Il Mito di Perseo (1)
Figlio di Zeus e Danae, Pèrseo è un eroe della mitologia greca. Il bisnonno Abante, re
dell'Argolide, è stato un guerriero molto temuto. Abante ha sposato Aglaia, da cui ha avuto due
gemelli: Preto e Acrisio, sempre in lotta tra loro per la supremazia. Acrisio è riuscito in un primo
momento a sconfiggere il fratello, che si è trasferito nella Licia, dove ha sposato la figlia del re
Iobate, Antea. Il re ha fatto tornare Preto in Argolide, insediandolo a Tirinto. I due fratelli così si
sono trovati di nuovo uno contro l'altro. Alla fine il padre Abante ha diviso il regno tra i due figli:
Acrisio ha ereditato Argo e Preto Tirinto. Acrisio e la moglie Euridice hanno avuto una figlia,
Danae, madre di Perseo. Acrisio temeva per le sorti del suo regno, perché non avendo avuto figli
maschi, non sapeva a chi lasciare il trono.
Così ha interpellato l'oracolo per sapere quale sarebbe stata la sorte del suo regno. L'oracolo gli ha
risposto che la figlia Danae avrebbe avuto un bambino che lo avrebbe ucciso. Per scongiurare
la realizzazione della predizione, Acrisio ha fatto rinchiudere la figlia in una torre. Ma nonostante
tutti i suoi tentativi, la figlia ha concepito un bambino. Danae ha avuto il figlio di nascosto e lo
ha accudito per molti mesi. Quando Acrisio ha scoperto l'esistenza del bambino, si è convinto che
era stato il fratello Petro a sedurre la figlia. In realtà era stato Zeus, che trasformandosi in pioggia
d'oro, era penetrato nella torre seducendo la ragazza. Acrisio ha ucciso la nutrice e ha fatto
chiudere la figlia col piccolo Perseo in una cassa di legno, poi abbandonata in mare.
La cassa è arrivata sull'isola di Serifo, dove Ditti, un pescatore fratello di Polidette, tiranno
dell'isola, l'ha raccolta pensando che contenesse un tesoro prezioso. Nella cassa ha trovato Danae e
Perseo, ancora vivi e li ha condotti dal re, che ha deciso di ospitarli. Perseo è così cresciuto alla
corte di Polidette, che, innamorato di Danae, cercava di convincerla a sposarlo. Ma Danae pensava
solo al figlio e non aveva tempo per altro. Così Polidette ha deciso di eliminare Perseo. Per farlo,
ha ideato un piano: ha detto di voler sposare Ippodamia per il bene del regno, ha radunato tutti gli
amici, compreso Perseo, ed ha chiesto a tutti un cavallo come regalo. Perseo non possedeva il
cavallo ed ha detto al re che, se avesse smesso di importunare la madre, gli avrebbe donato qualsiasi
cosa volesse. Così il re gli ha chiesto la testa di Medusa come regalo di nozze, sicuro che Perseo
non sarebbe sopravvissuto a questa impresa.
Per raggiungere Medusa, Perseo aveva bisogno dei sandali alati per spostarsi velocemente, di una
sacca magica per riporre la testa e dell'elmo di Ade per essere invisibile. Atena gli ha fornito uno
scudo lucido, raccomandandosi di guardare Medusa solo di riflesso. Ermes gli ha regalato un
falcetto di diamante molto affilato per decapitare Medusa. Gli altri oggetti di cui aveva bisogno
erano custoditi dalle ninfe Stigie. Le uniche a sapere dove si trovavano le ninfe erano le Graie,
sorelle di Medusa. Le Graie, pur essendo in 3, disponevano di un solo occhio e di un solo dente, che
utilizzavano a turno. Perseo si è recato nella loro dimora e, al momento dello scambio, ha
rubato loro l'occhio ed il dente. E per restituirli ha chiesto di sapere dove si trovavano le ninfe. Le
Graie hanno accettato lo scambio, ma una volta ricevuta l'informazione, Perseo ha rifiutato di
restituire l'occhio e il dente.
Riuscito ad impossessarsi degli altri oggetti, si è recato verso la dimora di Medusa e, per
raggiungerla, ha attraversato una foresta piena di statue, che in realtà erano persone pietrificate
da Medusa. Si avvicinato a Medusa grazie all'elmo di Ade, che lo aveva reso invisibile, ed è
riuscito a decapitarla mentre dormiva. Prima di tornare indietro, ha raccolto il sangue colato dalla
ferita: quello uscito dalla vena sinistra era un veleno mortale, mentre quello uscito dalla vena destra
poteva resuscitare i morti. Inoltre bastava un ricciolo dei capelli di medusa per sconfiggere un intero
esercito.
Tornando indietro, Perseo si è recato da Atlante, che non lo aveva voluto aiutare, e lo ha
trasformato in una montagna, grazie alla testa di Medusa. Poi ha gettato nel deserto libico il dente
e l'occhio delle Graie e un po' del sangue velenoso di Medusa. Passando sul territorio della Filistia,
ha visto Andromeda incatenata a uno scoglio. La ragazza era stata condannata ad essere divorata
da un mostro marino perché la madre Cassiopea aveva osato dire che la figlia era più bella di tutte
le ninfe del mare, le Nereidi. Per placare l'ira di Poseidone, Andromeda era stata condannata al
sacrificio. Perseo si è offerto di liberarla in cambio della promessa, da parte del re, di poterla
sposare.
Perseo è riuscito a liberare la fanciulla senza problemi. Durante le nozze, secondo alcuni testi, è
scoppiata una battaglia dopo l'arrivo di Agenore, ex pretendente di Andromeda. E Perseo ha
sconfitto tutti grazie alla testa di Medusa. Secondo altri testi, è stato Fineo, zio e altro pretendente di
Andromeda, a scatenare la lotta. Ed anche in questo caso, Perseo avrebbe vinto grazie alla testa di
Medusa. Insieme ad Andromeda, Perseo ha ripreso il viaggio di ritorno. Tornato a Serifo, ha
trovato una situazione molto cambiata: Polidette aveva continuato ad insidiare Danae, che, insieme
a Ditti, si era nascosta in un tempio.
Preso dall'ira, Perseo si è recato nel palazzo di Polidette con il "regalo di nozze". Qui è stato
deriso da tutti e per vendicarsi ha pietrificato tutti i presenti. Ha poi consegnato il regno a Ditti,
che considerava come un padre adottivo. E, dopo aver restituito i sandali, la sacca con la testa di
Medusa e l'elmo, Perseo ha fatto ritorno ad Argo insieme ad Andromeda e a Danae. Il nonno,
saputo del suo arrivo, è fuggito a Larissa. Perseo lo ha raggiunto per convincerlo che non provava
rancore per lui e lo ha convinto a tornare ad Argo insieme. Prima però Perseo ha partecipato ai
giochi organizzati dal re Teutamide: ha lanciato il disco, che, a causa del forte vento, ha
colpito Acrisio uccidendolo. L'oracolo si era compiuto.
Seppellito il nonno fuori dalla città di Larissa, Perseo ha ereditato il regno di Argo, ma non voleva
regnare e così ha proposto a Megapente, successore di Preto, uno scambio di regni. Ha poi fondato
Micene ed ha avuto dalla moglie 7 figlio: Perse, Alceo, Stenelo, Eleio, Mestore, Elettrione e
Gorgofone. Alla sua morte, la dea Atena ho ha trasformato in una costellazione.
Il Mito di Perseo (2)
Dell'epoca in cui il mito era storia, si racconta che nella lontana città di Argo, regnasse il re Acriso,
figlio di Abante e di Ocalea, assieme alla sua sposa Euridice (o Aganippe secondo altri) e alla loro
figlia Danae.
La tragica storia di re Acriso ebbe inizio quando si recò a Delfi per consultare l'oracolo perchè, non
riuscendo ad avere figli maschi, era preoccupato per la sorte del suo regno non sapendo a chi dover
lasciare i suoi possedimenti. Il responso dell'oracolo fu travolgente in quanto gli predisse che non
solo non avrebbe avuto figli maschi ma che un giorno sarebbe morto per mano di suo nipote, il
futuro figlio di sua figlia Danae.
Il re, terrorizzato dalla profezia, fece rinchiudere la figlia in una torre dalle porte di bronzo sperando
in questo modo che non fosse avvicinata da nessun uomo.
Ma Zeus che dall’alto dell’Olimpo seguiva le vicende dei mortali, impietosito dalla sorte toccata
alla giovane fanciulla ed invaghitosi di lei, entrò nella sua cella sotto forma di pioggia di gocce
d’oro e concepì con lei quello che un giorno sarebbe diventato uno dei più grandi uomini
dell’antichità: Perseo .
Re Acriso, scoperta la gravidanza della figlia che fu costretta a confessare le origini divine del
figlio, nonostante la paura e la grande rabbia, non ebbe il coraggio di ucciderla ma aspettò che il
bambino nascesse, per rinchiudere entrambi in una cassa che abbandonò alla deriva in mezzo al
mare. La loro sorte sarebbe stata sicuramente segnata se Zeus non avesse sospinto la cassa verso le
rive dell’isola di Serifo, nelle Cicladi, dove il pescatore Ditti la trovò e una volta aperta, si accorse
che la donna ed il bambino erano ancora vivi. Immediatamente li portò dal re Polidette, suo fratello,
che li accolse nella sua reggia.
Passarono gli anni e Perseo, circondato dall’amore della madre, cresceva forte e valoroso. Danae,
che la maturità aveva reso ancora più bella, era diventata oggetto dei desideri del re Polidette che
cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio, non
ricambiava il suo amore. Polidette allora cercò di averla con l'inganno: finse di voler sposare
Ippodamia, figlia di Pelope e chiese ai suoi amici di fargli come dono nuziale un cavallo a testa.
Perseo, che non possedeva e non poteva comprare un cavallo per donarlo al re, si scusò e disse
imprudentemente che gli avrebbe procurato qualunque altro dono.
A quel punto Polidette, gli chiese di portargli la testa della Gorgona Medusa questo nella speranza
che morisse nell'impresa in quanto mai nessun mortale era riuscito in una simile avventura ed in
questo modo la madre, priva dell'unico conforto della sua vita, avrebbe ceduto e l'avrebbe sposato.
Narra la leggenda che Medusa una delle tre Gorgoni (Medusa, Euriale, Steno), l’unica alla quale il
fato non avesse concesso l’immortalità, era un tempo tra le donne più belle. Invaghitasi di
Poseidone, aveva fatto con lui l’amore nel tempio d'Atena. Quest'ultima profondamente irritata
dall’affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro: le mani le aveva
trasformate in pezzi di bronzo; aveva fatto comparire delle ali d’oro e ricoperto il corpo di scaglie; i
denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale; i capelli erano stati trasformati in serpenti ed
al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi.
Narra Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 799-801): "La figlia di Giove si voltò e si coprì con l'egida il
casto volto, ma, perchè quell'oltraggio non restasse impunito, mutò in luride serpi i capelli della
gorgone".
Mentre di lei scrisse Dante Alighieri nel IX canto dell’inferno (51-57): "Volgiti indietro, e tien lo
viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso".
L’impresa che stava per affrontare non era facile e sicuramente non sarebbe riuscito a superarla se
Atena ed Ermes non fossero accorsi in suo aiuto. La prima gli donò uno scudo lucente e ben
levigato, attraverso il quale guardare riflessa la Gorgona ed evitare così di essere pietrificato dallo
sguardo; il secondo una spada con cui decapitarla in quanto le sue squame erano più dure del ferro.
Tali armi non erano però ancora sufficienti per riuscire nell’impresa, così i due dei gli suggerirono
di farsi donare dalle Ninfe i calzari alati per volare veloce nel regno di Medusa, l’elmo di Ade che
rendeva invisibile chi lo portasse ed una sacca magica nella quale riporre la testa di Medusa, una
volta tagliata in quanto i suoi poteri non sarebbero venuti meno con la morte ed i suoi occhi
sarebbero stati ancora in grado di pietrificare.
Riuscire a trovare la dimora delle Ninfe non era semplice in quanto nè Ermes nè Atena ne erano a
conoscenza e pertanto suggerirono a Perseo di recarsi presso le tre Graie per estorcergli con una
stratagemma la preziosa informazione.
Erano queste sorelle delle Gorgoni e non avevano mai conosciuto la giovinezza in quanto nate
vecchie. Avevano il corpo di cigno e possedevano insieme un solo dente ed un unico occhio che si
scambiavano vicendevolmente per mangiare e vedere. Perseo, arrivato nella loro dimora, si nascose
e attese che una di loro si togliesse l’occhio dalla fronte per passarlo ad una sorella e glielo rubò,
rifiutandosi di restituirlo se prima non gli avessero indicato la via per arrivare al regno delle Ninfe.
All’intimazione le tre sorelle, terrorizzate dall’idea di restare cieche obbedirono, e così Perseo poté
raggiungere le Ninfe che gli donarono la bisaccia, i calzari alati e l’elmo di Ade.
Così equipaggiato volò nell'isola dove dimoravano le tre Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa) che
trovò addormentate. Forte dei consigli di Ermes e d’Atena si avvicinò a Medusa, nel paesaggio
desolato di uomini e animali che il suo sguardo aveva pietrificato, camminando all’indietro e
guardandola riflessa nello scudo lucente. Non appena le fu vicino vibrò il colpo mortale che tagliò
di netto la testa mentre i serpenti tentavano in tutti i modi di avvolgerlo nelle loro spire.
Presa la testa la ripose immediatamente nella bisaccia mentre dal sangue che sgorgava copioso
nacque Pegaso il magico cavallo alato che divenne il suo fedele compagno.
Le sorelle della vittima cercarono in tutti i modi di inseguirlo ma grazie all’elmo di Ade che lo
rendeva invisibile e al magico Pegaso, riuscì a sfuggire, volando via veloce come il pensiero da
quell’isola tetra e nefasta.
Disse Ovidio di Pegaso: "Fu terra il ciel e furono piedi le ali".
Approdò per riposare nella regione dell’Esperia, dove regnava il titano Atlante. Era questo molto
sospettoso e diffidente nei confronti degli estranei in conseguenza di una profezia secondo la quale
il suo regno sarebbe stato distrutto da uno dei figli di Zeus. Inavvertitamente Perseo (che non
sapeva della profezia) gli rivelò la sua origine divina e all’apprenderla, Atlante cercò di ucciderlo. Il
giovane, sorpreso dalla sua reazione fu costretto a difendersi in una lotta impari contro il Titano fino
a che, aperta la bisaccia dove teneva la testa di Medusa, pose fine al combattimento in quanto
Atlante iniziò a pietrificarsi trasformandosi in un’alta montagna.
Racconta Ovidio nelle Metamorfosi (IV 650-662): "Gli mostrò l’orribile testa della Gorgone.
Altlante si mutò quasi all’istante in un’alta montagna: boschi diventarono la sua barba e le sue
chiome, cime le spalle e le braccia; quello che prima era la testa, divenne la vetta del monte; rocce
divennero le ossa; cresciuto in tutte le sue parti, si ingigantì in una immensa mole …."
Narra pertanto la leggenda che da Atlante prese origine il sistema montuoso omonimo e
poiché era molto alto, si affermò che Atlante reggesse sulle sue spalle la volta celeste.
Perseo, ancora sorpreso da quanto era accaduto riprese il suo volo verso casa, percorrendo una terra
arida e desolata, senza accorgersi che alcune gocce di sangue fuoriuscivano dalla bisaccia che
conteneva la testa di Medusa che cadendo nel terreno davano origine a tanti serpenti velenosi
i quali in seguito avrebbero popolato per sempre il deserto.
Volava ora Perseo sopra le terre degli Etiopi quando intravide una bellissima giovane fanciulla nuda
incatenata ad uno scoglio. La fanciulla era Andromeda figlia del re d'Etiopia Cefeo e della sua
sposa Cassiopea. La giovane donna scontava una colpa commessa dalla madre che stimolata dalla
vanità si era dichiarata più bella delle Nereidi (ninfe del mare). Quest’ultime, capricciose e
maligne, offese da tanta presunzione, avevano chiesto vendetta al loro protettore Poseidone che
aveva inviato in quelle terre, dalle oscure profondità marine, un mostro che devastava tutto ciò in
cui si imbatteva. Consultato l'oracolo di Ammone per sapere che cosa si potesse fare per placare
l’ira delle dee, il responso fu che Cassiopea offrisse sua figlia Andromeda all’orribile creatura
marina. Perseo, sdegnato da una simile sorte, si offrì di mutare il destino della fanciulla,
combattendo il mostro e mettendo quindi fine alla maledizione in cambio della mano d'Andromeda.
Il re Cefeo, accettò l’offerta e così Perseo, salito in groppa a Pegaso, si portò alle spalle del mostro
calando dal cielo come un’ombra per tentare di trafiggerlo. Più volte era sul punto di essere
sopraffatto fino a quando, aperta la sacca, prese la testa di Medusa che rivolta verso il mostro lo
pietrificò all’istante.
Finita la lotta, mentre Perseo liberava Andromeda, delle Ninfe del mare incuriose, rubarono un
po’ del sangue che fuoriusciva dalla testa di Medusa che a contatto dell’acqua marina si
trasformava in coralli. Da quel momento i fondali marini furono deliziati dalla presenza di
questi straordinari echinodermi.
Perseo, prima di lasciare il luogo della lotta innalzò tre altari uno ad Ermes, uno ad Atena ed uno a
Zeus e dopo aver fatto ciò con Andromeda, il re Cefeo, Cassiopea e tutto il popolo che aveva
assistito alla lotta, si incamminò verso la reggia dove si diede subito inizio al banchetto nuziale tra
Perseo e Andromeda, in un clima di grande allegria. Ma le disavventure non erano ancora finite.
Infatti, fece ingresso nella sala del banchetto Fineo, fratello del re Cefeo, promesso sposo
d'Andromeda. Questi, reclamava Andromeda pur avendone perso il diritto nel momento in cui
aveva lasciato che la stessa andasse in sacrificio al mostro. Nella sala nuziale si scatenò una cruenta
lotta. Fineo, con l’aiuto di molti alleati iniziò a combattere contro Perseo che stava per essere
sopraffatto dalla moltitudine dei nemici quando, aperta la sacca magica, mostrò la testa di Medusa
che ancora una volta portò la morte ai suoi nemici, pietrificandoli uno dopo l'altro.
Stanco e sconfortato da tanti lutti che aveva arrecato, Perseo e Andromeda decisero di lasciare la
terra degli Etiopi per ritornare a Serifo, dalla madre Danae dove arrivarono appena in tempo per
salvarla dalla morte alla quale il re Polidette l’aveva condannata perché continuava a non ricambiare
il suo amore. Il re, messo di fronte alla testa di Medusa, fu pietrificato all’istante.
Ora che Polidette era morto, madre e figlio potevano finalmente fare ritorno alla loro terra natale,
Argo, per riconciliarsi con re Acriso, verso il quale gli anni avevano oramai cancellato il
risentimento. Perseo, messo a capo della città di Serifo Ditti, riconsegnati i calzari e l’elmo alle
Ninfe e la spada ad Ermes e dopo aver donato la testa di Medusa ad Atena che la poneva come
trofeo in mezzo al suo petto (foto al lato), con la madre e Andromeda salpava alla volta di Argo
mentre il magico Pegaso volava via verso l’Olimpo.
Re Acriso, padre di Danae, saputo dell’arrivo del nipote e di sua figlia, per paura dell’antica
profezia fuggì via dal suo regno e riparò a Larissa in Tessaglia.
Sembrava che finalmente il triste destino di Perseo di portare morte e distruzione fosse finito ma
così non era.
Oramai famoso in tutte le terre conosciute, fu invitato a partecipare in Tessaglia a Larissa a delle
gare sportive e mentre lanciava il disco, la potenza impressa allo stesso fece si che questo andasse
oltre gli spalti, per colpire uno sfortunato spettatore che altri non era che re Acriso che si era
mischiato tra la folla. Scoperta la triste fine toccata al nonno al quale Perseo, nonostante tutto
voleva bene, triste e sfiduciato fece rientro ad Argo ma non accettò di diventare re anche se gli
spettava di diritto ma cambiò il suo trono con quello di Tirinto che apparteneva al cugino
Megapente che fu lieto dello scambio in quanto molto più vantaggioso per lui.
Negli anni che seguirono Perseo regnò in pace e con saggezza fino alla fine dei suoi giorni,
fondando tra l’altro il regno di Micene così chiamato perchè un giorno potè dissetarsi presso un
ruscello che era sgorgato miracolosamente da un fungo (mycos = fungo).
Perseo ed Andromeda ebbero molti figli tra cui i più famosi furono Alceo che ebbe come figlio
Anfitrione la cui moglie Alcmena ebbe da Zeus, il mitico Eracle; Elettrione, Stenelo e Gorgofone.
Alla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione
cui pose affianco la sua amata Andromeda e la madre Cassiopea la cui vanità aveva fatto si
che i due giovani si incontrassero. Ancor oggi, alzando lo sguardo verso il cielo, possiamo
ammirare le tre costellazioni a ricordo della loro vita e soprattutto del grande amore dei due
giovani.
Note
(1) Statua di Perseo, Canova, Musei vaticani, Roma, Italia
(2) Statua di Perseo, Cellini, Loggia dei Lanzi, Piazza della Signoria, Firenze, Italia
(3) Testa di Medusa, Bernini, Musei Capitoli
(Appartamento dei Conservatori, Sala delle Oche), Roma, Italia
(4) Statua di Pegaso, Giardino di Boboli, Firenze, Italia
(5) Original photograph courtesy of U.S. Fish and Wildlife Service
(6) Athena Igiea, particolare di copia romana di statua attica di Atena,
Il mito di Pandora (1)
Chi era Pandora?
Dal greco pan=tutto, ogni; doron=dono, è secondo il mito greco, la prima donna che
apparve sulla terra.
Zeus sdegnato contro il Titano Promèteo, che aveva prima formato l' uomo con terra e
acqua e poi rubato il fuoco ai Celesti per donarlo ai mortali, volle punire tutti gli uomini,
inviando loro mali e sventure sotto le vesti di una dolce creatura.
Rivolto a Efesto ( Vulcano ) gli impose di formare mescendo terra e acqua, una figura che
avesse sembianze e voce umana, e il volto di una dea leggiadra.
Athena abbigliò la nuova creatura con ricchissime vesti, e le fece dono della sapienza e dell'
abilità dei lavori domestici, le Càriti e la veneranda Pito, l' adornarono di aurei monili, mentre
le Ore intrecciarono per il suo capo corone di fiori; Afrodite le donò la civetteria e uno
smodato desiderio di belle vesti; Ermes la rese scaltra, chaicchierina e bugiarda; e proprio
perchè tutti i Celesti le offrirono qualcosa le fu dato il nome di Pandora.
Vedendo la sua ingannevole opera compiuta, Zeus mandò il messaggero Ermes ad Epimeteo,
fratello di Promèteo, donandogli la fanciulla, ma nonostante Prometeo gli avesse vietato di
accettare qualsiasi dono da Zeus, perchè poteva essere funesto, accettò la magnifica ragazza
dimenticando tutti gli avvertimenti.
Con la venuta sulla terra di Pandora, la felicità degli uomini scomparve: appena la donna aprì il
coperchio del vaso che recava con sè, dono offertole da Zeus, tutti i mali e le sventure
inondarono il mondo, con la forza e la velocità di un turbine, con le loro urla di sciagura non
risparmiarono neanche un angolo di terra; Pandora cercò immediatamente di richiudere il
vaso, ma ormai tutto le sfuggì, solo una piccola luce rimase nel vasose pur fioca era la luce
della Speranza: , un qualcosa che Zeus lasciava agli uomini affinchè riuscissero a sopportare
i dolori della vita, le sventure, qualcosa che illuminasse i momenti di buio.
Il mito di Pandora (2)
Nella mitologia greca, Pandora è la prima donna, creata per ordine di Zeus per punire l’umanità.
Zeus, infuriato dal furto del fuoco divino commesso da Prometeo, decise di punire questi e la sua
amata creazione: il genere umano. Prometeo venne incatenato ad una roccia ed ogni giorno
un’aquila gli divorava il fegato: l’organo ricresceva durante la notte e così, la mattina successiva, il
tormento riprendeva. Per punire gli uomini Zeus ordinò ad Efesto di creare una bellissima fanciulla,
Pandora (dal greco "pan doron" = "Tutti I Doni"), alla quale gli dei donarono grazia e ogni sorta di
virtù.
Ermes, che aveva dotato la Giovanna di astuzia e curiosità, venne incaricato di condurre Pandora
dal fratello di Prometeo, Epimeteo (fratello stupido). Questi nonostante l’avvertimento del fratello
di non accettare doni dagli dei, sposò Pandora, da cui ebbe Pirra. Ella aveva con sé un vaso
regalatole da Zeus, che però le aveva ordinato di lasciare sempre chiuso. Ma, spinta dalla curiosità,
Pandora disobbedì: aprì il vaso e da esso uscirono tutti i mali del mondo (la vecchiaia, la gelosia, la
malattia, la pazzia, ecc.) che si abbatterono sull’umanità. Sul fondo del vaso rimase solo la
speranza, l’ultima a morire. Secondo un’altra versione il vaso, aperto da Epimeteo, conteneva tutti i
beni, che volarono verso gli dei, lasciandone sprovvisti gli uomini.
« così disse ed essi obbedirono a Zeus signore, figlio di Crono.
E subito l’inclito Ambidestro, per volere di Zeus, plasmò dalla terra una figura simile a una vergine
casta; Atena occhio di mare, le diede un cinto e l’adornò; e le Grazie divine e Persuasione
veneranda intorno al suo corpo condussero aurei monili; le Ore dalla splendida chioma,
l’incoronarono con fiori di primavera; e Pallade Atena adattò alle membra ornamenti di ogni
genere. Infine il messaggero Argifonte le pose nel cuore menzogne, scaltre lusinghe e indole astuta,
per volere di Zeus cupitonante; e voce le infuse l’araldo divino, e chiamò questa donna Pandora,
perché tutti gli abitanti dell'Olimpo l’avevano donata in dono, sciagura agli uomini laboriosi. Poi,
quando compì l’arduo inganno, senza rimedio, il Padre mandò a Epimeteo l’inclito Argifonte
portatore del dono, veloce araldo degli dèi; né Epimeteo pensò alle parole che Prometeo gli aveva
rivolto: mai accettare un dono da Zeus Olimpio, ma rimandalo indietro, perché non divenga un male
per i mortali. Lo accolse e possedeva il male, pria di riconoscerlo. Prima infatti le stirpi degli
uomini abitavano la terra del tutto al riparo dal dolore, lontano dalla dura fatica, lontano dalle
crudeli malattie che recano all’uomo la morte; (rapidamente nel dolore gli uomini avvizziscono.)
Ma la donna di sua mano sollevò il grande coperchio dell’orcio e tutto disperse, procurando agli
uomini sciagure luttuose. Sola lì rimase Speranza nella casa infrangibile, dentro, al di sotto del
bordo dell’orcio, né se ne volò fuori; ché Pandora prima ricoprì la giara, per volere dell’egioco
Zeus, adunatore dei nembi.
E altri mali, infiniti, vanno errando fra gli uomini. »
Il mito di Orfeo ed Euridice (1)
Orfeo era un poeta e un musico. Le Muse gli avevano insegnato a suonare la lira, ricevuta in
dono da Apollo. La sua musica e i suoi versi erano così dolci e affascinanti che l'acqua dei
torrenti rallentava la sua corsa, i boschi si muovevano, gli uccelli si commuovevano così tanto
che non avevano la forza di volare e cadevano, le ninfe uscivano dalle querce e le belve dalle
loro tane per andare ad ascoltarlo (Seneca: "cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua
fugace, obliosa di proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano
conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava, commuovendosi
nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le Driadi [ninfe dei boschi], uscendo
dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino le belve accorrevano dalle loro tane
al melodioso canto ...").
La sua sposa era la ninfa Euridice, ma non era il solo ad amarla: c'era anche Aristeo e un giorno
Euridice, mentre correva per sfuggire a questo innamorato sgradito, era stata morsa da un
serpente nascosto tra l'erba alta ed era morta all'istante.
Orfeo allora aveva deciso di andare a riprendersela ed era sceso nell'Ade, nell'oscuro regno dei
morti. Con la sua musica era riuscito a commuovere tutti: Caronte lo aveva traghettato sull'altra
riva dello Stige, il fiume infernale; Cerbero, l'orribile cane con tre teste, non aveva abbaiato; le
Erinni, terribili dee infernali (Aletto, Tisifone e Megera), si erano messe
a piangere. I tormenti dei dannati erano cessati (Tantalo non aveva più fame e sete...) e ogni
creatura, compresi il dio Ade e sua moglie Persefone, aveva provato pietà per la triste storia dei
due innamorati.
Così Ade aveva concesso ad Orfeo di riportare Euridice con sé, ma a un patto: Euridice doveva
seguirlo lungo la strada buia degli inferi e lui non doveva mai voltarsi a guardarla prima di
arrivare nel mondo dei vivi (Poliziano, Fabula di Orfeo, 237.: "Io te la rendo, ma con queste
leggi: / che lei ti segua per la ceca via / ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi
pervenuta sia!").
Avevano iniziato la salita: avanti Orfeo con la sua lira, poi Euridice avvolta in un velo bianco e
infine Hermes, che doveva controllare che tutto si svolgesse come voleva Ade. "Si prendeva un
sentiero in salita attraverso il silenzio, arduo e scuro con una fitta nebbia. I due erano ormai
vicini alla superficie terrestre: Orfeo temendo di perderla e preso dal forte desiderio di vederla si
voltò ma subito la donna fu risucchiata, malgrado tentasse di afferrargli le mani non afferrò altro
che aria sfuggente. Così morì per la seconda volta ma non si lamentò affatto del marito (di cosa
avrebbe dovuto lamentarsi se non di essere stata amata così tanto?) e infine gli diede l'estremo
saluto." (Ovidio, Metamorfosi, IV, 53 sgg)
L'addio tra Orfeo ed Euridice è scolpito su un bellissimo rilievo nel Museo Archeologico di
Napoli.
Euridice è al centro della scena, e poggia la sua mano sinistra sulla spalla di Orfeo, con un gesto
pieno di tenerezza e rassegnazione. Ma Orfeo è inconsolabile e con la sua mano tocca la mano
di lei, una carezza che è anche un inutile tentativo di trattenerla.
Inutile, perché Hermes ha intrecciato il suo braccio al braccio destro di lei, e con dolcezza ma
anche con determinazione la trattiene accanto a sé: il suo compito sarà riportarla di nuovo, e
stavolta per sempre, negli Inferi.
Nemmeno una parola, solo la forza dei gesti per rendere il dolore del distacco tra i due
innamorati, e la inevitabilità del destino.
Orfeo resterà fedele al suo amore per Euridice e morirà ucciso dalle Menadi, le sacerdotesse di
Dioniso, che lo faranno a pezzi, gettando i suoi resti nel fiume Ebro.
La sua testa, caduta sulla lira, resterà a galla sull'acqua, cosicché Orfeo continuerà a cantare:
"Euridice" diceva "O mia misera Euridice!" / E lungo il fiume le rive ripetevano "Euridice".
(Virgilio, Georgiche, IV, 525.). Così Zeus, commosso, deciderà di mettere la testa di Orfeo in
mezzo al cielo, nella costellazione della Lira.