Sen. Tiziano TREU Contributo alla 2° Conferenza nazionale della famiglia I lavori di questa conferenza sulla famiglia si avvalgono di contributi diversi, frutto di una riflessione avviata fra le associazioni familiari, dalle forze sociali e politiche e dalle istituzioni; avviata da tempo, in particolare dalla prima conferenza tenutasi a Firenze nel 2007 per iniziativa del ministro Rosy Bindi. Queste riflessioni sono un patrimonio importante da approfondire, ma soprattutto da tradurre in impegni concreti. Di fronte alle difficoltà attuali della famiglia è grave, anzi insultante, continuare con la retorica. E non basta limitarsi a preparare documenti anche ben scritti e proposte che restano nei cassetti. In Parlamento ne sono stati presentati molti, in parte anche bipartisan, ma sono rimasti lettera morta, con il motivo che mancano le risorse, oppure semplicemente per poca attenzione. La famiglia ha funzioni di bene comune troppo importanti per essere usata per proclami di lotta politica o per guerre ideologiche di definizioni. Così si perde di vista l’obiettivo essenziale, che è quello di dare aiuto alle famiglie tenendo conto del numero dei componenti e delle loro condizioni economiche, come ha sottolineato il cardinale Tettamanzi in apertura di conferenza. L’aiuto va dato a tutte le famiglie, in particolare a tutti i figli, che sono un bene prezioso, anche perché troppo raro. E’ sempre stato così nella nostra tradizione. Fin dai tempi della prima repubblica si è riconosciuto anche dai partiti di ispirazione cattolica che le politiche sociali vanno riferite alla famiglia anagrafica a prescindere dalla sua configurazione giuridica; e gli aiuti e le risorse pubblici che riguardano specialmente i figli devono essere a disposizione di tutti i figli. Mentre una disciplina specifica, quella cui si riferisce l’art. 29 della Costituzione, vale per rapporti personali e patrimoniali fra i coniugi all’interno della famiglia fondata sul matrimonio. 1 Di fronte alle difficoltà che la crisi ha acutizzato nel paese e che riguardano tutti, è irresponsabile riaprire questo capitolo per discriminare fra famiglie e fra i figli. L’utilità di incontri come questo si misura sulla capacità di trovare soluzioni condivise e di sollecitare risposte concrete. Finora queste risposte sono state carenti e hanno lasciato più sole e più vulnerabili le nostre famiglie. Lo hanno rilevato anche i vescovi italiani - come ha ricordato ancora il cardinale Tettamanzi – sollecitando iniziative efficaci e non scontri ideologici. Purtroppo i conti parlano chiaro. Le politiche familiari hanno ricevuto in Italia attenzione insufficiente, minore che in tutti i paesi vicini. Questa è una carenza di tutti, delle varie forze politiche; ma negli ultimi anni la situazione è peggiorata. I fondi stanziati dal precedente governo di centro sinistra per sostegni alle famiglie nei vari aspetti (comprese le pari opportunità, la non autosufficienza, le agevolazioni per gli affitti, i servizi all’infanzia e le politiche giovanili) sono stati drasticamente ridotti, addirittura a un decimo, da 400 milioni del 2006 a 40. E il complesso dei fondi di carattere sociale è crollato da 2520 mil. di euro del 2008 a 349 per il 2011 e diminuirà ancora a 271,6 nel 2013 (così risulta dal bilancio di previsione 2011 dello Stato, AC 3779). Le difficoltà finanziarie vanno affrontate, ma è ingiusto farlo con tagli lineari che non tengono conto né della gerarchia e né della qualità dei bisogni. Dire che si vuole mettere al centro la famiglia e poi ridurre ulteriormente le risorse già scarse è una ipocrisia, che copre una ingiustizia. Le difficoltà economiche non sono gli unici ostacoli a fare famiglia, ma ne sono una parte, per molti decisiva, specie in momenti di crisi. Tutte le analisi - anche quelle presentate qui – riconoscono la gravità degli ostacoli economici che pesano sull’autonomia dei giovani (a cominciare dalla mancanza di lavoro), sulla sfasatura fra figli desiderati e figli nati, sulla libertà delle donne di conciliare vita personale e lavoro, sulla cura dei bambini, degli anziani e dei disabili. 2 Questi temi devono essere al centro dei nostri dibattiti e dell’agenda politica, di questo come di altri governi. Va contrastato il luogo comune che le politiche familiari siano costi (da ridurre come gli altri) e non invece investimenti necessari per il futuro del paese. I documenti della conferenza lo riconoscono, ma il luogo comune è confermato dalle scelte politiche e finanziarie in atto. Per coprire questa realtà non si può fare ricorso al principio di sussidiarietà, come si legge spesso nei documenti del governo. La sussidiarietà, intesa correttamente, non può servire a scaricare le responsabilità dello stato sulla società civile e sulla famiglia. Anche insistere sul fatto che la famiglia è un ammortizzatore sociale, segnala una distorsione dell’idea di welfare e di sussidiarietà. La sussidiarietà richiede di valorizzare l’autonomia e la capacità delle persone e delle famiglie in modo tale che possano contribuire al benessere comune. Le capacità delle persone e le associazioni della società civile sono decisive per integrare e arricchire il welfare: che non può più poggiare solo sulle iniziative pubbliche, nè centrali e neppure decentrate. Per questo si sostiene, anche nel PD, la necessità di un welfare comunitario, per sottolineare che le molteplici funzioni di politica sociale e familiare devono coinvolgere la società civile nelle sue varie forme, dal terzo settore, al volontariato, agli enti bilaterali costituiti fra sindacati e imprese, e in certi settori alle stesse imprese, con un welfare aziendale. Funzioni così complesse richiedono una collaborazione vera fra istituzioni e società civile. Ma lo Stato non può esimersi dal sostenere con regole e con risorse adeguate gli attori e le funzioni del welfare comunitario. Non, dunque, tagliare le risorse pubbliche ma riallocarle meglio anche in capo agli attori sociali. Le politiche familiari devono coinvolgere in modo coordinato sia la società civile sia le istituzioni pubbliche, quelle centrali e quelle locali, che hanno ormai competenze rilevanti specie per l’area decisiva dei servizi. Non bastano iniziative settoriali, anche lodevoli. Occorre predisporre un quadro di insieme e una visione che unifichi le varie 3 politiche. Lo ha rilevato anche il Parlamento europeo indicando la necessità di adottare l’approccio del family mainstreaming (a integrazione del gender mainstreaming). Questo implica cambiare l’asse fondamentale delle politiche sociali e del welfare mettendo al centro la famiglia. L’impianto tradizionale del welfare era concentrato sulle categorie storiche dei lavoratori, maschi adulti, e prevedeva soprattutto interventi di carattere indennitario, per risarcire gli individui dei danni e dei rischi del lavoro. Il nuovo welfare deve invece occuparsi delle persone, di tutte le persone, e deve valorizzare le loro relazioni, a cominciare da quelle familiari, in tutte le fasi della vita personale e familiare, dalla nascita, alla vita adulta, fino alla vecchiaia e vuole rispondere ai diversi bisogni non solo materiali che sorgono nei vari momenti delle vicende familiari. Come sostiene anche Donati, le politiche sociali di welfare non possono essere individualistiche (né tanto meno servire a disgregare i legami sociali), devono sostenere i beni relazionali in particolare all’interno della famiglia. Le relazioni si basano sulla libertà dei singoli (non possono essere costrette), ma arricchiscono tale libertà con lo scambio reciproco. In questo senso l’obiettivo è la costruzione di un welfare familiare e generazionale. Deve essere un welfare universale perché si occupa di tutte le persone che vivono sul territorio, anche degli immigrati sempre più numerosi e presenti nelle nostre famiglie. Non può essere solo nè prevalentemente risarcitorio, ma orientato a promuovere lo sviluppo delle persone nella loro integralità con misure che accrescano le opportunità di arricchimento individuale e relazionale e le capacita dei singoli e delle famiglie di vivere una vita buona e attiva. La famiglia non ha bisogno di politiche assistenziali ma di interventi promozionali. Questo tipo di welfare aiuta la crescita delle famiglie e più in generale di una società della cura. Le proposte specifiche di cui ci occupiamo compongono un insieme complesso, come sono complessi i bisogni delle famiglie. E’ importante indicare alcune linee prioritarie, quelle più urgenti, per tutelare le fragilità della famiglia in questo 4 momento di crisi ma anche in prospettiva per valorizzarne il ruolo educativo e la funzione di stimolo alla crescita personale e sociale. Una priorità richiamata da (quasi) tutti riguarda gli aiuti economici alle famiglie. L’urgenza è evidente perché la crisi sta impoverendo sempre più le nostre famiglie. Quasi un quinto degli italiani (11 milioni) è a rischio di povertà; e la povertà colpisce in particolare i bambini delle nostre famiglie. Una misura proposta anche dai sindacati, riguarda la previsione di un assegno per i figli consistente (il PD ha proposto 2500 euro) e universale cioè per tutte le famiglie, che superi la logica dei piccoli ritocchi, come hanno fatto altri paesi. Inoltre sul piano economico proponiamo una detrazione aggiuntiva per ogni figlio a favore delle donne che lavorano. E un incremento (il raddoppio) della soglia di detraibilità delle spese per figli a carico, ora del tutto inadeguata (detrazioni per asili nido, baby sitter, badanti). Un aiuto alle famiglie è urgente anche nella impostazione delle politiche tariffarie. Le tariffe che pesano oggi più che mai sui bilanci familiari vanno disegnate tenendo conto della composizione del nucleo familiare (numero delle persone, età); servono tariffe agevolate (trasporti, energia ecc) soprattutto per i nuclei familiari numerosi. Nella stessa direzione vanno studiate modalità e intese con le banche per agevolazioni nel credito,con i comuni e con le imprese, per sostenere i consumi delle famiglie a basso reddito. Queste misure di emergenza vanno inserite in politiche organiche di contrasto alla povertà, che in diverse forme sta colpendo molte famiglie, anche di ceto medio. Più in generale occorre affrontare finalmente la riforma del fisco per costruirlo a misura di famiglia. Su questo punto il dibattito recente ha chiarito alcuni obiettivi e ha avvicinato alcune posizioni nel mondo politico e delle parti sociali, superando le criticità delle ipotesi di quoziente familiare. La considerazione del fattore famiglia come proposto dal Forum delle associazioni familiari, permette di disegnare una 5 riforma fiscale che riconosca il valore sociale della famiglia e ridimensioni il carico fiscale in funzione dei carichi familiari (e tenendo conto dei bisogni e dei redditi). Una seconda linea di intervento riguarda i servizi alle persone, da potenziare e organizzare in modo da tenere conto delle diverse situazioni della vita familiare, da quella dei bambini all’età adulta. E’ nei servizi di cura che si esprimono soprattutto le attività del welfare comunitario e sussidiario. Esse sono già presenti con pratiche spesso di grande qualità in molti nostri territori. Queste pratiche vanno aiutate a diffondersi in tutto il paese, con sostegni specifici di carattere nazionale e con linee guida che definiscano i livelli essenziali delle prestazioni sociali tenendo conto del contesto familiare. Così si valorizzano le autonomie, personali e locali, promuovendo un federalismo non divisivo ma solidale, in grado di stimolare le responsabilità di tutti per migliorare complessivamente il sistema e per superare le disparità di condizioni che penalizzano soprattutto il Sud anche nei servizi sociali. Una importanza centrale va data alla cura dei bambini. Qui comincia il welfare perché è in questa fase che si pongono le basi dello sviluppo umano, e delle capacità necessarie per la vita moderna. Per questo dobbiamo investire sulle strutture di cura, coinvolgendo anche i privati, sia non profit sia le imprese (alcune stanno già provvedendo con iniziative di welfare aziendale) e rifinanziando il fondo nazionale per gli asili nido per arrivare ai livelli di servizio richiesti dall’Europa. I giovani vanno aiutati a ricercare la loro autonomia;non possono essere costretti a pesare sulla famiglia. Soprattutto per i giovani la famiglia non può essere un ammortizzatore sociale. Per questo il PD ha proposto strumenti di sostegno alla loro autonomia: agevolazioni per l’alloggio fuori casa e per gli studi anche fuori sede, valorizzazione dei meriti fin dai percorsi scolastici; aiuti alle famiglie per lo studio dei figli (learnfare), conti individuali dalla nascita sostenuti da agevolazioni fiscali per favorire l’entrata nella vita attiva, misure di contrasto alla precarietà e di stabilizzazione dei lavori, maggiore apertura degli accessi alle professioni e sostegno all’auto imprenditorialità. 6 Per gli stessi motivi la scuola va sostenuta e potenziata con le riforme necessarie, ma che non la privino delle risorse necessarie. La educazione è il fondamento della crescita personale e del benessere sociale. Per questo va posta al centro del welfare: dall’educazione di base, a quella professionale a quella continua nel corso della vita. Le famiglie vanno aiutate nella cura degli anziani, per sostenere un impegno sempre più grande nella nostra società. Anche qui dobbiamo potenziare i servizi pubblici socio sanitari, rifinanziandoli e riorganizzandoli sul territorio. Non sono più rinviabili in particolare misure per il sostegno della non autosufficienza, come quelle attuate da tutti i paesi vicini. E’ necessario coinvolgere in questi interventi l’impegno delle organizzazioni della società civile, in una collaborazione fra pubblico e privato, come si è detto. Più in generale è importante promuovere una vita attiva delle persone anziane perché continuino a essere utili a sé e alla famiglie (già i nonni fanno molto per i nipoti): con forme di lavoro più adatte, con part time misto a pensione, con un formazione mirata. Le politiche per l’occupazione hanno un ruolo importante per il benessere delle famiglie. Senza lavoro non c’è autonomia per i giovani, né sicurezza per la famiglia; e può essere a rischio la stessa stabilità familiare. Servono politiche di crescita che sostengano il lavoro e misure che ne promuovano una buona qualità, cioè un lavoro arricchito di diritti e di opportunità, non esposto ai ricatti della precarietà. Servono ammortizzatori universali che garantiscano a tutti adeguate tutele del reddito in caso di mancanza di lavoro; anche tali tutele possono essere modulate a seconda del contesto familiare. Il welfare va ripensato alla luce della conciliazione e della condivisione dei diversi ruoli familiari, fra donne e uomini. Il ripensamento è necessario per riequilibrare i ruoli e riconoscere maggiore libertà di scelta alle donne fra lavoro e vita personale e 7 familiare. E’ necessario anche per sostenere la natalità, il cui drammatico calo condiziona tutto il nostro futuro. Le esperienze di paesi vicini mostrano che buone politiche di conciliazione e di condivisione servono ad allargare le possibilità di scelta per la natalità; esse non contrastano, anzi aumentano, l’occupazione femminile. Aumentare l’occupazione femminile è un grande sostegno sia all’economia del paese sia al benessere delle famiglie. Vediamo oggi più che mai quanto è importante avere due redditi da lavoro o da pensione, in famiglia, e quanto è drammatico perderne anche solo uno. Le proposte elaborate in sede parlamentare dalle parti sociali riprendono varie misure di conciliazione/condivisione, che tengano conto delle migliori pratiche europee: congedi retribuiti (in modo più adeguato di quello attuale), per madri e padri, sostegni al lavoro femminile consistenti in detrazioni fiscali al reddito da lavoro per le donne in nuclei familiari con figli minori, e in incentivi alle imprese che assumono donne con figli; facilitazioni negli orari (orari flessibili e part time reversibili), estensione universale della tutela della maternità, a tutti i tipi di lavoro anche autonomo e professionale; valorizzazione dei periodi di maternità e di cura a fini pensionistici (contributi figurativi) anche per bilanciare l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Alcune di queste misure richiedono innovazioni legislative; ma quelle riguardanti la conciliazione fra i tempi di lavoro e tempi della famiglia possono essere introdotte e gestite dalle parti sociali con la contrattazione aziendale e territoriale. Il difficile momento economico e politico non deve distogliere l’attenzione dall’impegno a far procedere le proposte che stiamo dibattendo. Noi ne siamo convinti e siamo intenzionati ad agire in coerenza. Se si vuole combattere la crisi non basta aspettare che passi; è urgente, più che mai, prendere iniziative concrete, sia per l’immediato sia con impegni di più largo respiro. Le politiche familiari sono parte di questi impegni. Sono importanti non solo per motivi di giustizia e per valorizzare la funzione di bene comune della famiglia, ma anche per sostenere la crescita economica del paese. 8 Far ripartire la crescita è condizione necessaria per dare risposte a tutti i problemi che abbiamo qui sollevato e per vincere la “sindrome del declino”, che sarebbe pericolosa per il futuro del Paese. Le famiglie sono una risorsa essenziale per la crescita e per la coesione sociale. Anche per questo meritano sostegni concreti e condivisi da tutte le forze responsabili del paese: i partiti politici, le tante associazioni che operano nelle e per le famiglie, le parti sociali che sono impegnate per sostenere un patto di sviluppo. 9