegio o
assassinio. Egli scelse i più vecchi dei suoi soldati macedoni e li esonerò dal servizio; ce n’erano
ben 10.000. Scoprì che molti di essi avevano dei debiti ed in un solo giorno li estinse per loro.
Olimpia fu anche un luogo per annunciare alleanze politiche. Tucidide descrive un patto
militare tra gli abitanti di Atene, Argo, Mantinea e gli Elei, che fu registrato come iscrizione
pubblica su colonne di pietra nelle prime tre città e su una colonna di bronzo ad Olimpia.
Il tiranno di Atene Pisistrato mandò in esilio Cimone, un ricco aristocratico, accusandolo di
disastro militare e politico. "Mentre era in esilio Cimone vinse il premio olimpico nella corsa coi
carri a 4 cavalli. Nei successivi giochi vinse con gli stessi cavalli, ma acconsentì che fosse Pisistrato
ad essere proclamato vincitore, e così potè tornare dall’esilio alle sue proprietà” (Erodoto).
Spettatori ai Giochi
Le Olimpiadi portavano un enorme numero di visitatori a Olimpia. La maggior parte
dormiva all’aperto, sotto le gradinate, anche se i ricchi ed i membri delle delegazioni ufficiali
montavano tende e padiglioni elaborati. Mercanti, artigiani, e venditori di cibo arrivavano per
vendere le loro merci. La lista degli eventi comprendeva cerimonie religiose con sacrifici; arringhe
di filosofi molto famosi; recite di poesie; parate; banchetti; e le celebrazioni dei vincitori.
I ricchi cercavano di superarsi l’un l’altro nel mettersi in mostra. Il tiranno di Siracusa
Dionisio spedì squadre di carri da corsa molto costose, tende magnificamente decorate, ed attori
professionisti per recitare poesie che egli stesso aveva scritto. Dapprima la gente guardò con
ammirazione e, quando la recita cominciò, i presenti furono incantati dalle amabili voci. Ma quando
si accorsero di quanto miseri fossero i versi di Dionisio, cominciarono a ridere sprezzantemente, ed
alcuni osarono persino saccheggiare le tende. Altre figure politiche furono accolte più
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calorosamente dalle folle, proprio come noi oggi amiamo individuare delle celebrità negli eventi
sportivi.
Cultura e Giochi
Le Olimpiadi non solo celebrarono l’eccellenza degli atleti. Offrirono ai Greci anche
l’occasione per produrre elementi culturali duraturi in architettura, matematica, scultura e poesia.
Gli antichi Greci furono degli innovatori nell’architettura. Il tempio di Zeus, disegnato
dall’architetto Libone, fu uno dei più grandi templi dorici costruiti in Grecia. Libone provò a
costruire il tempio secondo un sistema ideale di proporzioni, per cui la distanza tra le colonne era in
armonia con la loro altezza, e gli altri elementi architettonici erano ugualmente ben dimensionati. Il
matematico greco Euclide espresse questo rapporto ideale nei suoi Elementi, un testo di geometria
che è considerato il secondo libro più famoso di tutti i tempi dopo la Bibbia.
Olympia: Model of sanctuary, showing Temple of Zeus, from SE
Photograph copyright the British Museum, London
Gli scultori greci studiarono nuove pose per mostrare l’energia del movimento e
rappresentarono in modo naturale muscoli e forma del corpo. Molti scolpirono figure di atleti, come
la famosa statua del Discobolo di Mirone. Conosciamo il nome di alcuni scultori grazie ad alcuni
scrittori antichi come Luciano, autore di satire.
L’evento culturale più direttamente legato alle Olimpiadi furono le poesie commissionate in
onore dei vincitori. Questi poemi, chiamati Epinìci, furono composti dai più famosi poeti del
tempo, come Pindaro, Bacchilide, Simonide e divennero molto popolari. Una prova di ciò è che il
commediografo Aristofane descrive un ateniese comune, non propriamente un letterato, che chiede
a suo figlio di recitare un certo poema epinicio, composto da Simonide quarant’anni prima. L’opera
e l’atleta sopravvivono nella memoria della gente per lungo tempo dopo il giorno della vittoria. Gli
epinici furono scritti per immortalare le vittorie degli atleti e durarono più a lungo di molte statue e
iscrizioni fatte per lo stesso scopo.
Antiche gare olimpiche
Le Olimpiadi antiche erano piuttosto diverse da quelle moderne. C’era un numero minore di
eventi e solo gli uomini liberi che parlavano il greco potevano competere, anzichè atleti da qualsiasi
paese come oggi. Inoltre, si tenevano sempre a Olimpia anzichè spostarsi ogni volta in sedi
differenti.
Come nelle nostre Olimpiadi, però, i vincitori erano degli eroi che facevano onore alla loro
città. Un giovane nobiluomo ateniese difese la sua reputazione politica ricordando come avesse
iscritto 7 carri nella corsa delle Olimpiadi. Il gran numero di iscrizioni era servito a far apparire sia
l’aristocratico, sia Atene, molto ricchi e potenti.
Segue la descrizione degli sport.
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Boxe
Mississippi 1977.3.68
Side B: boxers
Photograph by Maria Daniels, courtesy of the University Museums, University of Mississippi
La boxe antica aveva meno regole di quella moderna. I pugili combattevano senza
interruzioni (non c’era la divisione in round) fino al KO oppure al ritiro di uno dei due. A differenza
della boxe moderna, non c’era la regola che impedisse di colpire chi era già a terra.
Non c’erano classi di peso all’interno delle categorie uomini e ragazzi; i combattenti erano
scelti dal caso. Al posto dei guantoni, i pugili avvolgevano delle cinghie di cuoio attorno alle mani
(himantes) e ai polsi, lasciando libere le dita.
Sport equestri
1) Corse coi carri
C’erano corse di carri a 2 e a 4 cavalli, con corse separate per carri tirati da puledri. Un’altra
gara era tra carri tirati da due muli. La corsa consisteva in 12 giri attorno allo stadio (9 miglia).
2) Corse a cavallo
La corsa consisteva in 6 giri di stadio (4,5 miglia) e c’erano gare separate per cavalli adulti e
puledri. I fantini montavano senza staffe.
Solo i ricchi potevano permettersi di pagare allenamento, equipaggiamento e mantenere
fantino e cavalli. Come risultato il proprietario riceveva la corona d’ulivo della vittoria al posto del
fantino.
Pancrazio
Questo sport era un misto molto faticoso di boxe e wrestling. I pugni erano ammessi anche
se i combattenti non indossavano le cinghie della boxe.
Le regole proibivano solo di mordere e di graffiare occhi, naso o bocca dell’avversario. Le
mosse tipo calci nell’addome dell’avversario, che oggi sono vietate, erano perfettamente legali.
Come la boxe e il wrestling, questo sport aveva categorie separate per adulti e ragazzi.
Pentathlon
Era una combinazione di 5 discipline: lancio del disco e del giavellotto, salto in lungo, corsa e
wrestling (lotta).
1) Lancio del disco
I Greci consideravano il ritmo e la precisione del lanciatore del disco importanti come la sua
forza. Il disco era fatto di pietra, ferro, bronzo o piombo ed aveva la forma di un disco volante. Le
dimensioni variavano poiché non si poteva pretendere che i ragazzi lanciassero lo stesso peso degli
adulti.
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2) Lancio del giavellotto
Il giavellotto era un’asta di legno alta come un uomo con un’estremità affilata oppure
metallica. Aveva una cinghia al centro per le dita del lanciatore, in modo da aumentare la precisione
e la distanza del lancio.
3) Salto in lungo
Boston 01.8020
Side A: jumper
Photograph courtesy of the Museum of Fine Arts, Boston
Gli atleti usavano dei pesi (halteres) per saltare, fatti di piombo o di pietra, a forma di
cornetta telefonica, per aumentare la lunghezza del loro salto. Essi venivano tenuti davanti durante
l’ascesa e poi spinti con forza all’indietro e lasciati cadere durante la discesa, per portare il corpo
ancora più avanti. Durante l’allenamento i pesi da salto venivano anche raddoppiati, proprio come
succede negli attrezzi del sollevamento pesi.
4) Corsa
C’erano 4 tipi di corse a Olimpia. Lo stadio era la gara più antica dei giochi. I corridori
correvano per uno stadio (192 m.), cioè l’intera lunghezza della pista. Le altre gare erano sulla
distanza di 2 stadi (384 m.), e sulla lunga distanza da 7 a 24 stadi (da 1,344 m. a 4,608 m.).
E se queste gare non erano abbastanza, i Greci ne avevano un’altra particolarmente pesante
che a noi manca. C’era anche una corsa da 2 a 4 stadi (da 384 m. a 768 m.) per atleti in armatura.
Questa corsa era utile specialmente per allenare alla velocità ed alla resistenza di cui i Greci
avevano bisogno durante il servizio militare. Se pensiamo che l’armatura standard dell’oplita (elmo,
scudo e gambali) pesava circa 60-80 libbre, è facile immaginare come doveva essere una gara del
genere.
5) Wrestling
Come nello sport moderno, un atleta doveva buttare a terra il suo avversario, facendolo
atterrare su un fianco, sulla spalla o sulla schiena, perchè la caduta fosse considerata valida. Per
vincere un incontro erano necessarie tre prese. Non era concesso mordere e neppure era ammesso
stringere i genitali. Mosse come la frattura delle dita erano invece consentite.
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Storie di atleti delle Olimpiadi antiche
Come i loro colleghi moderni, gli atleti antichi trovavano il modo di sollecitare
l’immaginazione del pubblico. Molti antichi autori come Pindaro, Pausania, Strabone, raccontano le
imprese notevoli di alcuni dei più famosi vincitori delle Olimpiadi antiche.
Milone di Crotone
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lottatore
sei volte campione olimpico:
o vinse la prima volta nella categoria ragazzi, nella 60esima edizione nel 540 a.C.
o campione per 5 volte dalla 62esima alla 66esima edizione (dal 532 al 516 a.C.
Uno dei più leggendari atleti del tempo antico, Milone di Crotone, vinse per sei volte la
corona a Olimpia. Nato nell’Italia meridionale, dove i Greci fondarono molte colonie, vinse la
prima volta nella categoria ragazzi.
Tornò otto anni dopo a vincere il primo di 5 titoli consecutivi nel wrestling, un’impresa che
sembra incredibile per gli standard moderni. Raramente infatti nelle Olimpiadi moderne si partecipa
più di due o tre volte nel corso della carriera. Milone resistette prima di ritirarsi più del pugile
George Foreman: al tempo della 67esima Olimpiade del 512 a.C., Milone aveva probabilmente 40 o
più anni, ma gareggiò comunque. Lo sfidante non vinse Milone sopraffacendolo, ma scansando il
lottatore più anziano e stancandolo.
Secondo antiche fonti, Milone si divertiva ad esibire la sua forza insuperabile. Per esempio,
teneva una melagrana in mano mentre gli avversari tentavano di strappargliela. Anche se la
stringeva così forte che nessuno riusciva a prenderla, egli non rovinava mai il frutto. Talvolta stava
in piedi su un disco di ferro spalmato di grasso e sfidava l’avversario a spingerlo fuori di esso.
Un’altra delle sue esibizioni preferite era avvolgere una corda attorno alla fronte, trattenere il
respiro e rompere la corda gonfiando le vene. Altre volte il lottatore stava dritto col braccio destro
lungo il fianco, il gomito indietro, e porgeva la mano con il pollice in su e le dita aperte. Nessuno
riusciva a piegargli neppure il mignolo.
Milone eccelleva anche nella guerra. Quando una città vicina attaccò Crotone, Milone entrò
in battaglia indossando le sue corone olimpiche e vestito come Eracle, con una pelle di leone, e
brandendo una clava: portò i suoi compagni alla vittoria.
Seguace del famoso filosofo Pitagora, Milone una volta salvò i suoi amici. Accadde che il
tetto dell’atrio in cui si trovavano riuniti i pitagorici cominciò a crollare. Milone scattò in piedi e
sostenne la colonna centrale fino a quando gli altri furono in salvo e poi uscì, salvandosi anche lui.
Alla fine, tuttavia, tutta questa fama e forza non evitarono a Milone una morte ingloriosa.
Mentre vagava nella foresta, trovò il tronco di un vecchio albero nel quale erano inseriti dei cunei.
Nel tentativo di provare la sua forza, pose le mani e forse i piedi nella spaccatura del tronco e tentò
di spaccare il legno. Riuscì ad estrarre i cunei, che finirono fuori, ma il tronco si chiuse sulle sue
mani, intrappolandolo. Così, secondo la leggenda, cadde in preda a bestie feroci.
Theagenes of Thasos
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Pugile, pancratista e corridore
Vincitore nella boxe nella 75 esima edizione, 480 a.C.
Vincitore nel pancrazio nella 76esima edizione, 476 a.C.
Alla giovane età di 9 anni, Teagene di Taso divenne famoso in tutta la Grecia. Pare che
stesse tornando a casa da scuola, quando notò una statua di bronzo di un dio nella zona del mercato.
Per qualche strana ragione, probabilmente perché gli piaceva, Teagene staccò la statua dalla sua
base e se la portò a casa. Questo episodio indignò i cittadini, che lo accusarono di irriverenza, e
discussero se punire o meno il fanciullo per il suo gesto. Un anziano suggerì che il ragazzo dovesse
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riportare la statua al suo posto. Teagene lo fece, ebbe salva la vita e il racconto di questo episodio
fece il giro della Grecia. Alla 75esima Olimpiade Teagene vinse nella boxe.
Dopo aver battuto il pugile Eutimo, Teagene era troppo stanco per vincere una seconda
corona nel pancrazio. Curiosamente i giudici multarono Teagene accusandolo di aver partecipato
alla gara di boxe solo per far dispetto ad Eutimo. Pausania afferma che questa fu quella che noi oggi
definiremmo una conduzione poco sportiva. Teagene non prese parte alla gara di boxe nella
successiva edizione, ma vinse nel pancrazio.
Oltre a queste due vittorie, nella boxe e nel pancrazio, Teagene vinse in altri giochi. Quando
andò a Ftia, patria del leggendario eroe dell’Iliade, il piè veloce Achille, Teagene decise di
gareggiare nella corsa e naturalmente vinse.
Dopo la sua morte, gli abitanti di Taso ricordarono Teagene con una statua di bronzo. Un
tale, che non aveva mai vinto un incontro con Teagene, si recava ogni notte davanti alla statua e la
colpiva; finchè, una notte, la statua si staccò, cadde sull’avversario e lo uccise. I figli denunciarono
la statua per assassinio, un’azione assolutamente normale per la legge della Grecia. (I Greci
sostenevano che tutti gli assassini dovevano essere puniti, persone, animali o anche oggetti che
fossero!). Gli abitanti di Taso gettarono la statua di Teagene nell’oceano, pensando di liquidare la
faccenda. Più tardi carestia e peste colpirono Taso, e i cittadini interpellarono l’oracolo, che
consigliò agli isolani di richiamare in patria tutti gli esiliati. Essi obbedirono, ma i raccolti nei campi
non aumentavano ancora. Nuovamente si rivolsero all’oracolo per chiedere assistenza ed egli
rispose che avevano dimenticato il grande Teagene. La statua dell’atleta, recuperata da alcuni
pescatori, fu rimessa al suo posto e i cittadini le offrirono dei sacrifici come ad un dio salvatore.
Diagora di Rodi
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Pugile
Vincitore nella 79esima edizione, 464 a.C.
Il pugile Diagora di Rodi incarnò tutte le qualità del nobile atleta antico. Immortalato in una
delle odi più famose del poeta Pindaro, Diagora fu vincitore non solo nei Giochi Olimpici, ma in
tutte le altre maggiori manifestazioni sportive della Grecia. La quantità dei suoi successi ha
certamente contribuito a renderlo famoso, ma le virtù del suo carattere furono per gli antichi Greci
importanti quanto la sua abilità nella boxe.
Sappiamo che la famiglia di Diagora apparteneva alla classe nobile di Rodi, e che i Rodiani
sostenevano che l’atleta fosse figlio del dio Ermete. Tali leggende servivano a spiegare come degli
uomini mortali potessero compiere imprese sportive da superuomini.
Nella sua ode per Diagora, Olympian 7, Pindaro elogia il pugile come un combattente leale
ed un grande uomo. Inoltre dice che "cammina in linea retta su una strada che odia l’arroganza."
Oltre alla vittoria olimpica, Diagora vinse 4 volte ai giochi istmici, 2 volte a Nemea, e in altri giochi
a Rodi, ad Atene, e un po’ dovunque in Grecia. Non possediamo una registrazione esatta della sua
carriera, ma è chiaro che ai suoi tempi fu una leggenda.
Diagora visse abbastanza per vedere le vittorie alle Olimpiadi dei suoi due figli, Damagete e
Acusilao. Alla 83esima edizione nel 448 a.C., Damagete vinse il secondo dei suoi due titoli nel
pancrazio e Acusilao vinse nella boxe. I figli si caricarono il padre in spalla, mentre la folla in
delirio li copriva di fiori e si congratulava con Diagora. Un altro figlio, Dorieo, vinse tre titoli
successivi nel pancrazio, oltre a 8 vittorie nei giochi istmici e 7 a Nemea. Anche due nipoti di
Diagora furono campioni olimpionici di boxe.
Olimpia incoronò tre generazioni della famiglia di Diagora, incrementando la fama che il
pugile si era guadagnato a buon diritto e alimentando altre leggende sulle origini immortali della
sua famiglia.
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Polydamas of Skotoussa
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pancratista
vincitore nella 93esima edizione, 408 a.C.
Sappiamo poco sul vincitore olimpico Polidama (o Pulidama) di Scotussa, una città nella
Tessaglia. I suoi precedenti, la vita in famiglia, e persino i dettagli del suo trionfo olimpico sono
avvolti nel mistero. A parte il fatto che la statua di Polidama era straordinariamente alta, non
abbiamo alcuna informazione sul suo aspetto.
Come molti atleti moderni, il pancratista Polydama fu tanto famoso per le sue gesta non
atletiche quanto per la sua impresa nei giochi. Gli autori antichi tendono a paragonare le sue
imprese a quelle del leggendario eroe greco Eracle. Una volta Polidama uccise un leone a mani
nude sul monte Olimpo per imitare Eracle, che aveva ucciso il leone di Nemea.
Pausania aggiunge che Polidama “...andò in mezzo ad una mandria di bestie, afferrò il toro
più grosso e selvatico per una delle zampe posteriori, tenendo fermo lo zoccolo nonostante i salti e
gli sforzi del toro, finchè alla fine quello tirò fuori tutta la sua forza e scappò, lasciando lo zoccolo
nella presa di Polydama.”
Un’altra volta Polidama fermò un carro in corsa e gli impedì di proseguire. Queste imprese
giunsero alle orecchie dei Persiani, e il re Dario mandò a chiamare Polidama. Là l’atleta sfidò tre
Persiani, chiamati “gli immortali”, a combattere contro di lui, tre contro uno, e li vinse.
Alla fine tuttavia la forza di Polidama non lo preservò dalla morte. Un’estate Polidama e i
suoi amici stavano riposando in una cava, quando il soffitto cominciò a franare su di loro.
Confidando nella sua forza, Polidama tese le mani verso il soffitto, tentando di sostenerlo, mentre le
rocce crollavano su di lui. I suoi amici scapparono e si misero in salvo, ma il pancratista morì.
Melankomas of Caria
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Pugile
Vincitore nella 207esima edizione, 49 d.C.
Il pugile Melancoma era di Caria, una regione di quella che i Greci chiamavano Asia Minore
ed è ora nota come Turchia. Nato da un padre importante, Melancoma fu famoso per l’avvenenza
delle sue fattezze fisiche.
L’atleta era tanto bello quanto coraggioso. Desiderando dimostrare il suo coraggio,
Melancoma scelse l’atletica poiché era considerata onorevole e molto impegnativa. Evidentemente
alcuni pensavano che l’allenamento che un soldato poteva sopportare fosse meno duro di quello di
un atleta, in particolare di quello di un pugile. Abbastanza sorprendentemente, Melancoma rimase
imbattuto durante tutta la sua carriera senza aver mai subìto colpi dagli avversari, né averli colpiti
lui stesso.
Infatti il suo stile consisteva nel difendersi dai colpi dell’avversario e nell’evitare di colpirlo.
Invariabilmente l’avversario ne usciva frustrato e perdeva la calma. Egli poteva combattere per tutto
il giorno, anche d’estate, e si rifiutava di colpire l’avversario anche quando sapeva che, facendolo,
avrebbe finito prima l’incontro e si sarebbe assicurato una facile vittoria.
Non c’è dubbio che il suo successo fu dovuto in gran parte al suo rigoroso allenamento.
Melancoma continuò a praticare la boxe più a lungo degli altri atleti. Una storia racconta che il
pugile andò in giro per due giorni con le braccia alzate, senza abbassarle nè riposarsi neppure una
volta.
Sfortunatamente Melankoma morì giovane. Il pugile, steso sul suo letto funebre, chiedeva sempre
ad un amico quanti giorni di gare erano rimasti. Non sarebbe vissuto per gareggiare ancora, ma il
suo nome sopravvisse grazie alla sua eccezionale abilità pugilistica.
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Informazioni ricavate dalle domande più frequenti che riguardano le Olimpiadi.
1. Qual è l’origine delle Olimpiadi?
Esistono parecchie storie sull’origine delle Olimpiadi. Un mito racconta che Zeus stesso inventò i
Giochi per celebrare la sua vittoria sul padre Crono per il controllo del mondo. Un altro racconta che
furono istituiti dall’eroe greco Pelope dopo aver vinto una corsa coi carri contro il re Onomeo per
sposare sua figlia Ippodamia.
Fino dalle origini della cultura greca antica i giochi sportivi furono una parte importante delle feste
religiose. Achille nell’Iliade organizza dei giochi all’interno delle cerimonie funebri del suo migliore
amico Patroclo: essi comprendevano una corsa coi carri, una corsa a piedi, il lancio del disco, la boxe
e la lotta.
La corsa a piedi fu l’unica gara nelle prime 13 Olimpiadi; poi furono aggiunte delle corse su distanze
diverse e altre gare. Il pentathlon e il wrestling furono introdotti a partire dalla 18esima Olimpiade.
2. Perché le Olimpiadi si svolgevano ad Olimpia?
Olimpia era uno dei centri religiosi più antichi della Grecia. Poiché lo sport era uno dei modi per
onorare gli dei, era logico che un evento sportivo ricorrente si tenesse dove sorgeva uno dei templi
maggiori. Inoltre Olimpia era comoda da raggiungere via mare. Per consentire agli atleti di viaggiare
in sicurezza, veniva dichiarata una tregua internazionale un mese prima dell’evento. I giudici
avevano il potere di multare le città e di escludere dalle gare gli atleti che non avessero rispettato tale
tregua. Una volta gli Spartani invasero l’Elide dopo la dichiarazione della tregua. Gli Eleni
comminarono loro una multa in base al numero di soldati ed esclusero dalla competizione tutti gli
atleti spartani.
3. C’erano altri Giochi oltre alle Olimpiadi?
C’erano altri Giochi che si tenevano ogni 2 o 4 anni: i Giochi Istmici a Corinto, i Giochi Pitici a
Delfi e i Giochi Nemei a Nemea. Ma quelli Olimpici, nati 200 anni prima, rimasero sempre i più
famosi del mondo greco antico. Molti atleti partecipavano a vari giochi: lo sappiamo dalle iscrizioni
sulle statue della vittoria di Olimpia che accennano ai vari successi degli atleti. La descrizione di
Olimpia scritta da Pausania include un elenco delle statue più famose e un sommario delle loro
iscrizioni.
4. Chi poteva gareggiare alle Olimpiadi?
Potevano gareggiare tutti i Greci nati liberi. C’erano categorie separate per i giovani e gli adulti. Le
donne erano escluse dalle gare, però potevano “partecipare” agli sport equestri come proprietarie dei
cavalli e quindi ricevere il premio in caso di vittoria. Da Pausania sappiamo che il vincitore della
prima corsa con le bighe fu una donna macedone.
5. E le donne?
Le donne non potevano competere direttamente; quelle sposate non potevano nemmeno assistere alle
Olimpiadi (rischiavano la pena di morte!), invece quelle nubili sì. Pausania racconta la storia di una
donna che, per assistere alla gara del figlio, si travestì da uomo, facendosi passare per un istruttore:
ma quando gioì per la sua vittoria, venne scoperta. Tuttavia non fu punita, per rispetto verso suo
padre, i suoi fratelli e suo figlio, che aveva vinto. Ma da allora fu stabilito che gli istruttori, prima di
entrare, si dovessero denudare. Esistevano comunque delle gare femminili, sempre solo per le donne
nubili: la più famosa era una corsa a piedi in onore della dea Era che si svolgeva nello stadio
olimpico. C’erano tre corse separate per bambine, adolescenti e adulte. La distanza da percorrere era
più breve di quella maschile (5/6 dello stadio, circa 160 metri, anziché l’intera lunghezza di 192
metri). Le vincitrici ricevevano la corona di ulivo proprio come alle Olimpiadi.
6. Come si allenavano gli atleti?
Lo sport faceva parte dell’educazione generale perché si pensava che lo sviluppo del corpo fosse
importante quanto quello della mente, per una buona salute globale. Inoltre l’esercizio fisico era
indispensabile per una società in cui gli uomini erano tenuti a fare il servizio militare. Perciò i
giovani greci frequentavano la palestra sia che fossero atleti dei Giochi sia che non lo fossero. La
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palestra (= scuola di wrestling) era uno dei luoghi d’incontro più popolari tra gli uomini. I giovani si
allenavano con gli istruttori, che avevano dei lunghi bastoni per correggere le posizioni sbagliate del
corpo e altri errori; inoltre si faceva attenzione a bilanciare l’esercizio fisico con una dieta corretta.
Spesso gli esercizi venivano eseguiti al suono del flauto, perché si dava importanza anche
all’armoniosità dei movimenti. Dopo l’allenamento si massaggiavano il corpo con olio e poi si
ripulivano con uno speciale strumento chiamato strigilo (vedi fig). Coloro che gareggiavano alle
Olimpiadi, dovevano arrivare un mese prima dell’inizio, proprio come gli atleti di oggi che risiedono
nel Villaggio Olimpico.
7. Che premi si vincevano alle Olimpiadi?
Il vincitore riceveva una corona di foglie di ulivo e gli veniva eretta una statua a Olimpia. Anche se
non riceveva del denaro, il vincitore veniva trattato dalla sua città come una celebrità, perché aveva
contribuito ad aumentare la fama e la reputazione della comunità. Spesso veniva ricompensato con
dei benefici, come pasti gratis, posto riservato a teatro o in altre manifestazioni pubbliche. Una città
costruì persino una palestra privata dove il suo campione di wrestling potesse allenarsi. Quando un
vincitore olimpico di Crotone partecipò nuovamente ai Giochi come nativo di Siracusa (per
ingraziarsi il governatore di Siracusa) e vinse, gli abitanti di Crotone si arrabbiarono così tanto, per
essere stati “derubati” dell’onore delle sue vittorie, che abbatterono la statua che gli avevano
costruito e trasformarono la sua casa in una prigione.
8. Chi erano i giudici alle Olimpiadi?
A differenza delle Olimpiadi moderne, i giudici non provenivano da tutta la Grecia, ma solo
dall’Elide, regione in cui sorge Olimpia. Il numero di giudici salì a 10 quando vennero inserite più
gare nel programma. Anche se i giudici erano tutti del posto, gli atleti eleni potevano ugualmente
partecipare. Gli Eleni avevano una tale fama di onestà che un imbroglio da parte loro sarebbe stato
uno shock per gli altri Greci.
9. Come venivano puniti gli imbrogli?
Chiunque violasse le regole era multato dai giudici e il denaro veniva usato per costruire statue a
Zeus, il patrono dei Giochi. Un imbroglio era corrompere col denaro; oppure evitare gli allenamenti,
a Olimpia, che precedevano i Giochi. Un atleta si giustificò per non essere arrivato in tempo dicendo
che la sua nave era stata trattenuta da venti contrari, ma più tardi si scoprì che aveva trascorso quel
periodo spostandosi per la Grecia e vincendo premi in denaro in varie competizioni. Un altro atleta,
spaventato all’idea di affrontare i suoi avversari, abbandonò i Giochi il giorno prima della sua gara e
venne multato per codardia.
10. Qual è l’origine della maratona?
La maratona non fu mai corsa nelle Olimpiadi antiche, anche se le sue origini risalgono ad un
episodio della storia dell’antica Grecia. Nel 5° secolo a.C. i Persiani invasero la Grecia, approdando
a Maratona, una piccola cittadina a circa 26 miglia da Atene. L’esercito ateniese era numericamente
inferiore all’armata persiana, così gli Ateniesi chiesero aiuto a tutte le città della Grecia. La
tradizione fa derivare l’origine della maratona dalla corsa che un messaggero, Fidippide, fece da
Maratona ad Atene per annunciare la vittoria dei Greci; dopodichè, sfinito dallo sforzo, cadde a terra
e morì. In realtà, Fidippide fu inviato a Sparta per chiedere aiuto; un altro uomo, un certo Eucle,
portò la notizia ad Atene e morì. Fonti successive confusero la storia di Fidippide, anche chiamato
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Filippide, con quella di Eucle. Anche se molti autori non la confermano, questa leggenda si è
conservata e su di essa si basa l’attuale maratona, che è lunga circa 26 miglia e dura oltre 2 ore.
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