Consiglio di Stato, Sezione V, 31 dicembre 2007, Sent

Consiglio di Stato, Sezione V, 31 dicembre 2007, Sent.6800/07
1) Impianti pubblicitari collocati su aree pubbliche. Canoni dovuti.
2) Impugnazione della deliberazione con la quale la Provincia ha fissato in via generale i criteri per la
determinazione dei canoni dovuti per l’installazione sulle strade provinciali di impianti e mezzi
pubblicitari. Rientra nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.
(Omissis)
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso proposto dalla Associazione XXX, per
l’annullamento della deliberazione 27 ottobre 2005 con la quale il Consiglio Provinciale di YYY ha
fissato i canoni annui per la collocazione degli impianti pubblicitari, e l’annullamento delle richieste di
pagamento indirizzate alle ricorrenti.
Il TAR ha ritenuto fondata la censura con la quale si è denunciato che l’Amministrazione, dopo aver
dichiarato di voler assumere come parametro di riferimento per la misura dei canoni le esperienze di
altre Province, e precisamente Treviso e Venezia, ha poi adottato canoni di misura ingiustificatamente
più elevata.
La Provincia di YYY ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza.
Nel giudizio di appello si sono costituiti i ricorrenti in primo grado, che hanno presentato appello
incidentale per contestare i capi della sentenza relativi alle censure disattese.
Alla pubblica udienza del 13 luglio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Occorre esaminare in primo luogo l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo,
sollevata dalla Provincia appellante sulla base del disposto di cui all’art. 5 della legge n. 1034 del 1971, a
norma del quale resta salva la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie relative ad indennità,
canoni e altri corrispettivi inerenti i rapporti di concessione di beni pubblici.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite invocata dall’appellante (10 dicembre 2001
n. 15603), ad avviso del Collegio, pur senza disconoscere alcune aperture giurisprudenziali in tema di
potere disapplicazione dell’atto generale presupposto da parte del giudice ordinario, non pare
corroborare la tesi dell’appellante
E’ il caso di menzionare che la sentenza, al di là della massima riferita dall’appellante, ha avuto cura di
riprodurre testualmente le conclusioni contenute nella citazione introduttiva di primo grado: "voglia il
Pretore... accertare e dichiarare che la s.r.l. Logos Pubblicità ha versato al Comune di Roma per gli anni
'92, '93, somme di gran lunga superiori a quelle effettivamente dovute per gli impianti pubblicitari di
proprietà... per canoni di concessione, IVA, TOSAP... e conseguentemente accertare e dichiarare il
diritto della società attrice alla ripetizione delle somme erroneamente corrisposte al Comune".
Coerentemente con tale impostazione la pronuncia riafferma principi ripetutamente enunciati dalla
stessa Corte regolatrice, ricordando che “nella sentenza 10 dicembre 1993, n. 12164, è stato affermato
che, quando "si tratta di una controversia relativa a un singolo rapporto, nella quale si controverte fra la
P.A. ed il privato (nella specie, concessionario) se un dato canone è dovuto o meno, la controversia ha
ad oggetto, sempre, il diritto soggettivo a pagare la misura di legge e non più del dovuto, per cui
appartiene al G.O., come appare dal testo dell'art. 5 citato ("Resta salva la giurisdizione...").
Altrimenti, vi sarebbe un'intrinseca contraddizione nell'intero art. 5: nel primo comma è istituita una
giurisdizione esclusiva... Nel secondo comma, le controversie relative ai canoni andrebbero distribuite
fra il giudice ordinario ed il giudice amministrativo... a seconda che si faccia questione di diritto
soggettivo o di interesse legittimo, identificato quest'ultimo nella soggezione del concessionario al
potere della P.A. di fissare il canone. La suddetta impostazione non si può seguire, perché romperebbe
la ratio del sistema, che è quella di devolvere al giudice amministrativo tutte le controversie in materia di
concessioni, escluse quelle riguardanti i canoni, indennità ed altri corrispettivi".
La successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite non ha seguito tale indirizzo, uniformandosi a
precedenti pronunce ed affermando, in via generale, che è devoluta al giudice ordinario soltanto la
domanda diretta a contestare "l'an e il quantum della pretesa, senza investire direttamente i
provvedimenti inerenti alla formazione o alla modificazione delle relative tariffe" (così la sentenza 16
giugno 1995, n. 8676, e, fra le più recenti, la sentenza 7 marzo 2001, n. 94).
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale principio. La ricostruzione della speciale competenza del
giudice ordinario, ritagliata da quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni, non
può derogare ai principi generali in tema di riparto della giurisdizione, e soprattutto alla regola stabilita
dall'art. 103, comma I della Costituzione, generalmente interpretato nel senso che, mentre è prevista
l'attribuzione al giudice amministrativo di speciali ipotesi di tutela di diritti soggettivi, non si prevede la
devoluzione di controversie su interessi legittimi al giudice ordinario.
Pertanto, se la domanda consiste nell'impugnazione di un atto amministrativo discrezionale, col quale
vengono stabiliti i criteri di determinazione di canoni o tariffe, non sembra contestabile che la stessa
rientri nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.(enfasi aggiunta)
La giurisprudenza delle Sezioni Unite esclude dalla giurisdizione del giudice ordinario in materia di
canoni di concessione le domande che trasmodano nella denuncia dell'illegittimità di un provvedimento
generale di determinazione, valido non solo per il singolo rapporto, ma per un'intera categoria di
fruitori di un servizio o di un bene pubblico ( così la già citata sentenza n. 12164-93).
Gli stessi principi si trovano oggi ripetuti nella recentissima pronuncia della SS.UU 5 aprile 2007 n.
85128.
Nel caso di specie non è seriamente contestabile che l’oggetto principale dell’impugnazione sia la
deliberazione con la quale la Provincia ha fissato in via generale i criteri per la determinazione dei
canoni dovuti per l’installazione sulle strade provinciali di impianti e mezzi pubblicitari.
Invero, assai debole si rivela la prospettazione con la quale la Provincia vorrebbe sostenere che “non
vengono in contestazione i parametri di determinazione dei canoni …ma unicamente la traduzione in
cifre di quei parametri, cioè la quantificazione dei canoni così ottenuti” (appello pag. 7).
E’ agevole replicare che la doglianza avanzata in prime cure si concretizza in censure che investono
direttamente l’atto regolamentare, mentre nessun addebito specifico viene mosso avverso la
“traduzione in cifre” dei criteri fissati in via generale, cosicché l’impugnazione dell’intimazione non
poteva produrre l’effetto di determinare il trasferimento al giudice ordinario della giurisdizione sul
provvedimento amministrativo.
Nel merito l’appellante ha sostenuto la legittimità della scelta discrezionale che ha condotto alla
determinazione di canoni di importo più elevato rispetto a quelli praticati dalle province confinanti di
A. e B., o, per le autostrade, dall’ANAS.
Si assume che la Provincia di YYY: a) ha operato delle valutazioni ragionevoli alla stregua degli
elementi indicati dall’art. 27, comma 8, del d.lgs. n. 285 del 1992 (c.d. codice della strada); b) che,
rispetto al canone di A., il maggior importo è bensì del 70%, ma concerne soltanto la seconda faccia del
cartello, e non si vede la ragione per la quale l’utilizzo della detta seconda faccia debba essere gratuito;
c) che, comunque, a differenza da quanto ipotizza la sentenza appellata, la Provincia si è astenuta dal
gravare i concessionari di un importo capace di compensare i 15 anni di utilizzo gratuito del bene
pubblico; d) che il concessionario non ha titolo, in nome dell’art. 41 Cost., per pretendere la
prosecuzione di una gestione aziendale commisurata sulla gratuità dell’occupazione del bene pubblico,
ignorando il perseguimento dell’utilità sociale; e) che non esiste un parametro valido per valutare la
eccessiva onerosità del canone stabilito, posto che agli importi praticati dagli enti confinanti non è stato
formalmente attribuito il ruolo di valore di riferimento.
Le argomentazioni dell’appellante non riescono a superare il ragionamento dei primi giudici.
La sentenza di primo grado, infatti, ha accolto il ricorso non già perché la Provincia di YYY: a) si sia
ispirata a criteri diversi da quelli previsti dal codice della strada, o b) perché avrebbe dovuto prevedere
l’utilizzo gratuito della seconda faccia dell’impianto, o c) perché si è inteso far pagare agli utenti il lungo
periodo di gratuità dell’occupazione: l’accenno a tale ipotesi è adombrata in termini assolutamente
sfumati e dubitativi; o, in fine, per contrasto con il principio della libertà della iniziativa economica.
La sentenza ha semplicemente rilevato che, a fronte del criterio esplicitamente assunto in delibera, di
voler ispirare le proprie scelte, in materia di misura dei canoni, all’esperienze delle Province di A. e B.,
abbia poi disatteso tale indirizzo adottando un canone inizialmente doppio a quello di A., poi scontato
del 30%.
E’ dunque evidente l’erroneità del motivo di appello sub d), con il quale si è sostenuto che i livelli
praticati da A. e B. non possono essere assunti a validi parametri di riferimento, in quanto nessuna
autorità ha attribuito agli stessi un preteso valore vincolante.
E’ indubbio che nessun obbligo sussisteva di uniformarsi alle “esperienze” delle Province viciniori, ma
è stata la stessa Amministrazione Provinciale di YYY a imporre a se stessa, per ragioni non ben
precisate, ma su cui non vi è contestazione, un criterio che poi ha immotivatamente disatteso.
La determinazione impugnata, dunque, è affetta da eccesso di potere nelle figure sintomatiche della
incoerenza, della contraddittorietà e dell’illogicità.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, afferma costantemente che sussiste il vizio di eccesso di
potere in caso di contraddizione con precedenti manifestazioni di volontà o con precedenti atti
istruttori, in difetto di idonea motivazione sul punto; inoltre, è illegittimo per eccesso di potere per
contraddittorietà il provvedimento che presenti contraddizioni od incongruenze rispetto a precedenti
valutazioni della stessa amministrazione o quando sussistano più manifestazioni di volontà dello stesso
ente che si pongano tra loro in contrasto (Consiglio Stato, sez. IV, 22 settembre 2005 , n. 5000).
Il Collegio, infatti, condivide l’avviso dei primi giudici secondo cui un incremento del 70% rispetto al
livello tariffario di A., e anche superiore rispetto a quello vigente a B., o fissato dall’ANAS per le
autostrade, si risolve nella fissazione di una misura che, nella sostanza, accantona e diverge radicalmente
dal parametro contestualmente prefissato.
Può anzi avanzarsi il dubbio che la determinazione contestata sia frutto di errore per difetto di
istruttoria circa gli effettivi importi praticati nelle Province viciniori, tanto più che delle ampie e
articolate argomentazioni utilizzate in sede difensiva dall’Amministrazione, non vi è traccia nella
deliberazione impugnata.
La sentenza appellata merita dunque di essere confermata.
Può passarsi all’esame dell’appello indentale avanzato dalle parti appellate.
Con il primo motivo si lamenta che la sentenza impugnata non abbia rilevato la denunciata illegittimità
dell’art. 33, comma 2, lett. c) del regolamento in questione, nella parte in cui indica, tra i criteri assunti
per la determinazione delle tariffe, la “superficie dell’impianto, riferita alle facce utilizzate”.
La norma si porrebbe in contrasto con l’art. 9, comma 7, del d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, che in
tema di impianti pubblicitari collocati su area pubblica, precisa che il pagamento del relativo canone di
concessione deve essere commisurato “alla effettiva occupazione del suolo pubblico”.
Si sostiene che il canone imposto dall’art. 27 del codice della strada, potendo qualificarsi, anche
secondo la sentenza appellata, come specie del più ampio genus del canone di cui all’art. 63 del d.lgs. n.
446 del 1997 per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, è il corrispettivo per l’uso del suolo occupato
dall’impianto, sicché sarebbe illegittima una misura variabile a seconda della superficie contenente il
messaggio pubblicitario.
Il secondo mezzo, con ragionamento sostanzialmente analogo, come meglio si vedrà poi, reca la
contestazione delle affermazioni, contenute in sentenza, circa la non applicabilità alla fattispecie del
disposto di cui all’art. 62, comma 2, lett. d) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Si tratta della disposizione che, nell’autorizzare i comuni a sostituire l’imposta sulla pubblicità di cui al
già ricordato d.lgs. n. 507 del 1993 con altra imposta, egualmente riferita alle esposizioni pubblicitarie,
ma comprensiva del tributo per la occupazione di spazi ed aree pubbliche, ha imposto che la misura del
nuovo onere non fosse superiore oltre il 25 % di quanto già dovuto in base alle tariffe dell’imposta sulla
pubblicità di cui al detto d.lgs. del 1993.
Le argomentazioni degli appellanti incidentali non possono essere condivise perché basate sull’erronea
convinzione che il canone concessorio di cui all’art. 27, comma 7 e 8 del d.lgs. n. 285 del 1992 sia
soggetto a disposizioni destinate a regolare istituti analoghi ma nettamente distinti, e precisamente,
l’imposta comunale sulla pubblicità (primo motivo) e il canone per l’occupazione di spazi e aree
pubbliche (TOSAP secondo il d.lgs. n. 507, COSAP secondo l’art. 63 del d.lgs n. 446 del 1997).
Conviene precisare, in primo luogo, che l’art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997 riguarda l’imposta sulla
pubblicità, che appartiene alla potestà impositiva dei comuni, e si risolve, come già detto, nella facoltà di
sostituire la stessa imposta già prevista dal Capo Primo del d.lgs. n. 507 del 1993 con altra imposta,
egualmente riferita alle esposizioni pubblicitarie, ma comprensiva del tributo per la occupazione di spazi
ed aree pubbliche.
Ove il comune non provveda alla adozione del relativo regolamento, e non consta che ciò sia avvenuto,
l’imposta sulla pubblicità rimane disciplinata dal d.lgs. n. 507 del 1993, sicché ogni richiamo all’art. 62
del d.lgs n. 446 del 1993 è privo di consistenza.
Cade quindi il primo motivo di appello incidentale, sia per una ragione di ordine oggettivo, perché,
come ha rilevato la sentenza appellata, il canone concessorio richiesto dal codice della strada non è
l’imposta sulla pubblicità, costituendo, come si vedrà poi, l’onere dovuto come controprestazione
dell’utilizzo della strada; sia perché la provincia non è titolare del relativo potere impositivo.
Ma anche volendo, come ipotesi accademica, farsi applicazione dei principi di cui al d.lgs. n. 507 del
1993 occorrerebbe ricordare che l’art. 7, comma 3, del detto decreto stabilisce, con effetto tranciante,
che “Per i mezzi pubblicitari polifacciali l’imposta è calcolata in base alla superficie complessiva adibita
alla pubblicità.”.
Ma che il richiamo all’art. 9, comma 7, non è plausibile.
La norma stabilisce che, in caso di impianti pubblicitari collocati su aree pubbliche, l’importo della
TOSAP (o del COSAP) sia commisurato alla effettiva occupazione del suolo pubblico effettivamente
occupato.
Dalla disposizione, tuttavia, non può farsi discendere che l’utilizzatore del suolo sia tenuto a pagare solo
il detto importo, perché ad esso va aggiunto quello della tassa sulla pubblicità, come esplicitamente
stabilisce la prima parte dell’invocato art. 9, comma 7, e quindi con applicazione del criterio fissato dal
art. 7, già visto, che fa riferimento alla superficie utilizzata per la pubblicità.
Il secondo mezzo fa leva sull’affermazione dei primi giudici per cui il canone concessorio di cui all’art.
27 del c.d.s, sarebbe una specie del più ampio genere del canone di concessione per l’occupazione di
spazi e aree pubbliche.
Osserva il Collegio che l’affermata appartenenza al medesimo genus non può comportare
l’obliterazione delle specificità che caratterizzano l’utilizzo della strada rispetto alla occupazione di altri
spazi pubblici, e che emergono dalla considerazione dei criteri che presiedono alla quantificazione dei
canoni dovuti.
E’ agevole notare infatti che mentre per il COSAP, l’art. 63 del d.lgs. n. 446 del 1997 impone la
determinazione del canone ponendo l’accento su criteri legati alla utilizzazione in via esclusiva dell’area
pubblica da parte del concessionario, con sottrazione del bene alla collettività, sicché assumono rilievo
l’ampiezza, la modalità e il valore economico dell’occupazione, anche in funzione della classificazione
delle strade, il canone ex art. 27 del c.d.s. prescrive criteri che fanno riferimento a parametri di altra
natura, quali le soggezioni che derivano dalla collocazione dell’impianto, il suo valore economico, il
vantaggio che l’utente ne ritrae.
In sintesi, sembra che il canone di cui all’art. 27, il quale, fra l’altro, non si riferisce solo alla pubblicità,
ma anche a tutte le altre forme di uso e occupazione di strade che richiedano autorizzazioni e
concessioni previste dal Titolo II del codice della strada, dia luogo ad un tipo di prestazione legato alla
utilizzazione di quel particolare bene pubblico costituito dalla strada, come tale modulabile nel rispetto
delle sole norme che espressamente lo disciplinano.
Il terzo motivo dell’appello incidentale ribadisce la contestazione della previsione del pagamento del
canone per l’intero triennio di validità della concessione, sostenendosi che tale modalità non sarebbe
ammessa dalla norma di cui all’art. 27, comma 7, che parla di “annualità ovvero unica soluzione”.
Ad avviso del Collegio la censura, difficilmente sostenibile in base alla chiara previsione dell’unica
soluzione, non trova sostegno nell’art. 53, comma 7, del d.P.R. 495 del 1992 (Regolamento di
esecuzione ed attuazione del c.d.s.), che parla di determinazione del corrispettivo da parte del
concessionario “sulla base di un prezzario annuale”. La norma impone l’annualità del prezzario ma non
esclude la richiesta del pagamento in unica soluzione.
In conclusione l’appello incidentale non può essere accolto.
Sussistono valide ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di lite
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello principale in epigrafe,
rigetta l’appello incidentale;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 luglio 2007
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 31-12-2007